premessa di Enrico Vaime
La lettura di Così come viene ha avuto per me il sapore di una rimpatriata senza quelle concessioni al facile gusto commemorativo che colpiscono spesso le memorie dei protagonisti. La storia dell’avventura professionale di Armando Bandini ha una correttezza narrativa che raramente si riscontra nei memoriali, a qualsiasi storia (o Storia con la esse maiuscola) si riferiscano. Il protagonista di questa cronaca ha la discrezione e la meticolosità del “testimone” di un periodo conosciuto che merita di venire ricordato. Sono le avventure di un attore il cui impatto (umano e professionale) col proprio affascinante mestiere è risultato sempre – come dire – onesto, coraggioso, corretto. La partecipazione emotiva del memorialista Bandini è frenata dalla classe innata e l’eleganza obiettiva di quei personaggi rari che agiscono nel proprio settore con la generosità entusiasta di chi crede in questo mestiere rischioso e affascinante. Armando Bandini credeva nel proprio mestiere per il quale era pronto anche a scelte difficili in un periodo (quello degli anni Cinquanta-Settanta) in
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cui tutto era più complicato: era difficile trovare scritture, incontrare impresari solvibili, afferrare occasioni circa le quali (allora) si avevano poche garanzie. Abbiamo avuto, con Bandini, amicizie in comune (quella con Popi Perani, scomparso negli Stati Uniti qualche anno fa) e anche un’occasione (in un cabaret romano in un tempo ormai lontano) di condividere le sorti di uno spettacolo che si poteva considerare d’avanguardia. «Due mele e ottocento grammi di pane» era quanto in quel tempo lontano, racconta Bandini, si riusciva a racimolare per sopravvivere. Giovani e tutto considerato felici, camminatori obbligati (non c’erano i soldi per i mezzi pubblici), inquilini precari di situazioni abitative scomode se non rischiose. Ma si andava avanti con la forza di chi crede in quello che fa e non riesce a liberarsi dal sortilegio della scena perché quello è il suo destino, la sua scelta fatale, e l’attore di razza è sempre presente, anche negli intervalli, nelle pause, nelle attese. Cita, Bandini, La Bozzola, pensione milanese a buon mercato, sfondo e rifugio di tanti eroi che accettavano sistemazioni modeste e precarie perché l’importante era fuori di lì, da quel covo di sognatori di via Rovello. Era affascinante ascoltare i racconti dei protagonisti della scena di quegli anni, quelli che riuscivano a guadagnarsi un posto al Rosengarten, ristorante milanese con un giardino stento e tanti tavoli per il dopo-teatro di chi non poteva permettersi locali più prestigiosi. E lì ricordo di aver incontrato spesso Bandini e altri suoi colleghi, affascinanti raccontatori di aneddoti che avevano la rara qualità di essere autentici. Scene di vita e di teatro indimenticabili, episodi irresistibili
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riportati con l’enfasi e la partecipazione dai protagonisti. C’erano solo attori, fino all’alba, al Rosengarten, che molti chiamavano ironicamente Rosenguitten. Una galleria di personaggi incontrati dal narratore popolano le pagine di questo libro-guida fra le quinte di una commedia che non si concludeva in teatro, ma grazie alla fantasia creativa dei protagonisti continuava anche fuori. Una carrellata su amici comuni e divi che sembravano irraggiungibili e che vengono riproposti con onestà cronistica da Bandini in questo libro che lui definisce Il mio Novecento. Da condividere con noi che abbiamo percorso con lui quegli anni raccontati con puntualità e affetto. Un lungo, riconoscente applauso.
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cesso – era stata Viaggio nella valle del Po, alla ricerca dei cibi genuini, in cui Soldati andava in giro interrogando contadini, agricoltori, piccoli produttori di cibi tradizionali che però la quasi totalità degli italiani ignorava. Celeberrima era rimasta la puntata in cui aveva illustrato la “salama da sugo”, di cui tutti poi parlavano con divertita golosità. Ora, insieme – Zavattini e Soldati – andavano in giro, sempre per la Tv, a darci un’idea delle letture della gente. La pioggia cessò presto e ci salutammo con reciproci complimenti. Rividi Zavattini alcuni anni dopo, a casa sua in via Sant’Angela Merici, a Roma: eravamo andati in delegazione Sai per coordinare l’azione comune degli autori e degli attori che si sarebbe conclusa con uno sciopero generale dello spettacolo. Zavattini stava seduto in una poltrona davanti a una parete letteralmente ricoperta di piccoli e piccolissimi quadretti a olio dipinti da lui stesso. La materia della discussione era delicata e ci occupammo solo di questo. Alla fine ci salutammo con molta cordialità. Altri anni dopo, nel 1981, Daniela e io lo informammo di una mostra che stavamo preparando per Venezia, su invito dell’Associazione Internazionale della Grafica. Ci fece una presentazione per il catalogo e ci vedemmo poi a Venezia, dove veniva presentato il suo film La veritàààà!. Quell’anno la mostra era diretta da un altro nostro amico, Carlo Lizzani. Vedemmo un paio di film e naturalmente La veritàààà!. Con Cesare ci incontrammo ancora altre volte, e una di queste gli portammo 138
illustrazioni
Armando Bandini, Sintesi; incisione su linoleum
Bandini e Carlo Ninchi in Racconto d’inverno di Shakespeare; Taormina, 1959 (Foto A. Sgroi).
Bandini con Arnoldo FoĂ , Sandro Merli e Aldo Fabrizi durante una prova de La pace di Aristofane; Segesta, 1967 (Foto Stefano Blasi).
Compagnia del Teatro Comico Moderno, Pomme pomme pomme (1965): Elena Sedlak, Laura Gianoli, Armando Bandini, Sandro Merli, Andrea Camilleri (Foto Sergio De Angelis).
Sembra facile di Puntoni, Terzoli, Zapponi, Zucconi, Molinari; Compagnia Marisa del Frate - Raffaele Pisu, 1961-62 (Foto Gieffe).
(In basso) Tipi da spiaggia (1959), film diretto da Mario Mattoli, con Ugo Tognazzi, Christiane Martel, Lauretta Masiero, Jonny Dorelli, Luciano Salce, Liana Orfei, Cesare Polacco, Armando Bandini, Giustino Durano, Fredo Pistoni, Edy Wessel, Annie Gorassini (Foto Vaselli).
(Nella p. prec., in alto) Bandini con Fernandel, di spalle, in attesa del ciak sul set di Don Camillo Monsignore, ma... non troppo (1961), regia di Carmine Gallone. (Nella p. prec., in basso) Nel film Tu che ne dici? (1960), con Tognazzi e Vianello. Nella foto: Fred Buscaglione, Mimmo Craig, Armando Bandini, Antonio Cannas, Salvatore Furnari.
Roma, ottobre 1965: inaugurazione del Teatro Stabile di Roma, diretto da Vito Pandolfi, con L’Arbitro di Gennaro Pistilli, regia di Gennaro Magliulo; interpreti: Gigi Proietti, Lea Padovani, Carmen Scarpitta, Armando Bandini, Renzo Giovampietro, Corrado Annicelli. Qui Bandini con Proietti (Foto Bosio).
(A fronte) El dutur d’i donn di Alfredo Bracchi (anni ’50).
(Sopra) Bandini nel ruolo di Euripide negli Acarnesi di Aristofane – qui con Antonio Alveario –; regia di Egisto Marcucci. Teatro Greco, Siracusa, 1994 (Istituto del Dramma Antico).