L'uomo cannone

Page 1



verdenero 4

noir di ecomafia


Piero Colaprico L’uomo cannone © 2007 by Piero Colaprico published by arrangement with Agenzia Letteraria Roberto Santachiara © 2007, Edizioni Ambiente S.r.l., via Natale Battaglia 10, 20127 Milano www.edizioniambiente.it; tel. 02 45487277

Ufficio stampa: ufficiostampa@reteambiente.it; tel. 02 7490794 Distribuzione: PDE, commerciale@pde.it; tel. 055 301371

Tutte le edizioni e ristampe di questo libro sono stampate su carta riciclata 100%

Finito di stampare nel mese di agosto 2007 presso Arti Grafiche del Liri – Isola del Liri (Fr)

Questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti accaduti o persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


piero colaprico l’uomo cannone



1

sezione omicidi

L’eco dei cori si propagava dentro gli uffici con i doppi vetri della Questura centrale di via Fatebenefratelli. L’Inter aveva appena vinto lo scudetto e un uomo stava seduto a braccia conserte al centro dello stanzone della Sezione Omicidi. Indossava vestiti sporchi di sangue, ma il sangue non era il suo. Dimostrava una sessantina d’anni. Era ossuto e muscoloso, con gli occhi verde scuro fissava dritto in faccia gli sbirri che lo circondavano. Le unghie curate, il buon taglio di capelli, la qualità del popeline della camicia e del piquet dei pantaloni lasciavano ipotizzare una vita agiata. Si rifiutava di rispondere alle domande e si limitava a sparare pirlate. 5


«E Dio disse ad Abramo: “Guai a chi avvelenerà la terra destinata ai figli”. È giusto o non è giusto, ispettore?», aveva chiesto, aggiungendo un sorriso stanco. «Da piccolo andavo in una parrocchia per immigrati italiani a Ginevra e questa frase non me la ricordo proprio», rispose l’ispettore Francesco Bagni. Aveva quarant’anni, lavorava alla Omicidi da venti e quella sera rivestiva il ruolo di capo della Sezione. «Ma quanto ci stai scassando la minchia...», alzò la voce Andy, agente scelto che era chiamato così per la vaga somiglianza con l’attore Andy Garcia. «Credi che siamo scemi? Tu vuoi perdere tempo, ma lo sai dove sei?» Seduto sulla sedia scomoda, lo sconosciuto scrollò le spalle larghe e curve. Con l’espressione del turista che ha sbagliato strada, scosse la testa: voleva far sapere che gliene importava pochissimo di dove fosse capitato, tanto ci sarebbe rimasto lo stretto indispensabile. “Questo ha una strategia”, si disse Bagni, consultando ancora una volta i verbali del fermo. «Scusa, France, che ne facciamo di ’sto suona6


to?» domandò Ombra, cinquantenne napoletana dai lunghi riccioli rossi, già viceispettrice all’Antiterrorismo. «Almeno ordino una pizza, ammesso che ce la portino, il traffico stasera è impazzito. Come la volete?» «Ma dov’è la Scientifica? Qua dobbiamo fare tutto noi, porca puttana. Dì, capa di quiz, hai ammazzato qualcuno?», lo interpellò a brutto muso l’ispettore Cinerino, più vicino ai cinquanta che ai quaranta. Gli piaceva moltissimo mettere sotto pressione gli “ospiti” della Sezione. Mostrò al collega Bagni un foglio di carta. C’era scritto: Klauspryde. La Klauspryde era una famosa multinazionale con ventimila dipendenti sparsi nel mondo, ma nata e cresciuta in Italia: si occupava di generi alimentari, medicinali, edilizia e moda ed era di proprietà delle famiglie Ceriani-Giarletti. «E cioè?», domandò Bagni. «Era al volante di una Jaguar, no? Be’, è intestata a loro, France. Non posso controllare se l’ha rubata, gli uffici di domenica sono chiusi.» «Non ha le caratteristiche del ladrone», rispose Bagni. 7


«Te lo stavo dicendo, non mi lasci mai parlare... Stando al risultato delle impronte digitali, non è schedato. Magari è uno che si scola la bottiglia. O uno scoppiatone. Dì, pirla, non è che sei un impiegato nella merda, un ramo secco da tagliare e per sopportare la disoccupazione ti fumi la maria geneticamente modificata?», riprese Cinerino. «E Dio disse: “Non avvele...”» Non finì la frase perché Cinerino gli appioppò uno schiaffetto sulle labbra: «Non prenderci per il sedere. Sai dove sei? Lo sai dove sei?». «Ragazzi, mani a posto – disse Bagni – più fa il furbo, più gli dimostreremo che i furbi siamo noi. Vado in cerca dei tiratardi della Scientifica, si sono presi il fucile e ciao pepp. Andy, la pizza la voglio con il salame piccante. E una birra rossa in bottiglia.» «Va bene, France.» Andy, Ombra e Cinerino si guardarono. Finché Bagni era stato presente, non avevano osato. Ma via l’ispettore, avevano pensato più o meno la stessa cosa. Che bisognava mettere “il muto” 8


spalle al muro. Fiaccarlo. Anzi, schiacciarlo. Erano chiusi in ufficio, senza festa e senza cena, per un balordo che si ostinava a tenere la bocca cucita. La donna si raccolse i capelli con una molletta e si alzò. Si era guadagnata il soprannome di “Ombra” quando era giovane e, per arrestare una brigatista rossa, era rimasta due giorni e due notti chiusa da sola nel retro di un furgone. Da allora, aveva partecipato a centinaia d’interrogatori. Era alta, robusta e senza pregiudizi. Fu lei che agguantò il fermato, lo sollevò dalla sedia e lo spinse con un colpo secco del palmo in pieno petto: «Ehi, vaffanculo, non sei degno di stare seduto. Mettiti in ginocchio», gli disse. Cinerino lo afferrò per le orecchie e, bestemmiando e dicendo parolacce, lo costrinse a piegare le ginocchia. Andy gli si piazzò davanti: «Non hai ancora capito dove sei?». L’uomo seguiva allarmato il movimento delle mani dei poliziotti. Chi lo spingeva, chi lo toccava, chi lo colpiva non troppo forte, in modo da non lasciargli i segni delle nocche. 9


«Non ti alzare, ti puoi alzare da terra solo quando ci dici nome e cognome e che cazzo hai fatto, ti è chiaro? », aggiunse Ombra, appioppandogli due schiaffoni sonori, con le mani pesanti e allenate sulle guance della figlia obesa e disoccupata. «Te ne vai in giro per la Città di M. armato di fucile e poi ci pigli per il sedere, eh? Pensi che sia divertente?» Il sessantenne deglutì. Faticava a respirare. Aveva il fiatone. E un groppo alla gola. Gli occhi intelligenti erano gonfi di lacrime. Un simile trattamento non se l’aspettava. Teneva però la testa eretta come se portasse la corona, come se le umiliazioni che subiva non fossero nulla più d’una salsina insipida, incapace di modificare il sapore di quel pessimo piatto che era la sua vita. Guardava chi lo picchiava come si guardano le caccole estratte dal naso. «Adesso te lo spiego io dove sei», continuò Cinerino, andando nel corridoio. Sollevò le braccia e staccò una targhetta al lato della porta. Gliela mostrò da lontano, gli si avvicinò e con lo spigolo metallico lo colpì un paio di volte sul cranio. 10


L’uomo in ginocchio si toccò i capelli, ma Cinerino gli torse il polso e ordinò: «Le mani tienile dietro la schiena. Sai leggere?». Gli sbatté la targhetta di piatto sulla fronte: «Leggi, allora, che cosa c’è scritto qua?». La targhetta era troppo vicina. L’uomo socchiuse le palpebre e, nel silenzio dell’ufficio, gli uscì dalla bocca un filo di fiato: «Vietato… fumare», lesse e guardò sorpreso i poliziotti. Il silenzio che era calato nell’ufficio in disordine diventò più profondo. I tre rimasero impassibili per qualche secondo, poi Ombra scoppiò a ridere. Lo stesso fece Andy. «...’ca miseria, ho preso la targa sbagliata», bestemmiò Cinerino. Tornò in corridoio giusto in tempo per avvertire un rumore di passi in avvicinamento. Fischiò. L’uomo venne rimesso a sedere, gli spazzolarono la polvere dai pantaloni e Cinerino, presa la targa con la scritta “Sezione Omicidi”, ricominciò la lezione: «Allora sai leggere? In questo ufficio – mostrò la targa camminando, come fanno le ragazze scosciate sul ring tra una ripresa e l’altra 11


– ci occupiamo di assassini giorno e notte. Qualsiasi cosa tu abbia fatto, la scopriremo. Ti conviene parlare per primo. Devi dirci chi sei, che cosa hai fatto con il fucile, quando e dove. Devi rispondere, perché altrimenti...». L’ispettore Bagni spalancò la porta, seguito dal collega Lopiccolo della Scientifica. Entrambi finsero di non aver notato quanto fosse spaventato e paonazzo l’uomo sporco di sangue non suo. «Mi ascolti. Le faccio un tampone. Se il sangue è umano...», disse Lopiccolo. «Risparmi la fatica», rispose lo sconosciuto, alzandosi dalla sedia. Gli occhi verdi luccicavano di rabbia: «Purtroppo lo è. Ma non sono un assassino». «Le ho forse detto che può alzarsi? Bello tranquillo – aggiunse Lopiccolo, sistemando sulla scrivania i contenitori sterili dove inserire i tamponi – che ci metto un minutino.» «E prima dice di chi è il sangue con cui s’è sporcato, prima si libera della nostra sgradevole compagnia», continuò Ombra, massaggiandosi le mani da picchiatrice con la crema Nivea. Mentre Lopiccolo terminava il suo lavoro can12


ticchiando un’aria del Guglielmo Tell, Bagni osservò il sessantenne che cercava di agevolare come poteva la raccolta dei campioni di sangue: era come se un topo dai denti aguzzi gli rodesse qualcosa nel petto. “Uno così può aver ucciso una persona cara, di cui non ci dirà nulla. Oppure può essere innocente, ma è coinvolto in qualche fattaccio, ed è disperato per ragioni che ancora non vuole o non può rivelare. Ma che cosa avrà combinato un tipo che sembra così perbene?”, si domandò l’ispettore. Riprese in mano il rapporto. L’uomo era stato accompagnato in Questura da due agenti, freschi di scuola di polizia. Tornavano da un intervento per un inizio di incendio provocato da un lancio di petardi nel piazzale dello stadio e, sfrecciando sotto un casermone popolare, avevano notato una magnifica, morbida, lunga Jaguar verde. Frenata dell’auto blu accanto alle scritte multicolori dei Latin King, dei Comando e di altre bande di cazzari sudamericani che si travestivano da malandrini. Veloce marcia indietro. Faro direzionale puntato a destra: il conducente della Jaguar aveva il capo reclinato sul volante. C’era 13


del sangue, ormai rappreso, sulle mani e sulla camicia a righe, sui pantaloni bianchi, sulla guancia sinistra. «È morto...» Invece, il tipo aveva rialzato all’improvviso la testa grigia e grinzosa e aveva tentato di mettere in moto e fuggire. Ma le armi impugnate da mani nervose e gli occhi sgranati sotto i berretti blu lo avevano convinto a desistere immediatamente: «Scendi dalla macchina». «Immediatamente, e alza le mani.» «Immediatamente, hai capito?» Aveva sollevato la sicura della portiera e riabbassato la testa. S’era lasciato perquisire con la rassegnata docilità delle mucche al pascolo. Ma non aveva voluto aggiungere mezza parola, né su di sé né sulle macchie. Sul vecchio e costoso modello di Jaguar c’erano le chiavi e un paio di telecomandi, ma mancavano i documenti. Sotto il sedile posteriore, una carabina calibro 20, con cannocchiale, era chiusa in una custodia di coccodrillo nero. Gli agenti avevano accompagnato “il muto” alla Sezione Omicidi.

14


2

quel nome

La Città di M. ribolliva. La tv locale Telenova, accesa a tutto volume in chissà quale ufficio del terzo piano, raccontava che in piazza Duomo decine di migliaia di tifosi aspettavano i giocatori. Si sapeva che i tre bus con a bordo la squadra s’erano appena mossi da un hotel in zona Fiera; ma tardavano ad arrivare, trattenuti da ali di folla. «Posso avanzare una richiesta?», domandò il sessantenne, dopo aver fissato a lungo, con ironia, il Crocifisso sulla porta dello stanzone della Omicidi. «Dica pure», lo invitò Bagni. «Se fate portare le pizze per voi, non è che 15


posso averne anch’io una con le cipolle? E un pacchetto di Marlboro? E comunque lei ha ragione, ispettore. Nei Vangeli, nella Bibbia, negli Atti degli apostoli, non c’è il comandamento: “Non avvelenerai la terra dei tuoi figli”. O forse, quando Cristo l’ha dettato, non l’hanno scritto. Comunque Dio ha preferito lasciarci altri precetti, come per esempio “Onora il padre e la madre”... e onora anche il loro bastone, come cantava De Andrè.» «Amen», disse Ombra. Espirò e si mise in bocca una caramella al rabarbaro: «France, ma dai… Sbattiamolo in camera di sicurezza. Ci si pensa domani mattina, non ha senso perdere tutte ’ste ore dietro un deficiente», propose. L’uomo si alzò e si passò le mani sulla camicia, come per stirarsela. Bloccò l’automatismo quando avvertì al tatto il sangue secco: «Okay. Visto che la signora insiste… Mi chiamo Fausto Giarletti. La Jaguar – disse – è mia. Una parte della Klauspryde è mia. Non ho fatto nulla di male. Per il fucile ho il porto d’armi e vorrei tornare a casa, dove ho i documenti personali e dell’auto, che nella fretta di uscire non avevo preso. Mi 16


scuso per avervi fatto perdere tempo. Se, per favore, avvisate imme-dia-ta-mente mio fratello Giangiacomo...». Quel Giarletti. Il nome del magnate sparse agitazione nella stanza disordinata. Tre sono le categorie che ogni investigatore paraculo non ama incontrare: i preti, i politici nazionali e i ricchi imprenditori. Giangiacomo Giarletti era un numero uno. Un uomo d’affari che usava alcuni onorevoli come camerieri e poteva stabilire se diventare amico o nemico di presidenti del consiglio. Alto, muscoloso, con una chioma ancora nera, pettinata all’indietro, aveva passato i settanta e si era sposato in terze nozze con un’ex modella russa, figlia di un generale dell’Armata Rossa. Cinerino impallidì e si sedette davanti al computer, per cercare notizie e immagini sui fratelli Giarletti. Ombra chinò il capo e finse di mandare un sms. Andy si avvicinò a Bagni, come a segnalare che stava dalla sua parte. Avevano pestato il fratello di una potenza globale. Bagni non cambiò tono: «Lo avvisiamo, certo, ci mancherebbe, signor Giarletti. Anzi, dia pure 17


il numero di suo fratello all’ispettore Cinerino, ma non è che siccome si chiama Giarletti può uscire dal mio ufficio quando le pare». «Non immagina nemmeno quanto mi faccia piacere essere trattato esattamente come gli altri», ribatté Giarletti. Cinerino si alzò e guardò Andy, entrambi lanciarono un’occhiata perplessa a Ombra. Quell’uomo poteva metterli nei guai. E seri. Bastava che denunciasse di essere stato malmenato e sarebbero finiti sotto processo in un nanosecondo. «Per il fucile non possiamo farle niente, lei risulta titolare di un regolare porto d’armi. Ma non della licenza d’uccidere. Forse – alzò la voce Cinerino, partendo al contrattacco – lei è un maniaco, di quelli che ammazzano i barboni perché sono esseri inferiori. Oppure alla sua età l’attrezzo non le funziona più come un tempo e così, per la rabbia, ha ucciso la sua donna, o una prostituta incontrata occasionalmente. In quella zona ce ne sono a centinaia. Se lei non parla...», disse alzandosi dal computer. Aveva stampato da Internet un paio d’articoli di giornale che parlavano di Fausto Giarletti. Uno 18


era intitolato Il Toto Cutugno della multinazionale e raccontava della sua scelta di andare a vivere in campagna. L’altro, Una vita a perdere, era breve e crudele, accompagnato da una serie di fotografie in cui Fausto Giarletti compariva con un’attrice ubriaca e discinta. Era lui, non c’erano dubbi. I poliziotti si passarono l’immagine: «France, dì la verità, nemmeno tu hai mai avuto per le mani una donna così bella e giovane», attaccò Ombra. «Com’è che faceva la canzone? “Voglio andare a vivere in campagna, voglio la rugiada che mi bagna, ma vivo qui in città, e non mi piace più in questo traffico bestiale, la solitudine ti assale e ti butta giù che bella la mia gioventù”», canticchiò stonando ogni strofa.

19



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.