«Pirandello fra metateatro e mostri familiari», a cura di Ivan Pupo

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Pirandello fra metateatro e mostri familiari Intorno a Questa sera si recita a soggetto per la regia di Marco Bernardi

a cura di Ivan Pupo


Indice

Premessa

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Claudia Cannella Intervista a Walter Zambaldi

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Questa sera si recita a soggetto fra metateatro e mostri familiari Roberto Alonge Cuore di tenebra, atto secondo: Questa sera si recita a soggetto

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Ivan Pupo Come il galoppo d’un cavallo scappato. Ossessioni e impertinenze in Questa sera si recita a soggetto

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Marco Bernardi Note di regia

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Angela Falco Marco Bernardi, frammenti di prove

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Materiali Adriano Tilgher L’estetica del pirandelliano Hinkfuss

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Indice

Anatolij Vasil’evicˇ Lunacˇarskij Verità e illusione nel teatro di Pirandello

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La ‘prima’ mondiale. Lettera di Pirandello a Guido Salvini

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Silvio d’Amico Questa sera si recita a soggetto di Pirandello, al Quirino

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Roberto Alonge Un testo problematico, quasi enigmatico

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Roberto Alonge Torino 1930, la prima nazionale di Questa sera si recita a soggetto

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Francesca Malara Appunti su Questa sera si recita a soggetto di Luca Ronconi

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Roberto Alonge Conversazione con Massimo Castri. L’allegra macchina celibe

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Angela Falco Tiezzi, Questa sera si recita a soggetto: occasione sprecata

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Bibliografia a cura di Ivan Pupo

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Premessa

L’allestimento di una nuova messinscena di Questa sera si recita a soggetto è una scommessa audace, se si tiene conto della complessità della pièce, ma anche della sua folta e illustre tradizione scenica, spalmata in un arco temporale che va dal 1930 ai nostri giorni. Marco Bernardi non si è lasciato intimidire e per la stagione 2017-2018 del Teatro Stabile di Bolzano si è cimentato nella sfida. Indubbiamente con lo spirito giusto. La sua grande umiltà (virtù rara anche tra i migliori) e l’appassionata esperienza che ha accumulato nell’ambito dei testi di teatro nel teatro offrivano in partenza garanzie di una buona riuscita. Il pubblico dirà l’ultima parola al riguardo, ma intanto ci si può sbilanciare, affermando che l’edizione del capolavoro pirandelliano da lui diretta è un’operazione culturale di valore, assai stimolante. In un certo senso Bernardi si è calato nei panni di Pirandello spettatore della sua commedia. Penso ad una lettera del 1930 in cui da Berlino il drammaturgo siciliano, descrivendo a Marta Abba le prove dello spettacolo, confessa di essersi divertito tantissimo «a vedere che qua c’è da cogliere un cenno e là da seguire una traccia insospettata...». Ecco, Bernardi ha lavorato con intelligenza su alcune tracce insospettate che un’attenta rilettura e soprattutto la rinnovata vita scenica di Questa sera offrivano al suo sguardo di esperto uomo di teatro. Questo approccio gli ha consentito di capire meglio il copione, di carpirne qualche segreto (che era finora rimasto oscuro). Non meraviglia che in tal modo abbia saputo catturare l’interesse di Roberto Alonge, uno studioso da sempre impegnato a scavare con acume nei testi drammaturgici, in sinergia con le intuizioni dei migliori registi. Il titolo del volume che qui si presenta individua in Questa sera due poli ben distinti: il metateatro verso cui, come si è detto, va la simpatia di Bernardi, e i mostri familiari che costituiscono invece il campo di studio privilegiato, oserei dire l’ossessione di Alonge. Lungo quest’ulti-


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Premessa

ma inquietante pista si sono mossi, almeno in parte, alcuni allievi dello stesso Alonge, diretti e indiretti (tra questi, chi scrive questa premessa), sensibili, non meno di lui, alla sfida lanciata al pubblico e alla critica dal Teatro di Bolzano e da Bernardi. Oltre che nelle preziose note di regia, ospitate nella prima parte del volume, la dimensione metateatrale occupa il proscenio in quasi tutti i contributi raccolti nella seconda parte, quella che si è voluto intitolare Materiali: ne fa un punto di partenza per le sue riflessioni di argomento estetico il critico-filosofo Adriano Tilgher; ne discute lo stesso Pirandello in una lettera al primo regista italiano di Questa sera, Guido Salvini, riferendo di una replica della ‘prima’ mondiale cui ha assistito a Königsberg; si impegna a valorizzarla, nell’ambito di una battaglia in favore del teatro di regia, Silvio d’Amico quando recensisce la ‘prima’ nazionale; la mette a fuoco in modo problematico (e che sa di provocazione) Massimo Castri, intervistato nel 2003 da Alonge, definendo la commedia un «meccanismo totalmente autoreferenziale», una macchina celibe vuota di contenuto (se si eccettua il «tormentone» del melodramma), un testo che «non può essere letto in profondità perché non la possiede». In fondo, pur senza averlo programmato, il gruppo di lavoro che ha creduto nell’impresa di Bernardi, che se ne è lasciato influenzare e l’ha a sua volta condizionata, si è impegnato a dimostrare con approccio diversificato – attraverso il ‘corpo a corpo’ con il testo, ma anche per via documentaria ed intertestuale (la riesumazione di uno scritto di Lunacˇarskij e la suggestione di Dostoevskij) – che Castri, il quale pure ha firmato una regia della commedia degna di essere ricordata, aveva torto e che Questa sera può essere letto in profondità, perché una profondità, a ben vedere, la possiede. È l’abisso dell’inconscio dove nascono, crescono, fanno sentire la loro voce, pur nascondendosi, i mostri familiari appena evocati, nella fattispecie quelli di casa La Croce (e di casa Verri). In tale prospettiva il metateatro può essere visto come un meccanismo censorio e depistante che garantisce a quei mostri la clandestinità, sia pure solo parziale e temporanea. Lo stesso Pirandello contribuisce involontariamente a mettere fuori strada il lettore, quando in un’altra lettera a Marta, sempre del 1930, scrive che Questa sera sui Sei personaggi «ha questo vantaggio: che è divertente, che è tutto chiaro, e che si ascolta molto volentieri, passando


Premessa

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continuamente da una sorpresa all’altra». Se ci fermassimo a questa dichiarazione, o meglio ad una sua interpretazione semplicistica, senza badare al contesto, la daremmo sostanzialmente vinta ad Hinkfuss, scambieremmo ingiustamente la geniale commedia con quello che non è (o non è soltanto), una galleria di portenti, ovvero una pièce ‘gastronomica’, buona soltanto a svagare, a far dimenticare per un paio d’ore «angustie e travagli di ogni genere». Quando invece Questa sera si mostra anche capace di raggiungere in profondità il cuore e la mente dello spettatore dotato di cultura e di sensibilità. Per limitarci qui, a scopo esemplificativo, ad una sola memorabile scena, la morte ‘ritardata’ di Sampognetta, non si può non constatare come chi ne fruisce sia ogni volta chiamato non solo a ridere e a commuoversi, con «fulminei trapassi dal comico al tragico» (l’espressione si ricava dall’autocommento del drammaturgo), ma anche a riflettere, in una raffinata ottica metateatrale, sui misteri dell’arte dell’attore e sulle diverse tecniche di recitazione, e ancora, come se tutto questo non bastasse, a concedere almeno un po’ di attenzione a quel tanto di sconveniente e di scandaloso che vi si inscrive, alla tirata del moribondo contro la sua famiglia, all’accusa di «bestialità perversa» che egli le muove. Se sul palcoscenico, in casa La Croce, il terribile sfogo suggella la conversione del mélo in tragedia, nella sala l’effetto non è meno catastrofico, costringendo lo spettatore a fare i conti con gli scheletri più ingombranti del suo armadio. I.P. Cosenza, 17 ottobre 2017


Claudia Cannella

Intervista a Walter Zambaldi

Il Teatro Stabile di Bolzano nasce nel 1950: è il secondo teatro italiano a gestione pubblica e Fantasio Piccoli è nominato direttore. Nel 1947 Piccoli aveva fondato il Carrozzone, una forma di spettacolo itinerante, con il nucleo della prima compagnia bolzanina: Romolo Valli, Valentina Fortunato, Adriana Asti, Franca Rame, Giulio Brogi e Mariangela Melato. Tra gli spettacoli di successo, Miles Gloriosus, Faust I e Piccola città. Gli succedono Renzo Ricci (1966-1967) e Renzo Giovampietro (1967-1968). Nel 1969 la gestione dello Stabile è affidata a Maurizio Scaparro, che afferma il principio del teatro come servizio pubblico, senza poetiche personali, ma con lo scopo di aderire alle esigenze della comunità multietnica del territorio e di garantire a questo “Teatro di frontiera” presenza attiva nelle piazze nazionali. I cinque anni della sua direzione si caratterizzano per un repertorio di “impegno politico” basato sulla ricerca di un teatro nazional-popolare, con Chicchignola, protagonista Mario Scaccia, e Giorni di lotta con Di Vittorio, con Pino Micol e Giustino Durano, e sulla rilettura dei classici. Gli subentra Alessandro Fersen (1975-1979), teorico del teatro gestuale, che produce spettacoli corali come Leviathan, Fuenteovejuna, La Fantesca, con Antonio Salines e Carola Stagnaro. Nel 1980 la direzione è affidata a Marco Bernardi. Sostenitore del “teatro di parola”, Bernardi inserisce le proprie produzioni all’interno di organici progetti tematici, come quello dedicato alle opere giovanili di Shakespeare e al rapporto tra cinema e teatro (Coltelli, Anni di piombo e Provaci ancora Sam), oppure all’attenzione della nuova drammaturgia italiana e tedesca (Cavosi, Paravidino, Sbragia, Giorgi, Fassbinder, Bernhard, Süskind) e all’analisi del teatro del Settecento (Barbiere di Siviglia e La Locandiera). Nel 1992 lo Stabile ottiene lo Statuto definitivo e nel 1999 si trasferi-


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Claudia Cannella

sce presso il Nuovo Teatro Comunale di Piazza Verdi, progettato dall’architetto Marco Zanuso. Il Teatro Stabile di Bolzano è sempre stato uno degli enti più “sani” del panorama teatrale italiano: gestione impeccabile, conti a posto, grande affluenza di pubblico, attenzione a un territorio non facile, solide scelte artistiche. Nel 2015 lo “storico” direttore Marco Bernardi passa il testimone a Walter Zambaldi, bolzanino, classe 1975, che rientra nella sua città natale dopo dieci anni alla direzione della Corte Ospitale di Rubiera, con lui diventata il centro di residenze artistiche più importante e ambito del Paese. Poteva godersi, Zambaldi, una bella e comoda eredità. Invece no. E i risultati gli hanno dato ragione: incremento del 67% degli abbonati e crescita dell’87% dell’adesione delle nuove generazioni nelle prime due stagioni, solo per citare i due dati più eclatanti. Facciamo il punto con lui, in chiusura del primo triennio di direzione, ripercorrendo le tappe salienti del suo lavoro e del suo modo di intendere la funzione di un teatro pubblico. Punti di continuità e discontinuità rispetto al passato? Una premessa importante: prima di entrare in servizio ho avuto la possibilità di fare un anno di affiancamento a Marco Bernardi ed è stato un anno intenso e un’ottima possibilità, perché mi ha dato il tempo di “prepararmi”, trovando elementi di continuità rispetto al passato, ma anche spunti di innovazione. Linee di continuità riguardano ad esempio l’attenzione alla drammaturgia contemporanea e a quella del territorio, che parte dalla realtà locale per poi trovare un respiro universale, e l’attenzione alla gestione amministrativa. La discontinuità è riscontrabile in primis nel confronto con il primo triennio della riforma ministeriale, che ha spostato l’asse della progettualità da annuale a triennale, e inoltre nella ricerca di una pluralità tematica e di linguaggio più ampia possibile. È accaduto con Paolo Rossi, con Roberto Cavosi, con i registi con cui abbiamo collaborato e anche con molti attori. Abbiamo poi intensificato la parte pedagogica e laboratoriale nelle scuole: un’apertura necessaria alle giovani generazioni, che ha generato un incremento di personale e un ricambio generazionale, pur mantenendo rapporti già consolidati in passato.


Intervista a Walter Zambaldi

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Avete registrato numeri importanti di crescita nei primi due anni della sua gestione. Come se lo spiega? La motivazione credo sia abbastanza complessa: tante componenti hanno portato al risultato. Una minima parte è dovuta al caso, la più consistente a uno zoccolo duro costruito in settant’anni di lavoro. Il nostro pubblico è ormai “educato” al teatro e questo è un terreno solido di partenza. Poi il reclutamento degli spettatori è stato capillare, avvicinando varie tipologie di pubblico, mantenendo una presenza costante oltre che in teatro anche nella vita della città, creando una sorta di comunità e quindi esponendoci il più possibile ai riscontri, positivi o negativi che siano... E poi c’è la costante attenzione alla qualità artistica, sia nella scelta delle produzioni, sia nella valutazione degli spettacoli ospiti da inserire nella stagione: grandi nomi, testi classici, testi contemporanei, allestimenti importanti, sia per quanto riguarda la sezione “La Grande prosa” che quella più sperimentale de “Gli Altri Percorsi”, a Bolzano così come in provincia. Quali strumenti ed esperienze si è portato a Bolzano dai dieci anni di direzione della Corte Ospitale di Rubiera? In realtà, avendo imparato a lavorare a Bolzano dal punto di vista manageriale e organizzativo, ho poi continuato su questa linea adattando gli strumenti. Alla Corte Ospitale ho respirato una grande creatività e un’ampia possibilità di costruzione: da quel luogo sono passati grandi artisti, professionisti, giovani e meno giovani, con cui ho intrecciato relazioni e occasioni uniche dal punto di vista produttivo, artistico e umano. Nei cartelloni del Teatro Stabile di Bolzano c’è ormai una decisa dominante legata alla drammaturgia contemporanea. Quali sono i rischi e i benefici di questa scelta? È più facile che la drammaturgia contemporanea evidenzi nello stile e nel linguaggio ciò che ci riguarda più da vicino nelle forme e nei contenuti. Per scrollarsi di dosso una possibile idea di teatro come qualcosa di ingessato, impolverato o “museale”, le nuove drammaturgie possono aiutare molto. Per questo il progetto di produzione del Teatro Stabile di Bolzano è fortemente caratterizzato dalla promozione della dramma-


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Claudia Cannella

turgia italiana contemporanea e ne consegue un rischio culturale che penso sia indispensabile correre. Non c’è rischio culturale maggiore per un Teatro che scommettere su testi nuovi, giovani registi e rinunciare alla consolazione del rifugio nei classici. Vantaggi e svantaggi del lavorare “ai confini dell’impero”? Non mi sento ai confini dell’impero. È una terra di confine, è evidente. Vantaggio è la presenza attenta delle istituzioni. Il pericolo è il provincialismo, ma quello si evita tenendo aperte le porte e il dialogo con l’esterno. Questa è una comunità particolare, costretta a ragionare sull’integrazione più di altre, che appare sradicata esteticamente. Il tempo e l’intelligenza delle comunità mescolano per fortuna le carte. Quali sono stati i progetti produttivi forti di questo primo triennio? Il primo sicuramente è la trilogia dedicata al “teatro nel teatro” inaugurata da Molière: la recita di Versailles di Paolo Rossi e Giampiero Solari su canovaccio di Stefano Massini, proseguita con Wonderland di Daniele Ciprì con le musiche di Stefano Bollani e conclusa con il pirandelliano Questa sera si recita a soggetto con la regia di Marco Bernardi. Oltre ad essere un argomento affascinante, il teatro nel teatro per me ha il pregio di saper avvicinare il pubblico al teatro. Il Molière è un’opera corale per quadri in cui gli attori entrano ed escono dai personaggi, Wonderland, attraverso la follia immaginifica di Bollani e Ciprì, ha saputo rappresentare la realtà attraverso la lente del teatro e del cinema e infine con il capolavoro di Pirandello si racconta la fragilità del teatrante: il grande teatro che racconta il teatro e quindi la vita. Altro progetto produttivo forte è quello legato alla compagnia regionale, nata dalla volontà di censire le professionalità a livello teatrale presenti in regione. Ne sono nate due compagnie, nel 2018 saranno tre, che hanno collaborato con Marco Bernardi per La cucina di Wesker, con Fausto Paravidino, per Il senso della vita di Emma e lavoreranno per una messinscena del Macbeth con Serena Sinigaglia nella prossima stagione. Altro filone importante è quello del territorio: con Brattaro mon amour di Paolo Cagnan, con la regia di Andrea Bernard, brattaro è un termine tratto dallo slang di Bolzano e indica il chiosco che vende würstel e patatine aperto quasi 24 ore su 24, luogo di incontri per sva-


Intervista a Walter Zambaldi

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riata umanità; con Lo strano caso della notte di San Lorenzo di Roberto Cavosi, anche regista, incentrato su un fatto di cronaca realmente accaduto in Alto Adige e con il vincitore di Wordbox Arena, in cui il vero protagonista delle serate è il pubblico, che deve votare il prescelto fra tre testi, due classici e uno contemporaneo. Quali i progetti nuovi creati in questo primo triennio della sua gestione? Il Progetto W il teatro!, dedicato alla visione di spettacoli da parte di un pubblico giovane, esiste da quasi trent’anni, ma è stato ampliato con un programma fitto di laboratori per le scuole, da quelle dell’infanzia agli istituti secondari di secondo grado e stiamo lavorando affinchè il teatro diventi materia scolastica nelle scuole superiori. 40 mila studenti coinvolti grazie a più di 200 repliche degli spettacoli delle migliori compagnie di “Teatro Ragazzi” sui palcoscenici di Bolzano, Merano, Brunico, Bressanone, Vipiteno, Egna e Laives. A questa intensa stagione teatrale si affiancano più di 140 laboratori dedicati all’approfondimento dei linguaggi teatrali, i corsi Giovani in scena e Giovani in scena Young, due percorsi diversificati per fasce d’età, e i laboratori da palcoscenico Sottosopra il Teatro. Altra novità del Teatro Stabile di questo triennio è Wordbox, letture di testi contemporanei o classici rivisitati e aperte al pubblico, in cui lo spettatore può entrare in confidenza con il teatro e con il momento magico e delicato delle prove. Da Wordbox è nato Wordbox Arena : abbiamo scelto tre testi – riscritture dei Cavalieri di Aristofane e del Don Chisciotte di Cervantes e Jtb di Lorenzo Garozzo –, ne abbiamo fatto tre letture sceniche da 20 minuti, tutte dirette da Roberto Cavosi; sarà il pubblico a decidere quale desidera vedere in forma compiuta in una produzione che va in scena a fine stagione. Altra novità è la rassegna Fuori!, nata per avvicinare al teatro la periferia della città e i suoi abitanti con spettacoli in piazze e luoghi non convenzionali: in particolare Paolo Rossi ha condotto un laboratorio con uomini e donne oltre i 65 anni di età accompagnandoli in tournée in provincia, la poesia è arrivata nelle case dei cittadini con l’attore Andrea Castelli e il suo Pronto Soccorso Poesia e infine con Tournée da bar Shakespeare è approdato nei locali della città. Intento comune è quello di ridurre la distanza con un teatro sentito come difficile e inaccessibi-


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Claudia Cannella

le... e riavvicinarlo al pubblico, senza rinunciare alla qualità, cosa che un teatro “pubblico” dovrebbe sempre considerare una priorità. Già qualche idea per il futuro? Vorrei aprire il prossimo triennio con un lavoro su Chet Baker, il “Garrincha del jazz”. È una storia che affronta il tema del miracolo del talento puro e della sua autodistruzione, una vita romantica che finisce con una morte dai lati oscuri dopo mille cadute, luci e ombre; nel novembre 2018 debutterà Macbeth con la regia di Serena Sinigaglia e i selezionati della compagnia regionale e poi proseguirà la collaborazione con Fausto Paravidino. Nel 2020 i settant’anni dello Stabile saranno l’occasione per celebrare la storia di questa istituzione. Ma questa è una pagina ancora tutta da scrivere.


Marco Bernardi

Note di regia*

Non sono tra coloro che ritengono datata e poco interessante la “trilogia del teatro nel teatro” di Pirandello. E non lo sono in particolare per quanto riguarda Questa sera si recita a soggetto, la più compiuta, dal punto di vista della riflessione sul teatro, delle tre opere che ne fanno parte. Nel tentativo di convincere in modo più efficace i lettori della fondatezza della mia tesi, ricorrerò anche all’aiuto di alcuni interventi che mi paiono significativi e ben più autorevoli delle mie opinioni di uomo di teatro. Incomincerò ricordando ciò che scrisse lo stesso autore nella famosa lettera del 30 marzo 1930 al regista Guido Salvini che si stava preparando per la prima messa in scena italiana di Questa sera si recita a soggetto. Così descrive il rapporto del testo con il pubblico di Königsberg, dove lo spettacolo era andato in scena in prima assoluta il 25 di gennaio: «Mirabile. La commedia vive tutta, di vita meravigliosa, senza posare un momento, e il pubblico, che vorrebbe aver cento occhi e cento orecchi, ne resta incantato dal principio alla fine. Lo stupore diventa subito il clima naturale della commedia, per cui naturali appajono anche i fulminei trapassi dal comico al tragico, e tutto è accettato con gioja quasi infantile dal pubblico che a un tempo ride e si commuove». E ancora, in una lettera a Marta Abba del 30 aprile 1930, dopo aver partecipato ad una prova al Lessing Theater della nuova messa in scena berlinese diretta da Gustav Hartung: «La salute ritorna ad assistermi in pieno; e se muojo in questo momento non importa, muoio in piedi, lavorando! La creazione e le prove: prove vive, perché il lavoro è straor* Le citazioni di Copeau, Chiaromonte e «l’Avant Scène» sono tratte dalla fondamentale introduzione di Alessandro d’Amico a Questa sera si recita a soggetto, nel IV vol. di Maschere nude, Mondadori, Milano 2007.


Note di regia

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dinariamente vivo, vivo come alla lettura non si suppone nemmeno: appena si tocca, vibra, si muove tutto, balza, schizza, non si sa più come contenerlo, trova in se stesso nuovi motivi di sviluppo, non si fa a tempo a corrergli dietro; e io godo, godo un mondo a vedere che qua c’è da cogliere un cenno e là da seguire una traccia insospettata...». Ma lasciatemi riassumere la trama di Questa sera si recita a soggetto secondo il mio punto di vista. Hinkfuss, un regista sperimentale e megalomane, tenta di mettere in scena uno spettacolo costringendo i suoi attori a improvvisare la parte sulla base di pochi elementi tratti da un breve racconto di torbida gelosia siciliana. Ma il conflitto tra regista e compagnia esplode inevitabilmente, mentre il pubblico rumoreggia perplesso e scandalizzato: tra divertimento da commedia e discussioni sull’arte teatrale va a finire che gli attori cacciano Hinkfuss dal teatro e continuano la recita da soli. Con risultati sorprendenti... In sostanza, una specie di happening teatrale. Una prova aperta, si direbbe oggi. Come scrisse Jacques Copeau nel 1935: «C’est en somme, en guise d’improvisation, le spectacle d’une répétition, d’un travail scénique livré à l’indiscrète curiosité de ceux qui normalement en sont exclus». Devo confessare che a me tutto questo interessa. Mi piacciono i testi di teatro nel teatro, mi piacciono i testi dove si riflette sul fare teatro. In questo ambito nel 2007 ho messo in scena, per il Festival Internazionale del Teatro della Biennale di Venezia dedicato al bicentenario goldoniano, Il Teatro Comico, che è un parente molto stretto di Questa sera si recita a soggetto. C’è persino chi si è divertito a cercare (e trovare) i “prestiti” che sono passati direttamente da un testo all’altro. E penso sempre che, per chiudere il cerchio del teatro nel teatro, vorrei confrontarmi anche con L’impromptu de Versailles di Molière. Nel 2005, in occasione della ripresa di un altro spettacolo goldoniano di successo del Teatro Stabile di Bolzano, La vedova scaltra, ci siamo divertiti a inventare una variante, intitolata La vedova scomposta, in cui il testo di Goldoni diventava un pretesto per spiegare la riforma goldoniana e i problemi interpretativi ad essa connessi, e per dare vita ad una serie di improvvisazioni alternate all’esecuzione di parti del testo originale, smontato e rimontato per l’occasione. In scena, oltre all’ottima compagnia goldoniana guidata da Patrizia Milani, Carlo Simoni e Alvi-


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Marco Bernardi

se Battain, c’era il sottoscritto, novello Hinkfuss, in quel caso decisamente sperimentale, anche se certamente meno megalomane... Lo so, può apparire banale, ma è così: di solito chi fa teatro ama i testi di teatro nel teatro e Questa sera si recita a soggetto da questo punto di vista è la madre di tutte le battaglie. Un insuperabile capolavoro, scritto da Pirandello nell’inverno 1928-1929 durante il suo esilio volontario a Berlino, dopo lo scioglimento della Compagnia del Teatro d’Arte da lui fondata, diretta e finanziata. Dalla concreta esperienza capocomicale appena conclusa e dal contatto con l’effervescente scena berlinese dominata dall’espressionismo, mentre si affacciavano gli astri di Piscator, Brecht e Weill, era maturata la terza commedia della trilogia pirandelliana del “teatro nel teatro”, incominciata clamorosamente nel 1921 con Sei personaggi in cerca d’autore. A proposito di Piscator, penso che fosse lui il regista a cui pensava Pirandello durante la stesura del testo come fonte di ispirazione per il personaggio di Hinkfuss, non a Max Reinhardt come molti, già dalla sera della “scandalosa” prima di Berlino, hanno affermato. Altre pagine di Pirandello che noi registi e attori amiamo molto sono quelle dei Quaderni di Serafino Gubbio operatore, per l’evidente ragione che sempre del nostro mestiere si parla, con profondità, intelligenza, ironia e originalità. A favore della mia simpatia per la “trilogia del teatro nel teatro” e, soprattutto, per Questa sera si recita a soggetto, desidero citare anche Nicola Chiaromonte, in una recensione del 1957: C’è in questo geniale impromptu una specie di summa theatralis pirandelliana. La polemica contro il regista, padreterno e dittatore dello spettacolo, è anche una satira dell’artista demiurgo che crede di essere Dio e padrone dei suoi personaggi, di guidarli dal di fuori a fini preconcepiti, e invece, perché l’opera esista, dev’esser letteralmente detronizzato, ridotto a individuo fra gli altri. [...] L’istinto teatrale di Pirandello si sfrena qui in tutte le direzioni. Non bisogna badare al costrutto finale che non c’è, ma alla lezione di libertà: all’idea del recitare “a soggetto”, ossia di far teatro per forza di puro estro drammatico.

A proposito di Hinkfuss e più in generale dei registi megalomani, mi piace ricordare il graffiante punto di vista di Peter Stein, così come riportato in un’intervista di Simonetta Robiony su «La Stampa» del 29


Note di regia

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settembre 2011. Nel parlare di regie “firmate” dove la presenza del regista schiaccia il testo, Stein dichiara: «È schifoso, per me, questo modo di mettere in scena: quando uno spettacolo è pronto non si devono vedere più le tracce del regista. Il regista non è un artista: è un tecnico. L’arte è di chi ha scritto il testo ed è di chi lo interpreta». Penso che Pirandello sarebbe perfettamente d’accordo con lui... Inoltre mi sembra interessante ricordare gli echi di una messa in scena parigina del 1965 al Théatre de l’Atelier, ritrovati in una recensione de «l’Avant Scène»: «Sur son plateau entièrement nu [...] le directeur de l’Atelier installe l’ambiance tour à tour joueuse et grave d’une répétition de travail. Grâce à la parfaite succession de tensions et de relâchements, le public a vraiment l’impression d’être admis à partager les plaisirs et les affres de la création scénique». Dovrebbe essere proprio così: lo spettatore di Questa sera si recita a soggetto dovrebbe avere il privilegio di partecipare ad una prova di teatro, una delle cose più emozionanti alle quali si possa assistere! Inoltre, se si pensa che questa prova è stata progettata e scritta con grande precisione da un Premio Nobel per la letteratura, si può essere coscienti della qualità della drammaturgia e del pensiero sottostante. Come Goldoni fa dire all’impresario delle Smirne: «Chi ha preso gusto del teatro una volta, non sa staccarsene finché vive!». Ho scritto «dovrebbe essere proprio così» perché, avendo visto sei o sette edizioni di Questa sera si recita a soggetto, mi è sembrato spesso che quella metà del testo che riguarda, appunto, il “teatro nel teatro”, non sia così amata dai miei colleghi, anzi venga quasi “tirata via” un po’ frettolosamente, venga come data per scontata. Lo trovo un errore che mutila l’essenza stessa del testo. Il continuo entrare e uscire degli attori dai propri personaggi mi sembra un elemento sublime del testo e credo che, se correttamente interpretato, ci possa regalare qualcosa di molto vicino alla comprensione della magia del teatro, nel momento stesso in cui si fa davanti a noi spettatori. Ecco, mi piacerebbe che nel nostro spettacolo questo aspetto fondamentale della commedia fosse eseguito bene, con la cura che si merita. Speriamo di riuscirci... C’è in particolare una scena che non sono mai riuscito a vedere interpretata con l’approfondimento e l’accuratezza che secondo me richie-


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Marco Bernardi

derebbe: quella dell’ammutinamento della compagnia, con la cacciata del regista dal teatro e la tensione assoluta che ne consegue. La trovo una scena strepitosa, altamente drammatica. Chiunque abbia lavorato, anche solo una volta, in teatro, sa cosa voglio dire: si tratta di qualcosa di veramente inaudito. Gli attori della compagnia di Hinkfuss, infatti, dopo la cacciata sono quasi spaventati dal proprio coraggio e si impegnano, se possibile, ancora di più nel loro lavoro, con spasmodica concentrazione. La scena finale che ne deriva vive tutta di questa tensione eccezionale e questo fa sì che tale snodo possa essere considerato un passaggio del tutto straordinario nell’ambito della drammaturgia del Novecento. Questa sera si recita a soggetto è un’opera con due anime: quella del “teatro nel teatro”, che entra in pieno nel dibattito europeo sulla funzione del teatro e sulle diverse estetiche che lo stavano radicalmente cambiando, e quella della provincia siciliana, famigliare, torbida, ossessiva. C’è un’intensa dialettica tra il Pirandello scrittore anteguerra, innestato ancora nel verismo regionale, e il drammaturgo innovatore che si proietta con calcolata audacia nella novità dell’esperimento scenico. Quando penso a un’ideale messa in scena credo che la metà del testo basata sul “teatro nel teatro” dovrebbe avere almeno lo stesso peso drammatico dell’altra metà, basata sulla storia della sventurata famiglia La Croce e sulla patologica gelosia di Rico Verri. Mi piacerebbe riuscire a lavorare in questa direzione di equilibrio tra le due anime del testo, con la nuova messa in scena. Sull’analisi dell’oscura dimensione famigliare non mi dilungo qui, poiché il nuovo saggio di Roberto Alonge, pubblicato in questo stesso volume, se ne occupa con grande profondità, scoprendo nuovi aspetti di quella disturbata vicenda e illuminando il testo con intuizioni e provocazioni che scavano nelle pulsioni inconsce della scrittura del grande drammaturgo siciliano. Devo anche aggiungere che Alonge, che ho conosciuto solamente nel 2014 in occasione di un’altra regia pirandelliana, La vita che ti diedi, interpretata anche allora da Patrizia Milani, Carlo Simoni e Irene Villa, mi ha accompagnato in questi tre anni, con acume e generosità, in un viaggio appassionante attraverso l’opera e la vita di Luigi Pirandello, regalandomi letture e conversazioni di grande spessore e divertimento. Per questo desidero pubblicamente ringraziarlo. È stato come avere accanto a me il più autorevole dei “dramaturg”!


Note di regia

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Probabilmente Questa sera si recita a soggetto è un’opera aperta: non ci sono certezze, non ci sono conclusioni. Come scrive Lucio Lugnani in un importante saggio del 1977 dedicato al nostro testo: Credo invece che Pirandello, vedendo vacillare al banco di prova dell’esperienza teatrale tutte o quasi le antiche certezze, si sia fatto carico della problematica storica del teatro contemporaneo, l’abbia tematizzata e l’abbia riproposta al pubblico, senza pretendere di risolverla e addirittura astenendosi dal prendere troppo apertamente partito. [...] Pirandello ha spalancato le porte del teatro al metateatro, al saggio che ne scopre i meccanismi e ne fa esplodere le contraddizioni, ha costretto il pubblico allo shock d’uno spettacolo in cui senza tregua si discute di come fare lo spettacolo mentre lo si fa: in fondo a quest’operazione non c’è scioglimento né catarsi, c’è solo un invito a riflettere e una sfida a rispondere agli interrogativi, a sanare le contraddizioni.

In un’epoca come questa, oggi, in Italia, nella quale il teatro sta diventando un fenomeno sempre più parcellizzato in mille estetiche che spesso eleggono la confusione dei linguaggi a sistema artistico, in un’epoca nella quale la certezza del testo e dell’autore viene sempre più messa in discussione attraverso la pratica diffusa della “drammaturgia condivisa”, mi è parso utile e interessante ritornare alla riflessione che fece Pirandello con la creazione di questo testo provocatorio e rivoluzionario. Un testo scritto in un’epoca di crisi profonda del teatro e della società, nella Berlino di Max Reinhardt tra il 1928 e il 1929, cioè pochi mesi dopo l’andata in scena delle prime edizioni de L’opera da tre soldi di Brecht e Weill con la regia di Erich Engel e di Oplà, noi viviamo! di Ernst Toller con la regia di Erwin Piscator; spettacoli che, in qualche modo, hanno contribuito a provocare la sua riflessione sul fare teatro. In fine, tornando alla lettera di Pirandello a Salvini con cui ho aperto questa riflessione e che leggo sempre con grande emozione per la ricchezza delle osservazioni e dei consigli che l’autore dà al futuro regista della prima messa in scena italiana del testo: «E la conclusione dev’essere che il teatro dev’essere reintegrato nei suoi tre elementi: poeta, régisseur, attori». Sono perfettamente d’accordo con il Maestro.


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