L'Italia della Green Economy

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L’Italia della green economy

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Silvia Zamboni l’italia della green economy idee, aziende e prodotti nei nuovi scenari globali

realizzazione editoriale

Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it

coordinamento redazionale: Paola Fraschini

progetto grafico e impaginazione: Roberto Gurdo

copertina: GrafCo3 Milano

© 2011, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333

ISBN 978-88-6627-016-4

Finito di stampare nel mese di dicembre 2011 presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (PG) Stampato in Italia – Printed in Italy Questo libro è stampato su carta riciclata 100%

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Silvia Zamboni

DELLA

GREEN ECONOMY

IDEE, AZIENDE E PRODOTTI NEI NUOVI SCENARI GLOBALI Presentazione di Edo Ronchi

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Indice

Presentazione

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di Edo Ronchi

Crescita dei limiti

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Introduzione

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di Ralf Fücks

di Silvia Zamboni

Efficienza energetica

Lavatrici, lavastoviglie e frigoriferi risparmiosi Un cappotto su misura “riciclabile” Casseri “lego” termoisolanti salvaenergia La casa a doppia pelle che non teme il sole Pompe di calore ad alta efficienza Il container che genera energia elettrica Cogenerazione da oli vegetali L’energia viene dai fumi Dall’ecobalera all’ecocaldaia a biomasse La riscoperta dell’acqua calda Teleriscaldamento geotermico a bassa entalpia La macchina salvaenergia che semina e concima La batteria che fa risparmiare energia Un’azienda Usl a energia pulita Stampa di meno, risparmia di più Che cervello ha quell’edificio Pentole e padelle intelligenti

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Illuminazione pubblica a basso consumo Onde convogliate salvaenergia Dibawatt il menowatt

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Fonti rinnovabili

Quella comunità è... una foglia L’elettricità da tegole e pareti fotovoltaiche Non lasciate il pianeta agli stupidi Il parco solare nella fattoria sociale Elettricità e acqua calda dai moduli solari Pianeta sole Una serra contro l’effetto... serra Il mini eolico tascabile L’eolico sul tetto di casa Il mini eolico dall’Antartide al Sud del mondo

Geotermia e sistemi integrati Un armadio... geotermico Il caldo che viene dal freddo

Un impianto ibrido per edifici in classe energetica A+

Uso di biomasse per la produzione di energia Energia rinnovabile dalle vigne La trigenerazione a tutto biogas

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Biocarburanti

Parla italiano il bioetanolo di seconda generazione

Riduzione produzione di rifiuti L’ospedale a imballo zero Compostiamoci bene Prevenire, partecipare e comunicare L’imballaggio che riduce plastica e CO2 Acqua alla spina batte acqua minerale

Meno rifiuti nelle mense con il freebeverage

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Raccolta differenziata Differenziamo ergo... Sumus Fare soldi salvando il pianeta

Il centro commerciale che fa la differenza

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Macchinari e impianti per trattamento rifiuti La pioniera del riciclo automatizzato Il cimitero informatizzato delle auto La multistampatrice per plastiche da riciclo Una combustione senza fiamma e senza emissioni Energia dal termovalorizzatore portatile Nuova vita dalle ceneri Rifiuti di ogni matrice al vaglio Quel cavo è una miniera Quando i rifiuti corrono in galleria L’officina che ripara la plastica

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Materiali e prodotti innovativi da riciclo Riciclare il tetra pak Minori consumi con scooter in plastica da riciclo Scope e bidoni per rifiuti in plastica riciclata La pietra che... ricicla gli sfridi industriali Dalle bottiglie in Pet ai pannelli termoisolanti Dall’emergenza rifiuti al packaging sostenibile Pannelli riciclati alla sansa di olive

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Recupero e riciclo Raee

La nuova frontiera post uso dei tubi catodici Il riciclo ecosostenibile degli elettrodomestici Dai tubi al neon alle piastrelle La doppia vita di computer e stampanti Energia pulita dai vecchi cellulari

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Trattamento rifiuti organici

Elettricità da biogas e compost di qualità Il biocompost prodotto a secco

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Prodotti innovativi

Veicoli elettrici per città meno inquinate La spazzatrice che aspira le polveri Un pallet certificato, sostenibile, etico, sano Suole ecofriendly in plastica biodegradabile Sono made in Italy i biopannolini per bebè Storia, cultura e filosofia nella gomma da masticare biologica

Materiali innovativi per l’edilizia Materiali edili in lana di pecora Una vernice naturale di nome Yang Green building con la calce naturale

Una vernice antimuffa e atossica mangiasmog Una ceramica antibatterica e antinquinamento Da argille e rifiuti organici la ceramica termoisolante Il calore corre sul nanopolimero

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Presentazione

L’innovazione ecologica per la riforma dello sviluppo

Promuovere l’innovazione ecologica di processi produttivi, di beni e di servizi, che abbia anche potenzialità economiche di diffusione e di incremento dell’occupazione, come fa il Premio per lo Sviluppo Sostenibile istituito dalla Fondazione che presiedo e destinato alle imprese, è parte di un progetto più ampio. Essendone stato uno dei convinti promotori, vorrei illustrare, in breve, il senso del progetto nel quale si inquadra anche l’iniziativa del Premio. Per superare la crisi, in Italia circola una proposta che attraversa gli schieramenti politici: “rilanciare la crescita economica”, senza se e senza ma. Il fatto che la crescita dell’economia tradizionale sia ormai palesemente insostenibile per la capacità di carico dell’ambiente passa in secondo piano, come se fosse un dato trascurabile. La questione andrebbe invece affrontata in termini diversi: chiedendosi, intanto, se esistano in questa crisi possibilità reali per innovare e cambiare la qualità dell’economia, per realizzare una riforma dello sviluppo, verso la sostenibilità ecologica. L’esigenza di riforme, necessarie per rilanciare l’economia e l’occupazione, è ampiamente condivisa in Italia. Ne ha parlato il 30 maggio 2011 nelle sue Considerazioni finali anche l’allora Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, oggi Presidente della Banca centrale europea (BCE), proponendo un lungo elenco di riforme necessarie: del fisco, della spesa pubblica, per le liberalizzazioni e le infrastrutture, del mercato del lavoro, della formazione e della ricerca. È sorprendente l’assenza, in questo lungo elenco, come del resto in gran parte del dibattito italiano, di analisi e proposte su una non più rinviabile riforma: quella dello sviluppo nella direzione di una sua sostenibilità ecologica. Non cogliere questo nodo, quello della riforma dello sviluppo, e parlare di attenzione e rispetto per l’ambiente come altrettanto spesso si fa, è solo una manifestazione di un livello purtroppo molto basso sia della coscienza sia della conoscenza ecologica. Come se, oggi, all’avvio di questo nuo-

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vo secolo, fosse ancora possibile ragionare di economia e di sviluppo, come si faceva nella prima metà del secolo scorso, a prescindere dalla sostenibilità ecologica. Eppure proprio nella crisi internazionale del 2008-2009 si è fatta strada l’idea della necessità di un “global green New Deal ”, di un nuovo patto globale capace di affrontare, contestualmente, sia la crisi climatica ed ecologica sia la recessione mondiale con un processo di riforma dello sviluppo comunemente chiamato green economy. La differenziazione e l’innovazione, promosse anche in passato dalle grandi crisi economiche, in questa sono state dirette, per varie ragioni, non solo verso il potenziamento di alcuni settori ma, con un ampio consenso, verso un nuovo indirizzo generale dell’economia, caratterizzato dalla ricerca di un’elevata qualità ecologica, per questo chiamata green economy. Non è un processo univoco: permangono, e sono ancora prevalenti, modelli di produzione e di consumo insostenibili (per esempio, nel 2010 le emissioni mondiali di gas serra sono cresciute di ben 1,5 miliardi di tonnellate rispetto al 2009, con un tasso di crescita non sostenibile). Ma sbaglieremmo a non cogliere le tendenze positive che sono in atto e che creano un contesto di “vento a favore” per una riforma dello sviluppo in direzione ecologica. La stessa crisi climatica, per esempio, non è più vista solo come vincolo e costo: per molti è anche occasione di nuovo e diverso sviluppo, in particolare nei settori emergenti delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica. Molte imprese si impegnano per prodotti e processi produttivi puliti, fanno dell’elevata qualità ecologica un elemento decisivo della propria competitività anche in Italia. Il numero delle certificazioni ambientali con lo schema europeo EMAS, di sito e di organizzazione, sono passate da 887 nel 2005 a 2.496 nel 2009 (fonte ISPRA), quelle certificate secondo lo standard internazionale ISO 14001 sono passate da 9.569 nel 2005 a 13.091 nel 2009 (fonte Sincert). Un altro indicatore è il numero consistente dei prodotti e dei servizi che hanno ottenuto l’etichetta ecologica europea Ecolabel, che riguarda ben 16 gruppi, e che sono passati da 1.340 nel 2005 a 10.169 nel 2009. Sia sul piano quantitativo, per numero di imprese e fatturati, sia sul piano qualitativo, per i contenuti e i livelli di convinzione nelle scelte, la spinta verso una green economy è un processo in atto anche in Italia e la crisi non lo ha rallentato, anzi, nel 2009, anno della recessione più acuta, ha segnato anche un livello più alto di certificazione ecologica sia di prodotto sia di processo produttivo. La perdurante contrazione dei consumi, dovuta a una flessione del reddito disponibile, sta promuovendo una riflessione, con contenuti e una diffusione inediti nel recente passato, sulla loro qualità e sugli stili di vita. È, infatti, in crescita la domanda di beni e servizi più attenti all’ambiente, più sani e desiderabili, ma anche utili per far riprendere l’economia. Un son-

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Presentazione

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daggio IPSOS dell’ottobre 2010 rivela che alla domanda “L’ambiente in tempo di crisi economica è un limite o un’opportunità?” il 75% degli interpellati ha risposto “un’opportunità” e solo il 17% ha risposto “un limite” (l’8% “non sa”). Secondo una rilevazione del 2009 di Eurobarometro, il 68% degli italiani ritiene che la battaglia contro il cambiamento climatico abbia un impatto positivo sull’economia. Interpellati il 12 e il 13 giugno 2011 da un referendum sulla gestione pubblica dell’acqua, risorsa naturale fondamentale, e sul blocco del nuovo programma nucleare, gli italiani hanno risposto con un’affluenza del 57% (erano 15 anni che i referendum non raggiungevano il quorum!) e con una travolgente valanga del 95% di voti favorevoli. Consensi così ampi su queste problematiche non si erano mai avuti in passato. Questa nuova consapevolezza deriva dal fatto che la sostenibilità ecologica è diventata ormai una preoccupazione centrale. Negli ultimi trent’anni il mondo si è messo a correre: la popolazione mondiale è aumentata di più di due miliardi, da 4,4 a 6,8 miliardi di essere umani, con una crescita del 52%. La globalizzazione dello sviluppo ha prodotto una crescita economica mondiale del PIL pari al 125%, ossia più che doppia di quella della popolazione, dal 1980 al 2009: nonostante la recessione del 2008-2009, una crescita economica mondiale così consistente, in pochi decenni, non si era mai vista. I consumi mondiali di energia, dal 1980 al 2009, sono cresciuti di circa il 70%, da 6,6 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio (tep) a 11,16 miliardi di tep. La crescita mondiale delle emissioni di gas serra, nonostante la flessione prodotta dalla crisi del 2008-2009, nell’ultimo trentennio è stata impressionante: da 18 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente a circa 30 miliardi di tonnellate nel 2010. La crescita delle emissioni globali è stata così rapida e così consistente che gli oceani, le foreste e i suoli non l’hanno potuta assorbire tutta: la concentrazione di CO2 in atmosfera è aumentata da 339 parti per milione (ppm) nel 1980 alle 389 ppm misurate nel 2010. L’aumento della concentrazione di gas serra in atmosfera di 50 ppm in soli trent’anni non ha precedenti nella storia. Nel 1750, all’avvio dell’era industriale, la concentrazione misurata di CO2 era di 280 ppm: in 210 anni è aumentata di 59 ppm, mentre è aumentata di 50 ppm negli ultimi trent’anni. La conoscenza e l’innovazione tecnologica hanno rivoluzionato produzioni e consumi, ma i progressi tecnologici e l’aumento della produttività delle risorse naturali, che pure ci sono stati, non sono bastati a rendere lo sviluppo economico globale sostenibile, data la velocità della crescita dei consumi delle risorse e dell’incremento degli impatti ambientali globali. Siamo così entrati in un’era di scarsità ambientale. Al punto che taluni, specie in Europa, teorizzano che ormai solo una “decrescita” dell’economia potrebbe evitare una catastrofe ecologica. Ragionamento all’apparenza coerente: se la crescita economica genera insostenibilità, la sostenibilità

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richiederebbe la decrescita. La necessità di un’antitesi per superare una tesi e generare una nuova sintesi, per quanto suggestiva, è solo una delle teorie del cambiamento, non l’unica e nemmeno quella che ha avuto le maggiori conferme storiche. I sostenitori della decrescita economica ritengono che lo “sviluppo sostenibile” sia un ossimoro: un contrasto di termini, perché non vi potrebbe più essere, specie nei paesi maggiormente industrializzati, sviluppo compatibile con la sostenibilità ecologica. Non insisterò sulle differenze fra sviluppo e crescita economica: sono differenze significative, ma rischiano di portare la discussione su un binario formalistico. Cercherò invece di proporre una sintetica riflessione che, pur partendo da alcune premesse convergenti, arriva a conclusioni diverse dalla visione della decrescita economica. “Non vi può essere una crescita economica illimitata in un pianeta che dispone di risorse limitate e di una limitata capacità di carico e di resilienza”: affermazione che non dovrebbe richiedere troppe dimostrazioni poiché è sostenuta, ormai, da prove evidenti. Ma dalla critica al modello insostenibile di crescita illimitata non deriva, necessariamente, un modello di decrescita economica. Ne può derivare la necessità di acquisire una “coscienza dei limiti”, con i conseguenti principi di prevenzione e di precauzione, e la necessità di porre fine agli sprechi e al consumismo. Ciò non significa necessariamente decrescita economica, ma è un approccio che si può assumere anche nei confronti di un’economia capace di dissociare la crescita del benessere e della sua estensione a miliardi di persone dall’insostenibilità ecologica, riducendo il consumo di risorse naturali e gli impatti ambientali. Taluni sostengono che per ragioni fisiche, di bilancio di input e output, non sarebbe più possibile crescere in maniera ecologicamente sostenibile. Commettendo un duplice errore: scambiare il pianeta Terra per un sistema chiuso, dimenticando che riceve enormi quantità di energia dal Sole; trascurare che nei sistemi viventi, e in misura maggiore in quelli umani, non c’è solo uno scambio di materia e di energia, ma anche di una risorsa non soggetta alle leggi della termodinamica: l’informazione. Quindi, almeno a livello di possibilità, queste due condizioni (della disponibilità di grandi quantità di energia solare e dell’ampia disponibilità di una risorsa, rinnovabile e che può aumentare, con nuove ricerche e scoperte, con l’accumulo e la diffusione, cioè la conoscenza) potrebbero consentire uno sviluppo duraturo, in grado di assicurare un esteso benessere alla popolazione mondiale, non solo ai 7 miliardi attuali, non a un numero illimitato di persone, ma almeno ai 9-10 miliardi prevedibili in futuro, in modo ecologicamente sostenibile. Non dico che questa sia una prospettiva già aperta; anzi, con i trend attualmente in corso, diciamo anche che è la meno probabile. Lo sviluppo sostenibile è però una prospettiva possibile, praticabile e auspicabile. È possibile perché l’attuale modello economico, di produzione e di consumo, si basa sullo spreco di energia e di materiali: un sistema economi-

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Presentazione

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co ecoefficiente avrebbe rilevanti margini di sviluppo anche con una riduzione degli impatti ambientali. Si pensi, ad esempio, ai margini elevatissimi di risparmio e di efficienza energetica che ci sono nei nostri edifici, nelle apparecchiature, nei trasporti e nell’industria. Si pensi alle ingenti quantità di rifiuti che si potrebbero evitare con accorte politiche di prevenzione, oppure ai milioni di tonnellate di rifiuti di qualunque tipo che buttiamo in discarica ogni anno e che potrebbero invece essere riciclati recuperando ingenti quantità di materiali. È vero che quasi un miliardo di persone è sottonutrita, ma circa un altro miliardo è obesa per eccesso di nutrimento. Temiamo che la produzione agroalimentare in futuro, con l’aumento della popolazione e con la crisi climatica, diminuisca e non sia più sufficiente, ma intanto circa il 30% della produzione agroalimentare si perde nella distribuzione e nella grande quantità di cibi scaduti e andati a male. Continuiamo a usare milioni di auto molto pesanti, che consumano l’energia di centinaia di cavalli, per portare in giro quasi sempre una sola persona, con motori che hanno rendimenti bassissimi, intorno al 20%. Anche la crisi ecologica globale più pericolosa, quella climatica, che richiede, in pochi decenni, tagli drastici dell’impiego di combustibili fossili, può essere efficacemente mitigata: vi sono studi che dimostrano, con argomenti convincenti e tecnicamente robusti, che con opportuni mix di tecnologie, di politiche e di misure ciò sarebbe possibile. Questa immane conversione ecologico-climatica richiederà di ridurre o eliminare alcune attività economiche, ma ne promuoverà e svilupperà molte altre. È anche una prospettiva praticabile, perché è praticata: dispone già di buone pratiche, di buone tecniche che potrebbero essere migliorate e diffuse massicciamente. Lo sviluppo delle energie rinnovabili e dell’impegno per l’efficienza e il risparmio energetico sono ormai al centro delle politiche energetiche di molti paesi. Il grave incidente nucleare ai reattori di Fukushima in Giappone non solo ha avviato un abbandono del nucleare forse definitivo in numerosi paesi, ma sta contribuendo a rafforzare le nuove politiche energetiche fondate sul risparmio e le fonti rinnovabili. Entro i prossimi venti anni almeno la metà dell’elettricità consumata in Europa sarà prodotta con fonti rinnovabili. Le diverse filiere del riciclo (dalla carta alla plastica, dal legno ai metalli, dal vetro, dagli scarti alimentari agli oli minerali e vegetali, dagli pneumatici alle apparecchiature elettriche ed elettroniche) hanno retto bene alla crisi e hanno ampi margini di incremento. Ridurre la produzione dei rifiuti, prolungare la vita dei beni promuovendo riparazione e riutilizzo, potenziare il riciclo e l’uso di prodotti riciclati, consente di tagliare drasticamente il consumo e il prelievo di materiali, sviluppando anche nuove attività economiche. Così come maggiore e migliore può essere l’utilizzo di materiali rinnovabili, evitando di competere con le produzioni agroalimentari, ma valorizzando scarti, rifiuti, alghe e prodotti di terre marginali e aride con la biochimi-

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ca e i biocarburanti di seconda generazione. E non solo è possibile frenare il consumismo di beni materiali con consumi più consapevoli, più immateriali, relazionali e culturali, ma è possibile sviluppare una più consistente dematerializzazione dell’economia con usi appropriati delle nanotecnologie, dell’informatica e della rete. Sono ormai numerose le esperienze di mobilità sostenibile in diverse città: basterebbe la loro generalizzazione per cambiare radicalmente il sistema della nostra mobilità urbana. In agricoltura è ormai molto ampio il ricorso a tecniche biologiche che potrebbero diventare generali, estese a tutte le produzioni agricole. Anche l’idea che le imprese possano reggere i mercati e fare profitti solo danneggiando l’ambiente è ormai solo un pigro pregiudizio. Come quella che vede solo consumatori manovrati e condannati all’inevitabile consumismo. Non è un caso che si pratichi una green economy, sia da parte di importanti settori del mondo delle imprese che puntano proprio su un’elevata qualità ecologica dei loro prodotti e processi produttivi, sia da parte di settori ormai importanti di consumatori consapevoli. Saranno ancora minoranze, ma ci sono e sono in aumento. Tutto ciò, e altro ancora, mi fa dire che un forte impegno nell’innovazione ecologica potrebbe rappresentare una leva centrale per la riforma del nostro sviluppo nella direzione della sostenibilità. E questa è anche una prospettiva auspicabile. Continuo a essere poco convinto dei proclami tipo “fermate il mondo, voglio scendere”, preferisco credere nell’impegno in processi democratici, partecipati, di cambiamento, capaci di coinvolgere milioni di cittadini. Crisi, pestilenze e guerre hanno anche in passato, nella storia dell’umanità, causato decrescite economiche. E ciò potrebbe accadere anche in futuro: per esempio il Rapporto Stern, commissionato dal governo inglese e reso pubblico alla fine del 2006, stima che la crisi climatica, in assenza di misure adeguate di mitigazione, potrebbe causare crolli del PIL dal 5 al 20%, con conseguenze economicamente ben più gravi e vaste di quelle della recessione del 2008-2009. Ma se si punta sulla partecipazione democratica, occorre proporre cambiamenti desiderabili per la gran parte dei cittadini. Così come non mi hanno mai convinto le proposte di ritorno a società vernacolari, pre-industriali, e ho sempre preferito le proposte ispirate all’ecologia come seconda modernità, ritengo la visione della decrescita culturalmente inefficace e riduttiva, ad alto rischio di confinamento della visione ecologista, oggi più che mai necessaria all’intera umanità, in una dimensione ristretta, minoritaria. Ma come evitare di scivolare dalla critica al riduzionismo della decrescita all’opportunismo che può portare a sottovalutare la necessità di una impegnativa riforma dell’attuale sviluppo? Se dovessi sintetizzare la connotazione fondamentale di un’economia sostenibile utilizzerei la definizione di “economia sobria”. Come sappiamo sobrio è il contrario di ebrius (la “s” ha un

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significato privativo come con i termini sleale, scontento), ebrius vuol dire ebbro, ubriaco. Abbiamo bisogno tutti di un’economia che non sia ubriaca, che non passi dall’euforia del consumismo ai crolli nella depressione, che non faccia della sua sregolatezza una minaccia continua per la comunità, che non sprechi il suo patrimonio più prezioso, quello delle risorse naturali e che non abbandoni parte della famiglia umana nell’indigenza. Un progetto di economia sobria, consapevole nei consumi e negli stili di vita, più attenta alla qualità, capace di guardare al futuro, è parte essenziale di un processo di innovazione ecologica necessaria per dissociare lo sviluppo dagli impatti negativi per l’ambiente. Diffondere innovazioni ecologiche in un’economia ubriaca, sarebbe come seminare fiori in un piazzale asfaltato. La sobrietà è stata ignorata un po’ da tutte le tradizioni politiche del secolo scorso anche perché non era di così rilevante attualità. Oggi, nell’era di una globalizzazione che rende tanto pressanti e visibili fattori di crisi ecologica e di scarsità ambientale, non dovrebbe essere più così difficile promuovere la conversione da un’economia dello spreco a una del risparmio di energia e di risorse naturali. Anche perché tale conversione può beneficiare di tecnologie già disponibili, capaci di creare maggiore e migliore occupazione. Il Premio per lo Sviluppo Sostenibile assegnato dalla Fondazione alle migliori aziende della green economy made in Italy contribuisce a promuoverne la diffusione. 11 novembre 2011 Edo Ronchi, Presidente Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile

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Crescita dei limiti

In cammino verso la modernità ecologica

A quasi quaranta anni dalla pubblicazione del famoso studio del Club di Roma che ha reso “I limiti della crescita” un’espressione proverbiale, è emerso nuovamente il disagio verso la crescita economica. Anche il disastro nucleare in Giappone (l’incidente alla centrale di Fukushima, ndt) ha sollevato l’interrogativo se le minacce a cui si auto-espone la civiltà industriale non impongano un’inversione di rotta. Che l’odierno modello di crescita non sia capace di futuro è fuori discussione: impatta eccessivamente sugli ecosistemi dai quali dipende l’umanità, e in nome di un precario benessere materiale produce sempre più rischi che gravano sul futuro. È sulle conseguenze da trarre da questa consapevolezza che verte il dibattito: dobbiamo uscire dalla spirale della crescita, oppure siamo alla vigilia del grande balzo in un’epoca all’insegna dell’ecologia, nella quale crescita dell’economia e consumo di risorse naturali sono disaccoppiati? Si chiama crescere con la natura l’alternativa a fine della crescita. Guardiamo a come stanno davvero le cose: parlare di fine della crescita economica è finzione allo stato puro. Piuttosto, ci troviamo al centro di un gigantesco ciclo di crescita, che proseguirà nei prossimi decenni. I due potenti fattori che la alimentano sono, da un lato, l’aumento della popolazione mondiale dai circa 7 miliardi odierni ai nove miliardi esseri umani previsti al 2050 e, dall’altro, il soddisfacimento dei bisogni finora trascurati della grande maggioranza degli abitanti della Terra, che si stanno tirando fuori dalla più nera miseria. Mentre noi discutiamo di limiti della crescita, le popolazioni di Asia, America Latina e Africa stanno per realizzare il sogno di una vita migliore, una vita simile a quella che conduciamo noi, con case moderne, alimenti differenziati, televisione, computer e telefoni, abiti alla moda e viaggi in paesi stranieri. Niente e nessuno potrà distoglierli da questi obiettivi. L’unica domanda da porsi è se questa enorme produzione di

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nuovi beni e servizi conduca al collasso ambientale o se possa essere indirizzata sui binari della sostenibilità. Non è un caso che la critica alla crescita sia di casa soprattutto in Europa, un continente alle prese con il calo demografico e il dubbio crescente che il periodo migliore della sua storia appartenga ormai al passato. Harald Welzer ha ben inquadrato questa mentalità da fine secolo nelle pagine culturali dell’edizione domenicale del quotidiano Frankfurter Allgemeine (52/2009). Welzer rimprovera all’“Occidente” di nascondersi la realtà se continuerà a correre dietro alla crescita. “Il suo futuro (l’Occidente, ndt) oramai ce l’ha alle spalle. È necessario anche sapere allentare la presa”. La crescita, afferma, non produce “né posti di lavoro, né elimina la povertà a livello mondiale”. È vero che la crescita economica da sola non ha mai assicurato il progresso sociale. Negare però lo stretto legame che esiste tra crescita, occupazione e standard di vita significa ignorare ogni evidenza empirica. I limiti della crescita non sono rigidamente definiti

Il richiamo ai “limiti della crescita” non è nuovo. Alla fine del 18° secolo, quando il processo di industrializzazione era ancora agli inizi, l’economista inglese Robert Malthus profetizzò che la produzione agraria non sarebbe riuscita a tenere il passo con il rapido aumento della popolazione. Dal momento che l’attività agricola, a causa della crescente domanda di cibo, si sarebbe estesa a terreni sempre più sterili, la capacità produttiva media per superficie avrebbe finito inevitabilmente per calare, mentre avrebbe continuato a crescere il tasso di incremento demografico. Le carestie, che avrebbero riportato a livelli sostenibili il numero di esseri umani sulla Terra, sarebbero risultate inevitabili. La legge di Malthus conteneva solo un piccolo errore: proiettava nel futuro lo status quo. D’altra parte, come avrebbe potuto prevedere le dirompenti scoperte di Justus Liebig e del suo contemporaneo Gregor Mendel? L’uso della chimica in agricoltura insieme all’introduzione di innovativi metodi di coltivazione sistematica hanno rivoluzionato l’agricoltura, incrementandone fortemente la produttività. Anziché scontrarsi con i ferrei limiti della crescita, dalla infausta profezia di Malthus in poi la popolazione mondiale è aumentata di sette volte, e per di più parallelamente a un crescente consumo di calorie a testa. E ci sarà cibo a sufficienza anche per i 9 miliardi di essere umani che presto abiteranno il pianeta, se i paletti verranno fissati correttamente: terra e capitale per i piccoli proprietari agricoli, sviluppo delle infrastrutture rurali, incremento della produttività dei terreni attraverso l’impiego di metodi di coltivazione biologici, protezione dei mari, ritorno dell’agricoltura nei terreni desertici, agricoltura high-tech nelle città e cam-

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biamenti delle abitudini alimentari nei paesi ricchi: riduzione del consumo di carne, aumento di quello di prodotti locali. Che ci siano “limiti alla crescita” di natura ecologica è fuori discussione, limiti che si possono superare solo a prezzo di pesanti crisi ecologiche. Riguardano prima di tutto la capacità di assorbimento, da parte degli ecosistemi, delle emissioni causate dagli uomini. I cambiamenti climatici provocati dalle attività umane sono un sintomo patologico che segnala il superamento dei limiti di carico dell’atmosfera. Anche la perdita di suoli fertili, la crisi idrica in molte regioni del pianeta e la scarsità di materie prime strategiche segnalano che il sistema industriale nella sua odierna versione non è capace di futuro. Tuttavia, i limiti di carico degli ecosistemi non rappresentano in assoluto dei limiti per una futura crescita dell’economia. I limiti naturali alla crescita non corrispondono a grandezze immodificabili. Si possono ampliare in due modi attraverso: • un aumento dell’efficienza delle risorse (produrre di più con meno); • la sostituzione delle materie prime finite con le energie rinnovabili e le materie prime riproducibili, in altre parole attraverso fonti di ricchezza potenzialmente inesauribili. Il tanto amato argomento che non è possibile una crescita illimitata su un pianeta limitato poggia su un errore. Perché la terra non è uno spazio chiuso in se stesso: dall’esterno riceve un costante apporto di energia che finora abbiamo usato solo in minima parte; questo apporto esterno di luce e calore è alla base di ogni processo produttivo in natura. Fino a oggi la società industrializzata si è nutrita con le riserve di energia accumulate dalla Terra: foreste, carbone, petrolio e gas. Ora si è visto che la liberazione dei giacimenti di carbonio presenti sul pianeta ha una conseguenza che è stata a lungo trascurata: destabilizza il clima terrestre. In effetti l’era dei fossili si scontra con i propri limiti. La conseguenza da trarre da questa consapevolezza è tanto semplice quanto ambiziosa: in futuro l’umanità dovrà soddisfare il fabbisogno di energia impiegando le fonti rinnovabili. Al contempo, il prevedibile esaurimento di molte materie prime e di metalli impone la transizione a una bio-economia basata sull’uso di materie ricavate da sostanze organiche. In definitiva, anche da questo punto di vista si tratta di intendere la luce del sole come fonte primaria dell’intera produzione e dei consumi. La rivoluzione dell’efficienza

Il ponte verso il futuro solare passa attraverso il continuo aumento della produttività delle risorse. Si tratta di produrre maggiore benessere da una determinata quantità di materia prima e di energia. Questo approc-

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cio sposta in avanti il termine a partire dal quale le risorse a disposizione diventano scarse, e aumenta il tempo a disposizione per produrre radicali innovazioni che consentano di sostituirle. L’obiettivo non è solo l’ottimizzazione di singoli processi produttivi e di prodotti finali. Si tratta piuttosto di passare a un’economia circolare, nella quale ogni prodotto di scarto serve da punto di partenza per nuovi processi produttivi. Secondo Ernst Ulrich Von Weizsäcker, che ha coniato l’espressiva formula del “fattore 5”, l’aumento della produttività delle risorse è “la melodia del nuovo progresso tecnologico, che sostiene un nuovo grande ciclo di crescita”. A differenza delle precedenti lunghe fasi di innovazione tecnologica, questa volta “diminuisce il consumo di natura, ma aumenta il benessere” (intervista a “change X”, del 14 aprile 2010). Che cosa comporta però il noto “effetto rebound”? Non sarà che il guadagno ottenuto in termini di efficienza viene poi regolarmente cancellato dai consumi crescenti? In effetti ci sono numerose prove empiriche a sostegno di ciò. Tuttavia non è una legge di natura che il consumo di risorse aumenti più velocemente dell’efficienza delle risorse. Un fattore centrale per il consumo di natura è il prezzo dei beni scarsi. “Per questo motivo dobbiamo far sì che nel corso del tempo le risorse limitate diventino più costose” (Von Weiszäcker). In questa prospettiva il prezzo delle fonti di energia deve aumentare come minimo in maniera proporzionale alla produttività energetica, per non incentivare un incremento dei consumi. L’innovazione tecnologica quindi da sola non basta. Affinché ci consenta di raggiungere gli auspicati obiettivi ecologici, c’è bisogno che la politica intervenga a guidare i mercati. La crescita qualitativa

Nel corso dei millenni il numero degli esseri umani e la produzione materiale sono cresciuti solo molto lentamente, con interruzioni provocate da gravi contraccolpi, come la peste o la guerra dei Trent’anni in Europa. Con il processo di industrializzazione si è messa in moto un’accelerazione mozzafiato. Negli anni compresi tra il 1800 e il 2000 la popolazione mondiale è aumentata di sei volte, il consumo di energia di quaranta volte e l’economia mondiale di cinquanta volte (si veda su questo punto Christian Schwaegerl, Menschenzeit, Monaco 2010, pagina 18). Tuttavia non si coglie nel segno se si riduce alla “crescita quantitativa” la dinamica espansiva della società industriale. Perché qualunque sia il criterio che si assume, dall’aspettativa di vita alla mortalità infantile, dalle calorie disponibili a testa al livello di istruzione, all’assistenza sanitaria, ai diritti delle donne e ai diritti democratici, si vede che la crescita della ricchezza materiale ha proceduto di pari passo con il progresso sociale. Insieme alla quantità di merci e servizi disponibili è aumentata anche la loro qualità. Contrariamente a un pregiudizio molto dif-

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fuso, ciò vale per gli alimenti come per l’abbigliamento, gli elettrodomestici, le automobili, i computer e i medicinali. Perché la concorrenza per avere acquirenti non si limita al livello dei prezzi ma riguarda anche la qualità. “Crescita qualitativa” potrebbe suonare come un concetto nuovo; la realtà che ci sta dietro però è tutt’altro che nuova. Co-produrre con la natura

Nella sua opera principale, Das Prinzip Hoffnung (Il principio speranza), già negli anni ’40 del secolo scorso Ernst Bloch ha riflettuto su un nuovo rapporto uomo-natura anticipando in che cosa consista la trasformazione ecologica della società industriale. Riallacciandosi a Marx e alle sue osservazioni sulla naturalizzazione dell’uomo e sull’umanizzazione della natura, e anche alla differenza che traccia Schelling tra natura come oggetto e natura come produttività, Bloch sviluppa l’utopia di una produzione che vede l’uomo cooperare insieme alla natura. La tecnologia che abbiamo conosciuto finora era orientata a strappare alla natura i suoi tesori. Al contrario, una futura “tecnologia alleata” punta “a liberare le creazioni sopite nel grembo della natura” (Das Prinzip Hoffnung). Mentre altre creature viventi vivono in “inconscia simbiosi” con il loro ambiente naturale, l’uomo, che si è allontanato dalla natura, deve stabilire in maniera consapevole questa alleanza. Questo concetto di base è stato successivamente sviluppato in diverse varianti. Frederic Vester negli anni ’70 e ’80 è stato il più noto precursore di processi di produzione biocibernetica (F. Vester, Neuland des Denkens, Monaco 1984). Oggi la bionica traduce in innovazione tecnologica i processi e i prodotti biologici naturali, e trae insegnamento dalle fantastiche soluzioni che l’evoluzione ha sviluppato nel corso del tempo. Chi parte solo dall’idea di una ottimizzazione lineare delle tecnologie e dei prodotti disponibili potrebbe dubitare che sia possibile separare la crescita dell’economia dal consumo di beni naturali. Molti segnali però ci dicono che oggi siamo all’inizio di una nuova epoca di innovazioni tecnologiche che ruotano attorno all’efficienza delle risorse, alle materie prime riproducibili e alle energie rinnovabili. Alcuni esempi: • le nanotecnologie e l’enzimatica sostituiscono processi ad alta intensità di materia e di energia; • i metalli si possono riciclare con procedimenti in cui si impiegano batteri; • gli edifici passivi producono più energia di quella che consumano; • le serre verticali utilizzano il calore emesso dai grattacieli per produrre frutta e verdura; • la mobilità urbana del futuro è fatta di una rete di energia solare collegata a ferrovie urbane, autobus elettrici, auto e biciclette elettriche, che si possono utilizzare tutti con un’unica carta elettronica;

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• con l’anidride carbonica emessa dagli impianti industriali si possono coltivare alghe, da cui ricavare materie prime per produrre medicinali, cosmetici, alimenti per l’uomo e foraggio per il bestiame; • ri-coltivazione dei deserti: con l’aiuto del solare termodinamico a concentrazione si può trattare l’acqua marina per rendere di nuovo fertili le aree desertiche poste vicino alla costa. Cosa può, cosa deve fare la politica?

Di fronte alle nuove dinamiche nel mondo dell’impresa e alla comparsa di nuovi attori espressione della società civile, l’attività di regolamentazione da parte dello Stato non è superflua. Se vogliamo evitare qualsiasi rischio di grave crisi, l’economia mondiale in futuro può svilupparsi solo all’interno di “paletti ecologici”, che vanno definiti sulla base della capacità di carico degli ecosistemi. Compito basilare della politica resta definire la cornice di riferimento per imprese, investitori e consumatori. Cruciale è fissare, a livello nazionale, europeo e mondiale, limiti decrescenti per le emissioni di anidride carbonica. Contemporaneamente c’è bisogno di una “dinamica ecologica dal basso” sospinta da imprese high-tech e agricoltori biologici, da ricercatori e investitori, da associazioni ambientaliste e dei consumatori. Una politica ecologista deve puntare a sostenere questa “trasformazione dal basso”. Che riesca per tempo il passaggio al modello di crescita sostenibile è una scommessa aperta. Non è escluso che si possa perdere la corsa con la crisi ambientale. D’altra parte non disponiamo di nessun’altra migliore opportunità per far fronte alle sfide del 21° secolo. Il futuro è ancora aperto e il potenziale di innovazione di una società aperta è illimitato. È su questo che si deve sperare. Ralf Fücks, co-Presidente Heinrich Böll Stiftung

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Protagonista di questo libro è l’Italia che, su piccola e grande scala, quasi sempre lontana dai riflettori, inventa e produce innovazione ambientale in funzione dell’efficienza energetica, dell’impiego delle fonti rinnovabili, dell’uso razionale delle risorse naturali e del recupero di materia ed energia, riducendo le emissioni climalteranti e creando occupazione pulita. È l’Italia fotografata nel corso delle tre edizioni del Premio Sviluppo Sostenibile istituito nel 2009 dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e da Ecomondo-Rimini Fiera, con l’adesione del Presidente della Repubblica. Promuovere e far conoscere le iniziative a forte valenza ambientale delle imprese italiane, favorire la diffusione di buone pratiche e tecnologie innovative: con questi obiettivi è nato il Premio, finora riservato ai settori dell’energia (fonti rinnovabili ed efficienza energetica), gestione dei rifiuti (trattamento, riciclo e recupero di materia ed energia), servizi e prodotti innovativi. Le aziende che vi concorrono sulla base di autocandidature vengono segnalate tenendo conto sia dell’efficacia dei risultati ambientali conseguiti, con particolare riferimento alla mitigazione della crisi climatica; sia del contenuto innovativo di una nuova tecnica o di una nuova pratica, o, in caso di tecnologie e pratiche preesistenti, della loro ottimizzazione a seguito delle misure e degli interventi migliorativi apportati; sia dei risultati economici, con particolare riferimento alla remunerazione dell’investimento effettuato e all’incremento occupazionale; sia, infine, delle possibilità di diffusione, in particolare in Italia. Avendo fatto parte, in tutte e tre le edizioni, della giuria* che ha valutato * Componenti della giuria: (permanenti) Luciano Morselli, Professore ordinario di Chimica dell’ambiente e dei beni culturali presso l’Università di Bologna; Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile; Fabrizio Tucci, docente di Progettazione ambientale e tecnologia dell’architettura presso l’Università La Sapienza di Roma; Silvia Zamboni, giornalista; Giovanni Azzone (nel 2009), Rettore del Politecnico di Milano; Edoardo Croci (nel 2010), Direttore di ricerca della Divisione ambiente e coordinatore Osservatorio informazione e partecipazione ambientale

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la documentazione presentata dalle imprese, mi è sembrato quasi doveroso fissare sulla carta queste storie di successo, non solo mettendo in evidenza le peculiarità tecniche, ma cercando anche di ricostruire e raccontare, attraverso la voce dei protagonisti, le motivazioni ideali, le passioni e i percorsi di vita personali che stanno dietro a prodotti e scelte imprenditoriali rispettose dell’ambiente e della qualità del lavoro. La gamma delle imprese segnalate dal 2009 al 2011 (per ogni edizione, in ciascun settore, la giuria assegna il Primo Premio a un’azienda e ne segnala altre nove) va da complessi impianti, protetti da brevetti internazionali, a prodotti di consumo quotidiani, anche tascabili, come la gomma da masticare biologica importata dalle foreste pluviali dello Yucatan. Una variegata e suggestiva panoramica di esperienze concrete, corroborante antidoto alla sindrome da default economico e industriale, e immagine plastica di una laboriosità manifatturiera e di un’inventiva che non si arrendono e sanno rinnovarsi, affidando alla qualità ecologica di processi e prodotti la propria capacità di competere sul mercato, e che anche per questo meritano considerazione e sostegno. Le tessere di questo puzzle dell’economia verde made in Italy comprendono proposte di prodotti innovativi per l’edilizia, come vernici atossiche e malte prodotte con ingredienti naturali (Kerakoll, Spring Color, Edilana e Edilatte), pitture e materiali ceramici che addirittura decompongono alcuni inquinanti presenti nell’aria (C.I.M., Iris Ceramica), sistemi costruttivi che consentono di isolare termicamente gli edifici, riducendo i consumi di energia per il riscaldamento invernale e il raffrescamento estivo degli ambienti (Lilli Systems e Pontarolo), fino al cappotto termo-acustico riflettente in materiale da riciclo, applicabile anche a edifici esistenti, proposto da SA.M.E. Ci sono aziende che producono sistemi di riscaldamento a basso consumo sfruttando le nanotecnologie (Continuo), o innovative applicazioni di teleriscaldamento (Cogeme, CO.AR.CO). Altre che per la climatizzazione invernale ed estiva impiegano la geotermia a bassa entalpia, le pompe di calore e le fonti rinnovabili, usate singolarmente o integrate attraverso innovativi mixer tecnologici che scelgono, al momento, la fonte energetica più conveniente (MyClima, Geotermia, Gruppo Imar, Robur), mentre la neonata Entropiaforinnovation, per ridurre i consumi legati alla climatizzazione degli ambienti, si affida alla versatilità e duttilità dell’intelligenza artificiale. Sono presenti anche imprese, grandi e piccole, del settore del solare fotovoltaico che puntano all’innovazione di prodotto (Luxferov, System Photonics, Solarmaker, Solon, Beghelli), con 9REN Asset che si occupa della miIEFE, presso l’Università Bocconi di Milano, docente titolare del corso Istituzioni di economia presso l’Università degli Studi di Milano; Walter Facciotto (2011), Direttore generale di Conai – Consorzio nazionale imballaggi.

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tigazione paesistica degli impianti fotovoltaici realizzati, associandoli a esperienze di gestione dei siti che coinvolgono cooperative per il reinserimento lavorativo dei disabili. L’eolico è rappresentato da autentici pioneri del settore che hanno fatto scuola nel mondo (l’altoatesino Ropatec), e da innovatori che propongono miniturbine ad asse verticale capaci di entrare in funzione con un minimo alito d’aria (Dealer Tecno), e produttori di impianti sia per baite isolate sia per tetti di città, con l’obiettivo di essere alla portata di tutte le tasche (Deltatronic International). Per l’efficienza energetica, nelle sue varie declinazioni, figurano l’Asl di Rimini, che ha realizzato un piano integrato per la riduzione dei consumi energetici del settore sanitario pubblico, adottando, tra l’altro, innovativi bandi di appalto e strumenti finanziari che hanno ridotto i costi e i tempi di ammortamento della spesa. Il Centro Cisa ha legato il suo nome, oltre che all’ecobalera del centro sociale del comune di Porretta Terme, anche a impianti energetici ad alto rendimento, come il cogeneratore basato sulla gassificazione di cippato di legna realizzato in un comune dell’Appennino bolognese. FAAM ha sviluppato un sistema di ricarica per batterie che riduce i consumi. ICQ invece progetta e realizza impianti di cogenerazione che sfruttano i vapori di risulta dei processi industriali, al pari di Cefla, che sostituisce i combustibili con oli vegetali e grassi animali. Cogenera anche Exergy, del Gruppo Maccaferri, che ha installato due impianti per la produzione di elettricità e calore che impiegano biogas. Per la casa sono pensate le lavatrici Indesit a ridotto consumo di acqua ed elettricità e gli altri elettrodomestici a larga diffusione della linea Hotpoint-Ariston, e le batterie di pentole Ballarini in alluminio (e imballaggio) da riciclo, con valvola salvaenergia: a compensazione delle emissioni di CO2 prodotte, con la loro vendita si co-finanziano progetti di riforestazione in riserve naturali presenti in paesi in via di sviluppo. Il settore dell’illuminazione pubblica efficiente è presidiato dai sistemi a onde convogliate, diffusi in tutto il mondo, di Umpi Elettronica, e dal Dibawatt di Sorgenia Menowatt, un nome che è tutto un programma. Negli uffici della nuova sede milanese di Lexmark sono diminuiti i consumi di energia e di carta, ed è aumentato il comfort per i dipendenti grazie a una riorganizzazione degli spazi e del lavoro e all’innovativa gestione e controllo delle macchine stampanti. Agli agricoltori ha pensato Maschio Gaspardo: la macchina che semina e concima, grande hit all’Expo di Shangai, riduce il consumo di combustibile, preserva l’integrità del terreno ed è controllabile in remoto in caso di guasto e per manutenzione. Si sa che nella “gerarchia europea” la riduzione a monte della produzione dei rifiuti solidi urbani è al primo posto. In questo campo il Premio ha segnalato quattro casi: una grande impresa, Aprica del gruppo A2A, che ha attuato un programma composto da dodici azioni per diminuire, ad esem-

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pio, gli imballaggi di detersivi e di alcuni alimenti, e per diffondere frutta e verdura a chilometro zero e la produzione di compost domestico; ERICA, che sostiene i comuni nella pianificazione della raccolta domiciliare portaporta; Kroll, un’azienda produttrice di detergenti che confeziona con imballaggi riutilizzabili a basso impatto e minore ingombro; Wellness, che produce pannolini biodegradabili e compostabili per bambini. Sempre in tema di riduzione della produzione di rifiuti, precisamente delle bottiglie in Pet per il confezionamento dell’acqua minerale, soluzioni alternative per la distribuzione di acqua e altre bevande per mense e ristorazione collettiva sono offerte da General Beverage, mentre Celli produce pannelli erogatori di acqua naturale e gassificata e “casette” per l’erogazione dell’“acqua del Sindaco”, una sorta di moderne fontanelle pubbliche del 21° secolo. Nel campo delle biomasse c’è chi le impiega per produrre biocarburanti di seconda generazione (Chemtex), e chi, utilizzando gli scarti di lavorazione delle vigne (Cantine Lungarotti) o della produzione agricola (l’azienda Agricola La Falchetta) ne ricava, attraverso tecnologie diversificate, energia elettrica e termica, anche in forma di trigenerazione con l’aggiunta del raffrescamento estivo. Diverse sono poi le aziende attive nel campo del recupero e riciclo della plastica post-consumo e/o degli sfridi industriali: Chenna produce componenti per arredamento urbano e per pareti ventilate e pavimentazioni riciclando plastica e scarti di lavorazione del legno; Lecce Pen riesce a trattare il tetrapak, scomponendo le frazioni in alluminio e polietilene, da cui ottiene un materiale brevettato, chiamato ecoAllene; MrPet premia i consumatori che consegnano, negli appositi contenitori, le bottiglie in Pet post-uso; Plaxtech produce macchinari per lo stampaggio della plastica da riciclo, utilizzabili anche in forma associata da più aziende; Politex dalle balle di bottiglie in Pet provenienti dalla raccolta differenziata ricava materiale isolante per l’edilizia in grado di ridurre i consumi energetici per la climatizzazione. Ecoplan alla plastica da riciclo aggiunge sansa esausta, un mix originale con il quale ha prodotto, ad esempio, l’arredamento dell’atelier dell’Oreal a Madrid. Un impasto altrettanto inconsueto è quello alla base delle piastrelle termoisolanti di Climatica Ceramica, i cui ingredienti sono terre rosse locali e biomassa di scarto dell’industria agroalimentare. Fino a Piaggio e Utilplastic, che per fabbricare, rispettivamente, componenti per scooter e utensili domestici, impiegano la plastica ottenuta dal trattamento del cosiddetto Plasmix, un insieme di plastiche eterogenee post selezione che fino a un recente passato finiva in discarica o nei termovalorizzatori. Non manca “un’officina” per riparare alcuni manufatti in plastica: è C.R.M.P., che aggiusta cassonetti e contenitori per prodotti ortofrutticoli. Mentre Tecnofilm fabbrica suole per scarpe in plastica biodegradabile ottenuta da componenti naturali non di origine petrolifera. Alla voce, variamente declinata, riciclo, troviamo anche Eco.el Srl/Ricraee,

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Consorzio Remedia e Relight, che a diverso titolo hanno a che fare con la raccolta e il riuso di materiale ricavato dal recupero dei rifiuti di apparecchi elettrici ed elettronici; in questo settore Chibo si è specializzata nel ricollocare sul mercato computer e stampanti obsoleti e/o rigenerati. Sabox, infine, localizzata a Nocera Superiore, ha reagito all’emergenza rifiuti campana buttandosi nella produzione di cartone da riciclo, un’iniziativa che ha innescato una virtuosa filiera locale, dalla raccolta differenziata della carta fino all’impiego, nell’industria alimentare locale, degli imballaggi prodotti con il cartone da riciclo. Macchine e impianti per attività di riciclaggio dei rifiuti le producono Ecostar (sforna vagli di varie dimensioni per la selezione post-raccolta differenziata), Guidetti (produce macchine utensili a ingombro ridotto per il recupero di metalli costosi, come il rame, da cavi dismessi), Itea (vanta svariati brevetti internazionali per un processo di combustione senza fiamma col quale produce energia elettrica e calore trattando, senza danneggiare l’ambiente, rifiuti speciali, come quelli petroliferi e farmaceutici), NSE Industry (inventrice del primo pirogassificatore... a domicilio, per il trattamento di rifiuti con produzione di energia), mentre BSB recupera materiali lapidei, ferrosi e non, dalle ceneri dei termovalorizzatori. Completano le eccellenze del settore rifiuti Montello, che ha sviluppato i primi sistemi di selezione non manuale dei rifiuti tramite detettori ottici, e che oggi produce plastica da riciclo in granuli, a varia composizione, e una membrana isolante per l’edilizia, oltre che compost di qualità dalla matrice organica trattata separatamente; Oppent, che i rifiuti di uffici e di casa li fa viaggiare per via pneumatica in condotte interrate, fino ai luoghi di raccolta. A Mengozzi si deve invece il sistema dell’ospedale a zero imballo, e a Ecofirenze la messa in opera di un sito integrato per la rottamazione delle auto che abbatte drasticamente i rischi di contaminazione dell’ambiente, ed è vicinissimo, già oggi, con oltre il 90%, alla percentuale di recupero di materie e componenti fissata dalla normativa europea al 2015. Dai rifiuti organici Etra e Romagna Compost ricavano biogas e compost di qualità; Aspic ha brevettato un sacchetto in carta da riciclo compostabile anch’esso per la raccolta domestica della frazione umida, mentre al centro commerciale Campania della catena Corio, alle porte di Caserta, è stato raggiunto l’obiettivo del 75% di raccolta differenziata, con produzione di compost che viene impiegato nell’orto didattico collegato al centro e gestito in collaborazione con Slow Food. L’Eco Village, la nuova sede milanese di Vodafone Italia, e la ancora più complessa Leaf Community del Gruppo Loccioni, rappresentano infine due validi esempi di eco-progettazione integrata applicata a luoghi di lavoro, e anche di vita nel caso di Loccioni. Completa il puzzle dell’Italia in verde del Premio Sviluppo Sostenibile una serie di prodotti innovativi, segnalati in svariate sezioni del premio: Chicza,

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il chewing gum biologico che si decompone in poche settimane; il Greenpallet certificato a filiera corta e ridotta carbon footprint di Palm; la macchina a gas metano per lo spazzamento stradale (o di ambienti produttivi) di Dulevo che non rilascia polveri e assorbe quelle depositate sul fondo stradale; i veicoli elettrici commercializzati da Renault Italia, con l’innovativo sistema del noleggio della batteria e, in prospettiva, la sostituzione delle stesse in aree attrezzate automatizzate nel tempo record di pochi minuti. Pur così ricca e assortita, ovviamente questa selezione di aziende non pretende di esaurire la vetrina della green economy italiana, alla quale appartengono di diritto anche imprese che, pur non essendo passate al vaglio del Premio Sviluppo Sostenibile, hanno fatto la storia dell’economia verde del nostro paese, o si sono presentate di recente sul mercato ma subito con il piglio sicuro da protagoniste. Basti pensare, nel primo caso, a Novamont, l’azienda che ha aperto nel mondo la strada della chimica verde con le bio-plastiche ottenute da materiali di origine vegetale o, nel secondo, al colosso del fotovoltaico 3Sun che a luglio ha inaugurato la sua sede nei dintorni di Catania, puntando sui grandi numeri. Inoltre, all’economia verde si possono ascrivere attività produttive e commerciali e di progettazione che vanno aldilà dei settori individuati finora dal Premio, come, ad esempio, solo per nominarne alcuni, l’eco-design, l’agricoltura biologica, il turismo a basso impatto, la produzione di sistemi e mezzi di trasporto per la mobilità sostenibile, la certificazione energetica degli edifici e il recupero del patrimonio residenziale esistente, la manutenzione del verde, le attività di cura del territorio e di prevenzione del dissesto idrogeologico, gli interventi di bonifica dei suoli, le opere di adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione del ciclo dell’acqua, il comparto degli acquisti verdi delle pubbliche amministrazioni con il suo enorme potenziale, anche di stimolo all’innovazione in senso ecologico, del sistema industriale, se consideriamo che gli acquisti delle pubbliche amministrazioni valgono il 18% circa del PIL europeo. Senza dimenticare il settore bancario del credito (problematico) e quello finanziario presente sul mercato della green economy con, ad esempio, i fondi d’investimento dedicati al settore ambientale. Lo stesso concetto di economia verde, del resto, è oggetto di discussione, a cominciare dal rifiuto opposto da esperti della materia a trattarla come un settore separato, specialistico, dell’economia, per considerarla invece un approccio globale, olistico, al concetto stesso di produzione in relazione ai canoni e agli standard della sostenibilità ambientale, indipendentemente dal prodotto finale. Ci sono poi attività, come ad esempio la raccolta e il trattamento dei rifiuti che, “statutariamente”, fanno parte dei servizi ambientali, quindi dell’economia verde, ma che, se parametrate a indicatori di sostenibilità, in alcuni casi risultano essere svolte in maniera tutt’altro che ecologica, fino a sollevare l’interrogativo su quale debba essere il criterio di classi-

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ficazione prevalente: l’appartenenza funzionale o l’effettiva qualità ambientale del servizio espletato? Anche se, ai fini di stimare il fatturato e il bacino occupazionale della green economy, l’appartenenza a quest’ultima finisce per essere data per scontata, con buona pace della qualità del servizio. Sull’identità del produrre verde il blasonato Wuppertal Institute for Climate, Environment and Energy nello studio A Green New Deal for Europe propone la seguente definizione: “Le eco-industrie comprendono tutte le attività finalizzate alla produzione di beni e servizi destinati alla misurazione, prevenzione e riduzione dei danni ambientali riferiti ad acqua, aria, suolo e ai problemi dei rifiuti, rumore e degli ecosistemi; ciò include l’innovazione nelle tecnologie pulite, nei prodotti e servizi che riducono i rischi ambientali, l’inquinamento e l’uso di risorse materiali”. Quanto poi alle dimensioni dell’economia verde italiana, Ervet, l’agenzia regionale emiliano-romagnola per lo sviluppo economico territoriale, in un rapporto del 2010 stimava in 61 miliardi il fatturato della green economy nella sola Emilia-Romagna prodotto da circa 2.000 imprese (compresa la mega multiutility dei servizi ambientali Hera), per un totale di circa 230.000 addetti. In relazione alla nuova occupazione creata dall’economia verde, il Rapporto­ GreenItaly 2011, pubblicato da Fondazione Symbola e Unioncamere, parla di circa 200.000 assunzioni, dirette e indirette, nel solo 2009. E a proposito della consistenza economica, in particolare, dell’agricoltura biologica, riporta che l’Italia conta il maggior numero di aziende bio in Europa, pari a una superficie di quasi un milione di ettari coltivati. La sola attività di esportazione in tutto il mondo dei prodotti biologici ha superato nel 2010 il controvalore di un milione di euro, confermando il primato mondiale del nostro paese in questo settore. Una realtà a cui vanno aggiunti gli occupati e il fatturato dei circa 500 ristoranti bio e dei 1.200 agriturismi biologici disseminati in tutt’Italia. È però il settore verde delle rinnovabili ad aver registrato un macroscopico boom, sia in termini di nuova occupazione sia di produzione di elettricità da fonti pulite: il Politecnico di Milano ha stimato in 18.000 i posti di lavoro diretti (che salgono a 45.000 con l’indotto) ascrivibili al solo fotovoltaico; mentre i dati diffusi recentemente dal GSE (Gestore dei Servizi Energetici) sul peso delle rinnovabili elettriche nella produzione e nei consumi elettrici nazionali evidenziano che il contributo della produzione netta da rinnovabili è passato dal 21,2% del 2009 al 22,8% nel 2010 (incremento ancor più significativo se si considera che nel 2010 la rete nazionale ha richiesto circa il 3% in più rispetto all’anno precedente). Complessivamente, nel 2010 la potenza delle rinnovabili allacciate è salita da circa 26.519 MW a 30.284 (+14,2%), con un aumento della produzione da rinnovabili dell’11% rispetto al 2009 (il 2010 in particolare è stato l’anno record della produzione da fonte idroelettrica, con quasi il 67% sulla produzione tota-

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le da rinnovabili). Gli impianti che utilizzano rinnovabili sono più che raddoppiati, passando da 74.282 a 159.895 (+115%). La parte del leone l’ha fatta il fotovoltaico con oltre 84.000 nuovi impianti realizzati nel solo 2010, con la prospettiva, a fine 2011, di superare la Germania per nuova potenza installata, che ha già raggiunto i 12 GW, per un investimento di oltre 2,8 miliardi di euro. Secondo stime diffuse a settembre dal Gifi (Gruppo imprese fotovoltaiche italiane), lo sviluppo del fotovoltaico italiano proseguirà con buoni tassi di crescita anche nei prossimi anni: il volume di installazioni fotovoltaiche nel 2012 e nel 2013 dovrebbe raggiungere, rispettivamente, i 2,7 GW e 2,6 GW. Tra le star del firmamento fotovoltaico italiano che meritano di essere menzionate a integrazione di quelle segnalate dal Premio Sviluppo Sostenibile, la già citata 3Sun, che quattro mesi fa ha debuttato come la più grande fabbrica di pannelli fotovoltaici d’Italia e una delle maggiori d’Europa: ne produce infatti 4.200 al giorno nella tipologia a film sottile multigiunzione, con una capacità iniziale di produzione di 160 MW/anno, destinata ad aumentare quando lo stabilimento sarà a regime. L’impianto della 3Sun occupa 280 persone. La produzione è orientata a dare una risposta alla domanda di energia che proviene dall’Europa, dal Medio Oriente e dall’Africa. Tre i soci che hanno dato vita a questa joint venture, investendovi circa 400 milioni di euro: Enel Green Power, la giapponese Sharp e STMicroelectronics, un’azienda che ha lasciato il segno nella storia patria della green economy, in particolare sotto la presidenza di Pasquale Pistorio, che per migliorare i bilanci aziendali puntò moltissimo su interventi di efficienza energetica. Sempre in Sicilia, a Priolo Gargallo, l’anno scorso è entrata in funzione un’avanzatissima centrale solare termodinamica, di proprietà dell’Enel, che come vettore termico utilizza sali fusi, e che si basa su una tecnologia tutta made in Italy, a partire dall’intuizione iniziale del premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia sul solare a concentrazione, poi sviluppata dall’Enea. Doverosamente battezzato “Archimede”, questo impianto, sperimentale, che sfiora i 5 MW di potenza, raggiunge i 550 gradi di temperatura di esercizio. L’innovativo sistema di accumulo dell’energia solare di cui dispone garantisce la produzione di energia anche in assenza del sole. L’impianto è associato a una centrale a ciclo combinato a gas naturale. Gli esclusivi tubi ricevitori a sali fusi per centrali solari termodinamiche li produce, su licenza Enea, il Gruppo Angelantoni, che, in società con il gigante tedesco Siemens, ha fondato Archimede Solar Energy Spa, uno stabilimento-laboratorio che ha aperto i battenti quest’anno in Umbria. Nelle centrali solari termodinamiche i tubi vengono posizionati nel fuoco di una parabola di specchi che ha la funzione di concentrare l’energia solare. All’interno di questi tubi scorre l’innovativo fluido termovettore a sali fusi. Grazie al rivestimento spettralmente selettivo e a un involucro che viene messo sotto vuoto, i tubi Archimede garantiscono massimo assorbimento della luce solare e minime disper-

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sioni. Gli impianti solari termodinamici a sali fusi non impiegano sostanze tossiche, assicurano i produttori: in particolare, il fluido è costituito da un composto usato comunemente in agricoltura come fertilizzante. Infine, la modularità della tecnologia consente di dimensionare gli impianti in funzione autonoma o associandoli a centrali esistenti. Una colonna storica del settore fotovoltaico italiano è Solsonica, prima in Italia nella hit parade delle vendite di moduli e celle, anche grazie all’adozione di innovative strategie di commercializzazione che rendono abbordabile, in termini di finanziamento, l’acquisto degli impianti da parte di famiglie e imprese di piccole dimensioni. Assoluta veterana del settore solare è anche Costruzioni Solari, fondata nel 1979, selezionata tra le imprese che hanno rappresentato l’Italia all’Expo di Shangai. I suoi pannelli hanno ottenuto la certificazione a norma EN 12975. Attraverso punti vendita in franchising, i CS Point, Costruzioni Solari offre prodotti e servizi legati al risparmio energetico e alla produzione di energia da fonti rinnovabili. I prodotti di punta, brevettati, sono i gruppi idronici “Domino” e “Solar System”, che uniscono al loro interno tutti i dispositivi idraulici ed elettronici per la gestione, l’integrazione e la distribuzione dell’energia prodotta da più fonti di calore, e “Slim”, il pannello solare ultrasottile, di appena 45 millimetri di spessore, realizzato grazie all’applicazione di nanotecnologie e di avanzate tecniche costruttive. Da tempo sulla breccia, XGroup è stata la prima a piantare il tricolore negli Stati Uniti per la produzione di pannelli in silicio, di tecnologia italiana, destinati a quel mercato. Nel campo della produzione di inverter, dopo Power One Italia (la cui casamadre in realtà è americana) che ha uno stabilimento in Toscana, Elettronica Santerno tiene saldamente la seconda posizione sul mercato italiano e il non meno ragguardevole quarto posto su quello cinese. Energy Resources è un’altra azienda leader nel settore delle rinnovabili che ricerca, progetta e realizza sistemi fotovoltaici, geotermici, eolici e a biomasse per l’industria e la pubblica amministrazione. Nel 2010 ha raggiunto la quota di 160 dipendenti, con un valore della produzione pari a 151 milioni di euro. Sulla base del piano industriale 2001-2015 prevede di arrivare a 500 MW installati entro i prossimi cinque anni. Per contenere i costi di installazione ha realizzato una particolare sonda geotermica a spirale che riduce a 8-25 metri la profondità di perforazione, contro i 100-150 metri richiesti per le sonde convenzionali. Un’impresa di “mezza età” (anno di nascita: 1995) è Asja Ambiente Italia, società leader nella valorizzazione energetica del biogas e delle biomasse, un settore di attività al quale ha aggiunto successivamente l’eolico e il solare fotovoltaico. Progetta, costruisce e gestisce impianti per la riduzione delle emissioni di gas di serra che sfruttano le fonti rinnovabili nell’ambito dei meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto e denomina-

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ti Clean Development Mechanism (CDM) e Joint Initiative (JI), che consentono alle imprese dei paesi industrializzati, che hanno vincoli di emissione, di realizzare progetti mirati alla riduzione delle emissioni di gas serra nei paesi in via di sviluppo non soggetti a vincoli di emissione. Opera nel “commercio” (trading) dei crediti di carbonio, agisce nel mercato volontario dei crediti di emissione tramite il sistema certificato CleanPlanet-CO2, e attraverso Asja Market è attiva nel trading di energia verde e Certificati verdi. Ha sedi in Albania, Argentina, Brasile e Cina. Il suo sistema di gestione integrato Qualità, ambiente e sicurezza ha conseguito le certificazioni ISO 9001, ISO 14001, OHSAS 18001 e la registrazione EMAS di tutte le unità produttive. Ad aprire storicamente la strada alla certificazione energetica degli edifici è stata la Provincia di Bolzano che, prima ancora che venisse normata a livello nazionale, l’ha resa obbligatoria con il regolamento CasaClima (KlimaHaus), poi divenuto punto di riferimento per l’introduzione di leggi regionali e norme locali. La carta d’identità energetica rilasciata dall’omonima agenzia che effettua le certificazioni di case e appartamenti (di cui la Provincia di Bolzano detiene la maggioranza) ha introdotto la cultura della valorizzazione commerciale degli immobili in base ai ridotti consumi di energia, identificati (al pari degli elettrodomestici) dalle classi energetiche in cui vengono classificati (A, B e C). E per il nuovo edificato il sistema ha fissato un limite massimo di consumi energetici, pari a 70 kWh per metro quadrato all’anno, al di sopra del quale non viene rilasciato il permesso di costruire. Continuando la rassegna delle eccellenze, nel campo della chimica verde regina assoluta è, come anticipato, Novamont, con sede a Novara, inventrice del Mater-bi, la prima bioplastica compostabile e biodegradabile al 100%, prodotta con materie prime rinnovabili come amidi e oli vegetali. In ­Mater-bi si fabbricano sacchetti per la spesa, stoviglie mono-uso, contenitori e pellicole per alimenti, penne biro, oggettistica varia. Per non incidere negativamente sulla produzione a fini alimentari, per la bioplastica di seconda generazione si punta a impiegare prioritariamente gli scarti della produzione agricola e prodotti che provengano da terreni marginali. A Porto Torres Novamont partecipa all’impegnativo progetto di riconversione ecologica dell’ex polo petrolchimico di Eni, che attraverso la controllata Polimeri Europa è partner con l’azienda di Novara nella joint venture denominata “Matrica” (in dialetto gallurese significa “madre”). Obiettivo di Matrica è creare il più grande polo di chimica verde d’Europa secondo il modello di “Bioraffineria integrata nel territorio”, ovvero un’economia di sistema che coinvolge industria, agricoltura, ambiente ed economia locale. Complessivamente verranno investiti 500 milioni di euro per realizzare sette nuovi impianti che produrranno bio-intermedi per bio-plastiche, bio-lubrificanti e bio-additivi realizzati prevalentemente con materie prime rinnovabili di origine locale. A questo

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fine sono già state avviate le prime colture sperimentali (di cardi) per verificare la fattibilità delle filiere autoctone. Nascerà anche un centro di ricerca sulla chimica verde. Al completamento del progetto, nel 2016 gli occupati dovrebbero salire da 582 a 685, senza contare l’indotto e la filiera agricola. Il progetto comporta la bonifica, a carico di Eni, dei suoli inquinati. Sempre sulla scena della chimica verde si è fatta notare la start-up Bio-on che produce una plastica di origine naturale al 100%, quindi senza impiego di derivati del petrolio, biodegradabile in una quarantina di giorni. Nel settore della mobilità sostenibile, Micro-Vett (sforna in media 800 veicoli elettrici all’anno, in massima parte destinati all’export), è coinvolta attualmente in un altro progetto di conversione ecologica che riguarda una fabbrica di trattori, la CNH del Gruppo Fiat, a Imola, che ha annunciato la chiusura mettendo i 500 occupati in cassa integrazione. Per trovare uno sbocco alla crisi la Regione Emilia-Romagna si è attivata per creare una piattaforma per veicoli elettrici coinvolgendo una decina di imprese, tra cui Micro-Vett appunto, il Gruppo Carraro (a cui appartiene Elettronica Santerno) e la Magneti Marelli. Si punta ad avviare una start-up elettrica che spera di trovare imprenditori interessati a sostenerla. L’accordo sottoscritto dalla Regione con Hera ed Enel (unico nel panorama italiano) per l’installazione, da Reggio Emilia a Rimini, a costo zero per gli enti locali, di 80 colonnine di ricarica per veicoli elettrici che condividono lo standard e il sistema di gestione software, ne è la cornice ideale. Il polo di Porto Torres e la vicenda CNH ben rappresentano un altro terreno cruciale per la green economy: la sfida della riconversione ecologica di fabbriche in crisi e di industrie decotte o non sostenibili. In tempi di scarsa liquidità e di contrazione e aumento del costo del credito bancario, che frena anche l’attività delle Esco (Energy service company), all’aspetto della finanziabilità fai-da-te ha pensato un’originale esperienza che si sta concretizzando nella provincia di Bologna. L’obiettivo è creare una “comunità solare” locale che autofinanzi le misure previste dal piano energetico comunale finalizzato a ridurre i consumi, e quindi le emissioni climalteranti, e a promuovere le fonti rinnovabili a costi più accessibili. Funziona così: i cittadini residenti e le imprese interessate a far parte della comunità solare diventano soci di una cooperativa di tipo mutualistico versando, su base volontaria, una quota di iscrizione che è calcolata in base ai consumi energetici (più consumi, più paghi). Questa sorta di carbon tariff (tassa sul carbonio) volontaria alimenta un conto energia locale che, attraverso bonus economici a disposizione dei soci, viene impiegato per incentivare, ad esempio, riqualificazioni energetiche degli edifici, l’acquisto di elettrodomestici a basso consumo, la produzione di energia da fonti rinnovabili tramite la realizzazione di piattaforme fotovoltaiche e di impianti solari termici. In questo modo i cittadini sono coin-

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volti solidalmente nel raggiungimento degli obiettivi del piano energetico comunale, e ottengono benefici economici in termini di riduzione della loro bolletta energetica; mentre per le imprese si genera un volano locale in grado di incrementare il mercato degli acquisti verdi in campo energetico. Al momento sono 33 i comuni che si sono dichiarati disponibili ad avviare le comunità solari: 15 in provincia di Bologna, 10 in provincia di Ravenna e 8 in provincia di Parma. La parola d’ordine, ripetuta con insistenza in ogni circostanza, oggi è crescita, per uscire dalla crisi economica e finanziaria legata al debito pubblico, allontanando lo spettro della bancarotta. Alla crescita, però, occorre dare una direzione di marcia verso la sostenibilità, che tenga conto delle invarianti ambientali e delle potenzialità di sviluppo eco-compatibile offerte dalle nuove scienze e dalle nuove tecnologie. Ma di questo non si sente quasi parlare, benché la ricetta sia solo in parte da inventare, essendo gli ingredienti-base noti e a portata di mano. Urgerebbe anche rendersi conto che non ci sono alternative a imboccare la strada della sostenibilità. Il conto salatissimo (ed è un eufemismo) del debito pubblico, ingigantito dalla speculazione finanziaria internazionale, è sul tavolo, sotto gli occhi di tutti. Prima ancora, però, ma gli si era data un’occhiata distratta, ci era stato già presentato il conto energetico-ambientale dei cambiamenti climatici. La fase di transizione che stiamo vivendo, dall’epoca del petrolio a basso costo pre-effetto serra conclamato al nuovo orizzonte energetico della generazione diffusa da fonti rinnovabili, offre però importanti opportunità anche sul piano economico e sul fronte occupazionale. La bolletta energetica dell’Italia è stimata per quest’anno intorno ai 60 miliardi di euro, circa 10 in meno degli interessi sul debito. Se vogliamo alleggerirla, produrre energia pulita da fonti rinnovabili e ridurre i consumi con interventi di risparmio energetico è quindi necessario. E per giunta conviene, perché contribuisce a risolvere più di un problema, da quelli climatico-ambientali a quelli legati alla necessità di creare nuovi posti di lavoro. L’economia verde va però oltre il comparto energetico, come abbiamo visto, e contribuisce a migliorare sensibilmente la qualità del nostro ambiente di vita quotidiana. Anche per questo varrebbe la pena programmare e sostenere lo sviluppo (l’invocata crescita) in chiave di sostenibilità. Un contributo in questo senso è ben sintetizzato dal Manifesto per un futuro sostenibile dell’Italia, promosso dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile insieme a esponenti di organizzazioni di imprese e di imprenditori della green economy. Si tratta di una proposta articolata in sette punti per affrontare la crisi economica e sociale insieme a quella ecologica, riqualificando il nostro sviluppo nella direzione della green economy. Il primo punto sostiene la necessità di elaborare una “nuova strategia energetica basata su un incisivo programma di misure per l’efficienza e il risparmio di energia”, il secon-

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do sprona l’Italia a sfruttare la possibilità di “collocarsi tra i leader mondiali delle energie rinnovabili”, il terzo propone di operare per “diventare un campione mondiale dell’uso efficiente delle risorse e del riciclo”, il quarto chiede all’Italia di “tutelare e meglio valorizzare il suo patrimonio culturale e naturale che è fra i più ricchi e importanti del mondo”, il quinto incita a “puntare su un’elevata qualità e una nuova sobrietà”, il sesto punta a “rilanciare il protagonismo delle città grandi e piccole”, il settimo, infine, invoca “maggiore consapevolezza e capacità di individuare un percorso di cambiamento e di sviluppo” che aiuti a superare non solo il rischio concreto di declino economico e ambientale, ma che ricostruisca la fiducia nel futuro. “How many miles must a man walk down...”, cantava Bob Dylan. Ci siamo, abbiamo camminato abbastanza, diamoci da fare adesso. Alcuni buoni esempi a cui ispirarci ci sono già. 22 novembre 2011 Silvia Zamboni

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Lavatrici, lavastoviglie e frigoriferi risparmiosi

Gli scenari futuri sui consumi energetici collocano il settore residenziale tra i più energivori, dagli usi elettrici per alimentare elettrodomestici e impianti di condizionamento estivo, ai consumi per il riscaldamento invernale degli ambienti e dell’acqua per usi sanitari. Si tratta quindi di un ambito decisivo per contenere le emissioni di gas serra e raggiungere gli obiettivi europei minimi del “20, 20, 20” (ovvero meno 20% di emissioni di CO2, più 20% di usi finali di energia coperti da fonti rinnovabili, più 20% di efficienza energetica al 2020). L’impegno nella ricerca e nell’innovazione di prodotto di Indesit Company (14 gli stabilimenti in Italia, Polonia, Regno Unito, Russia e Turchia, 16.000 gli occupati) negli ultimi anni si è concentrato proprio sulla sfida dei cambiamenti climatici, puntando al miglioramento dell’efficienza energetica dei processi produttivi e dei manufatti, anche come fattore decisivo per competere sui mercati. Con questo obiettivo Indesit ha sviluppato un set di cicli di lavaggio per lavabiancheria, denominati “Programmi eco”, che riducono i consumi di energia di oltre il 50% mantenendo invariate le performance di lavaggio di un ciclo standard. In dettaglio, i Programmi eco sono: “Cotone”, per lavaggi frequenti di capi in cotone o lino; “Sintetici”, studiato per capi interamente in fibra artificiale o misti; “Rapido 30 minuti”, per rinfrescare o lavare capi poco sporchi in mezz’ora. La riduzione dei consumi energetici a parità di pulizia è stata resa possibile da due fattori: la diminuzione della temperatura dell’acqua, che viene caricata a temperatura ambiente; il sistema di lavaggio impostato su una maggiore movimentazione meccanica del cestello, che fa ottenere

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Il forno Luce di Indesit a basso consumo energetico

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Lavatrice più asciugatrice Aqualtis di HotpointAriston

la medesima prestazione pulente. Alla fine, chi ci guadagna sono l’ambiente e il bilancio famigliare che vede ridursi la bolletta elettrica. In aggiunta ai Programmi eco, Indesit Company ha introdotto altre innovazioni, come l’ottimizzazione della quantità di acqua e di energia in funzione della quantità di bucato, motori di nuova generazione e sensori di torbidità che consentono di ridurre i consumi di acqua ed energia nelle lavastoviglie. Per quanto riguarda l’innovazione del processo produttivo, sono stati introdotti indici di riciclabilità degli elettrodomestici e si è fatto ricorso alla progettazione ispirata al design for environment. Grazie a questi interventi nel 2009 Indesit ha ricevuto il Primo Premio Sviluppo Sostenibile per l’efficienza energetica. “Da allora non ci siamo fermati e abbiamo raggiunto altri importanti risultati”, commenta Giuseppe Salvucci, Direttore Qualità e Ambiente di Indesit Company, “riassumibili in questi dati aggiornati al 2010: • il 72% dei frigoriferi venduti appartengono alla classe energetica A o superiore, il 24% alla classe A+ e A++; • il 68% delle lavabiancheria vendute è in classe A e il 32% in classe A+ o superiore; • tutte le lavastoviglie e più dell’80% dei forni venduti appartengono almeno alla classe A”. I dati relativi alle vendite della prima metà del 2011 mostrano percentuali in crescita rispetto allo stesso periodo del 2010. “Ulteriori riduzioni dei consumi idrici ed energetici si avranno nel prossimo futuro grazie all’entrata in produzione, nel secondo semestre del 2011, di nuove piattaforme di lavabiancheria, lavastoviglie, asciugatrici, frigoriferi e forni da incasso della gamma Hotpoint-Ariston con tecnologie sempre più mirate alla sostenibilità ambientale”, puntualizza Giuseppe Salvucci.

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Grande attenzione continua a esser dedicata al controllo degli impatti ambientali in fase produttiva. Per questo, il Gruppo si è dotato da tempo di diversi strumenti, tra cui le certificazioni ISO 14001 di tutti gli stabilimenti e quella EN 16001 per lo stabilimento di Albacina finalizzata a incrementare l’efficienza energetica. Gli interventi per l’utilizzo efficiente delle risorse nel 2010 hanno ridotto i consumi unitari (per prodotto realizzato) di acqua e di energia, diminuendo le emissioni di CO2 unitaria da 12,03 a 9,7 kg. Così come si è confermato il trend di diminuzione dei rifiuti prodotti per unità di elettrodomestico. Complessivamente nel 2010 le attività produttive hanno generato oltre 54.000 tonnellate di rifiuti contro le 67.200 del 2008. Indesit Company inoltre impiega da tempo materiali da riciclo, perseguendo il duplice obiettivo di ridurre l’impatto ambientale e di risparmiare sui costi di approvvigionamento. A oggi, il 95% dell’alluminio e delle leghe di alluminio e il 60% di acciaio inox utilizzati derivano da riciclo. “La sfida ambientale di Indesit riguarda l’intero ciclo di vita del prodotto, dalla produzione allo smaltimento”, conferma Giuseppe Salvucci. In tal senso, la partecipazione al consorzio Ecodom (Consorzio italiano di recupero e riciclaggio degli elettrodomestici) è di supporto alla finalità del recupero e riciclaggio di prodotti e imballaggi. Dal rapporto di Ecodom del 2010 risulta che dal trattamento dei rifiuti raccolti dal consorzio sul territorio nazionale sono stati ottenuti: 58.340 tonnellate di ferro, 1.655 tonnellate di rame, 2.876 tonnellate di alluminio, 7.500 tonnellate di plastica. Secondo queste stime, l’utilizzo di materie prime seconde da riciclo comporta un risparmio energetico di circa 181 milioni di kWh rispetto a quanto occorrerebbe per ottenere le stesse quantità di materie prime “vergini”. Infine, le pensiline dei parcheggi del sito Teverola-Carinaro sono state ricoperte con 6.886 pannelli fotovoltaici che sviluppano una superficie di circa 11.500 metri quadrati per una potenza di oltre 1.546 kWp. La produzione di elettricità attesa è stimata attorno a 2.000 MWh/anno.

Indesit Company viale Aristide Merloni, 47 – 60044 Fabriano (AN) federico.ziller@indesit.com; tel. 07326611 www.indesitcompany.com Primo Premio nel 2009 nel settore Efficienza energetica

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Un cappotto su misura “riciclabile”

La maggior parte degli edifici italiani ha un fabbisogno energetico superiore ai 200 kWh/mq/anno (200 chilowattora per metro quadrato all’anno), dovuto in prevalenza al cattivo isolamento termico, che ne fa degli autentici “colabrodo” termici. Un edificio ben isolato risulta più confortevole in ogni stagione e assicura considerevoli risparmi di energia sia per il riscaldamento invernale, sia per il raffrescamento estivo. I nuovi edifici conformi alle normative in vigore oggi consumano meno di 100 kWh/mq/anno. Ma le tecnologie e i materiali di cui disponiamo consentono di costruire edifici definiti a basso consumo che hanno valori inferiori a 50 kWh, e le cosiddette case passive, che consumano meno di 15 kWh. Occorrerebbe però intervenire anche sul patrimonio edilizio esistente, a vantaggio dell’occupazione e dell’attività economica nel settore delle costruzioni e al contempo della riqualificazione energetica. La soluzione proposta da SA.M.E. con il suo cappotto termo-acustico riflettente ha due particolarità che lo distinguono dai prodotti convenzionali: la prima è che lo si può impiegare per applicazioni sia interne che esterne, in edifici nuovi e preesistenti, anche su pareti e muri danneggiati, senza bisogno di lavori preventivi di demolizione (e quindi di smaltimento) e di rifacimento; la seconda è rappresentata dai suoi componenti. “Il 70% della materia plastica utilizzata per la produzione del film di polietilene proviene da riciclo, al pari di circa il 30% dell’alluminio impiegato e dei montanti per l’alloggiamento dei fogli termoriflettenti in polipropilene copolimero riciclato, proveniente in larga parte dai paraurti delle auto. Tutti questi materiali sono a loro volta riciclabili, non inquinano e non espongono a rischio la salute degli operatori e di chi occupa gli ambienti rivestiti internamente”, spiega l’ingegner Stefania Proietti, che segue questo aspetto del cappotto SA.M.E. In una tesi discussa presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Perugia, il cappotto riflettente SA.M.E. è stato sottoposto a uno studio di Lca

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Efficienza energetica

(Life Cycle Assessment), ovvero un’indagine che valuta i carichi energetici e ambientali dall’estrazione delle materie prime allo smaltimento o riciclo finale. In questo caso è stato esaminato un pannello di un metro quadrato nella fase di produzione e di messa in opera. La fase di produzione è risultata la più impattante, sia per quanto riguarda le emissioni in ambiente (di gas serra, clorofluorocarburi, ozono troposferico, PE usato per i rivestimenti), sia per le risorse naturali consumate, soprattutto in riferimento alla produzione del film Duplex in alluminio. Il pannello è stato anche messo a confronto con altri materiali usati in edilizia a fini di isolamento termico: polistirene espanso e lana di roccia, per valutare il contributo di ciascuno all’inquinamento ambientale. Il pannello SA.M.E. è risultato il meno impattante, anche rispetto al consumo di energia: in fase produttiva la differenza di impatto è del 70% in meno; in fase di applicazione, invece, l’impatto del cappotto SA.M.E. supera del 50% quella dei sistemi tradizionali, per cui il beneficio che si ha nella produzione viene perso durante la fase di messa in opera; è la fase d’uso quella dove risulta maggiore la differenza (oltre il 70% per i vari parametri) a vantaggio del cappotto SA.M.E., in particolare in relazione al minor consumo energetico per il riscaldamento. “Da questo studio comparativo si deduce che a parità di spessore, rispetto a prodotti tradizionali, il nostro cappotto raggiunge un grado maggiore di efficienza energetica in termini di isolamento. Il che vuol dire anche che con minor spessore, quindi guadagnando in spazio, permette di ottenere lo stesso rendimento”, sottolinea Filippo Sargentini, titolare dell’azienda. “Inoltre, la proprietà riflettente aumenta la difficoltà di trasmigrazione del caldo dall’esterno verso l’interno, e viceversa, un fattore, questo, che rende il nostro prodotto adatto alle regioni a clima caldo, con una resa dell’isolamento superiore del 30% ad altre soluzioni”, puntualizza. È escluso anche l’insorgere di “ponti termici” (ovvero di comportamenti termici differenziati nell’edificio) grazie alla presenza di una o più intercapedini d’aria interna che impediscono la formazione di condensa, quindi di muffe. La particolare composizione del materiale garantisce inoltre una durata superiore ai materiali convenzionali, mantenendo inalterate nel tempo le proprietà termiche e acustiche. Il mancato utilizzo di colle e adesivi permette, nella fase di demolizione dell’edificio, di recuperare il materiale vista la facilità di separazione del pannello dalle macerie. A detta dell’azienda produttrice, l’installazione non presenta difficoltà.

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Il pannello termoisolante IsoLiving

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Il cappotto SA.M.E. rivestito in legno, stabilimento laboratorio Archimede Solar Energy Spa

Il cappotto riflettente SA.M.E. può essere rifinito internamente ed esternamente con tutte le tipologie di materiali, come legno, pietra, alluminio, gres, mattone, pannelli di ossido magnesio, vetro, marmo. A oggi è stato installato in residenze in varie parti d’Italia, in una chiesa, e nel Nuovo polo energetico Archimede Solar Energy del Gruppo Angelantoni e Siemens, a Massa Martana (Pg). Per il futuro si stanno profilando interventi in capannoni industriali prefabbricati e centri commerciali. Sui mercati esteri SA.M.E. esporta negli Emirati Arabi Uniti, Svizzera, Belgio e Francia. L’azienda ha ottenuto anche il premio all’Innovazione amica dell’ambiente 2010 promosso da Legambiente, Confindustria e Regione Lombardia.

SA.M.E. Srl Sargentini Materiali Edili via Ferriera 68 – 06089 Torgiano (PG) info@samesrl.com; tel. 0755996528 www.same-foil.com Primo Premio nel 2011 nel settore Energia

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Casseri “lego” termoisolanti salvaenergia

Climablock prodotto da Ponterolo Engineering è un innovativo sistema costruttivo che permette di costruire pareti in cemento armato integrando la capacità di resistenza meccanica del calcestruzzo con il potere termoisolante del polistirene espanso sinterizzato (Eps). In un’unica soluzione si realizzano muri portanti di calcestruzzo isolati termicamente sia all’interno che all’esterno. Il sistema è costituito da due pannelli in Eps che misurano 120 per 40 cm, con uno spessore variabile da 6 a 18 centimetri, disposti l’uno di faccia all’altro e tenuti a distanza da staffe in plastica riciclata di polipropilene (Pp) che vengono stampate insieme ai pannelli. Lo spazio tra i due pannelli viene riempito con la gettata di calcestruzzo. I pannelli presentano all’esterno dentini e scanalature che servono per agganciarli gli uni agli altri come fossero mattoncini Lego. La costruzione della parete avviene in due fasi: nella prima si montano a secco i casseri (in parole semplici, i contenitori del calcestruzzo liquido) Climablock collegandoli fra loro per mezzo dei succitati dentini. Nella seconda fase si esegue la colata del calcestruzzo che va a riempire completamente lo spazio esistente tra le due pareti di polistirene. Climablock ha un potere isolante anche dal punto di vista acustico. Un altro vantaggio che offre rispetto alla cantieristica è il prestarsi alla

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Il cassero Climablock

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costruzione fai-da-te senza dover ricorrere necessariamente ad attrezzature tipo gru e mezzi pesanti da cantiere. Inoltre, dal momento che i casseri Climablock vengono montati a secco, non c’è bisogno di appositi spazi e attrezzature per produrre la malta.

Fase di montaggio di Climablock termoisolante

Le performance energetiche e acustiche si devono alla presenza del polistirene che avvolge il getto di calcestruzzo sia internamente che esternamente, assicurando valori di trasmittanza termica anche di 0,14 W/mqK con uno spessore della muratura di 38 centimetri, mentre con pareti di tipo convenzionale per ottenere queste prestazioni sono necessari spessori maggiori (W/mqK è l’unità di misura della trasmittanza termica, ossia del flusso di calore che passa da un fluido a un altro attraverso una parete di determinate caratteristiche standard). Le costruzioni realizzate con Climablock richiedono poca energia per il riscaldamento e il raffrescamento degli ambienti, in quanto la muratura di per sé ha proprietà termoisolanti, ovvero esplica un comportamento “passivo” e “inerziale”. Il comportamento passivo deriva dai grandi spessori di polistirene isolante e aiuta d’inverno a contenere il consumo energetico a fini di riscaldamento. Il comportamento inerziale è dato dal calcestruzzo che, d’estate, smorza l’onda termica prodotta dall’irraggiamento solare, consentendo di contenere l’energia usata per il raffrescamento. Climablock possiede anche un potere isolante dal punto di vista acustico. Le performance di isolamento acustico sono pari all’abbattimento di 53,5 decibel per le pareti divisorie interne, e di 45,1 dB per le facciate esterne (considerando una superficie di apertura, come finestre, pari al 18% del totale e serramenti di medie prestazioni acustiche). Se per esempio delle campane suonano a una distanza di 200-300 metri, l’onda sonora prodotta (che ha una forza di 75 dB circa) viene smorzata da Climablock, per cui nell’abitazione entra con una forza rimanente di 22 dB, “che è pari a un sussurro” esemplifica il titolare dell’azienda l’ingegnere Valerio Pontarolo. Il quale aggiunge che “a parità di prestazione, le pareti in Climablock di spessore minore di quelle in muratura permettono di avere maggiore superficie calpestabile senza maggiorazioni di costo costruttivo. Inoltre”, prosegue Pontarolo, “Climablock garantisce il controllo sull’umidità interna e sull’umidità interstiziale all’origine della formazione di muffe nelle pareti”. Completa il quadro la possibilità di progettare secondo i canoni della bioedilizia e della sostenibilità ambientale.

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Un altro vantaggio è rappresentato dai processi produttivi che prevedono l’uso di vapore acqueo per lo stampaggio e materia prima in plastica proveniente al 100% dal recupero e dal riciclo. Con Climablock sono state realizzate “case passive” o case “due litri” secondo la definizione di CasaClima di Bolzano, perché necessitano di 20 kW di energia per metro quadrato di parete all’anno. Sull’entità del risparmio ottenibile, l’azienda cita le performance registrate nelle case costruite con Climablock, da cui risulta una spesa di 300 euro annui per riscaldare e raffrescare appartamenti di 110 metri quadrati. Come performance economiche, a un anno dal lancio sul mercato nel 2006, nel 2007 il fatturato era di 320.000 euro (il 4% del fatturato aziendale), nel 2008 e 2009 le vendite sono quasi triplicate, toccando quota 1.200.000 euro circa, corrispondente al 20% circa del fatturato. A metà 2011 siamo sui 3 milioni di euro (25% del fatturato dell’azienda). I riflessi sull’occupazione sono stati altrettanto positivi: insieme all’investimento in personale qualificato per la fase di ricerca e sviluppo del prodotto, c’è stato un incremento occupazionale di dieci nuovi addetti “e continueremo ad assumere”, dice Pontarolo, “le previsioni parlano di altre dieci persone nei prossimi due anni”. È stato necessario studiare un macchinario apposito per lo stampaggio dei pannelli di polistirene espanso in cui vengono co-stampate le staffe in polistirolo riciclato. L’azienda, certificata UNI EN ISO 9001:2000 e FISC per prodotti in legno da esterni, ha intensi rapporti commerciali con paesi a un raggio di mille chilometri dalla sede.

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Climablock isola anche dal rumore

Pontarolo Engineering Spa via Clauzetto 20 – 33078 San Vito al Tagliamento (PN) lineaverde@pontarolo.com; tel. 0434857010 www.pontarolo.com Segnalata nel 2009 nel settore Efficienza energetica

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La casa a doppia pelle che non teme il sole

Modulo per facciata a doppio involucro Sun Shade

È noto che oramai il picco del consumo elettrico lo si registra, in Italia, d’estate e non più d’inverno, per il dilagare del ricorso all’uso dei condizionatori. La legge 311 in vigore dal 2 febbraio del 2007, in attuazione della Direttiva europea 2002/91/Ce, ha introdotto, per le nuove costruzioni, dei limiti relativi all’energia utilizzabile, per unità di superficie o di volume, per riscaldare gli ambienti interni. Inoltre ha imposto l’adozione di schermature esterne che contengano gli effetti della radiazione solare al fine di ridurre il consumo energetico connesso al raffrescamento interno. Il successivo Dpr 59 del 2 aprile 2009, riprendendo i contenuti della legge 311, ha quindi fissato dei limiti precisi all’uso di energia per il condizionamento estivo. A entrambe queste prescrizioni di legge intende dare risposta Sun Shade, un sistema innovativo di facciata a doppio involucro integrato, con elementi frangisole e lame di vetro, nato proprio per ottenere entrambi i benefici: nel periodo invernale quelli apportati dalla facciata a “doppia pelle”, o doppio involucro, che aumenta l’isolamento termico rispetto all’esterno; nei mesi estivi, quelli ottenuti dalle pale frangisole orientabili, una sorta di “ombrello” che protegge l’edifico dal calore solare. Detto sinteticamente: una facciata a doppia pelle (o doppio involucro) consiste sostanzialmente in un vetro rivolto verso l’esterno, una cavità intermedia con aria, e un vetro camera isolante verso l’interno. L’intercapedine può essere ventilata con sistemi meccanici (ventilazione forzata), oppure attraverso sistemi di convenzione naturale. La possibilità offerta da Sun Shade di modificare l’angolo d’inclinazione delle pale frangisole integrate e solidali con le lame di vetro ortogonali permette di regolare (manualmente tramite un pulsante all’interno dei locali o anche con sistemi di domotica) su base stagionale, mensile, giornaliera o ad-

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dirittura oraria, il flusso del calore, sia in ingresso d’estate, che in uscita d’inverno. Nel periodo invernale il sistema sta in posizione di chiusura, con le pale frangisole in posizione orizzontale e i vetri in posizione verticale, configurazione che realizza una facciata a doppia pelle. I raggi solari, a bassa inclinazione rispetto all’orizzonte, riscaldano l’aria nell’intercapedine fra i vetri e il primo involucro dell’edificio, generando un effetto serra (benefico!) che porta a una diminuzione del fabbisogno di riscaldamento dei locali, in quanto si trovano a contatto con aria avente una temperatura più elevata di quella esterna. Mentre nel periodo estivo le pale frangisole vengono ruotate quanto basta a intercettare i raggi solari (con la possibilità di arrivare fino alla posizione verticale e al buio totale) e a mantenere in ombra la prima pelle dell’edificio. Con l’ulteriore vantaggio che l’aggiunta del vetro associato alla pala frangisole favorisce il ricambio di aria all’interno dell’intercapedine. Coperto da brevetto industriale internazionale, questo prodotto riunisce così in un unico sistema due tecnologie complementari: quella dei sistemi che schermano la radiazione solare, molto utili d’estate ma inutili, se non controproducenti, d’inverno; e quella delle facciate a doppio involucro, che nella stagione invernale consentono di ridurre il consumo di energia impiegata per riscaldare gli ambienti interni. L’efficacia del sistema si traduce così in un considerevole risparmio energetico nella gestione dell’edificio durante l’intero arco dell’anno, apportando inoltre un miglioramento della qualità dell’aria indoor. Il Dipartimento di Fisica tecnica della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Perugia ha stimato che il risparmio può raggiungere il 10% annuo di riduzione della bolletta energetica per il riscaldamento e il raffrescamento. Altri prodotti innovativi sviluppati di recente da Lilli Systems riguardano le pareti ventilate in pietra e materiali ceramici.

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Assetto estivo (sopra), assetto invernale (sotto)

Sun Shade ha cominciato a fare i primi passi nella fase di progettazione nel 2007; ci sono poi voluti tre anni per arrivare, nel 2010, all’industria-

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lizzazione definitiva. Finora è stato installato nella sede della società e in un edificio disegnato da Giugiaro, realizzato a Bratislava. Sulle possibilità di diffusione di Sun Shade nel nostro paese l’ingegner Lorenzo Lilli, uno dei fondatori e titolari dell’azienda, è relativamente scettico: “L’Italia è ancora indietro nel recepire il concetto di risparmio energetico, nonostante le leggi che abbiamo”, osserva. “All’estero invece, anche i paesi da noi percepiti come minori, per esempio nell’Est Europa, mostrano maggiore sensibilità, anche se poi per problemi di budget rinunciano a fare certi interventi. A mio parere la crisi economica in Italia è presa come scusa rispetto alla spesa maggiorata richiesta da questi tipi di sistemi innovativi. La situazione, però, sta cambiando anche da noi, soprattutto al nord, ma ci vorrà ancora tempo”. Lilli Systems è una società con una cinquantina di addetti che si è evoluta nel campo della progettazione e produzione dei sistemi a partire da un’azienda attiva fin dal 1987 nel settore dei serramenti. Oltre che in Italia, opera in tutto l’Est Europa, in Russia, India, Sudamerica, Medio Oriente, Iran e Venezuela.

Lilli Systems Srl via San Sabino 13 – 06030 Giano dell’Umbria (PG) info@lillisystems.com; tel. 074299000 www.lillisystems.com Segnalata nel 2009 nel settore Efficienza energetica

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Pompe di calore ad alta efficienza

L’azienda Robur (230 dipendenti) sviluppa e produce, interamente in Italia, pompe di calore ad assorbimento a metano che possono utilizzare fino al 40% di energia rinnovabile. Vengono impiegate per il riscaldamento e il condizionamento estivo di condomini, aziende, spazi pubblici e commerciali. Dalla Direttiva RES (Renewable Energy Source) sono riconosciute come fonti rinnovabili. Considerando un funzionamento di mille ore, rispetto ai sistemi di riscaldamento convenzionali, in un anno, secondo il produttore, consentono di risparmiare mediamente 2.165 metri cubi di gas, il che si traduce nella mancata emissione di 4,2 tonnellate di CO2 (1 metro cubo di gas metano bruciato produce infatti 1,94 chilogrammi di CO2). Per dare un’idea del mancato impatto sull’ambiente che si ottiene, questo quantitativo di CO2 risparmiata corrisponde a quanto emettono due auto di media cilindrata a benzina che percorrono 15.000 chilometri in un anno producendo 140 grammi di CO2 per chilometro. Tradotto invece in riduzione della bolletta energetica, vuol dire risparmiare dal 30 al 50% sulle spese di riscaldamento. La sola valorizzazione dell’immobile può ripagare l’intero investimento. Infatti le pompe di calore ad assorbimento, grazie all’utilizzo di una importante quota di energia rinnovabile, permettono di valorizzare l’immobile attraverso l’in-

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Hotel Holiday Inn Express di Mozzo, classe energetica A

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Elementi dell’impianto Robur installato sul tetto dell’Holiday Inn Express di Mozzo

cremento di almeno una classe energetica: 100 euro in più al metro quadro nel passaggio da B ad A, da C a B, da D a C; 150 euro da E a D; 200 euro da F a E e da G a F (fonte: Bellintani S., “Risparmiare energia fa bene anche al valore della casa”, Il Sole 24 Ore, 14/4/2008). Le pompe di calore a gas (GAHP) possono essere integrate in impianti preesistenti o nuovi, e che funzionano a energia solare, o con caldaie a condensazione, o ancora con pompe di calore elettriche. Rispetto alla possibilità di creare nuova occupazione, ogni 10.000 pompe di calore ad assorbimento alimentate a metano si creano circa 675 posti di lavoro specializzati, di cui 120 diretti per la produzione, 360 nell’indotto industriale, 170 nell’indotto tecnico e commerciale, 25 professionisti della formazione nel settore tecnologie con impiego di fonti rinnovabili. Tra le strutture che hanno installato un impianto a pompe di calore Robur c’è l’Hotel Holiday Inn Express di Mozzo, in provincia di Bergamo, il primo albergo in Italia a essere stato classificato in classe A. Si tratta di un’esperienza interessante anche perché, come riportato dalla pubblicazione della Regione Marche “Energia e turismo. Risparmio energetico nel settore turistico”, il consumo energetico per presenza negli alberghi risulta essere quattro volte superiore ai consumi quotidiani per abitante nel settore residenziale civile. Il manuale della Regione Marche sottolinea come il turismo, in misura maggiore rispetto ad altri settori, utilizzi le risorse ambientali come principale “materia prima” per la propria funzione produttiva, per cui è importante sensibilizzare gli operatori del settore, facendo comprendere che, rispetto dell’ambiente e tutela delle risorse, rappresentano una leva per attrarre quelle forme di turismo consapevole sempre più diffuse.

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In questo ambito, l’Hotel Holiday Inn rappresenta un modello positivo. La grande attenzione ai materiali usati e alla tipologia di impiantistica gli sono valsi la nomination all’European Design Award 2008. La potenza richiesta per l’impianto di climatizzazione e quello di riscaldamento è di 400 kW ciascuno, e di 150 kW quella per la produzione di acqua calda sanitaria, garantita dallo stoccaggio di 10.000 litri in 5 bollitori. Le potenze richieste sono soddisfatte da 5 gruppi ad assorbimento pre-assemblati Robur costituiti da pompe di calore ad aria reversibili, refrigeratori per il raffreddamento e con recupero di calore. I gruppi sono stati posizionati sul tetto in modo da non sottrarre spazio interno. Le unità Robur sono in grado di produrre acqua calda fino a 60 gradi per il riscaldamento (reggendo anche a temperature esterne fino a meno 20 gradi) e acqua refrigerata fino a 3 gradi di temperatura per il condizionamento. Nei mesi estivi viene prodotta anche una potenza termica di recupero corrispondente a circa 80 kW, completamente gratuita, impiegata per riscaldare l’acqua a uso sanitario. L’integrazione di questa produzione avviene tramite un gruppo termico a condensazione, sempre di marca Robur, insieme a una serie di collettori solari sottovuoto, tutti installati sul tetto. Durante la fase di funzionamento invernale, l’efficienza media del sistema è stata valutata intorno a 1,4 GUE (gas utilization efficiency). La riduzione dei consumi determina una riduzione dell’uso di 9 tep/anno (tonnellate equivalenti di petrolio), che corrispondono alla mancata emissione di 289 tonnellate di gas combusti e circa 26 di CO2. Altri casi eccellenti in cui sono state adottate le pompe per riscaldamento ad assorbimento alimentate a gas (GAHP) made by Robur sono SPF Verdecasa, la prima casa passiva in classe energetica A certificata CasaClima costruita in Piemonte, a Spinetta Marengo (AL); e la sede della Camera di Commercio di Padova. Per VerdeCasa (la cui efficienza energetica dell’involucro corrisponde a un consumo energetico di appena 12 kW per metro quadrato, e quella degli impianti a un’emissione di 5 kg di CO2 per metro quadrato) i progettisti sottolineano, in particolare, come questa scelta impiantistica rappresenti un’alternativa alla combinazione di impianti geotermici con pannelli fotovoltaici. Robur via Parigi 4/6 – 24040 Verdellino/Zingonia (BG) informa@robur.it; tel. 035888333 www.robur.it; www.RoburPerTe.it Segnalata nel 2009 nella sezione Efficienza energetica

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Il container che genera energia elettrica

Exergy è una società di ingegneria e consulenza del Gruppo Industriale Maccaferri di Bologna, attiva da una decina d’anni. Ha progettato e fornito chiavi in mano impianti, anche di grande taglia, per la produzione di energia sia da fonti fossili che rinnovabili. In partnership con la società austriaca AAT-Abwasser-und Abfalltechnik dal 2008 si è dedicata alla progettazione e realizzazione di impianti a biogas alimentati da scarti zootecnici e colture energetiche dedicate, un’attività sfociata nella creazione di Sebigas. È certificata UNI EN ISO 9001. Il prodotto più innovativo di Exergy, segnalato nell’ambito dell’edizione 2011 del Premio Sviluppo Sostenibile, è Powerbox 125, un sistema impiantistico che tramite la tecnologia Orc (Organic Rankine Cycle) di recupero energetico permette di sfruttare il calore di risulta dei gas di scarico prodotti da un motore alimentato dal biogas ottenuto dalla digestione anaerobica di biomasse. In sintesi, il sistema recupera l’energia termica dai fumi e dalle camicie dei cilindri (hot jackets) del motore a biogas e la converte in energia elettrica mediante un modulo compatto di generazione basato sulla tecnologia Orc. Nei due impianti Life 1 e Life 2, realizzati nella centrale Sebigas a Livorno Ferraris (Vc), l’integrazione dell’unità Orc a valle di un motore a biogas da 1 MW ha fatto aumentare del 10% la generazione di elettricità senza bisogno di aggiungere biomassa. In altre parole, si è ottenuto un incremento della produzione di elettricità evitando sia di occupare un 10% in più di suolo per la coltivazione della biomassa, sia di produrre una quantità corrispondente di digestato che si sarebbe poi dovuto spandere sui campi. L’elemento maggiormente innovativo dell’impianto è rappresentato dalla possibilità di utilizzare come fluido termovettore, in sostituzione del tradizionale olio diatermico, un circuito intermedio di raffreddamento ad acqua a 88 gradi e ad acqua in pressione a 140 gradi, oppure di agire sui fumi con scambio diretto di calore. “Questa soluzione”, sottolinea l’ingegner Luca Xodo, business development manager, “comporta una serie di vantaggi,

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a cominciare dalla semplificazione dell’iter autorizzativo in quanto non si impiega un materiale infiammabile; si migliora il rendimento dell’impianto riducendo lo sfruttamento del suolo; si evitano emissioni in ambiente e perdite di sostanze; si riducono i costi di investimento per il mancato uso di olio diatermico”.

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L’impianto a biogas che utilizza moduli Powerbox 125, Livorno Ferraris (VC)

L’impianto è in grado di riciclare calore a fini energetici anche da motori endotermici (a combustione interna) di taglie differenti, più precisamente da 750 a 1.500 kWe. Lo si può applicare a tutto il parco motori alimentato a biogas, olio vegetale, a tutti i flussi geotermici a bassa entalpia da cui si possano recuperare 900 kW termici, e anche a valle di processi industriali a media-alta temperatura. Nella taglia nominale da 125 kWe consente di generare oltre 700 MWh/e l’anno, pari a un valore di 196.000 euro (allo stato attuale del conto energia) qualora l’elettricità venga messa in rete; se invece viene usata per abbassare la produzione di biogas da biomassa, consente un risparmio di 2.000 tonnellate di insilato, pari a una superficie coltivata di oltre a 30 ettari e a 2.000 metri cubi di digestato in meno prodotto dalla digestione anaerobica, che non sarebbe necessario spandere sui campi. Powerbox 125 si presenta come un container pre-assemblato contenente scambiatori, tubazioni, valvole e strumenti, turbina, generatore, quadri elettrici e di controllo. L’elevato grado di modularità dell’impianto, che lo

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rende “smontabile” in sottounità, velocizza i tempi di trasporto e di installazione. Il montaggio delle due unità Life 1 e Life 2 ha comportato mezza giornata di lavoro. Cuore energetico del Gruppo Maccaferri è SECI Energia (281 milioni di euro il fatturato 2010), che accentra le partecipazioni azionarie nel settore della generazione di elettricità da fonti rinnovabili: biomasse, biogas, fotovoltaico, eolico e idroelettrico. Nel settore biomasse, opera attraverso PowerCrop, nata per riconvertire cinque zuccherifici alla produzione di elettricità da filiere agroforestali, per una potenza di 152 MW. L’approvvigionamento della materia prima è garantita da accordi sottoscritti con il mondo agricolo per la costituzione della prima filiera agro-energetica italiana riconosciuta dal Ministero per le politiche agricole. Sul mercato del fotovoltaico è presente con Enerray, che progetta e realizza impianti su coperture aziendali, pensiline, terreni e serre. A tutto il secondo quadrimestre 2011 aveva avviato impianti per circa 130 MWp. Nel settore della produzione di energia da biogas SECI Energia opera attraverso Sebigas. A tutt’oggi ha messo in esercizio dieci impianti, per un totale di circa 9 MW autorizzati; in fase di realizzazione e/o autorizzativa ce ne sono altri 45. Per quanto riguarda l’eolico, è in costruzione un impianto da 30 MW. Attraverso Exergy-Orc Srl produce turbine e moduli Orc integrati. Infine, in partnership con la società di Stato serba Elektropriveda, SECI Energia è attiva nella realizzazione di impianti idroelettrici sul fiume Ibar in Serbia. L’ingresso nel settore energetico risale alla realizzazione e gestione, insieme a Edison, delle centrali a ciclo combinato alimentate a metano, in assetto cogenerativo, ubicate presso i siti industriali di Celano e Jesi.

Exergy-Orc Srl, SECI Energia Gruppo Industriale Maccaferri via Cremona 1 – 20025 Legnano (MI) l.xodo@exergy.it; tel. 03311817711 www.exergy-orc.com Segnalata nel 2011 nel settore Energia

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Cogenerazione da oli vegetali

Nel campo della cogenerazione (ovvero la produzione combinata di calore ed elettricità), nel marzo 2009 Cefla Sc ha portato a termine, presso il cementificio Micromineral Lloyd di Ravenna, la costruzione di un impianto che come combustibile impiega una fonte rinnovabile, precisamente oli vegetali, dai quali viene prodotta energia elettrica come output principale ed energia termica tramite il recupero integrale del calore di risulta del motore. Tutta l’energia termica viene re-immessa nel processo produttivo dello stabilimento, mentre eventuali eccedenze di energia elettrica vengono cedute alla rete. L’impianto è costituito da un motore a combustione interna da 7 MW. “L’elemento innovativo”, spiega l’ingegner Mirko Amalfitano, area manager energia di Cefla Impianti Group, “è rappresentato dal completo recupero energetico dei fumi prodotti dal motore, che vengono re-impiegati nel processo produttivo tal quali, senza altri trattamenti, e fatti confluire in un impianto Impianto di cogenerazione a oli vegetali con recupero di calore

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dove viene essiccato il carboncino, utilizzato per la produzione del cemento”. Una soluzione impiantistica che ha reso superfluo l’impiego di una caldaia ad hoc per produrre il calore necessario alla fase di essiccazione. L’energia termica a bassa temperatura, ottenuta dal processo di raffreddamento del motore, viene invece utilizzata per mantenere costante lo stato liquido dell’olio vegetale, che funge da combustibile. A parità di quantità di combustibile immesso, l’impianto produce più energia di quella che si otterrebbe dalla produzione separata di elettricità e calore. Il rendimento elettrico dichiarato dell’impianto è del 46%, superiore a quello del parco di centrali termoelettriche italiane. L’elettricità prodotta è quasi interamente assorbita dall’impianto industriale, tranne la quota in esubero.

Particolare dell’impianto

L’utilizzo di biomasse ha permesso di azzerare in loco le emissioni di anidride carbonica, rispetto alla produzione sia dell’energia termica, sia di quella elettrica. Trattandosi di olio di palma importato, nel bilancio emissivo totale andrebbero considerate in realtà anche le emissioni legate al trasporto del combustibile vegetale dai luoghi di produzione, bilancio che si aggrava se messo a confronto con l’uso di oli prodotti localmente. “È pur vero, però”, fa osservare l’ingegner Amalfitano “che rispetto a un impianto convenzionale che usi combustibili fossili di importazione non c’è invece alcun aggravio. In ogni caso, anche se l’impianto ha funzionato fino a ora utilizzando olio di palma, è predisposto per utilizzare qualsiasi tipologia di olio vegetale opportunamente trattato, per cui appena sul mercato saranno disponibili quantitativi di oli non food, questi potranno alimentare l’impianto senza bisogno di apportarvi alcuna modifica”. L’ossido di carbonio e gli ossidi di azoto vengono invece abbattuti tramite l’impiego di un filtro catalitico di tipo SCR (sistemi di riduzione catalitica selettiva). Circa le dimensioni dell’investimento richiesto, “trattandosi di un impianto che utilizza fonti rinnovabili, gode dell’accesso ai certificati verdi, e quindi, nonostante il costo di realizzazione sia all’incirca del 20% più elevato rispetto a impianti tradizionali”, precisa l’ingegner Amalfitano, “risulta interessante anche dal punto di vista economico, per i risparmi che permet-

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te di fare sulla bolletta energetica in fase di funzionamento, e per gli incentivi di legge a cui dà diritto. Tenuto conto di ciò e dell’andamento del costo dell’olio, per il cementificio Micromineral Lloyd di Ravenna l’investimento dell’impianto si ammortizza in un periodo di tempo compreso tra i 4 e i 5 anni”. La positiva valutazione fatta da Cefla sulle buone possibilità di diffusione di questa tipologia di impianto per la sua replicabilità in tutte le situazioni produttive caratterizzate da un consistente consumo di energia termica ed elettrica ha trovato piena conferma nell’incarico avuto di costruire un impianto gemello (nell’area portuale di Ravenna) che al momento utilizza olio di palma, ma che, come l’altro, è predisposto per utilizzare qualsiasi tipologia di olio vegetale opportunamente trattata. Inoltre, grazie a un particolare sistema di filtrazione del combustibile, è possibile impiegare il grasso animale proveniente da uno stabilimento alimentare limitrofo (il committente dell’opera). Una particolarità impiantistica che permetterà di trasformare un rifiuto in una fonte energetica. Questo secondo impianto è costituito da un motogeneratore Wartsila 16V32 di potenza elettrica analoga al primo (circa 7 MW) capace di produrre, attraverso il recupero dei fumi di combustione, più di 3,6 tonnellate all’ora di vapore a 12 bar. Entrambi i vettori energetici prodotti (il vapore e l’elettricità) sono utilizzati nel processo produttivo dello stabilimento. Il calore recuperato dall’acqua di raffreddamento del motore è in parte utilizzato per il riscaldamento dei serbatoi di stoccaggio dell’olio vegetale, in parte inviato allo stabilimento alimentare (acqua calda in ciclo chiuso) e in minima parte dissipato. Il rendimento elettrico è del 46%. “In sostanza, come accade per l’impianto realizzato presso il cementificio, anche questo non solo produce più energia a parità di combustibile immesso rispetto a una produzione separata di calore ed elettricità, ma inquina anche molto meno grazie alla presenza di un SCR che riduce a valori minimi le emissioni di ossido di carbonio e di ossidi di azoto”, sottolinea l’ingegner Amalfitano. Essendo alimentato da fonti rinnovabili, gode, come il gemello, degli incentivi di legge sotto forma di certificati verdi.

Cefla SC via Selice provinciale, 23/a – 40026 Imola (BO) ceflaimpianti@cefla.it; tel. 0542653111 www.ceflaimpianti.it Segnalata nel 2009 nel settore Energie rinnovabili

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L’energia viene dai fumi

Nel suo Piano straordinario per l’efficienza energetica 2010 (PSEE) Confindustria disegna per il nostro paese uno scenario interessante di interventi che, con investimenti complessivi per 130 milioni di euro sostenuti da 16,7 miliardi di incentivi pubblici in dieci anni (risultanti da 24 miliardi di incentivi reali da cui sottrarre 7,3 miliardi di maggiori entrate fiscali), consentirebbero di creare 1.635.000 nuovi posti di lavoro. Si tratta di misure che spaziano dal settore civile residenziale a quello produttivo. La centrale termoelettrica da 2,3 MWe, inaugurata a novembre 2010 presso lo stabilimento di Manfredonia Vetro Spa del Gruppo Sangalli, situato nel comune di Monte Sant’Angelo (FG), è un ottimo esempio di efficienza energetica applicata. “Si tratta infatti di una centrale elettrica di grossa taglia in grado di funzionare con recupero energetico da cascami termici industriali, ovvero con l’energia termica recuperata dai fumi che si producono nella lavorazione del vetro”, dichiara l’ingegner Luigi De Simone, amministratore delegato del Gruppo ICQ che ha progettato e realizzato l’impianto. La centrale è composta da due scambiatori di calore che recuperano il calore dai fumi pari a 10 MWt; un circuito di circolazione dell’olio diatermico che trasporta il calore; una caldaia e un sistema turbogeneratore ORC (Organic Rankine Cycle) da 2,3 MWe. Il turbogeneratore, utilizzando la potenza termica dei fumi generati dal forno di fusione della vetreria, produce energia elettrica in ragione di 12-16 GWh/anno, con un risparmio di combustibile primario di oltre 2.800 tep/anno e conseguente riduzione delle emissioni di CO2 pari a circa 8.300 t/anno. L’impianto funziona solo con il calore di recupero dai fumi in uscita dalla vetreria. Grazie a un processo totalmente automatico e a particolari accorgimenti nella gestione, il sistema non va a interferire con la produzione del vetro. “Il risparmio e l’efficientamento energetico”, aveva affermato l’ingegner De Simone in occasione dell’inaugurazione, “sono la prima delle fonti rinnovabili. Con questo intervento dimostriamo che anche in settori competitivi, quali quello industriale, c’è spazio per investimenti redditizi”. Una soluzione replicabile in altri set-

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tori produttivi che rilasciano fumi a temperature superiori ai 300 gradi, come i cementifici, le acciaierie, le raffinerie. L’investimento complessivo nell’impianto di Manfredonia è stato di circa 4,5 milioni di euro, finanziato in proprio dal Gruppo ICQ e dal Gruppo Sangalli, con il supporto di MPS Capital Services SpA. I tempi di ammortamento si aggirano intorno ai 4 anni. Sono già stati realizzati altri impianti, da 350 kW, su recupero dei fumi da biogas da discarica, e sono in corso progetti su altre vetrerie, cementifici e acciaierie. L’impianto realizzato a Castel Sant’Angelo ha fatto ottenere alla Sangalli Vetro, a luglio 2011, il premio “Progetti sostenibili e Green Public Procurement” istituito dal Ministero per l’Economia e le Finanze. Nell’edizione 2011 del Premio Sviluppo Sostenibile il Gruppo ICQ ha ottenuto una seconda segnalazione per l’avvio, a Torre Santa Susanna, nel brindisino, di un impianto-pilota alimentato a biomasse lignocellulosiche che adotta un avanzato sistema di pirogassificazione. Questa tecnica trasforma un combustibile solido (come la biomassa) in combustibile gassoso, detto syngas, ad alto tenore di idrogeno. “L’uso del combustibile in stato gassoso comporta notevoli vantaggi in relazione alla gestione dell’impianto e consente di produrre energia elettrica mediante efficienti motori a combustione interna o micro turbine a gas”, spiega De Simone. “Rispetto alle tecniche convenzionali per lo sfruttamento energetico di questa tipologia di biomasse, la pirogassificazione permette di realizzare impianti di piccola potenza caratterizzati da rendimenti tipici di centrali di grossa taglia dell’ordine di decine di MW e da un contenuto output emissivo. La potenza termica dell’impianto di Torre Santa Susanna, ad esempio, è di circa 1 MW, quella elettrica di picco 500 kW. Questa proprietà può contribuire alla diffusione capillare dell’impiego dei

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Ciclone depolveratore del syngas

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Impianto pilota a biomasse con pirogassificazione di Torre Santa Susanna (BR)

sottoprodotti agricoli, tipici dell’area pugliese in cui si trova l’impianto-pilota, per la generazione distribuita di energia a basso impatto ambientale”. Gli scarti di potatura che si prestano alla valorizzazione energetica sono presenti in quantità sovrabbondante rispetto alle esigenze. Ciò rende possibile la realizzazione di impianti gemelli in zona. In futuro è ipotizzabile anche l’abbinamento con celle combustibili a carbonati fusi, una soluzione che aumenterebbe l’efficienza del sistema e abbatterebbe drasticamente le emissioni. E.R.B.A. Srl, Energie Rinnovabili da Biomasse Agricole, è la società del Gruppo ICQ che ha realizzato l’impianto di Torre Santa Susanna. Il Gruppo ICQ, che ha progettato la centrale termoelettrica di Monte Sant’Angelo, è specializzato nella produzione di energia da fonte eolica, idroelettrica, da biomassa e da gas da rifiuti. Grazie all’esperienza maturata come developer – realizzando progetti per conto terzi per 1.200 MW – e all’ingresso nel capitale del Fondo Ambienta, partner finanziario orientato al settore ambientale, dal 2008 ICQ Holding realizza esclusivamente impianti in proprio e vende l’energia prodotta. La società nel 2010 ha raggiunto una potenza installata di 110 MW e un fatturato di 56 milioni di euro.

ICQ Holding SpA via Ombrone 2/G – 00198 Roma info@gruppoicq.com; tel. 06840430230 www.icqholdingspa.com Segnalata nel 2010 e nel 2011 nel settore Energia

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Dall’ecobalera all’ecocaldaia a biomasse

Fondato nel 2005 da Provincia di Bologna, Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna, Issi onlus (Istituto sviluppo sostenibile Italia), il Centro per il trasferimento di tecnologie finalizzate alla sostenibilità ambientale Cisa (Centro innovazione sostenibilità ambientale) dal 2005 al 2010 è stato lo strumento tecnico-scientifico di attuazione dell’“Accordo quadro sulla montagna-energia”, emanazione della legge sulla montagna della Regione Emilia-Romagna e sottoscritto da tutti i 26 comuni dell’Appennino bolognese. Finalità strategica dell’accordo era la caratterizzazione di quell’area della montagna quale “distretto dell’energia sostenibile”. A questo fine Cisa ha svolto attività di trasferimento tecnologico, e ha promosso la progettazione e la realizzazione, in svariati comuni dell’Appennino bolognese, di innovativi impianti alimentati da fonti rinnovabili nel campo del mini eolico, mini idroelettrico, del fotovoltaico, della cogenerazione e delle caldaie a biomasse. Tra i più significativi impianti a biomasse collegati al teleriscaldamento uno è in funzione a Castiglione dei Pepoli collegato alle scuole elementari e medie; un altro al Centro visite del Parco dei due Laghi; un altro ancora riscalda il museo Laborantes di Castelluccio, dedicato alla memoria delle attività agricole, artigianali e di sussistenza della montagna appenninica; infine uno è stato realizzato per riscaldare le scuole e la sede del comune di Savigno. Altri impianti costruiti per valorizzare l’uso delle fonti rinnovabili sono la centrale mini-idro al Parco del Corno alle Scale, e il mini-eolico nella comunità montana del Santerno. Cisa ha inoltre coordinato i lavori di riqualificazione energetica dell’ex Ferrhotel (l’ex dormitorio dei ferrovieri) di Porretta Terme e di trasformazione in un centro sociale dotato di tutti i più avanzati dispositivi energetici, dalle sonde geotermiche per sfruttare la geotermia a bassa entalpia, ai pannelli fotovoltaici e solari termici, fino al recupero del calore prodotto dai ballerini nella sala da ballo, soprannominata per questo “ecobalera”.

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Impianto fotovoltaico presso il Centro sociale di Porretta Terme (BO)

Nel 2008 e 2009 Cisa ha organizzato, sempre a Porretta Terme, le due edizioni di “Ecoappennino”, la prima fiera-expo sul risparmio energetico e l’uso delle fonti rinnovabili dedicata alla montagna, accompagnata da un ricco programma di incontri e dibattiti di approfondimento sulle tematiche inerenti lo sviluppo sostenibile, anche a misura specifica di economia montana. Un appuntamento che ha richiamato migliaia di non addetti ai lavori, gente del posto, che con curiosità e interesse ha visitato i vari stand espositivi distribuiti nelle principali strade e piazze del paese in cui erano che presentati mini turbine eoliche, caldaie a pellets, pannelli e collettori solari. Alla selezione del Premio Sviluppo Sostenibile 2009 Cisa ha partecipato con il sistema di cogenerazione (per la produzione combinata di calore ed energia elettrica) realizzato nel comune di Castel d’Aiano (BO), un impianto che funziona con un motore a combustione esterna Stirling alimentato da gas ottenuto dalla gassificazione di biomasse (cippato di legna), in sostituzione di fonti fossili. “Rispetto alla gassificazione combinata con motori a combustione interna, il motore Stirling, bruciando il syngas ad alte temperature, evita la formazione di catrami come residuo della combustione, producendo così un notevole beneficio ambientale”, spiega Stefano Semenzato, anima ispiratrice e direttore di Cisa. La taglia ridotta dell’impianto, atta a soddisfare esigenze di piccole comunità, consente di produrre elettricità utilizzando tutto il calore prodotto, e di raggiungere così rendimenti energetici di tutto rispetto.

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“La biomassa utilizzata è di produzione locale, un elemento che, in caso di diffusione di questo genere di impianti, può favorire la creazione di una filiera legno-energia che ruoti attorno al recupero della manutenzione dei boschi abbandonati e a progetti di loro gestione sostenibile”, sottolinea Stefano Semenzato. “Un’attività sicuramente utile in termini ambientali, e che può aprire anche prospettive economiche interessanti in risposta ai processi di spopolamento della montagna.” Per le sue dimensioni, l’impianto è stato proposto anche come alternativa alla diffusione della rete del metano per le piccole comunità isolate insediate nelle zone di medio e alto crinale. L’impianto è stato finanziato con fondi europei Obiettivo 2 gestiti dalla Provincia di Bologna e grazie al cofinanziamento del Consorzio Cosea, che ne ha curato la progettazione e la realizzazione. Attraverso una mini rete di teleriscaldamento, d’inverno riscalda il complesso delle scuole elementari e medie e la palestra (in sostituzione di vecchie caldaie a gpl), mentre d’estate il calore prodotto viene utilizzato per aumentare la temperatura dell’acqua della piscina. Inoltre viene utilizzato per gli spogliatoi del confinante centro sportivo. Nel 2010 CISA ha presentato, per conto di 19 comuni dell’Appennino, il progetto Elisse (Enti locali insieme sviluppo sostenibile energia), in corso di realizzazione, che prevede il risparmio di 2.700 tep/anno attraverso la realizzazione di impianti a energie rinnovabili, per un investimento di 10 milioni di euro, in parte coperto dalla Regione Emilia-Romagna. Con il 2011, su iniziativa della Provincia di Bologna, Cisa si è trasformata in un’associazione formata da Provincia e Comuni con il compito di curare l’iter del Patto dei Sindaci e di accedere ai finanziamenti del nuovo piano energetico regionale per la realizzazione di impianti che impiegano le rinnovabili.

CISA – Centro Innovazione Sostenibilità Ambientale piazza Libertà 13 – 40046 Porretta Terme (BO) semenzato@centrocisa.it; tel. 053421104 www.centrocisa.it Segnalata nel 2009 nel settore Energie rinnovabili

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La riscoperta dell’acqua calda

L’impianto di cogenerazione e teleriscaldamento di Zola Predosa (BO)

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La cogenerazione, produzione combinata di calore ed elettricità usando la medesima fonte energetica, è una scelta tecnologica improntata all’efficienza: con un unico combustibile si ottengono due prodotti. Può raggiungere un livello di rendimento pari alla conversione in energia dell’85% del combustibile impiegato, di molto superiore, quindi, al rendimento medio di una centrale termoelettrica convenzionale (i moderni cicli combinati si aggirano intorno al 50%, ma hanno taglie di potenza dell’ordine delle centinaia di megawatt). Da alcuni anni si parla di trigenerazione per gli impianti in grado di produrre anche il servizio di raffrescamento estivo. Spesso la cogenerazione è associata al teleriscaldamento (si veda il capitolo Dall’ ecobalera all’ecocaldaia a biomasse). È il caso dell’impianto di cogenerazione e teleriscaldamento realizzato da CO.AR.CO nel comune di Zola Predosa, su progettazione e commessa di Zola Predosa Teleriscaldamento che ha lavorato al progetto in stretto contatto con gli uffici comunali. Inaugurato nel 2008, a oggi l’impianto e la rete servono circa 1.150 appartamenti e tutti gli edifici comunali (municipio, scuole e palazzetto dello sport). Nella sua saturazione il progetto prevede circa altre 600 abitazioni da allacciare. Degli appartamenti non obbligati ad allacciarsi al teleriscaldamento, il 95% ha accolto la proposta di allaccio (l’obbligo sussisteva solo per i nuovi edifici nell’a-

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rea di espansione del piano regolatore per la quale è nato il progetto, oltre che per gli edifici comunali, ovviamente). L’impianto è stato presentato ai cittadini con una brochure intitolata: “Abbiamo riscoperto l’acqua calda e ve la portiamo a casa”. Il carattere innovativo di questo impianto riguarda l’alimentazione integrata tramite gas metano e biomassa vegetale da filiera corta. Si tratta di cippato di legna proveniente dalle potature effettuate nel comune di Zola e in comuni limitrofi, e in aziende agricole in zona. I vantaggi ambientali di quest’opera hanno riguardato la mancata installazione di 470 caldaie singole e la sostituzione di 30 caldaie di condominio in maggior parte vetuste, consentendo di raggiungere i seguenti risultati ambientali (anno attualizzato di esercizio 2010): la mancata emissione di 3.010 tonnellate di CO2 e il risparmio di 643 tep (tonnellate equivalenti di petrolio). Dell’impianto fa parte un sistema di monitoraggio, registrazione e archiviazione ora per ora delle emissioni ai camini e delle ricadute al suolo di tutte le fonti, che vengono ulteriormente verificate ogni sei mesi da un laboratorio esterno tramite campionamenti extra analizzati ad hoc per controllare la congruità dei dati registrati. L’impianto è dotato di dispositivi a effetto fisico (elettrofiltri) e chimico (catalizzatori e impianti di abbattimento a urea), per abbattere gli inquinanti fino a quantitativi di gran lunga inferiori a quelli normalmente emessi dalle centrali termiche di condominio e, a maggior ragione, dalle “caldaiette” da appartamento. Uno dei vantaggi di questi impianti di taglia superiore alle caldaie da condominio e a quelle singole da appartamento è proprio il fatto di consentire l’installazione di catalizzatori ed elettrofiltri centralizzati per abbattere i fumi, che non si possono installare nelle caldaiette domestiche di piccola taglia semplicemente perché non esistono sul mercato in quelle dimensioni.

Cabinato cogeneratore dell’impianto alimentato a metano e biomassa locale

L’aspetto innovativo dell’impianto, come detto in precedenza, riguarda l’integrazione di più fonti energetiche: il metano, attraverso un motore cogenerativo a ciclo Otto dotato di alternatore e caldaia a recupero fumi, produce potenza elettrica pari a 1.940 kWh elettrici e 1.800 kWh termici; il cippato invece fornisce una potenza di circa 2.500 kWh. Per quanto riguarda il risparmio sulla bolletta energetica, “per le circa 500 famiglie allacciate al teleriscaldamento nel comparto di nuova costruzione ovviamente non si possono fare paragoni con i costi di esercizio preceden-

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ti, in quanto si tratta di abitazioni di nuova edificazione”, osserva l’ingegner Paolo Galasso di SIME, la società con sede a Crema proprietaria al 99% di Zola Predosa Teleriscaldamento. “Un dato significativo può essere però il costo medio di esercizio annuale per un appartamento di circa 70 metri quadrati (riscaldamento, acqua calda sanitaria, manutenzione ordinaria e straordinaria, reperibilità 24 ore su 24), che è pari a circa 750 euro. Per i condomini esistenti invece che hanno aderito all’allaccio” continua l’ingegner Galasso, “sono stati possibili dei paragoni con gli esercizi precedenti: i risparmi conseguiti, considerando i gradi giorno e il prezzo del metano, vanno da un 12,6% a oltre il 25%, pari quindi a 180-375 euro all’anno, tenuto conto anche del fatto che non sussistono costi di allacciamento alla rete, tutti a carico del Concessionario Zola Predosa Teleriscaldamento”. L’opera è stata realizzata in project financing e ha coinvolto, per la sua realizzazione, tra operatori tecnici, progettisti e operai oltre 200 persone. A seguire la gestione dell’impianto, della rete e delle sottostazioni sono a oggi impiegati circa 5 tecnici (tra operativi e gestionali). Il costo di realizzazione si aggira intorno ai 9,8 milioni di euro, compresa la rete e le sottostazioni. La concessione comunale ha durata pari a 20 anni, al temine dei quali l’impianto verrà riconsegnato al Comune, che sarà quindi libero di sceglierne la futura gestione.

CO.AR.CO (Società consortile a r.l.) via Bizzarri 9/2 – 40012 Calderara di Reno (BO) milena.pavoni@coarco.it; tel. 051727493 www.coarcoprogetti.it

Zola Predosa Teleriscaldamento teleriscaldamento.zola@simecrema.it; paolo.galasso@simecrema.it www.simecrema.it Segnalata nel 2009 nel settore Energie rinnovabili

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Teleriscaldamento geotermico a bassa entalpia

Cogeme è una Spa a capitale totalmente pubblico, i cui soci sono 70 Comuni in provincia di Brescia e Bergamo, il Consorzio Comunità di Zona e la Comunità montana di Valle Camonica. Offre servizi che comprendono distribuzione e vendita di gas, produzione e vendita di energia elettrica, ciclo integrato dell’acqua, servizi di igiene ambientale, servizi informatici. È certificata ISO 9001, ISO 14001 e OHSAS 18001 (sulla sicurezza sul lavoro). L’impianto energetico di punta di Cogeme è la centrale di teleriscaldamento di Castegnato, inaugurata nel novembre 2010 nell’hinterland bresciano. “È un sistema dotato di tre gruppi cogenerativi, alimentati da motori endotermici alternativi in ciclo otto, con caldaie di soccorso e integrazione ad altissimo rendimento”, spiega Paolo Tarantino, direttore tecnico di Cogeme. Attualmente è in funzione il primo cogeneratore in attesa della completa realizzazione dei nuovi comparti residenziali. A regime, nel 2014-2015, quando il sistema avrà raggiunto la sua massima espansione con l’installazione dei restanti due gruppi cogenerativi, insieme a nove edifici pubblici (municipio, scuole, palestre, già allacciati) servirà 1.259 abitazioni private (oggi sono 250). Il risparmio di circa 209 tep (tonnellate equivalenti di petrolio), previsto nella stagione termica 2014-2015, coinciderà con una riduzione delle emissioni di gas serra nell’ordine di 480 tonnellate circa di CO2 equivalente, mentre per il primo anno di funzionamento, la ridu-

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Interno della centrale di teleriscaldamento, Castegnato (BS)

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Esterno della centrale

zione attesa è stimata intorno a 225 tonnellate di CO2 eq, corrispondente a un risparmio di 96,9 tep. Questo calcolo è stato fatto mettendo a confronto i consumi energetici generati dall’impianto di teleriscaldamento con quelli di un sistema di riscaldamento con caldaia a condensazione e integrazione con il solare termico per la produzione di acqua calda sanitaria, equivalente alla classe energetica B, classe a cui corrisponde il 90% degli edifici privati serviti dall’impianto Cogeme. La rete di teleriscaldamento, lunga 4.880 metri, presenta una particolarità: “È stata concepita come un enorme boiler di accumulo termico, in cui le perdite di calore sono limitate grazie all’impiego di materiali termoisolanti specifici e alla posa interamente sotterranea”, precisa Paolo Tarantino. “È quindi in grado di calmierare le richieste di potenza termica di picco che provengono dai vari edifici, il che ci ha consentito di dimensionare una centrale termica con una potenza installata di molto inferiore alla somma delle varie utenze da servire”. Nella configurazione finale la nuova centrale di cogenerazione servirà infatti utenze per circa 14 MW, con una potenza termica installata di circa 8 MW. L’alto grado di automazione dell’impianto, il telecontrollo, il monitoraggio e la registrazione delle emissioni, la regolazione in continuo dei parametri di combustione sono finalizzati a garantire un rendimento ottimale dei generatori di calore in ogni situazione. La potenza elettrica di picco prodotta prevista nel 2014-2015 è stimata pari a 1578 kWe. L’elettricità prodotta verrà messa in rete (oggi si tratta di circa 500 kWe prodotti dal primo cogeneratore). L’impegno economico sostenuto, escluso il costo delle ore lavorate dai dipendenti Cogeme e le spese amministrative, è stato di 1.800.000 euro per la realizzazione della centrale cogenerativa, di 2.000.000 per la stesura della rete di teleriscaldamento e la trasformazione delle centrali termiche comunali in sottocentrali d’utenza. L’installazione dei due ulteriori gruppi cogenerativi comporterà un esborso di un milione di euro circa. Cogeme si ripaga dell’investimento effettuato con la vendita sia del servizio di riscaldamento al costo di circa 0,110 euro

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al kWh (costo soggetto alla variazione del prezzo del metano), sia dell’elettricità messa in rete. L’ammortamento si raggiunge in 20 anni di gestione. Allo scadere di questo termine il sistema diventerà di proprietà del Comune. Oggi l’impianto funziona a metano, ma in futuro potrebbe sfruttare la tecnologia geotermica a bassa entalpia. Cogeme è stata infatti autorizzata dalla Regione Lombardia a svolgere attività di ricerca per individuare serbatoi sotterranei di fluidi geotermici. Il sottosuolo della Franciacorta presenta un’anomalia geologica che fa ipotizzare la presenza di flussi geotermici con temperature da 50 a 80 gradi a una profondità tra 1.000 e 1500 metri. Se le ipotesi di partenza troveranno conferma nella fase sperimentale, la centrale potrà essere parzialmente alimentata dalla fonte geotermica. “L’idea progettuale prevede che dall’acqua prelevata venga ‘estratto’ solo il contenuto termico-energetico, e che sia successivamente iniettata di nuovo nel sottosuolo senza alterarne le caratteristiche chimico-fisiche per non modificare gli equilibri naturali”, sottolinea Tarantino. La realizzazione della centrale di Castegnato ha avuto ricadute positive sul territorio, poiché ha fornito occasioni di lavoro per una decina di aziende appaltatrici e subappaltatrici. La rete di teleriscaldamento tocca tutte le zone di massima espansione abitativa previste nel Piano di governo del territorio e la centrale è in grado di far fronte a nuovi insediamenti. “Non c’è l’obbligo di allacciarsi. Sono i vantaggi economici derivanti dalla semplificazione impiantistica per gli appartamenti serviti, la semplicità d’uso e di manutenzione, la sicurezza rappresentata dall’eliminazione del gas metano (unitamente all’adozione di piani di cottura a induzione), che spingono a richiedere l’allacciamento”, conclude Tarantino.

Cogeme Spa via XXV Aprile, 18 – 25038 Rovato (BS) cogeme@cogeme.net; tel. 03077141 www.cogeme.net Segnalata nel 2011 nel settore Energia

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La macchina salvaenergia che semina e concima

Le tecniche agronomiche tradizionali prevedono che le fasi di aratura del terreno, semina e concimazione siano svolte in tre operazioni separate. All’Expo di Shanghai 2010 nel Salone internazionale dell’innovazione è stata esposta una macchina seminatrice ad alta efficienza energetica, made in Italy, che rivoluziona questa consuetudine: permette infatti di effettuare in un unico passaggio, direttamente su terreno non lavorato, tutte le fasi di lavorazione. Ne deriva una riduzione del consumo di combustibile e quindi delle emissioni di CO2 dell’ordine del 70%. Insieme al ridotto impatto ambientale, la particolarità tecnologica di questa seminatrice rispondente alle più avanzate tecniche di lavorazione conserva-

Pannellatura fotovoltaica sullo stabilimento Maschio Gaspardo

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tiva (ossia di trattamento minimo del terreno per preservarne lo stato naturale) è la dotazione di un sistema di controllo elettronico con diagnostica in remoto. Questo dispositivo permette all’operatore di intervenire sui parametri funzionali della macchina direttamente dalla cabina di guida, migliorando la sicurezza e il comfort sul lavoro. Si tratta di una soluzione che ottimizza la precisione della semina e della concimazione: sfruttando il sistema di localizzazione GPS secondo il più avanzato concetto di precision farming, definisce i soli passaggi di macchina strettamente necessari a coprire la superficie lavorata, senza spreco di carburante, di semi e di concime. Il sistema di controllo e diagnostica a distanza, introdotto per la prima volta su una macchina di questo genere, permette all’azienda costruttrice, la Maschio Gaspardo di Campodarsego, di monitorare direttamente via internet le reali condizioni di utilizzo della macchina, di effettuare la diagnosi di eventuali problemi di funzionamento a distanza, e di seguire l’intervento mirato di assistenza tecnica predisposto. La banca dati raccolta serve all’azienda per le attività di ricerca e sviluppo per migliorare il prodotto. Sui campi, il design innovativo degli utensili che vengono a contatto con il terreno consente di ridurre in maniera significativa l’attrito e il conseguente assorbimento di potenza, anche questo a beneficio della riduzione dei consumi di carburante. L’impiego della macchina, assicura l’azienda, mantiene inalterata la superficie del terreno preservando lo stato vegetale della coltura precedente, ed evitando così gravi effetti collaterali, quali erosione idrica ed eolica e problemi legati alla siccità. “L’impiego frequente di tecniche di aratura in profondità può compromettere l’equilibrio organico del suolo, causando nel tempo perdita di fertilità. Il suolo degradato si compatta più facilmente ed assorbe una minore quantità di acqua, che tende a defluire portando via con sé particelle di terreno e nutrienti. Un fenomeno negativo anche per le falde acquifere che non vengono ricaricate. A loro volta i nutrienti sottratti al suolo finiscono nei corsi d’acqua di superficie, inquinandoli”, spiega l’ingegner Enrico Breda, Energy Manager di Maschio Gaspardo. L’innovazione energetica che la Maschio Gaspardo ha portato sulle macchine che progetta e produce, per volontà dell’Amministratore Delegato Mirco Maschio è stata estesa anche al comparto produttivo, fortemente energivoro, dando il via alla svolta dell’autoproduzione da fonti rinnovabili e del risparmio energetico. Dopo aver realizzato un impianto fotovoltaico da 1 MW, è partita l’installazione di ulteriori 2,3 MW di fotovoltaico in parallelo a un impianto di cogenerazione in grado, a fine 2011, di coprire il fabbisogno di energia elettrica e termica.

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Efficienza energetica con la cogenerazione nello stabilimento Maschio Gaspardo

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La macchina seminatriceconcimatrice

Nel campo del risparmio energetico la Maschio Gaspardo intende adottare tecnologie più efficienti, tra cui un nuovo impianto di verniciatura meno energivoro e la progressiva sostituzione, negli stabilimenti, dei punti luminosi con luci a Led. Per ridurre i consumi di energia termica sono stati avviati i lavori di coibentazione delle coperture dei tre stabilimenti (a Campodarsego, Morsano al Tagliamento e Cadoneghe), contestualmente alla bonifica completa dell’amianto presente su alcune strutture, sostituito con alluminio. “Con il primo stralcio dell’impianto fotovoltaico da 1 MW l’azienda ha quasi azzerato la bolletta elettrica dell’impianto di Campodarsego. Trasferendo questo risparmio sul prodotto, siamo riusciti a mantenerci competitivi. Nei primi sette mesi di funzionamento l’investimento ha registrato un Roi (return on investment, tasso di ammortamento) di circa il 14%, mentre i 900.000 kWh di energia elettrica prodotti hanno evitato l’emissione in atmosfera di circa 500 tonnellate di CO2”, sottolinea Mirco Maschio. Nel pieno rispetto del concetto di “chilometro zero”, sempre con l’obiettivo di ridurre la CO2 associata, tutti gli interventi effettuati in campo energetico sono stati affidati a imprese del territorio, a cominciare dai pannelli fotovoltaici prodotti dalla Xgroup, che ha sede anch’essa nella provincia di Padova. Analogamente, i lavori di istallazione e di bonifica dell’amianto sono stati realizzati da ditte locali, contribuendo così a incrementare l’indotto territoriale. Sulla base dell’esperienza maturata negli stabilimenti italiani, l’azienda intende estendere la svolta energetica anche alle principali sedi produttive e commerciali estere, tra cui Romania, Russia, Stati Uniti, India, Cina. L’azienda Maschio Gaspardo, sul mercato dal 1964 e leader mondiale del settore, è certificata UNI EN ISO 9001:2000.

Maschio Gaspardo Spa via Marcello 73 – 35011 Campodarsego (PD) info@maschio.com; tel. 0499289810 www.maschionet.com Segnalata nel 2011 nel settore Energia

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La batteria che fa risparmiare energia

L’azienda FAAM, specializzata nella produzione di sistemi e batterie per accumulo di energia elettrica, ha sviluppato di recente un sistema innovativo brevettato denominato “Energy Saving Battery” (ESB), costituito da una batteria ad alto rendimento e da una stazione di ricarica ad alta efficienza, dotata di una centralina di comunicazione fra le due componenti per adattare la carica allo stato della batteria, riducendo così il consumo di energia e i tempi di ricarica. Il sistema permette di ottenere anche una riduzione del 70% dell’energia reattiva emessa, che corrisponde a minori perdite di energia elettrica in rete e quindi a un meno 30% di costi in elettricità. La centralina ha la funzione di identificare e monitorare lo stato di carica delle batterie per i veicoli a trazione elettrica e di trasmettere le informazioni sullo stato energetico al caricabatterie. Durante l’operazione di ricarica, il caricabatteria assorbe energia dalla rete elettrica e la trasferisce alla batteria convertendo la tensione alternata in ingresso in tensione continua. La stazione di energia ESB è in grado di autoregolare il fattore di ricarica nella fase finale in base all’effettivo stato di efficienza e di funzionamento della batteria, in maniera da ridurre il consumo energetico evitando gli sprechi che si generano continuando a caricare una batteria già carica. Il sistema di identificazione delle batterie sotto carica consente di adattare la ricarica a seconda del rendimento, che varia da una batteria all’altra per i motivi più diversi dovuti al ciclo di utilizzo di ognuna.

Batterie al litio FAAM

ESB è inoltre dotato di un dispositivo di monitoraggio wireless con accesso al web che permette agli utilizzatori di mezzi a

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trazione elettrica di verificare in tempo reale il funzionamento della batteria e il risparmio energetico accumulato. Il sito-piattaforma per questo check on-line è www.doctorfleet. com, un sistema di comunicazione bidirezionale e configurabile da parte dell’utente, che rende possibile il controllo in remoto e la programmazione di ogni caricabatterie.

Il sistema Environtech con batteria e stazione di ricarica

Rispetto a sistemi tradizionali, ESB è in grado di assicurare il 27% di risparmio energetico. È stato testato dall’Università Politecnica delle Marche che ha certificato i seguenti vantaggi rispetto ai produttori concorrenti sul mercato: • risparmio energetico del 12% in termini di energia attiva (kWh) e del 59% in termini di energia re attiva, con una riduzione del tempo di ricarica del 20% rispetto ai concorrenti principali, senza alterare la durata e la capacità di cedere energia della batteria; • minore impiego di kWh per ricarica, per un risparmio di 12.500 kWh durante l’intera vita (di 1.500 cicli) della batteria di un carrello da 16-18 quintali, che corrisponde a 4.500 chilogrammi di mancate emissioni di CO2, (pari a quelle emesse da un’auto euro 4 di 1.900 cc che abbia percorso 30.000 chilometri, o a quelle assorbite da 6 querce in cinque anni). Le batterie FAAM a risparmio energetico possono essere impiegate su tutti i mezzi industriali a trazione elettrica, come carrelli elevatori, piattaforme e ogni altro apparecchio utilizzato nella movimentazione delle merci all’interno degli stabilimenti. La messa in produzione della “Batteria che risparmia energia – Sistema ESB” ha inciso fortemente e positivamente sulla produttività dello stabilimento IBF (Industrial Battery FAAM) sito in Monte Sant’Angelo: dal 2006 a fine 2009 si è registrata una crescita sensibile nel numero dei dipendenti, passando da 93 a 123 con 30 nuove assunzioni. Anche dal punto di vista economico l’introduzione sul mercato di questa innovativa tecnologia di risparmio energetico ha permesso di raggiungere risultati considerevoli. Nel 2009, a fronte di un calo vertiginoso delle vendite del settore batterie industriali, che ha fatto registrare un meno 45% nell’Unione europea (dati Eurobat), con il sistema Energy Saving Battery FAAM ha avuto un in-

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cremento delle vendite di elementi del 10% in più rispetto al 2008. Inoltre nel 2011 ha siglato accordi quadro con le più importanti imprese italiane e straniere in Europa, Russia e Asia (in tutti i settori che abbiano un parco carrelli). L’azienda si propone come partner di progetti di risparmio energetico nei sistemi di accumulo di energia. La parte innovativa del settore le permette di restare sul mercato per fronteggiare la concorrenza principale rappresentata dalle multinazionali. “Il carattere distintivo del sistema Energy Saving Battery sta nel risparmio energetico, ed è la personificazione della filosofia aziendale. L’atout dell’intero percorso è stato l’aver concentrato risorse umane e finanziarie per generare prodotti ad alta efficienza energetica”, sottolinea il presidente Federico Vitali. “Core business di ESB è l’innovazione nella tradizione, perché si tratta di batterie al piombo, una componente che però andrà ad esaurirsi e non ideale per sostenere la diffusione delle citycar elettriche. Per questo da 4 anni investiamo nel settore delle batterie al litio, un prodotto con un grande potenziale di utilizzazione in tanti settori. Abbiamo siglato un accordo con Magneti Marelli e stiamo per aprire uno stabilimento dedicato all’assemblaggio delle celle al litio. In Italia”, continua il presidente di FAAM, “al momento siamo gli unici. I grandi produttori sono in Usa, Cina e Corea”. Per studiare e testare in laboratorio le batterie al litio per auto elettriche hanno una società dedicata ai veicoli elettrici, denominata EVF.

FAAM Spa via Monti 13 – 63026 Monterubbiano (AP) info@faam.com; tel. 07342581 www.faam.it Segnalata nel 2010 nel settore Energia

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Un’azienda USL a energia pulita

“Se abbassi le tapparelle quando fa buio, risparmi energia per cuocere oltre 18 pizze. Se usi il doppio pulsante del wc risparmi acqua per 22 docce all’anno. Tieni l’aria condizionata un grado più alta e ti asciughi i capelli gratis tutto l’anno. Una fotocopiatrice lasciata accesa fuori orario per una settimana consuma energia sufficiente per stampare più di 8.500 copie. Lasciare accesa la luce per una notte consuma tanta energia da preparare 124 caffè”. Sono alcuni degli slogan della campagna informativa che accompagna l’attuazione del Piano di azione per il miglioramento della sostenibilità energetica di ospedali, poliambulatori, uffici dell’azienda USL di Rimini, partito nell’aprile 2010. Il piano, che ha il merito non secondario di autofinanziarsi con i risparmi ottenuti e con l’utilizzo di risorse esterne al bilancio aziendale, comprende interventi per l’incremento dell’efficienza termica (di impianti, involucri, serramenti), di quella elettrica (illuminazione e apparecchiature elettriche) e l’uso di fonti rinnovabili (fotovoltaico e solare termico), nonché l’utilizzo della cogenerazione. Più in dettaglio: per l’efficienza termica è stata prevista L’Ausl di Rimini ha riqualificato energeticamente uffici, ambulatori e ospedali

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la sostituzione delle caldaie con quelle a condensazione e sono stati eseguiti interventi di riqualificazione degli involucri degli edifici, di isolamento delle tubature, installazione di valvole termostatiche; per l’efficienza elettrica si è intervenuto sui motori degli impianti di ventilazione per il ricambio dell’aria, sull’illuminazione (sono state sostituite le plafoniere esterne con lampade a vapori di sodio ad alta pressione e riduttori di flusso), sui gruppi frigoriferi per l’aria condizionata (sostituiti con modelli più efficienti), e sono stati previsti impianti di cogenerazione negli ospedali di Rimini, Riccione e Cattolica, mentre un software dedicato provvede di notte allo spegnimento dei pc non abilitati al funzionamento. Quanto alle fonti rinnovabili, tramite un bando che prevedeva la cessione degli introiti del conto energia si sono installati circa 140 kW di fotovoltaico a costo zero; mentre il solare termico a metà 2011 era ancora in stand-by in attesa di chiarimenti circa il permanere del credito d’imposta del 55%. Il risparmio idrico è stato raggiunto con il montaggio di cassette di scarico dei wc a doppio pulsante e miglioramenti di gestione sulle torri evaporative. In futuro progettano di realizzare una rete separata per i wc per evitare l’uso di acqua potabile negli scarichi. Per la raccolta dei rifiuti speciali sono stati adottati contenitori riciclabili, riducendone la produzione per 200 tonnellate anno, ed è stata introdotta la raccolta differenziata di carta, plastica e vetro. Nei bandi di gara sono stati applicati i principi del green public procurement (acquisti verdi). In relazione all’appalto per la manutenzione, la metodologia dell’offerta economicamente più conveniente si è accompagnata all’inserimento di parametri sull’efficienza energetica. Il bilanciamento dei punteggi (10 punti su 50 erano riferiti ad aspetti energetici) ha consentito di ottenere, insieme ai ribassi economici, anche altri servizi, come la certificazione energetica degli edifici. La ditta aggiudicataria ha inoltre offerto l’installazione gratuita di sensori di presenza nei servizi igienici e migliorie nel monitoraggio dei consumi. Infine, i parametri energetici nel bando di gara per la costruzione dell’asilo aziendale sono stati tarati su un edificio di classe A. Il piano è stato integrato da campagne di comunicazione e formazione, coinvolgendo i 4.200 dipendenti. “La rispo-

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sta è stata ottima: hanno inviato oltre 700 email con suggerimenti e commenti”, sottolinea l’ingegner Paolo Bianco, ideatore e coordinatore del piano. È stato elaborato un sistema di calcolo dell’impronta aziendale del carbonio, la carbon footprint, che a fine luglio 2011 risultava essere di 15.500 tonnellate di CO2, pari a 6.400 tep. A un anno dall’avvio dell’implementazione del piano, il consumo idrico era già diminuito di 80.000 metri cubi, quello di elettricità di 845.000 kWh, quello di gas 245.000 metri cubi, pari a mancate emissioni di 1.028 tonnellate di CO2. A regime si prevede una riduzione del 7% dei consumi idrici storici, del 27% di quelli elettrici, del 29% di gas metano, per complessivi 1.710 tep di energia primaria (ovvero meno 26% del consumo storico), con una diminuzione di 4.350 tonnellate di emissioni di CO2 (meno 29%). In un settore in forte crisi, quale è quello dell’edilizia, il piano ha permesso di coinvolgere nei lavori oltre 30 aziende locali con un investimento complessivo di 6,5 milioni di euro. Come già accennato, il piano si autofinanzia con i risparmi che permette di ottenere e con il ricorso che è stato fatto a strumenti innovativi nella redazione dei bandi e a tutte le detrazioni fiscali e agli incentivi disponibili, dal credito d’imposta del 55% a quello del 20% sui motori e gli inverter (oggi cancellato), dalla defiscalizzazione del gas per residenze sanitarie e cucine (mai utilizzato in precedenza), all’Iva ridotta al 10% sull’energia elettrica (per il medesimo target), alla vendita di certificati bianchi. Il milione e mezzo di euro extra bilancio aziendale così ottenuto (compreso nei 6,5 investititi) si va ad aggiungere agli 1,5 milioni di euro guadagnati annualmente con i risparmi conseguiti: in altre parole, il costo del piano si ammortizza nel giro di quattro anni, dopo i quali l’Ausl di Rimini potrà disporre di risorse liberate dai risparmi, da impiegare nella sanità.

Azienda Usl di Rimini via Settembrini 2 – 47900 Rimini paolo.bianco@auslrn.net www.ausl.rn.it/energia Segnalata nel 2010 nel settore Energia

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Stampa di meno, risparmia di più

Il progetto “Lexmark@work” nasce in occasione del trasferimento degli uffici dell’azienda, avvenuto nel gennaio 2010, da Segrate al Centro Leoni a Milano. La sede è stata pensata e progettata per garantire massima funzionalità a chi ci lavora tutti i giorni, e anche per comunicare ai clienti-visitatori la filosofia dell’azienda, che è improntata ai temi della responsabilità sociale d’impresa e ha uno dei punti di riferimento nell’approccio: print less, save more (stampa di meno, risparmia di più), apparentemente contraddittorio rispetto al campo di attività industriale e commerciale di Lexmark. Alla base della realizzazione dei nuovi uffici c’è la risposta a una doppia esigenza: da un lato favorire lo scambio di informazioni e la generazione di idee, dall’altro essere ecosostenibili. Le suggestive pareti, per esempio, sono fatte in vetro riciclato e gli arredi in legno proveniente da foreste certificate Fsc. L’illuminazione è gestita da un sistema basato sulla rilevazione della presenza delle persone, per cui l’accensione e lo spegnimento delle luci negli uffici avvengono in automatico. La sala riunioni e la sala demo, in cui sono esposti i prodotti e illustrati i servizi forniti da Lexmark, sono dotate di un sistema di modulazione dell’intensità della luce (il dimmer). La definizione, la scansione e il design degli spazi interni non rispondono ai modelli progettuali tradizionali, bensì nascono dall’ambizione di dotare questi spazi di “un’anima” e di una identità propri. Il percorso “Lexmark@ work” parte dalla reception, denominata “Terra”, dove i visitatori sono accolti da un suggestivo globo terrestre sul soffitto. Da lì si accede a tre “cellule”, ovvero a centri di stampa chiamati “Foresta, Oasi e Ghiacciaio”, progettati all’insegna dell’attenzione all’ambiente, alla sicurezza e alla privacy, alla produttività del lavoro e all’efficienza energetica. Il percorso, in cui si descrive a tutto tondo la filosofia e l’approccio dell’azienda a questi temi, si conclude nella sala demo. In questo insolito ricorso alla simbologia per definire gli spazi di un ufficio, la cellula rappresenta l’organismo vivente; l’accoglienza, corrisponde alla terra, che contraddistingue la reception; il risparmio è richiamato dall’ac-

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La reception “Terra” negli uffici Lexmark a Milano

qua e dal ghiacciaio, che ospitano l’amministrazione; l’ambiente è la foresta, che corrisponde agli uffici della direzione; la sicurezza e la produttività sono espresse dall’oasi, lo spazio che ospita il settore marketing & vendite; l’approdo al deserto coincide con la fine del percorso nell’area demo. La disponibilità del wi-fi ovunque, la modularità delle sale che possono trasformarsi in anfiteatri, la presenza di una cucina a disposizione dei dipendenti, e di laboratori per tenervi corsi di formazione tecnica, accrescono la funzionalità e la gradevolezza degli ambienti di lavoro, predisposti per 55 sedute non vincolate rigidamente a specifici dipendenti. Il percorso di visita comunica ai clienti il sistema di controllo delle risorse di stampa in funzione degli obiettivi di resa economica-aziendale, di sicurezza (di privacy) e di salvaguardia ambientale. In altre parole, con Lexmark@ work, l’azienda ha applicato ai propri uffici l’attenzione per l’ambiente e l’ottimizzazione della produttività del lavoro a cui ispira le proprie attività commerciali e i servizi che offre ai clienti. I risultati, misurabili concretamente, non si sono fatti attendere. Da un anno all’altro Lexmark@work ha consentito di: • ridurre il numero dei dispositivi di stampa da 67 a 9, da un rapporto utenti/dispositivo di 1,04, con 64 modelli differenti, a quello odierno di 5,50 con 6 modelli, il che ha generato una riduzione dei costi diretti del 63%; • ridurre del 74% l’elettricità consumata; • ridurre il consumo di cartucce per stampanti (40 in meno su 60 consumate precedentemente) pari a una diminuzione del costo del 77%; • ridurre del 20% la carta utilizzata, eliminando 114 risme di carta: attraverso l’utilizzo del dispositivo di stampa fronte/retro, da 285.204 pagine

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stampate all’anno si è passati a 228.163, ottenendo una riduzione sul costo della carta del 39%. Tutto ciò si è tradotto, oltre che in benefici economico-aziendali, anche in una serie di benefici ambientali che hanno riguardato la diminuzione del consumo di prodotti a forte impatto (rispetto alla materia prima o allo smaltimento post consumo), quali: • riduzione delle emissioni di CO2 grazie a meno 74% di consumi energetici; • 0,62 tonnellate di mancate emissioni di CO2 grazie alla diminuzione del 20% del consumo di carta; • minor consumo di cartucce per stampanti. I risultati ottenuti in termini di incremento della produttività, riduzione della bolletta energetica e dei costi aziendali per l’acquisto di materiale, e quelli raggiunti in relazione al contenimento dell’impatto ambientale, non dipendono solo dagli strumenti di gestione e di controllo di sistema introdotti. Grazie all’applicazione, in tutte le sedi Lexmark del mondo, di Lexmark@ work e dell’approccio print less, save more, sono gli stessi dipendenti che si sentono motivati a stampare in maniera consapevole. Trasferiti sul piano dell’organizzazione aziendale, i prodotti e i sistemi di gestione dei processi lavorativi Lexmark si traducono, per i clienti, nella riduzione dei costi di impresa e in un aumento di riservatezza nella gestione dei documenti. Inoltre la maggior parte dei problemi a carico delle periferiche è risolta da remoto attraverso un sistema di monitoraggio elettronico, che, per esempio, permette di prevenire l’esaurimento del toner, facendo intervenire il servizio di sostituzione delle cartucce just in time.

Lexmark International Srl Centro Leoni, via Giovanni Spadolini 5 – 20141 Milano paola.faragasso@lexmark.it; tel. 02703951 www.lexmark.it Segnalata nel 2010 nel settore Energia

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Che cervello ha quell’edificio

Display del sistema Energyplant

Entropiaforinnovation Srl produce un dispositivo elettronico salvaenergia, denominato Energyplant©, che utilizza la tecnologia dell’intelligenza artificiale. È stato ideato per ottimizzare la gestione dei flussi di energia nei fabbricati al fine di eliminare gli sprechi. Una rete di sensori, che vengono installati dopo accurati sopralluoghi per individuare i posizionamenti corretti, rileva i dati relativi al microclima interno. Attraverso un collegamento wireless, Energyplant© trasferisce questi dati a un server centrale dotato di un processore intelligente che li analizza confrontandoli con quelli sul consumo di energia in atto per individuare le fonti di spreco, e indica poi le soluzioni correttive da adottare. “Si punta a contenere i consumi sia da fonti non rinnovabili, per ridurre la CO2 e le altre emissioni gassose legate all’uso dei fossili, sia da fonti rinnovabili, per diminuire il fabbisogno e aumentarne la resa”, precisa Alessandro Ferlosio, socio fondatore dell’azienda. Il sistema è tarato sui principali standard e normative internazionali. Da notare che non viene suggerita l’esecuzione di interventi infrastrutturali. Già così i benefici energetici, economici e ambientali sono tutt’altro che trascurabili: “A seconda della tipologia dei fabbricati, Energyplant©, incrementando il grado di efficienza energetica, riduce le emissioni di CO2 e i costi della bolletta energetica dal 12 al 27%”, afferma Ferlosio. Consideriamo un esempio concreto. “La Regione Lazio dichiarava per il

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2009 una spesa sanitaria annuale di 11 miliardi di euro, di cui circa uno (880 milioni) per l’energia, evidenziando uno spreco alla voce ricoveri ospedalieri pari a oltre il 25% della spesa, che corrisponde a circa 220-230 milioni. Se ci desse l’incarico di efficientare il sistema sanitario regionale, le costerebbe 50-70 milioni di euro. In cambio, risparmierebbe i 220-230 milioni di euro che butta via in sprechi energetici, recuperando il costo dell’investimento in quattro mesi”. Ma quali sono gli interventi di risparmio ad alto rendimento suggeriti da Energyplant©? Gli esempi più banali, rispondenti agli sprechi più diffusi, riguardano lo spegnimento delle lampadine e dei macchinari che restano inutilmente accesi, la regolazione del riscaldamento o del condizionamento e la chiusura di finestre che disperdono energia, una forma di risparmio energetico che non diminuisce il comfort, anzi, lo aumenta: la finestra aperta d’inverno segnala che la temperatura all’interno è troppo elevata, quindi non confortevole. Il vantaggio di questo approccio è anche economico, evidenzia Ferlosio: “L’ammortamento di Energyplant© avviene mediamente in 2-3 anni, molto inferiore a quello per interventi infrastrutturali che richiedono investimenti iniziali più onerosi”, spiega. “Con il risparmio che ottengo sui consumi, alla fine dell’anno ho messo da parte un volume di denaro che potrei successivamente investire in doppi vetri e cappotti termici. Ovvero: prima risparmio, poi faccio gli interventi infrastrutturali. Così ho denaro immediato, riduzione immediata dell’inquinamento e creo occupazione”, osserva. Da una ricerca della Provincia di Roma sul potenziale della green economy di generare lavoro è risultato infatti che su ogni milione di euro investito in efficienza energetica si producono 13 posti di lavoro diretto fissi, più 12 nell’indotto. L’elemento di maggiore innovazione di Energyplant© sta nell’uso dell’intelligenza artificiale che non esclude l’intervento dell’uomo, bensì lo supporta. La logica dell’Hci (Human Computer Interaction, l’interazione uomocomputer) è abbinata a quella del Dss (Decision Support System, il sistema di supporto alla decisione), che aumenta l’efficacia delle soluzioni cognitive grazie anche al maggior numero di alternative confrontabili e di informazioni da processare. Energyplant© non è un sistema di domotica, sottolinea Ferlosio: ti dice cosa devi fare, non lo fa per te. Se, per esempio, la luce resta accesa inutilmente, ti dice di spegnerla, non la spegne necessariamente in automatico. Un’impostazione che consente di risparmiare sui costi, che risulterebbero molto più elevati se le contromisure da prendere fossero meccanizzate; mentre il sistema sarebbe più povero di offerta di soluzioni. “La domotica è nata per automatizzare a fine di comodità, ma non è intelligente. Le porte automa-

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tiche si aprono da sole non solo se una persona vuole entrare, ma anche se qualcuno sta chiacchierando nei pressi. In un reparto d’ospedale da chiudere temporaneamente”, esemplifica Ferlosio, “la domotica spegnerebbe luci e riscaldamento, mentre non conviene spegnere del tutto per poi ripartire da zero. Energyplant© invece può essere impostato sull’opzione di gestione ottimale tenuto conto della situazione specifica. Il display segnala, l’uomo fa: il nostro approccio implica la decisione di modificare un comportamento”. Col rischio di dover stare con gli occhi perennemente incollati sul display? “No, Energyplant© è dotato di un sistema multicanale di comunicazione che dialoga con qualsiasi dispositivo di connessione elettronica, dal wi-fi, ai tablet, al telefono cellulare”, risponde Ferlosio. “Al raggiungimento della temperatura ideale, per esempio, si può programmare l’invio di un sms che consiglia di spegnere l’impianto. Rispetto al tradizionale timer, Energyplant© non è limitato da una programmazione oraria rigida, incurante di eventuali cambiamenti meteo”. A metà 2011 di Energyplant© ne erano stati installati una quindicina in diversi settori, da quello industriale, alla sanità (in una casa di cura), al residenziale, a centri commerciali.

Entropiaforinnovation Srl via Silvestri 226 – 00164 Roma entropia@entropiaforinnovation.com www.entropiaforinnovation.com Segnalata nel 2011 nel settore Energia

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Pentole e padelle intelligenti

Ripercorrere la storia del marchio Ballarini equivale a ricostruire l’evoluzione di molti articoli per la casa e per cucinare. E chissà se il fondatore del marchio, Paolo Ballarini, avrebbe mai immaginato di vedere il suo piccolo laboratorio artigianale di utensili in metallo, aperto nel 1889, trasformarsi nell’azienda odierna che conta 250 dipendenti e produce dodici milioni di pezzi all’anno esportati in tutto il mondo. Fu in realtà Angelo, il figlio di Paolo, a dare avvio, ai primi del ’900, alla produzione di utensili per la casa: caffettiere napoletane, tegami, grattugie, scaldapiedi, scaldaletti, vasche da bagno. Diventati abili artigiani della lavorazione del metallo, i Ballarini intuirono il potenziale di sviluppo dei casalinghi e la necessità, quindi, di passare a un livello di produzione industriale. Superato il problematico periodo della prima guerra mondiale, nel ’24 iniziò la costruzione di una nuova sede e vennero messi in produzione nuovi e innovativi utensili in metallo smaltato. Fu introdotta anche la produzione del pentolame in rame. Nel 1931 il catalogo Ballarini offriva oltre 2.000 referenze tra stoviglie, utensili e pentolame. Alla ripresa dell’attività nel secondo dopoguerra si investì ancora nella produzione di articoli in alluminio e lamierino lucido verniciato, dagli stampi per dolci, alle boule per l’acqua calda, alle caffettiere, ai bidoni a spalla per il trasporto del latte. Negli anni ’60 le vecchie pentole in allumino, per lunghi anni protagoniste numero uno in cucina, lasciarono il campo alle pentole colorate rivestite in Teflon. A quel periodo risale la scelta strategica di concentrare la produzione solo sulle pentole antiaderenti. Nel 1967, dopo un periodo di studio, la Ballarini produsse il suo primo esemplare di pentola “teflonata”, tuttora esposto nel museo storico dell’azienda. Nel 1973 fu presa un’altra decisione cruciale per lo sviluppo dell’azienda: realizzare un impianto di applicazione del rivestimento antiaderente interamente progettato all’interno dell’azienda. Dalla specifica richiesta dei mercati esteri derivò poi la spinta per un ulteriore investimento tecnologico,

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che completava il ciclo produttivo: nel 1980 fu finanziato l’acquisto di un impianto di verniciatura per la superficie esterna delle pentole, che dava la possibilità di realizzare nuovi colori, e fu siglato l’accordo di licenza con la Du Pont per la fornitura del Teflon. A questo punto la Ballarini era in grado di offrire prodotti differenziati per spessore del materiale, colore, tipo di rivestimento e fascia di prezzo. Nel 1996, considerate le richieste dei vari mercati, si è aggiunto un nuovo impianto per la produzione di smalti vetrosi, rivestimenti per esterni delle pentole molto duri e resistenti nel tempo, un tipo di prodotto particolarmente richiesto in Germania e Francia. Dagli anni ’90 in poi Ballarini ha innovato a più riprese il catalogo delle pentole antiaderenti, fino all’innovativo dispositivo termico brevettato “Thermopoint”, che consente un sensibile risparmio energetico e l’allungamento della vita dell’utensile.

Padella della linea Greenline

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Oggi la Ballarini, certificata UNI EN ISO 14001, è presente in tutti i cinque continenti: in Italia (che rappresenta il 26% del suo mercato), in Germania (30% del mercato), in altri paesi dell’Unione europea (25%), negli Usa (5%), in Medio Oriente (2%), in altri paesi (12%). Nell’edizione 2009 del Premio Sviluppo Sostenibile ha ottenuto la segnalazione nella sezione “Efficienza energetica” per la produzione di “Green Home Ballarini”, una collezione di utensili da cottura realizzati in alluminio riciclato dotati del succitato dispositivo salvaenergia Thermopoint, che consiste in una cella termosensibile posta alla base del manico per garantire una cottura alla temperatura desiderata evitando sprechi di energia. Utilizzando un semplice codice informativo rosso-verde, Thermopoint col rosso segnala che la pentola è calda e non occorre alzare la fiamma, e col verde, a cottura ultimata, che la pentola si è raffreddata e può essere lavata sotto l’acqua fredda senza esporre il tegame al rischio di usura da schock termico. Sempre al fine di contenere l’impatto ambientale, in fase di fabbricazione la colorazione esterna delle pentole viene effettuata con un esclusivo sistema di verniciatura “a secco” che non emette sostanze volatili in atmosfera. L’impegno per fabbricare prodotti a basso impatto ambientale è esteso all’imbal-

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laggio: il packaging è in carta riciclata e plastica biodegradabile al 100%. Non solo: la vendita di ogni prodotto della linea “Green Home” contribuisce alla riforestazione di 5 metri quadrati di territorio del Costa Rica. Questa linea di pentolame viene distribuita attraverso le catene della grande distribuzione per le campagne di fidelizzazione dei clienti. L’ultima nata in casa Ballarini è la linea “Greenline”, l’evoluzione di “Green Home”, dotata di dispositivo Thermopoint e di un’innovativa etichetta ambientale, una sorta di carta d’identità ecologica del prodotto che garantisce all’acquirente che l’alluminio è riciclato al 100% (con riduzione del 75% delle emissioni di CO2 rispetto alla produzione da materia vergine), la plastica usata nell’imballaggio è biodegradabile al 100% e la carta riciclata al 100%, e la colorazione esterna è fatta senza emissione di sostanze in atmosfera; e che è prevista la compensazione delle emissioni di CO2 tramite 5 metri quadrati di riforestazione in riserve naturali in paesi in via di sviluppo.

L’etichetta ambientale

Ballarini Paolo & Figli via Risorgimento 3 – 46017 Rivarolo Mantovano (MN) alessia.gorni@ballarini.it; tel. 03769901 www.ballarini.it Segnalata nel 2009 nel settore Efficienza energetica

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Illuminazione pubblica a basso consumo

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Onde convogliate salvaenergia

L’avvio della storia professionale del fondatore di Umpi Elettronica, Piero Cecchini, oggi neosindaco di Cattolica, a conferma di una personalità straordinariamente versatile, non ha niente a che fare con gli impianti di illuminazione pubblica e l’efficienza energetica. Cecchini, infatti, era un albergatore di Cattolica che all’inizio degli anni ’80, racconta oggi, si trovò a dover far fronte all’obbligo imposto da una delibera regionale di installare dei tiranti di soccorso nei bagni dell’hotel. “Di fronte all’incubo di dover abbattere e ripristinare pareti”, ricorda, “ebbi l’idea di utilizzare la linea elettrica esistente per inviare segnali digitali utilizzando la tecnica di trasmissione a onde convogliate. E salvando così i muri dell’albergo”.

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Minos system

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Proprio da questa intuizione ha avuto origine il sistema Minos System, dedicato alla telegestione e al telecontrollo dell’illuminazione esterna, pubblica in particolare, prodotto di punta di Umpi Elettronica, azienda specializzata in progettazione e realizzazione di sistemi di telegestione per impianti di illuminazione esterna ad alta efficienza energetica basati sulla trasmissione di dati su linea elettrica (onde convogliate) e in building automation (commercializzata con EasyCon e SimpleLife) finalizzato all’efficienza energetica e al controllo intelligente degli edifici. Rispetto a un impianto convenzionale, il risparmio che assicura Minos System può arrivare fino al 45% delle spese energetiche. “Considerando che la voce illuminazione è tra le più onerose per i bilanci comunali, questo sistema può rivelarsi veramente un toccasana in tempi di restrizioni per i budget pubblici”, osserva il dottor Luca Cecchini, figlio del fondatore. “La diffusione di Minos System su scala nazionale, considerando i punti luce esistenti nel paese, porterebbe a un risparmio energetico di 2.474 GWh corrispondenti al mancato consumo di 544.314 tep (tonnellate equivalenti petrolio) all’anno, con relativa diminuzione delle emissioni di CO2 e alleggerimento della bolletta energetica dei Comuni”, sostiene Luca Cecchini.

Umpi Elettronica è presente in tutto il mondo

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Ma come funziona Minos System? Innanzi tutto va detto che può essere applicato anche agli impianti di illuminazione pubblica esistenti, il che riduce di molto i costi di installazione: i tempi di ammortamento dell’investimento sono valutati mediamente nell’ordine di 4-7 anni a seconda della tipologia dell’impianto. Avvenuta l’installazione, da qualsiasi computer collegato al sistema è possibile gestire e controllare a distanza l’impianto, già esistente o di nuova progettazione, e grazie all’impiego della tecnica di trasmissione a onde convogliate si possono programmare l’accensione, lo spegnimento, la riduzione del flusso luminoso di ogni singolo punto luce, e monitorarne il funzionamento, riducendo anche i costi di manutenzione. Di più: il lampione e la rete di illuminazione si trasformano in un’infrastruttura intelligente in grado di integrare e gestire a distanza altri servizi di pubblica utilità e sicurezza senza dover aggiungere cablaggi dedicati. Videosorveglianza, infomobilità, internet wi-fi, ricarica batterie per veicoli elettrici, sono solo alcuni dei servizi che ogni singolo lampione può offrire, in aggiunta all’illuminazione stradale. Il sistema è brevettato. Insieme ai benefici economici derivanti dalla riduzione dei costi dell’illuminazione pubblica, questo sistema ha ricadute positive anche in campo occupazionale: “Da punto di vista della creazione di

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Illuminazione pubblica a basso consumo

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nuovi posti di lavoro, agisce da stimolo secondo i meccanismi classici della green economy”, osserva Luca Cecchini. “In più, dal punto di vista della riqualificazione professionale, è un’occasione per fare formazione al personale interno o delle aziende esterne a cui i Comuni affidano la gestione e la manutenzione dell’illuminazione pubblica”. I corsi di formazione ad hoc vengono tenuti da Umpi. Quanto all’azienda stessa, il 70% dei suoi occupati attuali sono ingegneri in varie specializzazioni. Nel centro di ricerca Umpi, dove lavorano in quindici, tutti ingegneri, l’età media supera di poco i 30 anni. Oggi Minos System è in uso in decine di città sparse in quindici paesi di tutto il mondo. In Europa lo troviamo in Italia, Spagna, Germania, Austria, Francia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Slovacchia, Portogallo; nel mondo, in Arabia Saudita, Brasile, Argentina, Messico, Malesia, Venezuela. I punti luce che controlla sono oltre 300.000, in diversi settori: dalle già ricordate strade gestite dalle amministrazioni pubbliche, alle autostrade, parcheggi, gallerie, aeroporti, stazioni ferroviarie. Umpi si fregia anche del premio “Save the sky” (Salvate il cielo) che è stato assegnato a Minos System dall’associazione di astrofili “Cielo Buio” per la riqualificazione dell’impianto di illuminazione pubblica a Faraggera d’Adda. Tra i prodotti innovativi di nuova generazione, il già citato sistema di building automation SimpleLife, l’evoluzione completamente powerline ad alta velocità (basata anch’essa sulla trasmissione a onde convogliate) del prodotto EasyCon. SimpleLife aiuta a gestire gli spazi interni ed esterni dell’edificio: controllo, comfort, sicurezza, analisi dei consumi, risparmio energetico sono compresi in un’unica piattaforma intelligente. Inoltre integra servizi di videosorveglianza, digital signage, Internet, VOIP (Voice over Internet Protocol) senza bisogno di nuovi cablaggi. E consente di raggiungere un alto grado di efficienza energetica degli edifici per abbattere i consumi. Dal 2003 Umpi Elettronica è certificata UNI EN ISO 9001.

Umpi Elettronica Srl via Respighi, 15 – 47841 Cattolica (RN) umpi@umpi.it; tel. 0541833160 www.umpi.it; www.minos-system.com Segnalata nel 2009 nel settore Efficienza energetica

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Dibawatt il menowatt

Che l’energia più conveniente sia quella non consumata è una consapevolezza ormai acquisita: il negawatt, ossia il kWh non consumato prodotto dall’uso razionale dell’energia, anche se non “spettacolare” come gli impianti che impiegano rinnovabili, è la forma di energia più economica e più ecologica. A questa evidenza si richiama il nome della consociata del Gruppo Sorgenia che si occupa dello sviluppo di soluzioni di efficienza energetica, ovvero Sorgenia Menowatt. In particolare, da cinque anni Sorgenia Menowatt produce e commercializza il Dibawatt, un innovativo dispositivo elettronico che aumenta l’efficienza degli impianti di illuminazione pubblica esterna in strade, parcheggi, aree pedonali, gallerie, zone residenziali. Si tratta di un alimentatore elettronico, brevettato e certificato IMQ, per lampade a scarica di gas sodio alta pressione (SAP). Viene installato fra la lampada e la rete elettrica al posto del tradizionale alimentatore ferromagnetico presente all’interno delle singole armature, che è fonte di dispersione di energia e di “stress energetico” per le lampade. Tramite componenti elettronici testati per funzionare in condizioni ambientali estreme Dibawatt ingloba le funzioni svolte da diversi dispositivi presenti nei sistemi convenzionali (come accenditore, reattore e condensatore). Fornisce in maniera costante la potenza necessaria al funzionamento della singola lampada, in regime sia di potenza normale sia ridotta (funzione dimmer). Solitamente è durante le ore notturne che Dibawatt viene programmato per ridurre la potenza di lavoro della lampada, o attraverso un timer interno automatico, o con un comando di attivazione inviato da un dispositivo esterno. All’orario stabilito dal gestore dell’impianto, Dibawatt provvede quindi alla riduzione della potenza assorbita dalle lampade, mantenendo però stabilizzata la potenza di alimentazione. A questo proposito va ricordato che, a partire dal 2012, la Direttiva europea 2005/32/EC impone ai paesi membri l’installazione di alimentatori dimmerabili per gli impianti di illuminazione pubblica. Sulla base di quanto dichiarano i produttori, le diverse performance di Dibawatt possono essere così sintetizzate:

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Illuminazione pubblica a basso consumo

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• all’accensione aumenta gradatamente la potenza assorbita dalla lampada, che stabilizza poi durante il funzionamento. In questo modo, evita shock da sovracorrente all’accensione e da sbalzi di tensione durante il funzionamento. Elimina inoltre le perdite di potenza tipiche dei sistemi ferromagnetici; • la funzione dimmer permette di ridurre la potenza assorbita negli orari stabiliti; • in caso di numerose lampade alimentate da un’unica linea molto lunga, Dibawatt le alimenta tutte alla stessa potenza. In questo modo evita sia la sovralimentazione delle prime (che pertanto durano più a lungo), sia la sottoalimentazione delle ultime (che migliorano la resa luminosa). In questo modo Dibawatt assicura: • la riduzione immediata di almeno il 30% dei consumi elettrici complessivi grazie alla minore potenza assorbita rispetto ai tradizionali sistemi di alimentazione; • la riduzione dei costi fissi per la potenza impegnata (ovvero del “picco” massimo di kW toccato nel corso dell’anno); • il raddoppio della durata delle lampade, grazie al minore stress a cui sono sottoposte nell’innesco in quanto Dibawatt fornisce gradualmente potenza; così dimezza anche i costi di manutenzione per la sostituzione delle lampade fuori uso. Infine, Dibawatt: • azzera l’energia reattiva, ovvero (in estrema sintesi) la dispersione di corrente; • mantiene stabile la potenza assorbita dalla lampada indipendentemente dal variare della tensione di alimentazione dell’impianto; • può interfacciarsi con un eventuale sistema di controllo esterno; • elimina i fenomeni di sfarfallio della luce; • riduce le differenze di colore e l’effetto stroboscopico, garantendo uniformità di flusso luminoso per tutte le lampade della stessa linea.

Strada illuminata con Dibawatt

A oggi questo dispositivo è stato installato negli impianti di oltre 300 comuni italiani, e ha portato complessivamente ai seguenti risultati in termini ambientali ed energetici: 86.114.308

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Alimentatore elettronico per lampade SAP

kWh di elettricità risparmiate; 18.084 tep (tonnellate equivalenti di petrolio) risparmiate; 52.529 tonnellate di anidride carbonica non emesse. Ai Comuni che lo adottano Sorgenia propone il servizio in leasing strumentale a tasso zero: le rate si ripagano con il risparmio ottenuto sulla bolletta, di conseguenza per il Comune si tratta di un intervento che non comporta la necessità di alcun finanziamento con il proprio bilancio. Altri soggetti a cui si rivolge Sorgenia Menowatt, in aggiunta alle amministrazioni pubbliche, sono le aziende che gestiscono servizi di trasporto come autostrade, aeroporti e ferrovie, nonché imprese private e centri commerciali, alle prese con l’illuminazione di vaste aree esterne. I dipendenti di Sorgenia Menowatt sono 14 (erano 10 nel 2008). La produzione del Dibawatt avviene interamente negli stabilimenti di Grottammare (la cittadina, sia ricordato tra parentesi, che vanta il record del bilancio comunale partecipativo più longevo d’Europa). Per l’effettuazione dei lavori Sorgenia Menowatt si serve di aziende appaltatrici locali favorendo in questo modo la crescita di occupazione nel territorio di riferimento. È in fase di ingegnerizzazione una versione di Dibawatt compatibile per le lampade a bruciatore ceramico che danno una luce più bianca rispetto a quella che vira al giallo delle lampade al sodio.

Sorgenia Menowatt Srl via Ischia 169 – 63013 Grottammare (AP) info@sorgeniamenowatt.it; tel. 0735595131 www.sorgeniamenowatt.it Segnalata nel 2009 nel settore Efficienza energetica

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Quella comunità è… una foglia

Della ricerca applicata il Gruppo Loccioni ha fatto la propria cifra, come testimonia il progetto Leaf Community (comunità foglia), che prefigura un mondo ambientalmente sostenibile dove si vive in case a zero emissioni, si portano i bambini in scuole a energia solare, ci si muove con mezzi elettrici, si lavora in edifici alimentati dalle fonti rinnovabili, nel comfort e nella modernità. Il nome è stato scelto per esprimere il concetto-anima del progetto: al pari di una foglia, anche la Leaf Community (Life Energy and Future) ricava l’energia di cui ha bisogno trasformando l’energia del sole, dell’acqua, dell’aria, della terra. L’altro aspetto rilevante è l’attività di monitoraggio sistematico e di elaborazione scientifica dei dati rilevati. Con il Leaf Meter, il misuratore di sostenibilità, la Leaf Community è testimonial dell’eccellenza italiana nella Collezione Farnesina Design in esposizione permanente al palazzo del Ministero degli Esteri, e lo è stata alle Olimpiadi di Vancouver presso Casa Azzurri, ai Mondiali di calcio in Sudafrica a Casa Italia, e a Istanbul per l’Anno della cultura. Inoltre i dati del Leaf Meter sono uno dei due casi al mondo studiati dalla Iea (International Energy Agency) per definire le caratteristiche dei Net Zero Energy Building, gli edifici a consumo energetico nullo. Al centro della Leaf Community si trova la Leaf House, un edificio tecnologicamente innovativo, costruito in maniera da non impattare sull’ambiente, carbon-free, in cui l’energia è ottenuta da fonti rinnovabili in combinazione con pompe geotermiche per sfruttare l’energia geotermica a bassa entalpia, e pannelli solari termici e fotovoltaici. La casa è divisa in sei appartamenti attrezzati con elettrodomestici ad alta efficienza energetica, realizzati appositamente dai grandi gruppi internazionali del settore. Al momento ci abitano otto collaboratori del Gruppo Loccioni, i cui consumi termici ed elettrici sono monitorati attraverso 1.200 sensori che forniscono informazioni sulla qualità dell’aria interna, il livello di umidità e la temperatura. I dati raccolti vengono “storicizzati” e analizzati da una centrale tecnologica (“il cervello” della Leaf House) progettata dal Gruppo Loccioni, che

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Leaf Community del Gruppo Loccioni

permette di gestire in maniera efficiente l’intero sistema: la pompa geotermica utilizzata per riscaldare gli ambienti d’inverno e raffrescarli d’estate, i pannelli fotovoltaici per produrre elettricità e quelli termici per produrre acqua calda. Le acque piovane sono recuperate e utilizzate per l’irrigazione dei giardini e per gli usi sanitari nel wc. All’interno della Leaf Community è in funzione anche una mini centrale idroelettrica, la Leaf Water, che sfrutta un salto idrico di un metro e produce 188 MWh/anno di energia, pari al fabbisogno medio di oltre 60 famiglie, con un risparmio di circa 100 tonnellate/anno di CO2. Questa centrale copre un terzo del fabbisogno elettrico delle sedi industriali del Gruppo Loccioni, il Leaf Working, che è attrezzato con pompe di calore alimentate da acqua di falda e da aria-acqua, sistemi di illuminazione intelligente per sfruttare la luce naturale (dimezzando il ricorso alla luce artificiale), Building Automation per un uso razionale dell’energia. La produzione di elettricità da fonte rinnovabile avviene con il Leaf Roof installato sui tetti delle due sedi. Risultato: uffici completamente autosostenibili. La scuola elementare della community (Leaf Education) si alimenta con un impianto fotovoltaico installato sul tetto, ed è stata ricavata in un edifico riqualificato energeticamente, che trasmette, fin da piccoli, l’importanza di vivere in un ambiente sostenibile. Il Leaf Lab sarà invece il luogo dove il Gruppo Loccioni svilupperà ulteriormente un modo nuovo di essere impresa, all’insegna del risparmio ener-

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getico, della compatibilità ambientale e dell’innovazione. Un laboratorio in cui collaboratori del gruppo, studenti, clienti e fornitori possano progettare, dando vita a spin-off e start-up orientati alla ricerca applicata in campo energetico. Sarà il primo edificio basato sui flussi: di persone, condizioni ambientali, dati. Nella ex casa colonica, completamente ristrutturata e riqualificata energeticamente, la Leaf Farm, è in funzione il centro di controllo di tutta la community, con acquisizione, analisi e visualizzazione dati. Intenso è anche il lavoro di sensibilizzazione verso istituzioni e territorio: sono stati invitati tutti i consigli comunali della Vallesina (campagna “Adotta il Comune”) e realizzato il Leaf Park, il parco solare educativo.

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Leaf Meter all’interno della Leaf Farm

Con la Leaf House si evita l’emissione di 34 tonnellate all’anno di CO2, con la mini centrale idroelettrica quella di oltre 100 tonnellate, con il revamping energetico (la riqualificazione energetica) degli edifici sede del Gruppo Loccioni se ne evitano altre 51 tonnellate e con l’impianto fotovoltaico installato sulla scuola 24 tonnellate. Dal punto di vista economico, la sostituzione delle caldaie tradizionali per il riscaldamento con caldaie a condensazione ha consentito di risparmiare 7.000 euro. I dati monitorati in un anno nella Leaf House hanno evidenziato un ricavo totale (dato dalla riduzione delle bollette e dall’introito ottenuto con il conto energia) pari a 10.000 euro, rispetto a un costo di 12.000 euro di un’abitazione italiana convenzionale delle stesse dimensioni, generando un ricavo netto complessivo di 22.000 euro. Il progetto Leaf Community è seguito da un team specializzato di 60 addetti. La campagna lanciata per inserire 100 giovani nel gruppo in due anni ha già portato all’assunzione di 80 persone.

Gruppo Loccioni via Fiume 16 – 60030 Angeli di Rosora (AN) info@loccioni.com; tel. 07318161 www.loccioni.com; www.leafcommunity.com Segnalata nel 2009 nel settore Efficienza energetica e nel 2010 nel settore Energia

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L’elettricità da tegole e pareti fotovoltaiche

L’impiego delle tecnologie solari nelle costruzioni situate nei centri storici delle città italiane si scontra costantemente con l’ostacolo, spesso insormontabile, delle normative paesistiche vigenti. A risolvere questo problema ha pensato System Photonics, che produce materiale per l’edilizia finalizzato all’integrazione architettonica della tecnologia fotovoltaica. La gamma dei prodotti che sostituiscono i classici pannelli comprende tegole e lastre fotovoltaiche per pareti ventilate. A rendere possibile l’integrazione è l’associazione (in termine tecnico “laminazione”) delle celle fotovoltaiche a un sottile strato ceramico di 3 millimetri, il tutto tenuto insieme da un materiale plastico incapsulante prodotto dalla Du Pont. In pratica, si crea una sorta di “sandwich” tecnologico con vetro temperato come strato superiore, celle fotovoltaiche in mezzo e lastra ceramica da 3 millimetri sotto. Lo strato ceramico è prodotto da Laminam, mentre System Photonics assembla le varie componenti del modulo. Entrambe fanno parte del Gruppo System, articolato in sei unità, per un totale di 10 stabilimenti e 23 filiali distribuite in 18 paesi, con circa 1.100 dipendenti (di cui il 60% in Italia) e un fatturato annuo intorno ai 240 milioni di euro. Installazione di tegole fotovoltaiche, Monza

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Le tegole fotovoltaiche della Roof Collection “sono calpestabili, una proprietà utilissima in caso di interventi di manutenzione sui tetti, e garantiscono la completa impermeabilizzazione verticale”, puntualizza Daniele Iencinella, engineering manager di System Photonics. Hanno una dimensione di un metro per 750 millimetri, per una potenza di 95 W, e un metro per un metro e mezzo per una potenza di 175-180 W. Sono disponibili in un ampio spettro cromatico e adatte per il tipo di posa “a cascata” (sovrapposte). “Nelle comuni condizioni di installazione”, precisa il dottor Iencinella, “non necessitano di ulteriori profili o fissaggi”. Ogni tegola, nel rispetto delle prescrizioni

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della Guida alle applicazioni innovative per l’integrazione architettonica del fotovoltaico pubblicata dal GSE (Gestore dei servizi energetici), è dotata di una canalina per la raccolta delle acque meteoriche e per lo scarico in gronda. Per questo “il prodotto si configura come modulo fotovoltaico speciale e gli impianti che lo impiegano hanno accesso agli incentivi previsti dal quarto Conto Energia, che sono i più alti per questa categoria”, sottolinea Iencinella. Il costo medio tutto compreso di una copertura è di circa 4.000 euro per kW installato; il rendimento della conversione solare raggiunge circa il 14%.

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Installazione di parete ventilata ad Asten, Austria

Alle tegole fotovoltaiche si affianca la produzione delle lastre fotovoltaiche (Skin Collection) a base ceramica per facciate ventilate, disponibili anch’esse in svariate colorazioni. Sono prodotte nel formato di un metro per un metro, per una potenza tra 135-140 W, e in quello di un metro per un metro e mezzo, per una potenza di 215-220 W. Costano mediamente 5.000 euro al kW tutto compreso. I sistemi di montaggio nascosto e l’assenza di cornici rendono i prodotti System Photonics esteticamente accurati e architettonicamente

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integrabili senza inficiarne la mission per cui sono nati: produrre elettricità dal sole, anche in condizioni di particolare stress ambientale. La calpestabilità le rende inoltre adatte per pavimentare terrazzi, camminamenti e altre superficie. “Le componenti dei prodotti fotovoltaici per l’edilizia System Photonics sono facilmente separabili e recuperabili, per cui i manufatti risultano ampiamente riciclabili”, specifica Iencinella. “L’utilizzo del supporto ceramico Laminam, resistente all’attacco di agenti e sostanze chimiche, ne ha inoltre consentito l’adozione in ambienti difficili, come gli allevamenti zootecnici, senza inficiarne il rendimento energetico”. La conferma di questa capacità prestazionale è venuta nel dicembre 2010 dalla certificazione IEC 61701 “Salt Mist Corrosion Testing” per moduli fotovoltaici, rilasciata dal TÜV, il noto ente di certificazione che ne ha attestato l’efficienza anche in ambienti costieri o marittimi esposti all’usura da salsedine. Per ottenere questa certificazione l’azienda ha volontariamente sottoposto i suoi manufatti alla prova di corrosione da nebbia salina, riprodotta artificialmente in laboratorio. Data la particolarità del prodotto l’azienda organizza corsi mensili di “istruzioni per l’uso” rivolti agli installatori. Nel 2010 la potenza installata (70% in Italia e 30% in Europa circa, con qualche impiego in giro per il mondo) ha superato i 5 MW. Tra gli impieghi in ambienti a forte stress ambientale, Iencinella segnala una pensilina fotovoltaica a Ragusa in vicinanza del mare e un impianto da 100 kW a copertura di una stalla ed edifici annessi a Magreta di Formigine (MO). System Photonics è partner di CogenergyLAB, il centro di sperimentazione sul fotovoltaico realizzato da Cogenergy Spa in partnership anche con Elettronica Santerno, e con il patrocinio di Comune di Fiorano, Provincia di Modena, Università di Modena e Reggio Emilia e Agenzia per l’Energia e lo Sviluppo Sostenibile. Il laboratorio dispone di un impianto fotovoltaico realizzato a terra da 100 kW di picco suddiviso in undici sottocampi caratterizzati ciascuno da una diversa tecnologia per confrontare, a parità di irraggiamento e di condizioni ambientali, le rese dei pannelli, e testare diversi sistemi di inseguimento del movimento solare. CogenergyLAB viene impiegato per ricerche, test, collaudi e come “aula sperimentale” per attività formative.

System Photonics Spa via Ghiarola Vecchia 73 – 41042 Fiorano Modenese (MO) info@system-photonics.com; tel. 0536836111 www.system-photonics.com Segnalata nel 2010 nel settore Energia

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Non lasciate il pianeta agli stupidi

“Non lasciate il pianeta in mano agli stupidi” è stato il motto dell’azienda Solon (riportato in inglese sul sito: Don’t leave the planet to the stupid ). Una società che “predica bene” e “razzola” coerentemente. Nella sede italiana a Carmignano di Brenta, dove si producono pannelli fotovoltaici mono e policristallino (che hanno un’efficienza di conversione di oltre il 15%), hanno realizzato interventi in campo energetico che permettono di evitare l’emissione di oltre 302.000 tonnellate all’anno di anidride carbonica. Sul tetto sono stati installati pannelli fotovoltaici che producono annualmente 569.000 kWh di elettricità, che viene in parte assorbita nei processi produttivi in loco, e in parte immessa in rete e assorbita dalle altre utenze dell’area industriale. Gli uffici sono climatizzati da un impianto a pavimento alimentato da un sistema a pompe di calore geotermiche. Nel processo produttivo viene attivato il recupero termico sui compressori d’aria e sul raffreddamento dei macchinari. Al fine di promuovere l’impiego di veicoli non inquinanti, alimentati da enerIl più grande impianto fotovoltaico su edificio al mondo, Interporto di Padova

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gia solare, Solon ha messo a diposizione dei dipendenti una “flotta” di 6 biciclette a pedalata assistita e scooter elettrici da usare per gli spostamenti casalavoro, che possono essere ricaricati gratuitamente tramite le colonnine installate in azienda. Il programma Solon Mobility per la mobilità solare tocca tutte le sedi del gruppo, ed è finalizzato ad abbattere le emissioni inquinanti legate agli spostamenti casa-lavoro dei dipendenti, al trasporto delle merci, alle consegne light (leggere). Attualmente Solon ha sviluppato una stazione solare di ricarica autonoma dalla rete elettrica: l’elettricità prodotta con i moduli fotovoltaici viene immessa temporaneamente in un accumulatore in modo da poter essere utilizzata anche in periodi di minor produzione (di notte e in condizioni di maltempo) o in località con insufficiente collegamento alla rete (“sistema a isola”). Per chiudere il cerchio della mobilità solare, la stazione di ricarica può produrre energia che va direttamente a ricaricare i veicoli elettrici, oppure può essere allacciata alla rete elettrica con o senza accumulatore. È utilizzabile anche per la ricarica delle batterie degli automezzi elettrici.

Moduli fotovoltaici su pensilina, Interporto di Padova

Solon è un colosso mondiale, fondato nel 1997 a Berlino, che annovera sedi e stabilimenti produttivi oltre che in Germania e in Italia, anche in Francia e negli Usa. Conta circa 800 dipendenti, per un fatturato che, nel 2010, ha superato i 619 milioni di euro. A fine 2010 Solon aveva installato nel mondo 1 GW di fotovoltaico. Circa il 65% dei nuovi edifici del Governo tedesco a Berlino sono dotati di un impianto fotovoltaico Solon. I pannelli Solon li troviamo anche sulla sede a Colonia di Zara, il grande magazzino della moda, all’Istituto per la ricerca clinica biomolecolare di Erlangen, e presso la sede dell’associazione delle banche in Germania, su edifici industriali e aziende agricole. Lo stabilimento di Carmignano di Brenta vanta una capacità produttiva di pannelli fotovoltaici passata da 30 MW nel 2006 ai 100 MW del 2011. Dal 2006 al 2009, in tre anni, il fatturato è aumentato del 500%, mentre il capitale sociale è salito da 6 milioni di euro a 16. Nel 2010, tra uffici e produzione, ci lavoravano 230 persone in tutto. Nel 2010 Solon, certificata ISO 9001/00, ha installato in Italia pannelli per una potenza stimata di 80 MW, con un incremento, rispetto ai 40 del 2008, che aveva fatto ben sperare per l’andamento del 2011. Al contrario, l’improvviso cambiamento normativo relativo al Conto Energia (decreto Romani e successive modifiche) e la conseguente, inattesa, fase di smarrimento del mercato, hanno influenzato negativamente l’attività dell’azienda. Tra le realizzazioni maggiormente significative, a Padova, presso l’Interporto, il più grande impianto solare al mondo su edificio, per un totale di oltre 12 MW: 67.500 moduli fotovoltaici installati su una superficie di 250.000 metri quadri comprensiva dei tetti di tutti gli edifici e delle pensi-

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line dei parcheggi delle auto. Di particolare valore architettonico è poi l’applicazione della tecnologia Solon nel nuovo ospedale pediatrico Meyer di Firenze, il primo ospedale bioclimatico d’Italia. Sul fronte sociale, dal 2005 il Gruppo Solon collabora con associazioni non governative in Africa per realizzare progetti di responsabilità sociale a favore delle popolazioni più disagiate. Il primo progetto è stato realizzato in Congo, nel 2005, con il supporto dei Padri Salesiani. Solon ha installato un impianto fotovoltaico per rendere l’ospedale di un villaggio operativo durante le ore notturne e per consentire l’uso di apparecchiature elettriche necessarie per le cure ai malati. Dal 2007 Solon ha intrapreso un progetto in Eritrea in collaborazione con l’associazione non governativa Bashù, per fornire a vari villaggi l’accesso all’acqua potabile tramite pompe azionate da un impianto fotovoltaico. Uno dei problemi più grandi della zona è rappresentato infatti dall’accesso all’acqua potabile: sia le persone, sia gli animali utilizzano pozze d’acqua che si trovano a diversi chilometri di distanza dai villaggi e che, durante la stagione secca, sono completamente asciutte. Attualmente Solon sta completando il suo quinto impianto in Eritrea, presso una piccola scuola che grazie all’energia solare potrà ricevere formazione a distanza. Nel 2008 Solon ha realizzato un impianto fotovoltaico per una scuola del villaggio di Muynga, in Burundi, con più di 800 alunni, che necessitava di essere aperta anche durante le ore serali.

Ospedale bioclimatico pediatrico Meyer a Firenze

Solon Spa via dell’Industria e dell’Artigianato 2 – 35010 Carmignano di Brenta (PD) info.it@solon.com; tel. 0499458200 www.solon.it Segnalata nel 2009 nel settore Energie rinnovabili

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Il parco solare nella fattoria sociale

L’accusa rivolta più frequentemente agli impianti fotovoltaici realizzati a terra è che sottraggono terreno agricolo alla produzione di cibo e che deturpano il paesaggio. Due questioni affrontate dal progetto di agricoltura biologica e sociale RENtree, realizzato in località Bellavista, nel comune di Lanuvio (in provincia di Roma) da 9REN Asset Srl, avendo per obiettivo la piena integrazione nel territorio di un parco fotovoltaico da 6 MW tramite la piantumazione di un frutteto e di un orto biologici. Il progetto RENtree, però, non si limita a questo, e si connota anche per inediti aspetti di integrazione sociale, “secondo il modello della fattoria sociale”, spiega Stefano Granella, amministratore delegato del Gruppo 9REN, “in cui l’agricoltura ha finalità terapeutiche e aiuta il recupero delle persone svantaggiate”. A questo scopo l’intero frutteto è stato ceduto a uso gratuito alla cooperativa sociale Agricoltura Capodarco di Grottaferrata, che opera d’intesa con l’Assessorato per le politiche sociali del comune di Lanuvio per offrire alle persone assistite (affette da disagio sociale, fisico e psichico) l’opportunità di reinserirsi socialmente attraverso il lavoro agricolo. Alla cooperativa Capodarco, che trattiene per sé gli utili ricavati dalla vendita dell’intera produzione agricola, (mentre quelli ottenuti dalla produzione di elettricità restano al Gruppo 9REN), è affidata anche la manutenzione dell’impianto fotovoltaico. “Questo modello di fattoria sociale non era mai stato applicato a un impianto energetico. Per noi ha significato aggiungere valore alla produzione di energia pulita attraverso un processo di integrazione nel tessuto sociale”, sottolinea Granella. Nelle intenzioni di 9REN il frutteto biologico di Bellavista è molto più, quindi, di una semplice cornice verde per integrare nel territorio il parco fotovoltaico, poiché intreccia aspetti di integrazione sociale con la produzione di elettricità pulita da fonte rinnovabile, recuperando e migliorando una parte della superficie a uso agricolo, e dando occupazione a persone che vengono anch’esse recuperate socialmente. È vero, ammette Gianluca Ciampi, l’agronomo progettista, che il 70-75% della superficie agricola interessata, destinata in origine a seminativo, è passata a fotovoltaico, ma è anche vero,

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sottolinea, che il restante 25% di frutteto biologico dopo due-tre anni raggiungerà una redditività pari a quella di tutto il seminativo convenzionale. Sempre seguendo un concetto di multifunzionalità, aggiunge Ciampi, si potrebbero inserire galline ovaiole ruspanti per l’eliminazione biologica di insetti e frutta caduta, creando un’altra fonte di reddito; e avviare attività di apicoltura per produrre miele e per l’impollinazione; e si può fare orticoltura. “Alla fine ne nascerebbe un insieme, costituito da impianto fotovoltaico, frutteto biologico, orto e piccolo allevamento, adatto anche per visite didattiche”, conclude Ciampi. “Vogliamo dimostrare che impianti fotovoltaici e campi coltivati possono coesistere senza compromettere la redditività dell’agricoltura. L’accusa di divorare terreno agricolo si appunta contro i pannelli fotovoltaici forse perché al consumo di suolo operato da urbanizzazioni, infrastrutture e aree industriali ci si è fatta l’abitudine”, osserva, “dimenticando, che, a differenza di capannoni industriali, strade, autostrade e villette a schiera, dopo 20 anni gli impianti fotovoltaici vengono smontati per riportare i campi all’attività agricola. Facendo i conti poi,” continua Ciampi, “si vede che a metà 2011 nel nostro paese gli impianti fotovoltaici a terra occupavano circa 5.000 ettari in tutto a fronte dei 13 milioni di ettari agricoli coltivati, dei quali un milione abbandonato”.

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Il frutteto biologico integra nel territorio il parco solare, Lanuvio

A Lanuvio, dei 14 ettari interessati dall’installazione dell’impianto fotovoltaico due sono stati dedicati alla piantumazione del frutteto biologico, coltivato secondo il metodo della permacultura, e costituito da varietà autoctone che consentono di preservare la biodiversità locale. Si tratta di quasi 300 alberi da frutto di grandi dimensioni, 800 di medie e 1.600 di piccole, a cui si accompagnano 2.400 cespugli e arbusti, circa un centinaio di

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L’Italia della green economy

Parco solare, Lanurio

piante rampicanti e un’asparageta. La produzione attesa a regime è di circa 300 quintali di frutta. L’impianto fotovoltaico produrrà energia elettrica sufficiente a coprire il fabbisogno di circa 2.400 famiglie, con un risparmio di emissioni in atmosfera di CO2 pari a circa 6.000 tonnellate l’anno. A metà 2011, dopo il primo realizzato a Lanuvio, erano in via di realizzazione altri due frutteti biologici per l’integrazione territoriale di impianti fotovoltaici di proprietà del Gruppo 9REN: uno ancora a Lanuvio, da 1 MW, mitigato da un uliveto che verrà affidato anch’esso in cessione d’uso gratuito alla cooperativa di Capodarco; l’altro nel comune di Palagianello, in provincia di Taranto, da 8 MW, mitigato da un agrumeto e un uliveto biologici affidati a chi sta gestisce l’impianto. Ad agosto 2011, con l’entrata in esercizio di 6 nuovi impianti, il Gruppo 9REN contava in Italia 43 impianti di proprietà, ai quali se ne aggiungono 6 in Spagna, per una capacità installata totale di 9 MW e una produzione annua stimata di circa 99 milioni di kWh. Complessivamente, in Italia e Spagna 9REN ha realizzato oltre 180 MW di impianti fotovoltaici, di cui 92 MW per conto terzi.

9REN Asset Srl via Tomacelli 146 – 00186 Roma antonella.pellegrini@9rengroup.com; tel. 0632609558 www.9ren.it Segnalata nel 2011 nel settore Energia

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Elettricità e acqua calda dai moduli solari

Luxferov è una classica nuova leva nel settore energia della green economy: è nata infatti nel 2008 dalla volontà di un gruppo di imprenditori locali di investire nella ricerca per lo sviluppo di una nuova generazione di tecnologie solari. La produzione è partita nel 2010. Lo stabilimento ha sede sulle colline reggiane, presso Carpineti, in un territorio dove altre aziende hanno chiuso i battenti, abbandonando un’area di per sé già disagiata. “Per questo la comparsa della Luxferov ha rappresentato una piccola rinascita, in quanto l’azienda si è avvalsa esclusivamente di manodopera locale”, rivendica con orgoglio Mario Belloni, presidente dell’azienda, “creando un indotto consistente per tutta la zona della comunità montana. Anche nella fase di studio e sviluppo ci siamo affidati a tecnici locali, alcuni con alle spalle esperienze maturate nel campo del fotovoltaico, affiancati da consulenti esterni”. Luxferov produce moduli fotovoltaici tradizionali in silicio policristallino (Lux 240P) e moduli fotovoltaici in silicio monocristallino (Lux 245M da 245 watt e Lux 250M da 250 watt, di 1,6 metri quadrati). Sono disponibili anche in una versione senza cornici, vetro-vetro o vetro-backsheet trasparente, per l’utilizzo su serre o tettoie. Accanto alla linea di prodotti standard Luxferov ha sviluppato anche nuovi sistemi fotovoltaici integrati per tetti e facciate ventilate. In particolare l’azienda ha puntato a innovare le tecnologie esistenti per aumentare i rendimenti della conversione dell’energia solare in elettricità, affrontando, per esempio, il problema del calo di rendimento della conversione elettrica dovuto all’aumento della temperatura del pannello prodotto dall’irraggiamento solare. A un anno dall’avvio della ricerca ha ottenuto i primi risultati rappresentati dall’applicazione nei moduli fotovoltaici di nuove tipologie di isolanti ad alte prestazioni alternativi all’EVA (l’etilene vinil acetato, una plastica di largo impiego nella produzione dei pannelli fotovoltaici), di nuovi profili e di nuovi materiali per dissipare il calore e per integrare i pannelli negli edifici. Un brevetto è stato ottenuto per un modulo dotato di un sistema combinato di raffreddamento e di recupero di energia termica. Questo pannello è il

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I componenti del pannello

Modulo solare

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frutto di due anni di ricerca nel campo del solare, sia fotovoltaico sia termico, finalizzata all’aumento della resa in termini di potenza erogata accoppiata allo stesso tempo al risparmio energetico. “L’elemento innovativo alla base del pannello è semplice ma non per questo meno geniale”, osserva Mario Belloni. “Abbiamo sviluppato un pannello raffreddato, in cui si utilizza un nuovo tipo di grès porcellanato estruso unito alle celle fotovoltaiche. La lastra ceramica, associata a un circuito idraulico di raffreddamento, funge da dissipatore di calore, per cui la temperatura del pannello si mantiene stabile e si ottiene una produzione di energia elettrica superiore dal 20 al 45 % su base annua rispetto a quella dei pannelli convenzionali attualmente sul mercato. Un aumento di resa ben comprensibile per gli addetti ai lavori che conoscono i problemi legati al surriscaldamento dei pannelli”, conclude. Inoltre, tramite il liquido di raffreddamento che scorre nel circuito idraulico accoppiato a uno scambiatore di calore si ottiene anche un consistente recupero di energia termica, stimata nell’ordine di 400 kcal per metro quadrato installato, energia che può essere recuperata e utilizzata per scaldare l’acqua per usi sanitari domestici e per l’impianto di riscaldamento. “È un modulo che funge contemporaneamente da pannello

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fotovoltaico e da modulo da facciata ventilata, una delle migliori soluzioni per la coibentazione termica, e che in più offre la possibilità di recuperare energia termica, consentendo un risparmio energetico reale”, precisa ancora il presidente di Luxferov. In questo modo si produce più elettricità risolvendo al contempo il già richiamato problema del solare fotovoltaico, ossia la perdita di potenza a causa dell’innalzamento della temperatura del pannello per l’aumento dell’insolazione. Inoltre, insieme all’incremento della produzione di elettricità, si eliminano gli shock termici elevati, per cui la cella fotovoltaica è meno stressata e tende a durare di più e a perdere meno potenza col tempo. “In altre parole, con questa tecnologia otteniamo più potenza erogata, recupero termico e un allungamento di vita dei moduli”, sintetizza Mario Belloni. L’integrabilità del pannello nella struttura lo rende adatto ad applicazioni in facciata con un sistema di parete ventilata che aumenta il risparmio energetico, e anche sulle coperture come tetto fotovoltaico ventilato. A detta dell’azienda, questa tecnologia è integrabile non solo nelle nuove costruzioni, ma si presta anche a essere installata in edifici da riqualificare energeticamente. Per promuovere a livello locale la diffusione di questi prodotti innovativi, e per supportare l’economia del territorio, la Luxferov ha stipulato un accordo ad ampio raggio con il consorzio Koinos della CNA di Reggio Emilia, che raccoglie tutti i piccoli artigiani (installatori, manutentori) del settore solare attivi nella regione Emilia-Romagna. Il primo anno di attività per la produzione di questi innovativi moduli nel 2012 Luxferov conta di chiuderlo con una produzione di circa 70.000 pannelli, destinati sia al mercato interno che a quello europeo.

Luxferov Srl via San Prospero 33 – 42033 Carpineti (RE) info@luxferov.it; tel. 0522718054 www.luxferov.it Segnalata nel 2011 nel settore Energia

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Pianeta sole

Contatore con lampada

La società Beghelli è nata nel 1982 e opera nel settore dell’illuminazione d’emergenza (in cui copre oltre il 50% del mercato nazionale), dell’illuminazione a risparmio energetico (dal 2000), dei sistemi elettronici per la sicurezza domestica e industriale. Dal 2008 ha aggiunto alle attività la generazione di elettricità da fonte fotovoltaica, avviando il progetto “Pianeta Sole Beghelli”, che rappresenta un’evoluzione dell’attività maturata nel campo dell’efficienza energetica dei sistemi di illuminazione: il passaggio dall’uso efficiente dell’energia alla produzione intelligente dell’energia. La ricerca impegna una quota di rilievo del personale dipendente in laboratori e centri di sperimentazione aziendali. Progettazione, ingegnerizzazione, e collaudo e certificazione sono fatti in casa. Nel 2010 il fatturato consolidato è stato di 203,9 milioni di euro con utile netto di Gruppo di 9,3 milioni di euro. Il Gruppo è certificato ISO 9001:2000 – ISO 14001:2004. Tra i prodotti a marchio Beghelli, il pannello fotovoltaico “Tetto d’oro Acqualuce” combina la produzione di elettricità al riscaldamento dell’acqua per usi sanitari. Si tratta di un unico modulo al silicio composto da un lato da 72 celle fotovoltaiche, e dall’altro da un assorbitore in alluminio a elevata conducibilità termica, dotato di una serpentina che contiene un liquido termovettore. Il calore sviluppato nella produzione di elettricità fotovoltaica viene trasmesso al liquido di raffreddamento che lo cede all’accumulatore termico per la produzione dell’acqua calda sanitaria. Grazie al

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sistema di raffreddamento ottimizzato dal posizionamento della serpentina sul retro del pannello, il rendimento della reazione fotovoltaica standard si incrementa fino al 20%. Mentre il fabbisogno annuo di acqua sanitaria, se l’impianto è adeguatamente dimensionato, può essere coperto fino al 90%.

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Sistema “L’albero d’oro”

Il frutto più recente e innovativo della ricerca Beghelli è “L’albero d’oro” basato su un’avanzata tecnologia solare ad alta concentrazione che cattura fino al 40% dei raggi (contro il 16-18% dei pannelli comuni), trovando un’ideale applicazione nelle zone più assolate del pianeta, in quanto sfrutta con elevata efficienza la radiazione diretta senza bisogno di acqua per il raffreddamento. Dotato di un sistema di inseguimento della luce solare, evita il formarsi di ombreggiature permanenti, per cui si adatta a essere impiegato in aziende agricole e agriturismi, in quanto permette sia di coltivare il terreno sottostante, sia di far pascolare gli animali. A febbraio 2011, presso lo stabilimento Favini, che opera nel settore della produzione di carta, situato a Crusinallo (in provincia di Verbania, sul Lago Maggiore) è stato completato il progetto di illuminazione ad alta efficienza “Un mondo di luce a costo zero”, uno degli oltre mille impianti progettati, prodotti e installati dal Gruppo Beghelli. Sono state installate 1.736 lampade a basso consumo, che consentiranno di dimezzare quasi i consumi di elettricità: il risparmio energetico atteso è infatti del 45%, pari a 743.000 kWh di consumi in meno all’anno. Ciò corrisponderà alla mancata emissione in atmosfera di 375 tonnellate di CO2. L’accordo rientra nel progetto etico di sostenibilità ambientale dell’azienda Favini, ed è frutto dell’im-

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pegno ecologico che caratterizza la società, che si avvale anche della certificazione FSC (Forest Stewardship Council) per la salvaguardia delle foreste, e dell’uso di energia verde derivante da fonti rinnovabili. Favini è nota anche per aver inventato “Alga Carta”, ottenuta utilizzando le alghe in eccesso che popolano la laguna di Venezia, che vengono così trasformate da rifiuto in materia prima. Il progetto “Un mondo di luce a costo zero”, immesso sul mercato dal gruppo Beghelli nel 2006, funziona sulla base di un meccanismo tipo ESCO (Energy service company): prevede la fornitura a “costo zero” per il cliente finale di apparecchi di illuminazione che si ripagano con il risparmio energetico ottenuto. A luglio 2011, in località Turi (in provincia di Bari), è stato collegato alla rete elettrica un impianto fotovoltaico a terra da 900 kW (il sesto di proprietà del gruppo) con sistema a inseguimento solare e moduli in silicio policristallino. La produzione di elettricità da progetto è di 1.450 MWh/anno, che evitano l’emissione di 1.450 tonnellate all’anno di CO2 rispetto alla medesima quantità di elettricità prodotta con combustibili fossili. Attualmente i dipendenti delle 15 società del gruppo ammontano a 1.663 (dato registrato al 31 dicembre 2010), distribuiti in sedi sparse nella provincia di Bologna e Modena, e all’estero (Repubblica Ceca, Germania, Canada e Cina). Il “cervello” della società, con gli uffici amministrativi e i laboratori, si trova a Monteveglio, ai piedi dell’Appennino bolognese.

Beghelli Spa via Mozzeghine 13/15 – 40050 Monteveglio (BO) Numero Verde 800-626626; italia@beghelli.it www.beghelli.com Segnalata nel 2009 nel settore Energie rinnovabili

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Una serra contro l’effetto... serra

È nota la polemica contro i campi fotovoltaici realizzati a terra su terreno agricolo coltivabile, che in questo modo viene sottratto alla mission originaria che è produrre alimenti. D’altra parte è comprensibile che per un’agricoltura economicamente in crisi la produzione di elettricità da fotovoltaico diventi un’interessante attività integrativa del reddito (si veda anche Il parco solare nella fattoria sociale). Solarmaker contribuisce al superamento del problema dell’incompatibilità tra uso agricolo e uso energetico dei terreni coltivabili con “Eclisse”, uno speciale pannello fotovoltaico, brevettato, applicabile alle serre agricole, che permette di realizzare impianti fotovoltaici senza perdere l’uso a fini di coltivazione del terreno. Forse non è un caso che questo prodotto sia stato inventato nel savonese, visto che in Liguria c’è un’ampia concentrazione di serre anche florovivaistiche. In tutt’Italia le serre agricole coprono all’incirca 40.000 ettari, ma il crescente costo del combustibile per il riscaldamento invernale sta portando all’abbandono della coltivazione (anche florovivaistica) in serre riscaldate. È pur vero che in una prospettiva coerentemente ecologica, le coltivazioni forzate in serra di alimenti fuori stagione non hanno ragione di esistere. Resta il fatto, però, che, di fronte al venir meno di coltivazioni nazionali in serra, il nostro paese d’inverno importi, per esempio, pomodori dall’Olanda. Il pannello Eclisse, oltre a produrre elettricità come un qualsiasi pannello fotovoltaico, d’estate svolge una importante funzione di ombreggiatura; mentre d’inverno l’irraggiamento all’interno della serra è al massimo, per cui le coltivazioni sono pienamente esposte alla luce senza che la presenza dei pannelli fotovoltaici crei problemi. Non a caso si chiamano “Eclisse”: al pari del fenomeno dell’eclisse solare che oscura il sole temporaneamente, il pannello ne smorza i raggi d’estate, ma non d’inverno. Il grado ottimale, sia di irraggiamento sia di ombreggiamento (più ombra d’estate, e più luce d’inverno), sono ottenuti automaticamente, senza l’impiego di parti meccaniche in movimento o di sofisticati strumenti di controllo,

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Pannello visto dall’interno della serra nel periodo estivo

Pannello visto dall’interno della serra nel periodo invernale

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utilizzando solo un sistema di particolari lenti ottiche che producono l’effetto richiesto di luce o di ombra in base all’altezza del sole sull’orizzonte nelle varie stagioni. “L’uso di queste lenti permette un incremento della produzione di elettricità stimato nell’ordine del 15% su base annua rispetto a un pannello convenzionale di pari potenza,” sottolinea il titolare di Solarmaker Giacomo Roccaforte, “e questa maggiore energia prodotta copre abbondantemente il costo maggiorato dell’impianto Eclisse rispetto a uno tradizionale”. Sulla serra le celle oscuranti occupano circa il 25% della superficie, mentre il pannello, che è semitrasparente, complessivamente copre il 50%. L’impianto si completa, d’inverno, con l’attivazione di un sistema di riscaldamento a raggi infrarossi a onde corte, anch’esso brevettato, che per il suo funzionamento sfrutta l’energia elettrica prodotta dai pannelli, facendo a meno del gasolio, il cui impiego in questa funzione di riscaldamento è molto diffuso nelle coltivazioni in serra. “Questo dispositivo aiuta a ridurre l’insorgere delle malattie tipiche causate dall’umidità”, rimarca Roccaforte, “per cui, di riflesso, permette di fare a meno di fitofarmaci di sintesi e di seguire in serra i metodi di coltivazione biologica”. Un impianto-pilota con pannelli Eclisse è stato realizzato ad Albenga, presso l’ex vivaio della Comunità montana Ingauna, nell’ambito di un progetto finanziato dall’Assessorato all’agricoltura della Regione Liguria alla cui definizione ha collaborato l’Istituto regionale per la floricoltura di Sanremo. I pannelli Eclisse sono stati applicati alle serre sfruttando sia il telaio sia le coperture in vetro, realizzando un impianto integrato. In questo modo la serra, oltre che luogo di produzione agricola, è diventata sede di un impianto energetico. “Nella seconda sperimentazione, svolta con fondi del Ministero dell’Agricoltura, sempre in cooperazione con l’I-

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stituto per la floricoltura di Sanremo, e terminata nel 2009, il pannello ha prodotto circa il 15% in più di energia rispetto allo standard consueto di un pannello fotovoltaico tradizionale”, conclude Roccaforte. La produzione complessiva annua di elettricità ha coperto il 30% del fabbisogno delle lampade a raggi infrarossi usate per riscaldare la serra. Le coltivazioni, in particolare del basilico, ne hanno tratto giovamento: un ottimo segnale per i produttori del principale ingrediente del condimento tipico locale, il pesto, che pretende alte temperature e quindi ha costi energetici di produzione elevatissimi. Date queste caratteristiche, Eclisse può promuovere la diffusione del fotovoltaico nelle aziende agricole e florovivaistiche, e consentire di realizzare impianti fotovoltaici senza sottrarre suolo agricolo coltivabile.

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Pannello visto dall’alto

Solarmaker Srl via Papa Giovanni XXIII 13/6 – 17023 Ceriale (SV) info@solarmaker.it; tel. 0182621019 www.solarmaker.it Segnalata nel 2010 nel settore Energia

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Il mini eolico tascabile

Tra le fonti rinnovabili, l’eolica è la più vicina alla grid parity, ovvero ha un costo non lontano da quello dell’elettricità prodotta da fonte fossile. A dicembre 2010 la potenza eolica complessiva installata in Italia era di 5.797 MW, 948 dei quali potenza aggiunta nell’anno (fonte: www.qualenergia. it su dati Anev, Associazione nazionale energia del vento). Sempre netto il predominio delle regioni del sud: in testa la Sicilia con 1.449 MW, seguita da Puglia con 1.286 MW, Campania con 814 MW, Sardegna con 673 MW, Calabria con 589 MW, Molise con 372 MW, Basilicata con 279 MW, Abruzzo con 225 MW. Nel mondo risultavamo essere il sesto paese, dopo Cina (42.287 MW), Usa (40.180), Germania (27.214), Spagna (20.676), India (13.065); terzi in Europa prima di Francia (5.660) e Regno Unito (5.204). Per il 2011, il Rapporto annuale della World Wind Energy Association (l’Associazione mondiale dell’energia eolica) prevedeva, nel mondo, nuovi impianti per complessivi 45 gigawatt, un record che porterebbe l’installato a 240 GW. L’Italia, invece, ha continuato a rallentare il passo, dopo il 25% in meno già registrato nel 2010 rispetto alla crescita tumultuosa degli anni precedenti, a causa soprattutto delle incertezze normative e del crollo del 40% del valore dei certificati verdi. Nel 2010 l’azienda Dealer Tecno ha portato all’attenzione del mercato un’innovativa mini turbina eolica, Xeolo, ad asse verticale da 6 kW, gradevole nel design e con alcuni pregi tecnici particolari che ne ottimizzano il funzionamento. Il profilo alare mantiene stabile il funzionamento e la produzione di elettricità anche in caso di un aumento di velocità del vento. L’assenza di ingranaggi, spazzole e meccaniche di controllo riduce il bisogno di manutenzione in quanto le uniche componenti meccaniche sono i cuscinetti di sostegno, concepiti per reggere a sollecitazioni ad alto regime di giri, mentre la turbina non supera mai gli 1,5 giri al secondo, e non è esposta pertanto a particolari rischi di logoramento. I test effettuati nella galleria del vento del Politecnico di Milano, con vento fino a 55 metri al secondo, hanno evidenziato la stabilità di funzionamento della turbina, che ha mantenuto un tet-

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to massimo di 60 rpm (giri al minuti), pari a circa un giro al secondo. Il rumore emesso non ha superato quello di fondo. L’azienda sta predisponendo la produzione industriale anche di turbine da 20 kW. “La capacità di mantenere stabile la produzione di elettricità, indipendentemente dal variare della velocità del vento, aumenta il tasso di produttività dell’impianto, perché in genere ad alte velocità del vento impianti di altra tipologia (non ad asse verticale) vengono fermati per motivi di sicurezza o rallentati con sistemi di frenatura e controllo a 20-25 metri/secondo, anche perché aumenta l’inquinamento acustico prodotto”, sottolinea Stefano Onofri, tecnico dell’azienda. “Xeolo, invece, che gira normalmente a 60 giri al minuto, non tende ad aumentare la velocità in queste condizioni e non emette rumore, né accelera, arrivando a un massimo di 100 giri al minuto”. In sintesi, si tratta di una macchina adatta ai contesti urbani per la mancanza di rumorosità, i bassi regimi di giri, la sicurezza intrinseca perché non aumenta i giri anche se aumenta la velocità del vento, mentre riesce a partire e a produrre con ventosità ridotta: praticamente gira sempre. Non a caso le macchine che Dealer Tecno ha venduto finora sono state installate da privati nelle proprie abitazioni in città. Una turbina da 6 kW occupa lo spazio di un cilindro del diametro di 3,6 metri per 7,5 metri di altezza. “Solitamente viene installata su pali di sostegno idonei da 3, 6 o 9 metri con proprio plinto di fondazione”, spiega Onofri. “Per collocarla sopra un palazzo, di norma in corrispondenza della tromba degli ascensori, consigliamo un treppiedi da 3 metri di altezza, che si vanno Mini turbine eoliche ad asse verticale

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ad aggiungere ai 7,5 metri della turbina. Queste turbine si possono installare sul tetto nell’angolo degli edifici, ma solo se molto alti, come nel caso dei grattacieli e dei parcheggi multipiano, o anche nelle rotatorie stradali”. Le dimensioni ridotte possono contribuire a diffondere la produzione di energia elettrica da fonte eolica in case, singoli edifici, case rurali, utilizzatori stagionali, come agriturismi, villaggi turistici, e aziende agricole. Il costo per una turbina da 6 kW è ammortizzabile in 6-8 anni a seconda della ventosità del sito, beneficiando poi di una fonte di energia gratuita e inesauribile. Dealer Tecno propone una modalità di pagamento in convenzione con Unicredit che utilizza il conto energia ordinario, fissato per il mini eolico a 0,30 cent per kWh ceduto alla rete. Così l’acquirente non finanzia di tasca propria l’investimento, copre le rate del finanziamento, non paga l’energia consumata e accantona ogni anno una porzione dell’utile che deriva dalla differenza tra elettricità consumata e messa in rete. Con dieci dipendenti, dopo il debutto avvenuto nel 2010, Dealer Tecno ha già incassato riconoscimenti di prestigio. Nel 2009 è divenuto membro della campagna della Commissione europea SEE “Sustainable Energy Europe” e ha ricevuto il premio “Impresa ambiente” alla manifestazione fieristica Ecopolis a Roma. Nel 2010, oltre al Premio Sviluppo Sostenibile, ha ricevuto quello di Legambiente “Innovazione amica dell’ambiente”. Sempre nel 2010 è stata selezionata per esporre i suoi prodotti al Padiglione Italia all’Expo di Shangai.

Dealer Tecno via Santa Fermina 11 a/b – 00053 Civitavecchia info@dealertecno.com, info@xeolo.com; tel. 0766220564 www.dealertecno.com; www.xeolo.com Segnalata nel 2010 nel settore Energia

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L’eolico sul tetto di casa

Alle porte di Torino, nel Comune di Reano, nel territorio della Comunità montana Val Susa e Val Sangone, opera da oltre trent’anni la Deltatronic International Srl, un’azienda certificata UNI EN ISO 9001:2000, di 15 dipendenti, con una lunga esperienza maturata nel campo dell’elettronica industriale: progettazione, produzione e distribuzione di apparecchiature elettroniche per il controllo e la gestione di processi industriali in vari settori. Sei anni fa, con 500.000 euro di investimento, il salto nel mercato dell’eolico, per cui oggi si occupa di progettazione e realizzazione di sistemi eolici ad asse sia orizzontale che verticale, e di elettronica di controllo e gestione di tali impianti. Con un obiettivo: costruire micro impianti con componentistica completamente italiana, alla portata delle tasche di una famiglia. I micro impianti eolici Deltatronic sono strutture semplici: rotore e pale possono essere montati sul tetto o in altro luogo dedicato, sia in funzione stand-alone (collegandoli a un accumulatore dell’energia prodotta da utilizzare on demand), sia allacciati alla rete elettrica, eliminando le batterie di accumulo. Sono ideali per seconde case, soprattutto di montagna, e per alpeggi. Le pale, brevettate, molto leggere, sono prodotte in alluminio aeronautico, mentre l’alternatore viene costruito esternamente su specifica Deltatronic (all’inizio si rifornivano da Ducati di Modena, oggi anche da Meccalte), con un cogging (la ritenzione magnetica) bassissimo, che permette la messa in azione del sistema anche a bassissime intensità di vento. Producono anche tutta la parte elettronica che sovrintende al controllo e alla gestione. L’ultima certificazione l’hanno ottenuta con la collaborazione del Politecnico di Torino all’interno della galleria del vento Fiat, la più grande d’Europa. “Le turbine Deltatronic si differenziano da altri impianti eolici presenti sul mercato per l’orientamento elettronico non manuale e per il fatto che analizzano la direzione del vento attestandosi secondo l’orientamento ottimale”, spiega Luca Bongiovanni, responsabile tecnico e marketing. Si tratta, dice, di macchine ad alto rendimento in quanto hanno una potenza nomi-

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Micro generatore eolico

nale da 3 e 5 kW a 400 giri/minuto. Il tempo di ammortamento di un impianto di medie dimensioni è di 6-7 anni. Tra i clienti annoverano Enel.si, il Gruppo Leroy Merlin e Fiamm Spa. Nel 2010 hanno venduto 40 unità ad altrettante famiglie. La gamma dei prodotti Deltatronic comprende microgeneratori eolici ad asse orizzontale da 1,5 kW (con pale del diametro di 2,10 metri), da 3kW (con pale di 3,10 m), da 5 kW (con pale del diametro di 4,5 m); in progetto la realizzazione di impianti da 10 kW (con pale del diametro di 6 m). Completa il quadro un anemometro per condurre campagne di rilevamento della portata storica dei venti che viene memorizzata e visualizzata graficamente. Tra i prodotti di punta sviluppati di recente, in sinergia con altre aziende italiane, un “miscelatore-accumulatore” di elettricità generata sia con il solare fotovoltaico, sia con l’eolico. Il Di-Sek (questo è il nome commerciale) è “un prodotto innovativo che non ha eguali sul mercato”, dice Bongiovanni, “un’apparecchiatura che gestisce diverse fonti rinnovabili, registra i consumi, e può essere integrata fin dalla fase di costruzione dell’abitazione”. È prodotto in taglia da 3 e 5 kW. Di-Sek è stato pensato sia per contesti dove la rete elettrica è presente (in cui funge da integrazione), sia dove la rete è assente o i costi di allaccio sono molto elevati (solo in questi casi viene utilizzato in funzione cosiddetta stand-alone). In funzione no stand-alone, consigliata dal produttore, integra la fornitura di elettricità della rete nazionale con produzione da rinnovabi-

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li. Il vantaggio che offre è quello di un sistema ad alta efficienza energetica che sfrutta bene la rete e gli impianti eolici e fotovoltaici installati a seconda delle disponibilità. La soluzione integrativa no stand-alone implica un minor quantitativo di batterie, utili soltanto al back-up in caso di mancanza di contributo da fonti rinnovabili per limitare il ricorso alla rete. Combinando e gestendo il contributo delle diverse fonti rinnovabili installate, Di-Sek rende indipendente unità abitative e piccole realtà industriali, che vengono alimentate dall’elettricità prodotta dal solare e dall’eolico, ed eventualmente anche dal mini-idro se è presente un corso d’acqua sfruttabile, utilizzando la rete elettrica nazionale unicamente in assenza di contributo da fonti rinnovabili e di batterie scariche. Solo una parte dell’elettricità prodotta viene destinata alle batterie, in modo da averle sempre cariche in caso di necessità. Nelle fasi di basso assorbimento di elettricità, la potenza prodotta viene sfruttata da un boiler elettrico per scaldare l’acqua o da qualunque altro carico dotato di resistenza elettrica. È allo studio la tecnologia per cedere alla rete parte dell’elettricità prodotta. Di-Sek si presenta come un armadietto metallico, di ridotte dimensioni, da posizionare all’interno dell’unità abitativa. Il costo si aggira intorno ai 10.000 euro. Ne sono già stati venduti dieci, di cui quattro installati in contesto urbano.

Deltatronic International Srl via Morghen 34 – 10143 Torino (sede legale) via del Cimitero 16 – 10090 Reano (TO) (sede operativa) deltatronic@deltatronic.it; tel. 0119310508 www.deltatronic.it Segnalata nel 2009 nel settore Energie rinnovabili

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Il mini eolico dall’Antartide al Sud del mondo

Se si chiede a Robert Niederkofler come è nata l’azienda ROPATEC di cui è titolare, risponde “dall’idea di creare un prodotto unico al mondo, basato sull’uso delle fonti rinnovabili, per portare l’elettricità in tutte le zone non allacciate alla rete, diffondendo cultura, energia e benessere, a cominciare dai rifugi di montagna dove si usano gli inquinanti generatori a diesel, fino ai paesi poveri dell’Africa”. Del resto la sua attenzione per l’ambiente è sempre andata a braccetto con un imprinting terzomondista: non a caso ROPATEC è citata nel libro Guide des innovations pour lutter contre la pauvreté. 100 inventions géniales au service des pays du Sud, di Patrick Kohler e Daniel Schneider, edito da Favre. La ROPATEC Niederkofler l’ha avviata da solo, autofinanziando i primi cinque anni di attività. “Nel 1996, in alcuni rifugi ad alta quota, e poi in Antartide, in condizioni meteorologiche estreme, in collaborazione con il Cnr sono state messe alla prova le prime turbine eoliche ad asse verticale, che sono meno invasive e girano indipendentemente dalla direzione del vento”, racconta. È seguita una fase di studio del mercato dell’eolico negli Usa, Brasile e India e sulle applicazioni in agricoltura. Sulla base delle esperienze accumulate, nel 2001 è stata costituita ROPATEC (che sta per RObertoPAtrizia, i nomi di battesimo suo e della moglie, e TEChonology). La produzione industriale e la commercializzazione delle mini turbine eoliche ad asse verticale di prima generazione è iniziata nel 2003. Nel 2006, con il passaggio alla seconda generazione di aerogeneratori, è stata modificata l’aerodinamica, per migliorarne le prestazioni. Sul mercato ci sono arrivati nel 2008, anno in cui, in qualità di rappresentante del mini eolico nel mondo, Niederkofler è stato invitato da Jeremy Rifkin al primo congresso americano sulle smart grid. L’anno dopo, il fondatore di ROPATEC interveniva come esperto a Londra all’House of Commons per contribuire alla definizione delle nuove leggi del Regno Unito sul mini eolico.

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Fonti rinnovabili

Dal 2005 al 2011 l’azienda ha venduto circa mille turbine di potenza da 3 a 20 kW in 34 paesi, per un fatturato totale di circa 6 milioni di euro. Tra i clienti spiccano il Cnr, il blasonato Istituto di ricerche tedesco Fraunhofer, l’Esa (l’Agenzia spaziale europea), l’Onu, Audi, McDonald’s, Mediaworld e la catena di supermercati inglese Tesco. “Gli effetti negativi della crisi economica li abbiamo sentiti nel 2009 e nel 2010, ma adesso sta passando. Proprio a fine luglio 2011 abbiamo ricevuto un ordinativo dal governo francese per un impianto da 20 kW da installare in Antartide, il primo di una commessa più articolata che si amplierà in futuro”, dice Niederkofler. Lavorano anche con un partner brasiliano che sta sviluppando il progetto, avviato dall’ex presidente Lula, di elettrificazione delle zone rurali molto ventose nel nord-est del paese. Le miniturbine eoliche ROPATEC non impattano sul paesaggio, sono silenziose (43 decibel a 20 metri di distanza), ad alta efficienza, richiedono poca manutenzione, ed essendo state eliminate parti meccaniche a rischio consentono di sfruttare forti venti in condizioni di sicurezza. Le pale sono in grado di partire autonomamente anche solo con una leggera brezza, e producono energia qualunque sia la direzione del vento. I componenti forniti ai clienti risultano solitamente facili da assemblare, un aspetto che contribuisce ad abbassare i costi di installazione. A queste caratteristiche si aggiunge la versatilità di impiego: gli impianti ROPATEC sono disponibili sia per l’immissione in rete, sia come sistema ibrido collegato a pannelli fotovoltaici, sia come caricabatterie (con il sistema di controllo WindMax).

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Turbina eolica collegata a pannelli fotovoltaici

Infine, come eolico termico, possono essere impiegati per scaldare l’acqua per usi sanitari in boiler di accumulo con il sistema di riscaldamento HotMax che sfrutta l’energia eolica, riducendo in tal modo la bolletta energetica e l’inquinamento. La gamma di aerogeneratori comprende: le turbine Easy vertical HE da 1 kW, di altezza complessiva pari a 6,8 metri, comprese le pale di 1,15 metri per 1,8 di larghezza (in assenza di collegamento alla rete elettrica, Easy vertical può funzionare anche per installazioni au-

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tonome con l’elettronica Ibrida Sunny Island); WTI 5 da 5 kW, 5 metri di diametro e 4 metri di altezza; Big Star Vertical da 20 kW (15,7 metri di altezza con pale del diametro di 8 metri alte 4,3), a manutenzione quasi azzerata, che nei test ha dato prova di grande resistenza rispetto a condizioni meteorologiche estreme; Giga Star, 25 kW di potenza nominale e 30 kW di picco.

Turbina eolica ad asse verticale

Le mini turbine ad asse verticale di terza generazione da 5 e da 30 kW sono caratterizzate da un ulteriore incremento di efficienza che le rende molto adatte per l’immissione in rete dell’elettricità prodotta. Per l’intera gamma di rotori, l’energia elettrica prodotta può essere messa in rete tramite inverter dedicati e certificati “Wind Boy”. L’azienda consiglia l’installazione di turbine eoliche solo in zone con una velocità media annua del vento superiore a 5,5-6 m/s. Dal 2007 ROPATEC ha in catalogo anche i rotori Publienergia che, oltre a produrre elettricità, fungono contemporaneamente da cartelloni pubblicitari. Sono frutto di una sorta di riciclaggio delle turbine di prima generazione, la cui tecnologia, anziché andare in pensione, è stata applicata a questa innovativa modalità pubblicitaria. Ne sono già state acquistate circa 250, soprattutto in Germania e nel Regno Unito.

ROPATEC Srl via Zuegg 38/40 – 39100 Bolzano info@ropatec.com; tel. 0471052010 www.ropatec.com Segnalata nel 2009 nel settore Energie rinnovabili

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Un armadio... geotermico

La geotermia a bassa entalpia è la tecnologia che utilizza il calore naturale presente nel sottosuolo (o nell’acqua di falda) quale serbatoio termico per riscaldare e raffrescare gli edifici e per produrre acqua calda sanitaria. Si tratta di una fonte di energia inesauribile, diffusa, pulita, rinnovabile, che non emette CO2. E gratuita come sole, vento, maree. Fattore determinante è la stabilità della temperatura del sottosuolo: oltre i circa 5 metri di profondità (escluse le aree termali o vulcaniche) si aggira intorno ai 12-15 gradi costanti tutto l’anno, per cui permette di estrarre calore d’inverno per riscaldare un ambiente, e di cederlo durante l’estate per rinfrescare lo stesso ambiente. Un sistema geotermico a bassa entalpia in genere si compone di una sonda geotermica per captare il calore; di una pompa di calore geotermica per effettuare lo scambio di calore (e per produrre acqua calda fino a 65 gradi), sfruttando il principio alla base del funzionamento dei frigoriferi, ovvero la capacità di trasferire calore da un ambiente a un altro; infine un sistema di distribuzione domestico e di recupero e di accumulo del calore. La pompa di calore si presenta come un circuito chiuso all’interno del quale circola gas frigorigeno che permette lo scambio di calore tra due “zone” (una cedente e l’altra ricevente) per mezzo del suo cambiamento di stato, e porta così la temperatura al grado necessario al riscaldamento o raffrescamento, a seconda della stagione. Il vantaggio dell’uso della pompa di calore deriva dalla sua capacità di fornire più energia (sotto forma di calore) di quella elettrica impiegata per il suo funzionamento. Nel caso specifico di un sistema di geotermia a bassa entalpia, per ogni kW di energia elettrica consumato, la pompa di calore fornisce mediamente 4 kW termici. L’innovativa pompa geotermica realizzata da MyClima, Domus, in grado di fornire calore, raffrescamento estivo e acqua calda, ha il pregio, non secondario, di ridurre i problemi di spazio legati all’installazione di questa tecnologia. Grazie alle ridotte dimensioni, può tranquillamente essere collo-

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Domus, l’innovativa pompa geotermica di MyClima

cata all’interno di un armadio grande quanto un frigorifero. Oppure, alla stregua di un elettrodomestico, la si può installare a incasso, mantenendo l’accessibilità ai suoi componenti. È quindi ben inseribile anche in appartamenti che non dispongano di locali dedicati. Domus è dotata di un software, Galileus, che gestisce in maniera integrata la pompa di calore e il relativo sistema di termoregolazione d’impianto. D’estate Galileus regola il condizionamento dei locali utilizzando solo la sonda geotermica (posta a 80 e 100 metri di profondità) come scambiatore di calore, senza consumare energia per l’attivazione della pompa, salvo la necessità di saltuari interventi integrativi individuati dal sistema stesso. D’inverno, invece, il software gestisce l’integrazione di più fonti energetiche rinnovabili (dal solare termico, al termocamino a biomassa, alla caldaia, alla resistenza elettrica) dando priorità a quella a minor costo. Oltre a migliorare in modo significativo l’efficienza energetica di Domus, Galileus riesce quindi a sfruttare al meglio svariate fonti di energia rinnovabile. Il risparmio sui consumi di elettricità ottenuto ammonta a quasi il 15% rispetto ai sistemi con pompa di calore sprovvisti del software di gestione (che comunque in genere riducono dell’80% l’energia impiegata da impianti convenzionali). Una parte del risparmio viene dal cosiddetto freecooling, ovvero il raffrescamento a costo zero ottenuto utilizzando solo la sonda geotermica come scambiatore di calore con il suolo, senza attivazione della pompa. Per godere appieno dell’efficienza dell’impianto, l’azienda consiglia di installarlo in costruzioni di elevata classe energetica ossia con buona coibentazione e basso carico termico per evitare dispersioni, e con terminali d’impianto a bassa temperatura, al posto dei classici radiatori. Il costo di un impianto Domus a misura del fabbisogno energetico di un appartamento di 100-120 metri quadrati è di circa 15.000 euro (dei quali il 60% per la sonda). Domus gode della tariffa elettrica agevolata per le pompe di calore e ha beneficiato del 55% di credito d’imposta (in scadenza a fine 2011) per le installazioni realizzate nell’ambito di interventi di riqualificazione. Il prodotto non ha risentito della crisi economica, conferma

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l’ingegner Maurizio Fabbri, direttore commerciale del gruppo Fiorini Industries, poiché si tratta di un prodotto di nicchia con un target di acquirenti motivati. Il numero di Domus venduti e installati è di 150-200 all’anno. Gli investimenti fatti MyClima per sviluppare il prodotto sono stati recuperati. Ad oggi gli occupati sono otto. La facilità di installazione ha promosso nuova occupazione indiretta tra installatori, costruttori di sonde e perforatori. Un impianto geotermico, della potenza installata di 60 kW, è stato installato in una villa di pregio nel centro storico di Treviso, con una superficie utile netta di 1.077 metri quadrati. Assolve alla funzione di riscaldamento, raffrescamento e produzione di acqua calda uso sanitario per l’intera abitazione. Altre installazioni di rilievo sono state effettuate, nell’ambito della ristrutturazione in classe energetica A di un condominio di 26 alloggi in centro a Bologna con funzione di riscaldamento e raffrescamento, in una scuola materna a Desenzano del Garda (VR), in una scuola elementare a San Martino in Argine.

CIrcuiti interni alla pompa geotermica

MyClima Srl controllata da Fiorini Spa via Venzone 9 – 31100 Treviso info@myclima.it; tel. 0422301675 www.myclima.it Primo Premio nel 2010 nel settore Energia

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Il caldo che viene dal freddo

Posa delle sonde geotermiche

A differenza di quanto accade sulla superficie terrestre, come già ricordato in altre parti del volume, oltre i cinque metri di profondità la temperatura del sottosuolo si mantiene pressoché costante per tutto l’anno (dai 12 ai 15 gradi nelle zone non termali), rappresentando una sorta di giacimento energetico termico permanente e gratuito, dal quale è possibile estrarre calore d’inverno, cedendolo durante l’estate, per riscaldare e raffrescare, rispettivamente, il medesimo ambiente. Lo scambio di calore viene realizzato tramite pompe di calore abbinate a sonde geotermiche, sfruttando il principio della geotermia a bassa entalpia. Tra le aziende che progettano, producono e installano impianti di geotermia a bassa entalpia, la società Geotermia Srl, a partire dal 1999 ha accumulato una ricca esperienza di interventi in villette e abitazioni private, uffici, stabilimenti produttivi, magazzini, baite, aziende agricole, biblioteche, piscine, asili nido e scuole materne. Presso l’azienda di bio-agriturismo certificata Vojon, a Ponti sul Mincio (MN), gestita dalla moglie del titolare, nel 2007 Geotermia Srl ha completato la realizzazione del primo impianto integrato che, insieme alla geotermia a bassa entalpia, utilizza il solare fotovoltaico e termico, e la biomassa proveniente dagli scarti dell’azienda agricola. I 12 ettari dell’azienda Vojon comprendono infatti 5 ettari di vigneto, uno di uliveto e 1,5 di bosco, mentre il resto è seminativo. All’inizio era prevista anche una miniturbina eolica che però non è stata autorizzata dalla commissione paesistica comunale, “nonostante non impattasse sull’ambien-

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te”, sottolinea la proprietaria dell’azienda Silvana Monastero, che però non demorde: “Ce la farò!”. Le fonti si integrano e intervengono “in cascata”, (ovvero non contemporaneamente per coprire la medesima funzione), utilizzando sempre quella disponibile al minor costo. D’inverno, quando tramonta il sole e il fuoco della caldaia si spegne, per esempio, parte in automatico la geotermia. Il sistema garantisce all’azienda la piena autosufficienza rispetto all’intera gamma di fabbisogno di energia: quella termica per il riscaldamento degli edifici (1.200 metri quadrati di abitativo, 200 di saloni, 500 di cantine) e la produzione di acqua calda per usi sanitari e per la piscina coperta riscaldata, che verrà realizzata a fine 2011; quella frigorifera per il raffrescamento estivo e dei mosti di cantina; quella elettrica per tutti gli altri servizi. L’impianto svolge inoltre una non secondaria e positiva funzione educativa: le visite all’installazione fanno parte del programma che l’azienda offre ai propri ospiti e puntualmente riscuotono l’interesse dei visitatori proprio per l’integrazione delle varie fonti impiegate. Cuore dell’impianto per la produzione di acqua calda e fredda è un sistema di quattro sonde geotermiche verticali (a 120 metri di profondità) a scambio termico con il sottosuolo, integrate con pannelli solari termici e fotovoltaici, tutti collegati a una pompa di calore che durante l’inverno estrae il calore dal sottosuolo e lo invia agli edifici, mentre d’estate lo estrae dagli ambienti e lo invia al sottosuolo che funge così da “serbatoio termico”: immagazzina calore d’estate e lo cede d’inverno. La pompa di calore è affiancata da una caldaia a biomasse che brucia lo scarto legnoso proveniente dalle potature delle vigne, degli alberi da frutta e dalla manutenzione del bosco e dai confini alberati che proteggono i campi coltivati ad agricoltura biologica. I collettori solari “dialogano” con l’impianto geotermico in modo da poter utilizzare in ogni circostanza meteorologica anche più avversa la loro potenzialità termica. Durante la stagione invernale, quando la

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Veduta aerea dell’azienda di bio­ agriturismo Vojon

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temperatura esterna si abbassa drasticamente, o quando il cielo è coperto, per cui l’acqua nei collettori non può essere utilizzata per uno scambio termico diretto, viene sfruttata, anche solo per un grado di temperatura, per alimentare l’anello geotermico. I fabbisogni elettrici dell’azienda sono invece coperti da una pannellatura fotovoltaica che la titolare spera ancora di poter integrare, come da progetto iniziale, con un micro generatore eolico da 3 kW. Il sistema è dotato anche di un impianto di ricambio d’aria primaria, che preleva aria dal bosco adiacente recuperando il calore dell’aria “viziata” in uscita. L’impianto di illuminazione, va da sé, utilizza solo lampade a risparmio energetico. La gestione delle varie componenti dell’impianto integrato è affidata a un sistema domotico, che consente di accendere e spegnere il riscaldamento, o impostare la temperatura delle singole stanze, anche in remoto. Per non disperdere parte dei benefici energetici, anche la struttura in muratura dell’azienda è stata riqualificata con lavori di ristrutturazione ispirati al protocollo CasaClima di Bolzano. Il monitoraggio delle prestazioni del progetto, identificato dall’acronimo V.E.R.I.A. che sta per Vetrina energie rinnovabili integrate in agricoltura, è svolto dal Dipartimento di elettronica e informazione del Politecnico di Milano. Prima di brevettarlo, il sistema in funzione è stato monitorato per 24 mesi. L’uso esclusivo di fonti rinnovabili per coprire il fabbisogno termico (pari a 180.000 kWh) e quello elettrico (di 80.000 kWh) evita di bruciare 33,6 Tep/anno, risparmiando all’atmosfera 94.760 chilogrammi di anidride carbonica.

Geotermia Srl Strada dei Colli Nord 29/b – 46049 Volta Mantovana info@geotermiasrl.it; tel. 037688002, 0376808029 www.geotermiasrl.it Segnalata nel 2009 nel settore Energie rinnovabili

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Un impianto ibrido per edifici in classe energetica A+

Il sistema di climatizzazione invernale ed estivo e per la produzione di acqua calda Ies (Integrated Energy System), prodotto da Gruppo Imar, integra l’uso delle fonti di energia rinnovabile con le fonti fossili, con priorità alle rinnovabili. Date le sue caratteristiche di modularità e flessibilità, può essere configurato in base allo specifico contesto abitativo territoriale in cui è inserito e al risultato che si intende raggiungere. Nella configurazione più completa, Ies si compone di una stazione solare per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria, che integra un gruppo termico a condensazione con collettori solari; una pompa di calore per il raffrescamento estivo; una stufa a pellet; i collettori solari collegati alla stazione solare; pannelli fotovoltaici che forniscono l’energia elettrica necessaria al funzionamento della pompa di calore. Ies è predisposto per riconoscere in automatico quale delle fonti rinnovabili sia più conveniente da utilizzare a seconda delle condizioni climatiche esterne e interne e delle esigenze da soddisfare. Solo quando non è possibile soddisfare il fabbisogno energetico per il riscaldamento e la produzione di acqua calda con le rinnovabili, si attiva la caldaia a condensazione ad alto rendimento alimentata da fonti fossili. Dal punto di vista del contenimento dell’impatto ambientale, la precedenza data al contributo delle rinnovabili consente di ridurre i consumi energetici primari da fonte fossile in una percentuale che può raggiungere il 70% rispetto a sistemi di riscaldamento e raffrescamento convenzionali. Per valutare i risparmi conseguiti, il fattore da prendere in considerazione è il rapporto tra l’energia fossile primaria risparmiata e il costo delle singole fonti energetiche coinvolte, tenendo conto del rendimento di ogni singolo componente. Questo rapporto vede avvantaggiata l’energia solare (termica e fotovoltaica), seguita dalla biomassa (che è neutrale in relazione alla CO2: bruciando, restituisce quella sequestrata precedentemente). Rispetto alla pompa di calore, per avere vantaggi energetici relativamente all’utilizzo della fonte primaria fossile occorre che il coefficiente di prestazione (ossia il Cop, che è il rapporto tra il calore somministrato alla sorgente a tem-

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peratura più alta e il lavoro speso per fare ciò) sia superiore a 3. Poiché Ies è impostato per minimizzare i consumi energetici primari, ne consegue che questo sistema intelligente consente all’edificio in cui è installato di scalare la classifica energetica, per esempio passando dalla classe C alla A+, aumentando così anche il valore sul mercato dell’edificio. Ies è gestito tramite un’unica interfaccia. All’utente è richiesto solo di impostare il parametro della temperatura desiderata. Dopo di che, anche in base alla temperatura esterna, il system manager riconoscerà il tipo di climatizzazione necessaria e quale componente del sistema è più utile attivare in quel momento sia dal punto di vista del rendimento, sia della minimizzazione dei consumi energetici. I singoli componenti sono dotati di un’elettronica compatibile che li fa dialogare tra loro e che consente al dispositivo centrale di gestirli. Ies viene proposto come soluzione non solo per edifici nuovi, ma anche per gli edifici da riqualificare energeticamente. Essendo un sistema compatto, si adatta anche a unità abitative di ridotte dimensioni.

Il sistema Ies prodotto dal Gruppo Imar

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Affiancando alla produzione di caldaie degli inizi i sistemi di climatizzazione integrati, il Gruppo Imar, da oltre quarant’anni presente nel settore del riscaldamento domestico, ha scelto la strada dell’innovazione all’insegna della sostenibilità ambientale, con un occhio anche ai propri stabilimenti. “La fonderia che produce i corpi in ghisa delle caldaie ha un doppio circuito di depurazione e recupero dei fumi che cattura il 99,5% delle polveri prodotte, facendo sì che i valori di emissione siano molto al di sotto dei limiti di legge; e per i nostri sistemi di climatizzazione invernale ed estiva scegliamo componenti a basso impatto ambientale, come per esempio i corpi caldaia prodotti con 8 etti di ghisa per kW di potenza contro i 3,5 chilogrammi necessari a un tradizionale scambiatore”, dice l’ingegner Marco Corsini, direttore tecnico.

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Geotermia e sistemi integrati

Il Gruppo Imar di recente è diventato socio di Green Building Council Italia, l’associazione no profit sorta per diffondere una cultura dell’edilizia sostenibile. Gbc promuove il sistema di certificazione indipendente Leed (Leadership in Energy and Environmental Design), che fissa precisi criteri di progettazione e realizzazione di edifici salubri, energeticamente efficienti e a impatto ambientale contenuto. Il sistema di certificazione legato al marchio Leed stabilisce un valore di mercato per i green building (gli edifici verdi), stimola la competizione tra le imprese e incoraggia comportamenti di consumo consapevole anche tra gli utenti finali. “Condividiamo appieno la filosofia Gbc imperniata sui valori di sostenibilità ambientale e risparmio energetico in un settore così importante come quello dell’edilizia. Gli edifici in cui sono installati i nostri sistemi godono di un risparmio energetico consistente che porta a un miglioramento della classificazione energetica. Il nostro obiettivo è migliorare il clima del nostro mondo”, conclude Severino Corsini, rappresentante legale dell’azienda.

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Pompa di calore

Gruppo Imar Spa via Statale 82 – 25011 Ponte San Marco (BS) francescacarassai@gruppoimar.it; tel. 030963811 www.gruppoimar.it Segnalata nel 2011 nel settore Energia

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Uso di biomasse per la produzione di energia

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Energia rinnovabile dalle vigne

La produzione di grandi quantitativi di residui di potature delle viti presso le Cantine Giorgio Lungarotti non è più un problema. Una filiera agro-energetica integrata, a ciclo completamente chiuso all’interno dell’azienda vitivinicola umbra, li ha trasformati in risorsa: la biomassa ottenuta dalle potature, anziché essere smaltita, viene impiegata quale fonte rinnovabile per produrre energia per l’autoconsumo. Più precisamente, per i processi produttivi aziendali e per la climatizzazione di cantina e uffici, puntando a coprire, nella fase iniziale, i consumi termici per intero e il 30% del fabbisogno elettrico delle macchine frigorifere. Il progetto di filiera agro-energetica denominato “ERAASPV – Energia rinnovabile per le aziende agricole derivante da scarti di potature dei vigneti” è stato varato nel 2006 come progetto sperimentale (il primo in Italia di questo genere) con il cofinanziamento del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, e su progettazione e gestione da parte del Centro di ricerca sulle biomasse dell’Università di Perugia, diretto dal professor Franco Cotana, ordinario di Fisica Tecnica industriale, con l’obiettivo di sfruttare le biomasse residuali che non impegnano terreni agricoli al fine di ridurre il fabbisogno di importazioni dall’estero necessarie per far fronte agli obiettivi europei di consumo di biocombustibili. La fase sperimentale, dedicata soprattutto alla modifica dei macchinari esistenti e alla fabbricazione di nuovi (tutti made in Italy), si è conclusa a settembre 2008 con la realizzazione e il monitoraggio dell’impianto-pilota e il suo avvio. “La filiera”, spiega il dottor Gianluca Cavalaglio, responsabile tecnico del progetto per il Centro di Ricerca sulle Biomasse, “comprende la raccolta automatizzata delle potature dal terreno per mezzo di una macchina rotoimballatrice; lo stoccaggio delle rotoballe all’aperto fino alla loro essicazione naturale; segue lo sminuzzamento, “cippatura”, mediante un carro miscelatore opportunamente modificato; quindi la conversione energetica del cippato in una caldaia a

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Macchina roto­ imballatrice

olio diatermico di potenza pari a 400 kW; infine la produzione, per mezzo di scambiatori, di acqua calda a 80 gradi per l’impianto di riscaldamento invernale e di acqua a 95 gradi e vapore per la sterilizzazione delle bottiglie, nonché, per mezzo di un gruppo frigorifero ad assorbimento, la produzione di acqua refrigerata a meno 10 gradi per il condizionamento delle botti d’acciaio”. Durante la fase di sperimentazione, l’azienda Lungarotti è riuscita a incrementare e ottimizzare il volume degli scarti raccolti e ha raggiunto un notevole livello di produttività a costi contenuti. In alcuni terreni si riesce a raccogliere fino a 1,25 tonnellate per ettaro di biomassa, con una percentuale di umidità del 40%. Ciò consente all’azienda di avere a disposizione per usi energetici oltre 200 ton/anno di biomassa. Attualmente la produzione energetica corrisponde a 720 MWh/anno. Ma l’obiettivo finale è di arrivare alla completa autonomia energetica dell’azienda. Al momento sono allo studio sia l’integrazione di nuove macchine frigorifere ad assorbimento in grado di trasformare in acqua refrigerata l’energia termica ottenuta dall’impianto a biomasse abbassando a meno 10 gradi la temperatura di 200 gradi che si raggiunge con la caldaia, sia l’installazione di una mini turbina a olio diatermico per la produzione supplementare di elettricità per autoconsumo, a copertura totale del fabbisogno energetico dell’azienda. Questo ciclo energetico chiuso, che sfrutta biomassa letteralmente a chilometro zero, produce benefici economici e ambientali legati, in prima linea, alla mancata combustione di fossili, per l’esattezza circa 28.000 litri/anno di

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Uso di biomasse per la produzione di energia

gasolio, 5.000 litri/anno di GPL, oltre a 80.000 kWh/anno di energia elettrica. In tutto, si abbattono circa 100 ton/anno di CO2. Il risparmio economico per l’azienda, sottratte le spese di gestione e considerato il ricavo proveniente dalla vendita di certificati bianchi, si aggira intorno ai 30.000 euro l’anno. Senza i finanziamenti ottenuti dall’azienda per la realizzazione dell’impianto, il costo di realizzazione del sistema si ammortizza comunque in 8-9 anni. Attivando questo innovativo processo produttivo, insieme agli effetti positivi diretti sul bilancio dell’azienda che vede ridursi la bolletta energetica, se ne hanno di indiretti nel settore industriale di produzione di impianti e macchinari ad hoc, con un potenziale elevato di diffusione e conseguenti benefici anche occupazionali. Si tratta infatti di un progetto replicabile nelle numerose aziende dell’importante comparto vitivinicolo italiano, che può così contribuire alla produzione di energia pulita da fonti rinnovabili, trasformando rifiuti da produzione in biocombustibile a basso impatto.

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Fase della cippatura con carro miscelatore

L’impianto ha sollevato enorme attenzione nel settore: sono innumerevoli le aziende umbre, toscane, piemontesi, siciliane, pugliesi e marchigiane che lo hanno visitato manifestando interesse a realizzarne uno analogo. Tra le delegazioni estere, una messicana (con importanti esponenti politici), una scandinava e una in rappresentanza del progetto di ricerca europeo BEN (Biomass Energy Network), del quale è partner il Centro per la ricerca sulle biomasse di Perugia.

Cantine Giorgio Lungarotti Srl via Mario Angeloni 16 – 06089 Torgiano lungarotti@lungarotti.it; tel. 075988661 www.lungarotti.it Primo Premio nel 2009 nel settore Energie rinnovabili

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La trigenerazione a tutto biogas

La legislazione europea in campo energetico assegna alle bioenergie un ruolo significativo per soddisfare i fabbisogni di elettricità, calore e carburanti alternativi. Per le aziende agricole lo sfruttamento delle bioenergie costituisce un’opportunità di integrazione del reddito da attività produttive. Qualora la fonte rinnovabile impiegata siano scarti di lavorazione (letame, cippato da potature e residui agroalimentari), rappresenta anche una soluzione per ridurre la quantità dei rifiuti da smaltire. Nel bilancio ambientale finale occorre però tenere conto sia della disponibilità di risorse bioenergetiche presenti sul territorio (per contenere gli impatti legati al trasporto della biomassa), sia dell’incidenza sulla produzione agricola e gli ecosistemi, in relazione al metodo di coltivazione adottato e nel caso di produzioni dedicate. Un’azienda che si è distinta nel campo del corretto uso delle bioenergie a chilometro zero è la tenuta agricola La Fachetta, situata all’interno del Parco regionale La Mandria, in provincia di Torino, un’area di 3.000 ettari a tutela di un pezzo della foresta planiziale che un tempo ricopriva l’intera Pianura Padana, riconosciuto come Sito di interesse comunitario. Per la copertura del proprio fabbisogno energetico l’azienda si avvale di un impianto di trigenerazione alimentato da biomassa e scarti aziendali prodotti entro un raggio di 3 chilometri e mezzo, finalizzato alla produzione e valorizzazione di biogas. La produzione di biogas, da progetto, è di 2.700.000 metri cubi/ anno, la potenza elettrica installata e quella termica recuperabile sono entrambe di 660 kW (al momento di 330 kW, ma in attesa dell’autorizzazione per l’avvio del secondo motore). Alla domanda come gli è venuta l’idea di realizzare questo impianto, che a novembre 2011 ha compiuto un anno, Riccardo Ferrero, proprietario della tenuta, risponde: “Volevo dare valore aggiunto all’azienda: l’impianto deve stare in piedi economicamente, e la legislazione attuale consente di vendere l’elettricità prodotta a 28 centesimi il kWh. Secondo punto: la tenuta è autosufficiente per l’approvvigionamento della biomassa necessaria. Il no-

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Uso di biomasse per la produzione di energia

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stro impianto è più piccolo di altri, ma è dimensionato rispetto all’azienda, così non corro il rischio di soggiacere ai prezzi altalenanti delle materie prime, mentre ho venduto mais a impianti esterni al mio. Io sfrutto al massimo i sottoprodotti dell’attività agrozootecnica aziendale, così elimino i costi di trasporto. Trovo eticamente quasi scorretto condurre questi impianti solo con prodotti destinati all’alimentazione. Noi abbiamo stalle, utilizziamo gli sfalci d’erba. Il 60% della biomassa che usiamo è sottoprodotto zootecnico: letame e liquami; il restante 40% sono insilati di mais e triticale, che coltiviamo in successione per completare il ciclo produttivo”. All’interno dei tre fermentatori, il processo di produzione del biogas viene innescato dai metanobatteri, microrganismi anaerobici metanigeni che vivono e si riproducono in assenza di ossigeno, e producono metano come risultato della loro azione di decomposizione della materia organica. I principali risultati del processo sono: produzione di metano e di fertilizzante (humus); abbattimento del carico inquinante del letame responsabile della formazione di cattivi odori, e stabilizzazione della frazione solida; recupero dell’acqua contenuta nella biomassa digerita da destinarsi, per esempio, a scopi irrigui. “Questo processo ci consente di ridurre l’uso dei concimi chimici”, osserva Ferrero, “perché il digestato che esce dal processo di fermentazione è ricco di sostanze nutrienti, non fa cattivo odore ed è purificato dalla presenza di batteri patogeni. Anche in questo caso il dimensionamento dell’impianto gioca a nostro favore, perché per legge non si possono spandere più di 340 chilogrammi di azoto per ettaro. E noi abbiamo terreni sufficienti per spandere il doppio di quanto ricaviamo”. La valorizzazione del biogas avviene in un impianto di cogenerazione dotato di motori a combustione che azionano un generatore di corrente elettrica. Inoltre sono forniti di scambiatori di calore che permettono di recu-

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Rendering dell’impianto a biogas dell’azienda agricola La Falchetta

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Particolare dell’impianto

perare e sfruttare quello prodotto dal funzionamento dei motori. Il calore ottenuto serve per il 10% circa a mantenere costante la temperatura nei fermentatori, e per il resto a riscaldare i fabbricati della tenuta. “Tramite una mini rete di teleriscaldamento interrata e coibentata, con l’acqua calda che ricaviamo dal calore generato dal motore riscaldiamo uffici, magazzini, le abitazioni nostre e dei dipendenti. Mentre d’estate, un sistema di assorbitori trasforma il calore in sovrappiù in raffrescamento degli ambienti”, spiega Ferrero. Ipotizzando una media di 8.200 ore annue di funzionamento dell’impianto di cogenerazione (da cui sottrarne 460 di fermo per manutenzione), il bilancio energetico, da progetto, presenta una produzione annua di circa 5 GWh/anno termiche e circa 5 GWh/anno elettriche, delle quali un 10% è assorbito dall’autoconsumo per far funzionare l’impianto, mentre il resto viene ceduto alla rete. Il risultato economico, dato dalla differenza tra i ricavi che derivano dalla cessione dell’energia elettrica e i costi di realizzazione e gestione dell’impianto, porta a stimare in 4-5 anni il tempo di ammortamento. Con questo impianto nel 2011 la tenuta La Falcetta si è classificata prima nel Premio migliori pratiche Bioenergy Italy 2011 (Settore aziende filiera biogas).

Azienda Agricola Riccardo Ferrero Tenuta La Falchetta S.p. 1 km 16,500 (Parco La Mandria) 10040 Druento (TO)

info@lafalchetta.com; tel. 0119235143 www.lafalchetta.com Segnalata nel 2011 nel settore Energia

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Biocarburanti

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Parla italiano il bioetanolo di seconda generazione

La Direttiva sulle energie rinnovabili 2009/28/CE dell’Unione europea impone, al 2020, di soddisfare il 10% dei consumi di energia nei trasporti con fonti rinnovabili; mentre la Direttiva sulla qualità dei combustibili 2009/30/ CE fissa l’obbligo di ridurre, entro il 2020, del 6% l’intensità delle emissioni di gas serra causate dai carburanti utilizzati nei trasporti. Per il raggiungimento di questi obiettivi, oltre che dai veicoli elettrici, ci si aspetta un contributo significativo dai biocarburanti, che si inseriscono nel noto dibattito intorno al conflitto tra produzione agricola a fini alimentari e produzione agro-energetica. In quali condizioni è possibile produrre biocarburanti in maniera sostenibile e non in antagonismo con la produzione di cibo? A questa domanda ha provato a rispondere il progetto PRO.E.SA (Produzione di etanolo da biomassa lignocellulosica con pretrattamento termo-meccanico) condotto da Chemtex Italia del Gruppo Mossi&Ghisolfi, offrendo una soluzione ambientalmente ed economicamente sostenibile per il raggiungimento degli obiettivi europei: si tratta del primo impianto industriale al mondo per la produzione di bioetanolo di seconda generazione attraverso l’impiego di biomassa ligno-cellulosica. Il programma di ricerca sull’etanolo da biomassa è stato avviato nel 2006, con una dotazione complessiva di 120 milioni di euro (15 dei quali messi a disposizione dalla Regione Piemonte) e ha coinvolto, tra gli altri, il Politecnico di Torino ed Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile). Terminate le attività di ricerca preliminari nel laboratorio del gruppo a Rivalta Scrivia, nel 2009 è stato avviato un impianto-pilota per la produzione in continuo di bioetanolo, con l’obiettivo di dimostrare su basi scientifiche la validità di questa innovativa tecnologia. Conclusa anche questa fase, ad aprile del 2011 a Crescentino (in provincia di Vercelli) è stata posata la prima pietra della costruzione dell’impianto dimostrativo, che avrà una capacità produttiva nominale di 40.000 tonnellate/anno. Toccherà a questo

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Il laboratorio di Chemtex a Rivalta Scrivia

impianto dimostrare su scala commerciale la fattibilità dell’intero processo produttivo. La chiusura dei cantieri e l’inizio della produzione di bioetanolo di seconda generazione è prevista entro il 2012. Se tutto andrà secondo la tabella di marcia programmata, “si produrrà biocarburante ambientalmente sostenibile con tre anni di anticipo rispetto alle previsioni contenute nella Bue Map della IEA (International Energy Agency, l’Agenzia internazionale dell’energia)”, sottolinea l’ingegnere Giuseppe Fano, corporate director del Gruppo M&G, “e quello di Crescentino sarà il primo e più grande impianto al mondo a produrre bioetanolo di seconda generazione”. Quanto a venderlo per miscelarlo nei carburanti la M&G ha già in mano una lettera d’intenti firmata da una delle maggiori compagnie petrolifere per l’acquisto dell’intera produzione di bioetanolo. La gamma di biomassa che verrà utilizzata è varia: comprende paglie di fieno, di riso, di frumento e residui non edibili del mais (stocco e tutolo), in altre parole tutto residuale da agricoltura. Per l’impianto di Crescentino, tra le essenze testate, è stata scelta anche una linea di coltivazione dedicata, precisamente la canna comune (Arundo donax L.), una specie autoctona che richiede un impiego modesto di acqua e fertilizzanti e che, dalle prove in campo, è risultata avere un’alta resa: fino a 40 tonnellate secche di media per ettaro, che si traducono in circa 10 tonnellate di bioetanolo per ettaro.

Centro ricerche Rivalta Scrivia

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Il principio alla base della sostenibilità ambientale del bioetanolo prodotto da Chemtex riguarda il bilancio della CO2 rilasciata durante l’intero ciclo, dalla coltivazione della biomassa, al trasporto, al processo di lavorazione e produzione del biocarburante. Come spiega l’ingegner Fano, bruciare biocarburante nel motore di un veicolo comporta l’emissione di anidride carbonica esattamente come quando si brucia benzina. La differenza sul bilancio finale di CO2 è però enorme:

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Biocarburanti

se si brucia il biocarburante, si libera la CO2 che prima di essere fissata nella biomassa attraverso il processo di fotosintesi era disponibile in atmosfera; al contrario, nel caso della benzina, si libera CO2 che prima era nel sottosuolo, dove è stata sequestrata milioni di anni fa dalle piante che si sono trasformate in petrolio. Nel secondo scenario si ha quindi un’aggiunta di anidride carbonica in atmosfera; nel primo il bilancio invece è neutro. Ma c’è di più: per produrre i biocarburanti si consuma energia, dalla coltivazione della biomassa alla raccolta, al trasporto, alla trasformazione industriale. “E per osservare l’obbligo UE di almeno un 10% di biocarburante nella benzina al 2020, non saranno conteggiabili quei biocarburanti che, al 2017, non siano in grado di ridurre almeno del 50% le emissioni di CO2 rispetto ai combustibili fossili, percentuale che si innalza al 60% per i nuovi impianti e costituirà la soglia minima di capacità di sequestro dei gas clima-alteranti dal 1° gennaio 2018”, sottolinea l’ingegner Fano. “A questo proposito il bioetanolo prodotto nell’impianto pilota dimostrativo di Rivalta Scrivia, nella valutazione del Life Cycle Assesment (LCA) svolta da Enea sull’intero ciclo produttivo, ha evidenziato una capacità di riduzione della CO2 e dei gas clima-alteranti superiore al 70%”, conclude l’ingegner Fano.

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Arundo donax

L’impianto di Crescentino impiegherà circa 100 addetti. Ricadute occupazionali positive sono attese però su tutto l’indotto che si verrà a creare nella fase operativa.

Chemtex Italia Srl – Gruppo Mossi&Ghisolfi Strada Ribrocca, 11 – 15057 Tortona (AL) sivia.sacco@gruppomg.com; tel. 01318101 www.gruppomg.com; www.chemtex.com Segnalata nel 2009 nel settore Energie rinnovabili e nel 2010 nel settore Energia

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Riduzione produzione di rifiuti

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L’ospedale a imballo zero

Fra aghi, bende e rifiuti organici di varia natura (compresi parti anatomiche e sangue), gli ospedali italiani ogni anno producono quasi 150.000 tonnellate di rifiuti. Il Sistema integrato di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti sanitari ospedalieri messo a punto da Mengozzi Spa, un’azienda attiva da vent’anni in questo settore, è nato per gestire il rifiuto dalla “culla alla tomba” garantendo in ogni fase il necessario livello di sicurezza sanitaria. Si basa sull’uso di una linea dedicata di contenitori per rifiuti sanitari in plastica rigidi e poli-uso, detta System. Dopo dodici utilizzi i contenitori sono sottoposti a un processo di triturazione e successivo riciclo del materiale ottenuto per la produzione di nuovi contenitori, con l’aggiunta di una minima parte di materiale vergine. I rifiuti sanitari vengono conferiti in un termovalorizzatore, detto eco-inceneritore, poiché, come attesta l’autorizzazione al funzionamento, rispetto ai parametri della normativa italiana riduce del 70% le emissioni (ulteriormente ridotte circa del 50%, come puntualizza Milena Mugnai, presidente di Mengozzi Spa), sfrutta l’energia termica per la produzione di elettricità e recupera e riutilizza le acque (industriali, non potabilizzate) impiegate nello stadio di abbattimento a umido dei fumi. Il Sistema integrato Mengozzi è già stato adottato da una sessantina di ospedali italiani del centro-nord, tra cui l’Istituto europeo di oncologia a Milano e Le Molinette a Torino. Si stima che abbia permesso di risparmiare milioni di contenitori in cartone a perdere da 40 o 60 litri, contribuendo a ridurre di circa il 20% il volume dei rifiuti da imballaggio da smaltire nei termovalorizzatori, per un risparmio di 22.000 tonnellate di petrolio per far funzionare gli inceneritori e conseguente diminuzione anche delle emissioni di CO2. Il contenuto innovativo del sistema è riassumibile con il concetto di “ciclo continuo”, che è il principio applicato sia a tutte le fasi di gestione del rifiuto, sia ai contenitori, continuamente rimessi in circolo dopo un’opportuna sanificazione entro i primi dodici cicli di uso, e poi riciclati a fine ciclo di vita per produrne di nuovi. La continuità contraddistingue anche l’attività degli impianti del Sistema integrato “round the clock”, 24 ore su

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24, per 365 giorni all’anno: la doppia linea ne garantisce il funzionamento anche in occasione degli interventi di manutenzione svolti alternativamente su una linea o l’altra. Un altro elemento di innovazione è il codice a barre stampato sui contenitori che consente di ricostruire i percorsi effettuati dai rifiuti trasportati, fino a risalire all’entità dei rifiuti prodotti dai singoli reparti di ogni ospedale convenzionato. Uno strumento utilissimo ed efficace per contrastare il pericolo di dispersione nell’ambiente. Dal momento che i contenitori sono fabbricati con materiale riciclabile, in parte già riciclato, permettono agli ospedali che li adottano di rispettare le direttive sul Green Public Procurement (gli acquisti verdi della pubblica amministrazione).

Movimentazione dei contenitori per rifiuti ospedalieri

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L’utilizzo del Sistema integrato comporta benefici non solo ambientali ma anche economici, sottolinea Milena Mugnai: “Un ospedale di medie dimensioni, sui 750-800 posti letto, arriva a risparmiare fino a 100.000 euro l’anno grazie a questo sistema di raccolta che prevede una corretta individuazione e separazione dei rifiuti già in corsia e un conseguente minore costo di smaltimento successivo. Costo diminuito anche dalla riutilizzabilità del contenitore, che non diviene mai rifiuto da smaltire. Una scelta che fa scendere del 1520% in peso la massa dei rifiuti da termovalorizzare, nel rispetto della direttiva europea che impone una diminuzione a monte della produzione di rifiuti”. Dal punto di vista occupazionale, la realizzazione a Forlì degli impianti del Sistema integrato ha creato 150 posti di lavoro nel territorio, oltre ad aver

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Riduzione produzione di rifiuti

messo in moto l’indotto di fornitori e operatori vari (per esempio gli addetti alla manutenzione). Il Sistema integrato viene portato a conoscenza delle strutture sanitarie come modello di “Ospedale a imballo zero”, i cui ingredienti sono: la già citata raccolta differenziata in corsia, formazione al personale sanitario per evitare che facciano confusione fra rifiuti sanitari “speciali” e spazzatura ordinaria, “pattumiere” e contenitori da trasporto riciclabili, e l’eco-inceneritore a fine ciclo raccolta su descritto. Il principio-guida è ridurre la “taglia” dei rifiuti da incenerire seguendo due vie: formazione al personale per ridurre al minimo gli errori nella differenziazione, e uso dei contenitori realizzati con materiale rigenerato, e riutilizzabili, previa procedura di lavaggio, disinfezione e sanificazione dopo ogni ciclo d’uso. La raccolta dei rifiuti avviene reparto per reparto; a ogni categoria di rifiuto viene assegnato un contenitore.

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Contenitori poli-uso System in materiale rigenerato

Mengozzi Spa ha la registrazione Emas ed è certificata ISO 9001:2008, ISO 14001:2004, BS OHSAS 18001:2007 (per la sicurezza sul lavoro) e EPD-P-0014, che rappresenta uno standard internazionale di certificazione basato sulla analisi del ciclo di vita di un prodotto o servizio, ossia sulla valutazione e il calcolo di tutti gli impatti ambientali derivati dalla fase produttiva e gestionale. Mengozzi Spa risulta essere la prima azienda al mondo in cui la certificazione EPD sia stata applicata all’intero sistema di gestione dei rifiuti sanitari: raccolta, trasporto, trattamento e smaltimento.

Mengozzi Spa via Nicola Sacco 25 – 47122 Forlì contatti@mengozzi.com; tel. 0543724562 www.mengozzi.com Primo Premio nel 2011 nel settore Servizi e prodotti innovativi

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Compostiamoci bene

La gerarchia per la gestione dei rifiuti solidi urbani fissata dall’Unione europea con la Direttiva 2008/98/CE vede al primo posto la prevenzione della produzione dei rifiuti. Una priorità, questa, che anima il progetto integrato “Riduciamo i rifiuti in città” avviato a Brescia da Aprica Spa del Gruppo A2A nel gennaio 2010, e articolato in undici azioni monitorate sistematicamente per valutarne i risultati. La prima delle sei azioni avviate punta alla riduzione degli imballaggi nella grande distribuzione attraverso la vendita di prodotti alla spina. Al progetto hanno aderito Coop Lombardia, con detersivi per piatti e lavatrici venduti sciolti tramite erogatori, e il gruppo Simply-Sma, che ha aggiunto cereali, caramelle, frutta secca e cibo per animali. La quota di detersivi alla spina venduta è del 40% sul totale. A metà 2011 si erano risparmiate oltre 8 tonnellate di imballaggi. La seconda azione riguarda il recupero, presso Coop e Simply-Sma, dell’invenduto alimentare. Questa voce ha una connotazione etica, oltre che ambientale, basti pensare che ogni anno dall’1 al 2 % di ortofrutta viene gestito, nella distribuzione, come rifiuto (109.617 tonnellate nel 2009). Annualmente nelle attività commerciali presenti in Italia vanno buttate 263.645 tonnellate di prodotti alimentari. A questo si aggiungono gli sprechi nella filiera produttiva e agroindustriale, nonché nel consumo domestico: secondo l’associazione di consumatori Adoc, le famiglie italiane buttano circa il 17% dei prodotti ortofrutticoli e il 35% di carne, uova, latte, formaggi (dati tratti da Il libro nero dello spreco in Italia: il cibo, a cura di Andrea Segrè e Luca Falasconi, Edizioni Ambiente). A fine luglio le tonnellate di cibo recuperate destinate a persone svantaggiate ammontavano a 113. La terza azione, “Compostiamoci bene”, è dedicata alla promozione del compostaggio domestico: insieme alla bolletta per il pagamento della tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, è stata inviata una lettera

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Riduzione produzione di rifiuti

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con un buono per l’acquisto, a soli 24 euro, di una compostiera da 300 litri completa di buste di attivatore della fermentazione, secchiello, guanti da giardinaggio e sacchetto di compost (valore totale: circa 100 euro), ritirabile presso 4 florovivaisti cittadini. A metà 2011 avevano aderito 1.371 famiglie; 518 le tonnellate di rifiuti compostate stimate. Quarta azione: in collaborazione con l’associazione di donne EVA è stata lanciata la campagna “Pannolino amico” per la diffusione dei pannolini lavabili per neonati. Da marzo 2010 a maggio 2011 avevano aderito 246 neomamme (l’11% del totale). La consegna del buono per l’acquisto scontato del kit (pannolini lavabili e tre mutandine in cotone con una impermeabilizzazione in poliestere naturale) a 25 euro anziché 125, avviene durante gli incontri dimostrativi organizzati da EVA. Si stima che tre anni di pannolini convenzionali costino oltre 1.200 euro. I rifiuti evitati in 15 mesi sono stimati in circa 50 tonnellate. Per ridurre gli imballaggi per alimenti freschi, ad aprile 2011 è partita l’azione “spesa in cassetta di prodotti biologici a filiera corta”, con possibilità di consegna a domicilio. Il marchio scelto è Cortobio per contraddistinguere la produzione biologica certificata locale. A fine giugno avevano aderito circa 200 famiglie. Le cassette per il trasporto dal campo al cliente sono riutilizzabili. Nelle “Giornate del riuso”, organizzate in collaborazione con nove oratori parrocchiali, lo scambio dei beni ha visto il 70% di vestiario, scarpe, attrezzi sportivi, sci, scarponi, libri, piccoli elettrodomestici, computer, radio, lettori dvd, tutti funzionanti, cambiare padrone invece di finire tra i rifiuti (ridotti per circa 10 tonnellate). La fase 2 del progetto, prevista per il 2012, prevede cinque nuove azioni: promozione nella grande distribuzione, attraverso apposita segnaletica, di prodotti a basso imballaggio, da selezionare in collaborazione con Conai (riduzione di rifiuti attesa: 20 tonnellate di imballaggi all’anno);

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Vendita di detersivi sfusi alla spina

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Farm Delivery

sostegno al consumo di acqua alla spina (in alternativa all’acqua minerale in bottiglia) in mense aziendali, ristoranti e scuole non comunali (il Comune ha attivato un progetto simile nelle proprie scuole); riduzione del consumo di carta in un migliaio di uffici, sia con accorgimenti tecnici, sia con campagne di sensibilizzazione per la stampa fronte-retro, il riuso dei fogli, la modifica dei metodi di archiviazione (riduzione di rifiuti attesa: circa 30 tonnellate all’anno); promozione dei farmers’ market biologici a chilometro zero con riduzione degli imballaggi; diminuzione della distribuzione di materiale pubblicitario nelle caselle della posta condominiali. Il progetto “Riduciamo i rifiuti in città” è inserito nel piano di azione per la riduzione dei rifiuti adottato e cofinanziato dalla Regione Lombardia. I test su Brescia servono per definire gli indirizzi regionali. Sui primi sei progetti A2A ha investito 300.000 euro, la Regione 156.000; alle 5 nuove azioni del 2012 ne sono stati destinati 300.000. Nell’edizione 2009 del premio, Aprica Spa è stata segnalata per la realizzazione di un impianto che, attraverso un sistema di lavaggio dei rifiuti da spazzamento delle strade (pari al 5-10% del totale dei rifiuti solidi urbani), consente di recuperare sabbia, ghiaietto e ghiaia di qualità certificata, riducendo lo smaltimento in discarica e l’attività di cava. L’indice di rendimento dell’investimento, il ROI, è pari al 20%. Stimando prudenzialmente in 1,5 migliaia di tonnellate i rifiuti da spazzamento stradale raccolti in Italia, Aprica ha valutato un potenziale di circa 40-50 impianti, che diminuirebbero la realizzazione di una-due discariche l’anno.

Aprica Spa del Gruppo A2A Spa Via Lamarmora 230 – 25124 Brescia info@a2a.eu; tel. 03035531 www.riduciamoirifiuti.bs.it; www.aprica.it; www.a2a.eu Segnalata nel 2009 e nel 2010 nel settore Rifiuti

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Prevenire, partecipare e comunicare

La cooperativa ERICA è nata nel 1996 da un’esperienza drammatica, come ricorda il suo presidente Roberto Cavallo: “Due anni prima il territorio in cui operiamo era stato devastato dall’alluvione che aveva colpito il sud del Piemonte lasciandosi alle spalle vittime e danni materiali. Ma oggi, a quindici anni di distanza, possiamo affermare senza falsa modestia di essere un’azienda leader in Italia e in Europa per la consulenza alle amministrazioni pubbliche per la gestione integrata dei rifiuti”. Senza dubbio la cooperativa, certificata ISO 9001 e 14001, rappresenta un esempio positivo di attività svolte a tutela dell’ambiente in grado di reggersi economicamente e di creare occupazione. Dà infatti lavoro a 56 persone (l’80% sotto i 35 anni d’età e il 46% donne), suddivise in due macroaree: una tecnica dedicata quasi esclusivamente alla progettazione di nuovi servizi di raccolta domiciliare dei rifiuti solidi urbani; l’altra che si occupa dei servizi di comunicazione ambientale rivolti alla popolazione e alle scuole. I progetti sono affidati di regola a un gruppo di lavoro multidisciplinare (bandito l’“esperto solo al comando”), che comprende al suo interno la figura di un tecnico anche per progetti prettamente di comunicazione, e che triangola con i committenti pubblici e privati e i cittadini. “In questa triangolazione è la comunicazione, intesa nel senso etimologico di ‘mettere in comune’, il catalizzatore che permette di raggiungere i risultati attesi dalla realizzazione del progetto”, spiega Cavallo. Per questo ai clienti chiedono di investire tempo e risorse in processi partecipativi intesi come parte integrante dei progetti, momen-

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Compostiera automatica

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La compostiera è utilizzabile anche da disabili su carrozzella

ti di confronto e a volte di scontro, sempre occasioni di scambio e di arricchimento dell’ipotesi progettuale iniziale. I risultati ambientali non sono mancati: “I comuni che hanno accompagnato con processi partecipativi l’introduzione della raccolta differenziata dei rifiuti domestici fin dalla progettazione hanno scalato le classifiche annuali dei comuni “Ricicloni” stilate da Legambiente, arrivando a superare la percentuale di differenziazione dell’80%, come nel caso di Villafranca d’Asti, Marene, Piossasco e Dogliani in Piemonte, Capri e Ottaviano in Campania, Alcamo, Calatafimi-Segesta e Castelbuono in Sicilia”, esemplifica Cavallo. Anche sul fronte economico i risultati ottenuti dalla cooperativa sono più che confortanti, soprattutto in tempi di crisi: il fatturato nel 2010 ha superato la soglia di 1.600.000 euro, per oltre il 90% dovuti alle progettazioni di servizi di raccolta domiciliare degli Rsu e alle campagne di comunicazione ambientale. La nuova sfida si chiama prevenzione della produzione dei rifiuti, puntando su compostaggio individuale e collettivo, vendita di prodotti sfusi, pannolini per bambino lavabili, limitazione della posta commerciale, riuso di oggetti, mobili o abiti dismessi, servizi al posto di beni usa-e-getta. “Su queste basi decine di comuni piemontesi che seguiamo oggi gestiscono meno di 60 chilogrammi di rifiuti per abitante l’anno contro i 300 del passato”, sottolinea Cavallo, che sul tema ha scritto il libro Meno 100 chili. Ricette per la dieta della nostra pattumiera (Edizioni Ambiente, 2011). “La prevenzione è il concetto guida del futuro, dai rifiuti, al consumo di energia, ai rischi naturali. Prevenire significa rendere efficiente l’uso delle risorse e diminuire i costi per le comunità, ingredienti chiave di una innovativa economia ambientale”. Ridurre a monte la produzione di rifiuti significa ridurre anche i gas serra: il conferimento in discarica di una tonnellata di Rsu comporta infatti l’emissione di 1,7 tonnellate di CO2. Come biglietto da visita dei risultati ottenuti, ERICA presenta i bilanci di tre consorzi piemontesi e tre comuni liguri per i quali ha eseguito la progettazione e/o l’attività di comunicazione del servizio di raccolta differenziata (anche con sistema domiciliare porta-porta):

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Riduzione produzione di rifiuti

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• il Consorzio CBRA in provincia di Asti dal 2002 al 2009 ha ridotto i rifiuti di 15.808,8 tonnellate (pari a meno 26. 874,9 tonnellate di CO2 eq); • il Consorzio COVAR in provincia di Torino dal 2004 al 2009 li ha diminuiti di 20.226,1 tonnellate (corrispondenti a meno 42.620 tonnellate di CO2 eq); • il Consorzio CSEA in provincia di Cuneo dal 2005 al 2010 li ha ridotti di 6.419,9 tonnellate (fa meno 10.913,9 tonnellate di CO2 eq); • Pietra Ligure dal 2007 al 2009 è scesa di 2.718,1 tonnellate di rifiuti (corrispondenti a meno 4620,8 tonnellate di CO2 eq); • Albenga dal 2006 al 2009 ha registrato 3.765,7 tonnellate di rifiuti in meno (fa 6.401,7 tonnellate risparmiate di CO2 eq); • Camporosso dal 2006 al 2009 è scesa di 1.495,1 tonnellate di rifiuti prodotti (con un risparmio di 2541,6 tonnellate di CO2 eq). Per il compostaggio collettivo di scarti di cucina ERICA propone l’adozione di una compostiera svedese in grado di trattare 20 t/anno di rifiuti organici (più o meno la produzione di circa 250 abitanti) trasformandoli in compost di qualità in circa 6-8 settimane. In Italia è in funzione presso una decina di comuni, tra cui Cuccaro Vetere (Sa) e Capannori (il comune in provincia di Lucca noto per aver fatto della gestione dei rifiuti una fonte di integrazione dei fondi comunali), che utilizza il fertilizzante ottenuto per concimare le aree verdi. Nella compostiera (di 1,17 metri di altezza per 3 di lunghezza) il vano in cui inserire i rifiuti organici è accessibile anche a persone portatrici di handicap in carrozzella.

ERICA soc. coop. Educazione ricerca informazione comunicazione ambientale via Santa Margherita 26 – 12051 Alba (CN) presidenza@cooperica.it www.cooperica.it Segnalata nel 2011 nel settore Rifiuti

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L’imballaggio che riduce plastica e CO2

La voce degli imballaggi è una delle più critiche a carico delle nostre pattumiere e dell’ambiente. E nel settore produttivo incide anche sui costi aziendali. Il Dossier 2010 “La prevenzione ecoefficiente” di Conai (Consorzio nazionale imballaggi), pubblicato in collaborazione con il GruppoSole24Ore, presenta 72 soluzioni di packaging realizzate tra il 2008 e il 2010 da 42 aziende e oltre 130 azioni di prevenzione che hanno ridotto le emissioni di CO2 di più del 30%. A riprova dell’accresciuto impegno per l’ambiente dell’industria, in linea, del resto, con un incremento della domanda in questo senso da parte dei consumatori, il 70% delle aziende citate presenta un sistema di gestione ambientale certificato, e mostra una crescente propensione ad agire in una prospettiva di ciclo di vita del manufatto, dall’estrazione delle materie prime al fine vita del packaging.

La tanica Polyonbox e la Bag Volflex riducono gli imballaggi

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Per questa quarta edizione del dossier, Conai si era dotato di un nuovo strumento di valutazione degli imballaggi basato sull’approccio Life Cycle Thinking, coerente con la direttiva rifiuti 98/2008 in fase di recepimento nel nostro ordinamento, che fa riferimento alla valutazione del ciclo di vita e al concetto di progettazione ecologica (eco design) dei prodotti. Il 29% dei casi presentati nel dossier riguarda il settore cura della persona e detergenza, seguito dal settore alimentari solidi con il 22% dei casi, da alimentari liquidi con il 17%, beni durevoli con il 13%. Tra le

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azioni di prevenzione intraprese dalle aziende, il 46% ha riguardato il risparmio di materia prima, il 16% l’ottimizzazione della logistica, il 15% l’utilizzo di materiale riciclato, l’8% la facilitazione delle attività di riciclo. Oggi il 90% degli imballaggi in cartone è prodotto con materiali riciclati; i sistemi di chiusura in alluminio segnano una riduzione di peso che sfiora il 50%; nel settore dei detergenti il volume e il peso dei contenitori si è ridotto del 50% grazie all’utilizzo di prodotti concentrati; rispetto a dieci anni fa, il peso medio degli imballaggi in plastica è diminuito del 28% e quello dei contenitori per alimenti in acciaio del 30%; nel solo 2009, grazie all’utilizzo di vetro riciclato, è stata evitata l’immissione di 1.800.000 tonnellate di CO2. La prevenzione nella produzione e uso degli imballaggi, descritta nei quattro dossier Conai pubblicati finora, equivale, sintetizza il Consorzio, a benefici per la collettività pari a 500 milioni di euro di costi socio-ambientali risparmiati. Tra le industrie del settore cura della persona e detergenza citate nel rapporto si trova Kroll, un’azienda con 16 dipendenti e un fatturato di circa 3.000.000 euro nel 2010, presente sul mercato da 32 anni, e prima nel campo dei cosmetici a ottenere, nel 2008, il marchio Ecolabel. Per ridurre l’impatto degli imballaggi Kroll ha sviluppato un contenitore combinato, denominato Polyonbox + Bag Volflex, che sostituisce le tradizionali taniche per ricaricare i distributori di saponi liquidi, gel e creme. Il contenitore rigido esterno Polyonbox, riutilizzabile più volte, è prodotto in polipropilene; contiene al suo interno una sacca (Bag Volflex), in polietilene e poliammide, leggera e flessibile, che presenta un bocchello sul quale è applicato un tappo. “A parità di prodotto contenuto, questo imballaggio riduce di oltre il 70% il materiale plastico utilizzato rispetto a una tanica, con un corrispondente risparmio sulle materie prime impiegate per produrre la plastica, e diminuisce del 35% l’imballaggio secondario realizzato con cartone”, sottolinea Enrico Pelosin, direttore commerciale dell’azienda. Come evidenzia il dossier Conai, rispetto alla tradizionale produzione di packaging il risparmio di elettricità ottenuto supera il 50%. Inoltre, grazie all’eliminazione dello stoccaggio dei flaconi e alla produzione delle sacche in azienda, si ottimizza la logistica. “Abbiamo anche ridotto l’impatto dei trasporti per l’approvvigionamento della materia prima necessaria a produrre la busta Volflex”, aggiunge Pelosin, “ed eliminato l’uso dei mez-

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Polyonbox aperto

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zi pesanti che ci consegnavano le taniche, sostituendoli con mezzi leggeri”. Rispetto a un packaging convenzionale per un prodotto di uguale volume, le buste Volflex riducono la produzione di rifiuti, sia in peso che in volume, con un risparmio dell’82% di plastica e minori costi anche di smaltimento. La ridotta quantità di plastica utilizzata e da smaltire comporta una riduzione delle emissioni di CO2 pari al 72%. La riduzione dei consumi di materie prime, di energia e delle spese di trasporto, si è riflessa sul listino ufficiale dei prezzi di vendita: il nuovo packaging, a parità di volume, ha permesso di abbatterli del 15% rispetto ai prodotti precedentemente confezionati con packaging tradizionale. Per il futuro, “l’azienda valuta che l’accoppiata imballaggio a minore impatto più etichetta Ecolabel possa aprire scenari interessanti in relazione al Gpp (Green Public Procurement), gli acquisti verdi degli enti pubblici,” dice Pelosin. “Per divulgare la cultura del Gpp, negli ultimi due anni abbiamo tenuto in tutta Italia corsi di formazione presso enti pubblici, per un totale di 800 ore, facendo conoscere la validità del prodotto Ecolabel e i vantaggi di sostenibilità ambientale ed economica del sistema Polyonbox”. Da oltre otto anni Kroll ha una certificazione integrata qualità ambiente UNI EN ISO 9001, UNI EN ISO 14001 e registrazione Emas.

Kroll Spa via Luigi Mazzon 21 – 30020 Quarto d’Altino (VE) kroll@kroll-amkro.com; tel. 0422823794 www.kroll-amkro.com; www.krollecolabel.com Segnalata nel 2011 nel settore Prodotti e servizi innovativi

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Acqua alla spina batte acqua minerale

L’Italia è il paese con il consumo di acqua minerale più alto d’Europa: nel 2008 ne sono stati consumati 11 miliardi e 627 milioni di litri, ovvero una media (“del pollo”) di 197 litri a testa (fonte: Databank 2009). Come mai? Una prima spiegazione potrebbe venire dalla mancata fornitura regolare di acqua a milioni di italiani, specie nel Mezzogiorno (8 milioni nell’estate 2007, come riportato nel libro di Edo Ronchi e Pietro Colucci, Vento a favore, Edizioni Ambiente). Un altro fattore, aldilà di una mera questione di gusto, potrebbe essere la diffidenza verso l’acqua che esce dal rubinetto, che, in realtà, è la più controllata, almeno là dove il monitoraggio delle utility e i controlli degli enti pubblici funzionano. In più, essendo acqua corrente, non “ristagna” nelle bottiglie, sia pur sigillate, trasportate e immagazzinate prima della vendita. Gli scandali passati e recenti, dai pozzi all’atrazina, all’acqua all’arsenico nella zona di Velletri, all’allarme per le condutture che contengono amianto, sembrano, però, aver lasciato il segno. Per questo le campagne a favore dell’“acqua del sindaco” faticano a sfondare. L’alto consumo di acqua minerale, oltre a incidere sui bilanci delle famiglie (si calcola una spesa in supermercato da 20 a 80 centesimi di euro a litro a seconda della marca, contro il costo di 0,0017 al litro di acqua della rete praticato, ad esempio, dal Gruppo Hera), ha forti ripercussioni anche sull’ambiente. Cento litri d’acqua trasportati su strada per 100 chilometri comportano l’emissione di circa 10 kg. di CO2; per non parlare dei rifiuti prodotti, in massima parte bottiglie di plastica: oltre 5 miliardi ogni anno, pari a circa 130.000 tonnellate di plastica, che solo in minima parte vengono recuperate e avviate al riciclo. In altre parole si consuma petrolio ed energia elettrica per produrre la plastica, carburante per trasportare le bottiglie presso i punti di rivendita e per trasportarle di nuovo, come rifiuti post consumo, per lo smaltimento finale o il riciclaggio e recupero di materia. Di recente, si stanno diffondendo delle apparecchiature per uso domestico che consentono di “gassificare” l’acqua potabile di casa, dando la sensazione, al palato, di bere acqua minerale, mentre è quella del rubinetto. Cancellando così la schiavitù dell’acqua in bottiglia.

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Accanto a questi miscelatori casalinghi, è interessante un’applicazione per comunità sviluppata dall’azienda Celli Spa, denominata “Fonte Alma”: si tratta di un pannello dotato di più augelli per l’erogazione di acqua alla spina (refrigerata, naturale o addizionata di CO2 per renderla frizzante), da installare nelle cosiddette “case dell’acqua”. In tutt’Italia sono già stati installati circa 150 erogatori pubblici di acqua alla spina Celli, tra l’altro nei comuni di Spoleto, Perugia, Foligno. In queste casette, una sorta di neo fontanelle pubbliche, il Comune può decidere di distribuire l’“acqua del Sindaco” gratuitamente o farla pagare, visto che sono munite anche della fessura per introiettare il denaro. Il sistema “Fonte Alma” consente quindi di risparmiare energia e materie prime utilizzate per la fabbricazione dei contenitori, e di ridurre le emissioni di CO2 associate al trasporto dell’acqua in bottiglia. Inoltre, eliminando i vuoti a perdere, contribuisce alla riduzione a monte della formazione di rifiuti. Rispetto ad altri erogatori d’acqua alla spina simili, l’ecologicità addizionale di “Fonte Alma” deriva dalle soluzioni tecniche adottate volte a ridurre l’impatto ambientale legato alla produzione, utilizzazione e smaltimento La casetta “Fonte Alma”

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Riduzione produzione di rifiuti

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finale dell’impianto stesso. A cominciare dalla sostituzione di tutte le componenti energivore (il motore compressore per il frigo, l’agitatore per far girare l’acqua fredda a temperatura uniforme e la pompa) con altre a basso consumo di elettricità. L’impiego di una centralina unica elettronica ha portato a una ulteriore riduzione dei consumi di circa il 35%. Un risparmio sul consumo di energia, pari al 10-15%, lo si è ottenuto aumentando lo spessore dell’isolante della vasca del ghiaccio. Ancora: l’espandente del poliuretano, in origine un HFC (un idrofluorocarburo) è stato sostituito con anidride carbonica (a fin di bene, in questo caso!) che ha un GWP (global warming potential, il contributo all’effetto serra dato da una emissione gassosa in atmosfera) inferiore di ben 1.300 volte, una proprietà importante al momento dello smaltimento dell’apparecchiatura, che libererà un gas con un potenziale di effetto serra inferiore. Inoltre il pannello e i lamierati dell’apparecchio sono realizzati in acciaio INOX riciclabile al 100% e non hanno subito trattamenti superficiali né verniciature inquinanti. Infine, l’utilizzo della telemetria (per limitare l’assistenza solo ai casi di malfunzionamento conclamato) e l’adozione di bombole di CO2 di grandi dimensioni per la gasatura dell’acqua consentono di ridurre al minimo gli spostamenti per la manutenzione ordinaria e straordinaria, e di contenere, quindi, le emissioni di gas serra legate alla circolazione dei mezzi dei manutentori. Questa attenzione per ridurre l’impatto sull’ambiente si riflette nella nuova sede di Celli Spa (certificata ISO 9001 dal 1994 e ISO 14001 dal 2002), inaugurata nel 2008, uno stabilimento dotato di numerosi dispositivi finalizzati al risparmio energetico e all’uso delle rinnovabili: i pannelli solari termici per produrre l’acqua calda, la predisposizione degli impianti di fotovoltaico, le caldaie a condensazione e i temporizzatori e i sensori di movimento per l’accensione e spegnimento delle luci.

Celli Spa via Casino Albini, 605, San Giovanni in Marignano – 47842 Rimini g.mancini@celli.com, m.digeronimo@celli.com; tel. 0541755211 www.celli.com Segnalata nel 2010 nel settore Prodotti e servizi innovativi

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Meno rifiuti nelle mense con il freebeverage

Per limitare il consumo record di acqua minerale che si registra in Italia, con conseguente impatto ambientale legato alla produzione di rifiuti, in maggior parte bottiglie di plastica, e ai trasporti (si veda anche Acqua alla spina batte acqua minerale), nel settore dei servizi di ristorazione collettiva per aziende, palestre e mense scolastiche General Beverage propone il freebeverage, che consiste nella distribuzione self-service, a consumo libero, di bevande e acqua microfiltrata mediante l’installazione, nelle mense, di isole di distribuzione dotate di sette erogatori alla spina. “Rispetto al consumo convenzionale di bibite e acqua minerale in bottiglia, questo servizio fa risparmiare notevoli quantitativi di bottiglie e altri contenitori per liquidi, prevenendo la produzione di ingenti quantitativi di rifiuti sotto forma di imballaggi”, sottolinea Giovan Battista Varoli, direttore commerciale e socio fondatore dell’azienda insieme ai fratelli. La gamma dei prodotti offerti comprende acqua microfiltrata naturale refrigerata e a temperatura ambiente, acqua gassata, acque eventualmente aromatizzate, bibite gassate, succhi e bevande naturali. Alcune delle bevande (come Equo Cola ed Equo Tea) sono prodotte con materie prime acquistate in base alle regole garantite dal marchio internazionale del Commercio equo e solidale Fairtrade. Il costo del servizio, che comprende l’installazione delle apparecchiature, la manutenzione e la fornitura dei prodotti, è a carico dei gestori delle mense, “ed è equiparabile al costo dell’acqua confezionata in bottiglia,” specifica Varoli. General Beverage produce tutti i semilavorati e i concentrati per bibita, il servizio di microfiltrazione dell’acqua, progetta e assembla le macchine erogatrici che poi installa sul posto. Nel 2010, in Italia, questo sistema freebeverage associato a più di 90 milioni di pasti consumati, ha prevenuto a monte la produzione di 3.300 tonnellate di rifiuti, e ha eliminato il trasporto di 138.000 tonnellate di merci. Più nel dettaglio, rispetto al consumo atteso di acqua minerale in bottiglia e di bevande in lattina e contenitori per alimenti liquidi, con il servizio General Beverage l’azienda stima una produ-

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zione di rifiuti da imballaggio pari a zero tonnellate di plastica termoretraibile (contro 180 tonnellate del consumo convenzionale), di zero tonnellate di alluminio (contro 389 del consumo convenzionale), di 10,5 tonnellate di Pet (contro 2.774 t), e di 25,5 tonnellate di cartone (contro 0). Fa 36 tonnellate contro 3.343, il 99% in meno di rifiuti da imballaggio prodotti. La riduzione quantitativa si accompagna anche a una semplificazione delle tipologie degli imballaggi, che ne facilita la raccolta differenziata e il riciclo. Dal punto di vista della movimentazione, sempre nel 2010, e per il medesimo numero di 90.000 pasti forniti, l’azienda stima una riduzione del trasporto di merci (calcolato su una percorrenza media di 250 chilometri) del 96% che si ottiene dal confronto tra le 5.695 tonnellate trasportate nell’ambito del servizio di freebeverage contro le 144.000 del servizio convenzionale di acqua e bibite confezionate in bottiglie e lattine e contenitori per alimenti. “La prevenzione del trasporto di merci ha effetti benefici non solo sulla riduzione delle emissioni inquinanti, ma anche sulla gestione della mobilità e sul contenimento della congestione del traffico, in particolar modo nei centri urbani, causata dalla consegna quotidiana dell’acqua e di bevande in bottiglia presso mense e grandi comunità”.

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Macchina erogatrice di bevande in una mensa

È considerevole anche la riduzione dei costi energetici, in relazione sia alla produzione di Pet, lattine in alluminio e vetro per gli imballaggi, sia alla refrigerazione (General Beverage dichiara una riduzione di quest’ultima voce, rispetto alla refrigerazione di bibite in Pet, vetro e lattine, che può toccare il 40%). Del resto quello energetico è un aspetto cui l’azienda è attenta anche in casa propria: sullo stabilimento di produzione dei concentrati e dei solubili e di assemblaggio delle apparecchiature, nonché su un secondo stabilimento in costruzione, ha installato dei pannelli fotovoltaici che soddisfano completamente il fabbisogno elettrico aziendale. A questo quadro si aggiunge la riduzione dei costi (logistici, energetici e materiali) per l’immagazzinamento e la movimentazione. Per migliorare l’efficienza del sistema, in collaborazione con il Dipartimen-

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Il sistema General Beverage riduce gli imballaggi

to di Ecodesign del Politecnico di Milano è stato portato a termine il progetto di design per realizzare un nuovo modello di distributore finalizzato a ridurre ulteriormente l’impatto ambientale in relazione ai materiali impiegati e ai consumi energetici. Oltre 800 aziende pubbliche e private hanno adottato il sistema proposto da General Beverage, un successo che Varoli spiega con “il diffondersi delle politiche di acquisti sostenibili presso la pubblica amministrazione e le aziende private, anche a seguito di precise normative che sostengono la riduzione degli imballaggi”. Nel 2005 General Beverage è stata premiata dalla Regione Toscana con il primo premio “Toscana ecoefficiente” e ha ottenuto la menzione speciale nella categoria “Miglior prodotto” del Premio impresa ambiente 2005 promosso dal Ministero dell’Ambiente.

General Beverage Srl zona industriale P.I.P. Località Novoleto – 54027 Pontremoli (MS) info@iobevo.com, ambiente@iobevo.com; tel. 0187832305 www.iobevo.com Segnalata nel 2009 nel settore Rifiuti

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Raccolta differenziata

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Differenziamo ergo... Sumus

Il rapporto L’Italia del riciclo 2010, a cura della Fondazione Sviluppo Sostenibile e di Fise Unire (Unione Nazionale Imprese Recupero), ricorda come la raccolta della frazione organica dei rifiuti e la sua integrazione con altre filiere siano fondamentali per raggiungere quote elevate di recupero. Nel 2008, a fronte del 29,53% della carta e del 15,06% del vetro, la frazione organica (“umido” da cucine e mense e scarto vegetale da parchi e giardini chiamato “verde”) con 3.340.000 tonnellate era al 34%. Altro dato significativo: nel giro di 15 anni, si legge nel rapporto, si è sviluppato un nuovo sistema industriale dedicato alla trasformazione dell’organico, passando da 10 impianti nel 1993 a 290 nel 2008 (230 senza quelli sotto le 1.000 tonnellate, dei quali 175 funzionanti), per una produzione di un milione di tonnellate di compost. Gli impianti sono però presenti a macchia di leopardo, con regioni come Campania e Toscana che ne risultavano prive, e Piemonte, Friuli, Lombardia, Lazio e Abruzzo costrette all’“esportazione”.

Sacchetto Sumus® al 100% in carta da riciclo

Il sacchetto Sumus® prodotto da Aspic (Azienda speciale per il compost) è stato studiato appositamente per la raccolta domestica differenziata dei rifiuti organici. È al 100% in carta riciclata proveniente da raccolta differenziata italia-

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na “e può essere inviato al compostaggio e/o alla biodigestione anaerobica insieme ai rifiuti che contiene in quanto è biodegradabile e compostabile al 100% anch’esso”, puntualizza Renato Fancello, responsabile marketing di Aspic. Sumus® è progettato per facilitare la raccolta differenziata domestica e per ridurne l’impatto dall’abitazione fino all’impianto per la produzione di compost e/o di biogas.

Cestello porta sacchetti sistema Sumus®

I tre accorgimenti brevettati che lo caratterizzano (fondo a triplo strato, alettatura differenziata superiore, fondello mobile interno) consentono alla carta di resistere alle peggiori condizioni di stress e clima e ad alti livelli di umidità dei rifiuti senza rompersi. In particolare, “il sacchetto è dotato di una chiusura multistrato che protegge l’incollatura del fondo (realizzata con colle a base acqua) dall’attacco dei liquidi permettendole un’elevata tenuta, mentre il fondello ribaltabile assorbe i liquidi in eccesso e garantisce maggiore resistenza e stabilità del sacchetto aperto”, spiega Fancello. Grazie alla sua proprietà evapotraspirativa la carta “respira” e favorisce aerobicamente l’attivazione del processo di compostaggio riducendo i cattivi odori tipici della decomposizione e la produzione di liquami. L’ossigeno presente nell’aria innesca e accelera l’essicazione degli scarti e ne garantisce la decomposizione senza cattivi odori. Quando il rifiuto organico è ossigenato sufficientemente e con continuità, infatti, si sviluppa calore e l’acqua evapora anziché ristagnare generando liquami maleodoranti. Se il sacchetto viene utilizzato in una pattumiera adeguatamente areata, si migliorano ulteriormente le prestazioni, e il rifiuto perde dal 20 al 28% di peso in due-tre giorni. Tale riduzione si traduce, tra l’altro, in minori costi di trasporto e maggiore adattabilità del rifiuto alle reazioni di processo. Per ottimizzare il processo di ossigenazione il sistema Sumus® è completato da un cestello portasacchetti di carta, la cui superficie e il fondo sono aerati (“bucherellati”) per il 70%. Il coperchio è rimuovibile per facilitare il lavaggio. Il manico è provvisto di chiusura antirandagismo, per evitare l’apertura del cestello da parte di animali domestici o in seguito a cadute accidentali. Il cestello ha una capacità di 10 litri, ed è disponibile sia in polipropilene sia in polietilene, in tre colori: verde, marrone e nero. I materiali possono essere vergini o riciclati fino al 40%, nel rispetto dei criteri degli acquisti verdi di manufatti. Sumus® è certificato “Compostabile CIC” (Consorzio Italiano Compostatori) a norma UNI EN

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13432-2002, e conforme alla UNI EN 13593 (resistenza meccanica). ASPIC Srl è certificata FSC (Forest Stewardship Council) e PEFC (Pan European Forest Certification), due ong internazionali che garantiscono la tracciabilità della filiera da cui è prodotto il sacchetto in carta riciclata. L’azienda è dotata di sistema di gestione della qualità ISO 9001 e ambientale ISO 1400. Il Sistema Sumus® è adottato da anni da alcune multiutility come Marche Multiservizi SpA, Hera SpA, A2A SpA nella zona bresciana, dall’operatore privato Aimeri Ambiente SpA, da SEAB Bolzano, e da amministrazioni nel Veronese, nel Trentino, in Friuli, nell’area saluzzese e cuneese, nel Lazio, in Liguria. È presente nei negozi Econaturasì. Brevettato nel 2005, Sumus® è arrivato sul mercato nel 2006. Il fatturato di Aspic per l’80% coincide con quello ottenuto dalla commercializzazione di Sumus®. Nel 2007 è stato di poco superiore ai 660.000 euro, per più che triplicare, nel 2009 e 2010, arrivando a superare i due milioni e mezzo. Sempre in carta riciclata, Aspic produce sacchi (fino a 360 litri) per la raccolta differenziata dell’umido di origine non domestica, sacchetti-paletta per deiezioni canine, sacchi in carta riciclata per la raccolta della carta, prodotti specifici per l’agricoltura (coni da fiori). Recentemente ha depositato il brevetto per un foglio in carta riciclata per la pacciamatura del terreno, sia in serra sia in campo aperto. Tramite la partecipata Monouso Srl Aspic commercializza stoviglie, posate e bicchieri monouso biodegradabili e compostabili.

Aspic – Azienda Speciale per il compost – Srl piazzale Arduino 11 – 20149 Milano info@aspicsrl.com; tel. 0248714341; fax 0248752412 www.aspicsrl.com Segnalata nel 2010 nel settore Rifiuti

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Fare soldi salvando il pianeta

Stazione automatica di raccolta di bottiglie in Pet

La raccolta differenziata domestica è il primo, ineludibile anello del percorso di recupero e riciclaggio dei rifiuti solidi urbani. Ci sono realtà sociali ed economiche disagiate dove il recupero di materiale in discarica è diventato un mestiere. Alle nostre latitudini la raccolta differenziata tra le quattro pareti di casa fa perno quasi esclusivamente sull’impegno etico dei cittadini. Impegno che in alcune situazioni viene remunerato. È il caso del sistema di raccolta differenziata premiata della plastica MrPet. Nato nel 2007 su iniziativa della società U&F e progettato da Keo Srl, alla tutela attiva dell’ambiente unisce da un lato l’attenzione al profitto e alla sostenibilità di impresa, e dall’altro un vantaggio economico per i cittadini che vi partecipano. Al consumatore che riconsegna le bottiglie in Pet vuote viene riconosciuto un diritto di proprietà sugli imballaggi attraverso il pagamento di punti fedeltà Fada (Fedeltà amica dell’ambiente), che sono caricati su una tessera personale, la MrPet card, e sono convertibili in sconti sugli acquisti o in premi presso i punti vendita che aderiscono al circuito MrPet. Le bottiglie vuote vengono consegnate alla stazione di raccolta automatica, una sorta di grosso serbatoio in cui si inserisce prima la tessera per la raccolta punti, e successivamente le bottiglie. Ogni bottiglia vale un punto. Più vuoti si consegnano, più ci si guadagna. Non a caso lo slogan scelto dall’azienda è “fare soldi salvando il pianeta”. Crudo e prosaico, ma indiscutibilmente diretto ed efficace. Ogni macchina MrPet è in grado di inghiottire fino a 10.000 bottiglie al giorno, per un volume corrispondente a 30 cassonetti stradali.

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Raccolta differenziata

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Le bottiglie recuperate vengono avviate al riciclaggio e trasformate in scaglie, da cui si ricava Keorex, un materiale plastico brevettato, riciclabile anch’esso all’infinito, e trasparente come il Pet vergine. In Keorex sono fabbricati, per esempio, articoli di cancelleria, filati per tessuti, cestini e carrelli per la spesa della linea eko-logic Shop to Shop prodotti e commercializzati da Origine Sarl (www.originesarl.com). In questo modo la plastica che esce dal supermercato sotto forma di bottiglia ci ritorna come carrello o cestino per la spesa. Per fare un carrello occorrono circa 250 bottiglie in Pet. Prezzo di rivendita al supermercato: 94 euro, più iva e trasporto. Keorex viene utilizzato anche da Maped, una società francese che produce articoli di cancelleria, mentre Keoproject lo impiega per far produrre, in esterno, in Toscana, un velluto (Keovelvet). Chi ha partecipato finora alla raccolta? Decine di migliaia di cittadini in Italia e in Francia: a oggi le MrPet card distribuite ammontano a più di 60.000. I punti di raccolta sono circa 30, tra Piemonte, Sardegna, Valle d’Aosta e Francia. Le catene che hanno aderito al sistema sono Leclerc e Carrefour. I carrelli e i cesti in plastica riciclata sono stati acquistati anche da Coop e Eataly. L’accordo firmato a luglio 2011 con Corepla potrebbe dare una spinta alla diffusione su larga scala del sistema: la nuova versione del sistema, battezzata MrPet 2.0, si integra infatti con la raccolta pubblica della plastica, attiva ormai nel 92% dei comuni italiani. La prima fase di attivazione prevede una sperimentazione su base regionale in Sardegna e Piemonte per mettere a punto la gestione. La nuova macchina inghiotti-bottiglie mantiene le caratteristiche di base di quelle già in uso. In aggiunta sarà predisposta la raccolta anche dei tappi delle bottiglie e la lettura di quelle prive di codice a barre. Inoltre la macchina è predisposta per la raccolta di imballaggi in altri tipi di plastica (non solo in Pet), e in altri materiali, per esempio in alluminio. La messa in rete del sistema consentirà di usufruire dei punti fedeltà con tutti gli esercizi convenzionati. Il sistema svolge anche un ruolo educativoinformativo. Ogni postazione può infatti comunicare direttamente con gli utenti, attraverso un video e appositi spazi sulla stazione, per diffondere messaggi a sostegno di acquisti responsabili ed economici. Può, per esempio, segnalare i prodotti in scadenza e quelli in promozione.

Carrello per la spesa in plastica da riciclo (Keorex)

Si potrebbe obbiettare che il messaggio educativo più ecologico e coerente sarebbe quello, radicale, di scoraggiare tout-court l’acquisto di acqua minerale in bottiglia a favore dell’acqua del rubinetto. Ma ci sono pur sempre le bibite

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Tessera personale MrPet per raccolta punti

gassate confezionate in bottiglie di Pet, così come ci sono consumatori che, nonostante i messaggi ecologici contrari, alla minerale proprio non vogliono rinunciare. Per cui è positivo che sia promosso e attuato il recupero e l’avvio al riciclaggio delle bottiglie vuote: per ogni chilogrammo di bottiglie riciclate si risparmiano 1,7 chilogrammi di petrolio equivalente per produrre plastica vergine. Dal punto di vista dell’occupazione l’intera filiera che gestisce il sistema di recupero e trasformazione coinvolge numerose società che si occupano della progettazione complessiva del sistema, della gestione del software installato nelle varie postazioni di raccolta, della trasformazione del Pet in scaglie e successivamente in Keorex, degli stampi per produrre i nuovi manufatti. E della commercializzazione dei nuovi prodotti. Sul fronte casalingo dei raccoglitori, ci sono le famiglie che dalla loro attività di raccolta differenziata ricavano un piccolo contributo economico: cento punti fedeltà corrispondono a 1,5 euro.

MrPet Srl via Vittorio Emanuele 196 – 12042 Bra (CN) info@mrpet-recycling.com, tel. 017284124 www.mrpet-recycling.com Segnalata nel 2010 nel settore Rifiuti

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Il centro commerciale che fa la differenza

Corio è una società leader in Europa nel settore della costruzione e gestione di centri commerciali. Il 96% del capitale sociale (7,2 miliardi di euro) è costituito infatti da shopping center situati nei Paesi Bassi, Francia, Italia, Spagna, Germania e Turchia. Tra i nove che gestisce in Italia, il Centro Commerciale Campania, in provincia di Caserta, ha un primato, che coincide con una classica buona pratica facilmente trasferibile: l’alta percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti raggiunta dai 180 esercizi commerciali e dai 25 ristoranti e bar, che a ottobre ha toccato quota 85%. Merito della campagna di sensibilizzazione rivolta agli esercenti “Facciamo la differenza”, con cui, a partire da fine 2010, è stata razionalizzata la raccolta all’interno del Centro Commerciale sulla base di sei matrici (umido organico, carta e cartone, vetro, lattine, latte in metallo ferroso, plastica), e di altre più marginali (toner, neon e batterie). La frazione organica, che corrisponde a 1.500 chilogrammi di rifiuti conferiti ogni giorno, ha una purezza del 97% e viene utilizzata per produrre compost di qualità. Altro tassello del progetto è la realizzazione di un orto didattico aperto al pubblico, “L’Orto in Campania”, di 650 metri quadrati, inaugurato ad aprile 2011, che ha tre caratteristiche fondamentali, spiega Valerio Borgianelli Spina, responsabile marketing ed eventi di Campania: “È l’anello finale, simbolico, della catena virtuosa della raccolta differenziata, in quanto lo

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Laboratorio didattico

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Orto didattico presso il Centro Commerciale Campania

concimiamo con il compost prodotto dai rifiuti organici raccolti al Centro; è un laboratorio dedicato alle scuole e ai visitatori che vi vedranno crescere varietà orticole e frutticole autoctone, da quelle più tradizionali, come pomodori, lattuga, albicocchi e meli, a varietà in via di sparizione, come lo zucchino di San Pasquale, il cavolo Porzella, il peperone corno di capra. Infine”, conclude, “la progettazione dell’orto è stata affidata a un gruppo di nove architetti e due agronomi laureandi che si sono confrontati con le difficoltà concrete legate alla realizzazione di un giardino che doveva basarsi su elementi provenienti da riciclo o riciclabili, ed essere al contempo bello, funzionale, didattico, simbolico, ecologico e aperto a tutti i tipi di fruitori”. Le specie arboree e le piante sono state scelte anche in funzione della stagionalità, per rendere l’orto attraente e colorato, oltre che produttivo, in ogni periodo dell’anno. I laboratori didattici aperti ai visitatori che si tengono all’Orto nei fine settimana sono dedicati all’educazione alimentare, all’agronomia, alla geografia. Prevedono una parte teorica introduttiva e attività pratiche da svolgere nella zona didattica. Vi collabora Slow Food Campania. Altri partner de l’Orto per le attività di manutenzione, animazione e divulgazione sono: la

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Raccolta differenziata

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Facoltà di Architettura dell’Università Federico II di Napoli per la progettazione dell’orto e dei supporti per le didascalie dei percorsi didattici; la Facoltà di Agraria per la selezione delle varietà orticole e la definizione delle pratiche di gestione più adatte per ciascuna pianta, secondo il protocollo della lotta integrata; l’Istituto Eureco per la coltivazione degli ecotipi locali; il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura per la selezione delle varietà arboree; infine, il Comune di Marcianise per il coordinamento con le scuole che partecipano ai laboratori programmati per l’intero anno scolastico. Al primo Ri-Festival dedicato alla corretta gestione dei rifiuti, tenutosi ad aprile del 2011, era stato festeggiato il raggiungimento del 71% di raccolta differenziata del Centro, con un incremento del 17% rispetto a fine 2010 quando fu avviato il programma di raccolta spinta. “In vista del prossimo Ri-Festival nel 2012 ci siamo dati l’obiettivo di aumentare ulteriormente la percentuale di differenziata”, anticipa Valerio Borgianelli Spina, “recuperando sul fronte debole: quello dei visitatori. Come direzione gestionale del Centro Commerciale Campania sugli esercenti possiamo agire direttamente, con potere di intervento. Per evitare, per esempio, i conferimenti scorretti dei rifiuti organici, abbiamo istituito delle multe e la sorveglianza sulle celle di consegna: chi non è in regola si riprende il rifiuto e si arrangia a smaltirlo per conto proprio”. Una benevola coercizione che ha dato i risultati voluti. Con i visitatori, però è un altro paio di maniche, “la sfida è certamente più complessa e impegnativa”, ammette. “D’altra parte, sono loro che abbassano la media, come dimostrano i cestini quadripartiti per la differenziata, dove i rifiuti vengono buttati a casaccio”. La nuova campagna di sensibilizzazione come target avrà quindi il pubblico. Allo studio, in collaborazione con istituti d’arte, ci sono, per esempio, allestimenti buffi, coinvolgenti, per richiamare l’attenzione sui cestini per rifiuti. Mentre con le scuole intendono costruire un programma di interventi spot e una sorta di presidio intorno ai cestini, con i ragazzi e le ragazze a far la guardia e a rimproverare gli adulti che non seguiranno le istruzioni per l’uso corretto. Si terranno anche corsi per formare animatori e divulgatori per le attività didattiche legate all’Orto.

Centro Commerciale Campania – Corio Italia Srl strada Statale 86, Località Aurno – 81025 Marcianise (CE) valerio.borgianellispina@it.corio-eu.com; tel. 0823608800 www.campania.com Segnalata nel 2011 nel settore Rifiuti

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Macchinari e impianti per trattamento rifiuti

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La pioniera del riciclo automatizzato

Su di un’area industriale di circa 350.000 metri quadrati (di cui 120.000 coperti) sorge, nell’omonimo Comune, la Montello Spa, che occupa 290 addetti ed è certificata ISO 9001 e ISO 14001. È un esempio ante litteram di conversione ecologica: “Veniamo dal settore del tondino di ferro per cemento”, racconta il presidente Roberto Sancinelli. “Quando nel 1995-1996 il comparto entrò in crisi, di fronte al rischio di lasciare per strada 300 dipendenti, decidemmo di riconvertire passando al settore del trattamento, recupero e riciclo dei rifiuti, trasformandoli in una risorsa. Una scelta che ha pagato: con le nuove attività aziendali i 300 posti li abbiamo salvati tutti, e i programmi di sviluppo futuro prospettano la creazione di nuova occupazione”, conclude. Montello Spa gestisce impianti dedicati sia al trattamento anaerobico dei rifiuti a matrice organica sia al riciclo della plastica. Nei primi produce biogas da processo anaerobico, energia elettrica da biogas e compost di buona qualità; nei secondi, dal riciclo di consistenti quantità di imballaggi in plastica provenienti dalle raccolte differenziate post-consumo, ottiene materiali riutilizzabili e una membrana bugnata impiegata in edilizia. I benefici ambientali ottenuti riguardano il risparmio di energia e materie prima, il mancato smaltimento in discarica, e la riduzione delle emissioni gassose, con particolare riferimento a quelle dei gas serra climalteranti. Quando è partita l’attività di selezione, recupero e riciclo degli imballaggi in plastica post consumo a metà degli anni ’90 nasceva in Italia il consorzio obbligatorio Corepla, operante nell’ambito di Conai (Consorzio nazionale imballaggi). Le aziende del settore allora operavano per lo più attraverso una selezione di tipo manuale. Nel 2000, dopo due anni di ricerche per eliminare il contatto diretto rifiuto-operatore, Montello è stata la prima azienda in Italia a mettere in funzione un impianto completamente automatico, in cui l’elemento innovativo più rilevante è rappresentato dai detettori ottici NIR (Near Infrared) ad alta risoluzione, oggi diffusi in tutta Europa, che consentono di selezionare e separare i rifiuti in base al polimero

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L’impianto integrato Montello tratta rifiuti in plastica

e, nel caso dei contenitori per liquidi in Pet (polietilene tereftalato, specifico per bevande gassate), anche in base al colore (incolore, azzurrato e colorato misto). A questi si sono aggiunti successivamente sistemi di separazione per dimensione e peso specifico. A valle del trattamento di selezione, operano diversi impianti di riciclo che fanno di Montello Spa, a livello europeo, uno dei maggiori centri integrati di selezione, recupero e riciclo di questa tipologia di rifiuti. L’integrazione delle diverse attività in un unico sito riduce l’impatto ambientale e il numero di automezzi necessari al trasporto dei materiali nei diversi impianti di trasformazione. La Montello è meta di visite didattiche e scolastiche e anche di studenti universitari e di delegazioni istituzionali italiane ed estere. La capacità annua di trattamento autorizzata è di 120.000 tonnellate di imballaggi in plastica; la potenzialità di selezione è però superiore, e ammonta a circa 20.000 chili l’ora. Per l’80% gli imballaggi sono recuperati ottenendone sia materie prima seconde sotto forma di scaglie di Pet (polietilene), granuli di Hdpe (polietilene ad alta densità), granuli di Ldpe (a bassa densità) e granuli di misto poliolefinico, sia manufatti, come ad esempio la membrana bugnata GEOMONT®, un prodotto a marchio registrato impiegato in edilizia, che deriva da un innovativo sistema di produzione in continuo: partendo direttamente dal rifiuto (i contenitori in Hdpe), sforna il manufatto finale (la membrana) senza alcuna interruzione di processo. Il restante 20% di imballaggi non recuperati è destinato a termovalorizzatori esterni. Le scaglie in Pet sono ricavate attraverso macinatura, lavaggio, flottazione (per eliminare i materiali estranei, come residui di etichette) e centrifugazione degli imballaggi. Trovano applicazione nella produzione di fibra fiocco destinata all’industria dell’abbigliamento, arredamento, auto ed edilizia, e del cosiddetto filo continuo per moquette e termoformati (blister, lastre, contenitori multistrato). I granuli, a seconda della tipologia, sono impiegati per

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Macchinari e impianti per trattamento rifiuti

fabbricare tubi, guaine per l’edilizia, vasi manufatti per l’arredo urbano. Anche l’attività di trattamento della matrice organica dei rifiuti, avviata nel 1997, è stata caratterizzata dall’introduzione di soluzioni innovative relative, in questo caso, al pretrattamento (al fine di separare materiali estranei indesiderati, quali plastica, vetro, metalli, ecc.), e alla miscelazione nei digestori anaerobici. A monte dell’esistente impianto di compostaggio aerobico, nel 2008 è stata aggiunta la sezione di digestione anaerobica, che ha migliorato il controllo degli odori, in quanto le fasi maggiormente odorigene sono gestite in un reattore chiuso, e ha consentito di produrre energia elettrica e termica tramite il biogas generato. L’alto rendimento del processo anaerobico massimizza il recupero di energia termica e la produzione di elettricità da biogas. Prima di essere conferite al sistema di depurazione fognario, le acque reflue del processo, provenienti dalla disidratazione del digestato, sono convogliate ad un impianto di trattamento interno biologico a fanghi attivi. La fase di compostaggio finale, limitata al fango digestato, non produce odori e fornisce un compost di buona qualità.

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L’impianto tratta anche rifiuti organici

Montello Spa via Fabio Filzi 5 – 24060 Montello (BG) r.sancinelli@montello-spa.it; tel. 035689111 www.montello-spa.it Primo Premio nel 2009 nel settore Rifiuti

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Il cimitero informatizzato delle auto

L’impianto Ecofirenze impiega modalità operative innovative e avanzate tecnologie informatizzate

La normativa italiana (Dlgs 209/2003) che regola il settore della demolizione dei veicoli, definiti come “rifiuti speciali pericolosi da conferire a centri autorizzati”, ha recepito la Direttiva 2000/53/Ce dell’Europarlamento e del Consiglio europeo che stabilisce che entro il primo gennaio 2015 per tutti i veicoli da rottamare la percentuale di recupero e reimpiego del materiale sia pari almeno al 95% del peso medio del veicolo e della massa rottamata nell’anno. Ce la farà l’Italia a centrare questo obiettivo? Al 2007 (con 1.692.136 veicoli rottamati) non avevamo raggiunto quello previsto per il 2006 dell’85% (fonte: L’Italia del riciclo 2010, a cura di Fondazione Sviluppo Sostenibile e Fise Unire). La normativa contiene anche prescrizioni per la fase di produzione dei veicoli, affinché i componenti siano facilmente smontabili, recuperabili e riciclabili. Il ciclo operativo della gestione di un veicolo a fine vita comprende varie fasi. Si comincia dalla bonifica e messa in sicurezza, con rimozione di accumulatori, serbatoi, eventuali gas incombusti, airbag, condensatori contenenti Pcb e raccolta di oli. Segue la fase di trattamento, selezione, smontaggio e reimpiego di componenti come pezzi di ricambio usati. Quella successiva di riciclo, recupero energetico e smaltimento della frazione residua prevede che la carcassa del veicolo, precedentemente bonificata e smontata, venga sottoposta a frantumazione, con selezione di metalli ferrosi e non ferrosi, parti organiche e non organiche, per ricavare il proler, un materiale ferro-

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Macchinari e impianti per trattamento rifiuti

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so di alta qualità. Il cosiddetto fluff è costituito invece da una miscela eterogenea di materiali, tra cui plastica, gomma, vetro, fibre tessili, vernici. Previo trattamento, può essere destinato a recupero energetico, ma in Italia, a causa di preselezioni inadeguate e di mancanza di impianti idonei, finisce quasi interamente in discarica. In questo settore di attività, Ecofirenze Srl ha realizzato un impianto unico nel suo genere che garantisce il recupero di tutti i fluidi e delle componenti pericolose dei veicoli grazie all’applicazione di un layout gestionale opposto a quello di costruzione del veicolo. Fin dall’accettazione del mezzo da demolire, viene attivato un sistema di controllo informatizzato della tracciabilità delle componenti pericolose e delle operazioni di trattamento effettuate, con registrazione della quantità e qualità del materiale recuperato. “Rispetto agli impianti tradizionali, l’adozione di innovative modalità operative e di avanzate tecnologie, anche informatizzate, ci permette di ridurre i consumi energetici del 25%, con relativo abbattimento delle emissioni di anidride carbonica; evita inoltre il rischio di dispersione nell’ambiente di sostanze pericolose, e ottimizza le condizioni di sicurezza per gli addetti; infine, ha massimizzato il recupero di specifici materiali, incrementandone del 33% la possibilità di riciclo”, dichiara Massimo Corti, direttore commerciale di Ecofirenze. “Mi riferisco a vetro, moquette interne, gommapiuma e tappezzeria dei sedili, guarnizioni, cruscotti e fanaleria, che riusciamo a smontare in maniera più capillare sottraendoli alla massa indifferenziata del fluff”. Complessivamente la percentuale di recupero di materiali dalle auto a fine vita presso l’impianto Ecofirenze supera il 90%, avvicinandosi all’obiettivo di legge previsto al 2015.

Oltre il 90% dei materiali provenienti da auto a fine vita viene recuperato presso Ecofirenze

Ecofirenze è nata dalla volontà di cinque aziende fiorentine di riunire in un’unica struttura l’intero processo di trattamento delle autovetture, dei ri-

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fiuti e dei rottami. Questa sinergia ha ridotto l’impatto legato al trasporto e ottimizzato il ciclo di lavorazione, senza diminuire il personale occupato, che, al contrario, è stato incrementato per numero e professionalità. Rispetto a un impianto tradizionale che tratta 12/15 auto al giorno con 5 operatori, Ecofirenze ne può trattare 100/120 con 15 operatori. La gestione informatizzata del ciclo di lavorazione si è riflessa positivamente sul comparto logistico, mettendo in relazione le specificità delle auto da demolire con la domanda di parti di ricambio, a beneficio dell’attività di rivendita dei materiali e delle componenti recuperate, e della riduzione dello stoccaggio di manufatti particolarmente impattanti per superficie e volume. La migliore qualità del materiale recuperato ne facilita poi il riciclo e la valorizzazione economica. L’attività di demolizione svolta da Ecofirenze comprende motocicli, automobili, autocarri, camper e roulotte. Come misura di mitigazione ambientale, Ecofirenze è impegnata a piantumare 1.800 alberi per il completamento del verde pubblico nell’area adiacente alla struttura. Ha inoltre incaricato il Dipartimento di chimica del Polo scientifico e tecnologico dell’Università di Firenze di elaborare un progetto per un’ulteriore piantumazione, a completo azzeramento volontario delle emissioni di CO2. Nel 2012 installerà un impianto fotovoltaico che fornirà oltre 500 kWh. “A testimonianza dell’impegno per la diffusione di una corretta sensibilità ambientale partecipiamo alla Settimana europea per la riduzione dei rifiuti, al Festival della creatività di Firenze e sosteniamo OpenLab, una struttura didattico-formativa del Polo scientifico e tecnologico”, aggiunge Corti. “E dal 2007, per ogni auto rottamata, devolviamo 5 euro alla Fondazione ospedale pediatrico Meyer, che ha sede nel capoluogo toscano”. Al 2010 la donazione aveva raggiunto il traguardo di 100.000 euro. Ecofirenze è certificata ISO 9001:2008, ISO 10014, ISO 14001 e Ohsas 18001.

Ecofirenze Srl via di Castelnuovo 20 – 50142 Firenze info@ecofirenze.com; tel. 055733680 www.ecofirenze.com Primo Premio nel 2011 nel settore Rifiuti

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La multistampatrice per plastiche da riciclo

Dal settore agricolo a quello logistico, dall’edilizia all’urbanistica, dal confezionamento di manufatti ai trasporti, la plastica (sotto forma di vari polimeri) è presente ovunque: in imballaggi, bottiglie, utensili per la casa, fibre sintetiche, serbatoi di auto, computer, infissi, solo per citarne un’infinitesima parte. Perché abbia senso, il ciclo della raccolta differenziata va ovviamente chiuso con il recupero di materia e il riciclo tramite la produzione di nuovi manufatti. Nel 2008 in Italia complessivamente sono state avviate al riciclaggio 1.550.000 tonnellate di materie plastiche, scese, secondo prime stime riportate nel rapporto L’Italia del riciclo 2010 pubblicato dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile e Fise Unire, a 1.410.000 tonnellate nel 2009. Un calo dovuto probabilmente alla crisi economica che ne ha diminuito la circolazione sul mercato. La raccolta differenziata post consumo degli imballaggi in plastica fa capo al consorzio Corepla. È stata attivata in 6.980 comuni e serve 54 milioni di persone, ovvero più del 90% della popolazione. Sempre secondo il rapporto citato, grazie all’accordo Anci-Conai nel 2009 gli imballaggi provenienti da raccolta differenziata degli Rsu sono invece aumentati dell’11%, per un totale di 588.000 tonnellate. La diversa matrice dei materiali plastici con cui sono fabbricati gli imballaggi, e non solo, rappresenta uno dei problemi principali da affrontare nella fase di riciclaggio. In risposta a questo problema, Plaxtech ha prodotto un innovativo sistema di stampaggio brevettato, denominato Roteax, che consente di riciclare plastiche di matrici eterogenee a base poliolefinica da recupero pre e post consumo, producendo nuovi manufatti di qualità. Si tratta di materie che comprendono, per esempio, il polietilene e il polipropilene, molto diffuse quindi, pari all’80% circa dei rifiuti plastici. Il sistema Roteax è brevettato e prodotto in tre serie di macchine, in due versioni di altezza e per sei dimensioni di stampi. Utilizza una tecnica di iniezione multipla assistita, a bassissima pressione (200 bar), unica al mondo,

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L’Italia della green economy

La multi­ stampatrice Roteax per plastiche da riciclo

con cui miscela le varie plastiche recuperate producendo una nuova materia base omogenea. Con questa stampa i nuovi manufatti. Al momento sono state messe a punto tre miscele di plastiche eterogenee, denominate ecoremix (ecological recycling misture) da scegliersi a seconda del manufatto che si vuole produrre: ecoremix flexy a base morbida, ecoremix plast a base media, ecoremix rigid a base rigida. I composti ottenuti presentano stabilità termica, basso coefficiente di ritiro e non sono igroscopici, ossia non assorbono acqua o vapore acqueo. I prodotti fabbricati da Roteax con plastica recuperata rispondono a tutte le normative tecniche e possono, a loro volta, essere rigenerati a fine ciclo di vita all’interno del medesimo processo. L’impianto arriva a produrre contemporaneamente quattro manufatti diversi per forma e peso; per manufatti del peso fino a 15 chilogrammi arriva a effettuare da 60 a 90 cicli/ora di stampaggio contemporanei di quattro manufatti diversi, una quantità tre volte superiore ai macchinari convenzionali. In questo modo riduce in maniera sensibile i costi industriali, abbattendo del 60% i tempi di produzione e dimezzando così i costi energetici e della manodopera. I prodotti realizzabili vanno da componenti per arredo urbano (come per esempio panchine), a recinzioni e barriere stradali e ferroviarie anche fonoassorbenti, a manufatti per parchi giochi, pavimentazioni per esterni, contenitori per rifiuti e l’igiene pubblica, pallet per la movimentazione delle merci, imballaggi industriali per il trasporto, prodotti da giardinaggio e vivai e per l’edilizia (tegole). Innovativo è anche il sistema di acquisto offerto da Plaxtech. Senza accollarsene per intero l’onere, il macchinario può essere infatti utilizzato attraverso la cosiddetta social economy, ovvero la creazione di un network che aggrega le aziende utilizzatrici di Roteax. In altre parole, si può pianificare l’acqui-

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Macchinari e impianti per trattamento rifiuti

sto solo di una quota-parte dei cicli di stampaggio previsti nella produzione annuale del macchinario. Plaxtech coordina, direttamente o indirettamente, le attività di prenotazione e al raggiungimento della massa critica necessaria realizza il macchinario per le aziende consorziate. In questo modo la singola azienda che non potrebbe sobbarcarsi per intero i costi dell’investimento acquista solo il servizio che le occorre, e fa fronte all’ammortamento solo in rapporto alla quota di battute-stampa che ha acquistato in ragione del suo fabbisogno produttivo. Le risorse risparmiate possono quindi andare a beneficio, tra l’altro, della ricerca per l’innovazione di prodotto. Qualora l’azienda si renda conto di aver acquistato una quantità di battute superiore alle sue esigenze, può rivendere la quota, che è commerciabile. Si tratta di una forma di produzione consorziata per condividere gli investimenti e portare a regime la produttività dell’impianto. Una proposta che incontra l’interesse delle aziende ad abbattere i costi aziendali e a ridurre il peso degli investimenti. Plaxtech possiede le certificazioni ambientali UNI 10667-16:2009 UNIISO-EN 86011-1-2-3

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Un prodotto stampato con Roteax

Plaxtech Srl Plastic Technology Machinery via S. Osvaldo 29 – 33100 Udine relazioni.esterne@plaxtech.eu www.plaxtech.eu Primo Premio nel 2010 nella sezione Prodotti e servizi innovativi

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Una combustione senza fiamma e senza emissioni

Sono sette i brevetti internazionali a tutela di Isotherm P(o)W(e)R, la tecnologia messa a punto da Itea Spa (Gruppo Ansaldo-Sofinter) nell’ambito di un progetto teso a migliorare gli aspetti ambientali della combustione convenzionale dei rifiuti, in particolare degli scarti industriali solidi e liquidi a matrice chimica complessa, come rifiuti di raffineria, di impianti petrolchimici e farmaceutici. “Anche nelle migliori applicazioni, infatti, i processi di combustione tradizionale producono fumi ricchi di contaminanti che devono essere abbattuti nelle successive operazioni di pulizia degli stessi, fino a raggiungere le concentrazioni limite fissate per legge”, sottolinea l’ingegner Alvise Bassignano, presidente della società. “Per questo motivo, la tecnologia Isotherm PWR è stata concepita per eliminare all’origine il problema dei contaminanti ambientali attraverso un innovativo processo di combustione senza fiamma, isoterma, tramite ossigeno al posto dell’aria”. In questo modo, ed è un ulteriore vantaggio, i rifiuti si trasformano in una fonte energetica utilizzabile per la produzione di energia elettrica. L’impianto è costituito dal combustore, dalle caldaie per la produzione di L’impianto Isotherm PWR, Singapore

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Macchinari e impianti per trattamento rifiuti

vapore a scopo energetico, più altri sistemi ausiliari, e risulta di ridotte dimensioni. “La nostra taglia commerciale è 15 MW, che in un impianto tradizionale corrispondono, in superficie, all’incirca a un campo di calcio, mentre noi, in proporzione, siamo l’area di rigore”, esemplifica Grazia di Salvia, responsabile Ricerca & Sviluppo della sede Itea di Gioia del Colle dove è nato Isotherm PWR. L’energia termica viene prodotta all’interno del combustore a una temperatura compresa tra 1.400 e 1.500 gradi, e a una pressione di 4 bar assoluti, tramite il summenzionato processo di ossicombustione senza fiamma. Gli aspetti originali alla base della tecnologia li spiega Massimo Malavasi, direttore R&D&Basic: “Nel processo di ossidazione di una sostanza organica (contenente carbonio e idrogeno, nda) si producono CO2 e acqua. La sostanza inorganica, che per definizione invece non può bruciare, grazie alle alte temperature raggiunte fonde e si deposita sul fondo del combustore sotto forma di piccole perle grigiastre, totalmente inerti e prive di carbonio, e quindi facili da gestire. È infatti la presenza di carbonio che rende di difficile gestione le ceneri che si producono negli inceneritori tradizionali. Le condizioni di reazione all’interno del combustore garantiscono anche la minimizzazione delle emissioni sia degli ossidi di azoto (per cui non c’è bisogno di impianti di abbattimento), sia delle polveri sottili, anche di quelle inferiori alle PM 2,5, che risultano quasi azzerate. Anche le emissioni di Pop (Persistent Organic Pollutant, come, per esempio, Pcb, diossine e Ipa, Idrocarburi policiclici aromatici) restano al di sotto dei limiti di rilevabilità”. Pertanto non occorrono trattamenti postcombustione. “La percentuale estremamente ridotta di contaminanti nei fumi già all’uscita dal reattore di combustione”, chiarisce Di Salvia, “richiede unicamente un trattamento di finitura, a base di bicarbonato, all’interno di una piccola unità dell’impianto, anch’essa brevettata, che elimina l’eventuale presenza residua di acidità e di metalli pesanti”. L’assenza di contaminanti nell’anidride carbonica rende inoltre possibile l’utilizzo, per usi industriali, della CO2 iper-pura ottenuta dal processo, con conseguente eliminazione del camino. In tal senso, in cooperazione con una municipalizzata italiana è in corso un’iniziativa finalizzata a verificare l’ipotesi della cattura e vendita della CO2. Ciò contribuirebbe a diminuire l’apporto dell’impianto alle emissioni climalteranti in atmosfera.

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L’impianto pilota per ricerca a Gioia del Colle

L’efficienza di combustione del processo è del 100%. La resa di conversione in vapore, tramite la caldaia, dell’energia termica recuperata, supera il 93%. Tradotta in produzione di elettricità ottenibile corrisponde a un grado di conversione del 28-30%. Negli anni Isotherm PWR ha destato l’interesse di

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primarie società, anche in campo internazionale. Al momento Itea sta promuovendo questa tecnologia in quattro settori applicativi: • trattamento di rifiuti industriali; • trattamento di biomasse e frazioni di Rsu (rifiuti solidi urbani); • combustione del carbone (in collaborazione con Enel); • applicazioni specifiche nel settore petrolifero (in collaborazione con Eni). “Con Enel stiamo eseguendo progetti nell’ambito della combustione del carbone con tecnologia Ccs zero emissioni per il sequestro della CO2”, precisa il presidente Bassignano, “mentre con Eni abbiamo avviato prove sperimentali nel campo del trattamento rifiuti e della raffinazione; infine lavoriamo con alcune municipalizzate italiane interessate ad applicazioni per frazioni di Rsu”. Itea oggi dispone di un impianto industriale da 15 MWt che tratta rifiuti industriali pericolosi, realizzato a Singapore, e dell’impianto pilota di grande taglia (5 MWt) per lo sviluppo di nuove applicazioni industriali, operativo presso il centro di ricerche del gruppo, adiacente alla fabbrica di caldaie dell’Ansaldo. Su questo impianto, che svolge attività di trattamento rifiuti con produzione energetica, vengono svolti studi anche in collaborazione con i committenti. Itea si avvale della collaborazione delle Università di Bologna, Bari, Lecce, Federico II di Napoli e del Cnr di Napoli.

Itea Spa del Gruppo Sofinter sede di ricerca e produzione via Milano km 1,6 – 70023 Gioia del Colle (BA) itea.info@ansaldoboiler.it; tel. 0331775910 www.sofinter.it; www.iteaspa.it Segnalata nel 2009 nel settore Rifiuti

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Energia dal termovalorizzatore portatile

NSE Industry è una giovane Spa nata nel 2008 avendo come obiettivo primario lo studio e lo sviluppo di nuove tecnologie per la produzione di energia da rifiuti, in modo da rispondere alla doppia esigenza di far fronte alle carenze energetiche del paese e alla gestione degli scarti industriali. Il “gioiello di famiglia” si chiama NSE Start. È un impianto coperto da brevetto europeo ed internazionale, dalla progettazione alla costruzione interamente made in Italy, in grado di trattare fino a 36 tonnellate al giorno di rifiuti industriali solidi e semisolidi producendo energia termica ed elettrica: da 1012.000 tonnellate anno di materiale si ricavano 5 milioni di kWh elettrici all’anno e 30.000 milioni di Kcal di energia termica sotto forma di acqua calda a 90°, sempre all’anno, sulla base di 8.000 ore di lavoro effettivo. La potenza termica che si ottiene è utilizzabile sia come vapore di processo, sia per alimentare impianti di cogenerazione e trigenerazione e teleriscaldamento, sia turbine o espantori a fluido organico per la generazione di elettricità. Il processo alla base del funzionamento di NSE Start è la già nota pirolisi, che è stata però applicata in maniera innovativa migliorandone le prestazioni. Il fattore di innovazione tecnologica è costituito dal processo integrato di pirogassificazione del rifiuto solido e di combustione del gas che ha luogo all’interno di due camere comunicanti in cui il syngas viene trasmesso dalla sezione di pirogassificazione a quella di combustione secondo un percorso distinto rispetto a quello seguito dal materiale solido combustibile. Grazie alla continuità del processo interno al combustore e alla temperatura di ossidazione che si raggiunge di 1.600 gradi, il piro-

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Il combustore di NSE Start

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Caricamento dell’impianto

Rendering dell’impianto

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gassificatore permette di unire, all’alta resa energetica, basse emissioni. A cominciare dalla mancata produzione, come residui della combustione, di composti organici: a quella temperatura si ha infatti la completa ossidazione delle molecole organiche più complesse, il che esclude l’emissione nell’ambiente di composti gassosi tossici e pericolosi, come diossine, furani o ceneri. “Un risultato che non è invece alla portata degli impianti convenzionali che utilizzano il processo di pirolisi dei rifiuti a temperature comprese tra 400 e 800 gradi, con cui convertono i rifiuti in prodotti liquidi e/o gassosi (syngas) utilizzabili come combustibili”, dice Nicla Pucci, presidente e amministratore delegato di NSE Industry. I residui che risultano dal processo sono scorie inerti vetrificate (pari mediamente al 10% del materiale trattato), che possono essere utilizzate nei sottofondi stradali e in manufatti edili, contribuendo così alla riduzione della domanda di materiale lapideo. L’area occupata da NSE Start va da 400 metri quadrati se produce solo energia termica, a 800 se è prevista anche la generazione di elettricità. Per installarlo, viene semplicemente appoggiato su un basamento industriale, al pari di un macchinario. È inoltre smontabile e rimontabile in due mesi, per cui può trovare impiego anche per risolvere emergenze locali. La trasportabilità dell’impianto ha portato a ribattezzarlo “il mangiascorie portatile”. “Invece di trasportare i rifiuti agli impianti, si porta l’impianto dove serve”, sottolinea Nicla Pucci. “È una soluzione che permette a tutti gli operatori di smaltire scarti industriali e rifiuti in loco, abbattendo i costi di trasporto e di stoccaggio, contribuendo a tagliare la bolletta energetica delle imprese”. La modularità permette di installare sistemi in serie per adattare l’impianto alle esigenze specifiche delle aziende. Lo si può inserire a supporto dei processi industriali come componente di filiera a fine ciclo, eliminando i costi di stoccaggio e trasporto delle scorie industriali a siti di trattamento esterni. Considerando le 10.000 tonnellate anno di massimo carico che può trattare, il guadagno dato dal risparmio dei costi di trasporto e dalla produzione di energia è stimato intorno a 1,5 milioni di euro. Poiché il costo dell’impianto oscilla, a seconda della taglia, dai 6 agli 8 milioni di euro, NSE Start si ammortizza in media in cinque anni d’esercizio, in funzione della tipologia del rifiuto e del suo costo di smaltimento convenzionale. Grazie al contenimento delle emissioni, è adatto in particolare per trattare pneumatici, PVC, rifiuti ospedalieri e altre tipologie di rifiuti industria-

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li tossici e nocivi, come quelli delle concerie, che in impianti tradizionali potrebbero dare luogo a emissioni impattanti sull’ambiente. Le procedure autorizzative sono semplificate perché al termine della procedura di “verifica di assoggettabilità” di norma viene esclusa la Via (Valutazione d’Impatto Ambientale). Dalla progettazione alla messa a regime, procedure autorizzative comprese, occorrono otto- dieci mesi. Il primo impianto realizzato si trova presso la Waste Recycling di Castelfranco di Sotto, nei pressi di Pisa. Tra gli azionisti di NSE Spa, insieme a Nicla Pucci, attuale amministratore delegato, compaiono il fondo 360° Capital partners, primo azionista (una società di Venture Capital che investe in aziende dai contenuti innovativi su tutto il territorio europeo) e la SICI (tramite il Fondo Toscana Innovazione promosso dalla Regione Toscana). L’impianto è frutto di tre anni di attività di ricerca e ingegnerizzazione del brevetto originale.

NSE Industry Spa via Raffaello Sanzio 199 – 50053 Empoli info@nseindustry.com; tel. 0571527103 www.nseindustry.com Segnalata nel 2011 nel settore Rifiuti

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Nuova vita dalle ceneri

L’“araba fenice”, che risorge dalle ceneri sotto forma di inerti da costruzione, materiali ferrosi e alluminio, vive a Noceto, in provincia di Parma, presso la BSB Prefabbricati Srl.

Impianto per trattamento delle ceneri dei termo­ valorizzatori

Nata nel 1981 dal settore prefabbricati dell’impresa edile Bellicchi Dante, dopo essersi inizialmente specializzata nella produzione di cabine elettriche prefabbricate, prefabbricati industriali e zootecnici, vasche di contenimento per liquidi e box prefabbricati a uso ufficio, spogliatoi, bagni pubblici, nel 1997 la BSB ha avviato una serie di sperimentazioni finalizzate al trattamento e recupero di rifiuti, per produrre nuovi materiali da destinare all’edilizia. Nel 1998, visto l’esito incoraggiante di tali sperimentazioni, è maturata la decisione di realizzare a Noceto un impianto per il trattamento e il recupero di materiali dalle ceneri prodotte dai termovalorizzatori, evitandone lo smaltimento in discarica. Dopo il rodaggio dei primi anni di attività a partire dal 1999, il CIAL (Consorzio imballaggi in alluminio) associato a Conai (Consorzio nazionale imballaggi) nel 2005 ha avviato una stretta collaborazione con l’azienda, a cui ha finanziato, a fondo perduto, la realizzazione di un impianto ausiliare per estrarre l’alluminio e il ferro contenuti nelle scorie. Oggi il processo di lavorazione che si avvale di questo impianto, “il primo costruito in Europa con queste caratteristiche”, sottolinea Pier Francesco Barberio, responsabile commerciale dell’azienda, “provvede allo stoccaggio dei rifiuti in arrivo, alla loro movimentazione, selezione tra inerti, ferrosi e non ferrosi, dosatura e miscelazione automatica programmata con materiali naturali o artificiali, quali sabbia, ghiaia, cementi, composti minerali

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liquidi o in polvere, acqua e speciali additivi”. L’alluminio e gli altri materiali ferrosi e non ferrosi recuperati vengono avviati al riciclaggio. Al termine della fase di captazione dei metalli, il materiale inerte residuale viene invece utilizzato per la produzione di calcestruzzo destinato all’edilizia e alla fabbricazione di prefabbricati. “Il materiale ottenuto risulta inerte e con caratteristiche merceologiche conformi alla normativa tecnica di settore, per cui è idoneo alla commercializzazione e non è inquinante”, precisa Pier Francesco Barberio. “Nel processo di trattamento adottato, gli elementi metallici nocivi vengono sinterizzati e trasformati in sali microcristallini insolubili di elevata durezza, con il loro abbattimento sotto la soglia di pericolosità per l’uomo e per l’ambiente”. L’impianto è integrato con una linea di produzione di cabine elettriche (come quelle dell’Enel) che impiega una quantità di materiale da recupero superiore all’obbligo di legge, consentendo alla pubblica amministrazione e alle società a prevalente capitale pubblico di provvedere ai propri fabbisogni con l’acquisto di manufatti che contengano almeno il 30% di materiale da riciclo. Al termine delle operazioni di selezione dei materiali dalle ceneri, anche l’acqua e i fluidi estratti (pari al 10% delle scorie trattate) vengono bonificati e rigenerati per poter essere impiegati di nuovo all’interno del ciclo del calcestruzzo.

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Una fase del processo

BSB da diversi anni è fornitrice dei principali termovalorizzatori localizzati nel nord Italia. Annualmente a Noceto vengono trattate circa 80.000 tonnellate di ceneri conferite con recupero di 61.250 tonnellate di sabbie e ghiaietti per la produzione di calcestruzzo da impiegare in edilizia (76%), 500 tonnellate di materiali non ferrosi (il 65% del quale è alluminio), 6.250 tonnellate di ferro (7,81%), 12.000 tonnellate di acqua (15%). La produzione di alluminio dal rottame recuperato consente un risparmio energetico pari al 95% rispetto alla produzione da materia prima, con relativa riduzione delle emissioni di anidride carbonica corrispondente al mancato uti-

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lizzo di energia da fonte fossile. L’ulteriore trattamento delle scorie derivanti dalla combustione dei rifiuti indifferenziati nei termovalorizzatori consente di recuperare materiale riciclabile, che si aggiunge all’energia prodotta nel termovalorizzatore. I benefici economici e ambientali riguardano il mancato smaltimento in discarica delle ceneri, e la minore estrazione di materiale lapideo dalle cave, con conseguente riduzione dei costi aziendali e salvaguardia del territorio. In sintesi, il processo di trattamento di scorie e ceneri post combustione prodotte nei termovalorizzatori si svolge in questa successione: • fase 1: arrivo del carico di ceneri e controlli su peso e regolarità del materiale; • fase 2: le ceneri sono rovesciate sul nastro trasportatore, segue la selezione dei rottami ferrosi di grandi dimensioni, poi l’invio al vaglio rotativo dotato di nastro magnetico che elimina i materiali ferrosi presenti, inviati successivamente, attraverso un nastro trasportatore, allo stoccaggio esterno all’impianto; • fase 3: ulteriore selezione dei materiali non ferrosi, con recupero principalmente di alluminio; • fase 4: in fonderie esterne l’alluminio torna a nuova vita, sotto forma di lingotti; • fase 5: le scorie residuali (prive di materiali ferrosi e alluminio, oramai già estratti) vengono lavate e successivamente mischiate a cemento e additivi in un miscelatore, per diventare calcestruzzo; • fase 6: il calcestruzzo viene successivamente utilizzato per la costruzione di moduli prefabbricati da utilizzare per realizzare capannoni industriali e cabine elettriche o viene venduto sfuso trasportandolo con autobotti.

BSB prefabbricati via Ghisolfi e Guareschi 2 – 43015 Noceto (PR) info@gruppobellicchi.it; tel. 0521628796 www.gruppobellichi.it Segnalata nel 2010 nel settore Rifiuti

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Rifiuti di ogni matrice al vaglio

Ecostar tecnologie per l’ambiente Srl è un’azienda a base famigliare nata nel 1997 che ha le sue radici nella meccanica agricola. Investendo nella ricerca l’esperienza maturata da tre generazioni della famiglia proprietaria Cappozzo, si è ritagliata una competenza specialistica nel mercato della vagliatura post raccolta dei rifiuti: da dodici anni realizza vagli a dischi dinamici esagonali o ottagonali per la separazione meccanica dei rifiuti più svariati, una fase di trattamento propedeutica alle attività di riciclo e recupero di materie prime seconde o di energia. I macchinari prodotti da Ecostar possono trattare fino a 200 tonnellate di rifiuti solidi urbani e industriali all’ora. La tipologia con vaglio stellare a dischi in gomma può trattarne fino a 300 metri cubi all’ora. Il sistema antiattorcigliamento di cui sono dotati i vagli, brevettato presso l’Ufficio brevetti di Monaco di Baviera, elimina il problema dell’attorcigliamento, attorno agli alberi rotanti, dei materiali filamentosi (come per esempio tessuti, stracci, presenti tra i rifiuti) ottimizzando il funzionamento del macchinario. “Il vaglio dinamico a dischi prodotto da Ecostar rappresenta un’alternativa meno ingombrante e a minor consumo energetico rispetto ai tradizionali vagli rotanti o vibranti”, sintetizza il dottor Alessio Scettro del settore tecnico commerciale, “e consente una maggiore resa nel recupero dei materiali, limitando la frazione indifferenziata destinata allo smaltimento finale in discarica”. Il processo di vagliatura si svolge nel seguente modo: il materiale indiviso, indifferenziato, caricato tramite un nastro trasportatore, passando sui dischi del vaglio viene sottoposto a un movimento sussultorio che consente di dividere i rifiuti in due frazioni: il sottovaglio, costituito dal materiale che passa negli spazi e ricade nella parte sottostante; il sopravaglio, che continua a correre sugli alberi di vagliatura, sottoposto a continue sollecitazioni, ottenendo alla fine una frazione secca pulita, pronta per i trattamenti successivi di riciclo o recupero energetico. Questo macchinario, di cui esistono anche una versione scarrabile e una cin-

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Fase di vaglio per selezione rifiuti

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golata, risulta adatto al trattamento sia della frazione organica sia della frazione secca dei rifiuti da raccolta differenziata, per cui può fare parte integrante della filiera per la produzione di energia da fonti rinnovabili: di elettricità da biogas nel primo caso, e dal processo di termovalorizzazione nel secondo. I settori di impiego del vaglio Ecostar sono i più svariati: si va dal trattamento del rifiuto secco per ottenere Cdr (Combustibile da rifiuto) da cui produrre successivamente energia, alla vagliatura dei rifiuti organici per la produzione di biogas (sia prima sia dopo l’invio alla biocella, a seconda del processo di fermentazione scelto); dalla vagliatura del legno triturato per produrre pannelli e ottenere biomassa, alla pulizia e selezione dei rottami metallici; dalla separazione della carta dal cartone, al trattamento del car fluff (il materiale che proviene dalla demolizione delle automobili); dalla separazione, da altre tipologie di plastica, delle bottiglie in Pet (da inviare a successivo riciclo), all’utilizzazione nelle cave per separare la terra dagli inerti; dalla vagliatura delle ceneri degli inceneritori (per separare la parte inerte, nel sottovaglio, dai materiali ferrosi che si possono estrarre dal sopravaglio con un magnete), alla vagliatura dei materiali provenienti da demolizioni; dal legno da riciclo ai pneumatici pretriturati (il vaglio serve per raggiungere una calibratura omogenea); fino alla vagliatura dei rifiuti raccolti tramite lo spazzamento stradale.

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Per la filiera del biogas, Ecostar propone un sistema di pretrattamento a cui è abbinato un apri-sacco a basso consumo elettrico (sviluppato in collaborazione con un’azienda tedesca), che apre i sacchetti del rifiuto umido separandoli dalla frazione organica che andrà ai biodigestori, per evitare diversi inconvenienti, come ad esempio la formazione dei “coriandoli di plastica”, anche biodegradabili, in fase finale di raffinazione del compost che si otterrà, come spiega Scettro. “Quanto all’impiego in discarica, il materiale indifferenziato viene sottoposto a vagliatura per recuperare, dal sottovaglio, che è la parte più pesante, frazioni inerti riutilizzabili, come ad esempio i sottofondi stradali (previe eventuali raffinazioni), per cui alla fine del processo in discarica ci andrà il sopravaglio, che è più leggero anche se più ingombrante, con riduzione consistente dei costi di smaltimento. Nelle bonifiche di suoli contaminati il processo di vagliatura meccanica rappresenta il primo step, fondamentale, di separazione della terra contaminata dagli inerti sassosi, che, una volta separati, vengono macinati e impiegati in svariati modi, mentre la terra che si ritrova nel sottovaglio la si può risanare con trattamenti specifici. In tutti i casi, questo sistema di vagliatura riduce la quantità di rifiuto indifferenziato non recuperabile, né come materia prima seconda, né sotto forma di produzione energetica. “Il ciclo di vita della nostra soluzione è a basso impatto ambientale”, sottolinea Scettro. “Tra i vantaggi economici che offre rispetto a processi convenzionali, ai primi posti metterei l’alta capacità di trattamento pur con ingombri ridotti del macchinario in proporzione al quantitativo di materiale trattato, la manutenzione ridotta al minimo e il basso consumo elettrico rispetto a prodotti tradizionali”. Ecostar aderisce al Consorzio italiano compostatori (Cic). Ha ottenuto la certificazione ISO 9001-2008.

Ecostar Srl via Leonardo da Vinci 3 – 36066 Sandrigo (VI) info@ecostarsrl.it; tel. 0444750942 www.eco-star.it Segnalata nel 2009 nel settore Rifiuti

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Quel cavo è una miniera

Sincro, la macchina per riciclare cavi elettrici

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L’azienda Guidetti Srl è nata negli anni ’80 con l’obiettivo di sviluppare soluzioni innovative nel settore del recupero differenziato di scarti e sfridi industriali, tramite processi che si basano sulla frantumazione e successiva separazione dei diversi materiali. Per il riciclo di cavi elettrici di rame e alluminio, in particolare, ha realizzato una macchina ultracompatta che funziona a basso impatto acustico e senza emissione di polveri. Grazie anche al prezzo di vendita contenuto, si tratta di uno strumento che potrebbe favorire una maggiore diffusione ed efficacia del riciclo di questi materiali. L’ottimizzazione dei sistemi di taglio del prodotto e del flusso dei materiali all’interno della macchina ne fa un apparecchio a basso consumo energetico. È anche di semplice uso, sottolinea l’azienda, per cui non richiede una manodopera particolarmente specializzata. Per facilitarne il trasporto e l’installazione nei diversi settori di impiego (industria, edilizia), tutte le diverse tipologie di questa macchina sono concepite secondo criteri di estrema compattezza. La gamma completa compren-

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de le serie Sincro, Eko e Wire (Wire Innovative Recycling Equipment, apparecchi per il riciclo innovativo dei cavi). Gli impianti della serie Sincro, sul mercato da oltre dieci anni, sono stati progettati per riciclare cavi elettrici, di rame o alluminio, mediante la granulazione degli stessi e successiva separazione a secco del metallo dalla parte isolante (Pvc, gomma, Pe, carta, tessuti). Tutti i modelli delle macchine sono insonorizzati ed equipaggiati con un sistema di abbattimento e raccolta polveri per il rispetto dell’ambiente di lavoro. Sono ideali per l’alimentazione manuale, e possono essere abbinati a un premacinatore per migliorare il rendimento e il lavoro dell’operatore. La serie Eko rappresenta l’evoluzione tecnologica della serie Sincro e anche un ampliamento di gamma. I granulatori ultracompatti per il riciclaggio dei cavi di rame e alluminio Eko sono disponibili in due modelli con capacità di trattamento variabile da 50 a 100 kg/h. L’insonorizzazione e la semplicità di manutenzione ne rendono agevole l’installazione. Minore ingombro, ulteriore riduzione dei consumi e miglioramento della insonorizzazione sono i punti di forza di questa nuova serie. La manutenzione, semplice, risulta accessibile per qualunque operatore. “In termini di consumo energetico e costo di manutenzione per chilogrammo di metallo recuperato, permettono all’acquirente il rapido ritorno dell’investimento effettuato”, sostiene il direttore commerciale di Guidetti, Roberto Bentivoglio. Infine, la serie Wire è dedicata agli operatori di medie e grosse dimensioni, essendo stata concepita per un utilizzo industriale intenso. Sono macchine, come sottolinea l’azienda produttrice, con un alto livello di automazione nel controllo del processo di granulazione e separazione, e molto versatili rispetto alle tipologie di cavi che possono trattare. Il livello di rumorosità

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Macchina Wire per usi industriali intensi

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risulta molto basso e l’emissione di polveri in atmosfera è ridotta a zero grazie all’impiego di sistemi di filtro ultraefficienti, prodotti dall’azienda specializzata Wam Oli, adeguati alle caratteristiche delle macchine a marchio Guidetti. “Grazie alla potenza e alla capacità di trattamento di materiale, con le macchine Wire è possibile riciclare anche radiatori, sia di automobili sia di origine industriale, un settore in cui Guidetti si sta affermando come specialista, in Italia e all’estero”, puntualizza Bentivoglio. Il recupero di metalli di valore, come rame e alluminio, è un’attività in costante espansione, ed è oggetto di richieste crescenti. Attualmente questo trend è determinato non solo dalla efficienza e affidabilità delle macchine a servizio delle attività di recupero, ma anche dal costo delle materie prime, che contribuisce a rendere più appetibili quelle da recupero. Un altro campo in cui Guidetti annovera delle eccellenze è quello della raffinazione delle materie plastiche. Nelle attività di separazione tra plastiche e metalli, l’azienda di Renazzo si è creato una credibilità e una concreta immagine sul mercato.

Guidetti Srl via Salvi 1 – 44045 Renazzo (FE) info@guidettisrl.com; tel. 0516858511 www.guidettisrl.com Segnalata nel 2010 nel settore Prodotti e servizi innovativi

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Quando i rifiuti corrono in galleria

Il sistema di raccolta dei rifiuti solidi urbani Automatic Waste System (AWS) messo a punto da Oppent modifica alla radice i tradizionali sistemi di raccolta stradale e porta-porta perché è basato su una rete di tubazioni collocate sottoterra, all’interno delle quali i rifiuti vengono movimentati, tramite trasporto pneumatico, dal luogo di immissione alla centrale di raccolta. Le stazioni di carico, in cui gli utenti versano i rifiuti, vengono realizzate in punti strategici all’interno dei quartieri o degli edifici da servire, e prevedono diversi bocchettoni di introduzione a seconda delle tre tipologie di rifiuti raccolti separatamente: plastica, carta, indifferenziato. Nella centrale di raccolta è presente un compattatore che riduce i volumi di stoccaggio, mentre speciali filtri a carbone attivo eliminano gli odori sgradevoli. Periodicamente un automezzo preleva dalla centrale i rifiuti così compressi e conservati in un contenitore apposito chiuso ermeticamente, per trasferirli agli impianti preposti alle fasi di trattamento successive. Essendo completamente automatizzato, AWS non richiede personale addetto alle operazioni di raccolta previste nei sistemi tradizionali. I principali vantaggi di questo sistema, sottolinea Alberto Beretta, amministratore delegato di Oppent, sono che: • elimina i tradizionali cassonetti impiegati per la raccolta stradale; • riduce il prelievo e il trasporto dei rifiuti tramite automezzi con conseguente diminuzione del 60% del traffico pesante e scomparsa delle code di veicoli bloccati dai mezzi per lo svuotamento dei cassonetti stradali. Dal punto di vista ambientale, continua Beretta, si ottiene una riduzione sia delle emissioni di anidride carbonica, di ossido di carbonio, di ossidi di azoto e polveri sottili, sia dei livelli di inquinamento acustico associati al transito degli automezzi adibiti alle operazioni di svuotamento dei cassonetti. La scomparsa di questi ultimi contribuisce a migliorare anche l’aspetto estetico delle strade. La prossimità dei punti di conferimento distinti per tipologia di rifiuti può contribuire a ottimizzare la raccolta dif-

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Raccolta pneumatica dei rifiuti domestici

ferenziata. “A questo proposito”, precisa Alberto Beretta, “alle tre tipologie di rifiuti raccolte separatamente su richiesta si potrebbe aggiungere anche l’umido, mentre la raccolta del vetro, per le sue caratteristiche, non è adatta a questo sistema”. AWS viene proposto per nuove aree residenziali, grattacieli, centri storici, complessi alberghieri, centri commerciali, aree portuali e terziarie. L’unico impianto in funzione in Italia, realizzato da Oppent, e finalizzato esclusivamente alla raccolta di carta, è installato presso il Centro servizi Donato Menichella a Frascati, inaugurato nel 1999, che ospita il centro di calcolo elettronico della Banca d’Italia. È dotato di 50 portelli per l’introduzione della carta e di 1.400 metri di tubazioni. Serve 13 edifici, con 1.500 postazioni di lavoro. Un secondo impianto, commissionato dalla società immobiliare Parsitalia Real Estate, è in via di realizzazione presso l’Eurosky Tower di Roma (una torre residenziale di 28 piani abitativi). Si tratta del primo impianto installato in Italia per la raccolta pneumatica dei rifiuti nel settore residenziale. Sono previsti 168 portelli di caricamento posti ai piani, distinti in base alle tre summenzionate tipologie di rifiuti. Per evitare la formazione di cattivi odori, le colonne di caduta entro le quali gli Rsu precipiteranno a terra (per poi proseguire per trasporto pneumatico sotterraneo verso la centrale di raccolta) saranno mantenute in lieve depressione, con l’impiego di un ventilatore centrifugo ausiliario da 10 kW. La centrale di raccolta, situata a una distanza di 1.000 metri circa, coprirà un’area di 350 metri quadrati per 5 metri di altezza. Al suo interno saranno collocati tutti i dispositivi di gestione del sistema, tra cui:

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Macchinari e impianti per trattamento rifiuti

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• il ciclone separatore (una struttura in acciaio che separa i rifiuti dall’aria usata per il trasporto); • il compattatore, che riduce il volume dei rifiuti; • i deviatori, che in base alla tipologia indirizzano i rifiuti al corretto ciclone separatore. L’impianto entrerà in funzione nel 2012. Disporrà di 630 metri di tubazioni in acciaio, poste a due metri circa di profondità, con una durata di vita prevista di trent’anni. Funzionerà come un sistema di raccolta completamente autonomo dalla ex municipalizzata Acea, mentre per il prelievo dei rifiuti accumulati nella centrale, da avviare al trattamento, sono allo studio accordi di cooperazione. In Italia ci sono altri progetti di nuove urbanizzazioni (tra cui City Life e Porta Nuova a Milano, l’ex area Umberto I di Mestre e Bagnoli Futura a Napoli) che prevedono l’adozione di un sistema di raccolta pneumatico. Un sistema analogo è stato realizzato a Stoccolma nel quartiere ad alta sostenibilità ambientale di Hammarby. Altri sono in funzione a Barcellona, Madrid, Parigi, Dubai e Seoul. In tutto sono quasi mille i sistemi installati nel mondo. Ma quanto può costare un impianto del genere? “Quello in corso di realizzazione a Roma costerà circa un milione di euro, con un’incidenza al metro quadro di Slp, intorno ai 30 euro”, spiega Alberto Beretta. Per Oppent i risultati economici dell’ultimo triennio sono positivi: grazie principalmente all’attività nel settore sanitario per l’automazione della logistica interna, il 2011 dovrebbe chiudersi con un fatturato intorno ai 12 milioni di euro, rispetto agli 8,9 del 2009 e agli 11 del 2010. Una crescita che ha trovato riscontro nell’aumento di posti di lavoro interni, pari al 50% nel triennio 2008-2011.

Oppent Spa via Fiuggi 38 A – 20159 Milano l.carcione@oppent.it; tel. 02693016 www.oppent.com Segnalata nel 2010 nel settore Rifiuti

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L’officina che ripara la plastica

Come attestano gli innumerevoli esempi citati anche in queste pagine, è un dato acquisito che i manufatti in plastica post consumo si possono raccogliere separatamente, trattare e riutilizzare come materia prima seconda. Con una ulteriore opzione per quelli solo “acciaccati” ma non ancora pronti per la dismissione totale: la riparazione. Questa possibilità è offerta dal Centro riparazione materie plastiche (C.R.M.P.) sito a Popoli, in provincia di Pescara, che impiega un’apparecchiatura, un processo e una miscela di polimeri e copolimeri per la saldatura a caldo brevettati, che sono stati studiati per riparare e recuperare alla loro funzionalità d’origine contenitori per l’agricoltura, per il trasporto di frutta e verdura, detti bin, cassonetti per la raccolta dei rifiuti solidi urbani (di qualsiasi dimensione e tipologia), contenitori per l’industria e contenitori in genere, cisterne, serbatoi e vasche realizzati in Pe (polietilene) e Pp (polipropilene). A breve il C.R.M.P. conta di poter trattare anche paraurti di autoveicoli, per i quali è allo studio una miscela saldante specifica. “La produzione nazionale di bin in Pehd (polietilene ad alta densità) raggiunge in media 1.700.000 pezzi all’anno, il 30% dei quali (circa 510.000 unità) è destinato a sostituire contenitori rotti o usurati dalle operazioni di carico e scarico”, calcola Onofrio Totaro, titolare-fondatore di C.R.M.P. “Di questa frazione, almeno 350.000 potrebbero essere recuperati con la nostra attività di riparazione”, conclude. Per quanto riguarda i cassonetti per la raccolta stradale dei rifiuti e quelli più piccoli con le ruote per la raccolta portaporta, aggiunge, si può stimare una loro presenza sul territorio nazionale pari a 1.580.000 unità. Ipotizzando una percentuale di rottura/usura del 15% basata su studi mercato e sull’esperienza acquista sul campo, “i cassonetti recuperabili potrebbero aggirarsi intorno a 234.000 l’anno”, puntualizza il titolare di C.R.M.P. Dall’inizio delle attività ad aprile 2008 fino a metà 2011 il Centro aveva già riparato e re-immesso nel ciclo produttivo circa 2.000 cassonetti per Rsu e oltre 32.000 contenitori per l’agricoltura, corrispondenti a quasi l’80% dei contenitori rotti presenti sul territorio del Fucino nel raggio di

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Macchinari e impianti per trattamento rifiuti

150 chilometri, per un peso complessivo che supera le 1.000 tonnellate. I risultati ottenuti in termini ambientali tramite la riparazione attengono non solo alla riduzione dei consumi energetici e di materie prime per produrre nuovi manufatti e al mancato smaltimento finale, ma anche al risparmio dell’energia impiegata per ottenere materie prime seconde (granulati) dal riciclo della plastica post consumo, e quindi riguardano l’allungamento della vita operativa dei manufatti, che incrementa il numero dei cicli di utilizzo. “L’attività di riparazione comporta un ridotto consumo energetico in quanto il macchinario impiegato consuma 1 kWh per 0,3 tonnellate trattate”, spiega Onofrio Totaro. “Inoltre le particolari tecniche di saldatura adottate non producono alcuna tipologia di scarti di lavorazione, in quanto l’unica materia prima impiegata (la miscela saldante) viene utilizzata completamente, senza dare origine a rifiuti”. L’opzione della riparazione contribuisce anche a limitare comportamenti scorretti nella fase di smaltimento degli imballaggi danneggiati, come per esempio l’abbandono nei campi o lungo le strade, il seppellimento o la combustione abusiva sui fondi. Infine, considerato nell’ottica dei costi aziendali, il prolungamento della durata di vita degli imballaggi consente una riduzione dell’investimento annuale per l’acquisto di contenitori di proprietà.

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Cassetta lesionata (a sinistra) e riparate (a destra)

Il brevetto sulla lavorazione copre sia la preparazione dei manufatti rotti da saldare, sia il processo operativo tramite il quale è possibile effettuare la saldatura e quindi l’assemblaggio, la riparazione e il riempimento a caldo di materiali plastici. “L’innovazione che proponiamo ha diversi punti di forza”, sottolinea Onofrio Totaro. “La saldatura tramite la molecolarizzazione delle parti da unire è più resistente del materiale originale stesso, regge anche a qualsiasi sbalzo di temperatura, ed è durevole nel tempo, mentre le normali procedure di incollaggio, talvolta efficienti nel risultato apparente, o i tentativi di saldatura attraverso altre tecnologie, nettamente più onerose in termini di industrializzazione, non danno ga-

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ranzia di tenuta strutturale e di adeguata tenuta stagna, a causa della mancanza di continuità nella saldatura”. All’ecocentro di Popoli operano due preparatori e un saldatore e un impiegato per il disbrigo delle pratiche amministrative. Il fatturato annuo è di circa 580.000 euro. Sulla rampa di lancio è il progetto Eco-repair (anch’esso brevettato) che prevede l’apertura di altri 23 ecocentri in tutt’Italia con uno staff per ciascuno analogo a quello del centro già in funzione. Il fatturato stimato per il primo anno di attività si aggirerebbe intorno a 14.130.000 euro per la riparazione conto terzi e la vendita di bin usati riparati. L’obiettivo di riparare la più vasta gamma possibile di manufatti in plastica, a cominciare dai paraurti per auto, stimola l’attività di ricerca sulla composizione delle miscele saldanti specifiche per ciascun materiale plastico. Nel 2010 C.R.M.P. ha ricevuto il Premio Innovazione amica dell’ambiente copromosso da Legambiente, Confindustria e Università Bocconi.

C.R.M.P. Centro riparazione materie plastiche uffici e sede legale via Tiburtina 63 – 65129 Pescara info@centroriparazione.com; tel. 0854326804 www.centroriparazione.com Segnalata nel 2011 nel settore Rifiuti

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Riciclare il tetra pak

Raccogliere in maniera differenziata è un must etico-ecologico per i cittadini. Poi, però, occorre che i materiali raccolti separatamente siano trattati per produrre nuovi materiali e manufatti da riciclo. Con alcuni beni di consumo, tipo la carta, il processo è collaudato da tempo. Ma ci sono casi più complessi da riciclare; tra questi, i contenitori per alimenti in tetra pak, costituiti da un 75% di cellulosa, un 20% di plastica e un 5% di alluminio. L’azienda produttrice di penne Lecce Pen, (54 dipendenti, circa 200.000.000 pezzi prodotti all’anno, un fatturato di gruppo intorno ai 10 milioni di euro, ed esportazioni in oltre 100 paesi), ha messo a punto un esclusivo procedimento finalizzato al trattamento post-uso dei cartoni per bevande, in base al quale lo strato composto da polietilene e alluminio viene recuperato e trasformato in una nuova materia prima seconda brevettata, denominata ecoAllene, che può sostituire alcune tradizionali materie plastiche ottenute da materia prima vergine. Questo rende possibile recuperare e riutilizzare una componente dei rifiuti da packaging che finirebbe in discarica o nei termovalorizzatori. La prima fase del trattamento dei cartoni in tetra pak consiste nella separazione della frazione a base di cellulosa, che successivamente viene lavata e trasformata, senza deinchiostrazione e sbiancamento, in carta riciclata (denominata Cartafrutta), un materiale che trova impiego nella produzione di articoli di cancelleria, pubblicazioni, carta da imballo e sacchetti. Lo strato formato da alluminio e polietilene, dopo il lavaggio, viene prima essiccato, poi centrifugato e successivamente densificato, per poi essere sottoposto al processo di estrusione (per ridurlo allo stato pastoso), fino ad ottenere ­l’ecoAllene, un semilavorato venduto sotto forma di granulato plastico. Con centoquaranta contenitori per alimenti se ne ottiene un chilo. Degli 800 milioni di cartoni per bevande recuperati in Italia nel 2008, 5.700 tonnellate sono state trasformate in ecoAllene. Il mancato incenerimento di questi scarti ha evitato l’emissione in atmosfera di 900 chilogrammi di gas serra per ogni tonnellata e dai 2/3 metri cubi per tonnellata di mancati conferimenti nei termovalorizzatori.

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Suole e altri manufatti in ecoAllene da riciclo del tetra pak

EcoAllene è un materiale a tracciabilità garantita perché deriva da un ciclo produttivo interamente controllabile. “Gli accordi per disporre del tetra pak post-uso da trattare sono a tre”, spiega Roberto Lecce, titolare dell’azienda, “e coinvolgono, oltre a Lecce Pen, Tetra Pak, l’azienda leader nel settore degli imballaggi per alimenti liquidi, e una cartiera che compie il primo processo di separazione della cellulosa”. Data l’ampia diffusione di contenitori per alimenti in tetra pak, questa tecnica, tutta made in Italy, ha un elevato potenziale di diffusione, con ricadute economiche ed occupazionali, per esempio, nel settore che produce le necessarie macchine utensili, in quello delle aziende a cui Lecce Pen affida la fase di estrusione, presso le cartiere (al momento due: Lucart e Saci di Verona). Inoltre, ecoAllene trova applicazione in vari settori merceologici per produrre oggetti di largo consumo come, per esempio, bigiotteria, articoli per l’ufficio e di scrittura (penne, pennarelli, evidenziatori, portapenne, righelli), portachiavi, articoli per il gioco (trottole e frisbee), articoli per la casa (orologi da parete, articoli per la pulizia, mollette da bucato, fioriere e portavasi), profumatori di ambiente, montature per occhiali. L’innovativo trattamento del tetra pak post-uso non consente dunque solo il riciclo di un materiale complesso, ma anche la produzione di oggetti che collegano l’impegno del cittadino nella raccolta differenziata a manufatti di uso comune prodotti col materiale da riciclo. Del resto, non a caso la penna in plastica riciclata ecoAllene Green Pen è nata in casa Lecce Pen: già nel 1992 l’azienda di Settimo Torinese aveva prodotto la prima penna in mater-bi (la plastica di origine vegetale ottenuta dall’amido di mais), totalmente biodegradabile, divenuta “Caneta da Eco ’92”, ossia biro ufficiale della Conferenza mondiale dell’Onu sull’ambiente di Rio de Janeiro. Un’invenzione con cui Lecce Pen si guadagnò la Croce al merito per l’innovazione della Comunità europea, sempre nel 1992. Alla domanda su come sia nata l’idea di sviluppare questo procedimento che ha portato a brevettare l’ecoAllene, Roberto Lecce risponde che “l’azienda

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Materiali e prodotti innovativi da riciclo

ha sempre avuto attenzione per l’ambiente. Uno stimolo ulteriore ci è venuto anche dalla crisi economica e dall’invasione di prodotti a basso prezzo made in China, che ci ha indotti a rinnovarci attraverso prodotti dichiaratamente ecologici. Vista l’esperienza che avevamo nel settore, nel 2005 siamo stati contattati da Tetra Pak, alle prese con problemi di smaltimento del materiale”. Per arrivare a brevettare ecoAllene nel 2008 ci sono voluti tre anni di intensa ricerca. “Oggi l’interesse per i materiali riciclati è molto alto”, commenta Roberto Lecce, “per cui ecoAllene ha enormi potenzialità, anche se non può sostituire tutti i materiali plastici perché ha origine povere. Il problema per espanderne l’uso è che i settori industriali che trattano consistenti volumi di manufatti richiedono lunghi periodi di prove di laboratorio e collaudo”, continua Roberto Lecce. “I test, per esempio, in corso per un tipo di ecoAllene sostitutivo del legno delle matite per occhi e labbra durano 18 mesi. In collaborazione con studi di architettura stiamo anche collaudando versioni di ecoAllene per arredamenti da interno, e intendiamo metterne a punto un tipo per il settore automotive che dal 2014 dovrà produrre veicoli con il 75% di materiale riciclato”.

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Scopa in ecoAllene

Lecce Pen Company Spa strada Cebrosa 64 – 10036 Settimo Torinese leccepen@leccepenverona.com www.leccepen.com, www.ecoallene.com Primo Premio nel 2010 per il settore Rifiuti

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Minori consumi con scooter in plastica da riciclo

Il modello MP3 ibrido di Piaggio

Con il termine Plasmix si definisce la miscela eterogenea di plastiche post consumo che resta dopo la selezione del Pet e dei polimeri Hdpe (polietilene ad alta densità) dall’insieme dei materiali plastici provenienti da raccolta differenziata. La sua abituale destinazione finale finora è stata la termovalorizzazione o lo smaltimento in discarica. Con il “Progetto Riciclaggio”, Piaggio Spa ha puntato a identificare metodi di lavorazione del Plasmix per un suo successivo riciclo nella realizzazione di componenti commercialmente valide destinate alla produzione di parti della carrozzeria di veicoli a due, tre e quattro ruote. Sotto la regia di Piaggio, partner della ricerca, secondo l’approccio di filiera promosso dalla Regione Toscana, sono stati Revet per la selezione delle miscele poliolefiniche idonee, Pontlab per le prove di laboratorio, e Metalplastic, SPA e MPTplastica, abituali fornitori di Piaggio, che hanno messo a disposizione le macchine per lo stampaggio. Punto di partenza è stato lo studio della natura chimico-fisica e morfologica di una particolare miscela poliolefinica ottenibile dal Plasmix, detta Blend. Dopo il lavaggio iniziale, sono state scelte opportune cariche, additivi e materie prime necessarie a effettuare ulteriori selezioni e trasformazioni che hanno portato, tramite prove di laboratorio standard (per esempio per testare la resistenza agli urti e l’elasticità), a formulare un Blend con caratteristiche chimico-fisiche pari a quelle richieste per la produzione di parti di carrozzeria con polimeri di primo impianto. Il Blend, inoltre, doveva essere caratterizzato da un elevato Melt Flow Index (indice di fluidità del materiale fuso) per poter essere agevolmen-

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Materiali e prodotti innovativi da riciclo

te trasformato tramite il processo di stampaggio a iniezione della sostanza plastica fusa, normalmente adottato per produrre le plastiche della carrozzeria dei veicoli. I manufatti in plastica così ricavati dal riciclo del Plasmix hanno evidenziato proprietà maggiori o almeno identiche a quelle dei polimeri ottenuti da materiale vergine presenti oggi sul mercato. In particolare, il Blend, essendo più leggero grazie alle cariche (un particolare tipo di talco e di vetro) e agli additivi impiegati, ha consentito di ridurre il peso della carrozzeria dei veicoli, con conseguente riduzione dei consumi di carburanti e pertanto di impatto ambientale in fase di uso del mezzo, senza pregiudicare le prestazioni dei veicoli su cui è montata. “In conclusione, questa miscela poliolefinica permette di riciclare un’elevata percentuale di materiali plastici post consumo e di reinserirli nel processo produttivo per la realizzazione di un prodotto che è del tutto sostituibile alla materia prima, ha una minore densità per cui consente di produrre veicoli più leggeri che consumano di meno, è conforme alla normativa Reach che stabilisce, in modo particolare, che siano assenti ftalati, sostanze organiche e formaldeide, ed è esso stesso riciclabile a fine vita”, riassume la dottoressa Laura Bartolommei, coordinatrice della ricerca sul riciclo del Plasmix.

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MP3 è fabbricato con alcune componenti in plastica da riciclo da Plasmix

A fine ottobre il Blend era già impiegato nella produzione del kit plastico poliolefinico della parte di carrozzeria del veicolo MP3, più precisamente su contro scudo, fiancate, pedana, portatarga e coprimanubrio posteriore. Quanto alle possibilità di diffusione, con opportuni accorgimenti il Blend potrà trovare applicazione anche in settori diversi rispetto a quello dei veicoli. “A titolo esemplificativo ma non esaustivo”, precisa Laura Bartolommei, “si può pensare a pannelli fonoassorbenti, mobili, elettrodomestici, in sostituzione di resine poliolefiniche di primo impianto, identificando per ogni tipologia di manufatto la formulazione più confacente del Blend in funzione delle caratteristiche chimiche-meccaniche del prodotto finale”. Questa ricerca e la successiva applicazione dei risultati ottenuti in fase produttiva ha permesso di fare un passo in avanti sulla strada del riutilizzo di

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materiali plastici post consumo: al riciclo di plastiche provenienti da fonti selezionate, è stata aggiunta la possibilità di ottenere nuovo materiale dal Plasmix indifferenziato e di impiegarlo per produrre manufatti che hanno uno sbocco sul mercato (si veda anche il capitolo Scope e bidoni per rifiuti in plastica riciclata). In termini di benefici ambientali, tutto ciò si traduce in risparmio di materia prima vergine (petrolio), risparmio di energia per le fasi di estrazione della plastica vergine dal petrolio, mancate emissioni legate alla termovalorizzazione. Dal punto di vista economico, visti i benefici derivanti dal progetto Plasmix, il Gruppo Piaggio potrà cogliere un’ulteriore opportunità di sviluppo, di tutela dell’occupazione di filiera e di sostegno dello sviluppo industriale dell’azienda e del territorio. La ricerca applicata e l’innovazione nel settore della mobilità sostenibile, così come in quello per l’uso delle energie rinnovabili e dei materiali alternativi – è il punto di vista del Gruppo di Pontedera – se affrontate con determinazione garantiscono agli attori economici le necessarie condizioni di competitività sul mercato nazionale e internazionale.

Piaggio & C. Spa viale Rinaldo Piaggio 25 – 56025 Pontedera (PI) laura.bartolommei@piaggio.com; tel. 0587272111 www.piaggiogroup.com Segnalata nel 2011 nel settore Rifiuti

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Scope e bidoni per rifiuti in plastica riciclata

Secchi, bidoni per rifiuti, scope, palette e scopini, articoli per la pulizia della casa in plastica ottenuta dal riciclo della miscela di plastiche eterogenee post-consumo detta Plasmix (si veda il capitolo Minori consumi con scooter in plastica da riciclo). Li produce Utilplastic, dopo una sperimentazione durata circa un anno in collaborazione con centri di ricerca universitaria, con l’azienda pubblica Publiambiente, attiva nel settore servizi di igiene urbana, e con Revet Spa, impresa specializzata nella raccolta, selezione e trattamento di materiali destinati al riciclaggio, certificata UNI EN ISO 9001:2008 e UNI EN ISO 14001:2004, che opera prevalentemente in Toscana. Revet seleziona vetro, plastica, lattine in alluminio, imballaggi in poliaccoppiato (tetra pak), avviando in parte i materiali semilavorati post trattamento ad aziende che li utilizzano nella produzione di manufatti o parti di prodotto, e impiegandoli, in altra parte, direttamente per produrre componenti di prefabbricati o arredi per esterni. Il nuovo Piano industriale dell’azienda prevede oltre 10 milioni di investimenti, la metà dei quali finalizzati al riciclaggio delle materie plastiche eterogenee e a quello del vetro non avviabile alle vetrerie. Nel primo caso, le plastiche eterogenee, a seguito dei processi di estrusione e trasformazione in granuli e di successive lavorazioni, hanno dato vita al Blend impiegato per produrre componenti di scooter Piaggio in plastica riciclata o sono appunto utilizzati da Utilplastic per fabbricare i citati articoli casalinghi, o anche per realizzare componenti di pannelli fonoassorbenti. Revet Spa ha firmato protocolli d’intesa con Regione Toscana, Anci, Conai, Coreve e Corepla, con l’obiettivo di alimentare gli acquisti verdi di arredi per esterni in plastica riciclata e di nuovi sbocchi per il vetro fine.

Vaso in plastica da riciclo del Plasmix

Come ricaduta degli accordi, la Regione Toscana ha lanciato tre bandi da un milione di euro ciascuno a favore di comuni, enti, istituti e aziende per favorire il riciclo e promuovere il mercato dei materiali e dei prodotti derivati dalla raccolta dif-

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Scopa in Plasmix riciclato

ferenziata della plastica e del vetro. Alla scadenza, intorno a metà ottobre 2011, al bando sugli acquisti verdi hanno risposto 62 comuni, per un totale di un milione e 46.000 euro richiesti. Per l’acquisto di dondoli, scivoli, cestini, staccionate e arredo urbano in materiale riciclato riceveranno il contributo massimo del 40%. Per il secondo bando, che riguardava l’acquisto di campane per la raccolta monomateriale del vetro, sono arrivate domande per un totale di 822.000 euro (contributo regionale massimo: 30%). Infine, per il bando sugli acquisti di manufatti contenenti vetro riciclato, come mattoni, tegole, “sabbia” per sottofondi stradali e conglomerati cementizi, sono giunte tre richieste per un totale di 140.000 euro (il contributo regionale massimo sarà del 50%). Con questi aiuti concreti a sostegno della filiera delle materie prime seconde, la Regione Toscana intende innescare il ciclo virtuoso dell’uso-riciclo-riuso, dando un senso alle raccolte differenziate oggetto dell’impegno quotidiano dei cittadini. Ovvero: “la differenza la fai tu se li ricompri”. Una filosofia che si rispecchia nella produzione di articoli per la casa Utilgreen realizzati da Utilplastic con plastica da riciclo ottenuta da Plasmix, per la quale vale quanto scritto a proposito del Blend prodotto e utilizzato dal Gruppo Piaggio: i benefici ambientali che si ottengono riguardano il mancato uso di materia vergine, con relativo risparmio anche dell’energia necessaria a trasformarla, e il mancato invio a discarica o a termovalorizzazione del Plasmix, evitando di emettere CO2 in atmosfera. Anche Utilplastic sposa il principio del riuso delle materie recuperate da riciclo come chiusura virtuosa del ciclo, perché raccogliere e differenziare è solo il primo passo, se ci fermiamo prima del riuso, dicono, è lavoro sprecato. “E siccome non tutti i prodotti possono essere realizzati con materiali-base biologici, l’impatto di quelli in plastica va ridotto tramite riuso delle plastiche da riciclo”, afferma Massimo Desideri, presidente dell’azienda. “Il cestone Utilgreen utilizzato da alcune municipalizzate per la raccolta differenziata, fabbricato con parte del materiale che è destinato a raccogliere, è un esempio pedagogico e tangibile per i cittadini degli sbocchi finali della raccolta differenziata a cui sono chiamati dai comuni”. Nata nel 1969, Utilplastic è impegnata dall’origine nella lavorazione di materie plastiche. Esporta circa il 70% della sua produzione in tutto il mondo. “Alla linea dei prodotti di uso quotidiano ‘Utilgreen’, che possiedono le medesime caratteristiche meccaniche dei comuni utensili in plastica, abbiamo applicato la competenza acquisita negli anni, rinunciando all’idea di renderli cromaticamente più attraenti per non dover impiegare colorazio-

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Materiali e prodotti innovativi da riciclo

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ni artificiali. I nostri sono prodotti belli dentro”, dice Desideri. L’accordo con la catena di supermercati e ipermercati Coop ne ha consentito la diffusione nell’Italia centrale e meridionale. Utilgreen ha ricevuto una speciale menzione nell’edizione del premio GPP 2011 “Progetti sostenibili e green public procurement”, promosso da Ministero dell’economia e delle finanze e Consip, con il patrocinio del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Dal 2008 Utilplastic utilizza un impianto fotovoltaico da 22 kW di picco che produce ogni anno circa 30.000 kilowattora, da cui il risparmio di 17.500 chilogrammi di emissioni di CO2, e di 6 tonnellate equivalenti di petrolio.

Utilplastic Srl via Campo Sportivo 180 – 51036 Larciano (PT) utilplastic@utilplastic.it; tel. 057383161 www.utilplastic.it Segnalata nel 2011 nel settore Rifiuti

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La pietra che... ricicla gli sfridi industriali

Parete ventilata in Chylab

Secondo l’antica mitologia greca, Chenna era una pietra che aveva la proprietà terapeutica di guarire dagli avvelenamenti. Dando questo nome all’azienda, Chenna Srl, i fondatori hanno voluto manifestare la loro aspirazione di “unire due mondi contrastanti, quello dell’industria e quello della natura. Volevamo avere un ruolo attivo nella salvaguardia dell’ambiente, inventare un nuovo modo di produrre, costruire un futuro pulito”, si legge nel sito web aziendale. L’impresa fa parte del Gruppo Crabo che sorge in un’area storicamente vocata alla produzione di sedie e produce in media 660.000 sedie, 150.000 tavoli e 30.000 gruppi angolari all’anno, per un fatturato di oltre 25 milioni di euro. Dal 1993 Chenna recupera gli sfridi di lavorazione del legno dalle aziende produttrici di mobili che appartengono al gruppo, e li trasforma in materia prima seconda, risolvendo un problema che è al contempo ambientale ed economico. Gli sfridi provengono perlopiù da pannelli truciolari, frutto essi stessi di un processo di recupero. Inoltre l’azienda ha sviluppato una tecnologia con cui riesce a riciclare gli scarti legnosi insieme a plastiche recuperate post consumo. Il principale elemento innovativo di questo processo di lavorazione riguarda pertanto il recupero e il riciclo di diverse tipologie di rifiuti che prima erano destinati a discarica. Il processo per lo stampaggio dei materiali da riciclo è brevettato. L’investimento iniziale nella ricerca è stato di 5 milioni di euro. La totalità del materiale plastico deriva dal riciclaggio di plastiche eterogenee. Dopo un periodo iniziale in cui l’azienda selezionava e densificava direttamente le materie plastiche da riciclare nel

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Materiali e prodotti innovativi da riciclo

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proprio impianto di San Vito al Tagliamento, oggi, una volta chiuso l’impianto per il venire meno della disponibilità del capannone in cui sorgeva, per procurarsi la plastica deve rivolgersi a esterni. Mentre il legno, come si è detto, proviene dagli scarti di lavorazione degli stabilimenti aziendali del gruppo. Gli innovativi materiali che derivano da questo processo di riciclaggio consentono sensibili risparmi rispetto all’impiego di materie prime che sono più costose, e rappresentano una valida alternativa a quelli convenzionali. I composti legno-plastica sono infatti caratterizzati da elevate prestazioni meccaniche e di isolamento termico e acustico, e di resistenza agli agenti esterni. Chylon è il materiale composito ottenuto da un 55% di poliolefine (polietilene e polipropilene) tutte da riciclo, più un 45% di legno, e viene utilizzato per produrre sedili e scocche per sedie, piastrelle per esterni, insieme ad altri svariati prodotti; Chyplast corrisponde a una miscela di poliolefine che viene utilizzata per produrre sedili e schienali per sedie da casa e ufficio; infine Chylab contraddistingue una miscela di poliolefine al 30% e legno al 70%, entrambi recuperati da manufatti post consumo, utilizzata per produrre estrusi destinati prevalentemente alla realizzazione di pareti ventilate (uno dei prodotti più recenti) e pavimentazioni da interni ed esterni. A dicembre 2010 risultava che Chenna aveva riutilizzato 16.000 tonnellate di residui di legno e 21.000 tonnellate di plastica da riciclo. Annualmente produce circa 2 milioni di manufatti distinti in componenti per mobili da casa e da ufficio, pavimentazioni e rivestimenti per l’edilizia. Il percorso di recupero del materiale è completato, all’interno del gruppo industriale Crabo, dalla Nuova Romano Bolzicco Spa, la cui mission è il recupero energetico di tutte le frazioni non riciclabili. La Nuova Romano Bolzicco è in grado di trattare ogni anno circa 20.000 tonnellate di residui industriali e di produrre 11.038 MWh/anno di energia elettrica. Gli addetti a questo processo di riciclo degli sfridi di legno, riciclaggio e recupero energetico sono 22.

Piastrella per esterni Lepla

Cosa producono nel dettaglio con Chylon e Chylab? Nel volume Riciclo del Ministero dell’ambiente, pubblicato nel 2006, compaiono con Bree (ovvero doghe per pavimentazioni), Dok (un elemento modulare per arredamento per esterni, come ad esempio panchine e divisori), Lepla (una piastrella per esterni carrabile), il poggiapiedi Benefeet, Pontia (seduta per sedia) e Sgabello Plus (seduta per sgabello).

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L’applicazione più recente è il “sasso” RiPietra, utilizzato per realizzare vialetti, camminamenti su spiagge o come decorazione per il giardino. Recente è anche l’utilizzo del profilo Maxi per l’assemblaggio di pareti ventilate, per il quale è particolarmente adatto grazie alla semplicità del montaggio e all’adattabilità del materiale. Allo studio, ancora sotto forma di prototipi, ci sono inoltre tegole, casse acustiche, lampade e oggettistica varia. Panchina realizzata con Dok

Chenna partecipa alle attività di ricerca nel laboratorio installato presso il Polo tecnologico di Pordenone. Per le innovazioni realizzate ha ottenuto svariati premi, a cominciare, nel 2002, dal Premio “Idea verde”, assegnato dal Comitato per la Piccola Industria dell’Associazione Industriali della Provincia di Udine, per aver migliorato la qualità ambientale del territorio attraverso prodotti innovativi, sia per i materiali impiegati, sia per la tecnologia utilizzata per realizzarli. Nel 2005 è seguito il “Premio Innovazione”, il riconoscimento istituito da Legambiente, Politecnico di Milano e Università Bocconi con il contributo di Confindustria, dedicato alle aziende eco-efficienti che “producono meglio con meno” e operano per l’ammodernamento delle tecnologie, dei prodotti, dei servizi e dei consumi.

Chenna Srl via San Daniele 130, ZI Ruscletto – 33030 San Vito di Fagagna (UD) info@chenna.it; tel. 0432808787 www.chenna.it; www.crabo.it Segnalata nel 2009 nel settore Rifiuti

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Dalle bottiglie in Pet ai pannelli termoisolanti

Negli stabilimenti di Novedrate, tra Como e Milano, e di Pisticci, in provincia di Matera, nonché di Colmar, in Francia, il Gruppo Freudenberg Politex, leader mondiale nella produzione di tessuti non tessuti in poliestere (Pet) destinati all’edilizia, produce pannelli per isolamento termoacustico della gamma Ecozero, che hanno una particolarità: il poliestere con cui sono fabbricati è ottenuto dal riciclo di bottiglie post consumo in Pet. Solo nei due siti italiani vengono trattate più di un miliardo e mezzo di bottiglie all’anno, provenienti per la maggior parte da raccolta differenziata italiana, per produrre Ecozero e altri non tessuti (Texbond e Terbond). Il processo di lavorazione parte dalla fase di selezione per scartare, dalle balle di bottiglie che giungono agli stabilimenti, tutto il materiale estraneo; successivamente le bottiglie vengono sottoposte a lavaggio per eliminare etichette, colle, liquidi, quindi sono macinate e ridotte in piccole scaglie di Pet (flakes), ri-lavate per separare le scaglie in Pet da quelle dei tappi in altra plastica, poi asciugate ed essiccate. In seguito i flakes vengono scaldati fino alla fusione e trasformati in filo continuo o fiocco di poliestere. A questo punto il Pet così rigenerato è pronto per essere inviato agli impianti per la produzione di rotoli di tessuto non tessuto Texbond e Terbond o di pannelli per isolamento termoacustico Ecozero. Con questo processo si recuperano rifiuti altrimenti destinati a smaltimento in discarica o a incenerimento, che diventano invece materia prima seconda con le medesime qualità del materiale ricavato dal petrolio. La sostituzione di poliestere vergine

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Pannello Ecozero ottenuto da Pet riciclato

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Posa del pannello Ecozero per isolamento termoacustico

con materiale riciclato comporta il risparmio di risorse naturali, principalmente petrolio e acqua, ed elimina i consumi energetici legati alla produzione del materiale vergine. Con Ecozero si riducono quindi tutti gli impatti ambientali e si dimezzano in particolare le emissioni di CO2 in atmosfera. Lo confermano gli studi di Lca-Life Cycle Analysis (analisi sul ciclo di vita) effettuati sui pannelli Ecozero dal Dipartimento di Ingegneria e fisica dell’ambiente dell’Università della Basilicata, e convalidati dalla Dichiarazione ambientale di prodotto (Epd). Il beneficio ambientale della gamma Ecozero si completa, in fase di uso finale, con la riduzione del consumo di energia per la climatizzazione interna degli edifici e, di conseguenza, con il risparmio all’atmosfera di ulteriori emissioni di CO2 e altri gas. “In meno di due anni si azzera il debito ambientale contratto con la produzione dei pannelli, compresa la fase di riciclo del Pet, grazie al risparmio energetico ottenuto con l’edificio coibentato con i pannelli Ecozero”, precisa la dottoressa Laura Tagliabue, responsabile comunicazione e marketing del Gruppo Freudenberg Politex. Ciliegina finale sulla torta della sostenibilità, “questo materiale, imputrescibile e durevole, conserva le proprietà inalterate nel tempo ed è riciclabile al 100% in quanto privo di additivi e leganti di natura diversa dal poliestere”, aggiunge Laura Tagliabue. In caso di termovalorizzazione a fine vita, il suo potere termico è di 33 MJ/kg (megajoule per chilogrammo). Il monitoraggio affidato dal Gruppo al Dipartimento universitario della Basilicata permette di aggiornare periodicamente i dati raccolti, misurando i miglioramenti raggiunti grazie alle nuove azioni intraprese. L’impianto di

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cogenerazione per la produzione di energia elettrica e termica installato nel sito di Novedrate, per esempio, in un solo anno ha fatto risparmiare più di due milioni di metri cubi di combustibili fossili, tagliando di oltre 11.000 tonnellate le emissioni di CO2. Altri interventi in parte già effettuati sono mirati all’ottimizzazione dell’uso della risorsa acqua, alla riduzione dei rifiuti e alla valorizzazione degli scarti di produzione, in misura crescente trasformati in materia prima rigenerata o combustibile. L’utilizzo di poliestere proveniente dalla raccolta differenziata è una scelta produttiva consolidata nella storia del Gruppo Freudenberg Politex, il primo nel nostro paese a costruire un impianto per il riciclo degli imballaggi in Pet poco meno di venti anni fa, nella sede di Novedrate. “Purtroppo oggi, soprattutto in Italia, la raccolta differenziata non riesce a soddisfare la domanda crescente”, commenta l’ingegner Federico Pallini, business director del Gruppo Freudenberg Politex, “per cui negli anni i prezzi del materiale da riciclo hanno subito importanti aumenti. Il beneficio, quindi, pende maggiormente a vantaggio dell’ambiente che non dei conti aziendali; la nostra società è comunque fiera di offrire sul mercato prodotti come Ecozero, che fanno risparmiare anche il consumatore grazie ai livelli di efficienza energetica conseguiti. Per superare questa criticità la sensibilizzazione della comunità e della filiera dell’industria delle costruzioni è fondamentale. Oggi il modo di costruire sta cambiando: il riciclo non è più associato a materiale di seconda scelta ma apprezzato in termini di tutela ambientale. L’aumento della raccolta differenziata contribuirebbe allo sviluppo sostenibile e potrebbe portare investimenti in Italia. Allo stesso modo una maggiore consapevolezza a favore degli acquisti verdi contribuirebbe ulteriormente a ridurre gli impatti ambientali”, conclude.

Politex Sas di Freudenberg Politex Srl strada Provinciale Novedratese 17/a – 22060 Novedrate (CO) ltagliabue@politex.it; tel. 031793111 www.freudenbergpolitex.com Segnalata nel 2011 nel settore Prodotti e servizi innovativi

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Dall’emergenza rifiuti al packaging sostenibile

La storia dell’azienda Sabox (gruppo Sada) di Nocera Superiore, specializzata nella progettazione e produzione di imballaggi in cartone ondulato, è la riprova che da situazioni di crisi possono nascere esperienze di eccellenza. È stato infatti in piena emergenza rifiuti in Campania, nel 2008, che Sabox, di fronte ai rischi che correva il mercato del packaging, ha deciso di ridisegnare la strategia aziendale per coniugare qualità ambientale e competitività industriale. Così, dall’intuizione di trasformare uno scenario negativo in un’opportunità di rinnovamento imprenditoriale, è nato Green Project. Dopo aver individuato quattro macroaree (organizzazione, produzione, logistica e nuovi prodotti), sono stati fissati indicatori di prestazione e valori obiettivo, e definite le azioni da intraprendere per raggiungerli. I nuovi prodotti di Sabox sono frutto di un circuito che coinvolge aziende del gruppo, cittadini ed enti locali, promuovendo nel distretto agroalimentare di Nocera-Gragnano l’uso di imballaggi in cartone ondulato prodotti con carta riciclata. I comuni organizzano la raccolta differenziata della carta, che viene lavorata negli impianti del gruppo (cartiera, ondulatore e scatolificio) e consegnata ai clienti del distretto, in una logica di ottimizzazione del processo produttivo e di accorciamento della filiera che genera tre benefici ambientali ed economici: riduzione del consumo di risorse tramite riciclo, produzione e distribuzione a chilometro zero con conseguenti risparmi sul trasporto, creazione di valore nel territorio. Alle certificazioni ambientali di processo ISO 9001 e ISO 14001, Sabox ha aggiunto quella Fsc (a garanzia dell’utilizzo esclusivo di fibre di cellulosa riciclate post consumo o di fibre vergini provenienti da foreste gestite in modo sostenibile), Epd (Environmental Product Declaration, che attraverso uno studio Lca sul ciclo di vita ha valutato l’impronta del carbonio dei prodotti), e la certificazione Valore sociale sull’attuazione di politiche di Responsabilità sociale di impresa. “E a ottobre 2011 Carbon Trust, un’organizzazione promossa dal governo inglese, ha certificato che

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Sabox, tra il 2009 e il 2010, a livello di organizzazione della produzione, ha ridotto le emissioni di CO2 del 19,4 %”, aggiunge l’ingegner Vito Francese, responsabile sostenibilità in Sabox. Lo studio di Lca e altre ricerche di settore hanno confermato che produrre scatole in carta da riciclo anziché in fibra vergine comporta non solo il mancato abbattimento di alberi, ma anche il risparmio di ingenti quantitativi di energia e acqua, con conseguente drastica diminuzione delle emissioni di CO2. “Sulla base delle vendite realizzate in due anni, Green Project ha fatto risparmiare 52.565 alberi (che corrispondono a 21 ettari di foresta), 4.258 tonnellate di CO2 (pari a quelle che emette un’auto di media cilindrata che percorra 30 milioni di chilometri), 126.858.737 litri di acqua (ovvero il fabbisogno medio annuo di 634 famiglie italiane), e 66.583.315 Mj di energia (pari al fabbisogno annuo di 5.284 famiglie)”, snocciola l’ingegner Francese. In termini di bilanci aziendali, i risparmi ottenuti con la gestione ambientalmente sostenibile delle risorse si sono tradotti in benefici sintetizzabili con queste cifre: meno 31,3% di consumi di gas metano, meno 16,6% di consumi di elettricità, meno 41,9% di consumo di acqua, meno 11% di reflui industriali da smaltire, meno 32,85% di trasporti. Inoltre, grazie a Green Project, Sabox ha acquisito nuovi clienti e ha ampliato la quota di mercato sul territorio, con un trend di vendita in continua espansione. Dall’evoluzione del progetto sono sorte due nuove divisioni aziendali: Formaperta e Greener Italia. Formapaerta si occupa di progettazione e realizzazione di complementi d’arredo, stand e allestimenti per fiere ed eventi, usando esclusivamente cartone ondulato riciclato, a testimonianza della versatilità di questo materiale ottenuto da riciclo, che può vivere più vite sotto più forme. La divisione Greener Italia, a partire dall’esperienza maturata in casa propria da Sabox, è dedicata inve-

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La “foresta urbana” da cui Sabox ricava cellulosa da riciclo

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ce alle attività di consulenza per i clienti interessati a integrare la sostenibilità ambientale nei loro piani di sviluppo. L’azienda mette quindi a disposizione il proprio know-how per l’implementazione di progetti analoghi a Green Project. Nell’economia complessiva di Sabox i prodotti verdi stanno guadagnando terreno rispetto alla produzione convenzionale: se nel periodo gennaiomaggio 2009 rappresentavano il 12% circa del totale, un anno dopo erano saliti al 23%. Essendo basato su principi semplici e di agevole attuazione, il sistema Green Project è considerato da Sabox facilmente riproducibile, a prescindere dalla tipologia di prodotto e dalla zona geografica in cui ha sede l’impresa intenzionata a dare un’impronta di sostenibilità all’attività produttiva. Il progetto ha già suscitato l’interesse di Escor, una rete europea di aziende del settore del cartone ondulato con sede a Parigi, di cui il gruppo Sada fa parte attraverso la società commerciale Cart-one. Se alla iniziale manifestazione di interesse facesse seguito l’adozione, Green Project, nato in provincia di Salerno, farebbe il grande salto in una rete che coinvolge 23 stabilimenti in Europa. Oltre al Premio Sviluppo Sostenibile, Green Project ha ricevuto l’European Business Award (2010), l’European Paper Recycling Award (2009) e il Premio Innovazione Amica dell’Ambiente per il sud (2010).

Sabox Srl via Nazionale km 41 – 84015 Nocera Superiore (SA) vitofrancese@sabox.it; tel. 0819317111 www.saboxgreen.it Segnalata nel 2011 nel settore Rifiuti

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Pannelli riciclati alla sansa di olive

Ecoplan è un’azienda finanziata con i fondi della legge 95/1995 sull’imprenditorialità giovanile nel Mezzogiorno, nata nella seconda metà degli anni ’90 all’insegna di un dichiarato impegno glocale che ha al centro la valorizzazione delle peculiarità del territorio come perno di uno sviluppo consapevole della dimensione globale delle questioni ambientali. Il fiore all’occhiello di Ecoplan sono lastre e pannelli, denominati Ecomat, ottenuti riciclando e mescolando tra loro due tipologie di rifiuti: resine termoplastiche poliolefine (a base di polipropilene e/o polietilene) derivanti da scarti di lavorazione industriali o da post consumo, acquistate in granuli e scaglie;

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Atelier L’Oreal a Madrid arredato con pannelli Ecoplan

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e sansa esausta, ossia lo scarto della macinazione delle olive proveniente dalla produzione dell’olio. Nella Piana di Gioia Tauro, in cui opera Ecoplan, si producono oltre 250.000 tonnellate l’anno di questo rifiuto, il cui smaltimento ha sempre rappresentato un problema; solo di recente si è cominciato a usarlo come biomassa per produrre energia. Riutilizzandolo, Ecoplan fa un passo in avanti coerente con la gerarchia europea dei rifiuti che stabilisce che il riciclo viene prima del recupero energetico.

Interni dell’atelier L’Oreal, Madrid

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Pannelli e lastre in Ecomat non contengono colle, quindi non emettono formaldeide, e sono a loro volta riciclabili al 100%. A fine ciclo di vita si possono restituire a Ecoplan (ottenendo in cambio uno sconto su un eventuale nuovo acquisto) che li inserisce nuovamente nel processo produttivo, macinandoli insieme alla materia prima seconda con cui produce Ecomat. Prodotti in diversi formati e spessore, i pannelli sono disponibili in vari colori simili alle essenze di legno. Il mix dei componenti varia di volta in volta in funzione dell’uso finale del prodotto e del budget a disposizione. L’impianto può utilizzare altri scarti vegetali, come lolla di riso, fibra di canapa e di ginestra. Sia il processo lavorativo sia Ecomat sono coperti da brevetto internazionale. Il raffreddamento degli impianti avviene a ciclo chiuso per cui non genera acque reflue. Gli scarti e gli sfridi di produzione vengono macinati e reimmessi nel ciclo produttivo, che pertanto non produce rifiuti. L’elemento originale che caratterizza la lavorazione è rappresentato dall’impiego della sansa tal quale, non pretrattata, selezionata solo dal punto di vista granulometrico, depurata da materiale estraneo e quindi essiccata. “Abbiamo realizzato un materiale nuovo che unisce all’aspetto estetico del legno le prestazioni tecnologiche della plastica, e che viene prodotto con un impianto ‘su misura’ unico nel suo genere, modificato negli anni, a forza di sperimentazioni, di ‘prova e correggi’. Al momento non c’è nessun’altra azienda al mondo che possieda il nostro know-how di processo e che sia in grado di produrre lastre e pannelli di grosse dimensioni e spessore con plastiche riciclate disomogenee e scarti vegetali o inerti, come facciamo noi”, rivendica con orgoglio Domenico Cristofaro, geometra dipendente di un consorzio al mattino, e al pomeriggio cofondatore-presidente di questa azienda, a cui lo lega, insieme alla passione, un mutuo per il quale ha sacrificato l’acquisto della casa. “Ma è la scommessa della vita, ci ho messo la faccia”, dice. “Mi ha aiutato anche a superare momenti difficili”.

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I pannelli Ecomat hanno trovato impiego nella realizzazione di pianali per camion e container, in edilizia nella costruzione di pavimentazioni di ambienti esterni, e nell’arredo urbano. Le proprietà antiurto, antiscivolo, antischeggia e idrorepellente, il non essere aggredibile da funghi, batteri e insetti, e la capacità di resistere agli agenti atmosferici e alla salsedine, ne fanno un prodotto adatto a produrre cabine da spiaggia, pontili, piattaforme galleggianti. Nel settore delle attrezzature da spettacolo trova impiego per realizzare piani di calpestio per palchi. Infine, è utilizzato per fabbricare piste da skateboard. Nel 2009 Ecoplan ha ottenuto un’importante commessa dal gruppo Abet Laminati Spa (una multinazionale leader mondiale del settore dei laminati per arredamento) per la produzione di lastre di grosso spessore utilizzando nella mescola anche polverino di laminato, uno scarto di lavorazione della Abet che, nonostante i numerosi tentativi fatti, nessuna altra azienda al mondo era riuscita a reimpiegare. L’anno successivo è arrivata, tra gli altri ordini, la richiesta di realizzare pavimenti e mobili di arredamento nella sede, a Madrid, della prima Accademia verde dei parrucchieri di L’Oréal, progettata dall’architetto Guido Matta, sulla base di un format da replicare in tutte le altre accademie a livello mondiale. Nel medesimo anno, su suggerimento della Scuola di design industriale del Politecnico di Torino, Ecoplan ha fornito materiali per l’allestimento del Salone del gusto. L’attività dell’azienda ha permesso di creare 7-8 nuovi posti di lavoro, just in time rispetto alle commesse, in un’area notoriamente assetata di opportunità occupazionali. E ci sarebbero potenzialità di ulteriore sviluppo. “Ecomat è apprezzato nel mondo, meriterebbe di essere sostenuto sul piano del marketing, ma ci mancano la necessaria forza finanziaria e l’appoggio del sistema creditizio”, osserva con amarezza Cristofaro. “Però non mollo. A una multinazionale che, anziché investire nel nostro territorio, pensava di depredarlo comprandosi l’impianto per trasferirlo al nord, ho detto di no.”

Ecoplan Srl c. da Primogenito Zona Industriale P.I.P. – 89024 Polistena (RC) info@ecoplan.it; tel. 0966941844 www.ecoplan.it Segnalata nel 2009 nel settore Rifiuti

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La nuova frontiera post uso dei tubi catodici

Il Sistema di raccolta dei Raee (rifiuti derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche) domestici è stato avviato nel 2008: il 18 luglio il Centro di coordinamento Raee ha sottoscritto un accordo di programma con l’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) per definire modalità di organizzazione della raccolta, suddivisione dei Raee in base a cinque tipologie dette Raggruppamenti (R), e modalità di ritiro. I Raee domestici comprendono frigoriferi, congelatori, condizionatori e scalda-acqua (R1, denominato “Freddo e clima”); lavatrici, lavastoviglie, forni e piani di cottura (R2, detto “Grandi bianchi”); televisori e monitor a tubo catodico, Lcd o plasma (R3); cellulari, computer, stampanti, giochi elettronici, apparecchi di illuminazione, ventilatori, asciugacapelli e simili (R4); lampadine a basso consumo, lampade fluorescenti compatte e al neon (R5). Nel 2009, primo anno di piena attività, sono state raccolte 193.042,777 tonnellate (fonte: L’Italia del riciclo 2010, Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, Fise Unire). Nel 2011 (dato aggiornato al 18 ottobre) siamo a quota 196.061 tonnellate.

Baselampada decorata con vetro ottenuto da tubi catodici e monitor

Come nel 2009, la parte del leone continua a farla l’R3, con il 31,96% del totale; fanalino di coda resta l’R5, che raccoglie quote non significative (0,37%), “sia a causa di una ridotta sensibilità dei cittadini verso una raccolta differenziata di questa tipologia di rifiuti, sia per il divieto di accesso ai centri di raccolta comunali di alcune figure professionali, come gli installatori”, si legge nel rapporto citato. La percentuale di Raee raccolti rispetto all’immesso al consumo nel 2009 vedeva l’R3 in testa con il 78%, seguito dal raggruppamento “Freddo e clima” al 27%, dai “Grandi bianchi” al 16%, per finire con i piccoli elettrodomestici dell’R4 al 9% e le sorgenti luminose al 5%. Un quadro che faceva concludere agli esten-

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Pannello da parete realizzato in vetro da riciclo

sori del rapporto che “esistono ampi margini di miglioramento: un significativo contributo in merito potrebbe venire dall’entrata in vigore dell’obbligo del ritiro ‘1 contro 1’ da parte dei distributori”. Quanto poi al recupero di materia dai Raee, è stabilito che deve avvenire in conformità al decreto legislativo 151/2005 che prevede, a seconda della tipologia, una percentuale minima di recupero e riciclo compresa tra il 65 e l’80% del peso complessivo raccolto. Tra le prime aziende in Italia a occuparsi di trattamento dei rifiuti elettronici è annoverata Eco.el (certificata ISO 9001, ISO 14001 e dal Centro di coordinamento Raee), che ha avviato l’attività nel 1993, ben prima che il settore venisse disciplinato per legge. Oggi Eco.el organizza il servizio per circa 500 amministrazioni comunali e tratta fino a 12 milioni di chilogrammi di rifiuti elettrici ed elettronici l’anno. Puntando al rifiuto a km zero, offre un servizio di raccolta e gestione dei Raee provenienti dalla piccola e grande distribuzione professionale e domestica con consegna e installazione del nuovo e ritiro del vecchio, e percentuali di recupero dichiarate dall’azienda superiori all’80% di legge. “Lavoriamo un rifiuto a km zero in quanto, per il conferimento al nostro sito di trattamento, a Mombellara, utilizziamo il viaggio di ritorno del mezzo di consegna dell’apparecchio nuovo, per cui il trasporto non incide sul rifiuto”, sottolinea Marco Corà, amministratore unico di Eco.el. “Un risultato reso possibile al momento dal 30% circa dei contratti di affidamento del servizio di consegna e ritiro che abbiamo in corso”, precisa. Forte dell’esperienza maturata nello smaltimento dei Raee, Eco.el ha attivato un settore di ricerca e sperimentazione applicata finalizzata a trovare soluzioni per il riutilizzo degli scarti post consumo recuperati. Ne è nata una gamma di prodotti coperti da brevetto internazionale valido in 121 paesi, METALricraee e GLASSricraee, destinati all’edilizia e al settore dell’arredamento, prodotti da Ricraee Srl, branca aziendale di Eco.el. Questa produzione da riciclo (che è stata segnalata nell’ambito dell’edizione 2010 del Premio Sviluppo Sostenibile) comprende pannelli per il rivestimento di pareti e oggetti di arredo urbano realizzati solo con vetro riciclato ricavato dal trattamento di tubi catodici e monitor, valorizzato dalla grande cura posta nell’aspetto estetico e artistico. “Noi non acquistiamo vetro da terzi, utilizziamo solo quello derivato da nostra lavorazione”, puntualizza Corà. I be-

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Recupero e riciclo Raee

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nefici ambientali ed economici riguardano la riduzione dei rifiuti da destinare a smaltimento e la valorizzazione dei rifiuti, che consente di chiudere il ciclo. È un’attività a bassissimo impatto poiché, dopo il trattamento per il recupero del vetro, in fase sia di lavorazione sia di decorazione richiede prevalentemente l’intervento umano, senza impiego di macchinari e relativo consumo di energia. Ogni formella è lavorata artigianalmente, attraverso la selezione manuale dei singoli cristalli di vetro provenienti da riciclo, per cui risulta essere un prodotto unico per sfumature e riflettenza. “Sono prodotti che trovano applicazione in edilizia e come complementi di arredo in una dimensione di mercato di nicchia e di lusso, non legato al costo, ma alla particolarità dell’oggetto”, sottolinea Corà. “Lavoriamo anche con artisti, per cui il prezzo-base di 500 euro al metro quadrato può spingersi fino a 1.000-2.000 euro”. Vasi, quadri e lampade sono commercializzati online sul sito www.ninashop.it.

Eco.el Srl/Ricraee Srl via Monte Ortigara 36 b – 36073 Cornedo Vicentino marcocora@ecoel.it; tel. 0444440836 www.ecoel.it; www.ricraee.it; www.b-matrix.it Segnalata nel 2010 nel settore Rifiuti

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Il riciclo ecosostenibile degli elettrodomestici

Rame recuperato dal trattamento dei RAEE

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ReMedia è il Consorzio nazionale per la gestione di tutte le categorie di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee), nonché di pile e accumulatori a fine vita. Conta oltre 1.000 aziende associate, produttrici di apparecchi di elettronica di consumo, piccoli e grandi elettrodomestici, informatica e telecomunicazioni, apparecchi di climatizzazione, giocattoli, dispositivi medici e di monitoraggio e controllo, strumenti musicali, pile e accumulatori, che supporta nell’adempimento degli obblighi di legge relativi al trattamento post uso. In pratica, tramite fornitori esterni ReMedia effettua per i soci le attività di ritiro, trasporto, smontaggio e frantumazione dei Raee indirizzate al recupero, riciclaggio e smaltimento finale. Nel 2010 ha gestito oltre 45.000 tonnellate di Raee, registrando un rapporto tra peso dei Raee riciclati e peso dei nuovi manufatti immessi sul mercato dai soci del 43%, uno dei più alti tassi di ritorno tra i sistemi collettivi. La percentuale di materiali ricavati dai rifiuti tecnologici ha raggiunto il 91%, il livello di servizio assicurato ai comuni serviti entro il termine temporale stabilito, ovvero la puntualità, il 98,5%. Gran parte del merito per i risultati conseguiti va al modello operativo brevettato Value

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Recupero e riciclo Raee

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Recycling System® (VRS®) basato sul sistema integrato qualità e ambiente del Consorzio che nel 2010 ha ottenuto le certificazioni UNI EN ISO 9001:2008 e 14001:2004. Il VRS® è finalizzato a garantire un riciclo efficiente ed ecosostenibile; per questo niente è affidato al caso e ogni singolo step del processo è tenuto sotto controllo. Il sistema è stato sviluppato dal Consorzio ReMedia con cospicui investimenti in termini di risorse economiche e di know-how tecnico, fino alla completa definizione all’inizio del 2011. Gli elementi costitutivi del VRS® sono: qualificazione e controllo dei fornitori, standard di trattamento definiti, monitoraggio dei flussi di materiali, rilevazione della percentuale di recupero, misurazione dei benefici ambientali ottenuti. I fornitori sono stati selezionati tra gli operatori ritenuti più affidabili nel campo dei trasporti e riciclo di Raee. Il loro operato viene controllato tramite verifiche sul campo e documentali senza preavviso, dette blind test: almeno una volta l’anno ReMedia pianifica verifiche ispettive presso gli impianti per monitorare la corretta gestione degli aspetti ambientali più significativi e l’andamento delle azioni di miglioramento concordate. Durante gli audit viene ripetuto il monitoraggio delle attività quotidiane dell’impianto con calcolo di dettaglio delle frazioni recuperate dalla lavorazione e la loro destinazione. I dati raccolti sono confrontati con i valori guida espressi dalle Bat (le best available technologies, le migliori tecnologie disponibili), con i dati dichiarati annualmente dal fornitore e con gli standard richiesti da ReMedia per la qualifica del fornitore. Per le attività di trattamento gli standard di riferimento ambientali sono quelli più avanzati a livello internazionale; in particolare tutti i Raee ricevuti dall’impianto del fornitore devono

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Impianto di pretrattamento e dis­ assemblaggio dei RAEE

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essere sottoposti a cinque fasi di trattamento: presa in carico e registrazione, pre-trattamento e disassemblaggio, bonifica dalle componenti pericolose e messa in sicurezza (con invio delle sostanze pericolose a impianti specializzati autorizzati), trattamento completo a seconda della tipologia di rifiuto, smaltimento e/o recupero energetico. Un sistema informativo integrato monitora i flussi di Raee e ne assicura la tracciabilità in tempo reale. La percentuale di recupero viene calcolata sulla base di lotti di campionamento dei Raee attraverso un sistema di reportistica standard. “Non c’è dubbio che l’attivazione del sistema ha comportato l’adozione di comportamenti virtuosi da parte dei nostri fornitori”, commenta l’ingegnere Valentina Negri, che coordina per ReMedia la gestione del VRS®. I benefici ambientali si valutano mettendo a confronto i risultati ottenuti dalle attività svolte (per esempio rispetto a emissioni in atmosfera e nei corpi idrici) con lo scenario rifiuti “tutti-in-discarica”. Ogni anno ReMedia pubblica il bilancio energetico ambientale del ciclo di recupero dei flussi di Raee trattati. In relazione alle attività di trasporto e trattamento delle 45.323 tonnellate di Raee domestici e professionali gestiti nel 2010, la carbon footprint (l’impronta del carbonio) risulta essere pari a 78.486 tonnellate di CO2 equivalente, corrispondente a un’impronta media di 1,73 tonnellate di CO2 eq per tonnellata di rifiuto trattato. Il maggior contributo risulta provenire dai cosiddetti grandi bianchi (come lavatrici e lavastoviglie) e dalle apparecchiature refrigeranti (condizionatori e frigoriferi) che, a fronte di un’incidenza in peso del 17% sul totale raccolto, contribuiscono per quasi il 95% alla carbon footprint complessiva, a causa soprattutto dei gas refrigeranti a effetto serra che sfuggono al sequestro durante il trattamento. Sul fronte occupazionale, il bilancio 2010 stima in 345 posti di lavoro l’occupazione diretta generata dal Consorzio, e in 600-650 unità quella complessiva se si aggiungono l’occupazione indiretta (generata dall’acquisto di materiali, prodotti industriali, servizi necessari alla realizzazione del servizio prodotto) e quella indotta (il lavoro creato per effetto della nuova domanda generata dai redditi dei lavoratori impiegati nelle attività dirette e indirette).

Consorzio ReMedia via Messina 38 – 20154 Milano info@consorzioremedia.it; tel. 0234594611 www.consorzioremedia.it Segnalata nel 2011 nel settore Rifiuti

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Dai tubi al neon alle piastrelle

Relight è un’azienda che opera nel settore della raccolta, recupero e trattamento di Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee). Ha adottato il sistema di gestione ambientale ISO 14001, a cui ha fatto seguito la registrazione Emas. In collaborazione con Polis Manifatture Ceramiche Spa di Modena (www.polis.it), socio ordinario di Green Building Council Italia, e il Dipartimento di Ingegneria dei materiali e dell’ambiente dell’Università di Modena e Reggio Emilia, Relight ha sviluppato una innovativa piastrella in grès porcellanato, Relux, realizzata impiegando uno smalto prodotto con vetro derivante dal riciclo, a fine vita, di lampade fluorescenti lineari (comunemente note come tubi al neon). La tecnologia Relux permette di raggiungere cinque obiettivi chiave per la tutela ambientale: riduzione dell’impiego di materie prime vergini (tramite recupero e riciclo di materie prime seconde), riduzione dei trasporti (grazie al riciclo di materiali a scala locale), riduzione del consumo di energia (che è minore nelle attività di riciclo rispetto all’impiego di materia vergine), recupero di materiali di alta qualità (ovvero il vetro delle lampade fluorescenti), riduzione dello smaltimento dei rifiuti (che vengono trasformati in materia prima seconda). Per questo la piastrella Relux si fregia della certificazione Ecolabel, il marchio europeo che contrassegna la qualità ecologica di prodotto. Il processo di trattamento delle lampade fluorescenti a fine vita messo a punto nel sito Relight di Muggiano prevede una fase iniziale di frantumazione delle lampade post-uso e di separazione delle diverse componenti. Particolare attenzione viene dedicata alla bonifica delle lampade dalle polveri fluorescenti contenenti mercurio, (avviato successivamente a ulteriore trattamento). Per favorirne l’utilizzazione nella produzione ceramica, il vetro viene poi sottoposto a un processo di vagliatura per ottenere una granulometria omogenea. Il vetro così bonificato e reso omogeneo è quindi utilizzato nel processo di smaltatura del grès porcellanato, in proporzione del 40%, insieme ad argilla, quarzo, allumina (il più importante stabilizzante di sistemi vetrosi) e additivi.

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Trattamento di tubi al neon a fine vita nell’impianto Relight di Muggiano

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Lo studio sulle possibilità di riciclo del vetro dei tubi fluorescenti era iniziato nel 2004 e aveva evidenziato alcune criticità, successivamente risolte attraverso l’introduzione di un ulteriore trattamento di vagliatura del vetro, finalizzato a eliminare contaminanti, come per esempio la bachelite che, essendo una resina termoindurente, non poteva essere fusa per essere riciclata. Relight ha superato l’ostacolo tecnologico ed è riuscita a separare la bachelite dalla frazione vetrosa, riducendo al contempo la granulometria del vetro prodotto. Constatato a quel punto che il coefficiente di dilatazione del vetro ottenuto risultava molto simile a quello di alcuni ingredienti base dei composti ceramici (le cosiddette fritte ceramiche), è apparsa concreta la possibilità di riciclarlo nella produzione di smalti ceramici. Il coinvolgimento di Polis Manifatture Ceramiche nella ricerca di uno sbocco produttivo al materiale così recuperato ha infine chiuso il cerchio, portando alla realizzazione delle piastrelle Relux. L’intensa attività di ricerca vede Relight impegnata attualmente nel consorzio HydroWEEE che ha per obiettivo lo sviluppo di un impianto mobile per l’estrazione di metalli (tra cui rame, manganese, zinco, ittrio, indio) dai rifiuti elettronici ed elettrici, comprese batterie e lampade fluorescenti (Weee, Waste from Electrical and Electronic Equipment, sta per rifiuto da apparecchiature elettriche ed elettroniche), attraverso un processo idrometallurgico che garantisca livelli di purezza dei metalli oltre il 95%. Si è pen-

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sato a un impianto mobile perché permetterebbe di essere utilizzato da più aziende riciclatrici. Il progetto, svolto nell’ambito del Settimo programma quadro dell’Unione europea, è stato ispirato ai partner dalla constatazione che la produzione di rifiuti elettrici ed elettronici presenta ormai un tasso di crescita tra il 3 e il 5% annuo, per cui è necessario sviluppare un efficiente sistema di raccolta, recupero e riciclaggio. Il consorzio HydroWEEE è formato da sette partner di quattro paesi (Austria, Italia, Romania e Serbia). Sempre in ambito ceramico, insieme a Meta Spa (un’azienda di Modena attiva nel campo delle forniture di impasto ceramico atomizzato), e in collaborazione con il Consorzio ReMedia (per gestione, trasporto, trattamento, recupero, riciclaggio e smaltimento rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), nel 2008 Relight ha avviato un progetto finalizzato a reinserire, nel ciclo produttivo di un impasto ceramico, il vetro recuperato e raffinato proveniente da tubi catodici post-uso (di monitor e televisori). Il progetto, denominato Glass Plus, anch’esso finanziato dall’Unione europea, si sta concretizzando nella realizzazione delle prime collezioni di piastrelle contenenti il 20% di materiale post consumo, certificate Leed (Leadership in Energy and Environmental Design). Glass Plus rappresenta dunque una nuova possibilità di impiego per i Raee. Nel 2002, il sistema di ritiro, trattamento e riciclo delle lampade fluorescenti lineari (i tubi al neon) sviluppato da Relight in partnership con Philips Lighting si era aggiudicato il Premio Innovazione Amica dell’Ambiente, promosso da Legambiente in collaborazione con il Politecnico di Milano e l’Università Bocconi.

Relight Srl via per Lainate 98/100 – Rho (MI) info@relightitalia.com; tel. 0293180737 www.relightitalia.com Segnalata nel 2009 nel settore Rifiuti

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La doppia vita di computer e stampanti

Recupero di componenti da pc, stampanti e monitor

“Non promettiamo la Luna, ci limitiamo a tenerla pulita. A cominciare dalla Terra”. È lo slogan che trovate sul sito di Chibo, un’azienda che da decenni si occupa di raccolta, smontaggio e rigenerazione di computer. Niente di più attuale, visti i ritmi di dismissione di queste apparecchiature, sostituite da macchine con prestazioni sempre più evolute e processori sempre più veloci. Chibo è stata tra le prime società, se non la prima in assoluto in Italia, a intuire le potenzialità delle attività di recupero dell’usato nel settore informatico. Ha aperto i battenti nel 1981, ai tempi “informaticamente antidiluviani” degli interfaccia Ms-Dos, come azienda specializzata nella fornitura di personal computer, parti di ricambio e materiale bancario (come bancomat) delle migliori marche presenti sul mercato. Oggi che ha sede in uno stabilimento di 4.000 metri quadrati, la sua attività è ancora finalizzata, come ieri, sia a donare una seconda vita alle apparecchiature usate, ricollocandole sul mercato a un prezzo più accessibile per aziende e privati, sia a smaltire quelle troppo obsolete per essere riutilizzabili. “Riparandole e rimettendole in circolazione riduciamo l’impatto delle macchine in quanto viene ‘spalmato’ su un arco di vita allungato, e al contempo consentiamo a privati e aziende di spendere meno”, osserva Earl Brad Dubowy, titolare-fondatore di Chibo. Da non sottovalutare anche l’azione culturale di freno al consumismo che contrassegna in modo particolare questo settore merceologico, in alcuni casi oltre ogni ragionevole esigenza di aggiornamento, per un’insaziabile pulsione all’acquisto dell’ultimissima novità prodotta. Chibo tratta 50-60.000 pezzi all’anno, da pc a stampanti, a monitor. Il 30-40% resta in Europa, il resto viene

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esportato in Nord Africa, nei paesi asiatici e in Medio Oriente. Il trasporto incide pochissimo: “Per quanto possa suonare incredibile, costa di meno spedire un container in qualsiasi parte del mondo che mandare un camion dal nord alla Sicilia”, dice Earl Brad Dubowy. La tipologia dei clienti, spiega, dipende dal prodotto: più alta è la fascia del prodotto, più alta è la percentuale di acquirenti italiani, per l’80% aziende; il restante 20% sono riparatori che cercano pezzi di ricambio e aziende di manutenzione che li acquistano per sostituirne altri. L’incremento del fatturato di Chibo testimonia che la domanda di usato c’è ed è in crescita. In tempi di crisi economici l’idea di acquistare prodotti di seconda mano sembra dunque attirare di più che inseguire l’ultimo modello, anche nel settore dell’informatica in cui i prezzi crollano di anno in anno, ed è più facile farsi tentare. L’ampliamento delle attività commerciali di Chibo negli ultimi due anni ha portato a un aumento dei dipendenti da 15 a 19. Ora Earl Brad Dubowy vorrebbe aprire sedi in Brasile e in India per offrire un servizio a 360 gradi: di raccolta e riparazione quando conviene; diversamente, di smaltimento corretto. Per offrire online hardware, computer e componentistica (usati, rigenerati, seminuovi o nuovi fuori listino perché obsoleti) quindici anni fa Chibo Srl ha creato lo spazio di vendita online www.pcusato.it.

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La sede di Chibo dove si rigenerano apparecchi elettronici

Di fronte alla crescente esigenza per le aziende di fare fronte alle delicate operazioni di dismissione delle apparecchiature informatiche, vista la presenza di numerosi componenti anche pericolosi, Chibo Srl al suo interno ha attivato una divisione specifica, Chibo Ambiente, che si occupa dello smaltimento di Pc, stampanti, hardware divenuti inutilizzabili. Attraverso il servizio all inclusive raccoglie direttamente presso le aziende le apparecchiature dismesse, e cura le fasi di disassemblaggio, trattamento e smaltimento, per

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un totale di oltre 3.000 tonnellate di rifiuti informatici provenienti da tutta Italia che vengono smaltiti ogni anno. Dopo il ritiro dal cliente dei rifiuti informatici tramite mezzi autorizzati, le apparecchiature vengono sottoposte a cernita presso la sede Chibo e convogliate in cumuli uniformi per tipologia di materiali, pronte per la successiva fase di disassemblaggio; quest’ultima comprende la rimozione della carcassa esterna, dei sottosistemi elettronici (compresa la selezione delle parti che contengono sostanze pericolose), l’asportazione di motorini, trasformatori, schede elettroniche, pile o batterie, cavi elettrici, e l’estrazione dei tubi catodici. Le parti contaminate da sostanze nocive vengono isolate per essere bonificate; si tratta soprattutto di Pcb, Pct, mercurio, piombo e stagno che vanno isolati e smaltiti seguendo precise direttive per evitare rischi di contaminazione ambientale. Chibo Ambiente recupera fino al 70% delle materie prime, pericolose e non. Terminata la bonifica, vengono eliminati gli elementi non riciclabili, destinati a smaltimento presso ditte specializzate, mentre i metalli ferrosi e non, i metalli nobili, le parti in gomma, plastica, alluminio e rame e le schede elettroniche sono raccolti per essere avviati a riciclo presso aziende del settore. Nel 1996 la Federazione Cisq (Certificazione italiana sistemi qualità) ha conferito a Chibo l’attestato UNI EN ISO 9003. Attualmente l’azienda è impegnata nel raggiungimento della certificazione ISO 14001 per l’ambiente.

Chibo Srl via Nobel 27/29 – 43122 Parma info@chibo.it; tel. 0521606611 www.chibo.it; www.pcusato.it; www.computerrecycling.it Segnalata nel 2011 nel settore Rifiuti

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Energia pulita dai vecchi cellulari

Secondo un rapporto del 2008 della Banca Mondiale, con 122 contratti di telefonia mobile ogni cento abitanti l’Italia, nel 2006, era il paese europeo con il più alto numero di abbonamenti, sesto a livello mondiale. Con un tasso di penetrazione del 122% tutto fa pensare che siano migliaia i telefonini abbandonati nei cassetti di casa perché obsoleti: tante piccole “miniere” che contengono materiali preziosi. Con il programma My Future, Vodafone Italia lanciò nel 2008 una campagna di raccolta e rigenerazione dei cellulari in disuso denominata “Il tuo telefono ha ancora tanta energia”. Obiettivo: trasformarli... in pannelli fotovoltaici, sensibilizzando al contempo i cittadini italiani al recupero e al riuso di beni di consumo inutilizzati. I telefoni consegnati nei punti di raccolta Vodafone sono stati inviati a impianti dedicati alla loro valutazione e selezione: quelli ritenuti validi per un ulteriore utilizzo sono stati trattati e reimmessi in commercio; gli altri sono stati disassemblati per ottenere componenti omogenee, e quindi avviati a impianti specializzati per il recupero di materia. Il ricavato ottenuto dalla rigenerazione e dal riciclo, unito a un contributo di Vodafone, è servito a finanziare l’installazione di impianti fotovoltaici in scuole in tutt’Italia (gli ultimi, nel 2011, ad Ancona, Grinzane Cavour e Treviso). Le risorse risparmiate dalle scuole sulla bolletta energetica e i proventi del Conto energia, su richiesta di Vodafone, dovevano essere utilizzati per migliorare l’ambiente scolastico: per esempio, con la raccolta differenziata dei rifiuti, la piantumazione di al-

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Rendering del Vodafone Village

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beri, o misure di mobilità sostenibile, come i percorsi casa-scuola guidati in bicicletta o a piedi. Anche il clima ha beneficiato del progetto, grazie alla mancata emissione di circa 5 tonnellate di CO2 all’anno per ogni scuola. I risvolti educativi sono stati accresciuti dal percorso di educazione ambientale gestito da Legambiente, partner del progetto “My Future” insieme a Enel.

Il Vodafone Village è dotato di impianto di trigenerazione ed è rivestito da cemento antismog

Come contributo economico diretto all’iniziativa, Vodafone aveva ideato un taglio di ricarica da 60 euro, chiamato “Ecoricarica”, impegnandosi a versare un euro nelle casse del progetto per ogni ricarica venduta. A dicembre 2009 aveva devoluto in tutto 400.000 euro. Altre risorse economiche sono venute dalla vendita delle Ecobag, borse in carta riciclata proveniente dal riciclo dei cartelloni delle passate campagne pubblicitarie. Nell’anno fiscale 2010/2011 i telefoni consegnati dai clienti che hanno aderito all’iniziativa sono stati 19.791. Con l’entrata in vigore del Dm 65/2010, che regolamenta la gestione dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, l’attività volontaria di Vodafone Italia si è conclusa. I clienti che acquistano un prodotto Vodafone possono disfarsi gratuitamente del vecchio consegnandolo al negozio Vodafone One. In tema di lotta ai cambiamenti climatici l’impegno della società, però, continua: l’obiettivo al 2020 è di diminuire le emissioni di CO2 del 50% rispetto all’anno fiscale 2006-2007. Oggi i consumi di energia elettrica di Vodafone Italia sono riferiti per il 93% al funzionamento della rete, e per la parte restante a uffici e negozi. Rispetto al 2010, al 31 marzo del 2011 l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili è passato dal 67 al 74% (con un 35% di contributo da centrali idroelettriche). Nell’anno fiscale 2010-2011 le emissioni di CO2 equivalente sono calate di circa 2.700 tonnellate. Tra le iniziative avviate dall’azienda rivestono particolare importanza gli interventi negli uffici e sulla rete, e le politiche di mobility management. Il Vodafone Village, la nuova sede milanese di Vodafone Italia, sorge su una vasta area industriale dismessa. In termini di tecnologia applicata e di materiali utilizzati, sottolinea Samantha Fozzi, Vodafone Village project manager, il complesso edilizio (il cui completamento è previsto entro la fine del 2011) è estremamente innovativo ed “è stato concepito per poter elevare gli standard di comfort interno per i dipendenti con riduzione dei consumi energetici”. È dotato di un giardino fotovoltaico, di un impianto di

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trigenerazione per la produzione di energia elettrica, calore e climatizzazione estiva, ed è rivestito da uno speciale cemento fotocatalitico che abbatte alcuni inquinanti organici e inorganici presenti nell’aria. Sono inoltre presenti due vasche per la raccolta dell’acqua piovana utilizzabile per l’irrigazione e i servizi igienici. Nelle altre sedi italiane sono stati conclusi interventi di riqualificazione energetica relativi alla sostituzione di serramenti e di vecchie centrali termiche e all’installazione di impianti solari termici, oltre all’introduzione di nuovi sistemi di rilevazione dei consumi presso i negozi. Inoltre, “gli interventi che riguardano la rete per il miglioramento delle performance ambientali hanno consentito a Vodafone Italia un risparmio di emissioni indirette di CO2 di circa il 20% rispetto al 2010”, precisa Vittorio Allegranza, energy manager del gruppo. All’attività di mobility management, finalizzata a ottimizzare gli spostamenti casa-lavoro dei dipendenti, è associata una politica aziendale per le trasferte che su determinate tratte tende a favorire l’uso del treno rispetto all’aereo, con il risultato che i viaggi in treno sono aumentati del 23%. Inoltre il sistema di prenotazione interno visualizza le emissioni di CO2 associate ai voli.

Vodafone Italia piazza Santi Apostoli 81 – 00187 Roma csr.italia@mail.vodafone.it www.vodafone.it Segnalata nel 2009 nel settore Rifiuti

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Trattamento rifiuti organici

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Elettricità da biogas e compost di qualità

La multiutility Etra è una Spa a capitale totalmente pubblico che gestisce il servizio idrico integrato, quello di raccolta e di trattamento degli Rsu, e altri servizi ambientali, nel bacino del fiume Brenta, dall’Altopiano di Asiago ai Colli Euganei, fino alla cintura padovana. I comuni soci serviti sono 75, distribuiti nelle provincie di Padova, Vicenza e Treviso. La raccolta differenziata domiciliare degli Rsu (il cosiddetto porta-porta) ha raggiunto una media del 68%. Alle famiglie all’inizio dell’anno viene distribuito un calendario su cui, per ogni mese, giorno per giorno, sono indicate le categorie merceologiche dei rifiuti che verranno ritirate, insieme a indicazioni su come differenziare i rifiuti. Le tipologie raccolte separatamente sono: umido, verde e ramaglie, plastica e metalli, carta e cartone, vetro e secco non riciclabile. Le alte percentuali raggiunte nella raccolta differenziata hanno spinto Etra a riorganizzare il processo di trattamento nel Polo rifiuti di Bassano del Grappa, sorto all’inizio degli anni ’90 in un contesto di raccolta indifferenziata. Le modifiche impiantistiche apportate tra il 2006 e il 2008 (che hanno ottenuto la segnalazione nell’ambito del Premio Sviluppo Sostenibile), per un investimento che si è aggirato intorno ai 3,5 milioni di euro, hanno riguardato, in particolare, il potenziamento della produzione di elettricità dal biogas ottenuto nel

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I digestori del Polo rifiuti, Bassano del Grappa

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processo di fermentazione dei rifiuti organici, che è pari a 2 MW installati; il miglioramento del sistema di rivoltamento dei rifiuti nella produzione del compost; la sostituzione della linea di trattamento del residuo secco per la produzione di un materiale, ceduto a terzi, destinato alla termovalorizzazione in un combustore a letto fluido ad alta efficienza energetica. Oggi l’impianto riceve 40.000 tonnellate all’anno di rifiuti organici che, dopo la fase di triturazione e vagliatura, vengono trattati in tre digestori anaerobici da 2.400 metri cubi ciascuno. Insieme alla frazione organica, tratta rifiuti lignocellulosici e, in quantità minori, rifiuti agroalimentari. È certificato ISO 9001.

Nastro trasportatore, Polo rifiuti, Bassano del Grappa

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L’integrazione funzionale delle filiere della digestione anaerobica a secco, monostadio, mesofila (con batteri mesofili, a una temperatura di 35 gradi circa), del compostaggio aerobico e del trattamento della frazione secca residua (destinato a termovalorizzazione esterna), permettono al Polo di Bassano di raggiungere un’elevata percentuale di conversione del rifiuto e di produzione di energia da fonte rinnovabile: circa l’85% del rifiuto organico entrante viene trasformato in ammendante (compost di qualità) da un lato, e in energia elettrica dall’altro (circa 10 milioni di kWh anno), che è utilizzata in parte per il funzionamento dei digestori e in parte ceduta alla rete. La produzione di elettricità raggiunge i 250 kWh per tonnellata di rifiuto trattato, a fronte di un autoconsumo dell’ordine di 80-90 kWh per tonnellata. Dalla cessione dei certificati verdi Etra ricava oggi circa 800.000 euro l’anno. È in progetto la realizzazione di un cavidotto per alimentare il limitrofo impianto di depurazione di Etra con l’energia rinnovabile prodotta in surplus dal Polo rifiuti, anziché venderla alla rete. La presenza in loco dell’impianto di compostaggio fa risparmiare sui costi del trasporto, riducendo anche l’impatto ambientale. Il percolato derivante dal processo di compostaggio e la materia liquida prodotta dalla centrifugazione del digestato vengono trattati in un depuratore gestito da Etra e collegato al Polo da una condotta di due chilometri. Il compost prodotto a Bassano ha ottenuto, primo nella regione, il marchio “Compost Veneto”, una certificazione che viene rilasciata da Arpav, l’Agenzia per l’ambiente regionale. Se ne producono circa 5.000 tonnellate l’anno, acquistate da agricoltori e florovivaisti locali. Il sistema di raccolta domiciliare garantisce una qualità della matrice organica migliore (in termini, per esempio, di minore presenza di materia non compostabile e non digeribile) rispetto alla raccolta stradale tramite casso-

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Trattamento rifiuti organici

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netti. Una serie di controlli sulla qualità dei rifiuti organici e verde conferiti, effettuata nel 2008 presso gli impianti di trattamento di Etra, aveva però evidenziato un peggioramento, confermato anche da un 15% di utenti che per la raccolta non usavano più i previsti sacchetti biodegradabili, sostituiti da normali sacchetti in polietilene (oggi fuorilegge). Per ovviare a questo uso scorretto, che comprometteva i successivi processi di trattamento e compostaggio, in collaborazione con comuni, negozi e supermercati Etra ha effettuato una campagna informativa, chiamata “Umido pulito”, per sensibilizzare famiglie e aziende e ricordare le tipologie di rifiuti conferibili come umido, l’obbligatorietà dell’uso del sacchetto biodegradabile, l’elenco dei negozi dove acquistarli a un prezzo concordato, i processi di trasformazione dell’umido negli impianti di riciclaggio e i prodotti derivanti dal trattamento. Complessivamente, Etra tratta circa 100.000 tonnellate/anno di rifiuti organici provenienti da raccolta differenziata, distribuiti tra il Polo di Bassano, il Centro di biotrattamento di Camposampiero (PD), e il Centro di biotrattamento di Vigonza (PD), il più vecchio dei tre. In campo energetico, gestisce anche due centrali idroelettriche. I pannelli fotovoltaici installati sul tetto della sede di Vigonza producono oltre 25.000 kWh/anno. Tutte le sedi aziendali sono alimentate con energia elettrica ottenuta da fonti rinnovabili.

Etra Spa via del Telarolo 9 – 35013 Cittadella (PD) info@etraspa.it; tel. 0498098000 www.etraspa.it Segnalata nel 2009 nel settore Rifiuti

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Il biocompost prodotto a secco

Gli impianti di compostaggio in funzione nel nostro paese nel 2008 hanno prodotto un milione di tonnellate di compost, per il 70% impiegato in agricoltura, e per il restante 30% venduto per la trasformazione in prodotti per il giardinaggio e per la paesaggistica (dato tratto da L’Italia del riciclo 2010, il rapporto pubblicato da Fondazione Sviluppo Sostenibile e Fise Unire). Tra i fertilizzanti, sottolinea il rapporto citato, il settore degli ammendanti compostati è l’unico ad avere avuto una costante crescita negli ultimi dieci anni. Romagna Compost, sorta nel 1999, controllata dalla multiutility per i servizi ambientali Hera Spa, e partecipata da alcune imprese locali di peso nazionale, tra cui Amadori, Orogel e il Gruppo Sfir, si occupa del trattamento dei rifiuti organici (provenienti dalla raccolta differenziata urbana, da industrie conserviere e ortofrutticole, da attività zootecniche, da manutenzione del verde), nonché del trattamento di scarti lignocellulosici, con produzione finale di compost ed elettricità. L’impianto di compostaggio gestito da Romagna Compost si trova a San Carlo di Cesena (FC). È stato avviato nel 2001 e profondamente ristrutturato tra il febbraio 2008 e il dicembre 2009 con un investimento di 8 milioni di euro. È stato il primo in Italia a impiegare il processo della “digestione a secco”, detto batch dry fermentation. Le fasi di trattamento e recupero di materia ed energia dai rifiuti organici sono tre. Si inizia con quella della triturazione del rifiuto organico conferito tal quale in una macchina trituratrice che ne riduce la pezzatura, simulando il processo di masticazione di una mucca. Successivamente il rifiuto viene depositato in una sorta di “garage”, un locale di ridotte dimensioni (5 metri per 18 per 10) dove rimane al chiuso per trenta giorni a una temperatura di 37 gradi (simulando la fase di digestione corrispondente al richiamo del bolo nello stomaco dell’animale). In questo garage-cella entrano in azione i batteri, identici a quelli che si trovano nello stomaco delle mucche, che compiono il processo di digestione anaerobica (in assenza di aria) producendo biogas, che viene captato e utilizzato per produrre elettricità. Al termine della “digestione anaerobica”, il materiale ot-

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Trattamento rifiuti organici

tenuto viene avviato al compostaggio, che ne riduce l’umidità, consentendo di utilizzarlo come terriccio per vasi o come fertilizzante in agricoltura. La differenza con altri sistema di trattamento dei rifiuti organici per produrre compost consiste nel fatto che in questo impianto il rifiuto viene trattato senza aggiunta di acqua, mentre in quelli convenzionali viene ridotto e trattato sotto forma di materia liquida. La modalità della batch dry fermentation permette dunque non solo di risparmiare volumi di acqua, ma anche di ridurre i volumi dell’impiantistica, che risulta più semplice e meno soggetta a usure e rotture.

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L’impianto di compostaggio e produzione di biogas

A regime l’impianto di Romagna Compost è in grado di trattare 40.000 tonnellate all’anno di rifiuti, da cui si possono ottenere 8.000 tonnellate di compost e 8.000 MWh all’anno di energia elettrica, sufficiente a coprire quasi il 10% di fabbisogno di elettricità delle case degli abitanti di Cesena. Il compost è certificato come prodotto utilizzabile per l’agricoltura biologica. Nel 2010 sono state trattate 30.000 tonnellate di rifiuto umido e 5.000 tonnellate di scarti di potature, da cui si sono ottenuti 5.250 MWh e 3.000 tonnellate di compost biologico. A fine 2011 si prevede il trattamento di

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40.000 tonnellate di rifiuto umido con produzione di circa 5.000 tonnellate di compost e circa 6.000 MWh di elettricità. Nel corso del tempo il progetto è stato integrato e modificato per migliorarne l’accettazione nel contesto residenziale adiacente. Anche a questo fine l’impianto utilizza tecnologie a base naturale per il trattamento dell’aria e delle acque reflue: queste ultime vengono trattate da un depuratore biologico, mentre l’aria subisce un trattamento di biofiltrazione. Se, in genere, dagli impianti di trattamento dei rifiuti organici si sprigionano cattivi odori, non è questo il caso del biodigestore a secco di Romagna compost. La gestione coinvolge 5 addetti interni, che si avvalgono di aziende esterne per la manutenzione e la conduzione operativa. L’impianto rientra in un progetto più ampio del Gruppo Hera, il “Progetto biomasse”, che ha al centro la valorizzazione della frazione organica presente nei rifiuti. Prevede la produzione di fertilizzanti, energia elettrica e termica da fonti rinnovabili e l’eliminazione delle emissioni di gas serra dalle discariche tramite captazione del biogas che sprigionano da impiegare per la produzione di elettricità. Il progetto biomasse, a regime, conta di trattare oltre 300.000 tonnellate di rifiuti organici da cui si possono ottenere 20.000 tonnellate di fertilizzanti e 60 GWh di elettricità da fonte rinnovabile, evitando la corrispondente emissione di CO2 rispetto alla produzione da fonti fossili.

Romagna Compost Srl – Società del Gruppo Hera via Spinelli 60 – Cesena (FC) inforomagnacompost@gruppohera.it; tel. 0547660042 www.romagnacompost.it Segnalata nel 2010 nel settore Rifiuti

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Veicoli elettrici per città meno inquinate

Ridurre il traffico motorizzato in città rappresenta un contributo cruciale per la qualità dell’aria, l’abbattimento dell’inquinamento acustico e la lotta ai cambiamenti climatici. Il Libro verde dell’Unione europea “Verso una nuova cultura della mobilità urbana” riporta infatti che il traffico urbano genera da solo il 40% di emissioni di anidride carbonica e il 70% degli altri gas di scarico prodotti dagli autoveicoli. I veicoli elettrici sono una soluzione ottimale: nel ciclo di vita legato all’utilizzo, sono a zero emissioni di CO2, zero polveri sottili, zero benzene, zero rumore. Va da sé che la riduzione globale delle emissioni richiede che l’elettricità provenga da fonti rinnovabili. Alcune città europee hanno varato programmi per la diffusione dei veicoli elettici (Ve). Londra al 2013 avrà 1.300 colonnine per la ricarica delle batterie su strada e in location pubbliche, che saliranno a 25.000 nel 2015; Amsterdam dai 200 punti di ricarica e 200 Ve attuali conta di arrivare a 10.000 Ve nel 2015; Madrid, Barcellona e Siviglia sono coinvolte dal piano Movele­

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La gamma delle auto elettriche Renault

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cofinanziato dal governo; Parigi ha attivato Autolib, il car-sharing dotato di minicar elettriche, su modello del bike-sharing.

Auto elettrica bi-posto Twizy

In Italia Enel ha promosso svariati progetti, tra cui “Enel Drive” per lo sviluppo di infrastrutture di ricarica intelligenti ed “e-mobility Italy”, che coinvolge Milano, Pisa, Roma e Mercedes Smart. Mentre la Regione Emilia-Romagna ha sottoscritto accordi con Enel e la multiutility Hera per l’installazione (da Reggio Emilia a Rimini, passando per Modena, Bologna e Imola) di colonnine di ricarica che condividono lo standard tecnologico e addebitano il costo del “pieno” direttamente sulla bolletta elettrica dell’utente. Nel 2010 Renault Italia ha ottenuto il Premio Sviluppo Sostenibile per l’impegno volto alla diffusione di massa dei veicoli elettrici a zero emissioni. Cuore del programma Renault Z.E. (Zero Emissioni) è la commercializzazione, a partire dall’autunno 2011, di una gamma di quattro veicoli elettrici: il veicolo urbano Twizy a due posti, la berlina compatta Zoe, la berlina familiare Fluence Z.E. e la furgonetta Kangoo Z.E. Sono dotati di batterie innovative agli ioni di litio, riciclabili, che promettono un’autonomia media di 160 chilometri per carica (100 per il modello Twizy). Il computer di bordo indica l’autonomia in chilometri, il consumo medio e istantaneo e il numero di kWh residui; mentre il navigatore intelligente Carminat TomTom® indica costantemente l’ubicazione delle più vicine stazioni di ricarica o di sostituzione delle batterie. È previsto anche il recupero di energia in frenata, tramite un dispositivo che si ispira alla logica di funzionamento del Kers (Kinetic Energy Recovery System), utilizzato in Formula 1: all’atto della decelerazione, l’energia cinetica viene recuperata e immagazzinata nella batteria. La ricarica della batteria può avvenire in tre modalità: standard, rapida e quick-drop. Quella standard avviene collegando il veicolo a una presa di corrente presso il proprio domicilio o a una colonnina di ricarica pubblica (per esempio all’interno di un parcheggio); è possibile effettuare una ricarica completa da 3,5 ore per Twizy a 6-8 ore per gli altri modelli. Per la ricarica presso il proprio domicilio Renault consiglia l’installazione di Wall Box, un punto di ricarica murale che ottimizza la velocità e il costo della ricarica. La serratura di sicurezza la protegge da atti di vandalismo e impedisce collegamenti illeciti. Dal 2012 sarà disponibile anche la modalità di ricarica rapida: collegando il veicolo alle colonnine specifiche che saranno installate su suolo pubblico o privato, sarà possibile recupera-

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re 50 chilometri di autonomia in meno di dieci minuti, o l’80% dell’autonomia totale in 30 minuti. Infine, con il Sistema Quickdrop, presso stazioni di servizio completamente automatizzate, in tre minuti si potrà sostituire la batteria esausta con un’altra carica. Finanziato con 4 miliardi di euro e sviluppato da circa 2.000 addetti, il programma Renault per i veicoli elettrici ha messo a punto un inedito modello di acquisto: si basa su un prezzo di vendita paragonabile a quello dei veicoli diesel accoppiato al noleggio della batteria, che resta di proprietà di Renault. I clienti possono acquistare o noleggiare l’auto e sottoscrivere un contratto di noleggio che include l’utilizzo della batteria e i servizi correlati, specifici per l’uso del veicolo elettrico. Il prezzo di Twizy parte da 6.990 euro (iva inclusa) e 47 euro di noleggio della batteria al mese per 7.500 chilometri all’anno per tre anni; la berlina Fluence Z.E. costa 27.200 euro più 82 euro al mese di noleggio batteria per 10.000 chilometri per tre anni; la furgonetta Kangoo Z.E. ha un prezzo di 20.000 euro più 75 euro al mese di noleggio batterie per 15.000 chilometri anno per tre anni. Renault Italia è impegnata a definire partnership con le principali amministrazioni comunali e compagnie elettriche per realizzare progetti di promozione dei veicoli elettrici e per sviluppare le idonee infrastrutture, come con le intese siglate con Enel e A2A. Dalla collaborazione con A2A è nato il progetto pilota “e-moving”, attivato a Milano e Brescia, che coinvolge società pubbliche e private nella sperimentazione dei primi veicoli Renault Z.E. e prevede l’installazione di 270 punti di ricarica pubblici e privati. Per l’approccio orientato a promuovere soluzioni di mobilità sostenibile Renault Italia ha ricevuto una menzione speciale nell’ambito del premio Green Public Procurement 2011.

Renault Italia Spa via Tiburtina 1159 – 00156 Roma gabriella.favuzza@renault.it; tel. 0641561 www.renault.it Segnalata nel 2010 nel settore Prodotti innovativi

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La spazzatrice che aspira le polveri

I limiti di legge europei in vigore sulla concentrazione delle polveri attualmente riguardano solo le pm 10, che non devono superare i 50 microgrammi per metro cubo nell’arco delle 24 ore e per più di 35 giorni all’anno, o un valore medio nell’anno di 40 microgrammi per metro cubo. Non sono ancora entrati in vigore valori-soglia per le pm di dimensioni inferiori, quindi più insidiose perché vanno a depositarsi negli alveoli polmonari. Le pm sono la classica “bestia nera” delle amministrazioni locali, perché a causa soprattutto degli scarichi dei veicoli, degli impianti di riscaldamento e delle industrie questi limiti vengono superati in molte città italiane, al punto che il paese rischia di essere multato per infrazione alla legislazione europea. Ma gli stessi valori-soglia in vigore sono più alti dei livelli ritenuti dannosi in ambito scientifico. Per l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la media annuale delle pm 10 non dovrebbe superare i 20 microgrammi per metro cubo. Rispetto alle pm 2,5, le norme europee che regolano i valori obiettivo si limitano a suggerire la soglia a cui tendere, e dovrebbero diventare limiti di legge a partire dal 2015, fissando a 20 microgrammi per metro cubo la concentrazione media annuale. Come contributo tecnologico alla rimozione delle polveri presenti nell’ambiente urbano (o all’interno di stabilimenti industriali), la Dulevo International ha realizzato una macchina spazzatrice meccanico-aspirante (il cui nome commerciale è Dulevo 5000 Zero) che, prima e unica al mondo, aspira fino al 99% delle polveri pm 10 depositate sulle strade. Poiché è alimentata a metano, non emette nemmeno le polveri dei motori a diesel, che è la tipologia di motorizzazione installata di norma su macchine simili, anche della Dulevo. Le sette bombole di gas metano sono integrate nel corpo macchina; in questo modo non sono di ostacolo all’apertura del cassone quando si scaricano dal mezzo i rifiuti raccolti, come accadrebbe invece se fossero posizionate sul tetto della spazzatrice. L’autonomia di funzionamento è di otto ore consecutive, pari a un turno di lavoro. Oltre a garantire il filtraggio del 99% delle pm 10, Dulevo 5000 Zero assicura il sequestro

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La spazzatrice Dulevo 5000 Zero che assorbe le polveri

del 98% delle pm 5, del 90% delle pm 2,5 e del 63% delle pm 1. Una performance che è stata certificata da TÜV e da DNV dopo una serie di test svolti su un percorso cittadino che ha messo a confronto le concentrazioni di polveri sottili presenti nell’aria emessa dalla macchina con quelle di fondo registrate in atmosfera. Il dispositivo che contribuisce a raggiungere un così alto livello di aspirazione delle polveri è un filtro brevettato, prodotto in un materiale registrato denominato Gore®, che su Dulevo 5000 Zero viene montato di serie. La sostanzabase con cui si fabbrica il Gore® è il politetrafluoroetilene (Ptfe). “La membrana in Gore®, utilizzata in esclusiva mondiale su questo tipo di macchine da Dulevo, è prodotta dall’azienda W. L. Gore & Associates Inc, che ha legato il suo nome al tessuto impermeabile traspirante per giacche e scarpe da montagna Goretex, impiegato anche nei sistemi di filtraggio degli inceneritori. Proprio quest’ultimo connubio ha suggerito alla nostra azienda di applicare il medesimo tessuto ai filtri delle proprie macchine spazzatrici”, spiega Nicola Chiapponi, Product Manager. Dall’incremento della portata d’aria della spazzatrice che si raggiunge con Gore®, quantificabile in un 35%, deriva una migliore aspirazione delle polveri e dei rifiuti più leggeri, quindi una qualità di pulizia superiore a quella ottenuta con i filtri consueti. La funzionalità del filtro in Gore® accompagnata al sistema meccanico-aspirante della macchina ha poi risolto il problema della diffusione delle polveri causata dalle spazzatrici convenzionali. “L’inconveniente fu messo in luce, negli anni ’90, dal DMT, un istituto di ricerca indipendente che fece alcune rilevazioni a Berlino sulle cento macchine spazzatrici aspiranti utilizzate in città, rilevando che, dopo averle aspirate dalla strada, rimettevano in circolazione, nell’aria, circa

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Una spazzatrice in azione

due tonnellate di polveri a macchina. Normalmente a questo problema si continua a ovviare utilizzando dell’acqua che fa defluire sul suolo le polveri sospese emesse dalle macchine aspiranti. Nel caso delle macchine spazzatrici Dulevo 5000 Zero il problema è risolto invece dal sistema brevettato meccanicoaspirante, senza bisogno di ricorrere all’impiego di acqua”, aggiunge Nicola Chiapponi. Rispetto a una macchina convenzionale, una Dulevo 5000 Zero arriva a risparmiare più di 1.000 litri di acqua per turno di lavoro di otto ore; un risparmio (oltre 273.000 litri in un anno) che si traduce anche in eliminazione dei tempi di ricarica dei serbatoi e quindi in guadagno di tempi di lavoro su strada. Il costo indicativo di una Dulevo 5000 Zero parte da 170.000 euro. Tra le varie multiutility che l’hanno adottata si trovano Ama di Roma e Amsa di Milano. Quest’ultima in passato aveva espresso il desiderio di disporre di una macchina a metano con autonomia inalterata rispetto a una macchina diesel, stimolando nell’azienda di Fontanellato la ricerca che ha portato a sviluppare Dulevo 5000 Zero, che oggi è in uso anche a Barcellona e a Praga.

Dulevo International Spa via Guareschi 1 – 43012 Fontanellato (PR) info@dulevo.com; tel. 0521827711 www.dulevo.com Segnalata nel 2011 nel settore Prodotti e servizi innovativi

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Un pallet certificato, sostenibile, etico, sano

Una delle più diffuse “afflizioni” organizzative ed economiche legate alla logistica aziendale è la movimentazione delle merci tramite pallet, un prodotto all’origine anche di un complesso problema ambientale, che coincide con il consumo di legname per produrlo, il trasporto e la gestione postconsumo. Il progetto Greenpallet, sviluppato e brevettato dall’azienda Palm Spa, certificata ISO 9001:2000, specializzata nella produzione di imballaggi in legno, nasce proprio dall’analisi dell’intero ciclo di vita di un pallet tradizionale con l’obiettivo di riprogettarlo in funzione della riduzione sia del legno impiegato e dell’impatto ambientale sia dei costi aziendali per le imprese che ne fanno uso, a parità di prestazioni. Grande attenzione è stata dedicata alla materia prima impiegata, considerando “che l’Italia dipende per l’80% dall’importazione di legname, di cui il 60% non ha tracciabilità e può quindi provenire da taglio illegale ed essere concausa di deforestazione e di non rispetto dei diritti umani di chi lavora nelle foreste”, sottolinea Primo Barzoni, presidente e amministratore delegato di Palm. Ecco perché per il Greenpallet Palm utilizza esclusivamente legname certificato Fsc (Forest Stewardship Council) e Pefc (Pan European Forest Council), le due maggiori Ong internazionali non profit che operano per promuovere la gestione sostenibile delle foreste dal punto di vista sociale, ambientale ed economico. Inoltre Palm ha stretto accordi di filiera con la comunità di Castelnuovo Bormida per un piano di piantumazioni di pioppeti lungo il fiume Bormida con funzione di fitodepurazione e bonifica dei terreni inquinati dall’ex Acna di Cengio. La coltivazione locale ha la doppia finalità di aumentare la percentuale del legno di prossimità per gli usi industria-

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Pioppeto, Castelnuovo Bormida

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li dell’azienda, e di compensare le proprie emissioni di CO2: sono previste piantumazioni pari a 120 ettari l’anno (70 per la compensazione e 50 per la produzione) per dieci anni. Questi accordi hanno già portato alla piantumazione, al 2010, di 60.000 pioppi su circa 480 ettari, pari a 800 campi da calcio. Ciò ha consentito di assorbire 96.000 tonnellate di CO2, di cui 24.000 stoccate nei pallet, e di ridurre del 10% il trasporto su gomma del legname. L’elettricità consumata nell’intero ciclo produttivo di Greenpallet proviene per il 100% da fonte rinnovabile (idroelettrica all’85% e solare per la quota restante).

Ecoarredi della linea Palm Design

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Del percorso che ha portato a definire la sostenibilità della filiera hanno fatto parte studi sulla Lca (Life Cycle Analysis, analisi del ciclo di vita del prodotto) e, con riferimento alla norma ISO 14064, sulla Carbon Footprint (l’impronta del carbonio). Grazie alla Carbon Footprint di filiera sono state misurate le emissioni di CO2 e ridotte, nel 2010, del 23% rispetto al 2007, superando in anticipo l’obiettivo del meno 20% al 2020. Dal 2010 Palm ha aderito, con Greenpallet, alla Etichetta per il clima di Legambiente, che riporta le emissioni di CO2 riferite a tutto il ciclo di vita del prodotto, esclusa la fase d’uso. Riepilogando, le varie componenti progettuali che hanno portato al brevetto Greenpallet e ai positivi risultati ambientali conseguiti, in particolare con riferimento all’abbattimento delle emissioni di CO2, comprendono: l’ecodesign dei pallet che, riducendo la materia prima impiegata, riduce, all’origine, il peso e il volume dei rifiuti, abbassando così il costo del contributo Conai sostenuto dagli utilizzatori per la gestione post-uso dei pallet; il progetto “Pallet a chilometro zero”, per l’impiego di pioppo autoctono coltivato localmente a una distanza massima di 140 chilometri dagli stabilimenti di lavorazione a Viadana, con conseguente dimezzamento delle emissioni di anidride carbonica, e riduzione del 52% delle polveri sottili PM 2,5; il progetto “Carbon Footprint di filiera” dalla Val Bormida a Viadana; l’adozione di energia rinnovabile per l’intero ciclo produttivo, che evita l’emissione in atmosfera di oltre 500 tonnellate di CO2 all’anno. La piantumazione dei pioppeti ha contribuito alla creazione di nuova occupazione locale. Si

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stima che ogni ettaro di pioppeto coltivato generi in media cinque giornate di lavoro/anno per attività forestali, che si aggiungono alle 110 giornate lavorative nel settore della trasformazione del legno in prodotto di consumo. Mediamente, 3 ettari di pioppeto creano, nell’industria di trasformazione, un posto di lavoro fisso all’anno. Dal ciclo produttivo l’innovazione si è spinta al piano “regolamentare” con il primo disciplinare nazionale sistemico, declinato nei criteri sano, sostenibile, tracciato ed etico, che tiene conto anche dei diritti umani e della qualità sociale, e contribuisce a contrastare il commercio illegale dei pallet. A oggi è già stato adottato da aziende della filiera del biologico e della pasta alimentare. “La fatica è far comprendere, in una visione olistica di sistema, che il pallet è parte del prodotto finale che acquista e paga il consumatore. Trasportare cibo biologico con pallet inquinati non certificati è un controsenso”, si accalora Barzoni. Un imprenditore davvero appassionato, che non intende fermarsi qui: per arrivare ad abbattere, al 2020, il 100% di emissioni aziendali, la prossima tappa verso cui è lanciato è la realizzazione della biosegheria integrata, che utilizza solo legno certificato proveniente da 70 chilometri di distanza al massimo (dimezzando così la distanza dal Bormida), valorizza gli scarti e usa energia prodotta da un impianto a cogenerazione.

Palm Spa via Gerbolina 7 – 46019 Viadana (MN) info@palm.it; telefono: 0375785855 www.greenpallet.it; www.palletdesign.it Segnalata nel 2010 nel settore Prodotti e servizi innovativi

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Suole ecofriendly in plastica biodegradabile

Tecnofilm è un’azienda che produce poliolefine funzionalizzate e composti termoplastici destinati sia all’industria calzaturiera sia alla produzione di articoli tecnici, con una dichiarata attenzione agli aspetti ambientali. Nel sito web dell’azienda, alla voce “La responsabilità sociale”, si legge infatti: “Crediamo nell’innovazione per la tutela della persona e dell’ambiente. Ci impegniamo a cogliere la sfida dello sviluppo sostenibile, coniugando economia e salvaguardia della natura perché vediamo in questo binomio una risorsa: per la comunità e le future generazioni, per le aziende clienti, per il nostro business”. Questo impegno ha portato Tecnofilm a sviluppare Ecopower Bio, un composto elastomerico termoplastico brevettato, che viene prodotto con oli e materie prime solide vegetali al posto dei plastificanti convenzionali di origine petrolifera. Un processo di compostaggio controllato, realizzato in base al protocollo UNI EN ISO 14855, ha dimostrato che Ecopower Bio raggiunge il 44,57% di biodegradabilità in 180 giorni, un risultato che porta a stimare, sul piano teorico, in 748 giorni il tempo necessario per la completa biodegradazione (al 100%). Per queste sue caratteristiche, si presenta come un materiale che promuove l’uso di materie prime rinnovabili generando rifiuti post-uso che si biodegradano più facilmente dei prodotti convenzionali, pur essendo in grado, grazie alle sue proprietà fisco-meccaniche, di offrire prestazioni paragonabili a quelle degli elastomeri termoplastici tradizionali. “Con Ecopower Bio abbiamo ridotto di circa il 35% l’uso di olio plastificante di origine petrolifera, ovvero una delle componenti che ha più impatto sull’ambiente”, sottolinea Roberto Cardinali, consigliere di amministrazione dell’azienda di famiglia. Ecopower Bio viene utilizzato prevalentemente nel settore calzaturiero per lo stampaggio di suole e anche nella produzione di altri articoli (per esempio portachiavi). Nel settore dello stampaggio calzaturiero potrebbe favorire la diffusione di scarpe ecofriendly che eliminano l’uso sia di cuoio di origine animale sia della plastica prodotta con derivati petroliferi.

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Dopo l’immissione sul mercato, nel 2007, della prima versione di Ecopower, in cui gli oli plastificanti di origine petrolifera erano stati sostituiti con oli vegetali in una percentuale intorno al 35%, è stato sviluppato Ecoevolution, la cui composizione è caratterizzata, oltre che dal 35% circa di oli vegetali, dalla riduzione di un ulteriore 15% di polimeri di origine petrolifera tramite impiego di filler vegetali; per cui si è raggiunta una percentuale complessiva di materia prima vegetale pari al 50% del composto. L’ultima versione più evoluta, Ecopower Bio, presentata ufficialmente nel giugno 2010 nell’ambito dell’accordo per la ricerca sui polimeri biodegradabili fra Tecnofilm e Unicram (Centro universitario di ricerca per lo sviluppo e la gestione delle risorse dell’ambiente e costiero) dell’Università di Camerino, rispetto alla prima versione di Ecopower contiene in più anche dei biocatalizzatori che permettono agli usuali batteri predisposti alla decomposizione dei materiali di origine animale o vegetale di attaccare i manufatti post-uso prodotti in Ecopower Bio, favorendone e accelerandone la decomposizione. A differenza, quindi, degli elastomeri convenzionali derivati dal petrolio, Ecopower Bio non resta per centinaia di anni indecomposto in discarica. L’additivo coadiuvante della biodegradabilità di origine naturale, addizionato a Ecopower Bio in quantità limitate (1% del peso totale dell’elastomero) durante la produzione, non ne modifica le prestazioni, assicura l’azienda. A riprova che l’innovazione è un fattore di promozione economica, fin dal suo apparire sul mercato Ecopower ha riscosso interesse da parte del settore calzaturiero, in particolare dal comparto che produce calzature per bambini, compresi anche marchi famosi. La produzione di questo compound ha visto un incremento, dal secondo al terzo anno di attività, del 150%. “L’investimento effettuato nella ricerca è stato ripagato anche dal ritorno di immagine presso clienti e consumatori e sistema creditizio. Innegabilmente, lo sviluppo di questa nuova gamma di prodotti di derivazione naturale ha inoltre influito positivamente sui risultati economici aziendali contribuendo a mantenere l’occupazione in anni caratterizzati dalla crisi,” osserva Cardinali.

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Suole prodotte in Ecopower Bio

Dopo aver testato l’impiego di Ecopower Bio nel settore calzaturiero, Tecnofilm prosegue le attività di ricerca per estendere questa tecnologia in altri settori in cui l’azienda è già presente, come per esempio quelli degli og-

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Portachiavi in plastica biodegradabile

getti per la casa, dei giocattoli morbidi e della componentistica. “Si tratta di processi lunghi, che necessitano di una partnership forte con i clienti per mettere a punto la mescola ottimale in funzione della specifica destinazione d’uso finale”. Va avanti anche la ricerca sulla biodegradazione di materie di completa derivazione petrolifera, orientata allo sviluppo di composti biodegradabili che contengano una minima percentuale di materia vegetale, consentendo così di dare risposta alle applicazioni più complesse in cui siano richieste prestazioni ancor più elevate, pur conservando la caratteristica della completa biodegradabilità. “Nell’arco di 7-10 anni Tecnofilm conta di raggiungere il 50-70% del proprio portafoglio di prodotti altamente compatibili con l’ambiente, nei quali sia ulteriormente incrementata la componente vegetale, oppure sia reso ancor più veloce il processo di biodegradazione”, è l’auspicio di Cardinali.

Tecnofilm Spa via Fratte 6968 – 63811 Sant’Elpidio a Mare (FM) info@ tecnofilm.com; tel. 07348681 www.tecnofilm.com Segnalata nel 2010 nel settore Prodotti e servizi innovativi

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Sono made in Italy i biopannolini per bebè

Si stima che i pannolini monouso prodotti nel mondo raggiungano ogni anno l’astronomica cifra di 180 miliardi, e che in Italia rappresentino l’8% in peso dei rifiuti domestici. Per limitarne l’impatto sulla pattumiera e sul portafoglio delle famiglie si stanno sviluppando iniziative orientate a reintrodurre l’uso dei pannolini lavabili pluriuso, ovviamente in versione moderna (si veda, per esempio, il capitolo Compostiamoci bene). Ma c’è anche chi si è impegnato a produrre un pannolino usa-e-getta biodegradabile a base di materie prime naturali. È il caso di Wellness Innovation Project (Wip), che dal 2005, “prima al mondo”, come sottolinea il suo fondatore-presidente Marco Benedetti, realizza una linea di biopannolini monouso utilizzando un mix di materie prime di origine vegetale, tra cui cellulose e biopolimeri, ossia bioplastiche ottenute da polisaccaridi derivati da amidi vegetali estratti dai cereali, quali Mater-Bi (prodotto da Novamont) e Pla (acido polilattico). Grazie all’impiego di filtranti in biofibre privi di additivi chimici aggiunti (è la parte che viene a contatto con la pelle del bambino), i test allergologici compiuti presso la Clinica dermatologica dell’Università di Parma e la fondazione danese Astma-Allergi hanno riconosciuto i pannolini per bambini Naturaè come non allergenici, non irritanti e non abrasivi. Mentre le fibre Pla hanno la proprietà di non surriscaldare a contatto con la pelle. “La tipologia delle materie prime che utilizziamo ci ha permesso di conseguire dal consorzio Cic (Consorzio italiano compostatori) la certificazione di compostabilità in base alla norma europea EN 13432:2002”, spiega Benedetti. Inoltre, la cellulosa impiegata nello strato assorbente è certificata Pefcc (Pan European Forest Certification Council) in quanto deriva da foreste certificate eco-sostenibili scandinave, e anche Tcf (Totally Chlorine Free), perché non sottoposta a trattamenti al cloro. L’igienizzazione delle fibre

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Lo stabilimento Wellness Innovation nell'aretino

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Bioimballaggi per biopannolini

Pannolino Naturaè

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di cellulosa avviene con acqua ossigenata per ridurre la carica batterica e garantire un prodotto più sano. In assenza di una specifica etichetta Ecolabel europea, non ancora prevista in questo settore merceologico, i biopannolini Naturaè sono stati i primi, tra quelli made in Italy, a ottenere il marchio Swan Ecolabel, rilasciato in base a un protocollo di controllo della qualità e sostenibilità ambientale in vigore nei paesi scandinavi. Gli imballaggi sono prodotti in biopolimeri e, in ossequio alla trasparenza, riportano la composizione dei biopannolini, compresa quella percentuale residua di materie prime non biodegradabili contrassegnate da un asterisco. “Ci interessa produrre nel rispetto dell’ambiente, ma anche, e non di meno, per la protezione della salute. Per questo le alette elasticizzate dei pannolini sono in materia sintetica perché al momento non esistono sul mercato componenti in materiale naturale che diano le medesime garanzie di funzionalità”, spiega Benedetti. “Sempre in nome della trasparenza, per illustrare l’origine e le caratteristiche delle materie prime che impieghiamo abbiamo creato un centro visite didattico aperto al pubblico”, afferma Benedetti. Anche il sistema di produzione è attento al fattore ambiente. Nel gennaio 2010, su un ex sito industriale dove prima sorgeva una fabbrica di pannelli di poliuretano espanso, ora bonificato, Wip ha inaugurato un impianto produttivo per avere il controllo diretto sulla qualità dei prodotti. Con il contributo dell’azienda italiana Canalair, in questo stabilimento alimenta-

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to al 100% da elettricità verde certificata, è stato realizzato un impianto ad alta efficienza energetica, per la depurazione e la depolverizzazione dell’aria nelle aree di produzione, che tiene conto delle esigenze igroclimatiche e termiche delle bioplastiche utilizzate, eliminando al contempo il riscaldamento invernale e il condizionamento estivo degli ambienti. L’impianto infatti permette il recupero e il ricircolo dell’aria, mantenendo stabile la temperatura e il grado di umidità. L’uso di materie prime derivate da amidi vegetali in sostituzione di quelle derivate da petrolio, e l’alto grado di efficienza energetica dello stabilimento contribuiscono ad abbattere le emissioni di CO2 legate al biopannolino. “Un primo documento sull’Impronta del carbonio dei pannolini Naturaè prodotto nell’ambito della Lca-Life Cycle Assessment (analisi del ciclo di vita) svolta in collaborazione con l’Università La Bicocca di Milano, attesta che, rispetto a sistemi produttivi e a pannolini convenzionali, la produzione dei pannolini Naturaè abbatte le emissioni di CO2 fino al 40%”, precisa su questo punto Benedetti. La realizzazione del nuovo stabilimento, avvenuta d’intesa con l’Ente parco delle foreste Casentinesi, ha rappresentato un’occasione di rilancio economico per l’area e ha portato alla creazione di otto nuovi posti di lavoro (che a regime saliranno a sedici). Finanziariamente, la scelta di passare alla produzione diretta è stata resa possibile dal rapporto con Banca Etica e la Società europea finanza etica e alternativa (Sefea). Il progetto a cui lavora oggi Wip è “Happy nappy”, il pannolino felice, per il recupero e la compostabilità integrale di pannolini e... del loro contenuto post-uso. Una materia che, secondo Benedetti, “va valorizzata come fertilizzante, come si faceva un tempo con quella di mucca, invece di spedirla nei termovalorizzatori”. Obiettivo: rifiuti economici e sostenibili.

Wellness Innovation Project Spa (Wip) via Palasciano 39 – 59100 Prato info@ecowip.com; 0574669488 www.ecowip.com Segnalata nel 2010 nel settore Prodotti e servizi innovativi

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Storia, cultura e filosofia nella gomma da masticare biologica

Nella penisola messicana dello Yucatan duemila nativi, i chicleros, con il lavoro di raccolta di una gomma naturale, il chicle, contribuiscono a salvaguardare sia la propria economia sia la foresta pluviale locale. Quest’ultima con quelle del Guatemala, Belize, Honduras e Nicaragua costituisce El Gran Petén, la seconda foresta tropicale per estensione in America dopo la foresta amazzonica, un polmone sempreverde (grande quattro volte l’Italia) che fissa anidride carbonica durante tutto l’anno. In questa foresta è presente il Sapodilla, conosciuto come chicozapote, un albero alto fino a trenta metri dal quale i chicleros estraggono il chicle, incidendo con tagli a zig-zag la corteccia, che poi si rimargina. Suddivisi in 56 cooperative consorziate disseminate su un’area di 1,3 milioni di ettari quadrati di foresta, ricavano così il sostentamento per sé e le famiglie (un totale di 10.000 nativi circa). La produzione sfrutta un processo antico che era in uso ancor prima del radicamento dell’impero azteco. Imbracati in corde appese agli alberi, i chicleros si arrampicano lungo i tronchi e da lì estraggono il lattice senza danneggiare gli alberi ultracentenari, che possono continuare a produrre gomma naturale. Per questo i chicleros sono considerati i difensori delle loro “Selve”. La linfa così estratta gradualmente confluisce in una sacca posta alla base dell’albero, che ne può produrre da 3 a 5 chili per ogni raccolto, per essere poi lasciato a riposo per 5-6 anni. Il lattice viene fatto bollire per essere disidratato, fino a ottenere un impasto appiccicoso che, stirato e impastato a mano, viene modellato in marquetas, degli stampi quadrati al cui interno si solidifica durante la fase di raffreddamento. Ogni blocco è contrassegnato e certificato da Fsc (Forest Stewardship Council, una Ong internazionale non profit che opera per promuovere la gestione sostenibile delle foreste). Questi contrassegni contengono importanti informazioni, che vanno dalla identità del chicle alla posizione esatta dell’albero. Il chicle è alla base della produzione di Chicza, la prima e unica chewing gum biologica certificata al mondo. Il consorzio ne gestisce la produzione,

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Prodotti innovativi

la logistica e il commercio. Produrla e commercializzarla aiuta a proteggere la foresta e contemporaneamente a migliorare le condizioni di vita dei chicleros e delle loro famiglie. Cinque anni dopo aver avviato il consorzio e aver intrapreso la strada di “aggiungere valore” al prodotto, realizzando il sogno di trasformare la materia grezza in gomma da masticare, Chicza, oggi, permette a un chiclero di ottenere un reddito sei volte maggiore che in passato. Essendo completamente di origine vegetale, Chicza ha un altro atout: nel giro di qualche settimana è rapidamente biodegradabile al 100%, a differenza delle gomme tradizionali derivate dal petrolio che impiegano cinque anni per sparire. Oggi Chicza viene prodotta in tre varietà: menta, cedro e menta verde. Gli ingredienti base sono: succo biologico di canna da zucchero evaporato in polvere (37%), gomma base biologica (35%), E170 calcio carbonato, glucosio biologico (24%), sciroppo biologico di agave (3%), con aggiunta di aroma di menta biologica, di cedro o di menta verde. In arrivo i gusti alla cannella e ai frutti tropicali. Esclusivista per l’Italia è l’azienda di Gino Di Giacomo, che con Chicza ha avuto il classico incontro fatale, per caso, nell’aprile 2009, leggendo un trafiletto su un giornale che parlava del premio assegnato a Chicza come prodotto biologico più innovativo. “Le gomme buttate a terra mi hanno sempre dato fastidio”, racconta oggi Di Giacomo, un passato da giornalista. “Così ho scritto ai messicani per complimentarmi, aggiungendo un P.S.: se non avevano nessuno che seguiva il business in Italia mi candidavo io”. Dopo 5-6 mesi, quando non ci pensava più, gli arriva una busta contenente alcuni pacchetti di Chicza. “Ho cominciato a fare assaggiare in giro le gomme

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Chicza, la biogomma da masticare in lattice naturale

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per testare il gradimento, con riscontri alternanti, e a fare delle prove empiriche sui tempi di dissolvimento. Contro la mia cultura di ambientalista mi sono costretto a gettarle per terra, tenendo annotata la data e l’ora. Così ho constatato che dopo due mesi sparivano dalla strada grazie allo schiacciamento delle ruote dei veicoli, e dopo cinque mesi dai marciapiedi; che non si attaccavano alle suole (tranne a quelle in gomma), né alle dentiere in nove casi su dieci. Poi ho avuto l’intuizione di farle certificare come prive di glutine, aprendo così le porte alla vendita in farmacia”. In Messico a incontrare i chicleros Di Giacomo c’è stato due volte. “Chicza ha fatto ritornare il sorriso ai bambini chicleros: le multinazionali dodici anni fa hanno abbandonato i chicleros, distruggendo la loro economia dall’oggi al domani”. Loro si sono rimboccati le maniche, e oggi la gomma da masticare è commercializzata in 25 paesi, dall’Unione europea, agli Usa, Messico, Giappone, Singapore, Corea e Canada. Innumerevoli i premi internazionali ottenuti, da quello della stampa di settore assegnato nel corso di BioFach (la fiera annuale dei prodotti biologici di Norimberga), a due riconoscimenti del governo messicano; in Italia: nel 2010 il Premio Green Factor della Regione Friuli Venezia Giulia, e il Premio innovazione amica dell’ambiente istituito da Legambiente, in collaborazione con Regione Lombardia e Confindustria, e il Riconoscimento dal Ministero dell’Economia e dalla Consip nel Premio Gpp 2011 (Green Public Procurement).

Di Giacomo Giulio Organic Chewing gum viale dei Promontori 50 – 00122 Roma gino_digiacomo@virgilio.it, gino@chicza.it; tel. 330626511 www.chicza.it; www.chicza.com Segnalata nel 2010 nel settore Rifiuti

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Materiali innovativi per l’edilizia

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Materiali edili in lana di pecora

È cominciata nella Banca del Tempo di Guspini (un paese di 13.000 anime a 30 chilometri di distanza da uno dei tratti di costa più affascinanti della Sardegna) la storia aziendale di Essedi, l’azienda che commercializza in esclusiva prodotti per l’edilizia naturali al 100% realizzati coi marchi Edilana e Edilatte. E se può apparire inconsueta l’origine, non meno sorprendente è la lista degli ingredienti (oltre 300) che vengono impiegati in sostituzione del petrolio e suoi derivati: scarti di lana di pecore autoctone sarde; reflui e sottolavorazioni del latte di pecora e capra; eccedenze di miele, birra, olio di oliva; scarti vitivinicoli, di orti e giardini; potature di ulivi sardi coltivati biologicamente; sfalci e ramaglie recuperati pulendo aree marginali di bosco, sottobosco e parchi; alghe e piante marine e sottocostiere raccolte sulle spiagge; argille e crostoni calcarei abbandonati; erbe medicinali e spezie in scadenza; parti non edibili o danneggiate di frutta e ortaggi forniti da negozi bio. Si usano persino piante infestanti, in quanto ricche di fibre preziose, rendendo superfluo l’uso dei diserbanti, e preservando così il paesaggio naturale. È però dall’utilizzazione della lana di pecora che è partita l’originalissima produzione dei materiali Edilana, isolanti, fonoassorbenti, idrorepellenti, antimuffa, nonché atossici, privi di colle e di resine artificiali, riciclabili, biocompatibili, non energivori.

Materiale edile termoisolante in lana di pecora

L’avvio di questa avventura risale a una certa Tonina, che un giorno del 1997 si presenta alla Banca del Tempo di Guspini portando un enorme quantitativo di lana di pecora sarda, destinata a finire, come l’80% della lana che si produceva in Sardegna, in un inceneritore, come rifiuto speciale da smaltire a caro prezzo. Nasce così un laboratorio battezzato “Idee fuori dal gregge” per scambiarsi sia conoscenze sulla lana sia pratiche provenienti

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Posa dell’isolante Edilana

dalla tradizione. Salta fuori che, essendo ricca di cheratina e lanolina, la lana potrebbe essere usata per realizzare prodotti per l’edilizia, ma anche per la nautica, per l’arredamento, oltre che, sottinteso, capi di abbigliamento. Un pastore, zio Antonio Concas, oggi ultracentenario, fa sapere che la lana si può interrare per bonificare i terreni. Fatta la prova, si vede che, grazie alla lana disciolta, è possibile coltivare orti e giardini senza bisogno di acqua, già scarsa, in aggiunta a quella piovana, e facendo a meno anche dei concimi. Via via sempre più iscritti alla Banca del Tempo dimostrano interesse per imparare a manipolare la lana: su 13.000 abitanti, dal 2001 al 2006 i “correntisti” della Banca del Tempo passano da cento a ottocento. Ma il numero di persone coinvolte è sicuramente superiore. Le cronache narrano di una ventina di aiuole del paese, abbandonate a se stesse, che vengono ripulite e trasformate in spazi pubblici, in cui organizzare eventi culturali e lavorare, collettivamente, la lana. “Orti urbani ante litteram dove coltivavamo pomodori e ortaggi, che hanno funzionato da centri di socializzazione”, ricorda Daniela Ducato, che coordina la ricerca dei prodotti Edilana e Edilatte. “Dopo questa prima sperimentazione abbiamo continuato la ricerca per altri possibili usi, producendo lampade, giocattoli. Io sono andata in Turchia per vedere come usavano la lana in quel paese”, continua Ducato. Fino a quando il Comune accusa la Banca del Tempo di disseminare aiuole e giardini di rifiuti (la lana, appunto!). Ma proprio dalla chiusura degli orti e dall’abbattimento degli alberi viene l’idea per la svolta. “Una bambina ci portò i nidi che aveva raccolto,” racconta Ducato. “Vedendoli, pensai che come gli uccelli facevano architetture perfette, co-

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sì avremmo potuto fare noi. A ispirarci di più è stata la tecnica costruttiva del nido di pettirosso, per l’isolamento acustico. Abbiamo cercato di imitarne il becco e modificato il macchinario per la gugliatura (la lavorazione per intrecciare le fibre lanose, nda) della lana di pecora sarda che, essendo molto grossa, va trattata diversamente dalla merinos. L’obiettivo era mantenere il più alto numero di interstizi pieni d’aria, per accrescere la capacità isolante e coibente della lana. Come fa il becco del pettirosso quando costruisce il nido.” Tutt’altro che spinta alla ritirata dalla chiusura degli orti, la “comunità della lana” si dà daffare per allargare la cerchia dei sostenitori del progetto, ponendo le basi di una originale filiera industriale e commerciale autoctona. Incontrano piccoli imprenditori locali in difficoltà, pastori, architetti, falegnami. Va così a finire che in poco tempo in tutta la Sardegna nascono trenta punti vendita dei prodotti Edilana. Il resto è storia di oggi. La gamma dei prodotti Edilana e Edilatte, distribuiti da Essedi, comprende intonaci, malte, vernici, pitture, additivi emulsionanti, idrorepellenti. Sono consigliati per impieghi nella bioedilizia per realizzare pareti in muratura e cartongesso, controsoffittature, sottotetti e tetti ventilati. L’impiego di scarti di lana di pecora e di eccedenze, sottoprodotti e scarti dell’agricoltura e dell’allevamento non solo riduce la quantità di rifiuti da smaltire, ma permette di riciclare preziosi prodotti naturali in sostituzione di costose materie prime. L’unicità di questa produzione sta anche nel ricorso a tecniche e saperi locali nelle attività di riciclo; una valorizzazione pienamente rispecchiata dalla rete di aziende del territorio che forniscono gli ingredienti-base di origine naturale.

Essedi Srl, Edilatte e Edilana km 95 Strada Statale 126 Zona Industriale P.I.P 09036 Guspini – Medio Campidano (VS) Sardegna

info@edilatte.it; info@edilana.com; danieladucato@gmail.com; tel. 070976590

www.edilatte.it; www.edilana.com; www.ediesseguspini.it Segnalate nel 2009 nel settore Efficienza energetica e nel 2010 nel settore Prodotti e servizi innovativi

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Una vernice naturale di nome Yang

La Spring Color è un’azienda artigiana che produce malte, pitture e vernici dal 1958. Il titolare, Roberto Mosca, possiede un mulino del bisnonno che veniva utilizzato per macinare terre coloranti e olio. “Sono state le malattie professionali di mio padre e mio nonno a indirizzarmi, nel 1993, verso la produzione di vernici ecologiche”, racconta Mosca. “Due anni dopo è arrivato il primo brevetto sull’uso industriale di latte, uova, cera d’api e loro derivati come leganti organici. La ricerca di coloranti naturali tradizionali è poi sfociata nella sperimentazione di pigmenti rinnovabili, come quelli vegetali”, continua. “La prima esperienza è stata con pigmenti provenienti dall’Iran, gli stessi utilizzati per i tappeti: fiori tintori o radici, con vari tipi di indaco e i giallo-aranciati ottenuti dallo zafferano. La legge iraniana, però, per proteggere l’artigianato locale non ne permetteva un’esportazione adeguata. Così ci siamo rivolti ai pigmenti vegetali destinati all’industria cosmetica. Ma la maggior parte si è rivelata utilizzabile solo negli interni.” Alla fine degli anni ’90, la svolta: in collaborazione con un chimico modenese, Gianni Giovannini, arrivano a produrre dei coloranti vegetali che utilizzano albumina e caseina come leganti, stabilizzati da oli essenziali e aceti. Successivamente Spring Color è coinvolta nel progetto “Cilestre” volto alla riscoperta delle piante officinali tintorie, e sostenuto, tra gli altri, dal Museo dei colori naturali di Lamoli (PU). “Da questa ricerca abbiamo ottenuto pigmenti più resistenti sia agli ambienti alcalini sia a quelli acidi”, continua Mosca. È stata anche l’occasione per riscoprire il guado, un pigmento utilizzato per secoli e poi abbandonato: “Era il vitrum dei romani, il blu di cuccagna degli antichi pittori italiani, l’‘oro blu’ dei commercianti del Medioevo, come nel caso del padre di Piero della Francesca che lavorava nel mercato tessile”, spiega Mosca. Da allora la produzione si è consolidata e negli ultimi dieci anni Spring Color ha fornito a centinaia di migliaia di cantieri malte, pitture e vernici formulate senza componenti di sintesi petrolchimica, e additivate in gran parte con derivati dell’agricoltura e dell’allevamento: latte fresco, albume e tuorlo d’uovo

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freschi, cera d’api, amidi, oli vegetali, fibre vegetali, grassi, estratti da agrumi, piante officinali e scarti della produzione di canapa. L’utilizzo del latte, dell’uovo, della cera d’api viene facilitato da un sistema di conservazione naturale (acidificazione e alcalinizzazione con aceti, oli essenziali, acidi citrici, borati, sali, calce, propoli che stabilizzano il pH e la carica batterica), coperto da brevetto europeo e statunitense. L’ultimo nato è una pittura in polvere (nome commerciale Yang) a base, va da sé, di ingredienti naturali totalmente biodegradabili: caseina lattica, albume, borace, carbonati di calcio, titanio, gesso, sorbato di potassio, metilcellulose, grassi vegetali. “Nell’ambiente in cui siano state dipinte le pareti con Yang ci si può dormire la notte stessa senza temere esalazioni tossiche”, dice orgoglioso Mosca. Essendo venduta in polvere, a parità di resa si riducono peso e costi di stoccaggio e trasporto rispetto alle vernici ad acqua. È confezionata in sacchetti di carta per evitare i secchi di plastica. A seconda del grado di diluizione con acqua funge da stucco o da pittura; associata all’olio di lino o altre emulsioni oleose (come il complemento Yin) diviene lavabile e idonea a verniciare il legno. La versatilità ne permette l’impiego per diverse tecniche di applicazione evitando l’uso di prodotti specifici e accumulo di relativi avanzi di vernice.

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Uova, latte e cera d’api... sono gli ingredienti delle pitture naturali Spring Color

L’uso del latte in polvere come agente legante principale, ricavabile da latte scaduto, rappresenta, secondo Mosca, un’interessante opportunità economica: “Gli allevatori italiani potrebbero utilizzare il canale dell’edilizia per smerciare la produzione di latte oltre le quote fissate dall’Unione europea che comporta multe per milioni di euro”. Spring Color pratica l’autodichiarazione degli ingredienti sia sulle etichette sia nelle schede tecniche. In accordo a programmi come quello di BioediliziaItalia (di cui è socio fondatore), ha dato inoltre la disponibilità per controlli e analisi di laboratorio da parte di qualsiasi soggetto, senza preavvi-

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La vernice naturale Yang in polvere

so. I suoi prodotti sono considerati bioedili da Anab (Associazione nazionale architettura bioecologica) e Inbar (Istituto nazionale di bioarchitettura). Sono sterminate le referenze per i lavori di restauro eseguiti con prodotti Spring Color, dal Duomo di Foligno, al Palazzo dei Templari a Gerusalemme. Nel 2002 ha ottenuto anche il Premio innovazione amica dell’ambiente (promosso da Legambiente, Regione Lombardia, Politecnico e Bocconi di Milano). Interrotti gli studi universitari a chimica industriale dopo quattro anni, è alla ricerca storica su miscele pittoriche usate nei secoli, alle tradizioni artigiane, ma soprattutto alla sperimentazione incessante, che Roberto Mosca deve le sue competenze: “Un conto è ciò che si legge sui libri, un altro tradurlo in pratica. Anche l’esperienza dell’azienda di famiglia nella produzione convenzionale, oggi abbandonata, è stata importante”. Se gli chiedete perché si dovrebbero usare le vernici naturali, vi risponde “prima di tutto per la bellezza della luce che riflettono, poi per la salute, l’ambiente e la manutenzione semplificata”.

Spring Color Srl via Jesina 63 – 60022 Castelfidardo (AN) info@springcolor.it; tel. 0717823780 www.springcolor.it Segnalata nel 2011 nel settore Prodotti e servizi innovativi

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Green building con la calce naturale

Kerakoll, società leader mondiale nei prodotti e servizi per il green building (l’edilizia ecosostenibile) con un fatturato di 335 milioni di euro nel 2010, di cui circa il 40% realizzato all’estero, ha mosso i primi passi nel garage del fondatore, Romano Sghedoni, dove è nata nel 1968 a Sassuolo. Oggi è guidata dal figlio, Gian Luca Sghedoni, nominato da Ernst & Young “Imprenditore dell’anno 2008”. Sono dodici le società operative del gruppo e dieci gli stabilimenti produttivi (dei quali quattro tra Spagna, Grecia e Polonia). Nella ricerca investe il 5,4% del fatturato. Grazie a formulazioni innovative e all’impiego del 100% di energia certificata da fonti rinnovabili, ogni anno risparmia all’atmosfera l’emissione di 9.500.000 chilogrammi di anidride carbonica. Produce 1.700 referenze ecocompatibili, con una produzione annua di 950.000 tonnellate realizzate utilizzando 470.000 tonnellate di materiali regionali e 220.000 di materiali naturali riciclati. Tra i prodotti di maggiore successo di Kerakoll, un’innovativa linea completa di malte, intonaci e pitture in pura calce naturale (NHL 3.5), denominata Biocalce. Della gamma, in particolare, fa parte Biocalce Termointonaco ottenuto da materiali naturali, riciclabili, a basso impatto ambientale, che favoriscono il risparmio energetico in quanto riescono a garantire contemporanea­mente isolamento termico ed equilibrio termo-igrometrico. Grazie al basso valore di conduttività termica, Biocalce Termointonaco abbatte la dispersione termica dei

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Terre colorate, Kerakoll

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Calce naturale

Confezione di termo­ intonaco Biocalce Kerakoll

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muri perimetrali di un edificio consentendo un sensibile risparmio sulle spese di climatizzazione interna attraverso la regolazione della temperatura delle superfici esterne. Inoltre permette un continuo ricambio d’aria e di vapore. Traspirabilità e porosità sono garantite dalle materie prime impiegate: oltre alla calce naturale, pomice bianca in microgranuli, scaglie di sughero e calcare dolomitico granulato, che contribuiscono a evitare la formazione di condensa e muffe. Il prodotto può essere utilizzato per intonacare sia le pareti esterne, anche nei restauri di immobili storici di pregio, sia quelle interne e i soffitti. Il produttore valuta che il potere termoisolante di questi materiali consenta di ottenere risparmi di energia per la climatizzazione interna fino al 60%. Anche la lavorazione industriale necessita di poca energia. In continua progressione rispetto ai dati di vendita, la linea Biocalce, lanciata sul mercato nel 2005, nel 2010 sul solo mercato italiano aveva già fatturato 35 milioni di euro. “Col fatto che si richiede sempre più qualità da parte di chi costruisce e vende e da parte di chi acquista, la richiesta di questi prodotti aumenta perché danno valore aggiunto all’edificio”, commenta Gian Luca Sghedoni. L’intera gamma Biocalce nel 2009 ha ottenuto il riconoscimento di “Partner CasaClima” (il sistema di certificazione energetica istituito a Bolzano) e la certificazione di “Compatibilità ambientale” da parte del Politecnico di Milano (Dipartimento di Scienza e tecnologie dell’ambiente costruito, Best). A conferma di un impegno anche etico nel settore e non puramente commerciale, Kerakoll svolge attività promozionale a sostegno di tecniche costruttive in edilizia che coniughino qualità ambientale e tutela della salute. Nel febbraio 2010, a Modena, ha organizzato la prima edizione della Conferenza nazionale sul green building, dal titolo “Costruire bene conviene”. È stato anche ampiamente sottolineato il ruolo che il green building può giocare per contrastare i cambiamenti climatici favorendo l’efficienza energetica e la riduzione delle emissioni di CO2. Inoltre l’azienda ha messo a punto il pluripremiato sistema di valutazione del grado di ecologicità delle costruzioni: il GreenBuilding Rating, applicato su base volontaria, che si basa sui principali riferimenti normativi esistenti, protocolli europei e certificazioni ambien-

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tali. Sei i parametri considerati: recupero e riciclo di minerali naturali; riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera; uso ridotto delle sostanze nocive per la salute e l’ambiente; qualità dell’aria indoor; efficienza energetica; riciclabilità a fine vita. Nel 2008 hanno preso il via i lavori di costruzione dei nuovi laboratori di ricerca, il Kerakoll GreenLab, con un investimento di circa 14 milioni di euro. Chiusura prevista dei cantieri: inizio 2012. Il progetto coniuga l’impiego di materiali da costruzione naturali, traspiranti ed ecologici prodotti dall’azienda agli elementi di sostenibilità della struttura in termini di bioclimatica (orientamento dell’edificio) ed efficienza energetica: dalla produzione di gran parte dell’energia termica e frigorifera tramite pompe di calore a condensazione e refrigeratori d’acqua condensati ad aria, a un sistema fotovoltaico e di building automation per l’ombreggiamento della facciata in grado di produrre 170 kWp di elettricità da energia solare; ai sensori per il controllo della luminosità dei locali che integrano la luce artificiale con quella naturale; ai sensori di presenza disposti in ogni ambiente. L’involucro architettonico è realizzato con termoblocchi rivestiti di Biocalce Termointonaco e pitture traspiranti a base calce naturale. Le superfici vetrate sono a doppio o triplo vetro. Le acque meteoriche depurate tramite un sistema di filtrazione vegetale sono utilizzate per l’irrigazione e il rifornimento delle vasche di raffrescamento bioclimatico. A regime vi opereranno oltre 100 nuovi addetti tra ingegneri e ricercatori bioedili.

Marchio di qualità ecologica

Kerakoll Group via dell’Artigianato 9 – 41049 Sassuolo (MO) info@kerakoll.com; tel. 0536816511 www.kerakoll.it Segnalata nel 2009 nel settore Efficienza energetica e nel 2011 nel settore Prodotti e servizi innovativi

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Una vernice antimuffa e atossica mangiasmog

La chiesa Matrice a Cittanova, prima del restauro con Cimax Ecosystem Paint

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La vernice fotocatalitica per interni ed esterni Cimax Ecosystem Paint è una pittura completamente inorganica, priva di resine aggiunte e di metalli pesanti, con un livello di emissione di Voc (composti organici volatili) pari a zero, come è stato accertato dai test effettuati presso i laboratori Icq (Istituto di certificazione della qualità) di Cabiate, in provincia di Como. Oltre a non inquinare, grazie al suo contenuto di biossido di titanio attiva una reazione fotocatalitica che accelera l’ossidazione degli agenti inquinanti presenti in atmosfera che vengono a contatto con le superficie trattate, e li trasforma in sostanze inerti (si veda anche il capitolo Una ceramica antibatterica e antinquinamento). Per le applicazioni in galleria vanno create le condizioni ideali per la reazione fotochimica tramite l’installazione di lampade a raggi ultravioletti, come è stato fatto, per esempio, a Roma nel traforo Umberto I di quasi 400 metri di lunghezza, che unisce le centralissime e congestionate via del Tritone e via Nazionale attraverso via Genova. “La tinteggiatura eseguita nell’agosto 2007 ha consentito di conseguire un abbattimento degli ossidi di azoto (NOx, nda) del 51%”, precisa il titolare dell’azienda Massimo Bernardoni, “ha eliminato i cattivi odori e ha mantenuto negli anni il colore bianco, restituendo alla popolazione romana un collegamento essenziale che prima veniva evitato dai pedoni. Cimax Ecosystem Paint, oltre ad agire in particolare sugli ossidi di azoto”, continua Bernardoni, “attacca gli inquinanti che si depositano, sporcandole, sulle facciate dei palazzi, è attiva anche contro una serie di batteri, impedisce la formazione di muffe e abbatte i cattivi odori”.

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Dai test effettuati in laboratorio e in cantiere risulta che il tasso di abbattimento degli ossidi di azoto, dopo 30 minuti di esposizione alla luce, oscilla dal 50 all’80%, mentre in galleria va dal 45 al 70%. Un metro quadrato di Cimax Ecosystem Paint svolge un’azione disinquinante paragonabile a quella di un albero. Prove specifiche sul potere di abbattimento degli NOx sono state svolte presso i laboratori Cistec e Ssog – Centro interdipartimentale di scienza e tecnica per la conservazione del patrimonio storico-architettonico (presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza). Si è evidenziato, tra l’altro, che le calci idrauliche, per il loro spessore più fino e i colori più chiari, favoriscono maggiormente la reazione fotocatalitica di abbattimento degli ossidi di azoto. Attraverso la reazione fotochimica innescata, le sostanze inquinanti vengono trasformate in residui innocui e quantitativamente irrilevanti, principalmente nitrati, carbonati e sali minerali idrosolubili. La durata dell’applicazione delle pitture è identica a quella dei prodotti cementizi standard. L’azione fotocatalitica non è soggetta a esaurirsi con il tempo. Poiché la vernice viene venduta in polvere, si hanno forti risparmi sui costi di trasporto, corrispondenti al volume di acqua non trasportata che viene aggiunta in loco dal cliente al momento dell’uso; coincide con un 40% di merce in meno che viaggia. Cimax Ecosystem Paint è presente sul mercato italiano da ormai cinque anni. La produzione e la commercializzazione di questa linea di prodotti ha richiesto di aggiungere ai dipendenti una nuova squadra dedicata composta da cinque addetti. In termini di fatturato per il 2010 la quota parte di questa produzione ha portato in dote ai bilanci aziendali mezzo milione di euro. “Essendo però una tecnologia nuova ed essendo il mercato dell’edilizia, oltre che in crisi da tre anni buoni, anche piuttosto conservatore”, commenta Bernardoni, “solo negli ultimi due anni abbiamo potuto raccogliere i frutti della nostra innovazio-

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... dopo il restauro

Il traforo Umberto I verniciato con Cimax, Roma

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ne, a cominciare dall’inserimento dei prodotti nei capitolati dei lavori pubblici, per continuare con la crescente richiesta di preventivi da parte di imprese, architetti, ingegneri”. Grazie a questa gamma di vernici l’azienda si è anche affacciata all’estero avviando un’intensa fase di internazionalizzazione della sua attività: oggi è presente in 18 paesi di quattro continenti. E proprio con il supporto dell’internazionalizzazione nei prossimi tre anni conta di raggiungere i 20 milioni di fatturato. Tra le applicazioni in opere di interesse pubblico realizzate con la linea di prodotti Cimax Ecosystem si possono citare la Chiesa Matrice di Cittanova (Rc), in stile Barocco di fine Settecento, restaurata e tinteggiata di bianco, e l’Arcivescovado di Taranto, che dopo i lavori di ristrutturazione è stato dipinto in color sabbia. Altre realizzazioni con le eco-vernici mangiasmog le troviamo a Firenze, in Piazza Tanucci, dove è stato applicato al suolo il rasante Cimax Ecosystem Cover M in una zona ad alta intensità di traffico. La linea fotocatalitica Cimax Ecosystem è stata selezionata a rappresentare l’Italia all’Expo di Shanghai sul tema “Better City, Better Life”, per una migliore qualità della vita nelle aree urbane. Nel 2007 le pitture e rasanti fotocatalitici di Cimax avevano ricevuto due importanti riconoscimenti: il premio Award for Excellence (Premio per l’eccellenza) da Confindustria e il premio Innovalazio dalla Regione Lazio. Infine, nel 2011, insieme al Premio Sviluppo Sostenibile, ha ottenuto anche quello Impresa Ambiente nell’ambito della manifestazione fieristica Ecopolis a Roma.

CIM Calci Idrate Marcellina Spa Località Cesalunga, Snc – 00010 Marcellina (Roma) info@cimax.it; tel. 774424483 www.cimax.it Segnalata nel 2011 nel settore Prodotti e servizi innovativi

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Una ceramica antibatterica e antinquinamento

Iris Ceramica è azienda leader nella produzione di lastre in ceramica per pavimentazioni e rivestimenti. In campo ambientale ha conseguito la certificazione Emas dei processi produttivi, la certificazione Anab (Associazione nazionale architettura bioecologica) e quella conforme agli standard del protocollo Leed di molti materiali prodotti (Leed sta per Leadership in Energy and Environmental Design, e identifica un sistema di valutazione della qualità energetico-ambientale finalizzato alla realizzazione di edifici “verdi” ad alte prestazioni nel rispetto della natura). Riconoscimenti che vanta anche il Gruppo Graniti Fiandre di Castellarano, altra azienda storica del comparto ceramico situata tra le provincie di Modena e Reggio Emilia: dalla certificazione Leed a quella di Anab, che ha inserito i materiali Fiandre tra i prodotti certificati per la bioedilizia. Di recente il Gruppo è stato accolto tra i membri del Green Building Council. Sono oltre 70 i materiali Fiandre prodotti nel rispetto dei parametri richiesti dalla certificazione Leed, materiali che nascono con oltre il 40% di risorse riciclate.

Pavimenta­ zione realizzata con Active Clean Air & Antibacterial Ceramic

In collaborazione con il coetaneo Gruppo Graniti Fiandre (entrambe nel 2011 hanno tagliato il traguardo di cinquanta anni di attività), Iris Ceramica ha sviluppato un materiale denominato Active Clean Air & Antibacterial Ceramic (per il quale ha ricevuto la segnalazione nell’ambito del Premio Sviluppo Sostenibile), che ha la proprietà di interagire

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Active è un materiale fotocatalitico ecoattivo

con l’ambiente esterno e interno: contrasta infatti l’inquinamento atmosferico prodotto dagli ossidi di azoto (NOx) e riduce drasticamente la presenza dei più comuni batteri patogeni. Il segreto di queste reazioni chimico-fisiche sta nelle presenza di micrometriche particelle di biossido di titanio (TiO2): attraverso un esclusivo processo produttivo, vengono fissate a temperature elevate sulle piastrelle e sulle lastre dove, a contatto con la luce, sviluppano il processo naturale della fotocatalisi, esplicando l’azione di riduzione degli inquinanti nell’aria e antibatterica (si veda il capitolo Una vernice antimuffa e atossica mangiasmog). Per fotocatalisi si intende il fenomeno naturale in cui una sostanza, detta fotocatalizzatore, attraverso l’azione della luce (naturale o artificiale) modifica la velocità di una reazione chimica (spesso velocizzandola drasticamente). La fotocatalisi implica che, alla presenza di aria (e quindi di umidità) e luce si attivi un processo ossidativo che porta alla decomposizione delle sostanze organiche e inorganiche che entrano a contatto con le superfici fotocatalitiche. “Ne consegue”, puntualizza Armando Bergamini, quality manager di Iris Ceramica, “che Active Clean Air & Antibacterial Ceramic™ è un materiale fotocatalitico ascrivibile alla nuova frontiera dei materiali ecoattivi”. Sia la riduzione della presenza di NOx sia l’azione battericida prodotte dalle microparticelle fotocatalizzatrici del biossido di titanio TiO2 fissato sulle lastre sono state certificate, tra gli altri, dal Tile Council of North America (Tcna), un’associazione leader nella diffusione dell’uso delle piastrelle in ceramica. A partire dai risultati sull’attività fotocatalitica (certificata ISI 10678) delle lastre e piastrelle Active precedentemente misurata dal Dipartimento di fisica ed elettrochimica dell’Università degli Studi di Milano, l’indagine bibliografica condotta nel 2010 dal Centro ceramico di Bologna (Centro di ricerca e sperimentazione per l’industria ceramica) ha portato a formulare la stima che una superficie di 1.000 metri quadrati di piastrelle Active illuminata dal sole possa dare un contributo alla riduzione degli ossidi di azoto paragonabile a quello fornito da 20 alberi maturi. E che un pavimento (o un rivestimento) illuminato possa eliminare i batteri che vi si trovano in

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una percentuale pari al 99,99. Una particolarità che rende questo materiale adatto specialmente ad ambienti che richiedano un alto livello di igiene. “Un’ulteriore ricerca affidata nel 2011 al Centro ceramico ha evidenziato che Active è l’unico materiale ceramico fotocatalitico ad aver testato le proprie prestazioni secondo metodologie internazionali ISO. Pertanto la gamma Active del Gruppo Graniti Fiandre/Iris è risultata essere attualmente l’unica piastrella ceramica certificata ISO in possesso di entrambi i requisiti di antibattericità e di riduzione degli inquinanti” sottolinea Armando Bergamini. Qualsiasi edificio esposto alla quotidiana aggressione delle sostanze inquinanti presenti nell’aria, soprattutto in ambito urbano, subisce una pressoché immediata alterazione delle superfici. La fotocatalisi agisce decomponendo e quindi eliminando le molecole organiche e, indirettamente, permette quindi di ridurre l’effetto visibile dello sporco, spesso anche rappresentato dalla semplice polvere. Per questi motivi, basta uno scroscio di pioggia per rimuovere lo sporco dalle pareti esterne degli edifici rivestiti con Active e mantenere quindi inalterata nel tempo l’integrità estetica di tali pareti riducendo i costi di manutenzione e l’inquinamento causato dall’uso di detergenti, come spiega Armando Bergamini. Le innovative prestazioni della gamma Active hanno trovato puntuale riconoscimento sul mercato: ogni mese il venduto si aggira intorno ai 2-3.000 metri quadrati di materiale. Né mancano referenze di prestigio relative alla sua adozione: da un ospedale costruito a Madrid, a un altro realizzato a Roma, a varie abitazioni private, tra cui una residenza, denominata Blue Laguna, a Vienna.

Iris Ceramica Spa via Ghiarola Nuova 119 – 41042 Fiorano Modenese (MO) abergamini@iris-group.it; tel. 0536862411 www.irisceramica.com; www.active-ceramic.com

In partnership con Gruppo Graniti Fiandre via Radici Nord 112 – 42014 Castellarano (RE) info@granitifiandre.it; tel.0536819611 Segnalata nel 2010 nel settore Prodotti e servizi innovativi

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Da argille e rifiuti organici la ceramica termoisolante

Climatica Ceramiche è un’azienda giovane che, sfidando la crisi del settore delle piastrelle, insidiato anche dalla concorrenza cinese, ha aperto i battenti dello showroom a maggio 2011, a Sassuolo, nel cuore del distretto della ceramica, portando sul mercato un contributo originale all’innovazione di prodotto. Giovane, ma già pluridecorata: oltre al riconoscimento della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, ha ricevuto il primo premio Green Economy del Distretto ceramico nella categoria green product.

Le piastrelle Climatica prodotte con argilla locale e biomassa

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L’obiettivo di fondo all’origine di questa impresa di cinque soci (tecnici appartenenti al mondo della ceramica, dell’efficienza energetica e dell’edilizia sostenibile) è “elevare la bellezza dei manufatti ceramici ad alti livelli di prestazioni ambientali attraverso la fusione delle consolidate abilità artigianali del settore con l’innovazione tecnologica”, come afferma il presidente della società Simone Baroni. L’innovazione alla base del processo manifatturiero messo a punto da Climatica Ceramiche sta nella capacità di produrre un impasto ceramico formato da argille rosse locali con un 50% di biomasse da recupero che, durante il processo di cottura, bruciano completamente, lasciando al loro posto, all’interno del manufatto, microscopiche bolle d’aria, un potente isolante. Questa presenza di un 50% di aria conferisce alle piastrelle (nome commerciale: Climatica) un alto potere termoisolante grazie alla ridotta conducibilità termica.

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Innumerevoli i risultati ambientali raggiunti evidenziati dall’azienda. “Innanzi tutto per la produzione di Climatica utilizziamo solo prodotti naturali, che non rilasciano sostanze nocive nell’ambiente”, sottolinea Baroni. “Si tratta di argille locali a chilometro zero e di un 50% di biomasse provenienti da scarti dell’industria alimentare. L’impiego di tecnologie avanzate ci consente poi di ridurre la produzione di rifiuti di lavorazione e di operare risparmiando energia: il calore derivante dalle biomasse durante la cottura riduce l’utilizzo di combustibili fossili; inoltre, sempre in fase di cottura, recuperiamo l’energia termica che poi ricicliamo nella fase di essicazione”, spiega. “Anche rispetto alla convenzionale pressatura industriale, il processo produttivo a estrusione da noi adottato, di tipo artigianale, limita l’impatto ambientale. In aggiunta a questo, la leggerezza delle nostre piastrelle e l’impiego di materiali locali riduce e agevola i trasporti, attenuandone l’impatto. Infine, il potere isolante, che si traduce in forte riduzione della trasmittanza termica delle pareti e della superficie a cui viene applicata Climatica, favorisce il risparmio energetico e quindi, per il consumatore, comporta una riduzione della bolletta”, conclude.

Il 50% di aria all’interno conferisce potere termoisolante

La piastrella Climatica viene proposta soprattutto per gli interventi di ristrutturazione perché può validamente contribuire agli obiettivi di risparmio energetico senza rappresentare una soluzione invasiva. Il prezzo di questo prodotto particolare rimane allineato a quello delle pia-

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strelle ottenute per estrusione, un processo di tipo artigianale a minore produttività che però rende Climatica un prodotto non di serie. A pochi mesi dall’avvio dell’attività commerciale, la risposta del mercato è stata molto positiva, sia da parte di architetti sia di clienti più attenti agli aspetti di sostenibilità ambientale nell’edilizia. Climatica viene proposta con successo anche fuori dall’Italia: in Europa, Stati Uniti ed Estremo Oriente. Il desiderio dell’azienda di arricchire l’orizzonte della green economy con un contributo proveniente dal mondo della ceramica non si è esaurito: allo studio c’è già un altro prodotto destinato alle pareti ventilate.

Climatica Ceramiche Srl via Felice Cavallotti 134 – 41049 Sassuolo (MO) www.climaticaceramiche.it Segnalata nel 2011 nel settore Prodotti e servizi innovativi

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Il calore corre sul nanopolimero

Caldo Continuo® è un sistema di riscaldamento radiante a pavimento o parete, a basso consumo energetico, costituito da un nanopolimero autoregolante che si riscalda al passaggio della corrente elettrica, e da una superficie coibente denominata “Isolante Continuo®”. Funziona a bassa tensione, in corrente continua per non creare campi elettromagnetici. Se alimentato da energia elettrica ottenuta da fonte rinnovabile (solare o eolica) diventa un impianto a emissioni zero. Le nanoparticelle contenute nel polimero termoradiante sono distribuite in maniera omogenea. In situazione di bassa temperatura ambiente, le nanoparticelle sono perfettamente coese e quindi assorbono il massimo della corrente, in un rapporto di un watt elettrico uguale a un watt termico prodotto. Quando la tempe-

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Posa del nanopolimero termoradiante

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ratura ambiente aumenta, la morfologia strutturale del polimero cambia e le nanoparticelle si allontanano, riducendo i punti di contatto. Aumentando la distanza tra le particelle, a parità di calore si riduce il passaggio di corrente e di conseguenza cala il consumo elettrico. Diversi sono i fattori che fanno di Caldo Continuo® un sistema a basso consumo energetico. “L’elemento radiante scaldante è collocato da 3 a 13 millimetri di profondità sotto la superficie calpestabile, per cui il sistema reagisce più rapidamente a eventuali variazioni di temperatura, riducendo i consumi di energia per raggiungere la temperatura desiderata”, spiega Mirco Guerrini, titolare e responsabile tecnico dell’azienda. “Lavorando a temperature basse, non superiori a 29,7 gradi, il livello di dispersione del calore verso il fondo è inferiore rispetto a sistemi che lavorano a temperature più alte, con un risparmio di energia del 7%. Inoltre”, continua Mirco Guerrini, “l’elemento radiante interessa oltre il 70% del pavimento, per cui anche l’uniforme diffusione di calore contribuisce a ridurre i tempi di funzionamento e quindi i consumi energetici di circa il 15%. Rispetto a una caldaia a condensazione, a parità di calorie rese, consente di risparmiare almeno un 40% sulle spese di riscaldamento”. Queste performance, però, si raggiungono solo se il grado di coibentazione sotto l’impianto è ottimale, ovvero, come precisa Guerrini, “se il rapporto tra coibente (per esempio in polistirene, polistirolo, sughero, o meglio ancora con l’Isolante Continuo® da 9 millimetri di spessore) e superficie calpestabile non è inferiore alla proporzione 1 a 4”. La configurazione ideale del sistema sarebbe dunque 9 millimetri di Isolante Continuo®, 1 millimetri di tappeto radiante in polimero nanotecnologico, con sopra a tutto 3-4 millimetri di resine “Continuo Bio”, a base d’acqua. Un’applicazione di Caldo Continuo

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Gli elementi di domotica integrati nel sistema consentono di regolare temperature differenziate stanza per stanza, con un minore impiego di corrente e di potenza impegnata. In esterno i produttori consigliano Caldo Continuo® per gazebi, edicole, pensiline fisse o rimovibili, tetti (per lo snevamento), vialetti carrabili e rampe di accesso a parcheggi per prevenire la formazione di gelo. Essendo automodulante dal 20 al 70%, è adatto a impianti sportivi al chiuso, luoghi di culto, sale convegni dove si riuniscano, in maniera non continuativa, parecchie persone. Nelle ristrutturazioni di teatri o palazzi storici ha il pregio di non essere invasivo con infrastrutture visibili e ingombranti. Quanto agli effetti su salute e sicu-

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rezza, “il sistema non brucia, né mette in circolazione la polvere, quindi non aggrava allergie o patologie, come per esempio l’asma”, sottolinea Guerrini. “Tutti i materiali utilizzati nel sistema Caldo Continuo® sono sicuri per l’ambiente, dal polimero in polietilene, biodegradabile se esposto ai raggi solari ultravioletti, alla treccia in rame riciclabile per il passaggio dell’elettricità, alle resine catalizzanti ad acqua. Il sistema è compatibile con la bioedilizia. Abbiamo realizzato anche residenze certificate da CasaClima di Bolzano”, precisa. L’alimentazione a elettricità elimina la canna fumaria e relative opere murarie; occorrono però lavori addizionali per la produzione di acqua calda per usi sanitari. Non necessita di locale per centrale termica e non richiede manutenzione annuale ordinaria (obbligatoria negli altri impianti a caldaia), né straordinaria. Il costo di gestione medio anno di un ambiente di 110 metri quadrati in classe energetica B è stimato intorno a 950 euro, comprensivi dei costi per la produzione di acqua calda con boiler in pompa di calore a basso consumo. Ma come è nato Caldo Continuo®? “L’idea ce l’hanno data i materassi dei letti per lungodegenti riscaldati con questa tecnologia in uso negli Stati Uniti da oltre trent’anni”, risponde Mirco Guerrini. “Avendo saputo che con quel polimero negli Usa scaldavano di tutto, abbiamo pensato di applicarlo al sistema di riscaldamento a pavimento, visto che la nostra azienda era attiva nel settore delle pavimentazioni in resina. Nel 2006 abbiamo cominciato ad acquistare il polimero per sostituire i cavi in rame con cui allora realizzavamo i nostri sistemi di riscaldamento. È stato un autentico salto in un’altra era tecnologica. Poi, a partire dall’inizio del 2010, ci siamo resi autonomi, e oggi con il nostro partner Domoteca (specializzata in domotica e software per fotovoltaico) posiamo un polimero di nostra formulazione, inglobato tra la resina e il coibente Continuo”, conclude.

Continuo Srl via Dario Campana 56/A – 47922 Rimini info@continuosrl.it; ufficio tecnico@caldocontinuo.it; tel. 0544408503 www.continuoweb.com Segnalata nel 2011 nel settore Prodotti e servizi innovativi

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Presieduta da Edo Ronchi, iscritta al Registro delle persone giuridiche come ente senza scopo di lucro, la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile è nata il 13 settembre 2008 per iniziativa di imprese, associazioni di imprese ed esperti della sostenibilità, che puntano a favorire lo sviluppo della green economy in Italia. Le sue attività consistono principalmente nell’approfondire – dal punto di vista culturale e tecnico – le tematiche dello sviluppo sostenibile, attraverso: • la pubblicazione di rapporti e ricerche; • l’organizzazione di workshop, seminari e incontri; • l’individuazione e diffusione delle buone pratiche italiane e internazionali; • il supporto tecnico a imprese ed enti. I settori attivati riguardano: • energia e clima; • gestione e riciclo dei rifiuti; • mobilità sostenibile; • sostenibilità d’impresa. La Fondazione collabora con l’Agenzia europea dell’ambiente (EEA), il Comitato europeo di standardizzazione (CEN) e l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA). Inoltre supporta la diffusione del programma “Global Compact” delle Nazioni Unite, è organizational stakeholder della Global Reporting Initiative, ed è membro dell’UNI e dell’ISWA (International Solid Waste Association). Nell’ottobre del 2009 ha ricevuto una targa dal Presidente della Repubblica di riconoscimento per le attività svolte. www.fondazionesvilupposostenibile.org

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In evidenza: dalla collana di saggistica ambientale Carbon Footprint Calcolare e comunicare l’impatto dei prodotti sul clima di Daniele Pernigotti 2011 – 288 pagine – 25,00 euro Prosperità senza crescita Economia per il pianeta reale di Tim Jackson 2011 – 304 pagine – 24,00 euro Vento a favore Verso una proposta condivisa per l’ambiente, oltre gli schieramenti politici di Edo Ronchi, Pietro Colucci a cura di Silvia Zamboni 2011 – 224 pagine – 22,00 euro NOVITÀ 2012 Reinventare il fuoco Soluzioni vincenti per il business della nuova era energetica Amory Lovins e Rocky Mountains Institute 2012 – 352 pagine – 26,00 euro Economia dell’abbastanza Gestire l’economia come se del futuro ci importasse qualcosa Diane Coyle 2012 – 304 pagine – 24,00 euro Dal catalogo Edizioni Ambiente, Saggistica (titoli recenti) Imperativo energetico. 100% rinnovabile ora! Come realizzare la completa riconversione del nostro sistema energetico di Hermann Scheer 2011 – 272 pagine – 25,00 euro

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Un mondo al bivio Come prevenire il collasso ambientale ed economico di Lester R. Brown 2011 – 272 pagine – 24,00 euro Capitalismo naturale La prossima rivoluzione industriale Nuova edizione aggiornata di Paul Hawken, Amory B. Lovins, L. Hunter Lovins 2011 – 316 pagine – 25,00 euro Futuro sostenibile Le risposte eco-sociali alle crisi in Europa di Wuppertal Institut a cura di Wolfgang Sachs, Marco Morosini 2011 – 480 pagine – 28,00 euro Il paese degli struzzi Clima, ambiente, sovrappopolazione di Giovanni Sartori 2011 – 272 pagine – 17,50 euro Nucleare: a chi conviene? Le tecnologie, i rischi, i costi di Gianni Francesco Mattioli, Massimo Scalia 2010 – 256 pagine – 20,00 euro Blue economy 10 anni. 100 innovazioni. 100 milioni di posti di lavoro di Gunter Pauli a cura di Gianfranco Bologna 2010 – 344 pagine – 25,00 euro Tempeste Il clima che lasciamo in eredità ai nostri nipoti, l’urgenza di agire di James Hansen 2010 – 320 pagine – 24,00 euro Terraa Come farcela su un pianeta più ostile di Bill McKibben 2010 – 216 pagine – 20,00 euro

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Piano B 4.0 Mobilitarsi per salvare la civiltà di Lester R. Brown 2010 – 384 pagine – 20,00 euro Potenze emergenti Come l’energia ridisegna gli equilibri politici mondiali di Michael T. Klare 2010 – 320 pagine – 24,00 euro Dal catalogo Edizioni Ambiente, Tascabili (titoli recenti) Il futuro dell’energia Guida alle fonti pulite per chi ha poco tempo per leggere di Mario Tozzi, Valerio Rossi Albertini 2011 – 144 pagine – 12,00 euro Meno 100 chili Ricette per la dieta della nostra pattumiera di Roberto Cavallo 2011 – 224 pagine – 14,00 euro Il libro nero dello spreco in Italia: il cibo di Andrea Segrè, Luca Falasconi 2011 – 128 pagine – 12,00 euro Guida all’auto ecologica I prodotti di oggi e le idee per il futuro di Roberto Rizzo 2010 – 336 pagine – 16,00 euro La corsa della green economy Come la rivoluzione verde sta cambiando il mondo di Antonio Cianciullo, Gianni Silvestrini 2010 – 208 pagine – 14,00 euro Green Life Guida alla vita nelle città di domani di Andrea Poggio, Maria Berrini 2010 – 160 pagine – 12,00 euro

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