RIFIUTI
novembre-dicembre 2012
n. 200-201 (11-12/12)
mensile
Euro 24,00
Registrazione Tribunale di Milano n. 451 del 22 agosto 1994. Poste italiane spa – Spedizione in abbonamento postale – Dl 353/2003 (conv. in legge 46/2004) articolo 1, comma 1, DCB Milano
bollettino di informazione normativa Speciale novembre-dicembre 2012
Codice ambientale Il testo armonizzato del Dlgs 152/2006 su rifiuti e bonifiche L’intervento La bonifica dei siti contaminati: alcuni nodi rimasti ancora aperti di Fabio Anile
pag. 2
Materia organica nel suolo e compostaggio: tabella di marcia al rallentatore di Massimo Centemero
5
Tracciabilità (Sistri e formulari), gli ambulanti e i problemi della raccolta di Paola Ficco
7
Autorizzazioni: il nodo gordiano del coordinamento tra autorizzazione al trattamento, Via e Aia di Leonardo Filippucci
10
I reati in materia di rifiuti nel Codice ambientale: le prospettive di modifica di Pasquale Fimiani
14
Riciclaggio senza volatilità di Massimo Medugno
20
Bonifiche siti inquinati: luci e ombre dei nuovi interventi normativi di Loredana Musmeci
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Recupero e recupero agevolato di Maria Letizia Nepi
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Rifiuti pericolosi o non pericolosi? Tra il serio e il faceto le peripezie del quotidiano di Claudio Rispoli
29
Servizi pubblici locali ancora privi di una legge organica. Delega di funzioni e attribuzioni senza regole di Gabriele Taddia
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Legislazione Struttura della Parte quarta del Dlgs 152/2006
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Sommario della Parte quarta del Dlgs 152/2006
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Dlgs 3 aprile 2006, n. 152 (Stralcio)
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Allegati
Edizioni Ambiente
118
200.
Ebbene sì, questo è il numero 200 della Rivista “Rifiuti-Bollettino di informazione normativa”. Trasformando il numero in tempo, con il 200 si celebra il 18° anno. Come dire: si è raggiunta la maggiore età. 18 anni che, da e con queste pagine, si parla di rifiuti, si interloquisce con i Lettori, si semina conoscenza e si sollevano interrogativi. 18 anni sono tanti per una persona, figuriamoci per una testata così specializzata e speciale come è questa Rivista che, avendo visto di tutto durante la sua breve ma lunga vita, è la memoria storica del settore dei rifiuti e il punto di riferimento per i tanti, tantissimi Lettori che la premiano con una sempre maggiore fedeltà, un’adesione intelligente e costruttiva e, perché no, con affetto. In 18 anni si è assistito alle molte modifiche legislative della gestione dei rifiuti e, anche attraverso le risposte ai quesiti e le rubriche, si è scesi nel concreto delle problematiche, dando vita ad un dialogo serrato con chi opera. Molte modifiche, si è appena detto, forse troppe, perché non sempre risolutive di problemi che, quasi endemici, restano ancora oggi sul tappeto. Pertanto, in questo specialissimo numero della Rivista, dove si pubblica il testo armonizzato e annotato del “Codice ambientale”, Parte IV, nella sua versione vigente dopo le numerosissime modifiche intervenute, si pubblica anche una sorta di “cahier de doléances” recante i punti critici che restano sul tappeto, nonostante le modifiche. Un’agenda a “costo zero” e redatta con cura che il Decisore politico e amministrativo centrale non può e non deve più ignorare. Questo Paese deve ripartire e l’intelligenza di sistema dei vari livelli della Pa si deve vedere, deve riappropriarsi di tutta la sua capacità di essere un regista sociale e non una squallida comparsa di una pièce di quart’ordine. È incredibile, se ci si pensa, a quanta energia umana impegnano i rifiuti; ci sono eserciti di persone che, a vario titolo, se ne occupano. Eppure i rifiuti sono sempre un problema e difficilmente riescono a diventare quello che sono: una risorsa. Nell’“Uomo senza qualità” Robert Musil scriveva che “si potrebbero classificare le attività umane secondo il numero
di parole di cui necessitano: più gliene occorrono e più c’è da pensare male della loro qualità”. Secondo questo (condivisibile) canone, la legislazione di riferimento, nazionale e locale (vista la mole di inchiostro di cui si compone e che sempre scatena in termini di prassi, giurisprudenza e dottrina), in una graduatoria ideale andrebbe ad occupare sicuramente uno degli ultimi posti. Sul punto, infatti, l’azione è quasi sempre senza uno scopo preciso; nel caso (remoto) in cui uno scopo ce l’abbia, l’azione che ne deriva è talmente labile e inconsistente che i risultati sono decisamente scarsi. Quando le Regioni o le Province autonome battono i pugni e decidono che bisogna fare qualcosa di decisivo, emanano una bella legge contraria ai dettami della legislazione nazionale e, ovviamente, arrivano gli strali della Corte costituzionale. Altri costi si aggiungono così al bulimico conto a carico del cittadino. Questo il fronte politico/legislativo; il fronte politico/amministrativo, invece, si impasta nella farragine della burocrazia, si arricchisce con la singolarità del pensiero di ciascuno dove ogni Autorità di controllo ha una visione e una lettura diversa dello stesso fenomeno. Sicché il ritardo nel procedimento amministrativo si realizza in tutto il suo fulgore; mentre le paure e i sospetti si alimentano reciprocamente. Insomma, una grandiosa azione totalmente parallela a quella che servirebbe. Un’azione parallela che produce sfiducia e paralisi degli investimenti, che induce perdita di posti di lavoro, che non giova a nessuno, neanche all’ambiente. Sotto il profilo tecnico questa condotta non è un reato, però uccide i meccanismi della crescita e della ripresa. E allora, per giustificare ritardi e puntigli e prese di posizione e chi più ne ha più ne metta, arriva l’arma del diritto fino ai denti, si scomodano commi, pandette e sentenze. È così che la legge da madre diventa matrigna, trasformandosi in sciatta scoria verbale. Paola Ficco
Com’è noto, i numerosi interventi legislativi che si sono succeduti nel corso di questi anni a modificare questa o quella parte del Dlgs 152/2006 hanno anche riguardato la disciplina sulla bonifica dei siti contaminati. E, tuttavia, rimangono ancora aperte alcune problematiche di carattere generale che meritano di essere ricordate, quantomeno per stimolare una riflessione.
L’intervento
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La bonifica dei siti contaminati: alcuni nodi rimasti ancora aperti di Fabio Anile Avvocato in Roma
Link di approfondimento Per un approfondimento, si veda su questa Rivista, n. 198 (ottobre 2012), p. 44 ss.: “Bonifica e sistema 231: i rapporti nel caso di omessa comunicazione dell’evento di contaminazione”, di Pasquale Fimiani. In occasione della Fiera Ecomondo (Rimini, 7-10 novembre 2012) Edizioni Ambiente organizza presso il proprio stand (padiglione B3 – stand 012) sette seminari brevi. In particolare si segnala: “La bonifica e la responsabilità del proprietario del sito non responsabile dell’inquinamento”, giovedi 8 novembre, ore 15:00 – 16:30. Relatore: Fabio Anile. Per iscrizioni: http://www.reteambiente.it/ convegni-ecomondo/
Un primo profilo che si vuole evidenziare attiene alla codificazione, all’interno del Dlgs 152/2006 delle due discipline – quella sulla bonifiche e quella sulla responsabilità per danno ambientale – recanti regimi giuridici autonomi, sebbene entrambi volte a regolare procedure, obblighi e responsabilità derivanti da uno stesso fatto di inquinamento. Si tratta, a nostro avviso, di una dicotomia che merita di essere superata, a favore di un testo normativo unitario. Senza entrare nel dettaglio di quelle che sono le aree di sovrapponibilità delle due discipline (1), basti qui evidenziare l’identità delle matrici ambientali tutelate dalle due discipline (2), laddove il terreno, in particolare, è tutelato secondo lo stesso approccio antropocentrico (3). Ancora, quanto alle “misure di prevenzione” si rileva un’identità sostanziale tra quanto previsto dall’articolo 240, lett. i) in materia di bonifica e l’analoga nozione contenuta nell’articolo 302, comma 8, in materia di danno all’ambiente. Analoghi profili di sovrapposizione si rinvengono inoltre nelle definizioni di “ripristino”, rispettivamente contenute nell’articolo 240, lett. q) (“recuperare il sito alla effettiva e definitiva fruibilità per la destinazione d’uso conforme agli strumenti urbanistici”) e nell’articolo 302, comma 9, Dlgs 152/2006 (“eliminazione di qualsiasi effetto rischio di effetti nocivi per la salute umana e l’integrità ambientale…”). Al riguardo (4), è bene ricordare che già nel parere favorevole “condizionato”, reso dalla Commissione VIII della Camera, in data 27 giugno 2007 (Atto n. 96), sullo Schema di decreto legislativo concernente ulteriori modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si chiedeva che fosse “inoltre rivista… la coerenza con la disciplina del «danno ambientale» e con quella della tutela delle acque, nonché tenendo conto della normativa europea in materia e della futura direttiva comunitaria per la protezione dei suoli, anche anticipandone alcuni contenuti. Si se(1) Per una disamina più ampia, ci sia consentito rinviare a F. Anile, Danno ambientale: le nuove norme. Disciplina per la tutela risarcitoria e il raccordo con il sistema delle bonifiche, Edizioni Ambiente, 2007, pag. 90 ss. (2) Come il più contiene il meno, la disciplina sul danno ambientale ha evidentemente un campo di applicazione più esteso rispetto a quello della bonifica, includendovi le specie ed habitat naturali protetti e le acque costiere: si veda l’articolo 240, comma 1, lett. a) e 300, Dlgs 152/2006. (3) Ciò che è importante sottolineare è, in particolare, l’identità dell’approccio di tutela adottato dalle due discipline rispetto alla matrice acque – in chiave ecocentrica (ovvero la risorsa è tutelata per le sue caratteristiche quali-quantitative) – ed antropocen-
trica nel caso del terreno (ove, invece, la contaminazione assume rilevanza solo se ed in quanto comporti rischi di natura sanitaria). L’impostazione antropocentrica della disciplina sulla disciplina sulla bonifica dei siti contaminati si ricava peraltro anche dai criteri generali per l’analisi di rischio sanitario ambientale sito-specifica, contenuti nell’allegato 1 alla Parte IV, ove i bersagli della contaminazione sono individuati nei residenti e/o lavoratori che vivono o sono presenti nel sito o fuori sito. (4) E d’altronde, anche la direttiva comunitaria sulla responsabilità ambientale, 2004/35/Ce, recepita nella Parte IV del Dlgs 152/2006, contiene un esplicito riferimento ai “siti contaminati che comportano rischi significativi per la salute…” (si veda il 1° Considerando).
Un memento per il Legislatore, affinché ponga rimedio alla perdurante stratificazione normativa, a favore di una reale semplificazione e razionalizzazione della materia.
Il regolamento sugli interventi di bonifica di aree agricole
Altro tema di carattere generale riguarda la mancata adozione del regolamento sulle aree agricole. Sebbene l’articolo 17 del Dlgs 22/1997 prevedeva già l’adozione di uno specifico regolamento relativo agli interventi di bonifica in aree agricole – ed analoga previsione si ritrova all’articolo 241, Dlgs 152/2006 – a distanza di quasi 15 anni l’atteso provvedimento non è ancora stato adottato, con la conseguenza di rendere inapplicabile la disciplina della bonifica a tali siti.
Merita infatti ricordare che, sebbene con una prima pronuncia il Tar Lombardia, avesse precisato che “in difetto di normativa specifica, ai terreni agricoli non possono applicarsi automaticamente – cioè senza una specifica motivazione che dia conto della necessità di bonifica in rapporto a particolari livelli di contaminazione – i valori dettati per terreni a destinazione diversa” (5), con una successiva sentenza del Tar Umbria si è invece ritenuto che sia da “condividersi l’avviso dell’Istituto Superiore di Sanità (cfr. nota prot. 051899 in data 6 novembre 2003), nel senso che, in attesa di una revisione del Dm 471/1999 che consideri espressamente anche gli standard di qualità per i suoli agricoli, per questi ultimi trovano applicazione i valori della colonna A, tenuto conto che “i valori di concentrazione per i parametri ivi citati possono essere considerati sufficientemente cautelativi anche in relazione a scenari multipli di esposizione umana (ingestione, inalazione e contatto dermico) sia di tipo diretto che indiretto”. Conclude il Tar affermando che “Una diversa interpretazione (5) Tar Lombardia, sentenza 11 novembre 2003, n. 4982, in reteambiente.it. (6) Tar Umbria, sentenza 8 aprile 2004, n. 168, in reteambiente.it (7) Tar Sardegna, sez. II, sentenza 21 aprile 2009 n. 549; Tar Sicilia, Palermo, sez. I, sentenza 20 marzo 2009, n. 540, Tar Toscana, Sez. II, 19 maggio 2010, n. 1523; Tar Lombardia, Brescia, sez. I, ord. n. 117/2010; Tar Lazio, Roma, sez. II, 16 maggio 2011, Tar Toscana Sez. II, 6 ottobre 2011, n. 1452. (8) Tar Sicilia, Catania, ordinanza 7 giugno 2007 n. 788; Tar Catania 17 giugno 2008, n. 1188; Tar Catania, sentenza 29 gennaio 2008 n. 207; Tar
Friuli-Venezia Giulia, Sez. I, 26 maggio 2008, n. 301; Tar Calabria, sentenze del 23 maggio 2008, nn. 1068 e 1069, nonché Tar Campania, Sez. V, 21 marzo 2012, n. 1398. (9) Si veda F. Anile, Bonifiche dei Sin e acque di falda emunte: la giurisprudenza formatasi sull’articolo 243, Dlgs 152/2006 in questa Rivista n. 166/2009, nonché Quale regime giuridico per le acque di falda emunte? (esame della giurisprudenza formatasi sull’articolo 243 Dlgs 152/2006), in lexambiente.it. Si veda anche F. Peres, T.U.: quali cambiamenti per la bonifica e
Il regime giuridico delle acque emunte
Rimane ancora aperta la problematica concernente la qualificazione giuridica delle acque emunte, che – com’è noto – tanto il Ministero quanto le autorità locali, definiscono, sempre e comunque, “rifiuti liquidi”: ciò che si verifica anche nei casi in cui le acque emunte vengono prelevate ed avviate a depurazione, senza soluzione di continuità, mediante tubatura. In materia è emerso un contrasto nella giurisprudenza amministrativa tra la tesi (minoritaria (7)) che sostiene l’ascrivibilità tout court delle acque emunte al novero dei rifiuti e la diversa tesi (maggioritaria (8)) secondo cui le acque emunte possono, a determinate condizioni, essere assoggettate alla sola disciplina delle acque reflue industriali. La conseguenza pratica che deriva è che, nel primo caso, le acque emunte dovranno essere scaricate rispettando i più rigorosi limiti di cui all’allegato 1 al Dm 471/1999, mentre nel secondo caso, occorrerà rispettare i limiti di emissione delle acque reflue industriali di cui alla tabella 3, allegato 5 alla Parte II, Dlgs 152/2006. Sembra aderire a quest’ultima opzione – peraltro, da noi condivisa (9) – anche il Governo, che con il disegno di legge (c.d. Semplificazioni-bis) recante “Nuove disposizioni urgenti di semplificazione amministrativa a favore dei cittadini e delle imprese”, in questi giorni sta proponendo una revisione dell’articolo 243, Dlgs 152/2006. Di fatto, la disposizione (costituita da 6 commi) riscrive integralmente il vigente articolo 243, Dlgs 152/2006, avendo cura di precisare (al comma 4) che “Le acque emunte convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il punto di prelievo di dette acque con il punto di immissione delle stesse, previo trattamento di depurazione, in corpo ricettore, sono assimilate alle acque reflue industriali che provengono da uno scarico e come tali soggette al regime di cui alla Parte III del presente Decreto”.
Il reato di omessa bonifica
Non meno importante riteniamo sia, infine, un intervento riformatore della fattispecie penale posta a presidio dell’obbligo di bonifica (articolo 257, Dlgs 152/2006), che risulta evidentemente priva di deterrenza e complessivamente peggiorata rispetto alla previgente fattispecie di cui all’articolo 51-bis, Dlgs 22/1997 (10).
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Si tratta, a nostro avviso, di una ritardo imbarazzante, che merita di essere recuperato quanto prima, al fine di garantire la necessaria tutela anche ai siti posti in aree agricole, evitando peraltro che la lacuna normativa produca pericolose fughe in avanti da parte della giurisprudenza.
condurrebbe a ritenere, nella maggior parte dei casi, non operativa la normativa sulle bonifiche, senza apprezzabili ragioni di tutela di interessi pubblici o privati” (6).
L’intervento Bonifiche
gnala, in sostanza, la necessità di… stabilire un regime certo per le bonifiche dei siti inquinati, il quale, in ossequio ai criteri di coerenza con le direttive comunitarie e con il necessario carattere unitario, coordinato e integrato, della normativa ambientale, superi i due diversi e paralleli regimi giuridici per le bonifiche e per il danno ambientale attualmente disciplinati dal decreto legislativo n. 152 e disponga, al contrario, una effettiva integrazione fra queste due parti”.
Ed infatti, nell’attuale configurazione (11), il reato di omessa bonifica è: la gestione delle acque di falda?¸ in Ambiente&Sviluppo”, 2006, p. 23; M. Busà, Le acque di falda emunte nel procedimento di bonifica sono qualificabili come acque reflue industriali? in unitel.it e F. Giampietro, Le acque di falda: scarichi o rifiuti? in giuristiambientali.it. (10) Sull’argomento, Fabio Anile, La difficile applicazione della disciplina penale della bonifica dei siti contaminati, ex articolo 17, dlgs. n. 22/97: irretroattività del fatto o di diritto? (Commento a Corte Cass. 28 aprile 2000, ric. Pizzuti), in Cass. Pen., XLII, Fasc. 9-2002. Per una com-
piuta disamina delle posizioni assunte dalla dottrina sulla qualificazione giuridica dell’articolo 51-bis, si veda S. Beltrame in Gestione dei rifiuti e sistema sanzionatorio, CEDAM, 2000, pag. 386 e ss. (11) Si vedano in particolare, i contributi di V. Paone, Il reato di omessa bonifica secondo i recenti orientamenti della Cassazione (sentenza “Montigiani”), in Ambiente&Sviluppo, n. 2/2008, pp 119 e ss., ed A. L. Vergine, Il reato di omessa bonifica, due decisioni interrompono il prolungato silenzio, in Ambiente&Sviluppo, n. 22/2009, pag. 981 ss..
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L’intervento
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Autorizzazioni: il nodo gordiano del coordinamento tra autorizzazione al trattamento, Via e Aia di Leonardo Filippucci Avvocato in Macerata
Link di approfondimento In occasione della Fiera Ecomondo (Rimini, 7-10 novembre 2012) Edizioni Ambiente organizza presso il proprio stand (padiglione B3 – stand 012) sette seminari brevi. In particolare si segnala: “Impianti a biomassa; il regime amministrativo delle autorizzazioni tra Dlgs 387/2003 e ‘Decreto Romani’”, venerdi 9 novembre, ore 12:00 – 13:30. Relatore: Leonardo Filippucci. Per iscrizioni: http://www.reteambiente.it/ convegni-ecomondo/
A distanza di oltre cinque anni dalla pubblicazione del Codice dell’ambiente e a dispetto delle numerosissime e talvolta sostanziose modifiche apportate dal Legislatore sia alla Parte quarta sia alla Parte seconda, ancora oggi interpreti e operatori si trovano di fronte, in materia autorizzatoria, a un vero e proprio nodo gordiano, costituito dal coordinamento tra le procedure autorizzatorie previste dal Capo IV del Titolo I della Parte quarta (articoli 208 e seguenti) e le procedure di Via ed Aia disciplinate rispettivamente dai Titoli III e III-bis della Parte seconda. Il problema scaturisce dal fatto che la Parte quarta detta un regime autorizzatorio (ordinario o semplificato) astrattamente applicabile alla realizzazione e all’esercizio di tutti gli impianti che effettuano operazioni di recupero o smaltimento, mentre alcuni impianti di trattamento rifiuti risultano annoverati tra le opere soggette a screening (1) o a Via (2) ovvero figurano tra i cd. complessi Ippc (3). (1) Ai sensi dell’allegato IV alla Parte seconda del Dlgs 152/2006 sono soggetti a screening in sede regionale i seguenti impianti di trattamento: “r) impianti di smaltimento di rifiuti urbani non pericolosi, mediante operazioni di incenerimento o di trattamento, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno (operazioni di cui all’allegato B, lettere D2 e da D8 a D11, della Parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152); impianti di smaltimento di rifiuti non pericolosi, mediante operazioni di raggruppamento o di ricondizionamento preliminari, con capacità massima complessiva superiore a 20 t/giorno (operazioni di cui all’allegato B, lettere D13 e D14 del decreto legislativo 152/2006); s) impianti di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10 t/ giorno, mediante operazioni di incenerimento o di trattamento (operazioni di cui all’allegato B, lettere D2 e da D8 a D11, della Parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152); t) impianti di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi mediante operazioni di deposito preliminare con capacità massima superiore a 30.000 m3 oppure con capacità superiore a 40 t/giorno (operazioni di cui all’allegato B, lettera D15, della Parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152); u) discariche di rifiuti urbani non pericolosi con capacità complessiva inferiore ai 100.000 m3 (operazioni di cui all’allegato B, lettere D1 e D5, della Parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152); […] z.a) Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi, mediante operazioni di cui all’allegato B, lettere D2, D8 e da D13 a D15, ed all’allegato C, lettere da R2 a R9, della Parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. z.b) Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno, mediante operazioni
di cui all’allegato C, lettere da R1 a R9, della Parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.”. (2) Ai sensi dell’allegato III alla Parte seconda del Dlgs 152/2006 sono necessariamente soggetti a Via in sede regionale i seguenti impianti di trattamento: “m) Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi, mediante operazioni di cui all’allegato B, lettere D1, D5, D9, D10 e D11, ed all’allegato C, lettera R1, della Parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. n) Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacità superiore a 100 t/giorno, mediante operazioni di incenerimento o di trattamento di cui all’allegato B, lettere D9, D10 e D11, ed all’allegato C, lettere R1, della Parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. o) Impianti di smaltimento dei rifiuti non pericolosi mediante operazioni di raggruppamento o ricondizionamento preliminari e deposito preliminare, con capacità superiore a 200 t/giorno (operazioni di cui all’allegato B, lettere D13 e D14, della Parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152). p) Discariche di rifiuti urbani non pericolosi con capacità complessiva superiore a 100.000 m3 (operazioni di cui all’allegato B, lettere D1 e D5, della Parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152): discariche di rifiuti speciali non pericolosi (operazioni di cui all’allegato B, lettere D1 e D5, della Parte quarta del decreto legislativo 152/2006), ad esclusione delle discariche per inerti con capacità complessiva sino a 100.000 m3. q) Impianti di smaltimento di rifiuti non pericolosi mediante operazioni di deposito preliminare, con capacità superiore a 150.000 m3 oppure con capacità superiore a 200 t/giorno (operazioni di cui all’allegato B, lettera D15, della Parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152); […] aa) Impianti di smaltimento di ri-
Qualora un impianto di trattamento, a seguito di screening o per diretto assoggettamento normativo, debba esperire la procedura di Via, occorre capire come tale procedura si coordini con quelle previste dalla Parte quarta del Codice ambientale. Prendendo anzitutto in esame la procedura cd. ordinaria contemplata dall’articolo 208, il primo comma di tale disposizione – nella formulazione originaria rimasta nel tempo immutata – stabilifiuti mediante operazioni di iniezione in profondità, lagunaggio, scarico di rifiuti solidi nell’ambiente idrico, compreso il seppellimento nel sottosuolo marino, deposito permanente (operazioni di cui all’allegato B, lettere D3, D4, D6, D7 e D12, della Parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152).”. (3) Ai sensi dell’allegato VIII alla Parte seconda del Dlgs 152/2006 sono soggetti ad Aia i seguenti impianti di trattamento: “5. Gestione dei rifiuti. Salvi l’articolo 11 della direttiva 75/442/Cee e l’articolo 3 della direttiva 91/689/Cee, del 12 dicembre 1991 del Consiglio, relativa ai rifiuti pericolosi 5.1. Impianti per l’eliminazione o il
ricupero di rifiuti pericolosi, della lista di cui all’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/Cee quali definiti negli allegati II A e II B (operazioni R 1, R 5, R 6, R 8 e R 9) della direttiva 75/442/Cee e nella direttiva 75/439/Cee del 16 giugno 1975 del Consiglio, concernente l’eliminazione degli oli usati, con capacità di oltre 10 tonnellate al giorno. 5.2. Impianti di incenerimento dei rifiuti urbani quali definiti nella direttiva 89/369/Cee dell’8 giugno 1989 del Consiglio, concernente la prevenzione dell’inquinamento atmosferico provocato dai nuovi impianti di incenerimento dei rifiuti urbani, e nella direttiva 89/429/ Cee del 21 giugno 1989 del Consiglio,
A fronte di ciò, occorre domandarsi se quanto previsto dal primo comma dell’articolo 208, Dlgs 152/2006 possa ritenersi implicitamente superato per effetto del Dlgs 4/2008, il quale, nel riscrivere integralmente la Parte seconda del Codice ambientale, ha stabilito, in ossequio a un’esplicita indicazione contenuta nella legge-delega (4), che il provvedimento di Via sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l’esercizio dell’opera o dell’impianto (si vedano gli articoli 5, lett. o) e 26, comma 4, Dlgs 152/2006). In altri termini, occorre chiedersi se, ed eventualmente come, il provvedimento di Via possa sostituire o coordinare anche l’autorizzazione di cui all’articolo 208, Dlgs 152/2006 oppure se, in ossequio a quanto ancora oggi stabilito dal primo comma di tale articolo, la Via debba avere luogo prima e separatamente rispetto al procedimento di autorizzazione ordinaria. È certamente questo il punto più spinoso. Infatti, a dispetto della petizione di principio contenuta nell’articolo 4, comma 2, Dlgs 152/2006 (secondo cui “il presente decreto individua, nell’ambito della procedura di Valutazione dell’impatto ambientale modalità di semplificazione e coordinamento delle procedure autorizzative in campo ambientale, ivi comprese le procedure di cui al decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, come parzialmente modificato da questo decreto legislativo”), la vigente versione della Parte seconda non chiarisce affatto secondo quali meccanismi di semplificazione e coordinamento procedimentale il provvedimento di Via possa assorbire le varie autorizzazioni ambientali, inclusa l’Aia. concernente la riduzione dell’inquinamento atmosferico provocato dagli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani, con una capacità superiore a 3 tonnellate all’ora. 5.3. Impianti per l’eliminazione dei rifiuti non pericolosi quali definiti nell’allegato 11 A della direttiva 75/442/Cee ai punti D 8, D 9 con capacità superiore a 50 tonnellate al giorno. 5.4. Discariche che ricevono più di 10 tonnellate al giorno o con una capacità totale di oltre 25.000 tonnellate, ad esclusione delle discariche per i rifiuti inerti.”. (4) Ai sensi dell’articolo 1, comma 9, lett. f) della legge 15 dicembre 2004 n. 308 (Delega al Governo per il riordi-
no, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione) è stato impartito al Governo l’obiettivo di “adottare misure di coordinamento tra le procedure di Via e quelle di Ippc nel caso di impianti sottoposti ad entrambe le procedure, al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni” e di “accorpare in un unico provvedimento di autorizzazione le diverse autorizzazioni ambientali, nel caso di impianti non rientranti nel campo di applicazione della direttiva 96/61/Ce del 24 settembre 1996 del Consiglio ma sottoposti a più di un’autorizzazione ambientale settoriale”.
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In primo luogo, si osserva che, qualora il progetto sia tra quelli soggetti a screening, la procedura di verifica di assoggettabilità di cui all’articolo 20, Dlgs 152/2006 deve precedere la procedura di autorizzazione, quale che essa sia. Infatti, poiché lo screening è finalizzato a stabilire se il progetto debba essere assoggettato o meno alla più complessa procedura di Via, proprio al fine di garantire il coordinamento tra la (solo eventuale) procedura di Via e le altre procedure autorizzatorie, occorre preliminarmente risolvere la questione se l’impianto possa produrre effetti negativi significativi sull’ambiente e se pertanto debba esperire anche la procedura di Via. Del principio testé enunciato si ha conferma non solo nell’ultimo periodo del primo comma dell’articolo 10, Dlgs 152/2006 (introdotto dal Dlgs 128/2010), secondo il quale “qualora si tratti di progetti rientranti nella previsione di cui al comma 7 dell’articolo 6, l’autorizzazione integrata ambientale può essere rilasciata solo dopo che, ad esito della verifica di cui all’articolo 20, l’autorità competente valuti di non assoggettare i progetti a Via”, ma anche nell’ultimo periodo del quarto comma dell’articolo 12, Dlgs 387/2003 (introdotto dal Dlgs 28/2011), il quale, in materia di autorizzazione unica alla realizzazione e all’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, stabilisce che, “fatto salvo il previo espletamento, qualora prevista, della verifica di assoggettabilità sul progetto preliminare, di cui all’articolo 20 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, il termine massimo per la conclusione del procedimento unico non può essere superiore a novanta giorni, al netto dei tempi previsti dall’articolo 26 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, per il provvedimento di valutazione di impatto ambientale”.
sce che, “ove l’impianto debba essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda è altresì allegata la comunicazione del progetto all’autorità competente ai predetti fini; i termini di cui ai commi 3 e 8 restano sospesi fino all’acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale ai sensi della Parte seconda del presente decreto”. In base alla citata disposizione, dunque, il procedimento di cui all’articolo 208, pur sostituendo a ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali (si veda il comma 6), non arriva ad assorbire l’atto conclusivo della procedura di Via, il quale mantiene la sua natura di provvedimento necessariamente presupposto al rilascio dell’atto che autorizza la realizzazione dell’opera.
L’intervento Autorizzazioni
Nelle more di un auspicabile intervento chiarificatore, si tratta di capire sin d’ora quale procedura sia applicabile in caso di sovrapposizione delle varie normative, quali effetti produca il provvedimento di autorizzazione e quali sanzioni di natura amministrativa e/o penale siano applicabili in caso di violazione del medesimo provvedimento.
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L’intervento
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I reati in materia di rifiuti nel Codice ambientale: le prospettive di modifica di Pasquale Fimiani Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione
Link di approfondimento In occasione della Fiera Ecomondo (Rimini, 7-10 novembre 2012) Edizioni Ambiente organizza presso il proprio stand (padiglione B3 – stand 012) sette seminari brevi. In particolare si segnala: “La responsabilità amministrativa delle Società e il reato ambientale: il Dlgs 231/2001. I reati presupposto. Il valore della delega di funzioni. I contenuti del modello organizzativo e la sua funzione esimente”, venerdi 9 novembre, ore 10:00 – 11:30. Relatori: Andrea Sillani e Gabriele Taddia. Per iscrizioni: http://www.reteambiente.it/ convegni-ecomondo/
È opinione diffusa che il sistema sanzionatorio ambientale, in genere, e quello dei rifiuti, in particolare, sia inadeguato, specialmente in relazione a quegli illeciti che non consistono nella mera violazione di norme procedimentali o gestionali, ma aggrediscono alla radice beni fondamentali quali l’ecosistema, la salute e la pubblica incolumità (si pensi, nella materia dei rifiuti, al loro abbandono o deposito incontrollato, alla violazione del divieto di miscelazione dei rifiuti pericolosi, all’apertura e gestione di discarica non autorizzata ed in generale alle altre ipotesi di illecita gestione di rifiuti, nonché alla contaminazione dei siti ad un livello tale da rendere obbligatoria la bonifica). In effetti, vari sono gli elementi che contribuiscono a fondare tale convincimento di inadeguatezza: • l’assenza nel codice penale di specifiche figure di delitti in materia di ambiente; • la natura contravvenzionale della quasi totalità delle fattispecie previste dalla normativa speciale (l’unico delitto ambientale nel Dlgs 152/2006 è quello di cui all’articolo 260); • l’impossibilità, salvo che per quest’ultima fattispecie, di utilizzare strumenti investigativi quali le intercettazioni e di applicare misure cautelari; • i tempi brevi di prescrizione delle fattispecie contravvenzionali (secondo l’articolo 157 C.p. la prescrizione estingue il reato decorso un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria. L’articolo 161 prevede che, in caso di interruzione del corso della prescrizione, in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, salvi i casi di recidiva). In verità, nonostante il fallimento dei reiterati tentativi di introdurre nel codice penale i delitti in materia ambientale (1) alcuni segnali di inversione di tendenza sembrano scorgersi. In primo luogo, la previsione come delitto delle attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, di cui all’articolo 260 Codice ambientale, ha consentito, stante l’ampiezza della fattispecie di illecito e della relativa interpretazione giurisprudenziale, il suo ampio utilizzo in una pluralità di situazioni. Ed infatti, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte (2): • l’offensività della condotta non riguarda necessariamente la messa in pericolo della incolumità pubblica, evento peraltro ordinariamente prodotto ed, in tal caso, oggetto di valutazione da parte del Giudice; • l’elemento oggettivo prevede una attività di gestione dei rifiuti organizzata con allestimento preventivo dei mezzi necessari, mentre sotto il profilo soggettivo è richiesto il dolo specifico di conseguire un ingiusto profitto, che può concretizzarsi sia in maggiori ricavi sia in minori costi; • non è richiesta una pluralità di soggetti agenti, trattandosi di fattispecie monosoggettiva, mentre è richiesta una pluralità di operazioni in continuità temporale relativa ad una o più delle diverse fasi in cui si concretizza ordinariamente la gestione dei rifiuti; • non è necessario un danno ambientale né la minaccia grave di danno ambientale, atteso che la previsione di ripristino ambientale contenuta nel comma quarto del citato articolo non muta la natura del reato da reato di pericolo presunto a reato di danno; (1) Per una quadro storico si rinvia al nostro, Delitti ambientali: qualcosa si muove, in questa Rivista, n. 142 – luglio 2007, a commento del disegno di legge governativo recante “Disposizioni concernenti i delitti contro l’ambiente. Delega al governo per il riordino, il co-
ordinamento e l’integrazione della relativa disciplina” presentato al Consiglio dei Ministri del 24 aprile 2007. (2) Ex multis, Cass. Sez. III, n. 4503/2006, n. 12433/2006, n. 35222/2006, n. 41513/2010 e n. 15630/2011.
Va, poi, segnalato il recente allargamento all’ambiente dei reati presupposto della responsabilità degli enti nella materia dei rifiuti, ai sensi dell’articolo 25-undecies, del Dlgs 8 giugno 2001, n. 231 (4). I reati presupposto della responsabilità degli enti nella materia dei rifiuti, secondo l’articolo 25-undecies del Dlgs 8 giugno 2001, n. 231, sono i seguenti: • raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione (articolo 256, comma 1, lettere a) e b); • realizzazione o gestione di una discarica non autorizzata (articolo 256, comma 3, primo periodo); – realizzazione o gestione di una discarica non autorizzata destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi (articolo 256, comma 3, secondo periodo); (3) Cass. pen., Sez. III, n. 9418/2008. Conforme Sez. III, n. 46189/2011, secondo cui “è necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone che l’eccezionalità della dimensione dell’even-
to desti un esteso senso di allarme, sicché non è richiesto che il fatto abbia direttamente prodotto collettivamente la morte o lesioni alle persone, potendo pure colpire cose, purché dalla rovina di queste effettivamente insorga un pericolo grave per la salute collettiva; in tal senso si identificano danno am-
In materia di bonifica sono reati presupposto della responsabilità degli enti quelli di cui all’articolo 257, commi 1 e 2 e quindi: • inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali e delle acque sotterranee ed omissione della relativa comunicazione agli enti competenti; • omessa bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. Il sistema “231” applicabile a tutti questi reati, si fonda sui seguenti principi base: • prevede espressamente sanzioni pecuniarie ed interdittive, nonché la possibilità di confisca; • si applica agli enti forniti di personalità giuridica, alle società (anche unipersonali e partecipate da enti pubblici), alle associazioni (anche prive di personalità giuridica), ma non alle imprese individuali (secondo l’orientamento prevalente e preferibile); • implica, quali criteri di imputazione della responsabilità da reato degli enti: bientale e disastro qualora l’attività di contaminazione di siti destinati ad insediamenti abitativi o agricoli con sostanze pericolose per la salute umana assuma connotazioni di durata, ampiezza e intensità tale da risultare in concreto straordinariamente grave e complessa, mentre non è necessa-
ria la prova di immediati effetti lesivi sull’uomo”. (4) Per un quadro generale si rinvia al nostro Ecoreati: si estende all’ambiente la responsabilità amministrativa del “231”, in questa Rivista, n. 188 – ottobre 2011 ed ai successivi approfondimenti mensili nello spazio dedicato “Focus 231Ambiente”.
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Inoltre, in via giurisprudenziale, il vuoto di tutela, in presenza di gravi e diffusi fenomeni di inquinamento, è stato colmato con la configurabilità in tali casi del reato di disastro, sia doloso che colposo (rispettivamente articoli 434 e 449 C.p.), la cui applicabilità alla materia ambientale è stata avallata anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 327/2008. In particolare, “il requisito che connota la nozione di disastro è la potenza espansiva del nocumento e l’ attitudine a mettere in pericolo la pubblica incolumità come emerge dai lavori preparatori del codice penale. Il termine disastro implica sia cagionato un evento di danno o di pericolo per la pubblica incolumità straordinariamente grave e complesso, ma non eccezionalmente immane; pertanto è necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone. Il reato ricorre pertanto nel caso di una imponente contaminazione di siti realizzata mediante l’accumulo sul territorio e lo sversamento nelle acque di ingenti quantitativi di rifiuti speciali altamente pericolosi. Tali condotte hanno insita una elevata portata distruttiva dello ambiente con conseguenze gravi, complesse ed estese ed hanno una alta potenzialità lesiva tanto da provocare un effettivo pericolo per la incolumità fisica di un numero indeterminato di persone” (3).
• inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione alla gestione di una discarica o alle altre attività concernenti i rifiuti (articolo 256, comma 4); • miscelazione non consentita di rifiuti (articolo 256, comma 5); • deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi (articolo 256, comma 6, primo periodo); • predisposizione, nel sistema incentrato sui formulari, di un certificato di analisi di rifiuti recante false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti ed uso di un certificato falso durante il trasporto (articolo 258, comma 4) • traffico illecito di rifiuti (articolo 259, comma 1); • attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (articolo 260); • predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, utilizzato nell’ambito del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti recante false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi inserisce un certificato falso nei dati da fornire ai fini della tracciabilità dei rifiuti (articolo 260-bis, comma 6); • trasporto di rifiuti pericolosi non accompagnato con la copia cartacea della scheda Sistri – Area movimentazione e, ove necessario sulla base della normativa vigente, con la copia del certificato analitico che identifica le caratteristiche dei rifiuti (articolo 260bis, comma 7, secondo periodo); • uso, durante il trasporto di rifiuti soggetto al Sistri, di un certificato di analisi di rifiuti contenente false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti trasportati (articolo 260-bis, comma 7, terzo periodo); • trasporto di rifiuti con una copia cartacea della scheda Sistri – Area Movimentazione fraudolentemente alterata (articolo 260-bis, comma 8, primo periodo); • trasporto di rifiuti pericolosi con una copia cartacea della scheda Sistri – Area Movimentazione fraudolentemente alterata (articolo 260-bis, comma 8, secondo periodo).
L’intervento Sanzioni
• il delitto si configura anche nel caso in cui l’attività oggetto di valutazione da parte del giudice penale sia svolta in presenza di autorizzazione, anche se “ai fini della qualificazione del reato deve ritenersi dotata del carattere dell’abusività la gestione di rifiuti caratterizzata da una totale inosservanza della normativa vigente per lo più in difetto delle prescritte autorizzazioni concretizzatasi per lo più in una fittizia attività di recupero”; • la nozione di ingente quantitativo deve essere riferita al quantitativo di materiale complessivamente gestito attraverso una pluralità di operazioni che, se considerate singolarmente, potrebbero essere di entità modesta. Tale requisito non può peraltro essere desunto automaticamente dalla stessa organizzazione e continuità dell’abusiva gestione di rifiuti.
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Prologo
L’intervento
È notizia dei primi giorni di ottobre: le autorità inglesi stanno scrivendo a coloro i quali esportano i rifiuti affinché l’allegato VII del regolamento 1013/2006/Ce sulla spedizioni dei rifiuti, che accompagna le spedizioni, venga compilato in maniera completa. La lettera fa seguito alla sentenza della Corte di Giustizia europea del 29 marzo 2012 (causa C-1/11) che ha stabilito che nell’allegato VII deve essere indicato anche il produttore dei rifiuti. L’iniziativa delle autorità inglesi si inserisce in un contesto particolarmente complesso: l’introduzione di un’alta tassazione in discarica che più che incentivare il recupero e il riciclo sta spingendo l’export verso i Paesi del Nord Europa con capacità di incenerimento in eccesso. Può bastare questo caso per evidenziare quanto e come il mercato dei rifiuti siano influenzato da politiche nazionali ed europee… E come sia necessario che ci siano degli obiettivi chiari perseguiti con politiche coerenti.
La società del riciclaggio
Riciclaggio senza volatilità RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 200-201 (11-12/12)
di Massimo Medugno Direttore generale Assocarta
L’“ordine di priorità” nella gestione dei rifiuti, più che essere “garantito” dall’articolo 4 della Direttiva rifiuti (2008/98/Ce) che lo indica espressamente (i cd. “five-steps”: prevenzione, riutilizzo, riciclo, recupero e smaltimento) e dall’articolo 179, comma 1 del Dlgs 152/2006, è, in realtà, reso concreto dall’articolo 11, comma 2 della direttiva medesima e dall’articolo 181 del decreto legislativo di recepimento italiano (Dlgs 152/2006). Questi articoli, infatti, introducono degli obiettivi vincolanti per la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio, che verranno verificati dalla Commissione Ue e rispetto ai quali gli Stati membri dovranno inviare una relazione alla stessa. Il quadro è completato dalla previsione dell’istituzione obbligatoria della raccolta differenziata, obbligo giuridico peraltro già esistente in Italia. Ma più che l’“ordine di priorità”, sarà il rispetto degli obiettivi vincolanti previsti che consentirà all’Unione Europea di avvicinarsi a una vera “società del riciclaggio” (1). Per rafforzare il riutilizzo, la prevenzione, il riciclaggio e le altre forme di recupero dei rifiuti, gli Stati membri possono adottare misure legislative o non legislative volte ad assicurare che qualsiasi persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi prodotti (produttore del prodotto) sia soggetto ad una responsabilità estesa del produttore. Tale responsabilità include la successiva gestione del rifiuto (articolo 8, comma 1). Nell’applicare la responsabilità estesa del produttore, gli Stati membri terranno conto della fattibilità tecnica e della praticabilità economica nonché degli impatti complessivi sociali, sanitari e ambientali, rispettando l’esigenza di assicurare il corretto funzionamento del mercato interno (articolo 8, comma 3). Sembra, quindi, emergere quanto segue: • è fondamentale il collegamento tra raccolta dei rifiuti e industrie che riciclano. L’industria è considerato l’“asset” fondamentale per realizzare la società del riciclaggio con un alto livello di efficienza delle risorse. Questo è il senso del passaggio riguardante il “(….) fine di soddisfare i necessari criteri qualitativi per i settori di riciclaggio pertinenti” (articolo 11, comma 1); • la eventuale responsabilità estesa del produttore si riferisce a soggetti industriali che fabbricano ed immettono i beni sul mercato
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(1) Si veda CEPI Guidelines for Transposition and Implementation of the Waste Directive 2008/98, Bru-
xelles, 2009 consultabile su www.cepi.org., sul punto pag. 11
I produttori e i settori industriali che riciclano sono, quindi, i riferimenti essenziali nella società del riciclaggio prevista dalla direttiva. Fondamentale sarà, quindi, che la raccolta consenta adeguati standard qualitativi: ciò ovviamente sarà più semplice per le filiere “chiuse” (dove cioè il produttore è anche un riciclatore). Ai produttori spetterà il compito fondamentale (nel caso di responsabilità estesa del produttore) di organizzare il sistema e di gestire direttamente il rifiuto avvalendosi ovviamente dei fornitori di servizi, in maniera tale che possano essere raggiunti gli obiettivi ambientali previsti in materia di riciclaggio. I fornitori di servizi sono però operatori economici essenziali; sono loro che forniscono servizi a impianti che effettuano il riciclaggio e il recupero e che includono raccolta, trasporto e stoccaggio, ma anche cernita, selezione e le attività in comunicazione o autorizzate che portano alla produzione di materie prime secondarie.
Riciclaggio e mercato
In un quadro come questo, caratterizzato da una regolazione importante che disciplina la responsabilità del produttore e fissa obiettivi di riciclaggio e di riutilizzo da raggiungere (solo per citare alcune fattispecie…), resta ancora da chiarire come conciliare tutto ciò… con il mercato. Soprattutto, la questione è se i meccanismi del mercato siano in grado di assicurare il raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio che l’ordinamento europeo e nazionale considera rilevanti per tendere verso “una società europea del riciclaggio con un alto livello di efficienza delle risorse” (Considerando n. 28 sopra citato). Una prima risposta all’interrogativo può apparire scontata: se il mercato fosse stato in grado di garantire detti obiettivi non avremmo avuto bisogno di una direttiva. Ad esempio, non ci sarebbe stato bisogno di una disposizione come quella dell’articolo 221, comma 2, Dlgs 152/2006 pone a carico dei produttori “l’obbligo del ritiro dei rifiuti di imballaggio primari o comunque conferiti al servizio pubblico e raccolti in modo differenziato”. Ci può essere, poi, qualche considerazione più sofisticata che tiene conto dell’azione dell’Antitrust in materia. Nell’indagine conoscitiva sugli imballaggi e sui rifiuti da imballaggio del 14 ago-
Ma le aste possono assicurare il raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio, garantire che, in qualche modo, il riciclo extra Ue venga effettuato con modalità simili a quelle usate in Europa e ciò avvenga, infine, senza pregiudizio per le politiche di approvvigionamento delle imprese interessate? È indubitabile che nei periodi di mercato “forte” le aste di vendita permetterebbero ai Comuni di incrementare i loro ricavi, aumentando i costi per i “riciclatori” ed esasperando la volatilità. Viceversa, se si obbligassero i “riciclatori” a bandire aste di acquisto, il rapporto di forza si invertirebbe a scapito dei ricavi dei Comuni, i quali dovrebbero tra loro competere per trovare uno sbocco alternativo alla discarica. Insomma, l’asta non permette mai di migliorare le condizioni di un soggetto senza peggiorare quelle dell’altro e per questo motivo non può essere considerata uno strumento allocativo efficiente. Nella misura in cui l’asta è uno strumento per concentrare l’offerta in un solo banditore, l’“asta per la vendita” rappresenta un metodo di fissazione del prezzo che richiama lo schema concettuale del monopolio; l’“asta per l’acquisto” punta invece sulla frammentazione dell’offerta ed evoca il monopsonio (ovvero un unico compratore e molti venditori). In entrambi i casi è inevitabile una perdita di benessere sociale in considerazione del surplus che l’acquirente (il venditore) lascia inevitabilmente sul campo rispetto alla condizione teorica di equilibrio concorrenziale. Peraltro, l’applicazione dell’asta al rifiuto mette in discussione la concezione che la stessa sia uno strumento virtuoso per eccellenza, in quanto non tiene conto che il rifiuto è un bene con particolari caratteristiche. Infatti: • è in parte indeterminato; • le caratteristiche potrebbero dipendere da contingenze future; • è certamente dipendente dall’appropriata esecuzione di servizi di allestimento; • l’uso è condizionato dalle specifiche esigenze impiantistiche dell’utilizzatore; • è assoggettato ad una serie di prescrizioni (ad esempio obiettivi di riciclaggio per ogni Stato membro).
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Ma a quali condizioni verranno raccolti i rifiuti nel territorio europeo? Seguendo quali regole di responsabilità ambientale? A quali condizioni potranno essere esportati fuori dall’Europa? Queste materie prime, infatti (siano esse classificate rifiuti o meno, ma merceologicamente note come carta da macero, rottami, residui plastici eccetera), sono molto importanti per l’industria manifatturiera europea. E proprio in Europa assistiamo al maggiore impulso verso la “Recycling Society” e a sistemi di raccolta differenziata secondo regole di responsabilità ambientale che coinvolgono produttori, distributori ed anche i normali cittadini. Cresce la raccolta differenziata (si veda l’Italia), ma cresce anche l’export dei rifiuti raccolti verso l’estero. Di fatto il 10-15% del materiale esportato fa il prezzo per tutti i materiali commercializzati nel territorio nazionale. Prezzi che risentono degli acquisti massicci o meno di competitors extra Ue, con andamenti a volte estremamente volatili. Evidente che dette condizioni non favoriscono le capacità di riciclo installate in Europa e in Italia.
sto 2008, ad esempio, l’Antitrust segnala, come alternativa concorrenziale alle modalità attuali, che per l’assegnazione dei rifiuti da imballaggi di propria competenza si provveda a mezzo di aste. In questo modo, ferma restando la necessità di organizzare le aste in maniera efficiente e non pregiudizievole per le politiche di approvvigionamento delle imprese interessate, verrebbero evitate le opacità riscontrate nelle assegnazioni e i negativi effetti di condizionamento della disponibilità degli input produttivi, oltre a consentire una miglior valorizzazione della materia prima secondaria.
L’intervento Riciclaggio
e riguarda anche la successiva gestione del rifiuto; ai gestori ambientali spetta, invece, il compito precipuo di fornire i necessari servizi ai produttori; • in ogni caso la direttiva e, quindi, il Dlgs di recepimento introducono degli obiettivi di riciclaggio vincolanti.
Autosufficienza e prossimità
Nell’articolo 16 della nuova Direttiva rifiuti resta fermo il principio secondo il quale gli Stati membri adottano le misure per la creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento di rifiuti e di recupero dei rifiuti urbani non differenziati (“provenienti dalla raccolta domestica”). Ciò introduce due significative novità. La prima è la possibilità di limitare le spedizioni in uscita dei rifiuti per motivi ambientali ovvero qualora detti rifiuti non siano recuperati con standard equivalenti a quelli europei secondo quanto previsto dal regolamento 1013/2006/Ce. Non si tratta della prima volta che le normative comunitarie si occupano di questa materia e si tratta di una affermazione piuttosto significativa. La seconda, in deroga al medesimo regolamento, riguarda la facoltà di limitare le spedizioni in entrata dei rifiuti destinati ad im-
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L’intervento
Negli ultimi mesi si sono succeduti moltissimi e spesso non coordinati interventi normativi in materia ambientale: alcuni di questi riguardano anche le bonifiche dei siti inquinati. Gli interventi sulle bonifiche hanno riguardato fondamentalmente i seguenti aspetti: • i riporti e le terre e rocce da scavo; • la messa in sicurezza operativa (Miso); • la progettualità per fasi; • i criteri per la definizione del perimetro interessato dai Siti di bonifica di interesse nazionale (Sin); • la gestione delle acque sotterranee emunte (ex articolo 243). Tali interventi normativi hanno interessato alcuni problemi sicuramente importanti per le procedure di bonifica dei siti inquinati, soprattutto per i grandi siti (Sin), ma essendo interventi settoriali e non coordinati, lasciano praticamente invariate alcune delle problematicità che di fatto rendono difficoltose le citate procedure di bonifica.
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Bonifiche siti inquinati: luci e ombre dei nuovi interventi normativi di Loredana Musmeci Capo Dipartimento Ambiente e Prevenzione primaria Istituto Superiore di Sanità
Link di approfondimento In occasione della Fiera Ecomondo (Rimini, 7-10 novembre 2012) Edizioni Ambiente organizza presso il proprio stand (padiglione B3 – stand 012) sette seminari brevi. In particolare si segnala: “La bonifica e la responsabilità del proprietario del sito non responsabile dell’inquinamento”, giovedi 8 novembre, ore 15:00 – 16:30. Relatore: Fabio Anile. Per iscrizioni: http://www.reteambiente.it/ convegni-ecomondo/
Indubbiamente il problema di cosa si debba intendere per “materiali di riporto” e di come quest’ultimi vadano gestiti, soprattutto quando trattasi di “riporti storici”, è un aspetto centrale: gli interventi normativi che si sono succeduti negli ultimi mesi contribuiscono a chiarire alcuni aspetti, ma rimangono aperti ancora alcuni problemi. Vediamo quali. 1) Quando si accerti nel suolo e sottosuolo la presenza di materiale di riporto (riporti storici o non storici) in banco, si applica ugualmente quanto previsto dalla legge 24 marzo 2012, n. 28? Cioè vanno ugualmente considerati come se fossero suolo ed a essi si applica, quindi, la procedura di analisi di rischio? Tale problema riveste un’importanza fondamentale in quanto l’analisi di rischio prevista nel Dlgs 152/2006 è una procedura idonea per essere applicata a un suolo e non a un materiale di riporto, prevedendo ad esempio l’individuazione di una serie di caratteristiche chimiche e chimico-fisiche tipiche di un suolo ma non applicabili ad un materiale di riporto. Inoltre per materiale di riporto si considerano materiali litoidi, materiali di demolizione, pietrisco tolto d’opera, conglomerati bituminosi, scorie e coppe di fonderia, detriti, eccetera. Detti materiali hanno normalmente una granulometria grossolana e considerandoli come “suolo” l’accertamento analitico andrà effettuato sulla frazione fine (Ø< 2 mm) e il risultato riferito alla totalità dei materiali con diametro fino a 2 cm; ciò comporterà di fatto un effetto diluizione per l’accertamento della contaminazione, in quanto i materiali sopraelencati hanno mediamente una granulometria grossolana e quindi la frazione con diametro delle particelle inferiore a 2 mm sarà costituita da una percentuale esigua, mentre la maggior parte sarà costituita da materiale grossolano sul quale non verranno eseguite le determinazioni analitiche. Nel caso dei materiali di riporto sarebbe stato più corretto definire una modalità di caratterizzazione “ad hoc”, ricorrendo anche a test di cessione per valutare il potenziale rischio di cessione di sostanze inquinanti all’ambiente e definendo valori limite di concentrazione specifici per le sostanze eluite. 2) Altro problema ancora aperto è quello in cui ci si trova qualora, attraverso l’applicazione dell’Analisi di rischio (Adr), si ottengano Csr inferiori alla Csc. Tale caso non è infrequente e pone un problema giuridico di notevole importanza, in quanto è il superamento della Csc che fa scattare l’obbligo dell’applicazione di una procedura di Adr e l’ottenimento di Csr inferiori alla Csc potrebbe comportare che chi si trova nella condizione in cui se alcuni parametri risultano vi-
4) Continuano a mancare i criteri con cui accertare le contaminazione dei suoli agricoli e ciò porta ad una discrezionalità nelle decisioni di quando e come intervenire su detti suoli agricoli.
Ovviamente si ritiene che non fosse questa l’intenzione del Legislatore, ma l’articolo è formulato in maniera decisamente infelice.
RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 200-201 (11-12/12)
3) Rimane oggi ancora aperta la problematica della definizione delle misure di sicurezza d’emergenza; esse vanno infatti adottate al verificarsi dell’evento che potenzialmente può contaminare le matrici ambientali, e anche nel caso delle contaminazioni storiche ove queste possano comportare un rischio di aggravamento della contaminazione stessa. Nell’allegato 3, che definisce gli interventi di bonifica e di messa in sicurezza d’urgenza, operativa o permanente, viene riportato tra i possibili interventi di messa in sicurezza d’emergenza anche l’installazione di trincee drenanti; ciò crea una contraddizione in quanto tale ultimo intervento attiene più ad una messa in sicurezza permanente e/o operativa soggetta a valutazione e approvazione da parte degli enti competenti, piuttosto che ad una messa in sicurezza d’emergenza da attuare in tempi brevissimi e non soggetta a valutazione ed approvazione.
5) La legge 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del Dl 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese) ha introdotto alcune importanti modifiche in merito ai criteri di individuazione dei Siti di interesse nazionale. Tale legge all’articolo 36-bis, commi 2-3-4, afferma che “Con decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sentite le regioni interessate, è effettuata la ricognizione dei siti attualmente classificati di interesse nazionale che non soddisfano i requisiti di cui all’articolo 252, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dal comma 1 del presente articolo. Su richiesta della Regione interessata, con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti gli Enti locali interessati, può essere ridefinito il perimetro dei siti di interesse nazionale, fermo restando che rimangono di competenza regionale le necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica della porzione di siti che, all’esito di tale ridefinizione, esuli dal sito di interesse nazionale. All’attuazione delle disposizioni del presente articolo si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.” Così come formulato tale comma non è chiaro; non si comprende infatti se la redifinizione dei Sin debba avvenire adottando contestualmente (o meno) tutti i criteri oggi riportati nell’articolo 252 del Dlgs 152/2006. Ove l’interpretazione fosse che vadano applicati tutti i 6 punti (da a) a f)), compreso quello che stabilisce che per essere un Sin gli interventi devono riguardare siti compresi nel territorio di più Regioni, rimarrebbe praticamente un unico Sin (l’Acna di Cengio e Saliceto).
L’intervento Bonifiche
cini al valore limite (Csc) non deve fare alcunché, mentre chi supera tale valore limite anche per piccoli incrementi, dovendo effettuare una Adr per i parametri che superano la Csc, potrebbe ottenere Csr inferiori anche di svariati ordini di grandezza alla Csc; ciò in particolare per le sostanze cancerogene e dotate di una certa volatilità. Indubbiamente tale problematica riveste un ruolo centrale e di difficile interpretazione dal punto di vista giuridico-amministrativo. Pertanto, ritenendo già sufficientemente cautelative per la salute umana le Csc oggi elencate nell’allegato 5 della Parte IV, Dlgs 152/2006, e in linea con i valori di screening adottati da altri Paesi europei ed extraeuropei, sarebbe stato opportuno fissare criteri che permettono una applicazione flessibile dell’Adr utilizzando approcci pragmatici e valutando la sito specificità affermando contestualmente che, ove la Csr ottenuta sia inferiore alla Csc, ai fini della definizione degli obiettivi di bonifica si adotta la Csc.
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L’intervento
Recupero e recupero agevolato RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 200-201 (11-12/12)
di Maria Letizia Nepi Segretario Fise Unire – Confindustria
Link di approfondimento Il quadro delle norme in tema di recupero agevolato costantemente aggiornato: “Speciale recupero agevolato rifiuti non pericolosi”
La direttiva 2008/98/Ce, recepita in Italia con il Dlgs 205/2010, pone al 2020 ambiziosi obiettivi di riciclaggio e di preparazione per il riutilizzo. Relativamente ai rifiuti domestici e tipologie similari, il nuovo articolo 181 del Codice ambientale prevede un obiettivo pari al 50%, che si riferisce come minimo a carta, metalli, plastica e vetro; per i rifiuti inerti da costruzione e demolizione, un obiettivo pari al 70% in peso delle quantità prodotte. La disciplina sugli pneumatici fuori uso (articolo 228 del Dlgs 152/2006 e relativo decreto attuativo, Dm 82/2011) prevede inoltre elevatissimi obiettivi di gestione per i Pfu (80% al 2012 e 100% al 2013 del quantitativo immesso al consumo). Infine, per quanto riguarda i rifiuti elettrici ed elettronici, la nuova direttiva Raee 2012/19/Ce, che dovrà a breve essere recepita nel nostro ordinamento (entro il 14 febbraio 2014), pone da subito dei target tutt’altro semplici da conseguire: 45% dal 2016 e 65% dal 2019 dell’immesso sul mercato, come obiettivo di raccolta; obiettivi di riciclaggio dal 50% al 75% articolati secondo le categorie di apparecchiature, a partire da agosto 2012, e crescenti per gli anni successivi. Come far fronte ad impegni che coinvolgono così profondamente, e così a largo raggio, il settore della gestione dei rifiuti, è un interrogativo che a tutti i livelli ci poniamo, sia per evitare costose future procedure di infrazione, ma soprattutto per consentire finalmente al settore italiano della gestione dei rifiuti di svolgere appieno quella funzione utile all’economia, consistente nel mettere a disposizione risorse indispensabili agli altri settori produttivi, in modo da contribuire alla realizzazione di una “Società che ricicla” e, non ultimo, al superamento della crisi. È ormai diffusa la consapevolezza che, per concorrere a queste importanti finalità, è essenziale stimolare in Italia una domanda “qualificata” dei materiali riciclati e dei prodotti da questi ottenuti, ossia informata e basata su standard qualitativi di riferimento oggettivi. Per questa ragione, va sostenuto l’intento delle disposizioni contenute nella proposta di legge “Ambiente” (AC 4240-B, al momento fermo all’esame della competente Commissione della Camera dei Deputati), che mirano a stimolare il mercato dei materiali e prodotti ottenuti dal riciclo dei rifiuti conformi a standard specifici, attraverso, da un lato, la definizione di capitolati d’appalto per le opere pubbliche che prevedano l’impiego preferenziale di prodotti ottenuti dal riciclaggio di pneumatici e di rifiuti da costruzione e demolizione (articolo 3, comma 1, lett. d) punto 1) e, dall’altra, l’impiego di prodotti riciclati negli acquisti degli enti pubblici e privati, in particolare attraverso la domanda pubblica e privata di tali materiali e prodotti (lett. e)). Si consideri che in alcune applicazioni (es. superfici sportive o sottofondi stradali) l’utilizzo di materiale riciclato (granulo in gomma o aggregato) risulta meno costoso di quello del corrispondente materiale vergine e che l’impiego di riciclato conferisce al manufatto finale caratteristiche migliori rispetto ai prodotti “convenzionali”: è il caso delle fondazioni stradali realizzate con aggregati riciclati, che presentano caratteristiche di portanza della struttura migliori di quelle ottenibili con materiali vergini, oppure degli asfalti modificati con polverino di gomma riciclata, utilizzati in tutto il mondo per migliorare la resistenza alla fessurazione e all’ormaiamento, con migliorate capacità fono-assorbenti e di frenata del pneumatico sull’asfalto.
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Lo strumento che, in relazione alle citate finalità, appare come particolarmente idoneo per l’introduzione delle misure in esame
Ancora nell’ottica di favorire il raggiungimento dei target di riciclaggio fissati dalla normativa nazionale ed europea, appaiono di importanza rilevante alcune disposizioni settoriali contenute nella citata proposta di legge AC 4240-B, come quelle in materia di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (articolo 17) in quanto tese a risolvere alcuni problemi operativi e interpretativi collegati alla raccolta dei Raee da parte dei distributori e dei centri di raccolta comunali, in modo da rendere più fluido ed efficiente il sistema di intercettazione di tali tipologie di rifiuti e quindi aumentarne la raccolta.
In proposito, si coglie l’occasione per sottolineare l’urgenza e l’indifferibilità dell’adozione del decreto, previsto dall’articolo 184-ter comma 2, avente ad oggetto i criteri specifici per l’End-of-waste (nel rispetto delle condizioni dettate dal diritto europeo). A tale riguardo, oltre ad una generale opera di manutenzione e aggiornamento dei limiti e degli standard contenuti nel citato Dm 5 febbraio 1998, onde consentire un utilizzo efficace ed efficiente dei materiali Eow, si assume come particolarmente urgente la definizione di una disciplina a livello nazionale dei materiali recuperati utilizzabili in determinate attività industriali che comportano un successivo contatto con le matrici ambientali e le cui caratteristiche di composizione non sono di immediata e precisa individuazione. Ciò non solo perché a tali cicli possono essere destinati materiali provenienti dai più svariati processi produttivi, con caratteristiche chimico-fisiche molto diverse, ma anche perché non sempre sono disponibili standard tecnici di riferimento salvo, in alcuni casi, requisiti prestazionali: in questi casi, il mancato riferimento a parametri specifici, che tengano conto anche della composizione dei rifiuti di origine, può determinare rischi per l’ambiente e la salute sia nell’immediato utilizzo della materia prima secondaria sia in quello successivo dei prodotti realizzati a partire da essa.
Un problema diffuso a livello nazionale ed emerso con evidenza soprattutto di recente, che condiziona fortemente anche il mercato del recupero, riguarda la eterogeneità delle autorizzazioni, che sta creando, in particolare con l’applicazione dell’Aia, forti difformità di condizioni operative e di mercato tra impianti che svolgono la stessa attività. Il problema nasce soprattutto dal fatto che alcune discipline, tra cui ad esempio quella che regolamenta l’Ippc, individuano il proprio campo di applicazione facendo riferimento alla “codificazione” (operazioni di smaltimento e recupero) di cui agli allegati B e C della Parte IV del Dlgs 152/2006: tuttavia l’assegnazione da parte dell’autorità competente della lettera (D o R) che individua l’attività svolta non avviene in modo omogeneo, e pertanto sono assai diffusi casi di aziende che, pur svolgendo la stessa attività industriale hanno ricevuto da parte dell’autorità competente una differente codificazione, e in base ad essa possono rientrare o meno nel campo di applicazione della norma Ippc. Per ovviare a tali difformità, che provocano distorsioni della concorrenza e disparità del livello di tutela ambientale, è necessario dare attuazione alla norma che prevede la definizione di linee guida nazionali sui criteri di riferimento per l’assegnazione, in modo univoco e omogeneo, della codifica e dei titoli autorizzativi. Nonostante infatti l’articolo 195, comma 2, del Codice ambientale alle lettere t) ed u) preveda, tra i compiti dello Stato, quello di predisporre delle linee guida per l’individuazione di una codifica omogenea per le operazioni di recupero e smaltimento, da inserire nei provvedimenti autorizzativi, e l’individuazione di contenuti tecnici minimi degli stessi provvedimenti autorizzativi, il Governo non ha ancora provveduto in tal senso. Un’altra carenza nel contesto giuridico ed operativo, causata dalla mancata attuazione di norme previste dal Legislatore fondamentali per il buon funzionamento del sistema di gestione dei rifiuti, è rappresentata dall’assenza del decreto sull’assimilazione dei rifiuti speciali da attività economiche ai rifiuti urbani che in alcune Regioni del territorio italiano ha raggiunto livelli tali che una quota rilevante (3040%) dei rifiuti urbani è rappresentato da rifiuti speciali assimilati. La gestione di detti rifiuti viene effettuata in regime di privativa comunale e quindi con l’obbligo, da parte del produttore dei medesimi rifiuti, di provvedere al loro corretto recupero o smaltimento non attraverso la scelta dell’azienda che offre il miglior servizio, ma con esclusivo conferimento al gestore dei servizi pubblici. Le modifiche al Dlgs 152/2006 contenute nella Manovra economica di cui al decreto-legge 201/2011 hanno portato alla soppressione di riferimenti e limiti oggettivi per l’assimilazione, quali le soglie relative alla superficie (si veda la modifica all’articolo 195, comma 2, lett. e)). L’assenza di concorrenza nel settore della raccolta e dell’avvio a recupero (in passato, invece, il recupero era espressamente escluso dalla privativa – si veda l’articolo 21, comma 7, del Dlgs 22/1997) implica la maggiorazione degli oneri a carico dei produttori dei ri-
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Altrettanto fondamentale, a parere di chi scrive, è la modifica di cui all’articolo 16, comma 3, che consente di superare un “impasse” normativo relativo alle cd. “Mps previste nelle autorizzazioni”: il riferimento, fatto dal vigente Dl 172/2008, all’articolo 181bis Codice ambientale (ormai abrogato) in luogo del nuovo articolo 184-ter costituisce un ostacolo normativo al ricorso all’autorizzazione ordinaria per recuperare e quindi produrre un nuovo materiale o prodotto non previsto nel Dm 5 febbraio 1998. Tale ultimo decreto costituisce attualmente, come noto, la base di riferimento, oltre che per le procedure agevolate, anche per l’End-of-waste nazionale, ossia prodotti e materiali provenienti da un’operazione di recupero che fuoriescono dal regime dei rifiuti. La modifica richiamata fornisce il fondamento giuridico necessario per poter procedere al rinnovo di quelle autorizzazioni che prevedono, appunto, m.p.s. ulteriori, o ottenute con procedimento diverso, rispetto a quelle del citato decreto: tenuto conto dell’obsolescenza di quest’ultimo, tale esigenza è particolarmente avvertita soprattutto in quei settori che hanno goduto di una forte evoluzione tecnologica, soprattutto in termini di possibili applicazioni dei materiali recuperati, evoluzione con cui purtroppo l’aggiornamento della normativa tecnica non tiene il passo.
Per altro verso, esistono una serie di materiali e di applicazioni ormai consolidate e prive di rischio per l’ambiente che non sono assolutamente contemplati dal vigente decreto sul recupero di materia (ma dovrebbero trovare spazio nel futuro decreto Eow) costringendo sia chi produce sia chi successivamente trasporta, vende, impiega gli stessi materiali a gestirli come rifiuti, con conseguenti aggravi di costi e minore competitività, soprattutto in confronto agli operatori esteri, soggetti a normative spesso totalmente diverse.
L’intervento Recupero
è l’accordo di programma, già previsto all’articolo 206 del Dlgs 152/2006 che, secondo la modifica contenuta nel disegno di legge, verrebbe integrato prevedendo tra l’altro che gli accordi ed i contratti di programma, ove necessario e fattibile da un punto di vista tecnico ed economico, possano stabilire percentuali minime di impiego di materiali e prodotti recuperati.
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L’intervento
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Servizi pubblici locali ancora privi di una legge organica. Delega di funzioni e attribuzioni senza regole di Gabriele Taddia Avvocato in Ferrara
Link di approfondimento In Osservatorio di normativa ambientale (reteambiente.it) “L’affidamento dei servizi locali, le novità e il quadro normativo”. In occasione della Fiera Ecomondo (Rimini, 7-10 novembre 2012) Edizioni Ambiente organizza presso il proprio stand (padiglione B3 – stand 012) sette seminari brevi. In particolare si segnala: “Il servizio pubblico di gestione dei rifiuti:il punto sulla situazione”, giovedi 8 novembre, ore 10:00 – 11:30. Relatore: Gabriele Taddia. Per iscrizioni: http://www.reteambiente.it/ convegni-ecomondo/
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La travagliata storia della normativa relativa ai servizi pubblici di rilevanza economica è ancora lontana dal vedere un esito positivo. Come noto, dopo l’approvazione dell’ormai… famigerato articolo 23-bis (1) e del relativo regolamento di attuazione (2), il settore sembrava aver trovato un pur discutibilissimo assetto attorno a un sistema normativo indirizzato alla massima privatizzazione del settore e a una presenza sempre più marginale del pubblico. Successivamente, l’esito dei referendum del giugno 2011 aveva comportato l’abrogazione dell’intera normativa di riferimento, e il settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica era tornato ad essere governato in sostanza dalle disposizioni comunitarie. Tempo un mese e il Governo aveva riproposto – con decreto legge (3) poi successivamente convertito – di fatto la stessa identica normativa appena abrogata dalle consultazioni referendarie. A seguito di ciò, la Corte Costituzionale su ricorso di diverse Regioni, nel luglio di quest’anno ha (giustamente) dichiarato la illegittimità costituzionale delle nuove disposizioni in quanto sostanzialmente identiche a quelle appena abrogate dai referendum. Il risultato di questo rincorrersi di norme e abrogazioni ha comportato il fatto che un settore di vitale importanza per la vita dei cittadini come quello dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, è ancora privo di una regolamentazione organica e soprattutto di una visione di lungo periodo, e giuridicamente è affidato solamente alla pur ottima normativa comunitaria in quanto l’abrogazione referendaria e quella della Corte non hanno comportato la riviviscenza delle disposizioni precedentemente in vigore. È però evidente che un paese moderno deve necessariamente avere una visione strategica e di lungo periodo in tema di servizi pubblici: servizio idrico, energia, raccolta, trasporto e smaltimento rifiuti in primo luogo, servizi che non possono essere affidati obbligatoriamente per legge a operatori privati. Cosa chiedere dunque al Parlamento per la regolamentazione dei servizi pubblici? Poche cose ma chiare: • la limitazione degli affidamenti diretti a una soglia economica minima, ma che consenta alle amministrazioni locali di gestire con agilità i servizi più comuni e di minore impatto economico: in coerenza con le disposizioni comunitarie, la regola deve essere quella della gara a evidenza pubblica per tutti i servizi; • la limitazione degli affidamenti in house non può avvenire con l’imposizione dell’acquisizione di un socio privato. Deve essere prevista la facoltà di ingresso del socio privato e non l’obbligo, e vanno definiti in primo luogo i parametri economici di ingresso e uscita dell’eventuale socio privato operativo: ciò per tutelare sia il valore commerciale dell’azienda pubblica, sia per tutelare gli investimenti del socio privato. Il servizio in house deve avere le caratteristiche disegnate dalla normativa europea, in primo luogo con riferimento al controllo analogo. Non ha alcun senso proibire in assoluto le gestioni in house che hanno fornito buona prova di qualità sul ter(1) Dl 25 giugno 2008, n. 112 (So n. 147 alla Gu 25 giugno 2008 n. 152) convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (So n. 196 alla Gu 21 agosto 2008), e successive modificazioni recante Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria. (2) Dpr 7 settembre 2010 n. 168 (Gu
12 ottobre 2010 n. 239) recante Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell’articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. (3) Si veda dello stesso Autore su questa Rivista, n. 187 (08-09/11) pagina 5 e seguenti “I servizi pubblici locali dopo il Dl 138/2011: cosa (non) cambia”
Poche cose ma chiare e approvate rapidamente, senza ulteriori colpi di mano per reintrodurre un sistema che non è in realtà votato alla concorrenza ma semplicemente alla privatizzazione.
La delega di funzioni
Ciò a maggior ragione nell’ottica della implementazione di un modello organizzativo ai sensi del Dlgs 231/2001 che consenta un effettivo controllo su tutta l’attività aziendale, proprio in considerazione del fatto che i reati ambientali sono ora ricompresi nel novero dei reati presupposto per l’applicazione delle sanzioni amministrative all’azienda. Purtroppo il Legislatore non ha mai regolamentato l’attribuzione della delega ambientale, come invece accaduto nell’ambito del-
La delega di funzioni da parte del soggetto tenuto ad adempimenti in campo ambientale, ove non espressamente esclusa, deve ritenersi ammessa con i seguenti limiti e condizioni: a) che essa risulti da atto scritto recante data certa; b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate; e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto. Alla delega deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità. La delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. L’obbligo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello organizzativo previsto dal Dlgs 231/2001. Il soggetto delegato può, a sua volta, previa intesa con il delegante, acquisire specifiche funzioni in materia ambientale alle medesime condizioni previste per la delega principale. Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate. Non si capisce sinceramente perché il Legislatore abbia inteso lasciare completamente senza regole questo tipo di regolamentazione degli assetti societari, anche tenendo conto del fatto che le scritture ambientali (formulari e registri soprattutto), non vengono mai gestiti sotto il diretto controllo dell’organo amministrativo, che però ne risponde pienamente, sia dal punto di vista penale che amministrativo. La regolamentazione dell’attribuzione della delega di funzioni appare pertanto un provvedimento così semplice, ma contemporaneamente efficace, da non poter più essere differito.
RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 200-201 (11-12/12)
Il Dlgs 152/2006 e i successivi interventi legislativi hanno lasciato un incomprensibile vuoto nell’ambito della delega di funzioni. Come noto con questo strumento è possibile che il soggetto tenuto all’adempimento di un obbligo in campo ambientale possa trasferire tale incombente a carico di un altro soggetto, il quale ne diventa responsabile anche penalmente. Si tratta di un concetto e di uno strumento ampiamente conosciuto e ammesso dalla giurisprudenza della Cassazione, che costituisce l’attuazione di un sistema di governance aziendale divenuto assolutamente necessario nelle aziende di medio-grandi dimensioni e in quelle la cui attività comporta rischi ambientali rilevanti indipendentemente dal numero di addetti impiegati.
la sicurezza sul lavoro con il Dlgs 81/2008: si tratta di disposizioni semplici, che però consentono di stabilire regole certe per l’attribuzione e la gestione di uno strumento così importante come la delega di funzioni, potendosi anche prevedere casi espliciti di esclusione dalla possibilità di attribuire la delega, escludendo alcune categorie di aziende o alcuni adempimenti particolari, posto che la regola è il libero trasferimento delle funzioni. Mutuando la normativa già predisposta nel campo della sicurezza, diviene semplice disegnare i requisiti di validità della delega ambientale.
L’intervento Servizi pubblici locali
ritorio: altro è prevedere forme di controllo maggiori per le società che operano con questo tipo di affidamenti; • il servizio pubblico di regola deve essere sotto il controllo della Pubblica amministrazione affidataria. La regola non può essere la privatizzazione del servizio; • il criterio di affidamento in base a gara a evidenza pubblica non può essere il massimo ribasso, che comporta necessariamente e sempre uno scadimento della qualità dei servizi. L’offerta economicamente più vantaggiosa deve privilegiare la qualità del servizio in rapporto alla tariffa praticata; • nel servizio di raccolta, trasporto e smaltimento rifiuti deve essere imposto un livello minimo elevato di raccolta differenziata e l’incremento della differenziata deve essere legato ad una diminuzione dei costi tariffari; • vanno reintrodotte le incompatibilità a ricoprire la carica di amministratore di società che gestiscono servizi pubblici locali per chi ricopre o ha ricoperto nei tre anni precedenti cariche elettive o comunque nell’ambito delle amministrazioni locali.
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