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Amicizia in terra d’Otranto. Carmelo Bene e Nicola Savarese a colloquio sul teatro di Leonardo Mancini 1. Il teatro «lorenzaccio» 2. Voce-orchestra 3. Schopenhauer senza eguali
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Cronache di una gentilezza. Ovvero conoscere Carmelo Bene senza la bibliografia precedente 53 di Nicola Savarese 1. Proemio 53 2. Folgorante amicizia 56 3. La caduta delle stelle 62 4. La beffa 69 5. I nipotini di Gogol’ 74 6. Horror Suite 86 7. Il mio cuore è a Copertino 95 5
8. Musica di perdizione 9. Esito breve
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Intervista di Nicola Savarese a Carmelo Bene (Otranto, gennaio 1997) a cura di Leonardo Mancini Prima giornata Seconda giornata Terza giornata
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Indice dei nomi
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Amicizia in terra d’Otranto Carmelo Bene e Nicola Savarese a colloquio sul teatro di Leonardo Mancini
3 gennaio 1997: Carmelo Bene e Nicola Savarese sono a Otranto, presso l’abitazione dell’attore, per un’intervista sul teatro scandita in tre giornate. Ventidue anni più tardi questo libro presenta la trascrizione di quegli incontri, sino a oggi rimasta inedita, aggiungendo nuova testimonianza alla bibliografia sul celebre attore salentino. L’occasione del colloquio fu ricercata da Savarese, spinto dalla curiosità di uno storico il cui lavoro di scavo aveva già dato esito a opere di taglio antropologico1. Sino a quel 1 Di Nicola Savarese si possono ricordare qui solo alcuni fra i numerosi e importanti contributi sulla storia del teatro. Oltre al celebre volume con Eugenio Barba, L’arte segreta dell’attore. Un dizionario di antropologia teatrale, Argo, Lecce 1996 (ed. rivista e ampliata Edizioni di Pagina, Bari 2011), tradotto e pubblicato in più lingue, si segnalano Paris, Artaud, Bali. Antonin Artaud vede il teatro balinese all’esposizione coloniale di Parigi del 1931, Textus, L’Aquila 1992 e Teatri romani. Gli spettacoli nell’antica Roma, Cue Press, Imola 2015. Al filone di studi, che ha inaugurato, dei rapporti fra le civiltà teatrali orientali e
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momento, in verità, Savarese aveva guardato all’attività di Bene come “semplice” spettatore, non certo ascrivibile alla platea dei seguaci più fedeli. Ma negli anni immediatamente precedenti l’intervista lo studioso si era ritrovato coinvolto dall’artista anche nel ruolo di organizzatore, per una serie di curiose circostanze da lui stesso raccontate in questo volume2: un’esperienza che contribuì a stringere il rapporto fra i due e a creare l’occasione di questa intervista. Il primo incontro era avvenuto cinque anni prima, nel giugno del 1992, quando Carmelo Bene era stato ospite di Nicola Savarese per una conferenza all’Università di Lecce. La giornata si concluse con una cena presso l’abitazione di Otranto, dove Bene era solito cucinare il pesce in maniera proverbiale. In occasione di una seconda serata, uno scambio di doni suggellò l’amicizia e la dimostrazione di stima reciproca: Savarese donò a Bene il suo occidentali, Savarese ha inoltre dedicato Teatro e spettacolo fra Oriente e Occidente, Laterza, Roma-Bari 1992 (giunto nel 2009 a un’ottava edizione) e Il teatro eurasiano, Laterza, Roma-Bari 2007. Recente, ancora con Eugenio Barba, è il ricchissimo volume I cinque continenti del teatro. Fatti e leggende della cultura materiale dell’attore, Edizioni di Pagina, Bari 2017. 2 Per l’amicizia di Bene e Savarese e per il contesto in cui si è originata questa intervista, cfr. N. Savarese, Cronache di una gentilezza. Ovvero conoscere Carmelo Bene senza la bibliografia precedente, infra, pp. 53-107), dove l’autore narra anche di altre vicende personali di Bene non pertinenti ai temi dell’intervista, affrontati in questo mio saggio introduttivo. 10
Teatro e spettacolo fra Oriente e Occidente3 e, in cambio, ricevette il Teatro senza spettacolo4, al quale Bene appose l’emblematica dedica «Un’amicizia folgorante». Da lì, il passo verso un evento teatrale fu breve: la lettura dei Canti orfici di Dino Campana presso le cave di pietra leccese di Cursi nell’estate di quell’anno. In quanto organizzatore, Savarese ebbe il compito di reperire le strumentazioni tecniche necessarie, fra cui una consistente apparecchiatura di amplificazione posizionata ai lati e sotto il palcoscenico5. Alla serata dedicata a Dino Campana seguirono, nell’ottobre del 1995, l’assegnazione della cittadinanza onoraria a Bene da parte del Comune di Otranto e la consegna delle chiavi della città da parte del sindaco di Campi Salentina, Egidio Zacheo. In quest’ultima occasione Savarese provvide all’allestimento, insieme ad altri, di un volume in omaggio all’attore, L’immemoriale, contenente anche una composizione poetica con firma autografa di Bene, Nulla patria inprofeta6. Il ricordo N. Savarese, Teatro e spettacolo fra Oriente e Occidente cit. C. Bene, Il teatro senza spettacolo, Marsilio, Venezia 1990. 5 Cfr. M. Marino, Speriamo Bene! L’orchestra di Lecce e del Salento nella casa del Teatro Apollo, in «Spagine. Periodico del Fondo Verri», 2 dicembre 2017 (https://www.spagine.it/cronache-culturali/speriamo-bene-lorchestra-di-lecce-e-del-salento-nella-casa-del-teatro-apollo/, ultima consultazione marzo 2019). 6 «Nulla patria inprofeta / Etmemı-net meminı-sse / juva-tscit co-e-tera ma-ter / Fuor del ment’astro polvere bagnata / Il tramestìo felpato dindondante / delle capre da latte porta a porta / in aria cotognata Boccaperta / ridono sangue melagrane queste / alte su l muro a fronte 3 4
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di quelle esperienze, narrate da Savarese, aggiunge colore e dettaglio alle testimonianze su una fase della vita dell’artista segnata da poche apparizioni pubbliche e che spesso è stata trascurata negli scritti biografici. Infine, Savarese fu personalmente coinvolto da Bene nell’organizzazione, ancora una volta in extremis, di una sua Lectura Dantis presso il Castello di Copertino il 6 dicembre 1995. La frequentazione di amici e di studiosi vicini a Bene, spesso in visita a Otranto in quegli anni (fra gli altri, Piergiorgio Giacchè e Goffredo Fofi), fu anche uno dei risultati di quel rapporto di amicizia, tutto sommato contenuto negli anni ma certo di non trascurabile valore, anche per il periodo in cui esso si colloca rispetto alla vita dell’artista. Savarese si recò inoltre a Parigi per assistere a una messa in scena del Macbeth di Bene7. Dopo una replica dell’uld’acquarello / rosa cilestro fronte de le case / I covoni Le danze contadine / sull’aie queste luminate a sera / Nero velluto i campi trapuntati / di lucciole Invasati / di soli cieli Chissadove (a) MARE» (La poesia è riportata sulla copertina del volume C. Bene et al., L’immemoriale, Argo, Lecce 1995). Il primo verso della poesia, un rovesciamento del famoso detto latino, è stato ripreso da Eugenio Barba nell’apertura del suo discorso per il conferimento della laurea honoris causa da parte dell’Accademia di Musica e Teatro d’Estonia, a Tallin, il 27 maggio 2009. Il “motto” di Bene era stato riferito da Ferdinando Taviani a Barba in una lettera del 25 aprile di quello stesso anno: cfr. F. Taviani, E. Barba, Dopo una conversazione con Flaszen, in «Teatro e Storia», n.s., 1, 2009, p. 125. 7 A Parigi Bene presentò la sua Macbeth Horror Suite all’OdéonThéâtre de l’Europe, fra il 15 e il 22 ottobre 1996, nel Festival 12
timo Pinocchio all’Argentina di Roma nel 19988, Savarese andò a trovare l’amico in camerino. Fu l’ultimo incontro fra i due prima della scomparsa dell’artista, avvenuta nel marzo del 2002. L’intervista che qui si presenta risale al periodo finale della frequentazione di Bene e Savarese. Nel gennaio 1997 Savarese convinse Bene a registrare una conversazione retrospettiva sul suo teatro e, in particolare, sulle tecniche e sui percorsi attoriali da lui coltivati. Data una certa attitudine di Bene alla ritrosia (egli non amava discutere sempre di teatro), Savarese dovette adottare un approccio largo: dalla superficie si sarebbe poi tentato di scandagliare e approfondire le tematiche emerse. Rileggendo oggi l’intervista, a distanza di più di due decenni, si intravede ancora lo sguardo analitico di uno studioso che mirava soprattutto a investigare quella specifica componente del mestiere dell’attore a cui egli aveva già rivolto le proprie attenzioni in altri contesti e riguardo ad altre civiltà teatrali: le componenti interne, “segrete”, d’Automne. Nello stesso anno egli propose lo spettacolo anche al Teatro Argentina di Roma; presso il Centro di Produzione Tv di Napoli, infine, egli realizzò una versione televisiva, trasmessa da Rai 2 il 5 aprile 1997. 8 Quella del dicembre 1988 all’Argentina fu la quarta e ultima edizione dello spettacolo (Pinocchio, ovvero lo spettacolo della Provvidenza). Insieme con Bene era presente sulla scena Sonia Bergamasco, come poi anche nella versione televisiva realizzata l’anno successivo per la Rai. 13
dell’arte attoriale, soggiacenti e precedenti all’atto performativo. Si sarebbe poi tentato di affrontare i punti nodali del discorso più da vicino, cercando di cogliere ogni occasione per ulteriori approfondimenti. In tutto l’incontro si respira l’aria di una certa convivialità e di una confidenza consolidate, cresciute nel piacere della condivisione e del trascorrere del tempo insieme, nella somiglianza e nella differenza. È risaputo che Bene, artefice della scena, invoca lo spaesamento del significato e la sottrazione del logos: un atteggiamento rispetto al quale ogni interpretazione critica si trova in partenza ridimensionata9. Ma più che dichiararsi nemici o ciecamente seguaci del suo pensiero, porsi nella direzione da lui indicata può servire a guardare alle cose con uno sguardo retrospettivo e prospettico, gettando nuova luce su una complessa figura di intellettuale e artista la cui opera è ancora, su molti fronti, inesplorata. In questo senso, il documento qui presentato può risultare utile a chi intenda investigare tale figura con un’ottica unitaria. Attualmente, la ricezione di Bene sembra conoscere una curiosa e strana sorte: da 9 Dalla constatazione della difficoltà di intavolare un’operazione critica muove anche, come premessa, l’ampio volume di Simone Giorgino sulle opere letterarie di Carmelo Bene: L’ultimo trovatore. Le opere letterarie di Carmelo Bene, Milella, Lecce 2014, p. 21. Una precauzione analoga, dal punto di vista metodologico, era stata posta anche da Emiliano Morreale nella prefazione al volume da lui curato C. Bene, Contro il cinema, minimum fax, Roma 2011, p. 6.
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un lato egli è citatissimo in ogni tipo di contesto (spesso anche fuori contesto), dall’altro appare ancora trascurato nel fondo e nella sostanza del suo pensiero e della sua critica. È importante rimarcare il carattere non formale di questa intervista. Rispetto alla trascrizione originale, nell’edizione sono stati apportati alcuni tagli e interventi che hanno espunto le parti più vincolate alla contingenza e tematicamente estrinseche rispetto agli argomenti di discussione, fra cui alcuni riferimenti alla politica e le interiezioni colorite tipiche di una conversazione privata. Si è dovuto inoltre rinunciare ad alcune parti che si presentavano già lacunose nella sbobinatura: poiché le cassette originali sono andate perdute, non è stato possibile sopperire a tali lacune, che nel testo si presentano con il segno [...]. Rimangono tuttavia invariate l’immediatezza e la freschezza di un confronto vivace e confidente. Bene, che sapeva di essere registrato, non rilesse la trascrizione del testo dell’intervista. Anche per questo motivo l’invito è ad assumerne le parole per ciò che esse sono: parole in libertà, pronunciate nella propria casa, alla presenza di un amico.
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Cronache di una gentilezza Ovvero conoscere Carmelo Bene senza la bibliografia precedente di Nicola Savarese Ieri sparì, Domani non è giunto, l’Oggi se ne va via senza fermarsi; Sono un Fu, un Sarà, un È già smunto. (Francisco De Quevedo, Sonetti amorosi e morali)
1. Proemio Mio fratello Massimo mi telefonò: parto con moglie e figli per il Canada per incontrare il papa. Il papa?! Ma se abitate a Roma e potete vederlo ogni domenica e anche all’udienza del mercoledì, che andate a fare in Canada? Giornata Mondiale della Gioventù! Giornata mondiale della gioventù. Allora decisi che per pareggiare quel viaggio, avrei fatto, per la prima volta in vita mia, una vacanza da vero turista. Scelsi quindici giorni alle Maldive e volai. Dopo la prima settimana avevo finito tutti i libri e per fare a piedi il giro dell’atollo ci mettevo otto minuti. Si prospettava una seconda settimana di noia. Il 16 marzo di quell’anno 2002 era morto Carmelo Bene e ancora non gli 53
avevo detto quanto ero rimasto incantato nel frequentarlo per qualche estate a Otranto. Presi carta e penna e mi misi a scrivere. Sarebbe piaciuta anche a te questa luna musulmana che attrae Venere in un abbraccio come nell’etichetta del San Marzano. Tu che non uscivi di casa per mesi e ti annoiavi della folla otrantina, da tenersi a debita distanza, chiusa fuori dal tuo regno, vera casamatta d’artista. Tu che ordinavi il pesce per telefono, verso sera, perché cuocesse lentamente di notte per gli ospiti e ne buttavi il ventre troppo grasso o lo facevi bruciare in modo che scolasse. E ti meravigliavi dei giochi di spiaggia dei tuoi commensali, come arrivare al mare di mattina alle sei, farsi il bagno alle sette e poi alle otto tornare a casa a lavorare. Lavorare? Che parola grossa buttata là distrattamente da noi travet del tavolino a te che vegliavi di notte e dormivi di giorno fino a sera, sicché il tramonto era un’alba da festeggiare col lusso di qualche amico o donna fedeli. Tu che pasteggiavi col succo di mirtilli per simulare il vino rosso ormai proibito, quasi proibito, e non tenevi ad altri vincoli che le chiacchiere quotidiane di gente a modo, ma a volte evase, le chiacchiere, o impennate verso sfilacciamenti di pensiero rasenti il vezzo di stare lontani dal centro e sentirne la noia. Ma anche tutto il beneficio di starsene un po’ quieti alla fin fine. E intanto tutto un frusciare di carte rigorosamente manoscritte, raramente affiorate nella discussione, forse sottratte, per sempre, a noi. Il telefono bollente, come il 54
portacenere di sigarette a metà consumate, sempre troppe, per il gusto di tenerle in mano e soffiare fumo dalla vita. O, segnale di tornaconto salutare, prendere sottobanco in farmacia sigarettine di erbe, proprio erbe puzzolenti. Fruscii di parole, sorrisi e ironici lazzi di una serata ogni volta diversa sul filo di qualche memoria di tuoi spettacoli o di persone indecenti. E poi, improvvisamente, una trovata: farsi dare la cittadinanza onoraria, quasi che, straniero perpetuo del pensiero, tornare a casa fosse un tuo diritto pubblico e morale. Perché si può canzonare la patria del nemo propheta e rischiare anche di essere rifiutati e maledetti, ma non ci si può sottrarre alla festa quando, santo patrono, torni trionfante dall’altare maggiore alla cappella. Così, passato agosto, si mise al galoppo la fantasia per raddrizzare serate un po’ scialbe e troppo simili, per la stanchezza non tua ma nostra, di chi aveva il vezzo di lavorare anche d’estate. Ma come essere cittadini onorari quando si è nati là, dove il neonato ha già impresso il suo destino? Si è cittadini onorari quando si onora il nome anche rinnegando i natali. Bentornato, dunque, a Campi Salentina dove nascesti e ben venga a destra e a manca il chiacchiericcio bizantino dei gazzettieri di provincia. Finalmente si comincia. Ora si fa sul serio. Ripartiva lo spirito o piuttosto il divertimento di un’estate prima troppo cheta e ora risolta proprio sull’orlo dell’autunno. Così non può continuare, si capisce poco e niente. È meglio iniziare da capo. 55
2. Folgorante amicizia Tutto ebbe inizio nella primavera del 1992. Insegnavo Storia del teatro e dello spettacolo all’Università di Lecce. Un giorno mi telefonò da Bari Egidio Pani, critico teatrale della «Gazzetta del Mezzogiorno», amico e galantuomo. Mi disse: caro Nicola, Carmelo Bene si è fatto un’operazione di by-pass, e quando è uscito dall’ospedale tutti gli amici che aveva si sono dileguati, non gli rispondono più neanche al telefono. Lui ha una casa a Otranto e verrà giù a breve. Avrebbe molto piacere di fare una conferenza all’Università di Lecce. Conferenza? Rimasi molto sorpreso, perché sapevo o forse immaginavo che Carmelo Bene fosse refrattario all’ambiente accademico. Ma Egidio, non è che mi combinerà dei guai? Quello è un piantagrane. No, no, stai tranquillo, l’ha chiesto lui, vedrai andrà tutto bene. Guarda, Egidio, tu mi fai un regalo però noi soldi per pagarlo non ne abbiamo. No, no, viene gratis... Gratis? D’accordo, dagli pure il mio numero di telefono, sarà un bell’incontro. Bene mi telefonò qualche giorno dopo e ci accordammo sulla data e l’ora della conferenza, giovedì 18 giugno, ore 18. In quel periodo non c’erano né lezioni né esami, ma dato il conferenziere in campo avremmo avuto pubblico. Andai a prenderlo a Otranto con la mia macchina. Lui scese le scale della cittadella alla fine del Lungomare degli Eroi, dove ancora oggi c’è il ristorante Acmet Pascià. Il nome del conquistatore di Otranto l’ho suggerito io ai 56
proprietari, disse. Una persona dall’aspetto elegante, gentile e garbata. I capelli neri di henné, ma si sa gli artisti. Lo presi in macchina e ci facemmo una mezz’oretta fino a Lecce. Si informava sugli studenti, sui corsi. Normalità sospetta? Arrivati a destinazione, sarebbe esploso con le sue invettive, avrebbe attaccato tutto e tutti, come lo avevo sentito fare qualche volta in Tv? Non ero mai stato un patito di Carmelo Bene. Nel 1974, al Teatro Quirino di Roma, avevo visto lo spettacolo S.A.D.E. ovvero libertinaggio e decadenza del complesso bandistico della gendarmeria salentina. Ricordo una gran confusione, ma allora io ero un secchione ordinato. Però ero stato molto impressionato dai suoi film: in primo luogo da Nostra Signora dei Turchi (che non avevo visto a teatro), poi da Salomè e Don Giovanni, visti tutti nei cineclub romani. Nostra Signora lo vidi tre volte e con gli amici avevamo imparato a memoria alcune celebri battute: «Abitava in un castello moresco... Ci sono cretini che hanno visto la Madonna e ci sono cretini che non hanno visto la Madonna. Io sono un cretino che la Madonna non l’ha vista...», un monologo pazzesco. Per non parlare, poi, dell’esplosione della romanza Vorrei baciare i tuoi capelli neri – il vero titolo era Musica proibita – che in quell’anno ’68 era una provocazione bella e buona al pattume rock in circolazione. E poi c’erano gli incontri televisivi, quelli scoppiettanti di intelligenza, battute e arguzie. Ma di Carmelo Bene non avevo letto niente. E nemmeno di libri scritti su di lui. Una lacuna? Può darsi. 57
Parlammo di cose generali, del fatto che Lecce fosse una città isolata, che nell’università la storia del teatro fosse ai margini delle altre materie. Gli studenti però erano interessati e per me costituivano un banco di prova, una sfida a portarli anche più in là del teatro. Insomma potevo spaziare al di là dei miei stretti argomenti. Non solo i poeti salentini passati e ripassati nei corsi dei prof locali, ma anche, che so, Baudelaire o Yeats: «Fu là nei giardini dei salici che io e la mia amata ci incontrammo; / Ella passava là per i giardini con i suoi piccoli piedi di neve. / M’invitò a prendere amore così come veniva, come le foglie crescono sull’albero; / Ma io, giovane e sciocco, non volli ubbidire al suo invito»1... Era mediamente interessato ai miei discorsi, un po’ sulle sue. Come me, del resto: mi riusciva difficile guidare e pensare che, da un giorno all’altro, un grande attore come lui sedesse in auto al mio fianco. Decidemmo di darci del tu. Sebbene l’aula di Palazzo Carrozzini fosse abbastanza grande, i convenuti non ci entravano tutti, erano troppi. Comunque, un po’ seduti, un po’ in piedi, un po’ sui davanzali delle finestre, cominciammo quella benedetta conferenza nel tardo pomeriggio. Bene dette un titolo all’incontro: Voice computer, computer voice, in cui avrebbe parlato del rapporto tra la voce e le nuove tecnologie, soprattutto dell’amplificazione2. Se dovessi dire tutti gli 1 2
W.B. Yeats, Poesie, a cura di R. Sanesi, Mondadori, Milano 1974. In seguito Carmelo Bene mi parlò, senza approfondire, di una sua 58
argomenti di cui Bene parlò potrei dire che, tranne la parola phonè, non mi ricordo nulla. Non perché abbia dimenticato, ma perché la phonè era complicata da capire su due piedi. E poi durante la conferenza ero attratto e distratto dalle facce dei presenti: sguardi estasiati, rapiti, come se avessero visto la famosa Madonna. Gli studenti e i colleghi non si aspettavano la sua presenza. Tutta la situazione faceva anche a me una certa impressione. In fondo ero incredulo. Proprio un fulmine a ciel sereno, la sua apparizione. Come Dio volle, la conferenza terminò e tutto era filato liscio. Tornammo a Otranto e mi disse: perché non ti fermi da me a cena? ci sarà un po’ di pesce. Il pesce era enorme, cotto alla brace come lui preferiva. Lo metteva su una graticola: la parte di sotto si abbrustoliva o si bruciava, e quella di sopra si cuoceva per induzione. Si mangiava solo la metà superiore, quella inferiore si buttava. Buttar via almeno la metà della roba buona che si scrive, diceva Hemingway. Erano buoni pesci. A fine stagione pagava conti salatissimi. Feci in questa occasione la conoscenza di Luisa Viglietti, una premurosa ragazza napoletana, costuricerca sulla voce finanziata dal Cnr. Mi fa piacere qui ricordare che per il Cnr, con sede a Padova, aveva lavorato sullo stesso argomento il cantante e musicologo Demetrio Stratos a metà degli anni Settanta. Il professor Franco Ferrero che seguì gli esperimenti affermò che la ricerca di Stratos aveva fatto emergere «la preminenza del significante rispetto al significato», un concetto divenuto poi un vero slogan per Bene. 59
mista dei suoi ultimi spettacoli e sua compagna, che lo seguiva in queste vacanze estive salentine. E fu una serata chiacchierata, in amabile conversazione. Continuavo ad essere sorpreso, come gli spettatori della conferenza. Non mi sembrava affatto la tigre in gabbia che conoscevo dai dibattiti televisivi, con le sue intemperanze verbali contro critici e giornalisti. Un signore, come si dice, un cordiale padrone di casa lontano da ogni possibile scandalo e battibecco. Mi chiese se volevo vino. Lui non beveva. Ma sì, ne berrò un goccio anch’io, per te solo, con un po’ di ghiaccio. Di solito beveva della granatina o uno sciroppo di mirtilli perché avevano il colore del vino. Molto dilungati con acqua, per via dello zucchero. La sua casa di Otranto era molto bella: aveva l’ingresso in via Padre Scupoli, all’interno della città vecchia, ma tre finestre dominavano i bastioni che davano sul mare del porto con una sontuosa veduta. Stanze bianche, spoglie, con tavoli di cristallo in modo che tutto sembrasse trasparente. Una grande cucina, uno studio. Così si fece una certa ora. Quando vuoi, torna, torna. E mi dette il numero di telefono di casa. Il giorno dopo ricevetti una telefonata verso mezzogiorno. Ma perché non vieni a cena anche questa sera? Guarda, stare con te è una bella cosa, però non vorrei essere di incomodo... Ma no! Vieni, vieni, che ci mangiamo ancora del pesce e chiacchieriamo un po’. Fui di nuovo sorpreso, perché lo immaginavo un personaggio schivo con gli estranei. Ma ti rendi conto che hai conosciuto Carmelo 60
Bene? mi dicevo. Non tanto il fatto di averlo incontrato quanto quello di non aver fatto nulla perché l’incontro avvenisse. Regalato. In effetti non avevo fatto nessuna fatica. E questo, lo sapevo, l’avrei scontato prima o poi. Ma intanto incassavo, conoscevo e frequentavo i due uomini di teatro più importanti del Salento: Eugenio Barba e Carmelo Bene3. Come regalo gli portai un mio libro appena pubblicato da Laterza: Teatro e spettacolo fra Oriente e Occidente. Quando lo vide disse alla Luisa: ma è la stessa collana in cui è stato pubblicato Schopenhauer! Sì, Carmelo, questa collana è la Bul, in cui oggi la Laterza pubblica praticamente tutto: Schopenhauer, Savarese e Pinco Pallino. Ma che c’entra! E poi, un librone di questa portata!... Ti voglio regalare anch’io un libro. Mi regalò Il teatro senza spettacolo con la dedica seguente: «a Nicola Savarese folgorante amicizia suo Carmelo (Bene) giugno 1992». Insomma, un principe e nello stesso tempo un amico improvviso: una persona affabile e mite che non faceva affatto pensare all’abisso della turbolenta fama che si era procurato. Non ricordo di essere stato ancora a Otranto prima che tornasse a Roma. E misi il suo libro da parte fra le letture da fare nelle imminenti vacanze. 3 Un confronto antropologicamente ben concertato tra i due teatranti salentini: P. Giacchè, Eugenio Barba e Carmelo Bene. Vite parallele e viaggi perpendicolari, in «Teatro e Storia», n.s., 33, 2012, pp. 321-332.
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Seconda giornata
C.B. Allora, hai pensato a quella cosa? N.S. A più di una cosa ho ripensato, ad alcuni fili. Il filo del racconto degli spettacoli funziona benissimo. C.B. Quello, ti dicevo, è una cosa... N.S. Poi avevo pensato ad alcune domande molto mirate, nel senso che se tu mi darai delle risposte, mi piacerebbe poi sentire anche una tua idea sintetica. Per esempio, io mi ero appuntato questa faccenda dell’ostacolo... Pinocchio... C.B. Pinocchio, dici... lo devo fare quest’anno, ma è un’altra cosa. Pinocchio l’ho fatto nel ’61, nel ’66 e nell’81 con l’edizione immemorabile22. Pinocchio è la demolizioCarmelo Bene realizzò l’edizione del 1981 del suo Pinocchio in occasione del centenario del romanzo di Collodi: lo spettacolo andò in scena il 5 dicembre al Teatro Verdi di Pisa, con musiche di Gaetano Giani Luporini. Correggendo quanto riportato anche nelle Opere di Bene, Armando Petrini ha ricollocato la data della prima edizione del22
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ne della sintassi... oggi se ne parla tanto... Non hai visto la Pentesilea, non hai visto la numero uno, non hai visto la numero due... non hai visto neanche il Macbeth, non hai visto l’Egmont! Cioè non hai visto le mie opere sinfoniche, l’orchestra, a Santa Cecilia, alla Fenice, alla Scala, al Massimo di Palermo, al Comunale di Bologna, al Comunale di Firenze, a Cagliari... N.S. Come ti venne l’idea della sinfonica? C.B. Venne a Siciliani!23 Venne per Riccardo III. N.S. E hai fatto la prima cosa con lui? C.B. Sì, io facevo l’Otello quell’anno e durante l’Otello traducevo24. Mi dava carta bianca per sistemare i pezzi. I pezzi io li ho messi sulla musica: mi spiego, non come in Beethoven, nelle cinque ore dell’Egmont fatto a Milano tanto tempo fa, quelli servivano per coprire, cioè la musica veniva usata per coprire i rumori di fondo, dei cambi lo spettacolo al giugno del 1962 (cfr. A. Petrini, Amleto da Shakespeare a Laforgue per Carmelo Bene, Ets, Pisa 2004, pp. 87, 180). 23 Francesco Siciliani, incaricato dal 1977 alla direzione della programmazione artistica all’Accademia Santa Cecilia. Siciliani sottopose a Bene la proposta del Manfred, insieme a Peer Gynt di Ibsen con musiche di Grieg, dopo aver visto il Riccardo III al Teatro Quirino di Roma, nel febbraio del 1977. Bene tuttavia scelse di affrontare solo il Manfred, declinando l’invito del Peer Gynt per via del suo Otello già in cantiere per quell’anno. 24 Carmelo Bene debuttò con lo spettacolo Otello, o la deficienza della donna al Quirino il 18 gennaio 1979. Nella Vita di Carmelo Bene, l’autore definì l’Otello «il più lirico e bruciante» dei suoi spettacoli (C. Bene, G. Dotto, Vita di Carmelo Bene cit., p. 346). 134
di scena elefantiaci dei macchinisti. Io invece li ho messi in musica, tranne in alcune zone, ma sono pochi momenti. Tu puoi andare in musica o contro musica, in asincrono si dice, che è poi la stessa cosa rovesciata. Non hai visto Adelchi, credo, che è una cosa importantissima, forse la più importante, per la festa longobarda, il bicentenario manzoniano celebrato dalla Scala a Milano... Tutto esaurito! Poi, nella seconda parte della stagione, ho ripreso pure l’Otello. Ma l’Adelchi è monumentale per com’è fatto, tutto ripreso dalla Rai. È stato un evento, nel 198425. N.S. E questo lavoro con la musica tu lo facevi a casa con le cassette? C.B. Io lo facevo con la musica soltanto. Il Manfred si portò addirittura in America26, era la prima volta, che il mondo conosceva... il Manfred, l’ouverture, quindici, venti minuti e basta. La musica più struggente, il massimo della vertigine romantica: mi scendevano le lacrime, non ho mai pianto tanto. Lo tradussi io dall’inglese. Mentre 25 L’Adelchi di Bene fu poi trasmesso da Rai 2 l’anno successivo, nel settembre del 1985, in occasione del bicentenario della nascita di Alessandro Manzoni. 26 Bene accenna qui alla diffusione del suo disco del Manfred negli Stati Uniti, avvenuta grazie agli sforzi di Carlo Fontana, in quegli anni amministratore delegato della Fonit Cetra. Secondo quanto riferito da Bene, la registrazione della Fonit Cetra sarebbe stata infatti la prima negli Usa a proporre l’esecuzione integrale dell’opera, e non soltanto l’ouverture. Devo questa notizia a un’intervista che ho rivolto nel marzo del 2019 a Rino Maenza, che qui ringrazio per la sua disponibilità.
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ero alla Fenice di Venezia gli inglesi mi chiesero di farlo al Covent Garden: «Noi vogliamo lei, in italiano, non importa». Deleuze presentò il disco, in due o tre Lp, un cofanetto27. Per cui ti manca tutta la parte sinfonica. Poi feci anche l’Hyperion di Maderna, questo grande magma: parte opera lirica, parte in prosa, in una versione di un’ora, con Marcello Panni. Feci l’Egmont al Campidoglio, c’era Pertini... non perdeva mai i miei spettacoli, ma soprattutto i concerti, i miei non li perdeva mai. L’ho fatto lì, poi nella stagione invernale a Santa Cecilia, poi al Conservatorio Verdi anche, a Milano, direttore Marcello Panni. L’Hyperion, una proposta di un’ora, questo magma... lo feci insieme ai Canti di Leopardi, in due tempi, con musica di Luporini. Basterebbe questo, non avessi fatto né il cinema né la radio né il teatro né la televisione! N.S. Qual è quello che ti ha dato più problemi, fra questi concerti sinfonici? C.B. Nessuno... N.S. E quegli ostacoli di cui parlavi...? 27 Prodotto dalla Fonit Cetra e registrato dal vivo alla Scala di Milano il 1° ottobre 1980, il disco del Manfred conteneva, oltre alla trascrizione del libretto, anche gli scritti di Gilles Deleuze, Manfred: un rinnovamento straordinario, nella traduzione di Jean-Paul Manganaro (poi anche pubblicato in francese in G. Deleuze, Deux régimes de fous. Textes et entretiens 1975-1995, Éditions de Minuit, Paris 2003, pp. 173-175), e di Giorgio Manganelli, Il privilegio della dannazione. Del Manfred esiste anche una registrazione video effettuata al Comunale di Bologna, con la direzione d’orchestra di Piero Bellugi.
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C.B. Mi rifacevo il testo, facevo un lavoro da librettista proprio, la stessa versione del Manfred: paginoni. Alla Scala, nove persone sul palco, quaranta minuti di ovazione, insomma la media era venti minuti, quaranta minuti di ovazione. Con il Manfred era proprio un vertice romantico, ci aveva azzeccato bene Siciliani... Nell’Egmont c’era invece Beethoven... il romanzo di Maderna era favoloso, poi fatti in due, tranne l’Hyperion che ero solo, tutti gli altri li ho fatti in due, io e una ragazzina, Barbara28. In Manfred c’era Lydia29 – una scenetta – poi i solisti, i cantanti. Questo nel Manfred, perché c’è il coro grosso; invece l’Egmont non ha coro, come non ce l’ha Maderna. E questa è stata una vera rivoluzione, andando oltre, estrapolando. Basterebbe quello, avessi fatto solo quella come esperienza... N.S. E il tuo lavoro consisteva in questa specie di sfrondatura dei testi...? C.B. Avevo carta bianca... N.S. Quindi lavoravi sul testo e poi da quel testo toglievi? Barbara Lerici, nel ruolo di Chiarina. L’attrice affiancò Carmelo Bene insieme al soprano Elisabeth Pruett nell’Egmont presentato il 30 giugno 1983 in piazza del Campidoglio, poi ripreso nel gennaio del 1984 all’Auditorium di via della Conciliazione. 29 Lydia Mancinelli, nel ruolo di Astarte. Il Manfred fu l’ultimo spettacolo del sodalizio artistico e affettivo con Bene, durato quasi un ventennio (il primo spettacolo insieme era stato La storia di Sawney Bean di Roberto Lerici, nel 1964, al Teatro delle Arti di Roma). 28
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C.B. Sì, lavoravo sentendo con un occhio la musica, che mi facevo dare in cassetta... N.S. E se non c’era un’edizione, te la facevi musicare o suonare? C.B. Difficile che non ci fosse un’edizione. Solo dell’Egmont c’erano dei pezzi musicali e basta. N.S. Ti venne fatta al pianoforte espressamente. C.B. Sì, sì. Io sceglievo le traduzioni, e anche i collocamenti degli stralci librettistici. Proprio violentando in un certo qual modo Beethoven: «Benissimo facciamolo prima così con il parlato sopra e poi dopo...» o, al contrario, una volta fu eseguita per sola orchestra. ...Mi spiego? Solamente in una zona c’era qualcosa di assegnato... i direttori mica mi chiamavano, facevo da me, quindi era un’operazione totale. Con molte riserve, non lo accettarono molto, anche l’Egmont lo stroncarono30. Di alcuni non è rimasta traccia, non se ne trovano. N.S. Un po’ forse perché a quel tempo le musiche erano teatrali, di accompagnamento. C.B. Poi ci sono due pezzi per soprano... Non era una parentesi, io avrei voluto anche continuare. Sai, Siciliani... 30 Alcuni articoli dell’epoca menzionano i problemi tecnici avvenuti durante la prima dell’Egmont, in piazza del Campidoglio nel giugno del 1983. La critica elogiò tuttavia la ripresa dello spettacolo, nel gennaio del ’84, all’Auditorium di via della Conciliazione a Roma. Cfr., per esempio, E. Valente, Carmelo Bene sconfigge Beethoven, in «l’Unità», 31 gennaio 1984, p. 10.
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N.S. Era molto importante questa collaborazione... Con un maestro... C.B. Fu la sua scoperta. Aveva una grande fiducia nel darmi uno spartito in mano, al rischio di sconvolgerlo, ma lui si fidava. N.S. Questa fiducia, questo orecchio naturale, non ti viene dal fatto che tu hai, come dire un timing perfetto, come dicono gli inglesi? Tu sei molto tempista sulla scena, proprio non svirgoli mai, lasci arrivare una cosa fino a un punto... e poi come dire, non vai mai fuori tempo. C.B. Fuori tempo? Io vado contro tempo... N.S. Naturalmente. C.B. Muti spiega: «La maggiore musicalità non è solo nella voce, ma nello spezzare del gesto, tutto spezzato. Un grande direttore d’orchestra muove le mani come un attore, basterebbe guardare le mani...»31. Ce l’hai, il Manfred alla Scala? N.S. E faceste le prove alla Scala, o prima? C.B. Sì, si fanno coi turni, due, tre prove rubate, ci alternavamo. A questo proposito, in una intervista, Muti ha addirittura affermato che «andando avanti, capisci che non c’è bisogno di fare tanta confusione sul podio. In teoria si potrebbe dirigere anche solo con gli occhi. A me talvolta è successo» (A. Bandettini, A scuola da Muti: il numero uno dei direttori d’orchestra spiega ai giovani i suoi segreti, in «Repubblica.it», 5 maggio 2015, https://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2015/01/05/news/riccardo_muti-104341802/; ultima consultazione marzo 2019). 31
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