Indice
Introduzione I. Vienna moderna
7 13
1. La dialettica con Berlino, p. 13 - 2. Il ruolo della tradizione, p. 17 - 3. Il lascito romantico, p. 20 - 4. Il germe della Nervenkunst e il superamento del naturalismo: Hermann Bahr, p. 25 - 5. Il moderno viennese, p. 27
II.
L’ingresso della Duse a Vienna
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1. La tappa di San Pietroburgo, p. 35 - 2. La ricerca dell’Io, p. 40 - 3. Il primo articolo di Bahr, p. 42 - 4. L’ingresso a Vienna, p. 48
III.
Il tempo dell’affermazione
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1. Dopo le Camelie, p. 59 - 2. Il primo Ibsen, p. 64 - Dall’Impero austriaco al Regno d’Ungheria, p. 71 - 4. La primavera di Vienna, p. 79 - 5. Da Bahr a Hofmannsthal, p. 85 - 6. Le recite di Praga e l’autunno viennese, p. 90
IV.
Lungo gli anni Novanta
99
1. Il passaggio a Berlino, p. 99 - 2. 1893-1894: fra il Danubio, il Reno e la Sprea, p. 106 - 3. Vienna, “casa paterna”, p. 116 - 4. L’attrice: una questione artistica, p. 126
V.
Il secolo nuovo
137
1. L’apparizione del sogno, p. 137 - 2. Vienna, 1900, p. 144 - 3. Con la tragedia dannunziana, p. 153 - 4. Dissolvenze: il 1903, p. 163 - 5. L’ultimo lustro: 1904-1909, p. 171
Conclusione
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Indice
Appendice Elenco delle tournĂŠe di Eleonora Duse a Vienna
Bibliografia Testi e saggi in volume, p. 201 - Giornali, riviste e periodici, p. 209 Sitografia, p. 213
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Introduzione
Al nascere, al precisarsi e infine al tramontare del “moderno viennese” (secondo un percorso deciso inevitabilmente dalle vicende storico-politiche dell’Impero asburgico) corrisposero, con una coincidenza alquanto singolare, l’affermazione di Eleonora Duse sui palcoscenici internazionali, la sua “crisi artistica” e infine il ritiro dalle scene (nel 1909). Dal primo ingresso nella città danubiana, datato febbraio 1892, l’attrice italiana instaurò con la capitale austriaca un legame particolare e significativo, di cui ella stessa era evidentemente consapevole: «Vienna mi ha scoperta», dirà nel 1899 al critico teatrale Hugo Wittmann, pronunciando parole che, se non corrispondevano integralmente alla realtà dei fatti, pure non erano così lontane dal vero. La Duse, in effetti, aveva già conquistato una certa notorietà anche fuori dei confini nazionali, prima dell’esordio viennese; grazie soprattutto alle recite del 1891 a Mosca e San Pietroburgo, che l’avevano posta all’attenzione di alcuni fra i maggiori critici, drammaturghi e teatranti del tempo. È innegabile però che fu a partire dai successi conseguiti nella capitale austriaca – la “città teatrale” per eccellenza, fino alla metà dell’Ottocento il metro di misura dell’intera scena tedesca – che iniziò a consolidarsi la sua fama in Europa e si venne definendo la sua immagine mitica, che è giunta fino a noi. Non a caso, visto che a promuovere la sua presenza e ad agevolare il suo successo sui palcoscenici della città danubiana fu proprio il rappresentante di punta della cultura e del teatro viennesi del tempo, nonché uno dei fautori principali della Wiener Moderne e – in virtù dei suoi legami artistici e culturali con Francia e Germania – il «mediatore del moderno europeo»1: lo scrittore e pensatore austriaco Hermann Bahr. Ex collaboratore del naturalista Otto Brahm, animatore con Schnitzler e Hofmannsthal della cerchia poetico-letteraria della Giovane Vienna, futuro so1 Così Bahr viene definito da Lukas Mayerhofer e Kurt Ifkovits in Idd. (Hrsg.), Ausgewählte Briefe an Hermann Bahr: Mittler der europäischen Moderne, Landesverlag, Linz 1998.
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Introduzione
stenitore degli artisti della Secessione capeggiati da Klimt e ammiratore della musica di Mahler, Bahr divenne per l’artista italiana, fin dal 1892 (il che spiega la sua centralità nell’economia del libro), un appoggio sostanziale; non solo per assicurarsi il successo entro i confini dell’Impero austro-ungarico, ma per conquistare la fama nella Germania intera. Nella Duse, in quell’artista straniera di “stirpe latina”, così diversa dagli attori tedeschi, che proveniva da una tradizione (quella grandattorica) di cui nell’innegabile sensibilità moderna si continuavano a percepire le tracce, il letterato austriaco – per il quale teatro significava fulcro della cultura, il cui perno era l’attore – vide un modello possibile da cui partire per definire un’idea diversa di recitazione, in linea con i “nuovi” tempi. Una Schauspielkunst che costituisse un’alternativa allo stile naturalista allora imperante sui palcoscenici del tempo (in specie quelli berlinesi) e che rimettesse la personalità dell’attore, in luogo del testo scritto, al centro dell’evento teatrale. Da qui il numero copioso di saggi, articoli, annotazioni che nel corso del tempo Hermann Bahr dedicò a Eleonora Duse, e che divennero il termine di confronto per le ulteriori e successive riflessioni della critica – non solo viennese – su cui è costruita l’ossatura del libro. L’interesse del saggio, che si apre con il tratteggio necessario di quella che si è soliti definire la “Vienna moderna”, si concentra infatti sui giri artistici dell’attrice nella città danubiana e sulla loro ricezione; sconfinando anche, nel caso del Gastspiel del 1892, in altri centri importanti dell’Impero (come Praga) di cui Vienna era la prima capitale; e che hanno funzionato allora da vera e propria “vetrina”, contribuendo alla diffusione della notorietà dell’artista italiana, anche al di là dell’Europa. La ricostruzione delle tournée, il vaglio delle riflessioni della critica “illustre” e l’atteggiamento della stampa comune verso le prestazioni dell’attrice sono mossi da un intento duplice: rintracciare da una parte le ragioni dell’interesse che la Duse seppe suscitare nel contesto culturale e teatrale viennese dell’epoca, e rilevare dall’altra se e come il modo di guardare all’attrice italiana sia cambiato, anche presso le singole personalità, con il mutare di quel contesto. Se il tono delle recensioni sulla Duse negli anni Novanta dell’Ottocento risulta sostanzialmente diverso da quello degli articoli sulle sue prime tournée novecentesche, non è solo perché l’arte stessa dell’attrice aveva mutato accento (come hanno peraltro già ampiamente mostrato, in modo pregevole, i contributi dedicati all’attrice dagli studiosi italiani), ma anche perché i testimoni la guardavano adesso alla luce di prospettive nuove. La Vienna di fine secolo è stata difatti, “fra” e “insieme” alle altre cose, il luogo di gestazione di una vera e propria rivoluzione: quella portata dallo svelamento della natura delle manifestazioni della vita psichica, reso possibile dall’avvento della psicoanalisi. L’indagine dell’Io e la scoperta dell’inconscio si sarebbero ripercossi in maniera sostanziale sul modo di concepire e valutare i fenomeni estetici, spostando sempre più l’attenzione dall’analisi del “prodotto” artistico all’indagine dell’essenza
Introduzione
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e della peculiarità del processo creativo. Un fenomeno i cui esiti non restarono ovviamente confinati nella città danubiana ma che qui, forse prima che altrove, manifestò la sua messa in atto. In concreto, e per quanto riguarda lo specifico della Duse, ciò si tradusse in un sempre minore interesse degli osservatori verso le questioni “tecniche” della sua recitazione (la definizione dello stile, la valutazione della qualità e dell’adeguatezza dei mezzi espressivi, la “costruzione” dei personaggi) e i dettagli delle sue interpretazioni; per privilegiare, piuttosto, la messa a fuoco del processo del recitare, nella ricerca dei meccanismi sottesi alla creatività dell’attrice e insieme alle ragioni dell’effetto che essa produceva sullo spettatore. L’evidente complessità e la natura articolata del discorso hanno reso necessario in taluni casi – e soltanto laddove lo si è ritenuto opportuno – un ampliamento dello sguardo ai contributi che, in tal senso, provennero anche al di là di Vienna; città che risulta essere alla fine un luogo di propulsione e insieme condensazione di idee, concetti e fenomeni (estetici, culturali e scientifici, in continua interrelazione), più che un luogo geograficamente delimitato. Il percorso, condotto per ragioni evidenti nella necessaria sintesi di alcune delle sue fasi costitutive, conduce fino al fatidico 1909: l’anno in cui Eleonora Duse lasciò le scene e che segnò, di fatto, il dissolversi delle spinte idealistiche che avevano animato il “moderno viennese”, in prossimità con la maturazione degli eventi che avrebbero portato di lì a qualche anno allo scoppio della Grande Guerra. A Vienna Eleonora Duse sarebbe tornata una sola volta, due anni dopo la rentrée teatrale del 1921. Alle ultime recite dell’attrice nella città danubiana (non più capitale dell’Impero asburgico, che si era dissolto alla fine del primo conflitto mondiale) il saggio dedica le sue pagine conclusive, in cui si accenna anche, in una digressione necessaria, ai rapporti intercorsi fra l’attrice e alcuni austriaci illustri – come il regista Max Reinhardt e il poeta Rainer Maria Rilke – nel periodo immediatamente precedente l’avvento della guerra, quando la Duse già meditava un possibile ritorno sulle scene. La morte dell’attrice, nell’aprile 1923, colse di sorpresa gli spettatori e la critica viennesi, che aspettavano già di rivederla sul palcoscenico della Neue Wiener Bühne l’anno successivo. Le ultime parole spese per l’artista italiana sono affidate alla penna dei critici che l’avevano vista, seguita, amata e talvolta anche contestata; senza mai disconoscere la forza della sua arte. Ci sono persone senza il cui sostegno sarebbe stato difficile ultimare il libro e alle quali vanno i miei ringraziamenti. In primo luogo, Franco Perrelli e Franco Piperno, ai quali devo l’incoraggiamento e la spinta a portare avanti il lavoro. Un grazie sentito anche a Beatrice Alfonzetti, direttrice del Dipartimento di Studi greco-latini, italiani e scenicoMusicali della Sapienza Università di Roma, a cui afferisco; e a Mara Fazio, per la strada
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Introduzione
compiuta insieme fino a qui. Prezioso, per le ricerche, è stato l’aiuto competente del personale della Österreichische National-Bibliothek di Vienna, nelle persone di Claudia Mayerhofer, Christiane Muhelegger-Henhapel, Wilma Buchinger e Nina Burian. La mia immensa gratitudine va inoltre a mia sorella Elena, alla sua intelligenza stimolante e vera, che non sarebbe tale se non fosse accompagnata da un grande cuore. E non posso dimenticare Micol Persio, Simone Palmieri, Davide Persico e Pina Astore, disposti a leggere, discutere, aiutare e confortare. Luca, grazie. Novembre 2017
II L’ingresso della Duse a Vienna
1. La tappa di San Pietroburgo È la primavera del 1891. Bahr termina la stesura del Superamento del naturalismo, mentre vive in pieno il tormento della «febbrile malattia del secolo» – causata a suo dire dall’abbandono dello spirito da parte della vita1 – e avverte stringente la necessità di individuare quel “nuovo” che avrebbe potuto debellarla. Decide di intraprendere un viaggio in Russia e, poiché aveva già rimesso il palcoscenico al centro dei propri interessi, di recarsi a San Pietroburgo: il luogo in cui, come da nessun’altra parte, si aveva a suo dire l’occasione di studiare il teatro europeo2. Fu qui che ebbe modo di vedere per la prima volta i due attori destinati a lasciare su di lui un’impronta indelebile3: l’austriaco Josef Kainz4, con il quale stabilì subito un rapporto di stretta consuetudine, e soprattutto Eleonora Duse. 1 «La vita si è trasformata, fin nel profondo», diceva Bahr, «e continua ancora a trasformarsi, giorno dopo giorno, senza posa e senza requie. Ma lo spirito è rimasto vecchio e immoto [...] e ora soffre derelitto perché è solo ed è stato abbandonato dalla vita» (H. Bahr, Il Moderno, in Id., Il superamento del naturalismo, a cura di G. Tateo, cit., p. 23). 2 H. Bahr, Russische Reise, E. Pierson’s Verlag, Dresden 1891, p. 116. Mentre gli altri palcoscenici russi non avevano granché da dire, scrisse Bahr, San Pietroburgo era la meta dei maestri di ogni nazione. Nella primavera del 1891, nella più suggestiva delle città russe, recitavano compagnie francesi, vi erano stati due complessi tedeschi, uno polacco, uno inglese e poi c’era la compagnia italiana della Duse. 3 Cfr. H. Kindermann, Schauspielkunst und Lebensform des Impressionismus, Sonderabdruck aus dem Almanach der Österreichischen Akademie der Wissenschaften, 117. Jahrgang, 1967. L’articolo è il testo di una conferenza tenuta da Kindermann nel maggio del 1967, in cui i due attori vengono descritti dallo studioso austriaco come i detentori di un’arte nuova, perché in grado di reimpostare, nel passaggio fra i due secoli, la relazione fra arte e realtà stabilita dall’estetica naturalista allora imperante. Nella loro arte lo studioso vide l’incarnazione dell’Impressionismo teorizzato da Bahr: la poetica figlia dei tempi che avevano messo in discussione l’oggettività del reale per privilegiare l’indagine dell’“io” in divenire, colto nel suo eterno mutare; che propugnava la ricerca dell’autenticità, contraddittoria e instabile, in luogo della fissa verità fotografica. 4 Josef Kainz (1845-1919), il più grande attore austriaco fra Otto e Novecento, aveva comincia-
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Vienna e la Duse
L’incontro con l’attrice italiana fu una vera e propria folgorazione, la cui memoria Bahr avrebbe consegnato nel 1923 alle pagine del suo Selbstbildnis (Autoritratto): «Una sera Kainz», ospite del teatro Nemetti, «non recitava; avevo la serata libera. Dove si va? Egli decise per un’ospite italiana»5; perché dagli italiani, secondo Kainz, c’era sempre qualcosa da imparare. Anche dai peggiori, i quali erano comunque preferibili ai migliori tra i deutschen Schauspieler6. Si dava La femme de Claude [La moglie di Claudio]7. Dietro di noi sedeva Mitterwurzer8. Improvvisamente Kainz mi afferra per il braccio, si arrampica a me, sento gemeto a mettersi in luce negli anni passati tra le fila della compagnia dei Meininger (1877-1880). Seguì l’ingaggio al Teatro Reale di Monaco diretto da Ernst von Possart. Lì restò fino al 1883, quando passò al Deutsches Theater di L’Arronge, che avrebbe lasciato sei anni dopo per il Berliner Theater di Ludwig Barnay. All’ingaggio al Berliner Theater seguì nel marzo 1891 la tournée che lo avrebbe portato, passando per Graz, Breslavia e Posnania, fino a San Pietroburgo. Nel mese che trascorse al teatro Nemetti, Kainz si presentò come Don Carlos, Karl Moor, Ernesto e – in apertura del corso delle recite – Romeo: il ruolo con cui impressionò Bahr (J. Eisermann, Josef Kainz – Zwischen Tradition und Moderne, Herbert Utz Verlag, München 2010, pp. 164-165). Lasciata San Pietroburgo, l’attore tornò a Berlino, al teatro di Barnay, che avrebbe abbandonato l’anno dopo per rientrare tra le fila del Deutsches Theater. Nel 1899 venne ingaggiato al Burgtheater di Vienna, dove restò fino alla morte. 5 H. Bahr, Selbstbildnis, S. Fischer Verlag, Berlin 1923, p. 274. Le recite della Duse a San Pietroburgo ebbero luogo al teatro Malyi a partire dal 12 marzo 1891, quando l’attrice presentò La signora delle Camelie. «Il repertorio comprendeva altri drammi di Dumas figlio: La principessa George, Demi-Monde e La moglie di Claudio, due drammi di Victorien Sardou: Fernande e Odette, e un testo di Meilhac e Halévy: Frou Frou. C’erano poi due tragedie di Shakespeare: Antonio e Cleopatra e Romeo e Giulietta, Cavalleria rusticana di Verga, La locandiera e Pamela nubile di Goldoni» (A. Egidio, Eleonora Duse in Russia, cit., p. 68). 6 Come ha mostrato Stefanie Watzka, era uno degli stereotipi dei tedeschi la predisposizione naturale degli italiani alla recitazione. Nel 1893 lo scrittore, traduttore e conoscitore del teatro italiano Richard Nathanson (anche Richard Norton, 1855-?) nel suo Schauspieler und Theater im heutigen Italien. Erlebnisse und Beobachtungen aus sechzehn Jahren (Attori e teatro nell’Italia contemporanea. Sedici anni di esperienze e osservazioni), edito a Berlino, affermava che «perfino gli attori italiani più mediocri», anche quelli che per intelligenza, impegno e disciplina erano molto al di sotto dei colleghi stranieri, «in alcuni momenti avevano qualcosa che si trova solo presso i grandi artisti». È qualcosa che ha fondamento «nella disposizione naturale della loro razza, e che trascina con sé gli spettatori» (cfr. S. Watzka, Die “Persona” der Virtuosin Eleonora Duse, cit., pp. 108-109). 7 La femme de Claude, di Dumas figlio, scritta nel 1873, era stata messa in scena dalla compagnia di Cesare Rossi – tra le cui fila era la Duse – nel 1882. L’attrice rivestiva il ruolo della protagonista, la moglie dell’inventore Claudio Ruper: la frivola e infedele Cesarina. Per una ricostruzione attenta degli esordi e dell’imporsi della Duse nel corso degli anni Ottanta dell’Ottocento, si rimanda allo studio di D. Orecchia, La prima Duse. Nascita di un’attrice moderna, Artemide, Roma 2007; in part., sulla Cesarina dell’attrice, si confrontino le pp. 109-124. 8 Friedrich Mitterwurzer (1844-1897) fu uno dei maggiori caratteristi del teatro di lingua tedesca. Era figlio di un cantante e di un’attrice del teatro di corte di Dresda. Nel 1867 tenne una serie di recite al Burgtheater, interpretando Amleto e Petruccio della Bisbetica domata. Nel 1869 fu ingaggiato allo Stadttheater di Lipsia, dove debuttò nel Don Carlos di Schiller. Dal 1871 al 1874, poi di nuovo dal 1875 al 1880, fu attore del Burgtheater, prima di passare al Wiener Stadttheater (di cui
II. L’ingresso della Duse a Vienna
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re Mitterwurzer e io stesso mi ripetevo: non devi urlare, sei ridicolo! Impreparato, non avvisato, per nulla pronto, sperimentare la Duse; aspettandosi una brava commediante qualsiasi, trovarsi improvvisamente di fronte alla Duse, per la prima volta al cospetto della Duse – è qualcosa che trascende il potere della parola9.
L’incontro di San Pietroburgo fu dunque un’esperienza decisiva per il letterato austriaco; e altrettanto per l’attrice italiana, che se da allora vide aprirsi l’epoca della «grande affermazione sulle scene internazionali e della sua mitizzazione in Italia»10, molto lo dovette al contributo di Bahr. I saggi, le recensioni e gli articoli carichi di suggestione che fin da subito egli le dedicò, giocarono un ruolo determinante – vista la statura intellettuale dell’autore e la risonanza internazionale del suo pensiero11 – nel disegno e nella diffusione dell’immagine dell’attrice, che è giunta fino a noi. Certamente la Duse non era una sconosciuta prima che Bahr la vedesse, già trentaquattrenne, sul palcoscenico del Malyi12. In Italia la sua notorietà aveva cominciato a diffondersi nel 1879, grazie all’interpretazione di Teresa nella Thérese Raquin di Zola13, che le aveva dato l’occasione di recitare accanto alle due perfu anche co-direttore) poi al Ring- e al Carltheater. Dal 1892 al 1894 svolse il suo ingaggio al Wiener Volkstheater, finché non arrivò la terza scrittura al Burgtheater, dove restò fino alla morte. Fu vedendolo recitare che al giovane Hermann Bahr nacque il desiderio di diventare attore: «Quando vedevo Mitterwurzer», racconta, «mi prendeva un’incontenibile voglia di saltare sul palcoscenico. Ma poi pensavo: che farò se non riuscirò a diventare uno come Mitterwurzer? Meglio essere impiccati subito, che diventare uno dei tanti» (H. Bahr, L’Io insalvabile, in Id., Il superamento del naturalismo, a cura di G. Tateo, cit., pp. 148-149). 9 H. Bahr, Selbstbildnis, cit., p. 274. 10 A. Egidio, Eleonora Duse in Russia, cit., p. 67. Nel suo Von italienischer und deutscher Schauspielkunst (Sulla recitazione italiana e tedesca), Alfred von Berger – del quale si parlerà più avanti – si premurava di far notare ai tedeschi che in Italia si era ben lontani da una concezione entusiastica della Duse, prima che ella venisse circondata dalla gloria della sua fama conquistata in terra straniera. Cfr. A.F. von Berger, Studien und Kritiken, Verlag der Literarischen Gesellschaft, Wien 1896, p. 280. 11 Cfr. H. Kindermann, Vorwort, in Id., Hermann Bahr, cit., pp. 5-6. Nella prefazione al suo studio dedicato al letterato austriaco, Kindermann si premurava di sottolineare la dimensione europea di Hermann Bahr, il cui pensiero eserciterà un’influenza decisiva, fra Otto e Novecento, ben oltre il contesto linguistico tedesco. 12 Figlia d’arte, Eleonora Duse era nata a Vigevano nel 1858 e si era formata calcando le scene fin da bambina accanto ai genitori, attori nomadi. Nel 1878, entrò nella compagnia PezzanaBrunetti e l’anno dopo arrivò la scrittura nella compagnia di Cesare Rossi (1829-1898) e con essa la diffusione della sua fama. Ottenne la consacrazione definitiva in Cavalleria rusticana di Verga, messa in scena al Carignano di Torino nel 1884. Due anni dopo, l’attrice passò al capocomicato e fondò la Compagnia drammatica della città di Roma insieme all’attore Flavio Andò (1851-1915). Nel 1889 avviò la stagione delle grandi tournée internazionali: Egitto, Europa tutta e Stati Uniti. Il decennio 1894-1903 fu segnato dal sodalizio con Gabriele D’Annunzio (di cui si tratterà in seguito). Nel 1909 la Duse abbandonò le scene, per tornarvi solo nel 1921, tre anni prima della morte. 13 La rappresentazione, allestita dalla compagnia Pezzana-Brunetti, ebbe luogo al Teatro dei
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Vienna e la Duse
sonalità di spicco del teatro italiano del tempo, Giacinta Pezzana (comunemente considerata la “maestra” della Duse) e Giovanni Emanuel: i primi attori che, nell’allontanamento dagli stilemi recitativi tardo-romantici, cercarono allora di promuovere una concezione naturalistica della recitazione14. L’interpretazione valse alla Duse la scrittura come primattrice assoluta nella compagnia di Cesare Rossi e con il nuovo ingaggio cominciò l’ascesa: via via si diffuse la sua fama, fino a che di lì a poco, racconta Luigi Rasi, tutta l’Italia venne assediata da tante piccole Duse, che si grattavano la testa, si mordevano le dita, si contorcevano, barcollavano e squittivano15: riproducendo i piccoli segni gestuali di cui erano riccamente contrappuntate, allora, le interpretazioni dell’attrice. Pensavano di copiarne la recitazione, ma a ben vedere – avrebbe riflettuto Bahr molti anni dopo – ancor più, esse imitavano «la sua persona. Poiché non era tanto l’arte [della Duse] ad affascinare», dirà il letterato austriaco, «quanto piuttosto la sua natura dirompente. E in un modo così intenso, nuovo, eppure al contempo così curiosamente familiare, che davvero sembrava si fosse sempre sognato di lei e la si fosse cercata affannosamente, con desiderio ansioso»16. I primi anni Ottanta, in cui la Schino individua il “giro di boa” del teatro italiano17, erano stati dunque decisivi per la carriera dell’attrice. Furono gli anni del consolidamento del successo, dell’incontro con la collega francese Sarah Fiorentini di Napoli, dove la Duse recitò anche nel corso della stessa stagione teatrale, nell’Amleto e nell’Otello di Shakespeare, nell’Oreste di Alfieri e in Fernanda, di Sardou. 14 Giacinta Pezzana (1841-1919) aveva esordito in teatro all’età di diciannove anni e si era messa in luce negli anni passati nella compagnia Dondini, dov’era primattore il grande Ernesto Rossi (1827-1896), sul quale si avrà modo di ritornare. La sua interpretazione nella Thérese Raquin di Zola è rimasta celebre. Anche Giovanni Emanuel (1847-1902) si era avvicinato alle scene verso i vent’anni, recitando in compagnie sia primarie che secondarie. Nel 1875 passò al capocomicato e sul finire degli anni Ottanta, quando si era già affermato, si guadagnò la fama di primo interprete naturalista, portando in scena nel 1879 la riduzione del romanzo L’Assomoir (L’Acquavite) di Zola. 15 Cfr. L. Rasi, La Duse, Firenze, R. Bemporad & Figlio, 1901. Luigi Rasi (1852-1918) – fratello di Giulio, amoroso nella compagnia di Fanny Sadowski – entrò nella compagnia di Cesare Rossi nel 1872, come secondo amoroso e brillante. Qualche anno dopo, consolidata la sua carriera, diresse la Compagnia drammatica fiorentina, con cui recitò la Duse dalla metà degli anni Novanta dell’Ottocento. Direttore dal 1881 della Scuola di recitazione a Firenze, Rasi si impegnò anche come teorico. A lui si deve il Catalogo generale della raccolta drammatica italiana, del 1912, e il dizionario biografico in 3 voll. I comici italiani, realizzato fra il 1897 e il 1905. 16 H. Bahr, Glossen zum Wiener Theater (1903-1906), S. Fischer Verlag, Berlin 1907. Le pagine dedicate a Eleonora Duse sono già comparse in traduzione in S. Bellavia, Novelli e la Duse, in Id., Duse e Novelli nelle Glossen zum Wiener Theater (1903-1906) di Hermann Bahr, in «Acting Archives Review», a. V, n. 10, novembre 2015, pp. 102-124. 17 «Intorno al 1880», scrive la Schino, «avvenne nel teatro italiano una mutazione profonda, che assunse le vesti di uno scontro generazionale» (M. Schino, Il teatro di Eleonora Duse, Il Mulino, Bologna 1992, p. 101). L’evento-chiave sarebbe stato l’arrivo in Italia della grande attrice francese Sarah Bernhardt, nel febbraio 1882 al Carignano di Torino, «in concomitanza della quale si verifica l’affermazione della giovane Duse» (ivi, p. 107).
II. L’ingresso della Duse a Vienna
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Bernhardt, dai cui spettacoli la Duse restò affascinata18; quelli che le aprirono la strada al capocomicato e all’ampliamento del repertorio: accanto ai “classici” Scribe, Dumas e Sardou, l’attrice cominciò allora a recitare anche i nuovi testi della drammaturgia italiana (Verga, Giacosa, Rovetta), a cui in seguito avrebbe aggiunto – nel periodo del sodalizio con Arrigo Boito, si vedrà – la tragedia di Shakespeare19. Consolidati sul finire del decennio la fama e il successo in patria, cominciò la stagione dei “giri” all’estero. A capo della Compagnia drammatica della città di Roma – diretta con il compagno Flavio Andò20 –, nel 1889-1890 la Duse raggiunse prima l’Egitto e poi la Spagna, riportando buoni successi ovunque. Ma l’evento spartiacque fu proprio la prima tournée a San Pietroburgo; non solo per l’effetto clamoroso delle recite sul pubblico e sulla critica russi21, ma proprio perché lì avrebbe incontrato Hermann Bahr: il «sismografo di tutte le curve della storia del pensiero nei loro riflessi teatrali», come lo avrebbe definito Kindermann22; l’intellettuale che facendo del palcoscenico il perno dei suoi ragionamenti avrebbe contribuito al tratteggio di una fisionomia diversa dell’attore, in grado di sperimentare modalità relazionali fino allora inesplorate fra la propria individualità e quella del personaggio. E anche, lavorando sul personaggio, fra se stesso e il proprio io. L’Io che nella Vienna di fine secolo, tesa al recupero di quel lascito romantico che si è detto altrove essere uno dei tratti costitutivi della sua modernità, comincerà a essere esaltato come unico garante dell’autenticità del processo artistico e creativo, in luogo dell’aderenza alla realtà e della fedeltà alla parola dell’autore, propugnate dai naturalisti. L’individuo colto nella sua unicità – e non come paradigma di una categoria più ampia e generale, il cui agire era costretto dalle leggi meccanicistiche – tornerà a prendere il posto del milieu e dell’ereditarietà23, e in palcoscenico si esalteranno le grandi individualità d’attore, come quella della Duse: le personalità «autocratiche» che sole, come aveva Cfr. C. Molinari, L’attrice divina. Eleonora Duse nel teatro italiano fra i due secoli, Bulzoni, Roma 1985, p. 58. 19 Nel novembre 1888, al teatro Manzoni di Milano, la Duse fu la protagonista dell’Antonio e Cleopatra nell’adattamento steso per lei da Arrigo Boito (1842-1918), letterato, musicista e librettista italiano. Sul rapporto fra l’attrice e il compositore si tornerà più avanti (cfr. infra, pp. 67-68). 20 Flavio Andò (1857-1915) cominciò ad avvicinarsi al teatro in Sicilia, dove era nato, finché nel 1870 venne scritturato dal grande attore Ernesto Rossi. Lì cominciò l’ascesa, e poi, nei sette anni di collaborazione con la Duse (1886/87-1893/94), il consolidamento della fama. Interrotto il sodalizio con la grande attrice, Andò diresse alcune tra le più importanti compagnie di teatro italiano. Restò in attività fin quasi al termine della sua vita. 21 Farsi conoscere in Russia avrà per la Duse un’importanza non secondaria, poiché significherà imporsi all’attenzione di Stanislavskij e Mejerchol’d, ovvero due dei maggiori protagonisti della «rivoluzione teatrale d’inizio Novecento» (M. Schino, Il teatro di Eleonora Duse, cit., p. 425). 22 Cfr. H. Kindermann, Hermann Bahr, cit., p. 5. 23 M. Worbs, Nervenkunst, cit., p. 7. 18
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Vienna e la Duse
detto lo scrittore svedese Ola Hansson nel 1889, potevano «indicare all’umanità la direzione nella sua camminata nel deserto». Poiché l’anima dell’artista soltanto, «insondabile come il cratere marino, e indeterminabile, nasconde[va] nella sua profondità inesplorata, come il cratere marino, tutte le perle del futuro»24.
2. La ricerca dell’Io L’esaltazione dell’individualità dell’attore nella Vienna di fine secolo, che spiega anche il modo in cui la città danubiana – emergerà meglio in seguito – guarderà al “fenomeno Duse”, ha dunque certamente a che fare con il “culto dell’io” di romantica eredità. Una nozione che nel contesto della Jahrhundertwende, percorsa dalle venature decadentiste e simboliste, sarebbe stata destinata ad assumere, com’è logico, accenti e caratteri diversi. A separare i cosiddetti “neoromantici” come Bahr dai loro predecessori c’era infatti il sentimento nuovo del declino; l’idea – sostenuta da ogni tipo di teorie pseudoscientifiche25 – che il mondo fosse diventato vecchio. C’era il senso generale di pessimismo basato sulle dottrine filosofiche di von Hartmann26 e Schopenhauer, e la sensazione che nell’era dell’industrializzazione l’individuo stesse per essere inesorabilmente inghiottito dalla massa27. Dai romantici si riprese il “culto” dell’io, ma l’io non poteva più essere quello dei romantici: assoluto, dunque infinito e illimitato, visto come il garante dell’unità fra l’uomo e l’universo intero28. Se alla fine del Settecento Schelling O. Hansson, Über Naturalismus, cit., p. 227. Hansson (1860-1925) sosteneva che le personalità forti che avevano superato il naturalismo – ed è ovvio che pensasse anche a se stesso – lo avevano fatto perché vivevano, crescevano e lasciavano fluire il proprio spirito nell’opera poetica. Essi avevano manifestato la «verità eterna», che è «semente per la più alta soggettività, la massima bellezza e la più alta forza creatrice innovativa» (ivi, p. 226). 25 Cfr. H. Ellenberger, La scoperta dell’inconscio, cit., vol. I, p. 329. 26 Eduard von Hartmann (1842-1906), filosofo berlinese, è – fra l’altro – autore della Philosophie des Unbewussten. Spekulative Resultate nach inductiv-naturwissenschaftlicher Methode (Filosofia dell’inconscio. Risultati speculativi secondo un metodo scientifico-induttivo), Verlag von Wilhelm Friedrich, Leipzig 1869. 27 «Lo spirito abbandona l’essere», scrisse Bahr nella sua Critica del 1891, «il naturalismo e il materialismo sono ormai morti. Ma non fugge ritornando nell’Io; non ripeterà il vecchio romanticismo. Ma vuole penetrare nel divenire dell’essere al momento del suo passaggio all’Io, nel corso del processo che dal reale porta al pensiero, in cui lo spirito non è più fuori e non è ancora dentro» (H. Bahr, Critica, in Id., Il superamento del naturalismo, a cura di G. Tateo, cit., p 91). 28 È a partire da Cartesio e dalla sua definizione dell’io come coscienza (cioè rapporto con se stesso, soggettività) che «l’io è diventato oggetto di investigazione filosofica». Distinguendo «l’io come oggetto della percezione (o del senso interno) e l’io come soggetto del pensiero o dell’appercezione pura (cioè l’io della riflessione)», Kant ha fornito, nella Critica della ragion pura (1781) «la migliore espressione della dottrina dell’io come coscienza, in cui l’espressione io, come essere pensante, designa già l’oggetto della psicologia che può dirsi la dottrina razionale dell’anima». La distinzione kantiana venne assunta da Fichte (Dottrina della scienza, 1794) come punto di partenza 24
II. L’ingresso della Duse a Vienna
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aveva potuto affermare che «tutto è l’Io», un secolo dopo Bahr doveva parlare di un «io insalvabile», perché non solo in luogo dell’antica unità avvertiva la scissione fra sé e il mondo, ma perché aveva raggiunto la consapevolezza che quella scissione era costitutiva della sua stessa essenza. Un’agnizione maturata, paradossalmente, proprio nella temperie naturalista: grazie all’impulso di ricerca della scienza, che aveva scoperto e cominciava a studiare il doppio io, le personalità multiple, le alterazioni dello stato di coscienza, il processo della suggestione29, fornendo conoscenze che sarebbero state basilari per le riflessioni intorno a un’estetica nuova della recitazione; fino ad arrivare, in ultimo, alla psicoanalisi freudiana. È una curiosa coincidenza che il Superamento del naturalismo sia stato pubblicato esattamente nello stesso anno in cui Freud – che Ellenberger definisce un epigono tardo del romanticismo30 – si trasferì nella Berggasse 1931; nello studio celeberrimo, cioè, in cui avrebbero avuto luogo, dal 1902, le famose serate del mercoledì: riunioni frequentate non solo da medici, ma anche da artisti e scrittori. Nel novero, si contavano tra gli altri Schnitzler, Hofmannsthal e pare lo stesso Bahr, che nel 1903 avrebbe cominciato a elaborare il suo Dialog über den per la dottrina dell’io assoluto, in cui si sostiene che nulla è al di fuori dell’io, che abbraccia in sé tutta la realtà, infinita e illimitata. «Le sue tesi verranno fatte proprie da Schelling» in L’io come principio della filosofia o l’incondizionato nel sapere umano (1795), «per opera del quale divennero una delle espressioni caratteristiche del romanticismo» (N. Abbagnano, Io, s.v., in Dizionario di Filosofia, cit., p. 445). 29 Solo per citare alcuni esempi in proposito: nel 1884 venne pubblicato lo studio sulla suggestione e l’ipnosi del medico francese Hyppolite Bernheim (1840-1919). Nel 1886 uscirono in Italia lo studio di Enrico Morselli: Il magnetismo animale. La fascinazione e gli stati ipnotici, e quello sulle personalità multiple dello psicologo e parapsicologo britannico Frederic Myers (1843-1901). Nel 1890 venne invece pubblicato Das Doppel-Ich (Il doppio io) di Max Dessoir, per la Ernst Günthers Verlag di Lipsia, e nel 1894 uscì Hypnotismus und Suggestion del professor Moriz Benedikt, pubblicato dalla Verlag der Buchhandlung M. Breitenstein di Lipsia e Vienna. Impossibile elencare quanta letteratura di metà Ottocento venne influenzata da tali argomenti, in specie dal tema del doppio. Per restare in area germanica, basti citare Gli elisir del diavolo di E.T.A. Hoffmann, che Ellenberger definisce un «romanzo interessante come anticipazione del concetto junghiano di Ombra» (H. Ellenberger, La scoperta dell’inconscio, cit., vol. I, p. 209). 30 Ivi, p. 234. «Non c’è nessun concetto di Freud o Jung che non sia stato anticipato dalla filosofia della natura o dalla medicina romantica», caduta nel discredito o nell’oblio dopo la prima metà dell’Ottocento, ma che ha esercitato il suo influsso sulla nascente psichiatria dinamica (ivi, p. 247). L’interesse per l’irrazionale, per l’occulto e per l’esplorazione delle profondità della psiche umana, che nella temperie preromantica avevano condotto alle teorie di Franz Anton Mesmer e al magnetismo animale, alla fine dell’Ottocento diventano il motore che porta la medicina alla scoperta dell’inconscio e allo studio di fenomeni quali l’isteria, l’ipnotismo, la suggestione, il dipsichismo e il polipsichismo. 31 Worbs mette in connessione la comparsa prepotente dell’io sul finire dell’Ottocento con la scoperta coeva dell’inconscio, che porterà alla nascita della psicoanalisi. È allora che l’io prende il posto del milieu e dell’ereditarietà, e si lega a una “nausea” del mondo che finirà per produrre i suoi esiti nella letteratura di impronta“esistenzialista” di metà Novecento (cfr. M. Worbs, Nervenkunst, cit., p. 7).
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Vienna e la Duse
Schauspieler (Dialogo sull’attore) proprio riflettendo sugli studi e l’opera freudiani32. Ma che fosse tra i frequentatori della Berggasse o meno, dunque, cambia poco. È fuor di dubbio che egli abbia dato forma al suo pensiero nella sensibilità acuta che lo contraddistingueva per il nuovo; e nulla era più nuovo, al volgere dell’Ottocento, dell’indagine sull’interiore umano, sia dal punto di vista fisiologico (grazie ai nuovi macchinari, che consentivano adesso di radiografare l’apparato interno del corpo) sia da quello psicologico. Da questa prospettiva, Bahr avrebbe cominciato a ragionare sugli attori; e dunque sulla Duse. Appena prima di incontrare l’attrice a San Pietroburgo, nel 1890, il letterato austriaco aveva pubblicato sulla «Moderne Dichtung» il saggio Die neue Psychologie (La nuova psicologia) – poi raccolto l’anno seguente nel Superamento del naturalismo –, in cui sosteneva che era arrivato il momento di allontanarsi dalla restituzione degli effetti dei sentimenti, dall’«espressione che la coscienza alla fine formula per essi e la memoria conserva», per volgersi invece ai germi di quella espressione, agli «inizi delle tenebre dell’anima, prima che i sentimenti vengano fuori alla chiara luce del giorno; tutto quel lungo, complicato, confuso processo del sentire che getta alla fine i fatti complessi al di là della soglia della coscienza in forma di semplici conclusioni». La psicologia, concludeva, «viene trasferita dall’intelletto ai nervi – questo è il punto»33.
3. Il primo articolo di Bahr Erano questi gli impulsi e le suggestioni da cui Bahr era animato quando vide per la prima volta la Duse e scrisse per la «Frankfurter Zeitung» l’articolo che non solo le avrebbe favorito l’ingresso a Vienna, ma sarebbe divenuto il via-tico al suo successo in Europa. Due anni dopo, sulle pagine della «Deutsche Zeitung», egli avrebbe ricordato come di ritorno dal Malyi lo avesse preso il desiderio impellente di passare la notte a scrivere, dubitando però di poter mai trovare le parole giuste per chiarire – e chiarirsi – l’effetto prodotto dall’attrice. Un effetto di natura fisiologica, nervosa, per l’appunto; simile a quello descritto 32 Il gruppo serale del mercoledì organizzato da Freud era un’unione di sei discepoli selezionati; fra costoro, il medico Wilhelm Stekel (sul quale si avrà modo di tornare in seguito), contattato da Bahr nell’agosto del 1904 per alcune delucidazioni di natura scientifica, utili alla stesura del suo saggio Dialogo sull’attore (poi pubblicato con il titolo Dialogo sul tragico). L’interesse che Bahr nutriva per l’operato di Freud è attestato da un’annotazione nel suo diario del 1907, in cui definisce lo scienziato viennese come «il rivoluzionario più grande: poiché insegna che siamo tutti malati di schiavitù». La citazione di Bahr è in T. Anz, O. Pfohlmann (Hrsg.), Psychoanalyse in der literarischen Moderne. Eine Dokumentation, Bd. I, Einleitung und Wiener Moderne, LiteraturWissenschaft.de, Marburg 2006, pp. 88-92. 33 H. Bahr, La nuova psicologia, in Id., Il superamento del naturalismo, a cura di G. Tateo, cit., pp. 47 sg.
Appendice Elenco delle tourneé di Eleonora Dusa a Vienna*
Anno Mese 1892 Febbraio: 20
Teatro Carltheater
23 25 27 Maggio: 15 17 19 23 24 26
Ruolo
La signora delle Camelie (A. Dumas) Fedora (V. Sardou) Casa di bambola (H. Ibsen) La signora delle Camelie
Margherita Gautier Fedora Romanoff Nora Margherita Gautier
Carltheater Fedora Fedora Romanoff Fernanda (V. Sardou) Contessa Clotilde La signora delle Camelie Margherita Gautier Divorziamo! (V. Sardou) Cipriana de Prunelles Casa di bambola Nora Antonio e Cleopatra Cleopatra (W. Shakespeare) La locandiera (C. Goldoni)1 Mirandolina Fernanda Contessa Clotilde La moglie ideale (M. Praga) Giulia Campiani
28 29 31 Giugno: 1 3 4 7 9
Opera
Carltheater La signora delle Camelie Divorziamo! Francillon (A. Dumas) Odette (V. Sardou) La signora delle Camelie
Margherita Gautier Cipriana de Prunelles Francine Odette Margherita Gautier
* La tabella è stata stilata sulla base dell’elenco delle tournée della Duse a Vienna di Edgardo Maddalena, dal 1892 fino al 1905. Verificato attraverso la consultazione della stampa dell’epoca, esso risulta – a parte minime puntualizzazioni – sostanzialmente esatto. 1 Preceduta da Ulisse e Cleopatra ovvero Tragedia e Musica (Enrico Rovi), in cui la Duse non recitava. Per questo non è inserita in tabella. Protagonisti della farsa di Rovi erano gli attori Cortesi (Ulisse) e Rubini (Cleopatra).
196
Vienna e la Duse
1892 Ottobre: 29 31
Novembre: 1
Carltheater Denise (A. Dumas) Cavalleria rusticana (G. Verga)2 + Visita di nozze (A. Dumas) Cavalleria rusticana + Scrollina (A. Torelli) La signora delle Camelie La signora delle Camelie Cavalleria rusticana3 Fedora Fernanda Casa di bambola La signora delle Camelie
Santuzza Contessa Teresa Margherita Gautier Margherita Gautier Santuzza Fedora Romanoff Contessa Clotilde Nora Margherita Gautier
Carltheater
22 24 26
27 28 1895 Novembre: Theater an der 24 Wien 29
Lidia De Morance
Carltheater
3 8 10 13 14 15 17 1893 Novembre: 20
Dionisia Santuzza
Cavalleria rusticana + La locandiera Frou-Frou (H. Meilhac, L. Halevy) La signora delle Camelie Cavalleria rusticana + Divorziamo! Fedora Frou-Frou
Casa paterna (H. Sudermann) Casa paterna4
Santuzza Mirandolina Gilberta Margherita Gautier Santuzza + Cipriana de Prunelles Fedora Romanoff Gilberta
Magda Magda
Seguita da Ulisse e Cleopatra ovvero Tragedia e Musica (Enrico Rovi). Preceduta da Telemaco il disordinato (di Alessandro Gnagnatti) e seguita da Bebè (di Emile de Najac e Alfred Hennequin). 4 Recita diurna (ore 14). Il ruolo del pastore è interpretato da Alfredo de Sanctis. 2 3
Appendice 197
1899 Novembre: Raimundtheater 8 11
La signora delle Camelie La Gioconda (G. D’Annunzio) Casa paterna La seconda moglie (A. Pinero)
Margherita Gautier Silvia Settala
Casa paterna La moglie di Claudio (A. Dumas)
Magda Cesarina
La seconda moglie
Paula
Antonio e Cleopatra La Gioconda La principessa Giorgio5 (A. Dumas) Casa paterna Fedora
Cleopatra Silvia Settala Severina Magda Fedora Romanoff
La Gioconda
Silvia Settala
Francesca da Rimini (G. D’Annunzio)
Francesca
Francesca da Rimini
Francesca
Francesca da Rimini La città morta (G.D’Annunzio) Casa paterna
Francesca Anna
Maggio: Raimundtheater 2 4
La città morta La Gioconda
Anna Silvia Settala
Marzo: 31
La città morta
Anna
13 30 Dicembre: Raimundtheater 2 4 1900
Marzo: 31
Theater an der Wien
Aprile: 2 4 6
Theater an der Wien
8 10
Magda Paula
Burgtheater 11 1902
Aprile: 2
Raimundtheater
Burgtheater 3 Raimundtheater 4 5 6
1903
5
Magda
Carltheater
Seguita da Ulisse e Cleopatra ovvero Tragedia e Musica (Enrico Rovi).
198
1903
Vienna e la Duse
Aprile: 2 3 5
1904 Ottobre: 6
Carltheater
Theater an der Wien
7 10 12 13 27 28 1905 Gennaio: 10 12 14 17 18
Carltheater
1906 Ottobre: 25 26 29 30
Theater an der Wien
1907
1908
Marzo: 13 15 18 20
Theater an der Wien
Marzo: 30 31
Theater an der Wien
Hedda Gabler (H. Ibsen) Francesca da Rimini L’altro pericolo
Hedda Francesca Clara
La signora delle Camelie
Margherita Gautier
Monna Vanna (M. Maeterlinck) Casa paterna L’altro pericolo Monna Vanna Hedda Gabler Hedda Gabler
Vanna Magda Clara Vanna Hedda Hedda
La signora delle Camelie La locandiera6 Hedda Gabler Casa paterna Adriana Lecouvreur (E. Scribe e E. Legouvé)
Margherita Gautier Mirandolina Hedda Magda Adriana Lecouvreur
Monna Vanna Rosmersholm (H. Ibsen) Hedda Gabler La badessa di Jouarre (E. Renan) + La locandiera
Vanna Rebecca West Hedda Giulia Costanza
La Gioconda Casa paterna Rosmersholm La signora delle Camelie
Silvia Settala Magda Rebecca West Margherita Gautier
La città morta Rosmersholm
Anna Rebecca West
Mirandolina
6 La rappresentazione de La locandiera era preceduta da Ulisse e Cleopatra ovvero Tragedia e Musica (Enrico Rovi).
Appendice 199
1908
Aprile: 1 3
Theater an der Wien
1909 Gennaio: Theater an der 29 Wien 30 31 Febbraio: Theater an der 1 Wien
Hedda Gabler La Gioconda
Hedda Silvia Settala
La donna del mare (H. Ibsen) J. Gabriel Borkmann (H. Ibsen) La locandiera
Ellida Ella Rentheim
La donna del mare
Ellida
1923 Settembre: Neues Wiener 21 Theater CosĂŹ sia (T. Gallarati Scotti) 24 La donna del mare 27 La porta chiusa (M. Praga)
Mirandolina
Alvina Ellida Bianca