Dalla caverna alla casa ecologica Storia del comfort e dell’energia
Federico M. Butera Dalla caverna alla casa ecologica Storia del comfort e dell’energia
Federico M. Butera dalla caverna alla casa ecologica storia del comfort e dell’energia realizzazione editoriale
Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it
coordinamento redazionale: Diego Tavazzi progetto grafico: GrafCo3 Milano, Roberto Gurdo impaginazione: Roberto Gurdo immagine di copertina: elaborazione GrafCo3 Milano
© 2004, 2007 © 2014 nuova edizione Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’Editore. ISBN 978-88-6627-123-9 Finito di stampare nel mese di novembre 2014 presso Grafiche del Liri – Isola del Liri (FR) Stampato in Italia – Printed in Italy Questo libro è stampato su carta certificata FSC i siti di edizioni ambiente
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sommario
prologo
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1. dalla caverna alla casa romana
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2. dal freddo dei secoli bui al tepore della stufa
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3. la svolta del xix secolo
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4. sia la luce e la luce fu (elettrica)
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5. il freddo e il fresco
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6. nascono gli elettrodomestici
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7. il vetro e l’architettura moderna
141
8. i persuasori occulti
153
9. il prezzo del comfort
169
10. la casa sostenibile
187
11. energia per la città
207
12. il futuro
235
timeline
248
crediti fotografici
255
E dabbasi considerare, come non è cosa più difficile a trattare, né più dubia a riuscire né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, et ha tepidi difensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbano bene. Niccolò Machiavelli, Il Principe
prologo La svegliò il trillo del telefonino. Rispose con la voce ancora impastata dal sonno. “Pronto.” “Che fai, dormi?” “Sì, stavo dormendo. Perché, che ore sono?” “Le undici. Ma allora non sai niente.” “Niente cosa?” “Il black out. Tutta l’Italia è al buio da questa notte. Tutta. Per fortuna ho una radiolina a pile, e ho potuto sentire il giornale radio.” “Ecco perché non mi sono svegliata. La radiosveglia non ha funzionato. Beh, meglio così. Avevo proprio bisogno di una bella dormita, con la giornata che mi aspetta. Tanto fra poco torna.” “No, fra poco non torna. Pare che il guasto sia gravissimo e ci vorrà parecchio tempo prima che possano ripararlo. Mettiti il cuore in pace; è probabile che non riescano a riattaccare la luce prima di questa notte. Meno male che è domenica...” “Catastrofista. E poi, cosa vuoi che sia. Siamo riusciti a sopravvivere senza corrente elettrica per migliaia di anni; ci riuscirò anch’io per qualche ora. Ma che volevi dirmi?” “Niente. Questo. Volevo sapere come te la cavavi. Ci risentiamo più tardi. Ciao.” “Ciao.” Si girò per accendere la luce del comodino. Click. Niente. “Già, c’è il black out”, pensò. “Del resto, basta aprire gli scuri.” Uscì dalle coperte e trovò l’aria un po’ troppo fresca per i suoi gusti. “Che succede? Vuoi vedere che s’è guastato il riscaldamento? Di domenica, naturalmente.” Si avviò in cucina per controllare la caldaia. Spenta, come previsto. “Maledetta sfortuna. Ci mancava pure questa. Fra poche ore la casa sarà gelida, col freddo che fa fuori.” Si fermò. Un dubbio le balenò nella mente. Si avviò di nuovo verso la caldaia. “Vuoi vedere...” L’intuizione era giusta. La luce di blocco della caldaia era spenta. Tutte le lucine erano spente. Non era guasta la caldaia; si era bloccata perché mancava la luce. “Ok. Meglio così, dopo tutto. Quando torna la luce ricomincerà a funzionare.” Si mise addosso una giacca di lana e si avviò verso i fornelli per prepararsi il caffè. Movimenti automatici: gira la manopola, premi per fare scoccare la scintilla e via. E via cosa? Nessuna scintilla, solo puzza di gas. Provò di nuovo, con un’altra manopola. Niente scintilla e niente fiamma. “Dio, anche questa. L’accensione è elettrica.”
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L’Europa vista dallo spazio di notte. Senza black out...
Cominciò freneticamente a rovistare in tutti i cassetti alla disperata ricerca di un fiammifero o di un accendino. Niente. Da nessuna parte. Maledisse il giorno in cui aveva deciso di smettere di fumare. “D’accordo. Mi tocca vestirmi e scendere al bar, per prendere un caffè. Senza caffè non riesco a ragionare.” Cominciò a vestirsi, in uno stato d’animo che oscillava fra la rabbia e la depressione. Anche perché le fu subito chiaro che il suo splendido appartamento panoramico al dodicesimo piano si era trasformato in una maledetta trappola, con l’ascensore che non funzionava. Decise comunque di uscire, anche se ritornare a casa le sarebbe costato una bella fatica. “Un momento. E se dopo essere scesa scopro che neanche la macchina per il caffè del bar funziona?” Telefonò al bar. Confermato. Niente caffè. “Calma. Ragioniamo” si disse. “Non lasciamoci prendere dalla depressione. Oggi devo fare tantissime cose, in casa. La prossima settimana sarà un inferno in ufficio.” Lo sguardo le cadde sul telefonino che aveva in mano e vide che la batteria era or-
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mai all’ultima tacca. Si alzò e meccanicamente prese il caricabatteria, lo collegò al telefonino e lo inserì nella presa di corrente. Mentre aspettava il segnale “in carica” un sorriso amaro le si dipinse in volto. “Ma che carica. Non c’è luce. Bella idea quella di eliminare il telefono fisso, per risparmiare. E ora come faccio quando si scarica?” Decise di spegnerlo, per usarlo solo in caso di necessità. “Ora basta. Think positive. Una bella doccia calda e mettiamoci al lavoro. Bisogna avviare la lavabiancheria con il bucato di più di una settimana, fare andare la lavastoviglie piena di piatti e bicchieri della cena di ieri sera con gli amici, dare una vigorosa passata di battitappeto e di aspirapolvere in salotto, il tutto con un buon sottofondo musicale, stile film americani.” Si lasciò andare sul divano e scoppiò in singhiozzi. C’era il black out. Non poteva fare niente, neanche la doccia. Lentamente si riprese. “Non è possibile, non posso lasciarmi prendere da una crisi depressiva per queste stupidaggini. Proprio io, donna impegnata, decisa, indipendente, single per scelta. Ora basta. Un bel bicchiere d’acqua e via, riorganizziamo la giornata. Qualcosa di buono si deve poter tirare fuori da tutta questa storia. Vuoi vedere che è l’occasione per un magnifico riposo forzato?” Si avviò in cucina e aprì il rubinetto. Un esile filo, qualche goccia, e poi basta; solo un sinistro gorgoglio. “Oh c..., neanche l’acqua! Per forza, anche l’autoclave non funziona.” Per un attimo fu colta dal panico, ma subito si riprese. Anche perché cominciava a prendere il sopravvento un’altra sensazione, fisica, più forte: il freddo. “Maledette case moderne. Me l’aveva detto il mio amico che studia queste cose: le strutture in acciaio e vetro – magari belle, bellissime a vedersi, per chi ha questi gusti – sono troppo leggere, e si raffreddano rapidamente se l’impianto si ferma. Se abitassi in una casa antica, con bei muri spessi, ci vorrebbero giorni prima di raffreddarsi così.” Indossò un altro pullover e calzettoni da neve. Aveva sete e un po’ di fame. Aprì il frigorifero, dove per fortuna c’erano una confezione di succo d’arancia e del latte. C’erano anche formaggi e qualche resto della sera prima. Non sarebbe morta di fame. E poi c’era il vino, che l’avrebbe aiutata a combattere il freddo. Ormai era entrata nello spirito del naufrago sull’isola deserta. Visto che il frigorifero non funzionava, ebbe cura di richiudere rapidamente la porta, per mantenere il freddo. Poi ci ripensò, e la spalancò: tanto ormai la casa era fredda. Aprì il surgelatore, ne tirò fuori tutto quello che era ricoperto di brina e lo mise in una pentola: sciogliendosi, la brina sarebbe diventata acqua da bere. Poi si ricordò improvvisamente che, ai tempi in cui fumava, le avevano regalato un accendino orrendo, che si era premurata di nascondere in quel cassetto che lei chiamava il museo degli orrori e che conteneva tutti i regali terribili che non osava nemme-
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no riciclare. Lo trovò. Era scarico, ma faceva ancora la scintilla. Accese il gas e riscaldò alcuni avanzi. Il pasto, sia pure frugale, la mise di umore migliore. Trovò la forza di entrare in bagno, maleodorante per la mancanza d’acqua, poi andò in camera da letto a prendere una coperta, tornò in salotto, scelse un libro dallo scaffale, si stese sul divano avvolta nel bozzolo caldo, e si mise finalmente a leggere quel romanzo che da tanto stava in lista d’attesa, per mancanza di tempo. Non tutto era negativo, nel black out. Il primo impulso, infatti, era stato quello di accendere il televisore, per avere notizie; e poi, come sempre, avrebbe finito col rimanere incollata allo schermo presa da qualche stupido film. Oppure avrebbe preso il sopravvento il senso del dovere e avrebbe acceso il computer, per lavorare un po’. S’era fatto quasi buio, ormai, e non se n’era accorta, immersa com’era nella lettura. Fece per alzarsi e accendere la luce. Poi balzò in piedi, presa dal panico. “La luce! È quasi sera e non ho neanche una candela, né una torcia elettrica. Dove diavolo trovo queste cose di domenica? Devo uscire, ma le scale sono al buio. E dove vado? Non conosco nessuno in questo palazzo. E poi, anche se bussassi, sconosciuta, chi mi aprirebbe, nell’oscurità? Io non aprirei.” Si tormentava le mani, angosciata, alla ricerca di una soluzione. “Giorgio. Sì, Giorgio forse può suggerirmi qualcosa. È lui che sa tutto del caldo, del freddo, dell’energia. È un ingegnere. Solo lui può aiutarmi, forse, anche se non è in città.” Riaccese il telefonino. E Giorgio infatti le diede la soluzione: una lampada primitiva, fatta con un piattino o un altro contenitore leggermente convesso pieno d’olio di oliva, in cui immergere un pezzo di cotone idrofilo arrotolato in modo da formare un grosso stoppino, con una delle estremità sporgente dal bordo. Bastava accendere questa estremità alla fiamma del gas (che si era preoccupata di lasciare accesa) ed ecco una funzionale lampada ad olio. E ne poteva fare tante, e tante ne fece. Era sera, ma aveva la luce. Faceva sempre più freddo. Le venne un’idea. “E se accendessi tutti i fuochi e il forno, non potrei riscaldare la cucina?” Detto fatto. Trasferì in cucina una poltrona, tutte le lampade a olio, socchiuse la porta e si raggomitolò avvolta in una coperta. Era fatta. In breve tempo l’ambiente fu tiepido e, a suo modo, anche piacevole con quelle luci calde e tremolanti, seppure un po’ puzzolenti. “Ma guarda”, si disse, “mi sono ridotta nelle stesse condizioni in cui ci si trovava mille, duemila anni fa. Un fuoco sempre acceso, che serve per cucinare e per riscaldarsi, e delle lampade a olio per illuminare. Se voglio l’acqua devo portarla su a piedi; certo, in questo caso è acqua minerale e non quella della fontana, ma il concetto è lo stesso. E se il black out continuasse per giorni? Anche il cibo dovrei andare a comprarlo ogni giorno – il frigorifero non funziona – e portarlo su. E meno male che ho il gas, se no dovrei anche portare su la legna. E la biancheria? Dovrei lavarla a forza
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di braccia; con quali attrezzi poi? Le stoviglie le ho lavate a mano tante volte: questo non mi preoccuperebbe. Poi dovrei scopare e spolverare dappertutto, battere fuori dalla finestra tappeti e tende con il battipanni (e chi ce l’ha più?). Non avrei più tempo per nient’altro. E sono sola. Pensa se avessi un marito e dei bambini.” Le venne di nuovo fame. Mangiò qualcosa, non facendosi mancare del buon vino. Era stanca, spossata dalla tensione, non certo dalla fatica. Decise di andare a dormire. Spense il forno e tutti i fuochi tranne uno, e si avviò in camera da letto. Il gelo, uscendo dalla cucina, la paralizzò. Il pensiero di spogliarsi tremando e di infilarsi fra due lenzuola ghiacciate la indusse a un repentino dietrofront. Tornò nella calda e accogliente cucina e si dispose a passare la notte lì, avvolta nelle coperte, sulla poltrona. Scivolò lentamente nel sonno, pensando: “Ma come diavolo facevano a vivere prima del gas, della luce elettrica, dei termosifoni, degli elettrodomestici, dell’acqua corrente, calda e fredda? Che vita era mai quella? Io ho tutte le apparecchiature che mi servono per vivere in modo infinitamente più confortevole, ma sono inanimate, morte. E cosa le anima? L’energia: elettricità, gas. Ma allora è vero che questa energia è importante anche per me, per la mia vita di ogni giorno; non è solo un concetto astratto. Petrolio, carbone, gas non sono minerali come l’oro o lo stagno, mi condizionano molto più pesantemente. Per questo si fanno ancora guerre per il petrolio. E se a causa di quello che chiamano il cambiamento climatico dovessimo essere costretti a rinunciare per sempre al petrolio, al gas, al carbone, dovremmo finire di nuovo al freddo e al buio? Dovrei saperne di più, su tutto questo.” Alle tre di notte la radiosveglia cominciò a lanciare frenetici bip. Il black out era finito.
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1. dalla caverna alla casa romana la casa come tana Lavoravano poco, i nostri progenitori cacciatori-raccoglitori che popolavano la Terra oltre 10.000 anni fa: tre-quattro ore al giorno. E consumavano poco, solo energia muscolare e legna per il fuoco. Erano anche abbastanza efficienti, nell’uso dell’energia; la caccia al cervo con le lance ebbe inizio con un’efficienza di 7 calorie acquisite (mangiandolo) per ogni caloria spesa (cacciandolo), che scese a circa 4:1 a mano a mano che questi animali scarseggiavano. Successivamente, l’introduzione di archi e frecce elevò di nuovo il rapporto fino a 9:1.1 Con l’introduzione dell’agricoltura l’efficienza energetica aumentò enormemente, grazie soprattutto all’irrigazione, e si arrivò a rapporti calorie acquisite/calorie spese dell’ordine di 50:1 (un bel record, se si pensa che oggi il rapporto calorie acquisite/calorie spese si è invertito ed è diventato 1:10; nella nostra dieta c’è soprattutto petrolio).2 Ed è proprio l’agricoltura che dà vita al primo sistema sociale e al prototipo di quella che sarà poi la città. Prototipo che già porta a un incremento dei consumi energetici, se confrontati con quelli delle bande nomadi di cacciatori-raccoglitori. Occorre energia per costruire le case e i magazzini, energia per arare e seminare, energia per trasportare, per cuocere e riscaldarsi, per costruire gli attrezzi. L’energia meccanica è tutta muscolare, e quella termica viene dalla combustione della legna; all’origine di tutto c’è l’energia solare, che alimenta le piante, che a loro volta forniscono nutrimento agli animali e agli uomini. Il sistema, però, è autoregolato: non si può consumare più energia di quella disponibile e, per averne di più, si può solo migliorare la tecnologia di conversione e inventare sistemi che consentano di usarla al meglio attraverso cicli chiusi. I cicli chiusi sono quelli che generano trasformazioni senza dare luogo a rifiuti. Tutti i grandi cicli planetari sono chiusi, come quello dell’acqua, in cui le nuvole scaricano la pioggia, che alimenta i corsi d’acqua, i laghi, il mare; poi l’acqua evapora e ritorna nell’atmosfera a formare di nuovo le nuvole. Anche a scala più piccola, negli ecosistemi locali, l’equilibrio si regge grazie a cicli chiusi, come quello che usa la materia organica decomposta come alimento per i vegetali, che crescono e alimentano gli animali i quali a loro volta, quando muoiono, si decompongono e nutrono i vegetali... In tutti e due i casi c’è la necessità di un motore che faccia andare avanti il ciclo, ed è l’energia solare. Proprio il vincolo del ciclo ha permesso, per un lunghissimo periodo storico, di mantenere elevata l’efficienza energetica. Dunque i nostri antenati erano energeticamente efficienti; ma che dire della qualità della loro vita?
I primi ripari.