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DIGITALI

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DI MR BETO

DI MR BETO

Il ravennate Matteo Succi ha soli 25 anni ma fa già parlare di sé anche oltre i confini. Quanto basta per suscitare una certa curiosità. Un viso sorridente, sembra un ragazzino ma ci si accorge presto, parlando con lui, che ha una mente molto attiva, velocissima, piena di progetti per un futuro che sente a portata di mano. Di recente è stato invitato a Londra dove ha portato le sue opere d’arte digitali in un grande spazio espositivo in Oxford Street nel cuore di Londra, in compagnia di grandi artisti del calibro di Koons e LaChapelle. Uno show immersivo digitale dal titolo Svccy (il nome d’arte che ha scelto) Dystopian Costructions, con 36 pannelli a led installati al posto delle finestre dei primi tre piani del palazzo Flagship Store di Flannes. Poi ha partecipato, con due sue opere, alla mostra Dear Mother Earth negli spazi di Ninfa Labs a Milano, anche in quell’occasione insieme ad altri artisti ec-

A LONDRA È STATO INVITATO A REALIZZARE UNO SHOW IMMERSIVO DIGITALE DAL TITOLO SVCCY, IL SUO NOME D’ARTE, E HA ESPOSTO A MILANO, TOKYO E NEW YORK. AL RAVENNA FESTIVAL 2023 HA PROPOSTO LA SUA INTERPRETAZIONE DEL TEMA LE CITTÀ INVISIBILI cezionali. Oltre che a Ravenna, ha partecipato a mostre a New York, Tokyo, Firenze e Roma. Anche il Ravenna Festival lo ha notato, incaricandolo di dare una interpretazione del tema di questa edizione Le Città Invisibili, e Matteo è partito da un mosaico in San Vitale per creare un video introduttivo che è stato proiettato durante la presentazione del programma dell’edizione 2023. Queste sono le ultime imprese di Matteo Succi, ma come è iniziato il suo percorso? “Ho frequentato il liceo scientifico Oriani a Ravenna,” racconta, “ma, essendo innamorato della musica, nasco infatti come clarinettista, ho iniziato a 12 anni il Conservatorio e ho finito gli studi abbastanza giovane. Ho conseguito la laurea triennale nel 2017 con il massimo dei voti e la lode, all’Istituto Verdi di Ravenna, dove ho anche frequentato il biennio accademico di Discipline interpretative terminato a ottobre 2019 con il conseguimento del diploma accademico di secondo livello o laurea magistrale. A 22 anni mi sono diplomato in clarinetto. Appena terminato questo percorso, quando avevo in mente di fare tante cose, è arrivato il Covid e c’è stata una pausa forzata di circa due anni.” Il lungo periodo non è trascorso in una inutile attesa della normalità perché Matteo, già appassionato di arte e di computer, ha impiegato il suo tempo avvicinandosi all’arte digitale. “Ho iniziato molto prima, quando avevo 17 anni,” spiega, “facendo esperimenti con Photoshop: prendevo una foto come base e facevo collage fotografici digitali. Questa passione, da autodidatta, serviva anche a interrompere il mio studio di clarinetto, anche per- ché lo strumento richiede molta fatica… bisognava prendere delle pause e durante il Covid di tempo ne avevo!” Ed è stato allora che Matteo ha iniziato a lavorare in 3D. Ha comprato programmi che gli permettevano di creare l’immagine da zero e di fare animazione. Si è avvicinato così all’arte digitale e alla corrente vaporwave. Matteo spiega in cosa consiste: “Questa corrente di origine anglosassone è nata proprio su internet intorno al 2011-2012. Nasce in ambito musicale e poi successivamente attorno al 2015-2016 coinvolge anche il settore visuale, quindi musica più arte visuale. Infatti all’inizio, quando avevo 18-19 anni, oltre a fare i primi esperimenti con Photoshop e con tutti gli altri programmi, avevo anche iniziato a comporre musica elettronica. Ero andato anche a Milano a fare un dj set con altri ragazzi che seguivano questa corrente musicale, che purtroppo non è mai decollata in Italia.”

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Matteo Si

SPECIALIZZATO

SULL’ARTE DIGITALE VAPORWAVE/ESTETICA, CARATTERIZZATA

DALL’USO DI TEMI NOSTALGICI DEGLI ANNI OTTANTA E NOVANTA, COME COMPUTER E VIDEOGIOCHI, E DELLA CULTURA GIAPPONESE.

Erano 5 o 6 ragazzi del centro e nord Italia e insieme hanno fatto delle belle serate. Ma è stata solo una esperienza isolata. Matteo si è specializzato proprio sull’arte digitale vaporwave/estetica, caratterizzata dall’uso di temi nostalgici degli anni Ottanta e Novanta, di sistemi operativi per computer e consolle per videogiochi, busti romani, centri commerciali abbandonati, elementi della cultura giapponese, tutti conditi con l’uso di sfumature sulle tonalità del viola e del rosa. Le opportunità che si presentano ogni giorno a Matteo sono davvero tante e lui è sempre pronto a coglierle e a svilupparle con successo grazie alla sua genialità.

La primavera scorsa, i drammatici eventi dell’alluvione hanno portato i ravennati a riprendere coscienza di una realtà la cui consapevolezza era sopravvissuta da tempo solo nella cognizione di pochi storici e addetti ai lavori: il territorio nel quale viviamo è un ambiente sostanzialmente ‘costruito’, frutto dell’interazione fra elementi naturali (la terra e l’acqua) e intervento umano. La ricerca di un fragile e mai risolutivo equilibrio fra queste componenti è la falsariga su cui si potrebbe leggere l’intera storia della città. In questo contesto, l’episodio più importante, e che non a caso è stato richiamato anche nei giorni dell’alluvione, è quello che, nella prima metà del Settecento, portò alla modifica del tracciato del Ronco e del Montone, con la nascita dei moderni Fiumi Uniti e con il conseguente riassetto complessivo del sistema idrografico ravennate. Il punto di partenza era allora quello della sistemazione effettuata a sua volta nel XIII secolo, quando il Montone e il Ronco erano stati condotti artificialmente ad abbracciare a nord e a sud il centro urbano: il primo lungo la direttrice ancor oggi testimoniata da via Fiume Abbandonato (appunto) e dalla circonvallazione S. Gaetanino, e poi oltre la Rocca Brancaleone; il secondo in un percorso parallelo alla Ravegnana, fin quasi a sbattere nelle mura del borgo S. Rocco per poi deviare verso il mare e confluire col Montone nella zona dell’attuale quartiere Darsena. Il risultato di tale unione fu un antecedente dei Fiumi Uniti, che inizialmente si dirigeva verso Porto Fuori e poi fu portato a sfociare in mare più a nord, con un estuario di cui è rimasta memoria nel nome di Punta Marina.

I motivi che avevano indotto gli uomini del Medioevo a tale sistemazione erano diversi: l’approvvigionamento idrico, la fornitura di forza motrice per i mulini, l’alimentazione dei lavatoi e dell’ancora vitale sistema di canali interni alla città e, ovviamente, la difesa della stessa. Tuttavia, già dopo pochi secoli il rapporto costi-benefici di quell’assetto si era ormai invertito. Col tempo, infatti, l’alveo dei fiumi si era progressivamente innalzato, contestualmente a un abbassamento per subsidenza naturale del livello del centro urbano; unita alla deleteria presenza delle chiuse dei mulini, e agli effetti del piovoso regime climatico della ‘piccola era glaciale’, tale situazione esponeva la città a inondazioni sempre più frequenti, fra le quali la più devastante fu quella del maggio 1636. Già dal Cinquecento avevano dunque cominciato a susseguirsi diversi progetti predisposti da tecnici e autorità al fine di risolvere il problema. Nel complesso, l’idea di base era quella di liberare la città dall’‘abbraccio mortale’ dei fiumi, portando il Montone a immettersi nel Ronco a sud del centro urbano. Tale operazione si scontrava però contro interessi consolidati (in particolare quelli dei proprietari dei terreni e dei mulini) e con problemi tecnici ed economici. A complicare le cose ci fu poi, alla metà del Seicento, la realizzazione del canale Panfilio, che collegava la città con il porto Candiano, a sud, e dunque nell’area che avrebbe dovuto essere interessata dalla diversione dei fiumi. Solo nel nuovo clima politico e culturale dell’inizio del Settecento, il ‘secolo riformato- re’, la vicenda ebbe finalmente una svolta in seguito all’elezione, nel 1730, del papa Clemente XII (Lorenzo Corsini) e alla conseguente nomina di un nuovo legato di Romagna nella persona di Bartolomeo Massei. Questi nel 1731 affidò lo studio della questione ai due ‘primari matematici’ Eustachio Manfredi e Bernardino Zendrini, professori rispettivamente a Bologna e a Padova. Dopo avere esaminato i progetti precedenti, essi elaborarono un piano che prevedeva la deviazione del Montone nel punto in cui si sarebbe costruita la chiusa di S. Marco, e il suo congiungimento con il Ronco circa due chilometri a sud di Porta Sisi. Da qui sarebbe stato scavato l’alveo dei nuovi Fiumi Uniti, che avrebbe raggiunto il mare sfruttando in parte quello del dismesso Panfilio, mentre il nuovo portocanale sarebbe sta- to realizzato sfruttando la traccia dei Fiumi Uniti precedenti. Vinte le ultime resistenze e perplessità, il 16 marzo 1733 una solenne funzione nella basilica di Classe diede il via ai lavori di escavo, mentre nell’ottobre seguente fu posta la prima pietra della chiusa.

Nonostante l’insorgere di alcuni problemi tecnici, i lavori erano in corso quando, nel febbraio del 1735, Massei lasciò la città per essere sostituito alla guida della Legazione da uno dei protagonisti assoluti della storia ravennate di quel secolo, il cardinale Giulio Alberoni. Questi prese immediatamente in carico la prosecuzione del progetto, senza mancare però di lasciarvi la sua impronta personale. Il riassetto complessivo del sistema fluviale comportava infatti la costruzione di tre nuovi ponti, uno sul Ronco per la via Cella, uno sul Montone per la Ravegnana (ponte Assi) e il terzo sui Fiumi Uniti per la Romea. Realizzato in muratura su progetto del fusignanese Giovanni Antonio Zane, riutilizzando i mattoni prelevati dalla Rocca Brancaleone, il Ponte Nuovo fu un’opera all’avanguardia per l’epoca, e fu oggetto della speciale attenzione del cardinale. Fu grazie alla sua autorità che vennero arruolati – scriveva la Gazzetta di Ravenna – “tanti vagabondi e scioperati, che marcivano nell’ozio in questa, e nell’altre città e luoghi vicini,” che lavorarono di giorno e di notte riuscendo a terminare l’opera già alla fine del 1736. Due anni dopo, il 14 dicembre 1738, il Ronco venne immesso nel nuovo alveo, alla presenza di una folla entusiasta e al suono corale delle campane della città. Finalmente, nel dicembre del ‘39, anche il Montone fu unito al Ronco, ponendo termine dopo quasi un decennio alla grande impresa della diversione, e con essa all’incubo delle alluvioni della città. In effetti, il progetto originario di Manfredi e Zendrini era stato modificato in una parte sostanziale, perché Alberoni era intervenuto anche sul nuovo porto, da lui spostato nel tracciato che è quello del Candiano attuale. Questa, si sarebbe tentati di dire con banale formula di chiusura, ‘è un’altra storia’, ma non sarebbe corretto: era la seconda parte di un’unica grande storia, che nel giro di un quindicennio modificò alla radice l’assetto infrastrutturale ravennate nelle forme che, dopo tre secoli, sono ancora quelle di oggi.

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DAL 1978, L’IMPEGNO DI OROGEL È

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È il 1967 quando undici appassionati produttori ortofrutticoli del cesenate, per valorizzare al massimo le produzioni del territorio, decidono di associarsi costituendo la prima cooperativa del gruppo. In poco tempo altri operatori locali seguono l’esempio, dando vita ad altre cooperative che nel 1969 si uniscono creando il Consorzio Fruttadoro di Romagna. Un consorzio di secondo livello che investe, da subito, nello studio dei processi di conservazione degli alimenti, e in particolare nella surgelazione, per risolvere il problema delle eccedenze di produzione dei soci e per innovare l’offerta orticola, fornendo sul mercato prodotti freschi anche fuori stagione. Dopo la posa della prima pietra dello stabilimento di sur- gelati nel 1975, tre anni dopo, nel 1978 viene fondata Orogel Nel tempo, con passione e innovazione, Orogel è diventata il primo gruppo italiano nella produzione di vegetali freschi surgelati. Tutto senza mai perdere di vista l’attenzione verso la qualità, i valori, le tradizioni del territorio e il rispetto per la natura. Per fare un prodotto eccellente servono due elementi: materie prime di ottima qualità e un processo produttivo all’avanguardia. I soci agricoltori di Orogel coltivano a pieno campo, rispettando i cicli stagionali e raccogliendo gli ortaggi nel momento di maggiore concentrazione di vitamine e minerali. L’irrigazione avviene sfruttando per quanto possibile le precipitazioni e le risorse naturali. Per ridurre l’impatto dell’irri- gazione vengono usati strumenti di precisione, anche con l’aiuto di riprese satellitari. La difesa fitosanitaria è importante: l’utilizzo di fitofarmaci può essere ridotto grazie all’utilizzo di modelli previsionali, all’applicazione di rigidi disciplinari di coltivazione e all’uso di mezzi di difesa alternativi. Questa visione di agricoltura sostenibile è alla base della qualità dei prodotti

Dopo essere stati selezionati, lavati, tagliati e scottati pochi secondi a vapore o in acqua bollente, gli ortaggi vengono surgelati. Grazie alla surgelazione il cuore del prodotto raggiunge velocemente una temperatura di -18°C. Durante il processo di raffreddamento, l’acqua contenuta nel prodotto si solidifica in micro-cristalli talmente piccoli

L’AMORE PER LA TRADIZIONE, LA CURA DI OGNI PRODOTTO, LA RICERCA E L’ATTENZIONE VERSO LA NATURA E LE PERSONE, SONO I PRINCIPI CHE FANNO DI OROGEL IL PRIMO GRUPPO ITALIANO DI ECCELLENZA NELLA

PRODUZIONE DI VEGETALI FRESCHI E SURGELATI.

da non danneggiare la struttura delle cellule. Pertanto, le caratteristiche nutrizionali e organolettiche degli alimenti si conservano intatte per lungo tempo, anche in fase di scongelamento. Da sempre, alla base c’è la ricerca dell’eccellenza: Orogel è riconosciuta, dal mondo della distribuzione e da un numero sempre maggiore di consumatori, come l’azienda specialista nel settore dei vegetali surgelati e di piatti e contorni a base di verdura. Lo spirito fortemente innovatore ha portato l’azienda ad ampliare il proprio orizzonte, arricchendo la propria offerta di anno in anno, andando sempre a intercettare i bisogni e i gusti dei consumatori. La Cucina Salute e Benessere Orogel è il luogo d’elezione per lo studio, la ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti.

Quella di Orogel è una storia nata oltre cinquant’anni fa e basata sui valori sanciti nella Dichiarazione d’identità cooperativa: democrazia, eguaglianza, equità, solidarietà, onestà, trasparenza, responsabilità sociale, attenzione verso gli altri, aiuto reciproco. Questi valori, propri della tradizione coope - rativa , unitamente a un forte legame con la base sociale e il territorio, a una profonda conoscenza della filiera produttiva e a una costante attenzione al prodotto in termini di innovazione, sicurezza e qualità, hanno contribuito all’affermazione di Orogel. I principi della cooperazione e della mutualità sono alla base di ogni azione che Orogel porta avanti non solo all’interno del proprio sistema, ma anche verso il territorio in cui opera. Per questo Orogel ha contribuito alla nascita e fondazione del Consorzio Romagna Iniziative , per valorizzare l’attività sportiva e progetti artistico-culturali rivolti ai giovani, e la Fondazione Romagna Solidale, che riunisce 70 aziende del territorio cesenate impegnate a sostenere realtà del no-profit che operano in diversi settori: dalla tutela della salute alle disabilità, dall’assistenza agli anziani alla formazione dei giovani.

Nel 2017, a 50 anni dall’avvio della propria attività di surgelazione, Orogel ha dato vista alla propria fondazione F.OR, che opera negli ambiti dell’impegno sociale, della solidarietà e della cultura.

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