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inchieste
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Roberto Cuda, Damiano Di Simine, Andrea Di Stefano Anatomia di una grande opera La vera storia della Brebemi © 2015, Edizioni Ambiente S.r.l., via Natale Battaglia 10, 20127 Milano www.edizioniambiente.it; tel. 02 45487277 © 2015, Roberto Cuda, Damiano Di Simine, Andrea Di Stefano Tutte le edizioni e ristampe di questo libro sono certificata FSC Finito di stampare nel mese di novembre 2015 presso GECA S.r.l., San Giuliano Milanese (Mi)
Per tutte le persone coinvolte in inchieste giudiziarie citate in questo libro vale la presunzione della non colpevolezza a presidio delle garanzie individuali costituzionalmente garantite. Nessuna di queste persone può essere considerata pregiudizialmente colpevole dei reati loro contestati fino a quando questi non verranno confermati da sentenza definitiva. Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’Editore. Per qualunque segnalazione, notizia, rivelazione o commento, potete scrivere a: robycuda@libero.it
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ROBERTO CUDA, DAMIANO DI SIMINE, ANDREA DI STEFANO
ANATOMIA DI UNA GRANDE OPERA La vera storia della Brebemi
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indice
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come il mega-progetto distrugge valore di Andrea Di Stefano
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introduzione
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1. dagli esordi al raddoppio dei costi
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2. a caccia di fondi
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3. il taglio del nastro e l’autostrada deserta
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4. la cricca delle autostrade
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5. radiografia di un intreccio
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6. e c’è ancora chi parla di ambiente
101
7. tiriamo le somme
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intervista a francesco bettoni
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brebemi: una storia lombarda, una minaccia per il futuro del bel paese di Damiano Di Simine
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profilo autori
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come il mega-progetto distrugge valore di Andrea Di Stefano
Sarebbe francamente banale affermare che la Brebemi è un’opera inutile. Un proclama che si ascrive alla logica del partito pro o contro. L’obiettivo di questo lavoro è quello di ricostruire la storia dell’ultimo grande investimento autostradale italiano che sulla carta doveva essere anche il primo project financing del terzo millennio. Per chi non è avvezzo alla solita terminologia anglosassone di derivazione finanziaria, per project financing si intende un investimento economico di grandi proporzioni che sin dall’inizio deve ripagare gli oneri (finanziari in primis) nei confronti dei finanziatori. In parole povere: ci si indebita tantissimo, si mettono sul tavolo pochi soldi e ci si affida a un gruppo di banche e istituzioni finanziarie. In Italia il legislatore ha statuito che per project financing si intende “la realizzazione di opere pubbliche senza oneri finanziari per la pubblica amministrazione”.1 Nel caso specifico, come racconta in modo molto chiaro questo lavoro di 1 Vacca A., C. Solustri, Il project financing per le opere pubbliche, Edizione Simone, Napoli 2003.
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Roberto Cuda, il debito doveva essere contratto dai privati che in cambio della concessione all’esercizio dell’autostrada avrebbero ripagato i creditori. Una favola (o se volete chiamarla in un altro modo siete autorizzati a farlo) che è letteralmente svanita appena dopo l’apertura dei cantieri. Ma soprattutto la domanda che necessita una risposta è la seguente: è economicamente utile un’operazione come quella della Brebemi? E più in generale: quando faremo i conti con l’ideologia delle “Grandi opere”, come l’hanno chiamata in modo molto chiaro Marco Ponti e Marco Brambilla in un fondamentale intervento pubblicato dalla rivista L’Industria del Mulino?2 L’Italia più di altri paesi europei sembra abbia contratto diversi “cancri” originati da un’ideologia che non ha molto a che fare con il liberismo quanto piuttosto con l’affarismo. E con una particolarissima categoria di affaristi, quelli del calcestruzzo e dell’asfalto, cioè chi si occupa di costruire autostrade, linee ferroviarie ad alta velocità, passanti ferroviari. Il nodo dell’inefficienza e inefficacia delle Grandi opere non è un problema solo italiano: già nel 2003 in un libro a firma di Bent Flyvbjerg, Nils Bruzelius e Werener Rothengatter3 si analizzavano puntualmente tutti gli elementi di criticità presenti in quello che i tre docenti e ricercatori non esitavano a definire “a new political and physical animal: the multibillion-dollar mega infrastructure project”. L’altra faccia del capitalismo “cannibale”: la filosofia delle grandi opere si può ascrivere a pieno titolo alla logica del “costruisci e distruggi” 2 Ponti M. G., M. Brambilla, “L’ideologia delle Grandi Opere come fattore di sviluppo”, L’Industria, 3, luglio-settembre 2006. 3 Flyvbjerg B., N. Bruzelius, W. Rothengatter, Megaprojects and Risk: an Anatomy of Ambition, Cambridge University Press, Cambridge 2003.
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(emblematica in questa categoria la storia della città di Detroit, che è stata costretta a varare un piano per la demolizione di interi quartieri semi-disabitati, dopo le periodiche crisi cicliche dell’automotive). Il vero motore di questi progetti è e rimane quello finanziario: senza la provvista messa a disposizione dagli attori del comparto finanziario non sarebbe possibile il “paradosso dei megaprogetti”, che non si giustificano secondo alcuna analisi economica e\o occupazionale. Sono moltissimi gli esempi a livello internazionale di fallimento di mega-progetti: costi triplicati (dal 60 al 200% di incremento rispetto alle stime iniziali), previsioni di traffico passeggeri e merci errate (in media l’80% in meno rispetto alle stime).4 Non è un caso che la stessa World Bank abbia documentato che il 63% di 1.778 progetti finanziati nel campo delle opere civili abbia ampiamente sforato il budget.5 Infine c’è il capitolo dell’impatto reale di una Grande opera: i sostenitori portano a supporto (a volte in modo veramente intollerabile perché demagogicamente sbandierato contro ogni critica) le ricadute occupazionali e il presunto impatto in termini di incremento del Pil (Prodotto interno lordo). In entrambi i casi non c’è una sola analisi che in questi anni abbia confermato queste asserzioni. Anzi. Come evidenziato in molte ricerche sull’impatto ambientale e sui costi esterni determinati dalle grandi opere, capita frequentemente che le ricadute siano ampiamente negative se si considerasse il capitale naturale distrutto dai mega-progetti infrastrutturali. Anche l’occupazione creata per la realizzazione dell’opera stessa, 4 Flyvbjerg B., N. Bruzelius, W. Rothengatter, cit. 5 Morris P. W. G., G. H. Hough, The Anatomy of Major Projects: A Study of the Reality of Project Management, John Wiley and Sons, New York 1987.
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come più volte evidenziato, è temporanea e soprattutto incomparabilmente inferiore a quella assicurata da investimenti di medio-lungo termine di piccola o piccolissima taglia. Basti per tutti, sempre per restare nel settore delle opere edili, evidenziare il differente impatto della costruzione di un’autostrada con un intervento capillare di efficientamento energetico degli edifici. In base ai dati degli stessi promotori, gli addetti impiegati per chilometro sono mediamente 165, ovviamente solo ed esclusivamente per il periodo necessario alla costruzione dell’opera. Diversamente le Ula (Unità lavorative annue) prodotte da interventi sull’efficienza energetica sono stimate in 460.000 nell’arco temporale di 7 anni,6 che è lo stesso ipotizzato per un pay-back dell’investimento. Spunti sufficienti, come questo libro, per porre fine all’ideologia delle Grandi opere e aprire un capitolo nuovo nella governance degli investimenti pubblici utilizzando meglio gli strumenti messi a disposizione dall’Unione europea,7 integrandoli con la sempre più indispensabile e cruciale Vias (Valutazione di impatto ambientale strategica) in una strategia che ci permetta di evitare nuovi interventi ispirati quasi esclusivamente dalla necessità di remunerare la componente finanziaria a discapito della collettività e dei beni comuni.
6 Fondazione centro studi Enel, Energy & Strategy Group Politecnico di Milano, Stato ed efficienza dell’efficienza energetica in Italia, ottobre 2013. 7 Sartori D., Guide to Cost-Benefit Analysis of Investment Projects – Economic appraisal tool for Cohesion Policy 2014-2020, European Union, Brussel 2015.
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introduzione
“Siamo il paese dove le nostre donne e i nostri uomini sanno fare bene il proprio lavoro e voi di Regione Lombardia siete un esempio.” Così disse il premier Matteo Renzi all’inaugurazione della Brebemi, la direttissima Brescia-Bergamo-Milano, 62 chilometri di asfalto nel cuore della Pianura padana. È il 23 luglio 2014 e la nuova arteria sembra anticipare il rilancio delle grandi opere nel nostro paese. Un simbolo, tutto lombardo, di una nuova stagione di investimenti. Qualche mese dopo la scena cambia: tre ragazzi giocano a calcio su un’autostrada deserta. L’autostrada è sempre la Brebemi, nuova fiammante come il primo giorno. Certo gli autori di quella goliardata non si aspettavano tanto clamore. Il video fece il giro del web e venne ripreso da alcune testate nazionali, colpendo nel segno una situazione già troppo tesa. I nervi erano a fior di pelle perché a tre mesi dall’apertura le auto sembravano evitare accuratamente di imboccare la nuova arteria. Dicono che il premier Renzi si infuriò alla richiesta di quasi mezzo miliardo di sgravi fiscali per quella che doveva essere un’opera “senza soldi pubblici”. Si parlò perfino di fallimento ma, come vedremo, l’esito fu un altro: intervenne lo stato
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con soldi veri, attraverso una norma che sembrava fatta apposta per Brebemi. Come da copione, che nel settore autostradale si ripete da sempre. Costata in tutto 2,4 miliardi, puntellata da ampie garanzie pubbliche e oboli statali, l’infrastruttura presenta oggi i conti in rosso. Non ci metteremo a contare i veicoli, anche se ci piacerebbe avere dati aggiornati e trasparenti in merito. Ora l’autostrada c’è e speriamo che venga utilizzata. Non ci interessa colpire nessuno, ci limitiamo a osservare e raccontare i fatti, poi saranno i lettori a trarre le loro conclusioni. Accenderemo un faro sui processi decisionali, sui personaggi, sugli intrecci, sui flussi di denaro e sulle vicende meno note che stanno dietro l’infrastruttura. Brebemi è la prima grande opera in project financing fatta e finita, che sembrava dover realizzare la quadratura del cerchio: opere pubbliche senza soldi pubblici. Le cose sono andate diversamente, ma le falle di questo sistema erano note da tempo. Non resta che raccontarne la vera storia. Anche perché la nuova arteria crea un precedente, ciascuno valuti quanto pericoloso, che dovrebbe far riflettere i blasonati fan delle Grandi opere. Vedremo come Brebemi riproduca gli stessi vizi di un sistema distorto, quello dei grandi appalti autostradali, sul quale ci preme alimentare un dibattito serio e informato, non circoscritto agli addetti ai lavori. Non ci ha aiutato il muro di gomma che da sempre circonda il settore, neanche si trattasse di segreti militari. Avere documenti – quelli che servono – è un’impresa quasi impossibile, ma anche ottenere interviste non è stata una passeggiata: bastava citare il nome dell’autostrada e l’interlocutore spariva senza spiegazioni. Iniziamo dunque la nostra storia.
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1. dagli esordi al raddoppio dei costi
tutto iniziò in un ristorante Nelle vicende che andiamo a raccontare dobbiamo tenere a mente due figure: il presidente di Brebemi Spa Francesco Bettoni e il potente presidente di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli. Entrambi bresciani e amici di vecchia data, ed entrambi decisivi per il destino dell’opera. Ma a metterci la faccia è stato soprattutto il primo, che ha retto a una serie di contraccolpi burocratici e mediatici che avrebbero abbattuto chiunque. Lo ha fatto per 18 anni, con una pervicacia davvero fuori dal comune e rischiando di persona. Si dice anche che abbia subito tre ricoveri in cardiologia, che hanno intaccato appena la sua indomita volontà. E poi le inchieste della magistratura su alcuni lavori e la solita lista interminabile di autorizzazioni, timbri, rettifiche e provvedimenti. Perché fare un’infrastruttura in Italia è difficilissimo, bisogna attraversare un calvario burocratico come forse in nessun altro paese. Ma per Bettoni quell’autostrada sembrava un fatto personale e, chi continua a pensare che le infrastrutture nascano da complicate riunioni istituzionali piene di tecnici, dove si analizzano flussi di traffico e bisogni del territorio, potrebbe re-
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star deluso. Così ricorda il presidente: “Sono in vacanza sul lago di Garda con mia moglie Elena, a cena in un bel ristorante. Complici due bicchieri di Franciacorta, le dico: ‘Voglio fare un’autostrada da Brescia a Milano’. ‘Te se mat!’ mi risponde appunto lei. ‘Ma hai anche la testa dura’.”1 Era l’estate del 1996. Ma la testa dura non basta quando si parla di infrastrutture. Serve anche una grande capacità di intessere relazioni a tutti i livelli, una costante attività di lobbing tra la capitale e i centri del potere finanziario. Senza questo corollario di relazioni, che va continuamente alimentato, anche l’opera migliore non arriverebbe alla fase progettuale. Tanto più che la Brebemi doveva correre in parallelo all’A4, l’autostrada più utilizzata d’Italia. Una specie di sfida, tutta bresciana, di cui era difficile capire la ragione trasportistica e che costituirà il vero tallone d’Achille dell’intero progetto. Da quella prima illuminazione tra i fumi dell’alcol di acqua ne è passata, ma ora l’autostrada c’è. Allora in pochi ci avrebbero scommesso. Ma continuiamo con la nostra storia. Uscito dal ristorante il presidente non perse tempo e nello stesso anno le Camere di commercio di Brescia, Bergamo e Milano commissionarono i primi studi di fattibilità. Ad aiutare Bettoni furono i colleghi Carlo Sangalli e Roberto Sestini, il primo della Camera di commercio di Milano e il secondo di quella bergamasca. Poi fu la volta di Giovanni Bazoli, a capo di Banca Intesa, e del presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, che diedero l’assenso al progetto. Siamo intorno al 1998. 1 Rossitto A., “Il ‘contadino’ che sui campi ha seminato un’autostrada”, Panorama, 30 luglio 2014.
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Dopo alterne vicende sarà il Governo Berlusconi a dare la spinta decisiva: nel 2001 la Brebemi venne inserita tra le opere strategiche della Legge obiettivo, che beneficiano di procedure semplificate. È appena il caso di ricordare che Bettoni era allora presidente della Camera di commercio di Brescia (posto che ha ricoperto dal 1992 al 2014) e di Confagricoltura provinciale (qui addirittura per un trentennio, dal 1982 al 2012), ma negli anni collezionò una quantità spropositata di cariche: nel periodo d’oro se ne contavano più di venti, tra cui la presidenza di Uniontrasporti e un posto nel consiglio di amministrazione del Banco di Brescia dal 1999 ai giorni nostri. Il fatto di guidare contemporaneamente un’associazione di agricoltori non ha mai imbarazzato Bettoni, laureato in sociologia rurale, che spiegò: “Sono un coltivatore anch’io. So cosa vuol dire essere legati alla terra. Ma non c’era scelta. Sa però una cosa? A volte, mi metto sul ciglio dell’autostrada e guardo attorno con l’occhio del contadino. E concludo: adesso è più bello. (...) Abbiamo migliorato i territori: bretelle, viadotti, sottopassi, tangenziali. Sono costati 900 milioni di euro. E hanno raddoppiato i costi. Ma ne siamo orgogliosi.”2 nasce brebemi spa Nel giugno 2003 la gara venne vinta dall’associazione temporanea di imprese (Ati) guidata da Brebemi (con l’86% del capitale), scalzando nientemeno che il colosso america2 Ibidem.
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no Bechtel e la cordata Astaldi-Vianini-Dragados. Fermo restando il costo di base, che era quello proposto da Brebemi, la società vinse sulla durata, inferiore di qualche mese ai concorrenti. Nel settembre dello stesso anno l’Ati diventò Autostrade Lombarde, alla quale faceva capo Brebemi nel ruolo di concessionaria. Nel marzo 2004 quest’ultima si trasformò in Brebemi Spa e il riassetto era completo. Poco prima però venne sottoscritta la convenzione con Anas: era il luglio 2003. Teniamo a mente le date, perché di lì a poco i costi raddoppieranno. Nella nota Anas del 3 maggio 2004, dieci mesi dopo la firma della convenzione, il costo dell’infrastruttura era di 866,185 milioni di euro. La cifra era così ripartita: • lavori a base di gara: 658,258 milioni; • adeguamento sottoservizi: 44,989 milioni; • espropriazioni: 59,464 milioni; • indennizzi e spese varie: 25,434: • spese generali: 78,040. L’anno dopo la situazione si ribaltò. Nella nota Anas del 24 giugno 2005 si registrò un aumento di ben 714 milioni. Cos’era successo? Queste le principali ragioni: oneri derivanti dall’affiancamento alla linea ad alta velocità Milano-Verona, prescrizioni del Ministero dell’ambiente3 e della Regione Lombardia, aggiornamento normativo e aumento dei prezzi dei materiali. Risultato: la spesa complessiva salì a 1.580 milioni. L’ok del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica, emanazione del governo) presieduto da Berlusconi, arrivò il 29 luglio 2005. Due anni dopo 3 Commissione speciale Via, 26 maggio 2005.
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tutto passò al parlamento. Stavolta il presidente del consiglio era Romano Prodi, ma poco cambiò nella politica infrastrutturale del paese. Intanto dobbiamo registrare un altro avvenimento, decisivo per il destino dell’opera, che ha a che fare con l’assetto azionario della società di progetto. Il 2 aprile 2007 Autostrade per l’Italia cedette a Intesa Sanpaolo il 35,5% del capitale di Autostrade Lombarde, che a sua volta controllava Brebemi. La quota della banca salì così al 39,3%. L’operazione costò 41 milioni e Autostrade incassò una plusvalenza di 4,6 milioni. Da quel momento Intesa e il suo presidente Giovanni Bazoli entrarono in scena con tutta la loro potenza di fuoco, facendo pesare solidissime entrature nella politica nazionale. Come abbiamo visto la mossa era già nell’aria e con la banca esisteva da tempo un canale privilegiato, nato proprio dai rapporti personali tra Bazoli e Bettoni. Ricordiamo che lo stesso mese verrà portata a termine l’operazione Telecom, nella quale Intesa avrà un ruolo da protagonista sborsando 522 milioni (e perdendone poi la metà) ma evitando il passaggio agli spagnoli di Telefònica. Un assist al governo Prodi e alla maggioranza in carica che non poteva essere ignorato. Torneremo a parlare degli intrecci tra Intesa e la politica, elemento chiave per comprendere l’imponente esposizione finanziaria del gruppo sulle grandi opere. Intanto possiamo scorrere i nomi del consiglio di amministrazione di Brebemi, che in quegli anni divenne una specie di parlamento in scala ridotta (si veda il box “Consiglieri bipartisan nel Cda Brebemi”).
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consiglieri bipartisan nel cda brebemi Il triennio 2007-2009 fu decisivo per Brebemi. In quel periodo arrivarono le autorizzazioni al progetto definitivo, la firma della convenzione e del piano economico finanziario, l’apertura dei cantieri e i primi finanziamenti. Per questo era importante avere rapporti privilegiati con la politica, a tutti i livelli. Così non stupisce la quantità di esponenti politici o affini presenti nel consiglio di amministrazione di Brebemi, benché ormai privatizzata, a meno di ipotizzare che fossero tutti ingegneri o economisti dei trasporti. Alla vicepresidenza spiccava la figura di Mauro Parolini, di Forza Italia, dal 2004 al 2009 assessore ai lavori pubblici e viabilità della provincia di Brescia, poi eletto alla Regione Lombardia e attuale assessore al Commercio e turismo nella giunta Maroni, in quota Ncd. Giorgio Prandelli, sindaco leghista di Ospitaletto (Bs) dal 2006 al 2011, dal 2009 assessore all’edilizia scolastica della provincia di Brescia, carica che mantenne fino al maggio 2011. Mario De Gasperi fu sindaco Pd di Pioltello dal 1997 al 2006 e consigliere provinciale di Milano dal 2004 al 2009. Fiorella Lazzari, Pd, ricoprì la carica di assessore all’ambiente, territorio, viabilità e trasporti della provincia di Cremona in varie tornate, dal 1991 al 2009. Valerio Bettoni, ex democristiano, nel consiglio Brebemi nel 2007 e 2008, fu presidente della provincia di Bergamo dal 1999 al 2009 nelle fila di Forza Italia. Sul suo sito rivendica la promozione di grandi opere come Brebemi e Pedemontana. Nel 2012 venne eletto in Regione Lombardia con l’Udc e infine aderì alla Lista civica centro popolare con Ambrosoli. Tra i consiglieri 2007-2009 compare anche un certo Tri-
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