Alla scoperta della green society

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alla scoperta della green society



a cura di Vittorio Cogliati Dezza

BELLEZZA CIBO CITTADINI ATTIVI COLLABORAZIONE CONDIVISIONE CONSUMO CRITICO CONSUMO SUOLO CULTURE EDUCAZIONE

Alla scoperta della green society ENERGIA IMPRESE IN RETE MOBILITÀ ORTI SOCIALITÀ RIFIUTI RIQUALIFICAZIONE SOLIDALI SPAZI VERDI TURISMO VOLONTARIATO


alla scoperta della green society A cura di Vittorio Cogliati Dezza

realizzazione editoriale

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sommario

prefazione Rossella Muroni

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introduzione Vittorio Cogliati Dezza

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parte i – storie della green society parole chiave dei campi d’azione campo d’azione 1 – cittadini attivi campo d’azione 2 – solidali campo d’azione 3 – in rete campo d’azione 4 – riqualificazione campo d’azione 5 – spazi verdi campo d’azione 6 – mobilità campo d’azione 7 – dal riciclo al riuso campo d’azione 8 – piccoli comuni crescono campo d’azione 9 – culture campo d’azione 10 – turisti campo d’azione 11 – filiera del cibo campo d’azione 12 – valori che fanno impresa

31 33 43 51 57 69 75 87 95 103 111 119 129

la green society tra innovazione sociale e partecipazione Intervista a Rossella Muroni, Isabella Conti, Daniela Ducato, Chiara Certomà

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parte ii – contributi la green society: società orizzontale in movimento Aldo Bonomi

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la sostenibilità, rete di connessione globale Simona Roveda

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il voto col portafoglio Leonardo Becchetti, Francesco Salustri

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la rivoluzione del profitto Enrico Fontana

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il drone e il calabrone Fabio Renzi

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il miracolo del riuso Giovanni Campagnoli, Roberto Tognetti

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effetto sharing Carlo Andorlini

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milano green city: ecologia e buona politica Giuliano Pisapia

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contaminazioni positive: l’approccio di libera terra per avviare percorsi di cambiamento e riscatto di terre e territori Valentina Fiore

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17 anni di sharing mobility a milano Andrea Poggio

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la green society al sud Mimmo Fontana

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green cinema Gaetano Capizzi

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profili biografici

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ringraziamenti

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“Colui per il quale il presente è la sola cosa che sia veramente presente, nulla sa dell’età in cui vive.” Oscar Wilde



introduzione

Vittorio Cogliati Dezza

l’antefatto Nel corso degli ultimi 15 anni sono emersi numerosi segnali di dinamiche sociali spiazzanti rispetto a pratiche ambientaliste più tradizionali, provocati soprattutto dallo slittamento del conflitto sociale dai luoghi di lavoro al territorio. Sono nati così movimenti e comitati spontanei di cittadini, spesso semplicisticamente liquidati con il marchio NIMBY (ovunque ma non nel mio giardino). Un’etichetta che voleva stigmatizzare l’opposizione locale a grandi infrastrutture e interventi impattanti come se fosse una forma di localismo privatistico, una sorta di espansione “comunitaria” di quell’individualismo thatcheriano che aveva dominato la fine del secolo scorso, in cui sarebbero cadute comunità locali disposte a tutto pur di difendere il proprio orticello, indifferenti all’interesse generale del paese. Una lettura semplicistica e di comodo che ha impedito di vedere l’essenza più significativa di quei sommovimenti. L’effervescenza sociale espressa nel comitatismo era solo la parte più emergente e palese della diffusione di un’inedita voglia di occuparsi del proprio territorio, dove il bisogno e l’interesse personale coincidono con l’interesse della comunità. Non ci sono stati solo il movimento NoTav in Valsusa o Fiumeinpiena nella Terra dei Fuochi, che hanno conquistato le prime pagine dei giornali. Ci sono state lotte contro centri di logistica, contro speculazioni turistiche, contro il consumo di suolo, contro parcheggi, costruzioni abusive, abbattimenti di boschi, ma anche per riqualificazioni di spazi pubblici, adozioni di aree verdi, piste ciclabili, pionieristici car sharing (si veda il capitolo “17 anni di sharing mobility a Milano”). C’è stato il movimento per l’acqua pubblica, dove, in occasione dei referendum del 2011, l’interesse locale si è incontrato con l’interesse generale. Si è diffusa una nuova forma di impegno politico per il bene comu-


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ne, che è spesso rimasto prigioniero della parcellizzazione di bisogni e desideri e non è arrivato a produrre sintesi né speranza collettiva e visione di futuro. Forse, se un limite si può riconoscere a questi sommovimenti, è stato non il loro localismo, né il prevalere di bisogni egoistici o di paure irrazionali (cose che pure ci sono state in alcuni casi), ma il carattere difensivo, anche questo troppe volte mediaticamente e furbescamente semplificato nell’ “ambientalismo del No”, una sorta di sindacalismo territoriale dove la lotta per il bene comune si è limitata a contrastare gli interventi ritenuti dannosi senza produrre pratiche sociali e visioni politiche innovative. Questa prima stagione di lotte locali si è venuta lentamente quietando nell’ultimo periodo, ma, complice probabilmente un contesto generale che sempre più spesso dava ragione alle ragioni dell’ambientalismo, non si è volatilizzata. La voglia di territorio, di un territorio sano, bello, fruibile, è rimasta ed è evoluta in qualcosa di diverso, che di quella stagione recuperava l’impegno alla partecipazione in un’azione di interesse comunitario per proiettarla verso pratiche concrete di trasformazione, che avevano nell’ambiente il comun denominatore. Così, accanto alla crescita di consapevolezza di quanto le questioni ambientali siano oggi imprescindibili per il benessere personale e collettivo, si è andata strutturando una società orizzontale (si veda il capitolo “La green society: societa orizzontale in movimento”), magari sbriciolata ma reattiva e capace di creare comunità su obiettivi specifici e parziali, che introiettano comunque valori e visioni di futuro. L’impressione che si ha, guardando questi fenomeni, è di avere davanti agli occhi solo la punta dell’iceberg, dove si intuisce che sotto il pelo dell’acqua ci sono cambiamenti sociali profondi che stanno attivando dinamiche ancora poco evidenti. Diventa allora importante chiedersi cosa stia effettivamente cambiando. Oggi si parla molto di green economy e di economia circolare. Ma i dati sulla green economy (si veda il capitolo “Il drone e il calabrone”) e sull’economia circolare, pur nella loro forza innovatrice, non bastano a farci capire le dinamiche sociali in atto, né se il filo green che attraversa queste dinamiche riesca a creare un tessuto connettivo capace di contrastare l’individualismo e le paure che stanno minando la coesione sociale nelle grandi e piccole comunità. E non ci dicono quali siano i caratteri culturali, valoriali e antropologici dei protagonisti di questi processi, né se siamo di fronte solo a un movimento innovativo di imprenditori illuminati e di consumatori “rivoluzionari”, o se esiste una base comunitaria, una dimensione collettiva.


introduzione

Da qui nasce l’esigenza di provare a indagare più a fondo per andare alla scoperta della green society.

esiste una green society? Quando parliamo di green society di cosa stiamo parlando? Come andare al di là della percezione impressionistica di processi e fermenti sociali in atto? È difficile, infatti, individuare indicatori oggettivi e misurabili, che restituiscano una fotografia non sfocata di dinamiche sociali ancora molto liquide (per dirla con Bauman), prive di caratteri distintivi accreditati che certifichino l’esistenza della green society. Abbiamo preferito, con più umiltà (e forse con qualche utilità in più) cercare dati e storie che raccontassero consistenza e caratteristiche di questo mondo liquido, che non ha una sua rappresentazione e neanche rappresentanti, orfano com’è di interpreti politici, troppo impegnati a intercettare consenso elettorale nel breve e brevissimo periodo, magari inseguendo paure e mal di pancia superficiali, più che a leggere le trasformazioni profonde della società. Ne è nato un viaggio di esplorazione, in cui a mano a mano che si procede si cominciano a segnare sulla “carta muta” coordinate, cime, laghi, fiumi, villaggi, sentieri e tutto quello che rende un paesaggio vivo e dialogante, cercando, mentre si va a scoprire se esiste una green society, anche di capire in cosa consiste. Come in qualunque viaggio di scoperta per orientarsi serviva una bussola. In assenza di una definizione accreditata di green society, abbiamo proceduto per approssimazioni progressive, partendo da una prima idea che green society potesse essere quell’insieme di “atteggiamenti civili e sociali condivisi da gruppi che si muovono verso una società e un’economia amica dell’ambiente e del futuro, che vive quindi con meno materia, meno energia e meno chilometri, e che costruiscono una nuova dimensione comunitaria”. Non molto, ma sufficiente per i primi passi. Anzi, la mancanza di una definizione (si veda il capitolo “La green society tra innovazione sociale e partecipazione”) per alcuni versi è un bene, perché si è evitato il rischio di innestare meccanismi ad escludendum, che, cercando di definire il campo di indagine, finiscono per chiudere ed escludere piuttosto che per aggregare intorno a un’idea condivisa di green society. Per restituire un quadro dei fenomeni, se non esaustivo, almeno significativo, il primo tassello del puzzle è indubbiamente rappresentato da quelle pratiche ormai consolidate, che raccontano di politiche e stili di vita che si sono stabilmente insediati nel paese.

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il cambiamento che già c’è A partire dai settori ambientali tradizionali, in questi anni si sono realizzate molte innovazioni, che non riguardano solo il settore produttivo e la cosiddetta green economy, ma anche e soprattutto le scelte dei cittadini. C’è un cambiamento in atto che è cresciuto e ha sedimentato pratiche sociali innovative. 39 i comuni 100% rinnovabili (per gli usi sia elettrici sia termici) nel 2015 e 2.660 quelli in cui l’energia elettrica pulita prodotta supera quella consumata, mentre in 10 anni siamo passati dal 15% al 35,5% dei consumi elettrici coperti dalle rinnovabili. Gli 850.000 impianti distribuiti sul territorio ci dicono inoltre che la maggior parte sono piccoli impianti per uso familiare e condominiale, per botteghe artigianali e piccole imprese. Una rivoluzione energetica dal basso, come conferma anche il 3° Rapporto dell’Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile di Lifegate (si veda il capitolo “La sostenibilità, rete di connessione globale”) secondo il quale il 93% degli italiani ritiene che “investire nelle fonti rinnovabili è un buon modo per rilanciare la nostra economia, innovare e renderci più autonomi dal petrolio”.1 Una rivoluzione che oggi chiede un nuovo passo avanti nell’autoproduzione, liberandola da vincoli, tasse e divieti, una sfida matura perché sono maturi i cittadini e le comunità (www.comunirinnovabili.it) (si veda il “Campo d’azione 12 – Valori che fanno impresa”). Nel settore dei rifiuti non colpisce tanto il successo della raccolta differenziata (1.520 comuni sopra la soglia del 65% di rifiuti differenziati e avviati al riciclaggio), quanto la crescita costante dei comuni rifiuti free, così definiti da Legambiente, ovvero quei comuni che, oltre a essere sopra la soglia del 65% di raccolta differenziata, producono meno di 75 chilogrammi annui per abitante di rifiuto secco indifferenziato (www.comuniricicloni.it). Una popolazione di circa 3 milioni di cittadini, che si è responsabilizzata e dà il suo contributo decisivo (si veda il “Campo d’azione 7 – Dal riciclo al riuso”). Non solo. In questi ultimi anni si sta assistendo a una moltiplicazione di iniziative da parte di cittadini e comunità straniere per la pulizia di spazi pubblici, raccogliendo il messaggio originario di Puliamo il Mondo, portato in Italia da Legambiente nel 1992. Sono ormai centinaia le iniziative organizzate da parrocchie e gruppi locali che non hanno bisogno di strutture organizzate, spesso basta una convocazione via Facebook o il passaparola in un quartiere e ci si incontra per raccogliere i rifiuti sparsi nelle strade o nei parchi, per ripulire spazi e arredi pub1  Lifegate, http://www.lifegate.it/app/uploads/LifeGate_3Osservatorio_Report.pdf.


introduzione

blici, per restituire decoro alla città che, sempre più, si desidera pulita. Ne è un esempio l’attività di Retake, un’associazione nata a Roma nel 2009, con oltre 36.000 simpatizzanti su Facebook, che coinvolge cittadini, studenti, famiglie e professionisti per battere il degrado che avvolge le città, con azioni di volontariato, in centro come in periferia, che creano senso civico, integrazione sociale, cultura solidaristica, restituendo decoro e bellezza ai luoghi, anche favorendo l’espressione artistica della street art. Nella mobilità, il boom del car sharing e della mobilità ciclistica rappresentano una grande innovazione. Nel car sharing a Milano, Torino, Firenze e Roma, siamo arrivati alla considerevole cifra di 5.030 veicoli circolanti per circa 30 milioni di chilometri percorsi con una crescita media del 35% negli ultimi sei mesi del 20162 (si vedano i capitoli “Milano green city: ecologia e buona politica” e “17 anni di sharing mobility a Milano”). Continua l’espansione della bicicletta (si veda il “Campo d’azione 6 – Mobilità”), che, secondo l’Isfort, è in testa alla classifica nel grado di soddisfazione per i mezzi di trasporto (si veda la figura 1). In crescita costante la vendita delle biciclette a pedalata assistita (+10% nell’ultimo anno), mentre il volume economico del settore ha raggiunto il valore di 1,2 miliardi di euro con più di 3.000 aziende produttrici e circa 10.000 lavoratori occupati e il settore della componentistica e degli accessori è diventato un’eccellenza del made in Italy. Una tendenza in crescita in tutta Europa, dove la media dei cittadini che usano la bici abitualmente per spostarsi è salita all’8% e confermata anche dal cicloturismo che in Europa conta 2,295 milioni di viaggi per anno, per un giro d’affari di 44 miliardi di euro.3 In Italia il cicloturismo ha consentito di allungare la stagione turistica, dalla primavera all’autunno, con un 40% di turisti italiani, che in aprile divengono il 70%,4 e una nuova attenzione al valore dei paesaggi attraversati. Ed è proprio nel turismo che si affermano sempre di più le scelte eco-friendly: il 79% dei viaggiatori le considera importanti.5 Il 43% degli italiani6 indica la na-

2  Dati elaborati da Urbi, l’app che aggrega i principali sistemi di mobilità urbana e condivisa in Italia. 3  European Cycle Route Network, Eurovelo 2012. 4 Enit, Il mercato del cicloturismo in Europa, 2014. 5  Tripbarometer 2013. 6  Osservatorio turismo per la borsa internazionale del turismo.

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tabella 1. soddisfazione espressa per i mezzi di trasporto (da 1 a 10) Bici

8,4

Moto/ciclomotore

8,3

Auto

8,4

Metro

7,6

Treno a lunga percorrenza

7,3

Autobus extra-urbano

6,6

Bus/tram

6,2

Treno locale

6

Fonte: REF su dati Isfort.

tura come il luogo fondamentale dove fare attività per rigenerarsi, e i parchi sono in testa alla classifica come luogo di elezione per il turismo natura, con 13,9 milioni di notti trascorse nelle strutture turistiche dei parchi nazionali,7 dove l’attività più diffusa è quella del biking, seguita da trekking ed escursionismo.8 Segnali confermati dal successo degli agriturismi, passati da 20.474 nel 2012 a 22.238 nel 2015 (+2,3% rispetto al 2014), di cui 1.527 agriturismi biologici, con una crescita di presenze (11,3 milioni, di cui il 55,8% stranieri) del 4,9% rispetto al 2014,9 e dalla vera e propria esplosione dei cammini (in Italia la via Francigena, il cammino di S. Francesco ecc.) (si veda il “Campo d’azione 10 – Turisti”). Nel turismo si è ormai consolidata una domanda di consumi e di utilizzo del tempo libero che chiede di liberarsi dai limiti della vita urbana, non solo dallo stress del lavoro, e chiede spazi liberi, aria pulita, paesaggi curati, occasioni di cultura, prodotti tipici. Un movimento in crescita, con 2 milioni di italiani che organizzano sempre vacanze sostenibili,10 che trova corrispondenza nella ricerca di sostenibilità dell’offerta turistica, come attestano i miglioramenti apportati in alcune grandi reti alberghiere, come la Best Western, o l’etichetta ecologica11 (Ecolabel) di Legambiente, condivisa da 300 imprese del comparto turistico, associazioni di categoria a livello nazionale e locale, consorzi e reti di impresa di zone costiere, aree interne, città d’arte, parchi naturali, che adottano 7  Unioncamere, Ministero dell’ambiente, Aree protette in cifre, 2014. 8  XIII Rapporto Ecotur – Borsa internazionale del turismo natura, 2016 9 Istat. 10 Lifegate. 11  Nata nel 1997 in Emilia Romagna, l’etichetta ecologica dal 2003 ha superato i confini regionali divenendo un progetto nazionale.


introduzione

misure per ridurre l’impatto delle proprie attività sull’ambiente e per promuovere il territorio circostante e favorire vacanze più consapevoli e ricche di qualità. In grande trasformazione, poi, il settore agro-alimentare. Negli ultimi anni è esploso il fenomeno degli gli orti urbani. Secondo Coldiretti e Censis (2015) il 46,2% degli italiani coltivano spazi verdi, nei balconi, nei giardini, nelle scuole e perfino nelle fabbriche. Le motivazioni prevalenti sono l’attenzione per la qualità del cibo, più cura per l’ambiente a partire dai propri spazi, riduzione dei costi della spesa. Ma la rivoluzione vera sta nella sinergia tra amministrazione pubblica e azione privata: gli orti urbani, dati in affidamento gratuito dalle pubbliche amministrazioni ad associazioni e gruppi di cittadini, si sono triplicati nel giro di appena due anni, passando da una superficie complessiva di 1,1 milioni a 3,3 milioni di metri quadrati (si veda il “Campo d’azione 11 – Filiera del cibo”). Che dire poi dei Gas, i Gruppi di acquisto solidale, la cui rete nazionale nasce nel 1997 (preceduta dal primo Gas a Fidenza nel 1994)? Un mondo fatto di condomini, vicini di casa, colleghi, parenti, amici, attento al risparmio ma mai a discapito della qualità alimentare e ambientale dei prodotti e alla loro origine locale. Un mondo che sfugge alle statistiche ufficiali. Un rilevamento del 2014 parla di circa 2.000 Gas in Italia, in cui sono coinvolte stabilmente 400.000 persone, con una crescita del 40% nell’ultimo decennio, con un fatturato che supera i 90 milioni all’anno e una spesa media a famiglia di 2.000 euro/anno (si veda il “Campo d’azione 2 – Solidali”). Nel biologico è stata costante in questi anni la crescita del settore. Secondo Coldiretti, in cinque anni, dal 2010 al 2015, sono cresciuti tutti i comparti del settore bio, con un +69% per le attività di ristorazione che utilizzano prodotti biologici, +15% per i negozi specializzati in alimenti biologici, +14% per le aziende agricole, +13% per gli agriturismi aperti da coltivatori bio, +12% per le mense scolastiche che utilizzano prodotti biologici. L’Italia si attesta tra i dieci maggiori produttori nel mondo, seconda in Europa dopo la Spagna, per superficie coltivata nel 2015 (+7,5% rispetto al 2014) e prima per gli operatori (+8,2% rispetto al 2014), mentre la vendita di prodotti biologici nella Gdo è cresciuta del 20,1% rispetto al 2014,12 trend che continua nel primo semestre 2016 con un aumento del 21% in valore delle vendite di prodotti bio rispetto all’anno precedente,13 mentre 4,5 milioni di famiglie (il 18% del tota-

12  Crea, 2017. 13 AdnKronos.

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le) consumano abitualmente prodotti da agricoltura biologica con una crescita del 17% in un solo anno. Un quadro in crescita confermato anche da altre scelte dei consumatori, come il calo (-13%) del consumo di carne e la crescita (+10%) dei consumi ortofrutticoli, nella direzione della dieta mediterranea.14 È un movimento di trasformazione complessivo che tocca anche il mondo della cultura (si veda il capitolo “Il drone e il calabrone”) e della produzione artistica. Crescono per qualità e quantità i festival sulla sostenibilità ambientale. CinemAmbiente a Torino, per esempio, è divenuto il capofila di iniziative analoghe che si stanno diffondendo in Italia (si veda il capitolo “Green cinema”) e oggi è anche un luogo di confronto e promozione della cultura ambientale con dibattiti, incontri con gli autori, mostre, presentazioni di libri, spettacoli teatrali, concerti ed eventi sul territorio. Come pure ha fatto scuola Festambiente di Legambiente, che ha creato una rete di Festambiente lungo tutta la penisola, costruendo un intreccio virtuoso tra intrattenimento e sollecitazione culturale. Fino all’ultimo nato, il Festival dello sviluppo sostenibile, promosso dall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS) che si terrà per la prima volta tra maggio e giugno del 2017, come contributo italiano alla Settimana europea dello sviluppo sostenibile. Un altro segnale viene dalle tante esperienze di arte figurativa che scende nelle strade dove diviene veicolo di riqualificazione urbana e di costruzione di comunità (si vedano il “Campo d’azione 9 – Culture” e il “Campo d’azione 8 – Piccoli comuni crescono”), mentre si sta confermando che l’attenzione alla bellezza non è più una prerogativa di raffinati intellettuali, ma un bisogno sociale diffuso tra coloro che hanno bisogno di reagire allo squallore urbano di troppe periferie, al degrado dei centri storici e dei beni culturali, al consumo di paesaggio e di suolo naturale (si veda il capitolo “La green society al Sud”). La ricerca di un miglior benessere personale si sposa, così, con la soddisfazione (un passo verso quella felicità di cui parla il sindaco Isabella Conti nel suo intervento nel capitolo “La green society tra innovazione e partecipazione sociale”) per un agire ecocompatibile che consente risparmio di risorse naturali ed economiche. Ma probabilmente il vantaggio economico non è la motivazione principale. Da sottolineare in questi processi di cambiamento il ruolo degli enti locali (si vedano i capitoli “La green society tra innovazione sociale e partecipazione” e “Milano green city: ecologia e buona politica”), che spesso hanno il compi14  Crea, 2017.


introduzione

to di costruire le opportunità regolamentari e organizzative perché la propensione a cambiare consumi e stili di vita si possa realizzare. Meno sembra pesare la politica di governo nazionale, anche se alcune leggi nazionali sono state e saranno fondamentali, come quella sui beni confiscati alle mafie e sulle società benefit (si vedano i capitoli “La rivoluzione del profitto” e “Contaminazioni positive”) o il famigerato “Sbloccaitalia” che, tra tante misure sbagliate, ha facilitato la pratica dell’affidamento di spazi pubblici,15 favorendo ulteriormente il boom degli orti urbani.

un puzzle incompleto Questa prima ricognizione ci restituisce l’entità del cambiamento in atto e la sua velocità. Ma ancora sfuggono alcuni elementi “caldi”: le motivazioni dei protagonisti, le ragioni e i tratti antropologici e politici del cambiamento, che meglio ci farebbero capire la consistenza del fenomeno. Per capire meglio, quindi, proseguendo nel viaggio di scoperta, abbiamo pensato che fosse utile andare a raccogliere dai territori storie di una potenziale green society, raccontate dagli stessi protagonisti. E qui ci siamo trovati di fronte a una prima difficoltà: trovare le storie, come se fossimo davanti a un fenomeno per lo più carsico! Non se ne parla, se non in ambiti specializzati, ci si arriva per conoscenza diretta più che attraverso i media, social o tradizionali che siano, una sorta di porta a porta dell’innovazione sociale! Dalle prime storie raccolte è emerso con evidenza che accanto ai cambiamenti già in corso, si stanno affermando pratiche nuove, che o rappresentano evoluzioni delle pratiche consolidate, o hanno inventato nuovi percorsi, pratiche ormai insediate nel territorio o in via di insediamento, diffuse a scala nazionale, che fanno costume e consumi nuovi. Ma accanto a queste, sono emerse, qui e là, vere e proprie attività pionieristiche, esperienze creative, figlie uniche dell’innovazione sociale, originali e dirompenti che ancora non fanno tendenza. Non tutte raggiungono l’obiettivo, ma sempre sedimentano trasformazioni sociali, come nel caso degli abitanti dell’Isola Poveglia, a Venezia, che hanno tentato, nel 2014, di acquisire un bene pa15  Articolo 24 del Decreto legge 133/2014, “Misure di agevolazione della partecipa-

zione delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione del territorio”, che ha dato vita al cosiddetto “baratto amministrativo”.

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