«L’Italia» e altre commedie, di Carmelo Greco

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Carmelo Greco

L’Italia e altre commedie


Indice

Prefazione di Liddo Schiavo

I conigli di Fibonacci commedia didattica L’Italia commedia patriottica in due atti La maratona commedia in tre atti

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Prefazione di Liddo Schiavo*

Ho avuto modo di conoscere e apprezzare le commedie di Carmelo Greco, curando la regia di alcune di esse, in un contesto decisamente particolare. Da decenni, infatti, mi occupo di drammaturgia penitenziaria e in particolare dal 2005 al 2012 ho tenuto dei corsi d’arte drammatica indirizzati ai detenuti di massima sicurezza della Casa circondariale di Siracusa. Con loro, a conclusione dei corsi, ho sempre messo in scena e rappresentato un’opera teatrale sotto forma di spettacolo completo. In questi otto anni ho proposto sia miei lavori sia lavori di altri e ben quattro volte opere di Carmelo Greco: La maratona, U zoppu (liberamente tratta dal Filottete di Sofocle), L’Italia e Gatto Santone. Non è certamente facile insegnare a detenuti privi di qualunque esperienza teatrale come stare in palcoscenico e come interpretare altre umanità rendendole credibili. Le tecniche accademiche vanno a farsi benedire e occorre, invece, creare viscerali sinergie collaborative fra i vari partecipanti, in primo luogo con l’autore, al quale spetta il compito di tracciare il primo solco, elaborando il testo che verrà poi rappresentato. Nel dire che alcune commedie di Carmelo Greco sono nate in funzione di una possibile messa in scena da parte di detenu* Responsabile nazionale Settore Cultura Aics (Associazione Italiana Cultura Sport).


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ti o di altre persone in condizione di disagio, sono certo di non fargli un torto. In questo caso le opere, oltre a essere gradevoli, dovevano presentare alcune caratteristiche didattiche atte a facilitare un possibile recupero educativo e la reintegrazione sociale. Greco è riuscito perfettamente, con i suoi lavori, a creare una scrittura drammaturgica complessa ma comprensibile ai singolari attori e, allo stesso tempo, a interessare gli spettatori o i lettori attraverso intrecci ilari, architetture drammaturgiche snelle e originali, dialoghi calibrati ed efficaci, ambientazioni fantastiche e surreali. Ma ciò non basta. Abbiamo parlato prima di una funzione didattica dell’attività teatrale realizzata nel periodo di collaborazione nella struttura carceraria e, pertanto, i testi utilizzati dovevano anche creare delle assiologie valoriali utili a elargire spunti di riflessione ai particolari utenti, produttori e fruitori con i quali ci confrontavamo. Due delle tre commedie presenti in questa pubblicazione, La maratona e L’Italia, sono state messe in scena da chi scrive e per due annualità sono state il tema del progetto formativo intrapreso con gli allievi. Insieme a I conigli di Fibonacci formano una trilogia storica, avendo il nostro autore voluto creare un percorso cronologico di ambientazione fra le varie epoche: I conigli di Fibonacci ascrivibile al medioevo, L’Italia all’età moderna, La maratona all’età contemporanea. I conigli di Fibonacci è stata scritta nel 2009 come parte di un progetto di inclusione sociale sostenuto da Fondazione con il Sud al fine di coinvolgere un gruppo di ragazzi magrebini che vivevano in Sicilia, i quali l’hanno messa in scena in un teatro di Rosolini. Viene tirato in ballo il celebre matematico pisano e la sua altrettanto nota serie numerica, con lo scopo di individuare nella matematica una disciplina che superi le barriere linguistiche e culturali nel confronto Oriente/Occidente. Salvo poi accorgersi che, probabilmente prima dell’applicazione dei sistemi matematici, prevalgono le regole biologiche


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della riproduzione senza i quali presupposti la serie numerica non ha neanche inizio. Per quanto attiene alle due opere messe in scena con la mia regia, occorre dire principalmente che i temi valoriali che hanno caratterizzato i relativi testi sono stati: il concetto di identità, la diversità e il senso di appartenenza. Temi a me molto cari e oggetto di studio e di riflessione per l’intera mia esistenza. L’Italia è stata realizzata nel centocinquantesimo anniversario dell’Unità all’interno di un Pon, il Programma operativo nazionale che attinge a risorse comunitarie per colmare il gap di sviluppo nei paesi dell’Unione europea. Lo studio del testo ha coperto il primo semestre 2011, per concludersi con la sua messa in scena il 20 giugno 2011 nella Casa circondariale di Siracusa a opera di 8 detenuti e 3 volontari. Ambientata in Sicilia durante i moti risorgimentali e, nello specifico, nel corso dell’impresa garibaldina, parla dei terribili fatti di Bronte. La ribellione dei brontesi contro i luogotenenti di Garibaldi è già avvenuta e vi si accenna appena; risalta invece la differenza culturale fra i vari garibaldini, siciliani e del Nord Italia, chiamati a sedare i tumulti. I primi modelli culturalmente opposti sono identificabili nel linguaggio: entrambi si esprimono attraverso il dialetto di origine, il quale risulta incomprensibile gli uni agli altri. Greco, però, riesce a rafforzare il concetto di identità e di appartenenza attraverso l’utilizzo dei canti popolari che ognuna delle due componenti utilizza nelle lunghe marce di avvicinamento. L’intuizione è certamente geniale. Anteporre La bella Gigogin a Vinni cu’ vinni sintetizza e stigmatizza in modo abbastanza semplice la differenza culturale fra le due fazioni che, pur lottando per il medesimo interesse, per il bene comune, si osservano come possibili nemici. L’incomunicabilità genera tensioni, come l’anteporre la propria identità a quella degli altri pur animati dallo stesso anelito di libertà dei popoli. Identità e alterità giocano naturalmente brutti scherzi: ognuno vede l’altro come diverso, senza accor-


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gersi che ciò può determinare il mancato raggiungimento dell’obiettivo comune, sicuramente a causa della manipolazione delle tradizioni praticata da terzi. In questo caso l’autore è ottimista e ritrova l’omogeneità delle due fazioni, e di conseguenza l’unità di intenti che francamente non era mai mancata, nel cantare insieme l’Inno di Mameli. Purtroppo non sempre ciò accade e molto spesso popoli con le medesime tradizioni si annientano per evidenziare una diversità che di fatto non esiste. Come un prolungamento astratto nel tempo, centocinquant’anni dopo due paesini limitrofi vivono le medesime problematiche, inerenti l’identità e la diversità culturale, nell’organizzare una manifestazione sportiva. Questa terza commedia di Carmelo Greco è appunto La maratona. Non si legge di rivolte, di grandi temi storici e ideali, di morti o genocidi; ma le criticità sociali rimangono uguali. I due consessi civici ritengono di essere i veri portatori dei modelli culturali tipici di quel territorio e vantano, per le comunità di appartenenza, origini e tradizioni particolari e difformi fra loro. Sarebbe superfluo aggiungere che per entrambe le parti le tradizioni dell’una sono più vere e certamente migliori di quelle dell’altra e che in effetti l’humus culturale dei due piccoli abitati è perfettamente uguale, come uguali sono pure le tradizioni e i modelli culturali. Anche in questo caso identità e alterità giocano un ruolo primario sotto la pesante mole della manipolazione delle tradizioni volute certamente da alcuni piccoli storici locali che, soggettivamente, hanno elaborato fantasiose teorie per la difesa dei propri campanili. Detti spunti, presentati nella commedia in forma ironica, fanno certamente sorridere e lasciano spazio a una pungente satira che anima maliziosamente la scrittura drammaturgica, ma fanno altresì riflettere e, per certi versi, rimandano a problematiche e lavori meno ilari. Illuminanti sono in questo senso le opere di Ranger e Hobsbawm, in particolare L’invenzione della tradizione, ma anche Contro l’i-


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dentità di Francesco Remotti e, per alcuni versi, Intimità culturale di Michael Herzfeld. L’antropologia culturale svela e mette in luce la pericolosità delle manipolazioni le quali, in molti casi, non generano solo ridicoli luoghi comuni o burleschi sensi d’appartenenza, ma anche vere e proprie degenerazioni e genocidi con terribili annientamenti etnici fra comunità che credono di essere diverse ma che, in sostanza, sono uguali. Kosovo e Ruanda ne sono sicuramente un valido esempio. In queste tre commedie i temi prima accennati sono fortemente presenti e addirittura le animano per intero. Lo fanno in modo non prorompente, stanno celati nella brillante scrittura, si affacciano di tanto in tanto fra un sorriso e uno scherno, ma colpiscono l’interesse e aprono la mente a chi ascolta, coinvolgendolo in riflessioni che superano la narrazione stessa. Probabilmente sta qui l’arte di Carmelo Greco.


L’Italia commedia patriottica in due atti


Personaggi: Nino Bixio Garibaldini “piemontesi”*: Gerolamo Airenta da Rossiglione, in provincia di Genova. Pietro Gotti da Bergamo. Giuseppe Marchetti da Chioggia, in provincia di Venezia. Sergente Niutti da Parma. Luigi Perotti da Torino. Paolo Preda da Milano. Garibaldini siciliani: Santoro Bonanno da Mazara del Vallo, in provincia di Trapani. Tancredi Falconeri da Palermo. Sebastiano Mangiaracina da Leonforte, in provincia di Enna. Placido Sonacampani da Biancavilla, in provincia di Catania. Turi Zannu da Noto, in provincia di Siracusa. Calogero Gasparazzo. I brontesi, in numero vario. Lo scrivano. Il “cappello”. Cinque frati. L’Italia. * Con il termine “piemontese” nel 1860 i siciliani indicavano indistintamente le persone che arrivavano dal Nord Italia.


Primo atto

Domenica 5 agosto 1860. Due battaglioni di “cacciatori”, dell’Etna e delle Alpi, al comando del generale Nino Bixio si stanno dirigendo a marce forzate verso Bronte, dove è scoppiata una rivolta popolare che le forze garibaldine sono state chiamate a sedare. Altre insurrezioni stanno avvenendo in diversi paesi della provincia di Catania (Randazzo, Linguaglossa, Adrano, Centuripe ecc.), ma Bronte è un luogo particolare: il suo territorio confina con la ducea di Nelson, che appartiene agli inglesi. Sono soprattutto loro – amici storici di Garibaldi – a invocare l’intervento delle camicie rosse. Ci troviamo su una tipica mulattiera del sottobosco etneo. Al centro c’è una roccia che servirà quando Bixio dovrà sedersi. Dominano le piante di pistacchio. In alto si intravedono le luci di Bronte. È sera. Airenta (entra circospetto; indossa la camicia rossa sopra un costume da bagno stile vittoriano, una maschera da sub con il boccaglio e le pinne; va verso le estremità del palco e parla fra sé e sé tenendo il boccaglio in bocca). Mmmh... mmmh... mmmh... mmmh. (Dopo un po’ alza la maschera sopra la fronte, guarda verso il pubblico e si dirige dietro le quinte; esce e rientra sulla scena trascinando per il braccio Falconeri, che sopra la camicia rossa ha, all’altezza della vita, un salvagente con la testa di papera, mentre sulla spalla porta un ombrellone da spiaggia chiuso.


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Rivolgendosi a Falconeri, sempre con il boccaglio). Mmmh... mmmh... mmmh... mmmh. Falconeri (facendo il gesto con la mano a “carciofo” di chi non capisce). Ma cosa vuoi dire? Airenta (insiste e si sbraccia). Mmmh... mmmh... mmmh... mmmh. Falconeri (imitandolo). Mmmh... mmmh... mmmh... mmmh. Airenta (con lo sguardo stranito picchietta con l’indice sopra la testa a indicare che l’interlocutore è un po’ matto). Mmmh... mmmh... mmmh... mmmh. Falconeri gli toglie energicamente il boccaglio dalla bocca. Airenta (senza più il boccaglio, ma premendosi la mano sulla bocca). Mmmh... mmmh... mmmh... mmmh. Falconeri (stranito). Ma sei diventato balbuziente? Airenta (fa segno di no con il dito senza riuscire a parlare). Mmmh... mmmh... mmmh... mmmh. Falconeri (perplesso). E allora perché fai tutti questi versi? Airenta (con sofferenza e tenendo premuta la mano sulla bocca). Mmmh... mmmh... i denfi... Falconeri (grattandosi la testa). I denfi? Airenta apre la bocca e indica i denti. Falconeri (guardando dentro la bocca e rendendosi conto). Aaaaah... I denti! Volevi dire “i denti”. Airenta apre le braccia e gira la testa in alto per far capire che finalmente l’altro ha inteso. Falconeri. Sì, sì. Ho capito: i denti. I denti. Ma come parli. Si vede che sei proprio straniero.


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Airenta (sbuffando). Quante volte lo devo ripetere. Sono Gerolamo Airenta da Rossiglione... Falconeri. Lo so, lo so. Sei piemontese... Airenta (col petto in fuori). Infatti! Falconeri. Vale a dire... che sei di Torino? Airenta (scandalizzato). Ma no, no. Sono di un paese vicino Genova. (Si interrompe di botto e indica un punto con l’indice.) Èva! Falconeri (lo guarda stralunato). Eva? Airenta (insiste indicando lo stesso punto). Èva! Èva! Falconeri (confuso). Adamo! Adamo! Airenta (confuso a sua volta). Ma no, ma no (riprendendo a indicare nello stesso punto). Làiu! Falconeri (sempre più confuso). Ci l’ai? Parli in siciliano, adesso? Sei diventato poliglotta? Airenta (fissandolo severo). Poliglotta a chi? Come ti permetti? Io, per tua informazione, son possidente. Falconeri. Vabbè, vabbè, non ti offendere, adesso. Un poco strano lo sei, però, eh!? Eva, làiu... Airenta (battendosi una mano sulla testa). Hai ragione, scusa. Mi sono lasciato andare e con entusiasmo sono venute fuori dalla mia bocca le parole dell’infanzia. Falconeri. Ho capito, ho capito. Ma chi è ’sta Eva? Airenta (sorridendo). Non è una persona. Èva in rossiglionese vuol dire “acqua”. Falconeri. Aaaah, adesso ho capito. Ma allora, per dire fuoco, che cosa dite: “Adamo”? Airenta. No, no, no. Fuoco si dice: Fö. Falconeri. E “làiu” che cosa significa invece? Airenta. Beh, questo dovrebbe essere chiaro: làiu significa “lago”. Falconeri. Chiaro. Come no!? E “nun l’aiu” significa “mare”. Airenta (spazientito). Ma no, no, no.


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Falconeri (tagliando corto). Vabbè, vabbè. Lasciamo stare. Mi spieghi, però, perché stai parlando di acqua e di lago? Airenta. Non ho capito. Falconeri (girando gli occhi al cielo). Oh, santa Rosalia! Come mai ti sono venute in mente queste espressioni? Airenta (riprende a indicare il punto che aveva indicato in precedenza). Lì, lì. Vedi? Non c’è dell’acqua? Che cos’è quello? Non è un lago? Falconeri (guardando nella stessa direzione). Acqua? Lago? Ma dove pensi di essere? Qua siamo in montagna. Come tutti i piemontesi ti sembra che questa isola sia una specie di scoglio, con acqua da tutte le parti. Quello che ti appare come un lago in realtà è solo il riflesso della luna. (Preso da una finta illuminazione.) Aspetta, aspetta. Adesso indovino. A Rossiglione, per dire “luna”, voi dite... “sole”. Giusto? Airenta (ragionando, confuso). Luna... sole... Falconeri. Lascia stare. Come dicono in Sicilia, “nun ti mungiri ’u ciriveddu” (“non ti spremere il cervello”). Airenta (sempre più confuso). Ciri... ciri... Falconeri. Sì, ciri... piri. Non ce la possiamo fare. (Sospirando.) Raggiungiamo gli altri, su. Airenta (trattenendolo). Aspetta, patriota. Mentre andiamo, mi spieghi perché stiamo correndo come dannati per arrivare in questo paese... io non ci capisco nulla... stavamo così bene dove eravamo... Falconeri (sospirando). Non dirlo a me. A Giardini, in spiaggia, a prendere il sole... Airenta. Infatti, infatti. Si stava così bene... Poi, tutt’a un tratto, il generale ha cominciato a urlare (imitando la voce di Bixio): “Forza, poltroni, muoversi! Se non volete assaggiare il mio stivale!”. Falconeri. A proposito, tu che sei delle sue parti... cioè di Genova... si può sapere perché ha questo caratteraccio? Perché ogni tanto gli prendono certi attacchi di collera...


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Airenta (guardandolo come si guarda uno sciocco). Ma allora tu non sai proprio niente... Falconeri. Che cosa dovrei sapere? Airenta (inorgoglito). Il generale Nino Bixio da noi è una leggenda. Falconeri. E questo che c’entra? Essere una leggenda non vuol dire avere i cinque minuti ogni dieci minuti... Airenta (paziente). Allora. Devi sapere che (elencando): a nove anni è rimasto orfano di madre e suo padre si è risposato con una donna che ha sempre odiato il generale; per colpa della matrigna a sedici anni l’hanno arrestato; ha fatto il mozzo, il nostromo e il capitano in seconda su navi mercantili e militari; stava per essere mangiato dagli squali e una indigena dei mari del Sud voleva sposarlo, ma lui ha rifiutato perché era innamorato di Adelaide, la nipote, figlia della sorella maggiore Marina, che alla fine è riuscito a prendere in moglie; è stato amico di Giuseppe Mazzini, che poi ha abbandonato per combattere al fianco del generale Garibaldi; a Venezia ha cercato di rapire l’imperatore Francesco Giuseppe; ha combattuto a Governolo, Verona, Treviso, Roma, Malnate eccetera eccetera eccetera; è stato atterrato, ferito e abbattuto. Ma si è sempre rialzato. Ti basta? Falconeri (ammirato). Miii, e che è? Una vita o la Divina Commedia? Airenta (soddisfatto). Ora capisci perché è un poco mattu!? Chi non lo sarebbe, al suo posto? Falconeri. Effettivamente... Airenta. Piuttosto, tu che sei di queste parti... Falconeri. Beh, insomma, di queste parti... Io sono di Palermo... Airenta. Sempre siciliano, no!? Insomma, tu hai capito perché siam dovuti partire così di fretta? Dove stiamo andando, alla fine? A Lontre? Fronte? Falconeri. Beh, sì... più o meno. (Approssimandosi e parlan-


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do come un cospiratore.) Da quello che ho sentito, a Bronte, il paese in cui ci stiamo dirigendo, è successo il finimondo. Airenta (a bocca aperta). Ma no! Falconeri (annuendo). E invece sì. Il popolo, avendo saputo dell’arrivo del generale Garibaldi in Sicilia, si è ribellato ed è andato nelle piazze e nei palazzi ad ammazzare i ricchi e i signori. Airenta (come sopra). Ma no! Falconeri (annuendo). Sì, invece. Airenta. Ma è vero che i ribelli sono stati sobillati dal re Borbone e dai suoi seguaci? Falconeri (facendo una smorfia). Ma quando mai! Airenta (illuminandosi). Allora sono dalla nostra parte: stanno con Garibaldi e con il re Vittorio Emanuele... Falconeri (come sopra). Ma quando mai! Airenta (senza capire). Non stanno con il re Borbone, non stanno con Vittorio Emanuele... Insomma, da che parte stanno? Falconeri (compatendolo). Voi piemontesi non capite proprio nulla. Airenta (offeso). E che c’è da capire? Falconeri (paziente). I siciliani stanno solo dalla propria parte. Bada: non perché siano egoisti, ma perché in queste contrade la parola libertà ha un suono particolare. Tu dici “libertà”, e loro capiscono “terra”e “pane”. Poi arriviamo noi e gli spieghiamo che “libertà” non vuol dire “terra” e “pane”. E succede un altro quarantotto. Airenta (comprendendo). Ah, adesso ho capito. Ma tu come fai a sapere tutte queste cose? Falconeri (in confidenza). Vedi, caro il mio piemontese, se ci fossi stato io a Bronte, insieme a quei poveracci che la plebe ha fatto fuori, avrebbero ammazzato anche me. Airenta (protestando). Che c’entra? Tu sei un patriota! Tu sei dalla loro parte! Sei anche siciliano...


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Falconeri. ... di Palermo, intanto. E poi è inutile, tu non puoi capire... Airenta (imbronciato). Io non capisco! Io non capisco! Stiamo marciando contro il volgo che non sta con noi, ma che non sta neppure contro di noi. Io non capisco, allora, il perché di questa fretta del diavolo. Falconeri. Perché, caro il mio patriota, il generale Garibaldi è stato assalito a colpi di dispacci dal console inglese affinché fosse riportata la pace a Bronte e dintorni. E tu sai quanto il generale ci tenga all’amicizia con gli inglesi... Airenta (sempre più confuso). Il console inglese!? E che c’entra adesso l’Inghilterra? Falconeri (sbuffando). Siamo in Sicilia. Tutto c’entra. Gli inglesi possiedono da queste parti diversi ettari di terre, che furono donate all’ammiraglio Nelson nel 1799 da re Ferdinando III. Lo ringraziava per avergli dato una mano a soffocare la repubblica partenopea, permettendogli così di poggiare nuovamente sul trono il suo deretano regale. Airenta (mettendosi le mani tra i capelli). Mamma mia, che confusione... Falconeri (sorridendo). E questo è niente. Devi sapere anche... Airenta (implorando). Basta! Basta! Mi arrendo! Falconeri (sardonico). Ecco il patriota! Viene qua qualche giorno... il piemontese... Airenta (protestando). E no! E no! Tu parli così perché pensi di sapere tutto. Però forse ti difetta un po’ di umiltà. Certo, in fondo tu sei un nobile. (Imitandolo.) Sono nipote del principe di Salina... Per forza poi non capisci il popolo. Ti è estraneo ogni suo anelito... Falconeri (ironico). Invece, tu, credi di capirlo!? Tu, saresti in grado di dialogare con la marmaglia?! Airenta (impettito). Certamente!


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All’improvviso si sente confusione fuori scena. Entrano vociando Gasparazzo – vestito da carbonaio, con un cappellaccio e armato di fucile – e un gruppo di Brontesi con forconi e altre armi improvvisate. Falconeri (ad Airenta). Eccoti accontentato! Gasparazzo (rivolto minaccioso ad Airenta e Falconeri). Cu siti? I brontesi (in coro). Cu siti? Airenta (a Falconeri). Che dice costui? Falconeri (ad Airenta). Chiede chi siamo. Gasparazzo (più minaccioso). Na dumanda vi fici. I brontesi (in coro). Na dumanda vi fici. Falconeri (ad Airenta). Ci ha fatto una domanda. Airenta (fa un passo avanti e si esprime con fierezza). Siamo patrioti! Ci inviò qui la paterna cura del generale Garibaldi, dittatore di Sicilia in nome di sua maestà Vittorio Emanuele II re d’Italia. Falconeri (facendosi coraggio e accompagnando ogni esclamazione con l’ombrellone sollevato). Viva l’Italia! Viva Garibaldi! Viva... (sempre più flebile perché nessuno lo imita) la li-ber-tà. Gasparazzo (si avvicina, seguito dai brontesi, ad Airenta, che rimane impettito, mentre Falconeri si mostra timoroso; gira intorno ai due garibaldini e, dopo un po’, dice con ironia). Ah, siti patrioti. E i patrioti vanu in giro cumbinati accussì? (Indica la maschera da sub, le pinne, il salvagente e l’ombrellone.) I brontesi (in coro). E i patrioti vanu in giro cumbinati accussì? Airenta e Falconeri guardano gli oggetti additati da Gasparazzo.


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Airenta (a Falconeri). Che vuole questo villico? Falconeri (ad Airenta). Vuole sapere perché siamo vestiti da mare. Airenta (a Falconeri). Aaaah, capisco. Lascia fare a me (rivolto a Gasparazzo e ai brontesi). Popolo di Bronte! Siciliani! Non stupitevi per le nostre inusitate fogge... Gasparazzo. Siti di Foggia? I brontesi (fra di loro). Sunu di Foggia. Airenta (prosegue indifferente). ... Al comando del novello Aiace, dopo le vittoriose imprese di Calatafimi e Palermo, il nostro battaglione trovavasi a Giardini... Falconeri. Avete presente, no? Spiaggia, mare... (Fa il gesto di chi prende il sole, si tuffa in mare e nuota.) Airenta. ... quand’ecco, com’è suo solito, il nostro generale – lampo e fulmine – ci intima di partire. (Imita, andando a destra e sinistra, l’atto di chi rassetta in fretta e furia.) E non possiamo dire: “Un momento, mi devo cambiare”. Oppure: “Generale, aspettiamo che si asciughi il costume”. Così come siamo (guarda giù verso le pinne e si tocca la maschera da sub), cominciamo a marciare. Falconeri. Non sulu. Ma incarica a me e a questo illustre piemuntisi (indica Airenta) di andare in avanscoperta. Airenta (allargando le braccia). Ed eccoci qua. Falconeri (allargando le braccia). Ed eccoci cca. Gasparazzo (si gratta il mento). Mmmmh. I brontesi (si grattano il mento). Mmmmh. Gasparazzo (riflettendo). E picchì vinistivu cca, fuiendu fuiendu? I brontesi (in coro). Picchì? Picchì? Picchì? Airenta (a Falconeri). Che cosa vuole, ancora, questa gente? Falconeri (ad Airenta). Vogliono sapere perché siamo venuti qua, fuggendo fuggendo. Airenta (illuminato). Siciliani! Si-ci-li-a-niiii!!! Giungemmo a rompere il giogo dell’odiato inimico borboniano. Que-


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sto è il tempo del cambiamento. È il tempo della rivoluzione contro l’usurpatore che siede a Napoli! A morte il re Borbone! Falconeri (accompagnando ogni esclamazione con l’ombrellone sollevato). Viva l’Italia! Viva Garibaldi! Viva la li-ber-tà! Airenta (a Falconeri). Ben detto, patriota! Falconeri. Grazie, patriota! (Abbassando la voce.) Ma mi sa che qui non attacca... Gasparazzo (si gratta il mento). Mmmmh. I brontesi (si grattano il mento). Mmmmh. Gasparazzo (pensieroso). Su vinistivu ppi fari ’a rivoluzzioni, arrivastivu taddu. Orˇrˇorarˇrˇuritta (intercalare tipico dei brontesi che si traduce con “or ora”, “proprio adesso”) ’a ficimu ’a rivoluzzioni. I brontesi (in coro). Orˇrˇorarˇrˇuritta ’a ficimu ’a rivoluzzioni! Airenta (a Falconeri). Che dicono costoro? Falconeri (ad Airenta). Boh... Mi sembra che dicano che qua la rivoluzione l’hanno fatta or ora. Siamo arrivati un po’ tardino. Airenta (rivolto a Gasparazzo con tono accomodante). Guardi, galantuomo, sarà meglio affrontare queste faccende con il generale Bixio... Gasparazzo (avvicinandosi minaccioso ai due insieme ai brontesi). Tunnativinni di undi ata vinutu. E dicitici a lu ginirali Biscio... Airenta (timoroso). Bixio... Gasparazzo. ... dicitici ca a Bronte ’a rivoluzzioni ’a ficiru i bruntisi orˇrˇorarˇrˇuritta. (Inizia a spintonare i garibaldini, imitato dai brontesi.) I brontesi (in coro). Orˇrˇorarˇrˇuritta ’a ficimu ’a rivoluzzioni! Airenta (a Falconeri). Non capisco le parole di costui... Falconeri (ad Airenta). Non c’è niente da capire... C’è solo da agire. Scappiamo!


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