RIFIUTI
maggio 2012 mensile
n. 195 (05/12) Euro 20,00
Registrazione Tribunale di Milano n. 451 del 22 agosto 1994. Poste italiane spa – Spedizione in abbonamento postale – Dl 353/2003 (conv. in legge 46/2004) articolo 1, comma 1, DCB Milano
bollettino di informazione normativa Speciale terre e rocce L’intervento
La prospettiva della Provincia di Milano
pag. 4
di Piergiorgio Valentini e Raffaella Quitadamo
Gli adempimenti dei cantieri edili
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di Roberto Caporali
Terre e rocce da scavo tra Mps e sottoprodotti
16
di Pasquale Fimiani
Terre e rocce da scavo, proviamo a fare il punto
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di Alessandro Geremei
Problemi e opportunità nel complesso mondo della discarica
34
di Sergio Baroni, Marco Rambaldi e Federico Foschini
Gli inerti: quadro di confronto tra le legislazioni regionali
41
di Valentina Ghione, Antonella Perosa, Giulia Garavaglia e Elena Airaghi
Legislazione norme nazionali Il recupero agevolato
Dm 5 febbraio 1998 Il “Codice ambientale”
Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 Il Dl “terre e rocce”
Decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 Il Dl “materiali di riporto”
Decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2
il commento di Alice Colleoni e Fabio Todarello
Giurisprudenza
Le principali sentenze su terre e rocce da scavo e inerti
61 61 68 68 69 74
di Lavinia Basso
Rubriche Quesiti
78
Focus 231 Ambiente
82
Pneumatici fuori uso
85
Osservatorio Raee
86
a cura di Paola Ficco e Roberto Montali a cura di Pasquale Fimiani a cura di Ecopneus
a cura di Maria Letizia Nepi
Edizioni Ambiente
La
gestione delle terre e rocce da scavo e dei rifiuti inerti da costruzione demolizione è uno tra i temi più delicati presenti nello scenario normativo nazionale. Da sempre a cavallo tra “rifiuti” e “non rifiuti” e oggetto di norme particolari, di interpretazioni (molto spesso) più che fantasiose, (soprattutto) terre e rocce rappresentano il paradigma della complessità per eccellenza che impronta il settore della gestione dei rifiuti in Italia. Una complessità che non risiede nella disciplina comunitaria sui rifiuti ma esclusivamente nel sistema nazionale che l’ha recepita. Lo ha ricordato la Corte di Giustizia Ue quando, con sentenza 18 dicembre 2007 (C-194/05), ha condannato l’Italia per aver escluso, con la “legge Lunardi” (443/2001), dal campo di applicazione della disciplina sui rifiuti terre e rocce destinate all’effettivo riutilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati (con esclusione di quelle provenienti da siti inquinati e da bonifiche). Tra le varie argomentazioni a sostegno della sua posizione, il Governo italiano evidenziava il problema dei costi perché “l’applicazione del regime dei rifiuti significherebbe che le imprese che garantiscono lo smaltimento dei rifiuti o quelle autorizzate a trasportarli o a raccoglierli dovrebbero partecipare alle attività in questione, il che potrebbe incrementarne notevolmente i costi”. Una strategia perdente, alla quale la Corte di Giustizia replicava seccamente asserendo che “l’origine di tale situazione è da ricercare nella normativa italiana e non nella direttiva” (punto 56). Un’affermazione pesantissima e, purtroppo, molto vera. Nel paese del (finto) garantismo, del proliferare delle Authority, dell’ipertrofia normativa, delle infinite Autorità pubbliche a tutela dell’ambiente, si è fatto (e si fa) di tutto per rendere labirintica e quasi lunare una disciplina così importante e che, di base, non sarebbe neanche difficile. Ma l’infinità delle derive interpretative ed applicative conduce, ormai quasi sempre, dinanzi ad un Giudice. Quasi come se il sistema avesse smarrito la normale capacità di condursi autonomamente, nel rispetto delle regole. Il problema, però, è proprio questo. Quali regole? Le troppe regole dietro alle quali si nasconde una imperfetta capacità compilativa dove, per non assumersi responsabilità, si lascia spesso tutto nel vago, rinviando all’ultimo anello della catena (l’impresa) l’onere di districarsi nel coacervo infinito di leggi, decreti, norme regionali, sentenze, circolari, note, risposte telefoniche. La legislazione sui rifiuti è (ancora) rela-
tivamente giovane, eppure sembra soffrire di un malessere costante: la confusione. Un malessere che induce nei suoi destinatari (pubblici e privati) la difficoltà di organizzare il pensiero in percezioni coerenti. Nel tentativo di colpire i “cattivi” e di consentire ai “buoni” di operare, nel consueto ripetersi del gioco di guardie e ladri che si faceva da bambini, il sistema di gestione di terre e rocce da scavo e degli inerti con le sue disarmonie, le incognite e le contraddizioni, appare una specie di frattale (la forma geometrica che ripete la sua struttura sempre uguale, ma su scale diverse; si pensi al cavolfiore) che, con altre combinazioni di geometrie variabili, invade la gestione di altre tipologie di rifiuti in un accumulo di combinazioni. Insomma, la gestione dei rifiuti in Italia è difficile, e le norme sono pletoriche, capaci di curare il neo ma non il tumore. Questo è grave, perché soprattutto in un clima di debolezza economica, la poca chiarezza dell’apparato normativo e la confusione che ne deriva offrono facilmente il destro all’elusione. La Provincia di Milano ha voluto, sul tema delle terre e rocce da scavo e degli inerti da demolizione, fare chiarezza con un apposito Convegno che si svolgerà il prossimo 14 giugno a Milano. Questo numero della Rivista ne rappresenta la documentazione legislativa e dottrinaria di riferimento. Una documentazione che fa il punto con due obiettivi precisi: – il primo, rendere evidente al legislatore centrale e periferico la complessità di una situazione che deve essere razionalizzata. Si è a conoscenza dell’emanando Dm su terre e rocce e della loro possibile qualifica di sottoprodotti. Uscirà, ma il livello di dettaglio che reca gioverà a pochi; – il secondo, aiutare le imprese a uscire dall’autoinganno gestionale, cioè da quel sistema immunitario della condotta che le induce a tranquillizzarsi in ordine a quanto fanno, magari manipolando fatti e nozioni, inibendosi così il pensiero razionale. A tutto svantaggio del proprio futuro. Il successo di “Rifiuti-Bollettino di informazione normativa” è proprio questo: restituire una forma di sapere che, sul fronte dei rifiuti, disinnesca il meccanismo dell’autoinganno gestionale, cioè di quel dispositivo mentale che colpisce i sistemi della conoscenza, alimentando i fraintendimenti, i quali aumentano con l’aumentare del contenuto economico e sociale di una qualsiasi disciplina. Paola Ficco
Premessa
L’intervento
La prospettiva della Provincia di Milano RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 195 (05/12)
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di Piergiorgio Valentini Direttore Area qualità dell’ambiente ed energia Provincia di Milano e Raffaella Quitadamo Responsabile Servizio giuridico-amministrativo rifiuti e bonifiche Provincia di Milano
Link di approfondimento Seminario di formazione di Reteambiente sui rifiuti “Rifiuti: aggiornamento (e ripasso) delle nozioni fondamentali per la loro gestione; criticità e possibili soluzioni Milano, lunedì 14 maggio 2012
È abbastanza comune, soprattutto ad un attento osservatore del paesaggio che attraversa i Comuni di prima e seconda cintura della metropoli milanese, notare la presenza di ampie e alte “colline” artificiali. Questa morfologia collinare è costituita da materiali ottenuti dalla lavorazione dei rifiuti, prevalentemente provenienti da demolizione ma anche da terre e rocce da scavo, fresati di asfalto e simili. È presumibile che l’osservatore, dopo un primo momento di stupore, si chieda come mai così tanto materiale, in questi luoghi ed in questo momento. La domanda sembra trovare una prima e logica risposta nel fatto che gli operatori del settore, attenti alle evoluzioni e richieste del mercato che bene conoscono, si attendano un aumento della richiesta di tali materiali in vista della realizzazione delle numerose opere e infrastrutture pubbliche previste per i prossimi anni; in particolare, il loro uso potrebbe riguardare i rilevati stradali e le opere di bonifica e recupero ambientale. L’impressione è che, invece, ci sia una stagnazione nell’utilizzo di questo materiale. La difficoltà nell’impiego di tale materiale sembra legata alla regolamentazione tecnica di riferimento (Dm 5 febbraio 1998) che, pur essendo stata integrata e modificata nel corso degli anni, non è ancora in grado di fornire modalità operative e gestionali precise agli operatori del settore (recuperatori ed utilizzatori) che garantiscano la corretta applicazione delle norme, rendendo, quindi, meno agevole anche il compito di controllo per gli Enti e gli organi competenti. Recenti precisazioni fornite dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno ribadito che l’utilizzo dei materiali provenienti dall’attività di recupero definita dal punto 7.1.3 – lettera a), qualora destinati ad essere impiegati per il recupero ambientale o la formazione di rilevati e sottofondi stradali [punto 7.1.3 – lettere b) e c)], è assoggettato ad ulteriore comunicazione di inizio attività ai sensi degli articoli 214 – 216 del Dlgs 152/2006, in quanto ancora classificati come rifiuti; ma tali pecisazioni non appaiono completamente esaustive e chiarificatrici. Sarebbe infatti necessaria l’emanazione, e la conseguente adozione da parte dello Stato, di precisi, condivisi e riconosciuti riferimenti tecnici, quali possono essere le norme armonizzate (Uni En), che prevedano anche garanzie sulla provenienza/tracciabilità di detti materiali. Ad oggi, riguardo all’utilizzo di materiali riciclati, risulta emanata la sola norma per la produzione di “aggregato riciclato” (Uni En 12620:2004) per il “confezionamento di calcestruzzi” secondo la norma Uni 8520-2. Risulta inoltre che alcune Regioni e Province autonome hanno emanato una regolamentazione sulla specifica materia riguardante sia le caratteristiche dei rifiuti da sottoporre a trattamento sia il loro utilizzo finale; tali provvedimenti, pur se finalizzati ad aiutare gli operatori ad interpretare correttamente la norma, di fatto generano confusione in quanto delineano differenti percorsi procedurali, non garantendo uniformità di applicazione su tutto il territorio nazionale. Conseguentemente, la mancata certezza di ottenere dalle operazioni di recupero dei rifiuti da costruzione e demolizione, materiali riciclati da utilizzarsi in rilevati e sottofondi stradali, comporta uno scarso impiego degli stessi e in particolare, la disapplicazione da parte degli Enti pubblici e delle Società a prevalente capitale pubblico anche di gestione servizi, della normativa che li obbliga a coprire il fabbisogno annuale di manufatti e beni con una quota
La situazione lombarda
In questo periodo in Regione Lombardia sono in corso, o inizieranno a breve, lavori per la realizzazione di grandi opere ed infrastrutture (Expo, Tangenziale esterna milanese, BreBeMi, opere connesse, eccetera) che potrebbero assorbire ingenti quantitativi di materiali riciclati da utilizzarsi principalmente come rilevati e sottofondi stradali, ma anche come aggregati per la produzione di conglomerati cementizi e bituminosi. L’impiego di tali aggregati, aventi identiche caratteristiche chimico-fisiche e geotecniche rispetti ai materiali di cava naturale, porterebbe diversi benefici ambientali quali la diminuzione delle materie prime escavate, con conseguente risparmio economico, oltre alla diminuzione della necessità di realizzare le cd. “cave di prestito” che incidono in maniera importante sugli aspetti paesaggistico e ambientale.
La norma citata definisce infatti i criteri in base ai quali un materiale perde la qualifica di rifiuto. Introduce, in sostanza, un metodo di classificazione che confrontato con la previgente nozione di materia prima seconda ne ridefinisce l’ambito operativo fissandone nuovi confini. Il rinvio per la concreta operatività ad una successiva disciplina tecnica di carattere innanzitutto europeo e poi ministeriale, rende quantomeno difficoltosa l’applicabilità della norma.
Nel rispetto dei parametri tassativamente elencati nell’articolo 184-ter del Dlgs 152/2006 e della normativa tecnica suindicata, quando i materiali da demolizione derivanti da un processo di recupero rifiuti possano essere considerati Mps/End of waste? La giurisprudenza ha avuto più volte occasione di pronunciarsi sul punto, focalizzando molto spesso l’attenzione sul concetto di effettiva ed oggettiva destinazione al riutilizzo, in linea con la nozione di recupero introdotta dal Dlgs 3 dicembre 2010, n. 205, ove viene espressamente previsto che l’elenco delle operazioni di cui all’allegato C al Dlgs 152/2006 non è esaustivo (Cass. penale, sentenza 1° giugno 2011, n 21859) e ricollegando il concetto di recupero alla possibilità che i residui possano svolgere un ruolo utile. Posta la necessità del completamento delle operazioni di recupero sancita dall’articolo 184-ter del Dlgs 152/2006, intimamente connessa all’effettività e oggettività dell’utilizzo nei cicli di consumo o di produzione una così rilevante presenza di cumuli di “materiali riciclati” non può che destare perplessità e presentarsi come uno dei più rilevanti elementi di criticità. Il profilo più delicato è, quindi, accertare, analizzando l’intero ciclo di recupero praticato dalle imprese e la normativa specifica di settore quando si è in presenza di un materiale recuperato e quando invece residuano ancora margini di applicazione della disciplina dei rifiuti, nell’attesa di un intervento chiarificatore ministeriale o comunitario che possa anche concorrere a riportare la morfologia dell’area metropolitana alle originarie condizioni di pianura.
RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 195 (05/12)
Per cercare di analizzare i termini del fenomeno così descritto, probabilmente il punto che va approfondito è se la nuova nozione di “cessazione della qualifica di rifiuto” di cui all’articolo 184-ter, Dlgs 152/2006, cioè quella che si è affermata a livello comunitario con la direttiva 2008/98/Ce sui rifiuti come categoria End of waste sia applicabile (e come) a tali materiali.
In base al comma 2 dell’articolo 184-ter, Dlgs 152/2006, nelle more dell’adozione di uno o più decreti ministeriali di attuazione della nuova norma sull’End of waste continuano ad esistere nel sistema giuridico italiano, accanto alle Mps (ex Dm 5 febbraio 1998, Dm 12 giugno 2002, n. 161 e Dm 17 novembre 2005, n. 268), anche le Mps ex articolo 9-bis, lettera a), Dlgs 6 novembre 2008, n. 172 convertito con modificazioni, nella legge 30 dicembre 2008, n. 210, in relazione alle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208 e 209 del Dlgs 152/2006.
L’intervento Il punto della Provincia di Milano
di prodotti ottenuti da materiale riciclato nella misura non inferiore al 30% del fabbisogno medesimo (Dm 8 maggio 2003, n. 203). Senza contare che tra gli obiettivi del Dlgs 152/2006, articolo 181, comma 1, lettera b) è previsto, entro il 2020, l’aumento di “almeno al 70% in termini di peso” dell’utilizzo di tali materiali.
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Premessa
L’intervento
Gli adempimenti dei cantieri edili RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 195 (05/12)
di Roberto Caporali Responsabile Unità operativa tecnologia e innovazione – Assimpredil Ance
Nel complesso scenario della gestione dei rifiuti nel nostro paese il settore dell’edilizia, rispetto ad altri settori produttivi, ha maggiori difficoltà a governare tutti gli adempimenti amministrativi e procedurali previsti dalla normativa ambientale a causa dell’unicità del ciclo produttivo. Per poter inquadrare correttamente i problemi di questo settore bisogna innanzitutto considerare sin dall’inizio, cioè già in fase di progettazione, almeno i seguenti fattori al fine di “pianificare” in modo concreto/operativo tutte le fasi che riguardano la gestione dei rifiuti di cantiere: • committenza (lavori privati o lavori pubblici); • tipologia dei lavori (ex novo, ristrutturazione, manutenzione, pronto intervento ecc); • codici Cer (pericolosi o non pericolosi); • dimensioni/durata cantiere (piccolo, medio o grande ai fini del deposito nel luogo di produzione eccetera); • tipo di cantiere (temporaneo oppure cantiere mobile stradale); • contrattualistica con subappaltatori lavori specialistici; • gestori di rifiuti (autorizzazioni al trasporto, trattamento, smaltimento eccetera). Questi fattori sono fondamentali perché, al variare di un elemento, potrebbero cambiare le disposizioni da osservare e quindi ecco l’importanza nel prestare attenzione ai punti sopra elencati. Per il settore edile il Legislatore ha “classificato” e “codificato” i seguenti rifiuti: 1) sono classificati rifiuti speciali non pericolosi (1) i rifiuti derivanti dalle attività di (articolo 184, comma 3, lettera b), Dlgs 152/2006): • demolizione; • costruzione; • scavo (fermo restando quanto disposto dall’articolo 184‑bis); 2) sono codificati rifiuti al Capitolo 17 (Cer) i “Rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione (compreso il terreno proveniente da siti contaminati).” (allegato D al Dlgs 152/2006). A conferma del fatto che il già complesso scenario della gestione dei rifiuti si complica ancor più per il settore delle costruzioni si veda proprio la diversa terminologia utilizzata tra classificazione e codifica dei rifiuti edili. Chi deve applicare operativamente le norme di legge inizia ad essere “disorientato” già leggendo i diversi termini utilizzati in questi due ambiti. Classificazione
Codifica
Attività
Operazioni
Scavo (fermo restando… cioè rimandando alla definizione di Sottoprodotto – articolo 184‑bis)
Terreno proveniente da siti contaminati
Solo i termini demolizione e costruzione coincidono. Se poi teniamo in considerazione ciò che più volte ha ribadito la Corte di Giustizia europea (e riportato, a seguito del recepimen-
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(1) I rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione e scavo essendo classificati rifiuti speciali non pericolosi non possono essere assi-
milati ai rifiuti urbani pertanto, di norma, è vietato conferire detti rifiuti presso centri di raccolta – piazzole ecologiche comunali.
Per iniziare a “orientarsi” è indispensabile quindi sapere che, nell’ambito del “terreno” il Legislatore, con l’articolo 185, comma 1, lettere b) e c) del Dlgs 152/2006, ha “escluso” dall’ambito di applicazione dei rifiuti (cioè della Parte quarta del Dlgs 152/2006): • il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli articoli 239 e seguenti relativamente alla bonifica di siti contaminati; • il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato.
Questi due ambiti di esclusione unitamente alle matrice ambientale suolo erano già stati chiariti nel luglio del 2000 dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare con la Circolare UL/2000/10103: “(…) Infine, per quanto riguarda la possibilità di utilizzare direttamente le terre da scavo nel sito dove le stesse sono prodotte, si rileva che tale opzione per sua natura non comporta né un disfarsi nel senso sopra esposto né alcuna modifica qualitativa delle caratteristiche del sito. Si ritiene, perciò, che tale utilizzo non sia sottoposto al regime dei rifiuti…”. All’epoca detta circolare del Ministero fu contestata dalla giurisprudenza e dalla dottrina per motivi di contrasto normativo e per mancanza di forza legislativa. Dopo dodici anni però ritroviamo sia nella direttiva 2008/98/Ce sia nel citato articolo 185 gli stessi principi di esclusione. Pertanto, e con specifico riferimento alle terre e rocce da scavo non contaminate, solo se quest’ultime “escono” dal luogo di produzione (cioè sono trasportate fuori dal cantiere dove sono state scavate/prodotte) sono classificate “rifiuti speciali non pericolosi”. Tali rifiuti: • se non sono smaltiti in discariche autorizzate oppure • se non sono conferiti presso impianti (autorizzati con procedura ordinaria o semplificata) per il preventivo trattamento e possiedono caratteristiche tecniche/qualitative per poter essere utilizzate “direttamente” (senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale), possono essere impiegati tal quali per: – reinterri,
L’unica condizione è quella di rispettare le disposizioni dell’articolo 186 del Dlgs 152/2006. Con detta procedura le terre e rocce da scavo non contaminate perderanno la classificazione di rifiuto e acquisiranno quella di sottoprodotto (i tre ambiti di produzione e relative procedure per il riutilizzo sono illustrate molto chiaramente da Alessandro Geremei nell’intervento pubblicato a pag. 29 della presente Rivista. In merito all’articolo 186 è intervenuta, nel mese di marzo di quest’anno, la legge 27/2012 (di conversione del Dl 1/2012), che ha modificato l’articolo 39 del Dlgs 205/2010, e confermato che l’abrogazione dell’articolo 186 del Codice ambientale scatterà solo con l’entrata in vigore del decreto previsto dall’articolo 49 del citato Dl 1/2012 (e non più ai sensi dell’articolo 184‑bis, comma 2). La pubblicazione del citato decreto dovrà avvenire entro il 24 maggio 2012 e dovrà stabilire i criteri che le terre e rocce da scavo devono soddisfare per essere considerate “sottoprodotti”. Fornirà anche le procedure amministrative da osservare per poter utilizzare dette terre e rocce non contaminate. È bene precisare che le terre e rocce da scavo non contaminate, qualora non utilizzate come sottoprodotti, nel rispetto delle condizioni di cui all’articolo 186 del Dlgs 152/2006 (e in futuro nel rispetto del nuovo Dm), sono sottoposte alle disposizioni in materia di rifiuti di cui alla Parte quarta del citato decreto. Se invece le terre e rocce da scavo sono contaminate è obbligatorio attivare le procedure di bonifica secondo quanto disposto dal Titolo V del Dlgs 152/2006 (articoli 239‑253). La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto. Quindi, ad esempio, il materiale proveniente da demolizione rimarrà classificato rifiuto fino a quando cesserà di essere tale grazie alle attività di trattamento. Considerato che nei cantieri spesso ci si avvale di ditte per l’esecuzione di opere specialistiche (cioè ditte subappaltatrici) quest’ultime sono considerate, a tutti gli effetti, produttori di rifiuti anche se operano nei cantieri di terzi. Pertanto è opportuno inserire nei contratti stipulati tra imprese committenti e ditte subappaltatrici una clausola che stabilisca che “la raccolta, il trasporto, lo smaltimento/recupero dei rifiuti prodotti da dette ditte nei cantieri dei committenti devono, ai sensi dell’articolo 188 comma 2 del Dlgs 152/2006, essere eseguiti a loro cura e spese.”. Va ricordato che, secondo il combinato disposto degli articoli 188‑ter, comma 2, lettera a), articolo 184 comma 3, lettere c) d) e g) nonché l’articolo 190, comma 1 del Dlgs 152/2006, sia la produzione sia il trasporto in conto proprio di rifiuti non pericolosi provenienti da attività di demolizione, costruzione e scavo sono escluse dall’obbligo di tenuta di registro di carico e scarico rifiuti e Mud (in futuro comunicazione Sistri), a prescindere dal numero dei dipendenti dell’impresa.
RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 195 (05/12)
Recentemente, sulla Gazzetta ufficiale n. 71 del 24 marzo 2012, è stata pubblicata la legge 24 marzo 2012, n. 28 (di conversione del Dl 2/2012) che fornisce l’interpretazione autentica del citato articolo 185 del Codice ambientale chiarendo che “i riferimenti al “suolo” contenuti all’articolo 185, comma 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo (…)”.
– riempimenti, – rimodellazioni, – rilevati, – interventi di miglioramento ambientale e di siti anche non degradati, – nei processi industriali in sostituzione dei materiali di cava.
L’intervento Adempimenti cantieri
to della direttiva 94/3/Ce, nell’allegato A2 – nota introduttiva del Cer – del Dlgs 22/1997) e cioè che “un materiale non può essere considerato rifiuto per la semplice appartenenza nell’elenco, ma dovrà soddisfare la definizione di rifiuto” (dovrà quindi trattarsi di un materiale di cui il produttore-detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi), risulta evidente che l’ambito e le disposizioni normative sono tutt’altro che chiare per chi deve operare quotidianamente nei cantieri.
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1. Premessa
L’intervento
Terre e rocce da scavo tra Mps e sottoprodotti RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 195 (05/12)
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di Pasquale Fimiani Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione
Link di approfondimento Per un approfondimento: “Rifiuti, sottoprodotti e Mps: commento ai nuovi articoli 184-bis e 184-ter)” (F. Anile, Rivista Rifiuti, n. 180-181, p. 38)
Due recenti interventi normativi ripropongono la questione dell’inquadramento sistematico delle terre e rocce da scavo. Il primo è rappresentato dal Dl 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, che, all’articolo 49, come modificato dalla legge di conversione, ha così disposto: “L’utilizzo delle terre e rocce da scavo è regolamentato con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. 1-bis. Il decreto di cui al comma precedente, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, stabilisce le condizioni alle quali le terre e rocce da scavo sono considerate sottoprodotti ai sensi dell’articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006. 1-ter. All’articolo 39, comma 4, del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, il primo periodo è sostituito dal seguente: ‘Dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui all’articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, è abrogato l’articolo 186 ’. 1-quater. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. A sua volta, il Dl 25 gennaio 2012, n. 2, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, legge 24 marzo 2012, n. 28, all’articolo 3, come sostituito dalla legge di conversione, commi da 1 a 4 ha così disposto: “1. Ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al ‘suolo’ contenuti all’articolo 185, commi 1, letterare b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo. 2. Ai fini dell’applicazione del presente articolo, per matrici materiali di riporto si intendono i materiali eterogenei, come disciplinati dal decreto di cui all’articolo 49 del decretolegge 24 gennaio 2012, n. 1, utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all’interno dei quali possono trovarsi materiali estranei. 3. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 2 del presente articolo, le matrici materiali di riporto, eventualmente presenti nel suolo di cui all’articolo 185, commi 1, letterare b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono considerate sottoprodotti solo se ricorrono le condizioni di cui all’articolo 184-bis del citato decreto legislativo n. 152 del 2006. 4. All’articolo 240, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo la parola: ‘suolo’ sono inserite le seguenti: ‘, materiali di riporto’”. Il sistema nel quale si inserisce la prima norma è quello conseguente al Dlgs 205/2010 per il quale: • l’articolo 186 Tu disciplina le condizioni di utilizzo delle terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ottenute quali sottoprodotti; • tale disciplina ha natura transitoria, poiché, come previsto dall’articolo 39, comma 4, del Dlgs 205/2010, nella versione originaria, “dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui all’articolo 184-bis, comma 2, è abrogato l’articolo 186”; • il decreto ministeriale di cui all’articolo 184-bis, comma 2, è quello – adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del ter-
Rispetto a tale sistema viene, sostanzialmente, introdotta una fonte speciale in materia di disposizioni regolamentari relative alle condizioni alle quali le terre e rocce da scavo sono considerate sottoprodotti, poiché l’emanando decreto ministeriale, sostitutivo delle previsioni dell’articolo 186 Codice ambientale, dovrà essere adottato non più ai sensi dell’articolo 184-bis, comma 2, Codice ambientale, ma ai sensi dell’articolo 49 del Dl 24 gennaio 2012, n. 1, come modificato dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27. L’impostazione, quanto al resto, rimane peraltro immutata. La seconda norma costituisce un ampliamento del concetto di suolo presente nell’articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, secondo cui:
Rinviando, per quanto concerne il concetto di “materiali di riporto” e la sua portata, ad altri interventi nel presente numero della Rivista, può affermarsi che l’impianto di sistema in tema di terre e rocce da scavo non è stato modificato, per cui, fino all’entrata in vigore dell’emanando decreto ministeriale, sostitutivo delle previsioni dell’articolo 186 Codice ambientale, previsto dall’articolo 49 citato, si ripropongono le seguenti questioni interpretative: • ambito di applicabilità della esclusione dal campo di applicazione della Parte quarta (quindi sia dalla disciplina sui rifiuti sia da quella sul sottoprodotto) per le attività di scavo e riutilizzo di suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale nello stesso sito in cui è stato escavato; • inquadramento sistematico e relativa disciplina dell’utilizzo in sito diverso da quello in cui è stato escavato del suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale. Nella prima ipotesi si tratta di individuare la portata dell’articolo 185, comma 1, lettera c) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Nella seconda viene in evidenza il comma 4 della stessa norma, il quale detta criteri logici di priorità nell’esame delle varie fattispecie, dovendosi fare riferimento, nell’ordine, • all’articolo 183, comma 1, lettera a), cioè se si sia in presenza di un rifiuto; • all’articolo 184-bis, cioè se si sia in presenza di un sottoprodotto;
“7.31-bis Tipologia: terre e rocce di scavo [170504]. 7.31-bis.1 Provenienza: attività di scavo. 7.31-bis.2 Caratteristiche del rifiuto: materiale inerte vario costituito da terra con presenza di ciotoli, sabbia, ghiaia, trovanti, anche di origine antropica. 7.31-bis.3 Attività di recupero: a) industria della ceramica e dei laterizi [R5]; b) utilizzo per recuperi ambientali (il recupero è subordinato all’esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al presente decreto) [R10]; c) formazione di rilevati e sottofondi straDl (il recupero è subordinato all’esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al presente decreto) [R5]. 7.31-bis.4 Caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti: prodotti ceramici nelle forme usualmente commercializzate”. La stessa questione si pone per marmi e pietre a seguito del Dl 30 dicembre 2008, n. 208 (Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, legge 27 febbraio 2009, n. 13), che ha aggiunto all’articolo 186 il comma 7-ter per il quale “ai fini dell’applicazione del presente articolo, i residui provenienti dall’estrazione di marmi e pietre sono equiparati alla disciplina dettata per le terre e rocce da scavo. Sono altresì equiparati i residui delle attività di lavorazione di pietre e marmi derivanti da attività nelle quali non vengono usati agenti o reagenti non naturali. Tali residui, quando siano sottoposti a un’operazione di recupero ambientale, devono soddisfare i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispettare i valori limite, per eventuali sostanze inquinanti presenti, previsti nell’Allegato 5 alla parte IV del presente decreto, tenendo conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente derivanti dall’utilizzo della sostanza o dell’oggetto”. Orbene, in tema di recupero, di pietre e marmi destinati alla formazione di rilevati e sottofondi stradali parla anche il Dm 5 febbraio 1998, all’allegato 1), suball. 1), par. 12.3 e 12.5, che recitano:
RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 195 (05/12)
“1. Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarticolo del presente decreto: b) il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli articoli. 239 e ss. relativamente alla bonifica di siti contaminati; c) il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato; (…) 4. Il suolo escavato non contaminato e altro materiale allo stato naturale, utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati, devono essere valutati ai sensi, nell’ordine, degli articoli 183, comma 1, lettera a), 184-bis e 184-ter”.
• all’articolo 184-ter, cioè se si sia in presenza non di un sottoprodotto, ma di un rifiuto soggetto ad attività di recupero in relazione al quale occorre verificare la sussistenza delle condizioni per la configurabilità della cd. “End of Waste”. L’alternativa tra le ipotesi sub b) e c) si presenta particolarmente problematica in tema di terre e rocce da scavo, in quanto le stesse sono previste non soltanto come ipotesi speciali di sottoprodotto, secondo il combinato disposto di cui agli articoli 186 e 184-bis Tu, ma anche quale tipologia di rifiuto recuperabile. Ed infatti, il Dm 5 febbraio 1998, all’allegato 1), suball. 1), par. 7-31-bis, come modificato dal Dm 5 aprile 2006, n. 186, prevede:
L’intervento Terre e rocce tra Mps e sottoprodotto
ritorio e del mare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, in conformità a quanto previsto dalla disciplina comunitaria – con il quale, sulla base delle condizioni previste al comma 1 (cioè quelle per cui una sostanza è un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a)) possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze od oggetti siano considerate sotto prodotti e non rifiuti.
“12.3. Tipologia: fanghi e polveri da segagione e lavorazione pietre, marmi e ardesie [010202] [010403] [010406]. 12.3.1. Provenienza: lavorazione materiali lapidei di natura calcarea. 12.3.2. Caratteristiche del rifiuto: fanghi contenenti oltre l’85% di carbonato di calcio sul secco. 12.3.3. Attività di recupero: previa eventuale disidratazione, essiccamento, vagliatura, frantumazione, micronizzazione: a) produzione conglomerati cementizi [R5]; b) cementifici [R5]; c) industria cartaria [R5]; (segue)
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Premessa
L’intervento
Fra gli impianti di smaltimento e recupero di rifiuti le discariche sono, senza ombra di dubbio, la tipologia che in maniera più rilevante interagisce con la gestione di terre e rocce da scavo e altri materiali inerti di recupero. Le discariche infatti sono impianti che, ad eccezione dei materiali artificiali utilizzati in alcuni casi per le impermeabilizzazioni e per la gestione del percolato, sono: • realizzate a contatto con il terreno; • costruite con l’utilizzo di terre di vario genere e caratteristiche; • gestite e ricoperte utilizzando, fra l’altro, terre insieme con altri materiali. A loro volta, in discarica vengono conferite terre e rocce da scavo e/o altri materiali inerti qualora si configurino come rifiuti e siano contaminati.
Problemi e opportunità nel complesso mondo della discarica RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 195 (05/12)
di Sergio Baroni Direttore servizi operativi Herambiente Spa Marco Rambaldi e Federico Foschini Direzione servizi operativi Herambiente Spa
Si ringraziano i Colleghi delle strutture gestione e ingegneria di processo della filiera discariche di Herambiente Spa per la documentazione e le informazioni messe a disposizione
Una grande sinergia, quindi, che determina opportunità e possibilità di ottimizzazione, da un lato, per ridurre il consumo di materiali di cava o materie prime non sempre reperibili a prezzi congrui e, dall’altro, consente il recupero di materiali di scarso valore economico e difficili da collocare quando presenti in quantità rilevanti. Tutto ciò assumendo a riferimento l’inquadramento normativo che regolamenta i materiali in questione e la possibilità, con particolare riguardo all’articolo 186, Dlgs 152/2006, della loro gestione al di fuori della disciplina sui rifiuti e, allo stesso tempo, il fatto che gli stessi materiali possono essere recuperati allo stesso scopo a valle di interventi di bonifica/decontaminazione. Nel presente articolo vengono, quindi, trattate in modo integrato le diverse tematiche accennate e precisamente: • l’utilizzo di terre, rocce e altri materiali inerti equivalenti per la realizzazione delle discariche; • l’utilizzo di terre e rocce e altri materiali inerti equivalenti per la gestione ordinaria e la copertura finale delle discariche; • la valutazione di queste possibilità/opportunità con materiali esclusi dalla disciplina sulla gestione dei rifiuti ovvero considerati rifiuti a tutti gli effetti; • il recupero di terre e rocce da scavo da destinare a recupero per le attività sopracitate a valle di interventi di trattamenti di bonifica/decontaminazione; • lo smaltimento di terre, rocce e altri materiali inerti qualificati come rifiuti in discariche appositamente realizzate. Lo schema di Figura 1 esemplifica in termini di flussi l’elencazione dei temi sopracitata.
Terre e rocce da scavo in discarica tra rifiuti e “non rifiuti”
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La trattazione inizia dalla terza tematica sopracitata, che per molti aspetti è dirimente rispetto all’utilizzo o meno di terre e rocce da scavo per gli interventi e le attività sopracitate e, in uno scenario estremo ma non fantastico, lo stesso materiale se qualificato come terra e roccia da scavo (non rifiuto ai sensi dell’articolo 186, Dlgs 152/2006) viene utilizzato come materia “prima” per realizzare o gestire una discarica ovvero recuperato per gli stessi obiettivi, mentre se qualificato come rifiuto viene “smaltito” ovvero “recuperato” nella stessa discarica. L’articolo 186, Dlgs 152/2006 declina chiaramente le condizioni cui deve sottostare un terreno di scavo per essere escluso dalla disciplina sui rifiuti ed essere gestito come un qualsiasi altro materiale da costruzione.
Altri materiali inerti e/o alternativi equivalenti per esempio Fos, fanghi…
Smaltimento in discarica
Terreni di scavo da siti contaminati
Trattamento di decontaminazione
L’intervento Terre, inerti e discariche
Figura 1
Recupero
Materia “prima”
Terreni di cava e/o da siti dedicati
Materiali per la realizzazzione, gestione e copertura discariche No rifiuti ex articolo 186
Terre e rocce da scavo da siti non contaminati Scavi da aree industriali o infrastrutture
Recupero Rifiuti
Altri rifiuti inerti
“1. (omissis) Le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ottenute quali sottoprodotti, possono essere utilizzate per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati purché: a) siano impiegate direttamente nell’ambito di opere o interventi preventivamente individuati e definiti; b) sin dalla fase della produzione vi sia certezza dell’integrale utilizzo; c) l’utilizzo integrale della parte destinata a riutilizzo sia tecnicamente possibile senza necessità di preventivo trattamento o di trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e, più in generale, ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli ordinariamente consentiti ed autorizzati per il sito dove sono destinate ad essere utilizzate; d) sia garantito un elevato livello di tutela ambientale; e) sia accertato che non provengono da siti contaminati o sot-
Smaltimento in discarica per inerti
RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 195 (05/12)
Scavi da interventi di edilizia civile
toposti ad interventi di bonifica ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto; f) le loro caratteristiche chimiche e chimico-fisiche siano tali che il loro impiego nel sito prescelto non determini rischi per la salute e per la qualità delle matrici ambientali interessate ed avvenga nel rispetto delle norme di tutela delle acque superficiali e sotterranee, della flora, della fauna, degli habitat e delle aree naturali protette. In particolare deve essere dimostrato che il materiale da utilizzare non è contaminato con riferimento alla destinazione d’uso del medesimo, nonché la compatibilità di detto materiale con il sito di destinazione; g) la certezza del loro integrale utilizzo sia dimostrata.” (omissis) Qualora non siano rispettate le condizioni indicate dall’articolo 186 citato, le terre e rocce da scavo non sono considerate rifiuti solo se provenienti da cave e/o siti dedicati allo scopo ovve-
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Giurisprudenza
Le principali sentenze su terre e rocce da scavo e inerti a cura di Lavinia Basso Redazione ReteAmbiente RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 195 (05/12)
Anno
Pronuncia
2006
Corte di Cassazione Sentenza 29 novembre 2006, n. 39369 Esclusione dal regime dei rifiuti previsto per le terre e rocce da scavo – Applicabilità ai materiali da demolizione – Non sussiste I materiali inerti da demolizione sono differenti da terre e rocce da scavo (quest’ultime escluse dal regime dei rifiuti in base alla legge 443/2001 ed al Dlgs 152/2006) e vanno considerati rifiuti speciali. L’esclusione dal regime dei rifiuti prevista per le terre da scavo dall’interpretazione autentica ex legge 443/2001 – attualmente ripro‑ dotta nell’articolo 186 del Dlgs 152/2006 – non ha alcun riferimento alla “terra mista ad asfalto, ferro, betonelle per marciapiedi, paletti in cemento precompresso”, i quali sono rifiuti speciali da demolizione, sia ex articolo 7 del Dlgs 22/97 sia ex articolo 184 del “nuovo” Dlgs 152/2006. Viene così ribadita la corrente giurisprudenziale maggioritaria (sentenze Cassazione 2611/2002 e 35002/2003) basata sulla “specifici‑ tà” della disciplina sui rifiuti, parzialmente contrastata dalla sentenza 37508/2003 secondo cui la differenza tra le due tipologie di mate‑ riali non impone una diversità di trattamento.
2007
Corte di Cassazione Sentenza 15 maggio 2007, n. 23788 Rifiuti – Terre e rocce da scavo – Dlgs 152/2006 – Natura della disciplina – Norme di carattere eccezionale – Interpretazione analogica – Esclusa L’articolo 186, Dlgs 152/2006 costituisce norma eccezionale rispetto alla disciplina generale sui rifiuti. L’esclusione delle terre e rocce da scavo dalla disciplina dei rifiuti, condizionata alla sussistenza di precisi requisiti, non è quindi applicabile in via analogica e ciò ai sen‑ si degli articoli 12 e 14 delle preleggi. Nel caso di specie, la Corte ha affermato che i residui di asfalto e i conglomerati bituminosi non sono assimilabili alle terre e rocce da scavo, non ricorrendo, nella fattispecie, le condizioni previste dalla legge.
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Sentenza 19 giugno 2007, n. 23787 Materiali provenienti dallo scavo delle strade – Disciplina ex Dlgs 152/2006 – Natura di rifiuti – Sussiste – Assimilazione alle terre e rocce da scavo ex articolo 186, medesimo Dlgs – Esclusa Non sono assimilabili alle “terre e rocce da scavo” (e non beneficiano, dunque, della relativa disciplina di favore ex Dlgs 152/2006) i ma‑ teriali provenienti dallo scavo delle strade. La composizione degli inerti provenienti dallo scavo delle strade non rientrano nella categoria delle “terre e rocce da scavo” disegnata dall’articolo 186 del Dlgs 152/2006, in quanto non costituiti esclusivamente da ghiaia o terriccio, ma anche da pezzi di asfalto e calce‑ struzzo, qualificabili come rifiuti.
Pronuncia
(segue)
I materiali in parola, dunque, sono da considerarsi rifiuti speciali ex articolo 184, comma 5, lettera b), Dlgs 152/2006 e non è loro appli‑ cabile la speciale disciplina “in deroga” riservata ex articolo 186, Dlgs 152/2006 alle “terre e rocce da scavo” propriamente dette, disci‑ plina che consente – nel rispetto di determinate condizioni – di riutilizzarle direttamente in reinterri e riempimenti.
2007
Sentenza 13 settembre 2007, n. 34768 Rifiuti – Demolizione di manufatto – Necessità di autorizzazione – Non sussiste La demolizione di una nave produce rifiuti di diverse tipologie che, una volta prodotti devono essere gestiti in base alle norme sui rifiuti, ma l’attività di demolizione in sé non costituisce attività di gestione dei rifiuti e non richiede, quindi, il possesso delle relative autorizzazioni. Diversamente opinando ogni cantiere e ogni attività di demolizione, anche edile, dovrebbe essere considerata come attività di tratta‑ mento rifiuti e qualificati impianti per la gestione dei rifiuti. Sono invece rifiuti le parti inevitabilmente prodotte dalla demolizione, per le quali è necessaria la gestione in conformità a quanto previ‑ sto dalla normativa vigente.
Giurisprudenza Rassegna di giurisprudenza
Anno
Sentenza 16 ottobre 2007, n. 38514 Rifiuti – Materiali da demolizione – Recupero – Confine tra bene e rifiuto Il materiale proveniente da demolizioni edili è un rifiuto che resta tale fino al completamento delle attività di separazione e cernita. La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle operazioni di recupero, tra le quali l’articolo 183, let‑ tera h) del Dlgs 3 aprile 2006 n. 152 indica la cernita o la selezione. Inoltre, deve essere fornita la prova sia che detti materiali verranno tutti riutilizzati, sia che tale reimpiego avvenga in tempi certi, circo‑ stanze del tutto incompatibili con lo stato di abbandono dei rifiuti stessi per un periodo superiore all’anno.
2008
Corte Costituzionale Sentenza 14 marzo 2008, n. 62 Norme Provincia di Bolzano – Terre e rocce da scavo – Trasporti rifiuti speciali non pericolosi – Iscrizione Albo gestori ambientali – Autorizzazione impianti recupero e smaltimento rifiuti – Deroghe alla disciplina nazionale – Illegittimità Le esenzioni in materia di formulario, obbligo di iscrizione all’Albo, terre e rocce da scavo nonché la previsione di un’autorizzazione prov‑ visoria all’esercizio degli impianti di smaltimento sono illegittime. Le norme della legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 4/2006 in tema di gestione dei rifiuti sono pertanto costituzionalmente il‑ legittime. La legislazione nazionale in materia di rifiuti non ammette deroghe e ad essa le Regioni devono attenersi sia per evitare il contrasto con la normativa comunitaria, sia per la necessità di tutelare valori come la salute e l’ambiente in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale.
RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 195 (05/12)
Sentenza 28 novembre 2007, n. 44295 Rifiuti – Materiali di risulta lavorazione marmo – Riutilizzo – Requisiti – Accumulo per lungo periodo – Discarica abusiva – Configurabilità – Sussiste Il requisito della certezza ed effettività del riutilizzo di un materiale di risulta dalla lavorazione del marmo non è sussistente quando i ma‑ teriali residuati da una certa lavorazione (del quale, pertanto, sussiste l’obbligo di disfarsi) siano stati accumulati per alcuni anni in pa‑ lese violazione dell’articolo 6, primo comma, lettera m) numero 3, Dlgs 22/1997, determinando, nel corso del tempo, la realizzazione di una discarica abusiva. Tali materiali non sono riconducibili tra le terre e rocce da scavo direttamente utilizzate per reinterri o riempimenti. Parimenti non è corretto il riferimento alla nozione di materie prime secondarie, di cui all’articolo 181, comma 13, Dlgs 152/2006, poi‑ ché queste ultime devono possedere, ai sensi del comma 6 del predetto articolo, specifiche caratteristiche tecniche individuate da un apposito Dm da emanarsi, ovvero, in via transitoria, specificate dalla normativa secondaria vigente. Altrettanto errato si palesa il riferi‑ mento alla nozione di sottoprodotto di cui all’articolo 183, primo comma, lettera n), dello stesso decreto legislativo, richiedendosi anche dalla norma citata la certezza oggettiva del reimpiego del materiale costituente sottoprodotto, nel momento stesso della sua produzione. Tale certezza è esclusa in ragione delle descritte modalità di stoccaggio per un lasso di tempo particolarmente rilevante.
Ordinanza 30 aprile 2008, n. 121 Rifiuti – Terre e rocce da scavo – Nozione La modifica dell’articolo 186, Dlgs 152/2006 ad opera del Dlgs 16 gennaio 2008, n. 4, rafforza il ruolo del “progetto” preventivo neces‑ sario per verificare il riutilizzo delle terre e rocce secondo i requisiti di legge, condizione, questa, ritenuta essenziale dalla Corte di Lus‑ semburgo per escludere l’osservanza degli obblighi derivanti dalla gestione dei rifiuti. La nuova formulazione della norma in esame, per i casi di terre e rocce provenienti da opere sottoposte a Via, Aia, permesso di costrui‑ re o Dia, o nel corso di lavori pubblici, introduce ulteriori garanzie – rispetto al passato – del certo riutilizzo di tali materiali, della compa‑ tibilità ambientale degli stessi e della possibilità tecnica di un tale riutilizzo, nonché impone un termine massimo entro il quale esso de‑ ve avvenire. La norma richiede infatti che il progetto sia preventivamente approvato dalla medesima autorità competente per il procedimento di cui trattasi. Corte di Cassazione Sentenza 19 febbraio 2008, n. 7466 Rifiuti – Nozione – Inerti da demolizione – Terre e rocce da scavo – Differenze Gli inerti provenienti dalla demolizione di edifici o da scavi di strade non sono assimilabili alle terre e rocce da scavo e pertanto sono sot‑ toposti alla disciplina sui rifiuti.
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