Presentazione Now-fraghi o degli Ulisse postmoderni
Si conclude una delle serie più discusse della storia della televisione. Gli avvicendamenti di matrice antropologica che hanno affascinato milioni di telespettatori in tutto il mondo. Alle domande scientifiche, accademiche, di appassionati, di curiosi e di ultimi arrivati, nessuna risposta. Perché il tema centrale di Lost è probabilmente il dubbio. Il socratico movimento mentale per cui una domanda non genera che un’altra domanda. E allora Lost ci propone una «mappa per perdersi», giacché siamo tutti o tutti vorremmo essere «losties». La trama, gli espedienti della sceneggiatura, però, non sono la vera rivoluzione in materia di narrazione. Hitchcock aveva già sperimentato negli anni Quaranta ogni possibile espediente narrativo volto a «spaccare emotivamente» il pubblico, il quale, dopo la visione del film, tornava a casa stordito, in preda alla vertigine. Non a caso in Lost ritroviamo il buon Alfred dietro le storie di molti personaggi: chi muore in realtà non è morto, chi è tornato indietro forse non si è mai mosso e chi ha guidato in realtà è stato condotto. È il connubio tra la serie, le comunità virtuali di appassionati (i losties, appunto) e la generazione spontanea di deVII
rive mediatiche che ha avvinto il fenomeno connotandolo come una vera e propria «forma di rimediazione culturale» (concetto ben esposto da Bolter e Grusin). Il testo di Giuseppe Grossi tenta di mescolare questioni socio-culturali a un più generale quadro di pratiche comunicative che, a partire dalla serie, si ramificano verso gli utenti per poi essere restituite all’ambiente di consumo mediatico. In questo tentativo, il nostro «Shepherd» Grossi disegna uno scenario nel quale tanto la mimesi mediatica quanto la vertigine del senso narrativo si adattano perfettamente alle dinamiche di co-creazione e di networking così care al postmoderno. Roger Caillois ne sarebbe stato compiaciuto. Alcuni temi, la natura perversa del rapporto tra me e l’alter, la costruzione del legame tra fabula e intreccio, la configurazione dell’Isola come spazio che sempre rimanda a un luogo altro, una sorta di ipertesto nel quale la vita di ogni personaggio della serie è una sorta di «link», sono tracciati in relazione alle implicazioni filosofiche che Grossi puntualizza nei vari capitoli. La scelta di un approccio trans-disciplinare, dunque, diventa una strada possibile per la lettura di un prodotto mediatico che ha varcato le soglie del suo contenitore. Abbandonando la strada del mezzo come messaggio (strada che McLuhan si era raccomandato di non abbandonare!) Lost si è frantumato in milioni di schermi, centinaia di interfacce, miliardi di bacheche. Passando dalla struttura di molteplici prodotti, è diventato guerrilla marketing, video virale, talk show, blockbuster, spot, maratona, community, fan page, ecc. Un efficace labirinto di percorsi il cui scopo è quello di sfrangiare le possibilità che l’utente ha per approcciarsi allo stesso prodotto. Non si parla del comune merchandising, ma di una vera e propria configurazione multimedia, un pasVIII
saggio ben strutturato dal concetto di «audience» al concetto di «gruppo d’ascolto». Obiettivo: creazione di sintonia. Una serie che ha reso riconoscibili i suoi «segni», usando codici comuni, trasferibili e trasversali come i numeri e la geometria. Questa capacità di essere trasferita da un supporto mediatico all’altro ha reso Lost un fenomeno senza precedenti. Una logica simile a quella della digitalizzazione dei mezzi di comunicazione: giocare sullo spazio di latenza strutturale dei suoi codici per poter essere continuamente manipolata e trasferita. Ed è forse per questo che la catena multiprodotto Target ha lanciato, la domenica che precedeva la puntata finale della serie, tre spot in tema Lost: protagonisti la famigerata sequenza di numeri, un cinghiale e una nube di fumo. Tre «forme brevi» da 15 secondi per pubblicizzare una tastiera, una salsa barbecue e un segnalatore di fumo. Gli spot sono visionabili su YouTube, digitando ad esempio «target + lost: ribs». Assistiamo così alla corsa sfrenata di un cinghiale attraverso la folta vegetazione dell’Isola e al consiglio di abbinare alla bestia una salsa della Kraft. Grottesco? Sicuramente, ma diretto da Jack Bender, idolo dei fan di Lost perché regista di alcuni degli episodi storici della serie. Dunque ecco il disegno visto in panoramica da Grossi: l’utente di Lost è un novello Ulisse. Ma a questo Odisseo postmoderno non interessa più tornare a Itaca, la sua attenzione, i suoi sensi e la sua volontà comunicativa sono tutti rivolti al viaggio. Il percorso supera in interesse la meta. La bussola è uno strumento superato, si torna a guardar le stelle per dis-orientarsi. Erika D’Amico
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Indice
Presentazione Now-fraghi o degli Ulisse postmoderni Introduzione Lost in Lost 1. Lost: serie «isolata»
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1.1. Prospettive «serie», p. 11 - 1.2. Isolamente Lost, p. 22
2. Il lostmoderno
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2.1. Perso-naggi, p. 41 - 2.2. «Nomen omen»?, p. 50 - 2.3. La politica in gioco, p. 63 - 2.4. Se questa è un’isola: un luogo (non) comune, p. 75
3. Navigando verso l’Isola: l’esperienza on line
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3.1. L’utente naufrago e la sua «rete», p. 91 - 3.2. Lost: reality shock, p. 96
Conclusione La puntata vincente
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Bibliografia
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Sitografia
113