Durata e tempo. «Sulle misure» «Sulla natura e proprietà dei continui», di Teodorico di Freiberg

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Teodorico di Freiberg

Durata e tempo Sulle misure Sulla natura e proprietĂ dei continui Introduzione, traduzione e note di Andrea Colli


Indice

Introduzione 7 1. Il problema del tempo nel XIII secolo

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1.1. Tradizioni a confronto, p. 8 - 1.2. Numerus motus e distentio animi, p. 11 - 1.3. La proposizione 200 della Condanna del 1277, p. 16

2. Durata e tempo negli scritti di Teodorico di Freiberg

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2.1. Il quinto capitolo de L’origine delle realtà predicamentali, p. 18 - 2.2 Gli scritti sul tempo, p. 20 - 2.2.1. La datazione, p. 21 2.2.2. Le fonti, p. 22

3. Il De mensuris 33 3.1. Ordo, mensura, pondus. La misurabilità del creato, p. 33 - 3.2. La durata come ragione e proprietà delle cose. Analisi delle opinioni dei precursori, p. 34 - 3.3. Le cinque tipologie di durata, p. 37 3.3.1. Superaeternitas, p. 37 - 3.3.2. Aeternitas, p. 38 - 3.3.3. Aevum, p. 39 - 3.3.4. Aeviternitas, p. 40 - 3.3.5. Tempus, p. 41 - 3.4. Passato, presente, futuro e la nozione di aevum currens, p. 43 - 3.5. La durata di una sostanza spirituale-individuale, p. 45 - 3.6. La nozione di «istante» e l’attività di misurazione, p. 48

4. Il De natura et proprietate continuorum 50 4.1. La natura e i generi dei continui, p. 50 - 4.2. Analisi della definizione aristotelica di tempo, p. 52 - 4.3. Il tempo e l’apprehensio rationis, p. 55 - 4.4. Per concludere: il tempo e le cose, p. 56 - 4.5. Argomenti contrari e risposte, p. 58 - 4.5.1. Il movimento e il binomio potenza-atto, p. 58 - 4.5.2. Tempo in atto e in potenza, p. 59 - 4.5.3. Esiste un tempo senza l’anima?, p. 59

5. L’indagine sulla natura del tempo. Un bilancio provvisorio

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Indice

Nota biografica

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Nota editoriale

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Trattato sulle misure

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Trattato sulla natura e proprietĂ dei continui

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Bibliografia

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Indice delle fonti

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Indice dei nomi

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Introduzione Noi diciamo: il tempo trascorre. Sta bene, lasciamolo trascorrere. Ma per poterlo misurare... Ecco, per essere misurabile dovrebbe trascorrere uniformemente, e dov’è scritto che lo fa? Per la nostra coscienza non lo fa, noi per motivi di ordine superiore poniamo soltanto che lo faccia, e le nostre misure sono soltanto convenzionali. T. Mann, Der Zauberberg1

1. Il problema del tempo nel XIII secolo Il pensiero scolastico è profondamente affascinato dal problema del tempo e gran parte degli scritti del XIII secolo ne costituiscono una significativa conferma. L’esistenza e la definizione del tempo, il suo legame con il movimento e con l’anima, la nozione di durata, la relazione tra eternità e temporalità sono tutte angolature o prospettive differenti, attraverso cui gli autori di questo periodo si interrogano sul divenire delle sostanze, indagando su ciò che si sottrae alla mutevolezza e alla caducità. La natura dei problemi sollevati e la raffinatezza degli argomenti addotti per risolverli non sono dunque mai artificiosi, bensì sottendono, quasi sempre, l’esigenza più radicale di offrire risposte a istanze che, in altre epoche, non esiteremmo a definire “esistenziali”. I punti di riferimento di questo ampio dibattito filosofico sono molteplici, come è stato approfonditamente documentato dalle ricerche di Auguste Mansion, Annaliese Maier, Udo Jeck, Kurt Flasch e Pasquale Porro2. Tuttavia, introducendo la traduzione e il commento del De mensuris e del De natura et proprietate continuorum – opere che il filosofo domenicano Teodorico di FreiT. Mann, La montagna incantata, trad. it. di E. Pocar, Tea, Milano 2005, p. 60. Si vedano tra gli altri A. Mansion, La théorie aristotélicienne du temps chez les péripatéticiens médiévaux, «Revue néo-scolastique de philosophie», 36 (1934), pp. 275-307; A. Maier, Die Subjektivierung der Zeit in der scholastischen Philosophie, «Philosophia naturalis», 1 (1951), pp. 361-398; A. Maier, Scholastische Diskussionen über die Wesensbestimmung der Zeit, «Scholastik», 26 (1951), pp. 520-556; K. Flasch, Was ist die Zeit? Augustinus von Hippo. Das XI. Buch der Confessiones. Historisch-philosophische Studie. Text – Übersetzung – Kommentar, Klostermann, Frankfurt am Main 1993, in particolare pp. 160-195; U.R. Jeck, Aristoteles contra Augustinum. Zur Frage nach dem Verhältnis von Zeit und Seele bei den antiken Aristoteleskommentatoren, im arabischen Aristotelismus und im 13. Jahrhundert, Grüner Verlag, Amsterdam-Philadelphia 1994 (Bochumer Studien zur Philosophie, 21); P. Porro, Forme e modelli di durata nel pensiero medievale. L’aevum, il tempo discreto, la categoria «quando», Leuven University Press, Leuven 1996 (Ancient and Medieval Philosophy, I/16). 1 2


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berg (1240-1310)3 dedica al problema del tempo e della durata –, non ci si può esimere dal distinguere, pur in modo piuttosto schematico e generale, le principali tradizioni che possono aver contribuito alla formazione del dibattito scolastico, consapevoli che la rigidità della catalogazione non può rendere effettiva giustizia delle infinite sfumature che contraddistinguono le singole concezioni del tempo, per le quali si rimanda invece agli studi sopracitati.

1.1. Tradizioni a confronto Le riflessioni sul tempo, elaborate nella seconda metà del XIII secolo, hanno come principale punto di riferimento il IV libro della Fisica di Aristotele. Come avviene anche per gli altri libri naturales aristotelici, la versione latina dell’opera si diffonde grazie a una prima, ma lacunosa, Translatio Vetus4, utilizzata sia da Roberto Grossatesta (1175-1253) che da Alberto Magno (1206-1280) nella redazione dei loro rispettivi commenti. In seguito, la traduzione assume una fisionomia più completa grazie alla Translatio Nova (o Recensio Nova) di Guglielmo di Moerbeke (1215-1286)5, il cui utilizzo è attestato a partire dalla redazione del Commento alla Fisica di Tommaso d’Aquino (1225-1274), databile intorno al 12696. Per amor di completezza, a queste due versioni latine dell’opera va aggiunta una terza traduzione che non prende le mosse dall’originale greco, bensì da una traduzione araba. Essa influenza la ricezione della Translatio Vetus nella prima metà del secolo, mentre risulta decisamente ininfluente con l’affermarsi della versione di Guglielmo7. 3

Cf. la successiva Nota biografica, pp. 63 sg.

4 Aristoteles Latinus, Physica: translatio vetus, ed. F. Bossier, J. Brams, E. J. Brill, Leiden-New York

1990 (Aristoteles Latinus VII.1.2), pp. 7-340. 5 Pur non trattandosi di un testo in edizione critica, si può qui assumere come punto di riferimento (e lo si farà anche in nota alla traduzione del testo) la Translatio nova (d’ora in poi sempre indicata con questa denominazione) allegata a S. Thomae Aquinatis Doctoris Angelici, In octo libros Physicorum Aristotelis Expositio, cura et studio P.M. Maggiolo, Marietti, Torino-Roma 1954. A proposito del dibattito sulla traduzione e trasmissione della Physica nel XIII secolo si vedano tra gli altri J. Brams, Das Verhältnis zwischen der Translatio Vaticana und der Translatio Vetus der Aristotelischen Physik, in A. Zimmermann (Hrsg.), Aristotelisches Erbe im arabisch-lateinischen Mittelalter. Übersetzungen, Kommentare, Interpretationen, De Gruyter, Berlin 1986 (Miscellanea Mediaevalia, 18), pp. 194-214; J. Brams / G. Vuillemin-Diem, Physica Nova und Recensio Matritensis – Wilhelm von Moerbekes doppelte Revision der Physica Vetus, in A. Zimmermann (Hrsg.), Aristotelisches Erbe im arabisch-lateinischen Mittelalter cit., pp. 215-288; J. Brams, La Recensio Matritensis de la Physique, in J. Brams, W. Vanhamel (a cura di), Guillaume de Moerbeke. Recueil d’études à l’occasion du 700e anniversaire de sa mort (1286) (Actes du Colloque), Leuven University Press, Leuven 1989 (Ancient and medieval philosophy I/7), pp. 193-220. 6 Brams / Vuillemin-Diem, Physica Nova und Recensio Matritensis – Wilhelm von Moerbekes doppelte Revision der Physica Vetus cit., p. 275. 7 Jeck, Aristoteles contra Augustinum cit., pp. 182-199.


Introduzione

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Alla Recensio Guillelmi, che è senza dubbio un testo fondamentale per poter comprendere il dibattito sul problema del tempo alla fine del XIII secolo, va affiancato il commento di Averroè (1126-1198), tradotto in latino da Michele Scoto (1175-1236) intorno al 12358. Pur trattandosi di una traduzione disorganica, cui non sarà apportata alcuna revisione fino al Cinquecento9, l’opera costituisce un compendio fondamentale per la lettura e l’interpretazione della concezione aristotelica del tempo, tanto da divenire, in molte rielaborazioni di fine XIII secolo, parte integrante delle definizioni contenute nel IV libro della Fisica. Alla dottrina del tempo aristotelica o, più correttamente, all’ampio e policromo quadro filosofico che si sviluppa intorno alla sua interpretazione, si vanno ad affiancare almeno altre due tradizioni, spesso intrecciate, che approdano nel XIII secolo dopo aver goduto di indiscutibile fortuna nell’Alto Medioevo, ragione che contribuisce, in molti casi, a rendere difficile un loro definitivo superamento da parte della «nuova» filosofia peripatetica. Una prima concezione di tempo, legata alla cultura neoplatonica, ha la sua, forse più autorevole, espressione ne La divisione della natura di Giovanni Scoto Eriugena (810-877), trovando poi ampio spazio nei secoli successivi anche grazie al contributo di autori come Gilberto Porretano (1070-1154)10. La particolarità di questa posizione consiste nel fissare l’attenzione sul problema metafisico della durata delle diverse sostanze e non tanto sul nesso fisico che si costituisce tra tempo e movimento. In tal senso, dunque, definire o descrivere la temporalità significa esaminare generalmente le distinzioni tra i livelli di durata (eternità, eviternità, tempo, ecc.) che possono essere attribuiti alle differenti realtà che compongono l’universum entium (Dio, intelligenze divine, corpi celesti, creature angeliche, sostanze corruttibili). Si tratta di una posizione profondamente radicata nella riflessione neoplatonica di Proclo (412-485) e dello Pseudo-Dionigi. Come potremo constatare analizzando gli scritti di Teo8 Sull’attribuzione della traduzione latina del Commentarium Magnum di Averroè alla Fisica si vedano, tra gli altri, H. Schmieja, Secundum aliam translationem – Ein Beitrag zur arabisch-lateinischen Übersetzung des großen Physikkommentars von Averroes, in G. Endress / J.A. Aertsen (eds.), Averroes and the Aristotelian Tradition: Sources, Constitution, and Reception of the Philosophy of Ibn Rushd (1126-1198): Proceedings of the Fourth Symposium Averroicum, Cologne 1996, E.J. Brill, Leiden 1999, pp. 316-336; D.N. Hasse, Latin Averroes Translations of the First Half of the Thirteenth Century, Olms, New York 2010. 9 Averroes, Aristotelis opera cum Averrois commentariis, Physicorum libri VIII, Venetiis apud Junctas, 1562-1574, vol. 4 [réimpr. Frankfurt, Minerva, 1962]. 10 P. Porro, Il vocabolario filosofico medievale del tempo e della durata, in R. Capasso / P. Piccari (a cura di), Il tempo nel Medioevo. Rappresentazioni storiche e concezioni filosofiche, Società Italiana di Demodossalogia, Roma 2000, pp. 70-71.


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dorico di Freiberg, tale lettura del problema troverà ampio spazio all’interno dei dibattiti sulle distinzioni essenziali tra le durate, dal momento che Aristotele, a questo proposito, offre certamente un contributo poco significativo. Un’altra importante tradizione filosofica, sorta nel solco della classicità latina, è senza dubbio quella agostiniana. Nel corso del XIII secolo l’XI libro delle Confessioni – sezione del testo in cui si affronta in modo approfondito il problema del tempo – rappresenta di fatto l’unica riflessione organica e articolata sull’esistenza e sulla natura della temporalità non riconducibile alla tradizione arabo-peripatetica. La lettura integrale dell’opera è fortemente caldeggiata nei noviziati di alcuni ordini religiosi, come documentato da alcune precise indicazioni di Umberto di Romans, maestro generale dell’Ordo Praedicatorum dal 1254 al 126311. Ciò attesta, dunque, una buona conoscenza e un’ampia diffusione delle Confessioni negli studia e nelle universitates studiorum del XIII secolo. Ciononostante, il particolare genere letterario, certamente molto lontano dalla trattatistica tipica di altre tradizioni di pensiero, ma anche fortemente dissimile dallo stile che lo stesso Agostino adotta in altri suoi scritti, induce i maestri universitari a fare riferimento perlopiù a passi desunti dagli ultimi tre libri (XI, XII e XIII) dell’opera, in quanto più facilmente interpretabili in chiave speculativa. In tal senso, dunque, l’XI libro delle Confessioni risulta frequentemente utilizzato come una sorta di trattato «autonomo» sul tempo e, per questa ragione, direttamente confrontabile con il IV libro della Fisica. Il confronto tra le tesi propugnate da due auctoritates così differenti dà luogo a esiti decisamente contrastanti. Molti maestri del XIII secolo, riconoscendo la diversa natura dei due testi, scelgono di non tener conto delle istanze teoriche agostiniane nel quadro di un’analisi strettamente filosofica del problema del tempo. Altri (la maggior parte) prendono nettamente le distanze dalle tesi agostiniane sul tempo salva reverentia beati Augustini12. Infine alcuni, tra cui Teodorico di Freiberg o Roberto Grossatesta13, provano, Humbertus de Romanis, Opera de vita regulari, ed. J. Berthier, Marietti, Torino 1956, p. 110. Henricus de Gandavo, Quodl. III, q. 11, ed. U. Jeck, in Jeck, Aristoteles contra Augustinum cit., p. 470, ll. 3-4: «Salva reverentia beati Augustini, non omnino negandum est tempus esse extra animam». 13 Robertus Grosseteste, Commentarius in VIII libros Physicorum Aristotelis et fontibus manu scriptis nunc primum in lucem, ed. R.C. Dales, University of Colorado Press, Boulder 1963, p. 88: «Nulla enim diffinicio temporis nocior ista, ut puto, potest inveniri, et omnes qui audiunt hoc nomen tempus intelligunt statim quod illud quod nominatur per tempus quicquid illud sit; mensura quidem motus est secundum prius et posterius. Et Augustinus cum quesivit essenciam temporis adhuc sibi ignotam apertissime novit et pronunciavit tempus esse mensuram motus. Non novit temporis essenciam et tamen novit quod tempus quicquid illud sit, habet comparacionem ad motum sicut mensura ad illud quod per illam mensuratur». 11 12


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in modo decisamente originale, a edulcorare le differenze tra le due posizioni per tentarne una possibile conciliazione. Pur essendo impossibile ripercorrere in poche pagine tutte le tappe di questo confronto teorico, è opportuno descrivere, almeno a grandi linee, le peculiarità delle due tradizioni, quella peripatetica e quella agostiniana, con lo scopo di individuarne i possibili punti di convergenza. Ciò potrebbe forse rendere più facile la comprensione di alcuni passaggi del De mensuris e del De natura et proprietate continuorum.

1.2. Numerus motus e distentio animi La definizione aristotelica costituisce un punto di partenza ineludibile per affrontare il problema del tempo. Essa esprime con tale chiarezza la stretta relazione tra l’esperienza della temporalità e il movimento fisico, che – secondo il Filosofo – la prima non potrebbe darsi senza la presenza del secondo: «Insomma, possiamo affermare che ci sia un tempo quando c’è un prima e un poi, proprio perché il tempo è il numero del movimento secondo il prima e il poi»14.

Al contrario, le osservazioni contenute nell’XI libro delle Confessioni mettono in luce un’esplicita diffidenza nei confronti di una radice fisica del tempo e insistono piuttosto su implicazioni di natura psicologica: «Mi è quindi sembrato che il tempo non sia altro che una distensione. Però non so di che cosa; ma sarebbe strano se non fosse distensione dell’anima stessa»15.

Assumendo per un attimo la posizione di quei maestri del XIII secolo che reputavano inopportuno paragonare due soluzioni così antitetiche, in quanto 14 Aristoteles Latinus, Physica, IV, 11, 219b1-2; translatio vetus, p. 175, ll. 15-17: «Cum prius et posterius est, tunc dicimus tempus; hoc enim est tempus: numerus motus secundum prius et posterius». Translatio nova, p. 281: «Cum autem prius et posterius est, tunc dicimus tempus: hoc enim est tempus, numerus motus secundum prius et posterius». Trad. it. di R. Radice, Bompiani, Milano 2011, p. 389. 15 Augustinus, Confessiones, XI, 26, n. 33, ed. L. Verheijen, Brepols, Turnhout 1983 (Corpus Christianorum Series Latina, 27), p. 211: «Inde mihi visum est nihil esse aliud tempus quam distentionem: sed cuius rei, nescio, et mirum, si non ipsius animi». Trad. it. di G. Reale, Bompiani, Milano 2013, p. 1071. Si è ritenuto opportuno apportare qui una modifica alla versione di Reale. Per rendere ragione, della distinzione tra i termini distentio, intentio ed extentio che lo stesso Agostino introduce nell’XI libro delle Confessioni (Augustinus, Confessiones, XI, 29, n. 39, ed. L. Verheijen, CCSL 27, pp. 214-215), si è scelto di tradurre distentio con «distensione» e non con «estensione», come proponeva il traduttore. Il termine scelto è presumibilmente poco efficace in italiano, ma evita di essere equivocato con il latino extensio che Agostino usa con tutt’altro significato.


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elaborate secondo registri epistemologici differenti, proviamo a mettere in luce la diversa natura delle due opere e le distinte ragioni che muovono i loro rispettivi autori. Aristotele colloca la sua analisi in totale continuità con la riflessione fisica che aveva condotto nelle pagine precedenti del suo trattato e che aveva interessato, tra le altre cose, la nozione di continuo, di spazio, di movimento e di vuoto. Agostino, invece, pur cimentandosi in un’analisi, in un certo senso, speculativa, affronta il problema del tempo in stretta continuità con quanto era emerso dalla narrazione delle sue vicissitudini esistenziali e in modo particolare con l’articolata digressione sulla memoria contenuta nel X libro. In tal senso, infatti, si spiega la profonda attenzione rivolta all’atto memorativo e, più in generale, agli sviluppi psicologici che il problema della temporalità comporta. Sebbene ciò non significhi necessariamente che un confronto teorico tra le due posizioni sia del tutto impraticabile, è comunque indispensabile individuare una «breccia» nell’una e nell’altra tesi, affinché possano essere messe in comunicazione. In questa direzione si muovono alcune riflessioni che individuano nella complessa relazione tra anima e tempo, che Aristotele descrive nel quattordicesimo capitolo del IV libro della Fisica (223a21-29), il possibile punto di contatto tra le due tradizioni. «A tal punto qualcuno potrebbe sollevare il seguente problema: se non ci fosse l’anima, il tempo ci sarebbe, oppure no? Nell’impossibilità che esista un soggetto numerante è impossibile che esista un oggetto numerato, e quindi ecco dimostrato che il numero non ci sarebbe, perché esso o è realtà numerante o è realtà numerata. Ma se in natura non si dà nulla tranne l’anima e l’intelletto dell’anima <capaci di> numerare, in assenza dell’anima necessariamente non esisterebbe il tempo, se non nella forma dell’ente che è in qualsiasi momento: questo, ad esempio, nell’ipotesi che possa esserci il movimento, ma non l’anima. In tal caso il prima o il poi risiedono nel movimento e il tempo consiste in questo prima e poi ma in quanto sono numerabili»16. 16 Aristoteles Latinus, Physica, IV, 14, 223a21-29; translatio vetus, p. 188, l. 10 - p. 189, l. 2: «Utrum autem cum non sit anima, erit tempus aut non? Dubitabit enim aliquis; inpossibile enim cum sit numerantem esse, inpossibile est et numerabile aliquod esse; quare manifestum est quia neque numerus; numerus enim est aut quod numeratur aut numerabile. Si autem nichil aliud aptum natum est quam anima numerare et anime intellectus, inpossibile est esse tempus anima si non sit, sed aut hoc quod aliquando cum sit, tempus est, ut si contingit motum esse sine anima. Prius autem et posterius in motu sunt; tempus autem hec sunt secundum quod numerabilia sunt». Translatio nova, p. 308: «Utrum autem, cum non sit anima, erit tempus an non, dubitabit utique aliquis. Impossibile enim cum sit numeraturum esse aliquem, impossibile est numerabile esse aliquod. Quare manifestum est quia neque numerus est: numerus enim aut quod numeratur est, aut numerabile. Si autem nihil aliud aptum natum


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A ben guardare, però, l’argomentazione aristotelica, anche in questo particolare passaggio, è piuttosto distante dai presupposti teorici che muovono la riflessione agostiniana dell’XI libro delle Confessioni. Per Aristotele, infatti, il problema centrale resta la numerazione del movimento e l’attività dell’anima è chiamata in causa esclusivamente con lo scopo di designare una causa agente nel processo di misurazione. Nelle Confessioni, invece, il nesso con il movimento, sia esso locale o celeste, è considerato troppo debole per costituire il fondamento del tempo17, che convenzionalmente è tripartito in passato, presente, futuro, ma in realtà consiste in una distensione (distentio) dell’animo umano che fa esperienza del passato nella memoria, del presente nell’attenzione, del futuro nell’attesa. «Questo, però, ora è chiaro ed evidente, che né il futuro né il passato sono, e che non è appropriato dire: i tempi sono tre, passato, presente e futuro; sarebbe forse più appropriato dire: i tempi sono tre: il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro. Questi tre tipi di tempi sono in qualche modo nell’anima, io non li vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente è l’immediato vedere e il presente del futuro è l’attesa. Se mi si permette di esprimermi in quest’altro modo vedo tre tempi e confesso che sono tre. Si continui pure a dire che i tempi sono tre, ossia passato, presente e futuro, così come si è abituati a dire; si dica pure così. Io non me ne curo, né faccio opposizione, né muovo rimproveri; a patto che si comprenda ciò che si dice, ossia che il futuro ora non è, e che neppure il passato è. Sono poche le volte in cui noi parliamo in modo appropriato; il più delle volte noi non ci esprimiamo con proprietà, però viene compreso quello che intendiamo dire»18.

est quam anima numerare, et animae intellectus, impossibile est tempus esse, anima si non sit. Sed aut hoc, quod utcumque ens est tempus, ut si contingit motum esse sine anima. Prius autem et posterius in motu sunt: tempus autem haec sunt secundum quod numerabilia sunt». Trad. Radice, p. 413. 17 Augustinus, Confessiones, XI, 23, n. 29, ed. L. Verheijen, CCSL 27, pp. 208-209: «Audivi a quodam homine docto, quod solis et lunae ac siderum motus ipsa sint tempora, et non adnui. Cur enim non potius omnium corporum motus sint tempora? An vero, si cessarent caeli lumina et moveretur rota figuli, non esset tempus, quo metiremur eos gyros et diceremus aut aequalibus morulis agi, aut si alias tardius, alias velocius moveretur, alios magis diuturnos esse, alios minus? Aut cum haec diceremus, non et nos in tempore loqueremur aut essent in verbis nostris aliae longae syllabae, aliae breves, nisi quia illae longiore tempore sonuissent, istae breviore? Deus, dona hominibus videre in parvo communes notitias rerum parvarum atque magnarum. Sunt sidera et luminaria caeli in signis et in temporibus et in diebus et in annis. Sunt vero; sed nec ego dixerim circuitum illius ligneolae rotae diem esse, nec tamen ideo tempus non esse ille dixerit». 18 Augustinus, Confessiones, XI, 20, n. 26, ed. L. Verheijen, CCSL 27, p. 207: «Quod autem nunc liquet et claret, nec futura sunt nec praeterita, nec proprie dicitur: tempora sunt tria, praeteritum, praesens et futurum, sed fortasse proprie diceretur: tempora sunt tria, praesens de praeteritis, praesens de praesentibus, praesens de futuris. Sunt enim haec in anima tria quaedam et alibi ea non video,


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La scelta di confrontare o di contrapporre due argomentazioni di natura così differente è stata fatta presumibilmente nella consapevolezza che non si stavano considerando adeguatamente tutti gli elementi dell’uno e dell’altro testo, in modo particolare delle Confessioni, ma che era, in ogni caso, necessario ingaggiare il maggior numero di auctoritates al fine di mostrare la centralità dei problemi che si andavano ad analizzare. L’appiglio che consente questo tipo di operazione è rappresentato dall’aporeticità con cui Aristotele pone il problema della relazione tra anima e tempo e che emerge, pur in modo differente, anche nelle pagine dello scritto agostiniano. Tra l’altro la vicinanza tra alcune affermazioni di Agostino e quanto contenuto nelle Enneadi di Plotino19, che di certo aveva letto Aristotele, potrebbe lasciare aperta la possibilità che attraverso una serie di mediazioni indirette, il filosofo di Ippona fosse stato effettivamente influenzato dalla tradizione greca, quantomeno nella posizione del problema. In ogni caso, secondo molti autori del XIII secolo, Agostino, pur avendo frainteso la vera natura del tempo – che si fonda sul nesso con il movimento –, ha avuto il pregio di comprendere che l’anima ha una funzione fondamentale nella sua costituzione, in quanto – aristotelicamente parlando – rende numerato ciò che nella realtà extramentale è numerabile. Nel quadro di questo riadattamento aristotelico della dottrina del tempo agostiniana giocano un ruolo fondamentale l’interpretazione di Fisica 223a21-29 proposta da Averroè e, aspetto generalmente trascurato dagli studi critici, ma decisamente rilevante, altri scritti agostiniani, ben noti agli autori del XIII secolo, che toccano, seppur tangenzialmente, il problema del tempo, andando con maggior convinzione nella direzione tracciata dalla tradizione aristotelica, quali, per esempio, La Genesi alla lettera o L’immortalità dell’anima20. Per quanto riguarda la prima interpretazione occorre ricordare che, secondo Averroè, affermare che il tempo è numerus motus secundum prius et posterius significa porre l’accento sulla sua duplice natura: estrinseca, in virtù della relazione con il movimento (partim in re extra); intrinseca, in quanto legata in modo imprescindibile all’esistenza di un numerante, l’anima (partim in praesens de praeteritis memoria, praesens de praesentibus contuitus, praesens de futuris exspectatio. Si haec permittimur dicere, tria tempora video fateorque, tria sunt. Dicatur etiam: “Tempora sunt tria, praeteritum, praesens et futurum”, sicut abutitur consuetudo; dicatur. Ecce non curo nec resisto nec reprehendo, dum tamen intellegatur quod dicitur, neque id, quod futurum est, esse iam, neque id, quod praeteritum est. Pauca sunt enim, quae proprie loquimur, plura non proprie, sed agnoscitur quid velimus». Trad. Reale, p. 1057. 19 Plotinus, Enneades, III, 7, ed. P. Henry / H. Schwyzer, Clarendon Press, Oxford 1964, pp. 337-361. 20 A. Colli, Tracce agostiniane nell’opera di Teodorico di Freiberg, Marietti 1820, Milano-Genova 2010 (Collana di Saggistica, 121), pp. 144-146.


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anima)21. Recuperando, dunque, la coppia concettuale aristotelica «potenzaatto» (o «materia-forma»), il filosofo di Cordova mostra come, da un punto di vista meramente materiale, il tempo possa essere considerato alla stessa stregua delle quantità successive che determinano il movimento, mentre, da un punto di vista attuale, e dunque nella completezza della sua definizione (complementum formale), esso richieda l’intervento di un agente numerante. In questa prospettiva, secondo Enrico di Gand († 1293), affermato interprete della concezione averroistica del tempo, l’azione dell’anima introduce un elemento discreto nel continuo del movimento, costituendo, di fatto, il 21 Averroes, Aristotelis opera cum Averrois commentariis, Physicorum liber IV, comm. 131, Venetiis apud Junctas, 1562-1574, vol. 4 [réimpr. Frankfurt, Minerva, 1962], 202rB-202vH: «Cum dissolvit secundam quaestionem, reversus est ad primam, et dixit: Et quaerendum est, utrum sit possibile, etc. Idest, et quaeritur de tempore, utrum inveniatur extra animam, sicut est in anima. Et sic erit, licet non comprehendatur ab anima, si posuerimus animam deficere, sicut erit si apprehensatur ab anima. Et ista est dispositio entium naturalium. Aut est impossibile, ut sit in actu, nisi anima sit. Deinde incepit declarare hoc, et dixit: Dicamus igitur, quod, cum numerans non fuerit, ergo numerare non erit, idest, et, cum res numerans, quae est anima, non fuerit, tunc numerare, quod est actio rei numerantis non erit. Deinde dixit: Manifestum est igitur, quod numerus, etc. Idest, et cum numerare, quod est actio numerantis, non fuerit, manifestum est, quod numerus non erit. Numerus enim aut est numeratum aut actio numerantis in numerato, ides illud, per quod numerat numerans. Et hoc intendebat, ut mihi videtur, cum dixit, aut illud, per quod numeratur, idest, aut illud, per quod numerat numerans. Et, cum manifestum est, quod numerus non est numeratum, ergo est actio numerantis in numerato. Et est manifestum, quod, cum numerans non fuerit, actio eius non erit. Deinde dixit: Et, cum nihil innatum sit, etc. Idest, et, cum sit declaratum, quod, cum numerans non fuerit, non erit numerus. Et est impossibile, aliquid aliud numerare praeter animam et de anima intellectus. Manifestum est, quod, si anima non fuerit, non erit numerus. Et, cum numerus non fuerit, non erit tempus. Et, quia esse numeri in anima non est omnibus modis esse <in anima>, quoniam, si ita <esset>, esse fictum et falsum, ut Chimera et Hircocervus. Sed esse eius extra mentem est in potentia propter subiectum proprium. Et esse eius in anima est in actu, scilicet quando anima egerit illam actionem in subiecto praeparato ad recipiendum illam actionem, quae dicitur numerus, dixit: Nisi sit ex illo, etc. Idest, et cum non fuerit anima, non erit tempus, nisi aliquis dicat, quod erit, et si anima non fuerit ex illo, quod, cum fuerit in actu, tempus erit in potentia. Et hoc est suum subiectum proprium, scilicet motus aut motum. Et hoc intendebat, cum dixit: verbi gratia quoniam possibile est, et motus sit absque eo, quod anima sit. Idest, et motus erit, et si anima non erit. Et secundum quod prius et posterius sunt in eo numerata in potentia, est tempus in potentia. Et secundum quod sunt numerata in actu, est tempus in actu. Tempus igitur in actu non erit, nisi anima sit. In potentia vero erit, licet anima non sit. Deinde dixit: Et quod prius et posterius sunt in motu, idest, et non potest aliquis dicere, quod tempus est, et si anima non erit nisi quia motus est, et si anima non fuerit. Et similiter sunt in eo prius et posterius. Et tempus nihil aliud est quam prius et posterius in motu, sed secundum quod sunt numerata. Et ideo indiget in hoc, quod sit in actu anima, scilicet secundum quod est prius et posterius numerata. Et quasi per hoc, quod dixit: et tempus est haec duo, secundum quod sunt numerata, innuit, quod tempus diminuitur ab eo ex esse perfecto extra animam hoc, quod numeratur ab anima tantum. Secundum igitur hunc modum dicitur tempus habere esse extra animam simile perfecto, et si non sit perfectum. Et ista perscrutatio de tempore magis est philosophica quam naturalis, sed induxit ipsam in hoc loco, quia est causa in ipsum latere, scilicet quia est diminutum in se».


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«prima» e il «poi»22. A partire da questa duplice provenienza, estrinseca e intrinseca, del tempo, Averroè, ma soprattutto i suoi interpreti di fine XIII secolo, possono sottrarsi all’aporia sull’inesistenza di «passato» e «futuro», affidando proprio all’istante «segnato» dalla numerazione dell’anima, il compito di salvaguardare la realtà di queste dimensioni, esistenti potenzialmente nella continuità del movimento23. A proposito, invece, dell’influenza esercitata da altre opere di Agostino sulla formulazione delle dottrine sul tempo, va sottolineato come la scelta di valorizzare maggiormente la relazione tra tempo e movimento, come per esempio avviene con la descrizione del tempus factum ne La Genesi alla lettera24, renda di certo meno forzata la scelta di leggere anche le Confessioni come una parziale conferma della concezione aristotelica del tempo.

1.3. La proposizione 200 della Condanna del 1277 Un altro elemento che va segnalato, accingendosi ad analizzare due testi sul tempo redatti alla fine del XIII secolo, è la presa di posizione assunta, a questo proposito, dai teologi parigini nel 1277. Tra le proposizioni filosofiche che il vescovo Stefano Tempier († 1279) e la sua commissione teologica – di cui fa parte tra gli altri anche il già citato Enrico di Gand – decidono di inPorro, Il vocabolario del tempo filosofico medievale del tempo e della durata cit., pp. 63-102. Henricus de Gandavo, Quodl. III, q. 11, ed. U. Jeck, in Jeck, Aristoteles contra Augustinum cit., p. 475, ll. 1-10: «Si enim praeteritum et futurum considerentur ut stantia inter sua instantia iam omnino praeterita et futura, verum est, quod non sunt nisi in anima et non sine anime. Sed illa eius consideratio multum insufficienter respexit naturam temporis in praeterito et futuro includendo ipsa inter instantia praeterita et futura e non copulando ad instans praesens, sicut in sua consideratione copulavit ea Aristoteles et valde bene. Ipsum enim nunc est tota substantia temporis, in quo consistit totum esse temporis, quod per suum fluxum secundum aliud et aliud esse causat unum tempus continuum compositum ex praeterito et futuro ab initio mundi usque ad finem suum». 24 Augustinus, De Genesi ad litteram, V, 5, n. 12, ed. I. Zycha, Salzburg 1894 (Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, 28/1), pp. 145-146: «Factae itaque creaturae motibus coeperunt currere tempora: unde ante creaturam frustra tempora requiruntur, quasi possint inveniri ante tempora. Motus enim si nullus esset vel spiritalis vel corporalis creaturae, quo per praesens praeteritis futura succederent, nullum esset tempus omnino. Moveri autem creatura non utique posset, si non esset. Potius ergo tempus a creatura, quam creatura coepit a tempore; utrumque autem ex Deo. Ex ipso enim, et per ipsum, et in ipso sunt omnia. Nec sic accipiatur quod dictum est: Tempus a creatura coepit, quasi tempus creatura non sit; cum sit creaturae motus ex alio in aliud, consequentibus rebus secundum ordinationem administrantis Dei cuncta quae creavit. Quapropter cum primam conditionem creaturarum cogitamus, a quibus operibus suis Deus in die septimo requievit; nec illos dies sicut istos solares, nec ipsam operationem ita cogitare debemus, quemadmodum nunc aliquid Deus operatur in tempore: sed quemadmodum operatus est unde inciperent tempora, quemadmodum operatus est omnia simul, praestans eis etiam ordinem, non intervallis temporum, sed connexione causarum, ut ea quae simul facta sunt, senario quoque illius diei numero praesentato perficerentur». 22

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serire nella loro «condanna» ve ne è una, la proposizione 200, che interessa direttamente il problema della natura e dell’origine del tempo: «Quod aevum et tempus nichil sunt in re, sed solum in apprehensione»25. La commissione teologica mette all’indice quelle dottrine sul tempo che ne disconoscono la natura extramentale, riducendolo a mera apprensione o percezione soggettiva. Così facendo viene tracciata una linea di confine che l’attività dell’anima non può valicare: il tempo rimane, dunque, una proprietà delle res, alla cui costituzione collabora una ragione numerante, probabilmente nelle modalità suggerite da Aristotele nella Fisica. Ora, è effettivamente molto difficile individuare sia prima che dopo il 1277 autori che eccedono così radicalmente nel rimarcare l’origine soggettiva del tempo e, per questa ragione l’obiettivo polemico dei teologi parigini resta ancor oggi poco chiaro26. Inoltre il lessico della proposizione contribuisce a creare ulteriori perplessità sulla tradizione da cui Tempier e i suoi collaboratori intendono metterci in guardia. In primo luogo l’uso congiunto di aevum e tempus rende inverosimile la tesi, talvolta sostenuta, che oggetto della condanna possa essere la dottrina agostiniana: Agostino non utilizza la nozione di aevum nella medesima accezione cui fanno riferimento gli autori del XIII secolo. In secondo luogo, sebbene il vescovo di Ippona venga talvolta accusato di essere un sostenitore di una perceptio temporis che, conseguentemente, indurrebbe a credere al movimento come a una sensazione soggettiva27, la sua descrizione dell’esperienza temporale non è mai stata utilizzata per sostenere un soggettivismo cronologico così marcato come quello indicato dalla proposizione 200. Infine, sebbene l’uso del termine apprehensio sia tipico della tradizione peripatetica, è francamente difficile sostenere che l’obiettivo polemico della condanna possa essere la Fisica di Aristotele o l’interpretazione che ne offre Averroè che, al contrario, sembra piuttosto attento nel bilanciare 25 H. Denifle / É. Chatelain, Chartularium Universitatis Parisiensis, I, Paris 1889, p. 486 (tesi 200); R. Hissette, Enquête sur les 219 articles condamnés à Paris le 7 mars 1277, Peeters, Louvain-Paris 1977 (Philosophes médiévaux, 22), pp. 152-154; D. Piché, La condamnation parisienne de 1277, nouvelle édition du texte latin, traduction, introduction et commentaire, Vrin, Paris 1999, p. 140; L. Bianchi, Il vescovo e i filosofi. La condanna Parigina del 1277 e l’evoluzione dell’aristotelismo scolastico, Lubrina, Bergamo 1990 (Quodlibet. Ricerche e strumenti di filosofia medievale, 6), pp. 107-148. 26 Jeck, Aristoteles contra Augustinum cit., pp. 177-181, 329-338; K. Flasch, Welche Zeittheorie hat der Bischof von Paris 1277 verurteilt?, in F. Niewöhner / L. Sturlese (Hrsg.), Averroismus im Mittelalter und in der Renaissance, Spur Verlag, Zürich 1994, pp. 42-50. 27 Albertus Magnus, Summa de creaturis I (De IV coaequaevis), tr. 2, q. 5, a. 1, ed. A. Borgnet, Bibliopolam Editorem, Paris 1885, p. 367B: «Sed a simili si tempus non esset nisi in anima, secundum unum esset tempus, scilicet attendentem motum: secundum alium non esset, scilicet non attendentem motum: ergo esse temporis non dependet ab anima, sed temporis perceptio».


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il contributo della natura e quello dell’anima nella costituzione del tempo. Inoltre il fatto che proprio alle osservazioni averroiste faccia riferimento, qualche anno più tardi, il teologo Enrico di Gand per elaborare le sue tesi sulla nozione di tempo28, è certamente una valida conferma dell’infondatezza di un’ipotesi che vedrebbe, in questo caso specifico, la filosofia averroista oggetto principale della critica di Tempier. Se dunque l’intenzione è quella di attribuire una paternità certa alla proposizione 200, si può concludere che il problema è, al momento, ancora molto aperto29. Considerando, invece, il modo in cui è stata redatta la condanna e le perplessità sulla paternità di altre proposizioni in essa contenute, è del tutto plausibile che la vera questione non sia trovare l’autore che ha pronunciato la tesi incriminata, bensì convincersi che dietro la tesi sul tempus e l’aevum in apprehensione non vi sia un pensatore reale, bensì una vulgata che forse ha colto erroneamente aspetti di differenti tradizioni filosofiche, alterandone i contenuti. In ogni caso, ciò che resta certo, e che la condanna del 1277 conferma ulteriormente, è il ruolo di primo piano che il problema del tempo assume all’interno del dibattito scolastico. Non solo le diverse tradizioni che lo caratterizzano, ma anche la scelta di determinarne le coordinate da un punto di vista istituzionale ne costituiscono, infatti, una valida conferma. Perciò analizzare le considerazioni sul tempo e sulla durata proposte da Teodorico di Freiberg tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo non significa semplicemente prendere in esame una delle possibili «variazioni sul tema», bensì avere la possibilità di collocarsi nella posizione privilegiata di chi, ad uno stato avanzato della discussione, può, in un certo senso, «tirarne le fila», verificando il processo evolutivo del dibattito duecentesco sul problema del tempo.

2. Durata e tempo negli scritti di Teodorico di Freiberg 2.1. Il quinto capitolo de L’origine delle realtà predicamentali Un primo significativo accenno al problema del tempo negli scritti di Teo-dorico di Freiberg è contenuto nel quinto capitolo de L’origine delle realtà 28 Henricus de Gandavo, Quodl. III, q. 11, ed. U. Jeck, in Jeck, Aristoteles contra Augustinum cit., pp. 463-476. 29 Per una possibile soluzione al problema si veda P. Porro, Tempo e aevum in Enrico di Gand e Giovanni Duns Scoto, in G. Alliney / L. Cova (a cura di), Tempus, aevum, aeternitas. La concettualizzazione del tempo nel pensiero tardomedievale. Atti del Colloquio Internazionale. Trieste, 4-6 marzo 1999, L.S. Olschki, Firenze 2000, in particolare, pp. 100-101.


Nota biografica

Teodorico di Freiberg (Theodoricus Teutonicus) è un teologo domenicano vissuto tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. Nato a Freiberg in Sassonia intorno al 1240, tra il 1258 e il 1260 entra a far parte dell’Ordo Praedicatorum. Con tutta probabilità inizia i suoi studi proprio a Freiberg sotto la supervisione di Umberto di Romans, maestro generale dei Domenicani dal 1254 al 1263. Nel 1270 diviene Lettore presso il convento domenicano di Freiberg e nel 1271 si reca a Parigi dove rimane fino al 1275 per completare i suoi studi teologici. Nel 1280 diviene Lettore presso il convento domenicano di Trier, quindi torna nuovamente a Parigi, a metà degli anni Ottanta, come Lettore delle Sentenze. Con tutta probabilità vi resta fino al 1293, anno in cui viene nominato Superiore Generale dell’Ordine domenicano per la Provincia tedesca. Nel 1297 è di nuovo a Parigi dove diviene il primo domenicano tedesco, dopo Alberto Magno, a ottenere i gradi di maestro di teologia. Le ultime notizie biografiche sul suo conto sono legate alla sua partecipazione al Capitolo generale di Tolosa (1304) e a quello di Piacenza (1310). L’edizione critica dei suoi scritti, pubblicata all’interno del «Corpus Philosophorum Teutonicorum Medii Aevi» (Felix Meiner Verlag, Hamburg 19771985) e curata, tra gli altri, da Kurt Flasch e Loris Sturlese, comprende venticinque trattati completi, otto quaestiones disputatate, cinque lettere e due frammenti. È difficile stabilire con esattezza l’ordine cronologico delle sue opere, ciononostante si può considerare molto probabile che i suoi primi trattati siano il De origine rerum praedicamentalium e il De habitibus, cui fanno seguito il De intellectu et intelligibili e i tre scritti (De visione beatifica, De accidentibus, De animatione caeli) racchiusi nel De tribus quaestionibus difficilibus. Particolarmente fortunati sono gli scritti sul tempo De mensuris e De natura et proprietate continuorum e gli studi di ottica, raccolti nel De luce et eius origine, nel De iride et de radialibus e nel De coloribus.


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Tra gli studi più recenti su Teodorico di Freiberg vanno segnalati: L. Sturlese, Il progetto filosofico di Dietrich von Freiberg, in Id., Storia della Filosofia tedesca nel Medioevo. Il secolo XIII, L. S. Olschki, Firenze 1996, pp. 181-275; K. Flasch, Dietrich von Freiberg. Philosophie, Theologie, Naturforschung um 1300, Klostermann, Frankfurt 2007; J. Biard / D. Calma / R. Imbach (éds.), Recherches sur Dietrich de Freiberg, Brepols, Turnhout 2009 («Studia Artistarum», 19); A. Colli, Tracce agostiniane nell’opera di Teodorico di Freiberg, Marietti 1820, Milano-Genova 2010; D. Calma, Le poids de la citation. Étude sur les sources arabes et grecques dans l’oeuvre de Dietrich de Freiberg, Academic Press Fribourg, Fribourg 2010 (Dokimion, 35).


Nota editoriale

Per la traduzione del De mensuris e del De natura et proprietate continuorum si è fatto riferimento all’edizione critica proposta da Rudoph Rehn nel Corpus Philosophorum Teutonicorum Medii Aevi: Dietrich von Freiberg, Tractatus de mensuris; Tractatus de natura et proprietate continuorum, in K. Flasch / J. Cavigioli / R. Imbach / B. Mojsisch / M. Pagnoni-Sturlese / R. Rehn / L. Sturlese (Hrsg.), Dietrich von Freiberg, Opera omnia III Schriften zur Naturphilosophie und Metaphysik, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1983, pp. 215-239; pp. 241273 (Corpus Philosophorum Teutonicorum Medii Aevi, II/3). Le note comprendono i riferimenti segnalati esplicitamente da Teodorico, quelli indicati dall’editore e alcuni suggerimenti integrativi emersi nel corso del lavoro di traduzione. Il lavoro costituisce uno sviluppo intermedio del progetto di ricerca «Nobilitas. Testi medievali e mappe ontologiche digitali. Il concetto di nobilitas come

speculum per una web-analysis delle teorie dell’intelletto del XIII secolo» presentato sul Bando post-doc 2011 (L.P. 2 agosto 2005, N.14 art. 22 – Provincia Autonoma di Trento). Tale pubblicazione non sarebbe stata possibile senza il sostegno di Alessandra Beccarisi, Alessandro Palazzo e Irene Zavattero. Un ringraziamento speciale va quindi a Pasquale Porro che ha preso a cuore la mia impresa, seguendone pazientemente gli sviluppi, offrendomi preziose indicazioni su come migliorare la qualità del testo. Desidero infine ringraziare Giuditta Girgenti per il tempo che ha dedicato ad esaminare con me alcuni passaggi particolarmente ostici delle due opere, aiutandomi a perfezionare la traduzione italiana. La responsabilità del lavoro resta comunque unicamente mia.


Magistri Theodorici Ordinis Fratrum Praedicatorum Tractatus De mensuris


Maestro Teodorico dell’Ordine dei Frati Predicatori Trattato sulle misure


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Tabula partium Proemium 1. Ratio mensurae durationis in generali. 2. Ratio propria uniuscuiusque mensurae durationis in speciali secundum diversa genera rerum mensurabilium. 3. Diversi gradus mensurarum sumendo rationem ab ipsis mensuris, inquantum secundum aliquem modum connotant seu concernunt praeteritum, praesens et futurum. 4. Instantiae contra praedicta. 5. Inductarum instantiarum dissolutio secundum primum modum assignationis mensurarum praemissum. 6. Instantiarum dissolutio secundum modum secundum assignationis mensurarum. 7. Differentia dictarum mensurarum, secundum quod diversimode se habent ad invicem ipsum nunc et mensura, cuius dicitur esse ipsum nunc. 8. Ostenditur, quid realitas importent dictae mensurae circa res mensuratas.

Prooemium (1) Circa considerationem de mensuris durationis entium primo accipiendum est rationem mensurae durationis in generali. (2) Secundo sumendum rationem propriam uniuscuiusque mensurae durationis in speciali secundum diversa genera rerum mensurabilium. (3) Tertio agendum de diversis gradibus mensurarum sumendo rationem ab ipsis mensuris, inquantum secundum aliquem modum connotant seu concernunt praeteritum, praesens et futurum. (4) Quarto inducuntur instantiae contra praedicta. (5) Quinto ponitur inductarum instantiarum dissolutio secundum primum modum assignationis mensurarum praemissum. (6) Sexto dissolvuntur instantiae secundum modum secundum assignationis mensurarum.


Teodorico di Freiberg, Sulle misure

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Sommario Proemio 1. Il modo d’essere della misura della durata in generale. 2. Il modo d’essere proprio di qualsiasi misura della durata in particolare, in base ai diversi generi di cose misurabili. 3. I diversi gradi delle misure secondo il modo d’essere che si può ricavare dalle misure stesse in quanto, in qualche modo, connotano o si riferiscono a passato, presente e futuro. 4. Obiezioni a quanto detto in precedenza. 5. Soluzione alle obiezioni formulate sulla base del primo modo di assegnazione delle misure. 6. Soluzione alle obiezioni formulate sulla base del secondo modo di assegnazione delle misure. 7. Differenze tra le suddette misure, in base al diverso modo in cui si rapportano tra loro l’istante e la misura, cui l’istante stesso si dice appartenere. 8. Si mostra quale realtà comportino le suddette misure, a proposito delle cose misurate.

Proemio (1) Per considerare le misure della durata degli enti, bisogna, in primo luogo, prendere in esame il modo d’essere della misura della durata in generale1. (2) In secondo luogo bisogna considerare il modo d’essere proprio di qualsiasi misura della durata in particolare, secondo i diversi generi delle cose misurabili2. (3) In terzo luogo bisogna discutere dei diversi gradi delle misure, assumendo il modo d’essere dalle misure stesse, in quanto – in qualche modo – connotano o riguardano passato, presente e futuro3. (4) In quarto luogo sono sollevate alcune obiezioni alle cose esposte in precedenza4. (5) In quinto luogo si propone una soluzione alle obiezioni sollevate precedentemente, tenendo conto del primo modo di assegnazione delle misure5. (6) In sesto luogo vengono risolte le obiezioni tenendo conto del secondo modo di assegnazione delle misure6. Cf. infra, c. 1, p. 71. Cf. infra, c. 2, pp. 73-91. 3 Cf. infra, c. 3, pp. 91-95. 4 Cf. infra, c. 4, pp. 97-111. 5 Cf. infra, c. 5, pp. 111-113. 6 Cf. infra, c. 6, pp. 113-115. 1 2


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(7) Septimo ponitur differentia dictarum mensurarum, secundum quod diversimode se habent ad invicem ipsum nunc et mensura, cuius dicitur esse ipsum nunc. (8) Octavo ostenditur, quid realitatis importent dictae mensurae circa res mensuratas.

1. Ratio mensurae durationis in generali (1) Circa primum videndum, quod dicitur Sap. XI: «Omnia in numero, pondere et mensura disposuisti». Importat autem mensura determinationem rei quantum ad aliquem essendi modum secundum quod in ipso modo essendi quantum ad modum significandi importatur aliqua ratio seu proprietas quantitatis, molis videlicet vel virtutis, ut in nomine virtutis intelligatur quantitas intensive secundum qualitatem, molis autem quantitas extensive sive in continuis sive in discretis. Unde secundum iam dicta Augustinus haec tria, scilicet modum, speciem et ordinem, de quibus tractat in libro De natura boni, reducit in IV Super Genesim ad praedicta tria, ut speciem reducat ad numerum, ordinem ad pondus, modum ad mensuram – sive in Deo, ubi haec tria superexcessive sunt – sive in creaturis, ubi limitata sunt et limitantia creaturam secundum proprium modum creaturae. (2) Est autem circa propositum considerandum, quod dupliciter contingit aliquam rem mensurari. Uno modo per aliquid intrinsecum rei mensurabilis, puta decem ulnae mensurantur per unam et dies per horam et universaliter omnis numerus unitate, sive huiusmodi mensurans sit talis generis simplicis secundum rem sive secundum positionem. Alio modo res mensuratur per aliquid a sua substantia extrinsecum, sicut motus mensuratur tempore et locatum loco. Huius generis est mensura durationis entium, de qua hic agitur.


Teodorico di Freiberg, Sulle misure

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(7) In settimo luogo viene posta la differenza tra le suddette misure, in base ai diversi modi in cui si relazionano reciprocamente l’istante e la misura cui appartiene7. (8) In ottavo luogo si mostra quale realtà comportino le suddette misure in ciò che misurano8.

1. Il modo d’essere della misura della durata in generale (1) Per quanto riguarda il primo punto9, bisogna osservare quanto si dice nel libro della Sapienza, al capitolo XI: «Tutte le cose hai disposto secondo numero, misura e peso»10. Ora, una misura stabilisce la determinazione di una cosa, quanto al modo d’essere, per il fatto che, nel modo d’essere stesso – quanto al modo di significare –, viene stabilita una ragione o una proprietà della quantità, cioè della grandezza o del valore, dove con «valore» si intende la quantità concepita in modo intensivo secondo la qualità, mentre con «grandezza» si intende la quantità in modo estensivo tanto nelle cose continue quanto in quelle discrete. Di conseguenza, in base a quanto già detto, Agostino nel VI libro de La Genesi alla lettera11, riduce queste tre cose, cioè «modo», «specie» e «ordine», di cui parla ne La natura del bene12, alla tripartizione precedentemente esposta, trasformando cioè «specie» in «numero», «ordine» in «peso», «modo» in «misura», sia in Dio, dove queste tre cose eccedono ogni possibile determinazione, sia nelle creature, dove sono limitate e limitano la creatura secondo il proprio modo d’essere di creatura13. (2) Ora, a proposito del tema che si sta affrontando14, bisogna considerare che ogni cosa può essere misurata in due modi. In un modo attraverso qualcosa di intrinseco alla cosa misurabile, come, per esempio, dieci ulne sono misurate da una e un giorno da un’ora e in generale tutti i numeri dall’unità, o ancora, in modo che l’unità di misura appartenga a un tale genere semplice in senso reale o secondo la posizione. In un altro modo una cosa è misurata attraverso qualcosa di estrinseco alla sua sostanza, come il moto è misurato dal tempo e un corpo localizzato dal luogo. La misura della durata degli enti, di cui qui si parla, appartiene a questo genere. Cf. infra, c. 7, pp. 115-117. Cf. infra, c. 8, pp. 117-119. 9 Cf. supra, proemio, (1), p. 69. 10 Sap. XI, 21. 11 Augustinus, De Genesi ad litteram, IV, 3, n. 7, ed. J. Zycha, Salzburg 1894 (Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, 28/1), pp. 98-99. 12 Augustinus, De natura boni, I, n. 3, ed. J. Zycha, Salzburg 1891/92 (Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, 25), p. 856. 13 Cf. Bonaventura a Balnorea, Commentaria in quatuor libros sententiarum magistri Petri Lombardi, liber I, q. 4, dist. 3, ed. Quaracchi, prope Florentiam 1882, pp. 78-79. 14 Cf. supra, c. 1, (1), p. 69. 7 8


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