Cover_Ruggiero_ultima cena_ultima cena 24/08/10 12.41 Pagina 1
verdenero
inchieste
Riprendere il controllo della propria vita, tuttavia, è possibile: Peppe Ruggiero (autore del documentario cult Biùtiful cauntri) – nel suo viaggio tra i segreti dell’impero enogastronomico della criminalità organizzata – racconta anche un altro tipo di mercato (sano, garantito, legale). E rivela le ricette a prova di boss.
L’ULTIMA CENA
Pasta al burro e idrocarburi, mozzarella sbiancata con la calce, filetto agli anabolizzanti, pesce avariato rinvenuto in acqua di mare, verdura coltivata tra i rifiuti tossici... Al mercato dei boss si trova tutto il necessario per realizzare veri e propri menù-killer: li consumiamo ogni giorno, senza saperlo, a casa, in mensa, al ristorante, al bar. Un giro d’affari “gastronomico” di 70 miliardi di euro all’anno che tiene in pugno i negozianti come le grandi aziende alimentari, oltre che la salute di tutti.
PEPPE RUGGIERO
peppe ruggiero, giornalista professionista, collabora con varie testate tra cui l’Unità, Terra, Narcomafie, Libera Informazione. Responsabile ufficio stampa di Libera e di Legambiente Campania, è tra i curatori del Rapporto Ecomafia di Legambiente. Nel 2007 ha realizzato con Andrea D’Ambrosio ed Esmeralda Calabria il documentario Biùtiful cauntri, vincitore del Nastro d’Argento 2008 come miglior documentario uscito in sala. Nel 2010 è stato consulente su criminalità e sicurezza alimentare per la trasmissione Mi Manda Rai Tre.
PEPPE RUGGIERO
Nessuno l’ha invitata, ma entra ogni giorno nelle nostre case, si siede alle nostre tavole, «speculando su ciò che abbiamo di più necessario, ciò di cui nessuno può fare a meno», come spiega Luigi Ciotti nella prefazione di questo libro: «Il cibo». La criminalità organizzata raccontata da Peppe Ruggiero non è quella degli omicidi, dei sequestri, della droga, degli appalti. Ma è forse ancora più inquietante: affonda le radici in uno dei settori economici e culturali italiani d’eccellenza – del quale ha ormai il controllo – lo vampirizza, lo intossica, lo inquina. Le inchieste della Direzione distrettuale antimafia e le testimonianze inedite raccolte rivelano dettagli agghiaccianti, che minacciano ogni genere alimentare: dalla pasta alla frutta, dalla carne ai datteri, tutto può essere “taroccato” per generare maggior profitto. E dove non basta la sofisticazione alimentare più bieca, arriva comunque il “pizzo”, l’imposizione di un marchio, la diffusione a macchia d’olio di un prodotto. Il cosiddetto “menù della camorra”, dall’antipasto al dessert, è gentilmente offerto dai boss di casa nostra. E se qualcuno ha in mente di consolarsi al bar con ’a tazzulella ’e caffè, sappia che rischia di pagarla direttamente alla criminalità organizzata. Magari insieme a una giocata di videopoker. Non esistono vie d’uscita? In realtà ci sono sempre altri mondi possibili, come dimostra il progetto Libera Terra: cooperative sociali che producono cibo genuino sulle terre confiscate alle mafie. Un antipasto di legalità. Tanto per cominciare.
L’ULTIMA CENA A tavola con i boss prefazione di Luigi Ciotti introduzione di Roberto Morrione
Euro 14,00 ISBN 978-88-96238-54-7
Edizioni Ambiente
inchieste
www.verdenero.it blog.verdenero.it
Ladri di immagini_001_006_titolo-colophon_EDA_132*185_romana 26/07/10 16.38 Pagina 4
L'ultima cena_001-006_titolo-colophon_EDA_132*185_romana 24/08/10 12.48 Pagina 1
verdenero
inchieste
L'ultima cena_001-006_titolo-colophon_EDA_132*185_romana 24/08/10 12.48 Pagina 2
Peppe Ruggiero L’ultima cena A tavola con i boss © 2010, Edizioni Ambiente S.r.l., via Natale Battaglia 10, 20127 Milano www.edizioniambiente.it; tel. 02 45487277 © 2010, Peppe Ruggiero Tutte le edizioni e ristampe di questo libro sono su carta riciclata 100% Finito di stampare nel mese di agosto 2010 presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (Pg)
Nel libro si menzionano inchieste e atti giudiziari. Tutte le persone citate, coinvolte in indagini o processi, sono, anche se condannate nei primi gradi di giudizio, da considerarsi innocenti fino a condanna definitiva.
L'ultima cena_001-006_titolo-colophon_EDA_132*185_romana 24/08/10 12.48 Pagina 3
PEPPE RUGGIERO
L'ULTIMA CENA A tavola con i boss
L'ultima cena_001-006_titolo-colophon_EDA_132*185_romana 24/08/10 12.48 Pagina 4
L'ultima cena_001-006_titolo-colophon_EDA_132*185_romana 24/08/10 12.48 Pagina 5
indice
prefazione Luigi Ciotti
9
introduzione Roberto Morrione
13
e per cominciare...
19 21 26
le linguine ai datteri proibiti
33 36 40 45
la “fettina” di sandokan
49 58
bufala a denominazione di origine camorristica
65 68
frutta e ortaggi al percolato
75 88 94
boss presi per la gola
105 114
caffè, panini, gelati, acqua minerale... pane, burro e... la “fragranza” di reato
i “caparozzolanti” delle vongole tossiche spigola all’acqua pazza la banda del racket del pesce
febbre da cavallo dop... ato
che bufala!
“il sistema agricoltura” made in camorra quel clan... “ministro dell’agricoltura” in pectore
il cibo in codice
L'ultima cena_001-006_titolo-colophon_EDA_132*185_romana 25/08/10 12.31 Pagina 6
una spina nel fianco
123
il gusto del mangiare responsabile ricettario con prodotti libera terra
135
i clan dell’ultima cena
175
fonti
177
ringraziamenti
179
L'ultima cena_007-018_introduzione-prefazione_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.48 Pagina 7
Vi prego, vi scongiuro, abbiate sempre la forza di indignarvi Martin Luther King
L'ultima cena_007-018_introduzione-prefazione_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.48 Pagina 8
A Gaetano, Lina, Annarita, Lino, Marco e Alessandro, la mia famiglia a C., a prescindere
L'ultima cena_007-018_introduzione-prefazione_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.48 Pagina 9
prefazione
Mi fa piacere presentare queste pagine perché le so frutto di una ricerca attenta, documentata, approfondita. Di quella passione che ha sempre guidato Peppe Ruggiero nell’impegno con Legambiente e con Libera, della sua determinazione nel denunciare le cose che non vanno per suscitare nella gente il desiderio di cambiarle. Le notizie che ci vengono dal mondo dell’illegalità e del crimine suscitano in generale allarme e disgusto. Ma queste pagine sono tanto più inquietanti perché vanno a scavare dentro un tema che siamo abituati a considerare leggero, o comunque “innocuo”: quello del cibo. Raccolgono dati e storie allarmanti nella loro “normalità”. Perché qui non si parla di sequestri e omicidi, né di traffici di droga o armi, e neppure della mafia trasversale dei “colletti bianchi”, quella degli appalti, delle grandi operazioni finanziarie e del riciclaggio. Si racconta invece di una mafia che bussa direttamente alle nostre porte, entra nelle nostre case, nella nostra quotidianità. Quella “mafia” che “si aggiunge un posto a tavola”, non invitata, per “mangiare” alle nostre spalle, speculando su ciò che abbiamo di più necessario, ciò di cui nessuno può fare a meno: il cibo, appunto.
L'ultima cena_007-018_introduzione-prefazione_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.48 Pagina 10
10
l’ultima cena
Seguendo Peppe nel suo insolito tour enogastronomico, scopriamo che può esserci un fondo d’illegalità nel caffè che gustiamo al bar, un retrogusto di truffa nei nostri pranzi di famiglia, un ingrediente indigesto nella pizza condivisa con gli amici. Scopriamo che le mafie “ce la danno a bere” – e a mangiare – grazie a infiltrazioni profonde e consolidate in vari comparti del settore agroalimentare. E che a tutto questo come consumatori paghiamo un prezzo doppio: in termini di soldi – perché il prezzo delle merci sale per assicurare un margine di interesse a più persone – e soprattutto in termini di salute. Sono tanti i prodotti alimentari che “puzzano” d’illegalità e di mafia. Il libro si sofferma su alcuni casi, tutti smascherati grazie al tenace lavoro delle forze di polizia e della magistratura. Dai forni abusivi dove si cuoce il pane bruciando legna trattata con vernici e sostanze tossiche, al pesce e ai frutti di mare pescati in zone e con metodi proibiti, conservati in modo inadeguato ma poi venduti comunque a cifre altissime nei negozi e sulle bancarelle. Dalla carne di animali infetti o dopati con farmaci pericolosi alle mozzarelle di bufala contaminate dalla diossina. Tutti prodotti sui quali i boss, senza nessuno scrupolo, lucrano a ogni passaggio: la produzione, la distribuzione e la vendita. A volte avvalendosi della complicità proprio di chi sulla qualità di quelle merci dovrebbe vigilare – laboratori di analisi, veterinari – ma per avere la sua fetta di guadagno è disposto a chiudere un occhio o addirittura a partecipare attivamente alla truffa. E approfittando anche dell’omertà di commercianti che, per convenienza o in molti casi per paura, sottostanno alle pressioni dei boss fino a consentire l’instaurarsi di veri e propri monopoli criminali su certi beni.
L'ultima cena_007-018_introduzione-prefazione_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.48 Pagina 11
prefazione
Speculano, le mafie, sui beni di prima necessità come sui prodotti più pregiati, sulle “eccellenze” dei territori. Tanto, sanno che quei prodotti scadenti, adulterati e avvelenati sulle loro tavole non arriveranno mai. Perché loro ci stanno attenti, si trattano bene. Loro si procurano merce di prima qualità, facendosela recapitare perfino in carcere, come ci ricorda Peppe. E intanto investono anche nella ristorazione: sulla base delle recenti inchieste e dei sequestri di beni, si è stimato in almeno 5.000 il numero dei locali nelle mani della criminalità, fra ristoranti, pizzerie, bar, intestati perlopiù a prestanome e usati come copertura per riciclare i soldi sporchi. Questo è insomma un libro “difficile da digerire”, ma che deve essere letto. Anche per stimolare una riflessione su come sia possibile sottrarsi a questi giochi criminali senza limitarsi a incrociare le dita ogni volta che facciamo la spesa, augurandoci che ciò che portiamo a casa non provenga da circuiti illeciti. L’alternativa di fatto già esiste. E lo sa bene Peppe, che dopo tanti “bocconi” amari, alla fine per dessert ci serve la speranza. Una speranza che ha il gusto di prodotti ispirati a logiche completamente diverse: non gli appetiti insaziabili delle mafie, ma la fame di giustizia, la sete di verità. Una speranza che si coltiva sulle terre un tempo di proprietà dei boss. Proprio lì, infatti, affondano le radici di un futuro diverso, pulito, sano, seminato e accudito nel presente dai giovani delle cooperative di “Libera Terra” sorte sui terreni confiscati. Dove l’olio, il vino, i cereali, le verdure sono prodotti con i metodi dell’agricoltura biologica, a sottolineare che la salute delle persone, e della natura, è più importante del profitto. Sta a noi rafforzare questi percorsi, sostenere, attraverso le nostre scelte di consumo, questo diverso modo di intendere la
11
L'ultima cena_007-018_introduzione-prefazione_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.48 Pagina 12
12
l’ultima cena
produzione alimentare. Non solo per salvarci da ogni rischio di sofisticazione, contraffazione e speculazione sul cibo, ma anche per contribuire all’affermarsi di circuiti economici più equi, rispettosi dei diritti dei lavoratori e dell’integrità dell’ambiente, capaci di produrre uno sviluppo tanto materiale quanto sociale per i territori. Praticare un consumo critico e consapevole vuol dire informarsi, assumersi la responsabilità di acquistare prodotti “buoni” anche dal punto di vista etico. Che non siano legati a forme di sfruttamento delle persone – come è ad esempio il caso di tanti lavoratori migranti schiavizzati nelle nostre campagne – e neppure pagati al prezzo della loro dignità, sottomessa al ricatto del pizzo. E ancora, dobbiamo richiamare le responsabilità della politica, sollecitare meccanismi di controllo più efficaci sulla qualità di ciò che mangiamo, certificazioni che restituiscano trasparenza a tutto il processo produttivo. Cambiare, come sempre, non è semplice e nessuno ha la “ricetta” in tasca, ma le ricette riportate in fondo a queste pagine mi sembra ci offrano già ottimi spunti. Provatele: saranno uno squisito antipasto d’impegno! Quell’impegno che più di tutto dà sostanza e sapore alla vita. d. Luigi Ciotti Presidente Libera e Gruppo Abele
L'ultima cena_019-184_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.54 Pagina 19
e per cominciare...
Ogni mattina in Italia ha luogo un rituale che unisce il paese intero, dal Piemonte alla Sicilia. Mamme, nonni, studenti fuori-sede, single, omosessuali, tutti indistintamente compiono un unico gesto dove non c’è ombra di razzismo. Fare la spesa. Scegliere i prodotti tra i banchi di un supermercato, di un mercato rionale o di una salumeria e poi tornare a casa a preparare il pranzo oppure la cena. E, senza che se ne abbia la consapevolezza, spesso dietro a quel rituale incombe l’ombra della criminalità organizzata. Anzi, molto più che un’ombra. Dall’antipasto a base di mozzarella di bufala, agli spaghetti alle vongole; e per secondo un’ampia varietà di scelta: spigola all’acqua pazza, filetto di “Sandokan” o bistecca connection. Per chiudere con la frutta al percolato e gli immancabili gelato e caffè. Neanche un rinomato chef potrebbe elaborare un “menù della camorra” così perfetto. È tutto vero: nessuno li vede, nessuno li ha invitati, ma spesso si cena con i boss. Sono loro a imporre marchi e prodotti, a scegliere il menù. I clan sono in grado di soddisfare anche i
L'ultima cena_019-184_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.54 Pagina 20
20
l’ultima cena
palati più esigenti. Forniscono di tutto. Noi paghiamo, loro incassano. Un giro d’affari di circa 70 miliardi di euro l’anno. Di fatto una tassa occulta sui prodotti, una tassa che pesa sulle tasche degli ignari consumatori e che arricchisce i trentuno clan che hanno le mani in pasta. La faccia concreta di una mafia ingorda e insaziabile che agisce in ogni comparto, dalla coltivazione alla vendita, altera la libera concorrenza, influenza i prezzi di mercato, scarica i costi sul portafoglio dei cittadini e sfrutta il mondo del lavoro. Difficile da sanare, complicato da contrastare. Le attività criminali in questo settore si intrecciano e si confondono con quelle legali attraverso un complesso sistema di relazioni che coinvolge il contesto sociale, la struttura economica e quella istituzionale. La camorra fa la parte da leone, e a tavola è seduto il gotha: dai Fabbrocino ai Mazzarella, dai Casalesi ai Mallardo, dai Vollaro ai D’Alessandro. Le inchieste della magistratura, le relazioni della Direzione investigativa antimafia e della Direzione distrettuale antimafia hanno rintracciato la mano della camorra su tutto: carni macellate, acqua, latte e latticini, frutti di mare, caffè. Prevale chi alla torrefazione abbina finanziarie per l’avvio dei bar, condizionandoli poi per anni. Ma la camorra controlla perfino il mercato dei mangimi per gli animali. Il meccanismo lo ha spiegato Franco Roberti, ex della DDA di Napoli, oggi procuratore capo a Salerno, in un’audizione alla Commissione parlamentare antimafia: «I commercianti sono costretti a trattare questo o quel prodotto, questo o quel marchio, ma ricevono spesso dei vantaggi. Acquistano a prezzi abbordabili perché la camorra compra in grandi quantità e sottocosto. Ricicla. I commercianti hanno poi il vantaggio dell’esclusività. Si eliminano i concorrenti. Si crea un regime di
L'ultima cena_019-184_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.55 Pagina 21
e per cominciare...
monopolio». E a pagare sono solo i consumatori: i prezzi, tra pizzo e tangente, continuano a salire senza nessuna garanzia sulla qualità dei prodotti. Non è questione di gusti. E nemmeno di prezzo. È solo uno sporco affare. L’ennesimo affare di camorra. caffè, panini, gelati, acqua minerale... C’è qualcosa di sacro per i napoletani, qualcosa che non si può proprio toccare. Ogni mattina, può succedere il finimondo, ma una tazzina di caffè al bar non gliela toglie nessuno. “Il caffè simboleggia piccole pause di piacere dopo una dura giornata, è un momento di relax strappato alla fatica quotidiana; contro i dissapori della vita ci vuole una tazza di caffè” scriveva il grande Eduardo De Filippo in Questi fantasmi. Tutti concordi nel dire che il caffè a Napoli è tutta un’altra cosa. Non si è mai capito se sia merito dell’acqua o del miracolo della preparazione, oppure del tipo di tostatura. Unica certezza: ’a tazzulella ’e caffè napoletana è una vera e propria opera d’arte, una filosofia di vita. E spesso è un “espresso macchiato” dalla camorra, un vero pizzo. Marche di caffè imposte ai bar. E per chi si oppone, poche le soluzioni: o denuncia o deve chiudere. È questo quello che succede in molti bar della cintura vesuviana, da Pompei a Portici, da San Giorgio a Cremano a Castellammare di Stabia. E lo stesso succede in molti bar dell’area nord di Napoli, della periferia di Scampia e Secondigliano. Per poi diventare regola nel casertano. Ogni giorno ci avviciniamo al bancone di un bar, pregustando l’aroma inconfondibile del caffè. Ma, a nostra insapu-
21
L'ultima cena_019-184_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.55 Pagina 22
22
l’ultima cena
ta, il caffè ce lo servono loro, gli amici degli amici, quelli che decidono marche e distribuzione. E il commerciante, o il barista, è costretto ad acquistare la marca di caffè che il clan della zona ha deciso. E con il caffè spesso viene imposto anche l’acquisto dei videopoker, le macchinette mangiasoldi. Il meccanismo è stato raccontato ai pm della DDA da un collaboratore di giustizia. I verbali degli interrogatori rivelano come la camorra abbia esteso i propri tentacoli nell’area vesuviana imponendo le forniture di caffè ai bar. Siamo a Portici, caffetteria centrale, tappa giornaliera obbligata per chi voglia gustare una tazzina di caffè. Qui per anni il caffè è stato con il pizzo, quello del clan Vollaro, egemone nella cittadina alle falde del Vesuvio. Il titolare della caffetteria per anni è stato messo sotto ricatto: «O compri il caffè che ha scelto il clan oppure qui dentro non ci metti più piede». Il caffè in questione veniva acquistato da una società affiliata alla cosca, nota come “Ecaffè” – unico titolare Vincenzo Scognamiglio, parente stretto del boss Luigi Vollaro – che comprava all’ingrosso per rivendere al dettaglio nella zona vesuviana. Il clan in pratica pretendeva che il titolare acquistasse una partita di caffè per 20.000 euro. E si tratta di un clan che riesce a chiedere soldi a tutte le attività commerciali: negozi del centro, pizzetterie, ristoranti ma anche venditori ambulanti. Il boss capo reggente, Luigi Vollaro, denominato ’o califfo per via della sua enorme prolificità – è padre di 27 figli – è detenuto da oltre vent’anni, accusato di associazione camorristica, traffico di droga e omicidio. È un boss storico, uno dei fondatori del cartello Nuova Famiglia che si contrappose ai Cutoliani. Per decenni ha tenuto sotto scacco l’intera città di Portici, centro di oltre 60.000 abitanti. Il pizzo veniva chiesto
L'ultima cena_019-184_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.55 Pagina 23
e per cominciare...
a tutti, anche ai fiorai del cimitero: ciascuno di loro doveva versare 250 euro al mese. Più alte le richieste che i Vollaro facevano agli esercenti delle vie principali della cittadina. A seconda degli incassi e dell’importanza del negozio, i commercianti erano costretti a sborsare tra i 500 e i 2.000 euro mensili. Non sfuggivano nemmeno i piccoli ambulanti, che al clan dovevano 30-40 euro la settimana. In città pagavano tutti. I Vollaro ricevevano un extra anche dai proprietari delle imbarcazioni ormeggiate al porto del Granatello. L’estorsione aveva una cadenza mensile, ma imponeva il rispetto delle festività. Nonostante i numerosi arresti – tutti i figli legittimi e illegittimi del boss sono in carcere –, a Portici gli affiliati di ’o califfo fanno ancora il bello e il cattivo tempo. Come il caffè, sempre buono, ma dall’aroma camorristico. Come sono lontani i tempi di Eduardo. Una vittima dei clan è Davide Imberbe, imprenditore di trentasette anni che da dieci denuncia il racket. Quello dei Vollaro e del clan AbateCavallaro, egemoni nella sua terra di lavoro, tra Portici, San Giorgio a Cremano e San Sebastiano a Vesuvio. Davide Imberbe ha una decina di supermercati sparsi nell’area vesuviana, un’attività all’ingrosso di generi alimentari. La sua famiglia ha pagato il pizzo su prodotti di ogni tipo: caffè, pizza, pane, latticini, gelati. Quasi 60.000 euro l’anno. Lui non ha resistito e ha denunciato prima i Vollaro e poi gli Abate. Da quando non paga ai boss, può scegliere prodotti e fornitori anche del Nord. La qualità ne ha guadagnato, come le tasche dei suoi clienti. Ora i suoi prodotti senza la tassa occulta “made in camorra” hanno prezzi concorrenziali e qualità garantita, mentre prima mozzarella e caffè arrivavano sui banconi già con un sovrapprezzo del 30%. La parte spettante alla camorra: è un esem-
23
L'ultima cena_019-184_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.55 Pagina 24
24
l’ultima cena
pio non scientifico di finanza etica. Quella studiata e applicata sul campo. Una volta che si decurta dal prezzo del prodotto alimentare il costo della tassa criminale, si può praticare un prezzo competitivo e conveniente. È proprio vero che alla fine non sono solo i commercianti a pagare il pizzo ma anche i consumatori finali. A Davide Imberbe la denuncia dei suoi aguzzini è costata la libertà. E oggi vive barricato in casa; ha blindato tutto, anche la paura. La scorta lo accompagna da quando esce di casa a quando rientra. Ma spesso non basta: hanno provato a bruciargli la casa e gli hanno anche sparato. Siamo alle prime ore della mattina e già sale la rabbia verso un paese che non riesce neanche a garantire una sana tazzina di caffè. Ma siamo in terra di Gomorra, dove non si risparmia su nulla, dove il racket ha interessato anche i grandi colossi agro-alimentari. Per anni nelle province di Napoli e Caserta si doveva bere solo latte Cirio e Parmalat. Ordine della camorra: quella dei Casalesi del boss Francesco Schiavone e quella dei Moccia della provincia di Napoli. Senza fiatare. E per chi sgarrava, scattava la punizione. Violenta. I colossi Cirio e Parmalat furono vittime estorsive dei clan, inconsapevoli ed estranee alle risultanze della mega inchiesta. Furono costrette a sborsare qualcosa come 400 milioni di vecchie lire, sotto forma di tangenti mensili. I due clan gestivano il monopolio della distribuzione del latte imponendo in modo capillare a tutti i punti vendita, all’ingrosso e al dettaglio, i marchi Berna e Matese, appartenenti alla Cirio, e successivamente quelli Eurolat e Newlat, riconducibili alla Parmalat. In un’affollata conferenza stampa il pm Francesco Curcio, titolare dell’inchiesta, dichiarò in modo emblematico: «Ci risulta dalle inda-
L'ultima cena_019-184_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.55 Pagina 25
e per cominciare...
gini che un consulente Eurolat fosse affiliato al clan Moccia, che, se non sbaglio, non sono proprio una scuola di management o qualcosa di simile». Le tangenti mascherate si trasformavano ora in incentivi alla produzione, ora in sponsorizzazioni per eventi del tutto inesistenti o che nulla avevano a che fare con finalità di marketing. Un diritto esclusivo che aveva una sola regola di mercato, quella della violenza camorristica: minacce, intimidazioni, pistole, pallottole. Imprenditori costretti a cedere o cessare attività. Un funzionario onesto della Cirio che aveva funzioni di controllo contabili, fu “convinto” a desistere a suon di bastonate. Un monopolio camorristico che sconvolse il mercato nazionale e internazionale tanto che in quelle zone delle province di Napoli e Caserta il prezzo del latte divenne fra i più cari d’Italia. Quell’inchiesta, la lettura di quelle ordinanze, la violenza e l’arroganza che sprigionavano da quelle pagine rivelavano per la prima volta il significato del potere camorristico. Ma era solo l’inizio. Mi ricordo che fino a pochi anni fa, in un quartiere di Napoli, Barra, un mio amico raccontava che per quasi tre anni andava nella vicina San Giorgio a Cremano o arrivava a Napoli per gustarsi, come facevano tutti gli amichetti di scuola, il piacere di un Cornetto Algida. E questa è cronaca giudiziaria, non una sceneggiatura di una fiction in prima serata. Alla periferia orientale di Napoli vigeva un embargo assoluto “legalizzato” per i cornetti “dal cuore di panna” come per tutti gli altri prodotti dell’Algida. Il boss del quartiere aveva imposto un’unica marca di gelato. Anche questa è camorra: costringere i ragazzi a farsi accompagnare dai genitori fuori zona per prendere il tanto desiderato Cucciolone con l’immancabile vignetta sul biscotto. Una camorra che non spara e che non fa notizia. Ma che è così potente da incidere
25
L'ultima cena_019-184_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.55 Pagina 26
26
l’ultima cena
sulle scelte alimentari di chi ha voglia di rinfrescarsi con un gelato. Sulla questione ci fu anche una denuncia dell’onorevole Alfonso Pecoraro Scanio che, in un’interrogazione parlamentare, chiedeva al ministro degli Interni di accertare «eventuali collegamenti della malavita organizzata nelle pressioni per commercializzare prodotti di altre aziende, creando di fatto un regime di monopolio assoluto». Tutti sapevano, ma nessuno denunciava. E a poliziotti e carabinieri nessuno aveva mai riferito questa storia. Poi venne aperta un’inchiesta che portò all’arresto di una dozzina di affiliati del clan egemone a Barra. Oggi il gelato Algida si può comprare, ma ci sono altre zone del napoletano nelle quali, per un motivo o per un altro, è eufemisticamente più “diffusa” una marca di gelati piuttosto che un’altra. Sarà questione di mercato e prezzi. O meglio di gusto e varietà. Del resto perché vederci sempre del marcio quando vigono delle leggi di mercato? pane, burro e... la “fragranza” di reato “La camorra casertana ha mostrato una forte penetrazione nel sistema imprenditoriale e ha imposto sul mercato le proprie imprese, facendo ricorso alla violenza e alla corruzione, ma anche a una maggiore competitività realizzata con false fatturazioni e l’imposizione di salari particolarmente bassi. Ciò è avvenuto anche nel settore caseario.” È del 5 novembre 2008 la sentenza per il processo in primo grado sulla vicenda Italburro che ha coinvolto gli imprenditori della famiglia Viglione. Dopo le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e di un loro socio, Paolo Cecere, gli incri-
L'ultima cena_019-184_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.55 Pagina 27
e per cominciare...
minati sono stati arrestati dalla DIA di Napoli perché legati in affari con il boss Vincenzo Zagaria, esponente di punta del clan dei Casalesi. Cinquantanove sono stati gli imputati del processo. I fratelli Rosario e Raffaele Viglione sono stati condannati rispettivamente a cinque anni e tre anni e quattro mesi per concorso esterno in associazione mafiosa. Il collegio giudicante della seconda sezione penale del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduto da Francesco Locarli, ha emesso complessivamente diciassette condanne e numerose altre pene accessorie. L’accusa nei confronti dei Viglione era stata quella di aver messo a disposizione di Zagaria (parente del superlatitante Michele) le proprie aziende, tra le quali appunto la Italburro con sede nella zona industriale di Carinaro, nel casertano, in modo da consentire all’associazione mafiosa il reinvestimento dei capitali di illecita provenienza nelle loro attività del settore caseario e della produzione del burro. Una vicenda che risale al 2000 e che suscitò scalpore a livello nazionale e internazionale. In tanti hanno descritto i meccanismi della holding criminale, che in breve tempo aveva acquisito un vero e proprio monopolio, imponendo i prezzi ai fornitori ed estromettendo le aziende concorrenti. Uno scandalo dal sapore criminale, molto dannoso per la salute, poi caduto in quell’oblio che spesso avvolge il nostro paese. Quel burro non era un burro qualsiasi. Era burro adulterato, inquinato, avvelenato, ricco di oli impiegati nella cosmesi, di grassi animali, di prodotti idrocarburici di sintesi. Con rischi incalcolabili per il fegato: una volta metabolizzate, quelle sostanze possono causare fibrosi e disfunzioni epatiche. Una frode da 200 miliardi di vecchie lire all’Unione Europea. Oltre 22.000 tonnellate di burro adulterato
27
L'ultima cena_019-184_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.55 Pagina 28
28
l’ultima cena
sono state prodotte nelle province di Napoli e Caserta per poi esser vendute in mezza Europa. Scrive la procura: “Il quantitativo di prodotto adulterato è tale che su un ipotetico bacino di 80 milioni di persone, nel biennio 1996-1998 i consumatori ne hanno ingerito 242 grammi a testa miscelati in diversi alimenti”. Su un chilogrammo di prodotto finito, un quarto era costituito da grassi bovini ricavati da scarti di macellazione, ossa, interiora, cervello, sego bovino utilizzato per le candele, strutto, acidi, olio di palma da cocco. Un cocktail tanto micidiale da far sorridere il colesterolo. Quel burro era puro veleno, pericolosissimo per adulti e bambini. All’epoca dello scandalo, in un box apparso sul quotidiano la Repubblica, alla domanda del giornalista su come dovesse comportarsi chi avesse ingerito il burro della camorra, il professor Raffaele Carducci, tossicologo e già direttore del centro antiveleni del Cardarelli di Napoli, rispondeva in modo netto ma inquietante: «Si faccia, al più presto, uno screening della funzionalità epatica». Tutto questo è andato nel dimenticatoio. È roba del passato, catalogata come l’ennesimo episodio, prettamente folcloristico, del potere criminale dei Casalesi. Eppure ci sarà un nesso oggi, a distanza di anni, con tutte quelle persone che muoiono per cirrosi epatica. Nessuno lo potrà mai sapere. Tanto quel burro per l’80% è stato commercializzato in Europa. Non ci riguarda. Quel burro e i rischi sanitari sono un problema di francesi, tedeschi e belgi. Perché porsi domande, perché capire cosa succede a distanza di anni? Quel burro adulterato con il petrolio ha già fatto tanti danni. Meglio scioglierlo, come la nostra memoria. Immaginiamo ora che quel burro avvelenato venga spalmato sul pane della camorra. Potrebbe sembrare un artificio let-
L'ultima cena_019-184_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.55 Pagina 29
e per cominciare...
terario, ma ahimè non lo è. Il burro al petrolio è stato commercializzato come il pane dei clan. È cronaca giudiziaria e giornalistica: sono oltre 3.000 solo nella provincia di Napoli i panifici abusivi che ogni giorno sfornano migliaia di sfilatini, panini e pizzette con un giro d’affari di circa un miliardo di euro l’anno. E ha poca importanza che ad alimentare quei forni ci finisca di tutto. Legna tossica, nociva, macabra, funeraria. Nella patria de ’A livella, anche da morti non si può star tranquilli. Quello che tutti sussurravano e che sembrava una diceria popolare, è invece divenuto oggetto di una capillare inchiesta portata avanti dalla procura di Napoli. Le bare mezze marce delle esumazioni del cimitero di Poggioreale vengono triturate e smaltite in modo illegale attraverso un circuito criminale, vendute come legna da ardere per i forni che cuociono il pane della camorra e talvolta tante pizze margherite. Qualcosa di agghiacciante che a Napoli diventa normalità. E tutti che ti ripetono: «E dov’è la novità? E che non lo sapevi?». Neanche il più grande sceneggiatore horror premiato con l’Oscar avrebbe saputo fare meglio. Del resto basta farsi un giro nel cimitero di Poggioreale per toccare con mano il degrado e l’assurdità che regnano e che fanno di Napoli una delle metropoli più inclassificabili d’Europa. E dove di fatto viene sfatato l’antico detto “meglio morire che vivere in questo schifo”. La Napoli dei morti riesce a essere peggiore di quella dei vivi. Topi, escrementi, rifiuti accatastati. Anarchia che ha portato addirittura a ritrovare sette salme rinchiuse in una nicchia sepolcrale che ne avrebbe dovute contenere solo due. Il quotidiano Il Mattino ha riportato la vicenda di una signora napoletana, Lucia Scotellaro, da anni residente a Roma, il cui padre aveva acquistato anni prima una nicchia
29
L'ultima cena_019-184_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.55 Pagina 30
30
l’ultima cena
nel cimitero di Poggioreale per farsi tumulare insieme al corpo della moglie deceduta qualche anno prima. Ebbene, ogni qualvolta la signora andava a portare i fiori sulla tomba dei genitori, trovava sempre qualcosa fuori posto. Un giorno ottenne di poter riaprire la tomba. Ed ecco la macabra scoperta: accanto alla salma dei propri genitori erano state tumulate altre sette salme di ignoti. Ma torniamo al pane della camorra. Lo si può trovare per strada in qualsiasi sabato e domenica dell’anno. Viene venduto sui cofani delle macchine per le strade di Marianella, Scampia, Marano, Afragola, Portici, San Giorgio, o in tanti banchetti che una volta venivano utilizzati per vendere le sigarette di contrabbando lungo le strade dell’area nord di Napoli. Ha un sapore particolare e costa meno perché viene prodotto fuori da qualunque regola: senza igiene, senza alcun controllo su acqua e farina. E per cuocerlo non solo bare di morti, anche vecchi infissi, cortecce di nocciole trattate con antiparassitari, legni di vecchie scenografie di teatro verniciate con solventi altamente tossici. Per un forno sequestrato ce ne sono già dieci pronti ad accendersi. Basta poco: un garage o un sotterraneo oppure un piccolo magazzino, un forno, delle pale e soprattutto l’autorizzazione del clan che comanda. Senza la sua “licenza amministrativa” non c’è mercato. È il clan che sceglie la farina, i supermercati dove venderlo, le botteghe dove rivolgersi. E chissenefrega se tra i panetti in lievitazione puoi trovare di tutto. Si impasta tra cani randagi e topi di tutte le taglie, tra escrementi di vario tipo. Le capitali del pane in “flagranza di reato” sono sempre le stesse: Afragola, Casoria, Giugliano, Lettere, Qualiano, Pianura, Secondigliano, quelle dove i sindaci del pane nero sono i soliti noti, dai Moccia ai Di Lauro,
L'ultima cena_019-184_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.55 Pagina 31
e per cominciare...
dai Russo ai Mallardo, agli Ascione. E immagino la rabbia di chi si alza ogni notte per preparare il pane secondo le antiche tradizioni e nel rispetto delle regole ed è costretto a vedere il proprio lavoro “inquinato” dall’alter ego camorristico. Il pane vuole la farina. Proprio a Ercolano, il clan Papale, alleato degli Ascione, fu accusato di imporre le sue farine. In un’intercettazione, un commerciante non voleva abbandonare una farina pregiata. Era il vanto per il suo pane da una vita. Respingeva una farina scadente. Ma con i boss è difficile trattare. Si arrivò a un compromesso: il clan comprò sottocosto la migliore, eliminando dal circuito chi la vendeva ai panifici. Faceva girare quella mischiata. Un mix di quella buona e di quella scadente. Ercolano è una di quelle cittadine cresciute selvaggiamente, che da Napoli si susseguono verso Sorrento. Un continuum urbanistico con una densità di popolazione che non ha nulla da invidiare alle metropoli sudamericane. Una città famosa per gli scavi, dove l’abusivismo edilizio del passato ha conquistato metro dopo metro, chilometro dopo chilometro, la cintura verde attorno al Vesuvio. Una città dove la camorra del clan Papale-Ascione la fa da padrone riscuotendo il pizzo su tutto. In casa di un affiliato della cosca è stato ritrovato un elenco di ottanta commercianti; ogni nome una cifra vicina. Divisa per quartiere, per negozio, per zona. Un vademecum del pizzo, o meglio la mappa del racket. Una città con due clan in guerra e nella quale i panettieri-salumieri erano e sono costretti a pagare il doppio pizzo in pagnotte. Questa è la storia di un vecchio panettiere di Ercolano che come sempre all’alba impasta acqua e farina per sfornare pizzette, cornetti e pane caldo. Un bel giorno dal suo forno niente più pane caldo. Il clan
31
L'ultima cena_019-184_EDA_132*185_capitolo_2livelli 24/08/10 12.55 Pagina 32
32
l’ultima cena
Ascione ha deciso che per il pane ci si deve rifornire dalla ditta di fiducia. Oltre dieci chilogrammi al giorno, nessuna trattativa. Niente prendere o lasciare. Qui in terra di camorra si deve solo prendere. Anche se nella stessa strada si sta facendo avanti il clan rivale, il quale, allo stesso panettiere, chiede di mettere tra i banchi il pane della “nuova ditta familiare”. Alla fine il salumiere oltre ad acquistarlo dal clan vincente Ascione è costretto a prendere – per finalità che qui si definiscono sociali, nel senso di pax sociale – quantità di pane anche dal clan rivale emergente. Per molti mesi Ercolano è diventata uno dei maggiori centri produttivi della pagnotta calda. Miracoli della lievitazione. La camorra sta cercando di mettere le mani anche sulla distribuzione delle uova. A Napoli e provincia, tra Marano, Acerra e i quartieri di Soccavo, Pianura e Ponticelli, alcuni imprenditori avicoli si sono visti, giorno dopo giorno, ridurre la propria affezionata clientela. I loro clienti erano stati “convinti” da alcune persone a comprare uova solo da loro. E chi ha provato a opporsi è stato costretto con le maniere forti a scendere a più miti consigli.
Ladri di immagini_001_006_titolo-colophon_EDA_132*185_romana 26/07/10 16.38 Pagina 4
Cover_Ruggiero_ultima cena_ultima cena 24/08/10 12.41 Pagina 1
verdenero
inchieste
Riprendere il controllo della propria vita, tuttavia, è possibile: Peppe Ruggiero (autore del documentario cult Biùtiful cauntri) – nel suo viaggio tra i segreti dell’impero enogastronomico della criminalità organizzata – racconta anche un altro tipo di mercato (sano, garantito, legale). E rivela le ricette a prova di boss.
L’ULTIMA CENA
Pasta al burro e idrocarburi, mozzarella sbiancata con la calce, filetto agli anabolizzanti, pesce avariato rinvenuto in acqua di mare, verdura coltivata tra i rifiuti tossici... Al mercato dei boss si trova tutto il necessario per realizzare veri e propri menù-killer: li consumiamo ogni giorno, senza saperlo, a casa, in mensa, al ristorante, al bar. Un giro d’affari “gastronomico” di 70 miliardi di euro all’anno che tiene in pugno i negozianti come le grandi aziende alimentari, oltre che la salute di tutti.
PEPPE RUGGIERO
peppe ruggiero, giornalista professionista, collabora con varie testate tra cui l’Unità, Terra, Narcomafie, Libera Informazione. Responsabile ufficio stampa di Libera e di Legambiente Campania, è tra i curatori del Rapporto Ecomafia di Legambiente. Nel 2007 ha realizzato con Andrea D’Ambrosio ed Esmeralda Calabria il documentario Biùtiful cauntri, vincitore del Nastro d’Argento 2008 come miglior documentario uscito in sala. Nel 2010 è stato consulente su criminalità e sicurezza alimentare per la trasmissione Mi Manda Rai Tre.
PEPPE RUGGIERO
Nessuno l’ha invitata, ma entra ogni giorno nelle nostre case, si siede alle nostre tavole, «speculando su ciò che abbiamo di più necessario, ciò di cui nessuno può fare a meno», come spiega Luigi Ciotti nella prefazione di questo libro: «Il cibo». La criminalità organizzata raccontata da Peppe Ruggiero non è quella degli omicidi, dei sequestri, della droga, degli appalti. Ma è forse ancora più inquietante: affonda le radici in uno dei settori economici e culturali italiani d’eccellenza – del quale ha ormai il controllo – lo vampirizza, lo intossica, lo inquina. Le inchieste della Direzione distrettuale antimafia e le testimonianze inedite raccolte rivelano dettagli agghiaccianti, che minacciano ogni genere alimentare: dalla pasta alla frutta, dalla carne ai datteri, tutto può essere “taroccato” per generare maggior profitto. E dove non basta la sofisticazione alimentare più bieca, arriva comunque il “pizzo”, l’imposizione di un marchio, la diffusione a macchia d’olio di un prodotto. Il cosiddetto “menù della camorra”, dall’antipasto al dessert, è gentilmente offerto dai boss di casa nostra. E se qualcuno ha in mente di consolarsi al bar con ’a tazzulella ’e caffè, sappia che rischia di pagarla direttamente alla criminalità organizzata. Magari insieme a una giocata di videopoker. Non esistono vie d’uscita? In realtà ci sono sempre altri mondi possibili, come dimostra il progetto Libera Terra: cooperative sociali che producono cibo genuino sulle terre confiscate alle mafie. Un antipasto di legalità. Tanto per cominciare.
L’ULTIMA CENA A tavola con i boss prefazione di Luigi Ciotti introduzione di Roberto Morrione
Euro 14,00 ISBN 978-88-96238-54-7
Edizioni Ambiente
inchieste
www.verdenero.it blog.verdenero.it