«I passi della danza» a cura di Stefania Onesti

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Indice

Elena Randi, Stefania Onesti Introduzione 7 Stefania Onesti Gasparo Angiolini. Appunti e riflessioni fra prassi scenica e modalità compositive: tre versioni della Semiramide 13 Elena Cervellati La “cuisine du ballet” di Arthur Saint-Léon

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Elena Randi La creazione coreica come spazio di manifestazione dell’archetipo 61 Marco Argentina Un caso di studio. Dances to the music of Johann Sebastian Bach di Ted Shawn

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Rossella Mazzaglia Dall’astrazione alla composizione: le macchine danzanti di Trisha Brown

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Elena Randi, Stefania Onesti

Introduzione

Circa un anno fa con alcuni studiosi di danza, specialisti di periodi storici diversi compresi tra l’epoca illuminista e il post-moderno, abbiamo pensato di concepire, ciascuno, un saggio dedicato al tema del processo creativo nell’opera coreica. L’idea era di indagare l’atto poietico nei suoi vari aspetti, analizzando una specifica coreografia e i suoi principi generatori, ossia le motivazioni costruttive dell’artista che l’aveva firmata; oppure focalizzando l’attenzione sul confronto fra più prodotti di uno stesso coreografo o sull’evoluzione del metodo di lavoro creativo di un certo Maestro; o ancora optando per l’identificazione di un obiettivo compositivo come guida del processo ideativo, e dimostrando come esso fosse riscontrabile in più di un coreografo in un determinato arco temporale. Il ballet d’action, che nasce grosso modo con Angiolini (17311803) e Noverre, volendo rappresentare una storia attraverso l’uso della danza stricto sensu unita alla pantomima e in assenza di parola, pone una serie di interrogativi relativi alla scelta e alla definizione del plot e al modo di renderlo attraverso l’azione fisica. Spesso i libretti di ballo derivano da testi concepiti per la lettura o per il teatro di parola, e vanno ineluttabilmente molto accorciati e semplificati, perché il gesto non sa esprimere vicende complesse. Un primo problema è come cucire i lacerti di testo rimasti in modo tale che la trama continui a risultare logica e conseguente, questione che riguarda in primis chi scrive il libretto. Un problema di più difficile risoluzione concerne la resa della storia senza l’impiego del linguaggio articolato. A partire da questi snodi centrali, si sono analizzate costanti e varianti delle tre versioni della Semiramide di Gasparo Angiolini


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Introduzione

(Vienna 1765, Venezia 1773 e Milano 1774), e si è esaminato come si passi dal testo di Voltaire al libretto, come, cioè, venga rimaneggiato un dramma pensato per essere recitato in un testo che funzioni per essere successivamente espresso tramite i movimenti del corpo (riduzione dei personaggi, rimozione di scene, ecc.). Si è cercato di capire anche, nei limiti concessi dall’assenza dell’oggetto di studio – il balletto Semiramide – come il plot si traduca in azioni fisiche. Per tutto l’Ottocento i problemi fra loro connessi del modo di unire danza e pantomima e del peso da attribuire alla fabula restano centrali e vengono risolti diversamente dai vari coreografi. Arthur Saint-Léon (1815-1871), ad esempio, di cui si occupa il saggio di Elena Cervellati, assegna un’importanza notevole alla pulizia dei passi del codice accademico e alla costruzione della sintassi coreografica, mentre è meno accurato nella resa dell’intreccio nei suoi balletti, così offrendo, secondo gli spettatori dell’epoca, eventi scenici più vicini al concerto che all’opera lirica. In altri termini, nei suoi lavori, non propriamente astratti (evidentemente non ha il coraggio di compiere una svolta così drastica), di fatto dà molto più spazio alla danza “pura” che alla pantomima. Più precisamente, la vicenda – stando ai suoi contemporanei – è esile e comunque Saint-Léon non è eccessivamente preoccupato risulti comprensibile agli spettatori. Persino quando il libretto è affidato ad un grande letterato e poeta come Gautier (è il caso di Pâquerette, 1851), egli viene costretto (da Saint-Léon o, probabilmente, da Fanny Cerrito, sua compagna professionalmente e moglie nella vita) a piegarsi a scrivere una trama piuttosto gracile, affinché a rifulgere sia la danza nel suo aspetto formale, tecnico. Se l’“astrazione” in Saint-Léon è ancora “inquinata”, sarà più schietta in coreografi novecenteschi quali Balanchine, forse non a caso formatosi al Mariinskij di S. Pietroburgo, dove il Maestro francese, molti anni prima, aveva lavorato per un decennio, lasciando un’impronta duratura. Anche la Sténochorégraphie, ossia il trattato nel quale Saint-Léon spiega il sistema di notazione della danza da lui inventato, sembra andare in questa direzione: a contare è la tecnica cosiddetta classica, non la mimica, motivo per cui, fra l’altro, il periodo russo è contraddistinto da una scarsissima stima reciproca tra lui e Marius Petipa, che – di stanza, anch’egli, al Mariinskij – pone, invece, estrema attenzione al linguaggio pantomimico.


Introduzione

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L’importanza dell’espressione è prepotente nella modern dance americana e nell’Ausdruckstanz tedesca, correnti i cui protagonisti, in certi casi, alla pantomima sostituiscono nelle loro creazioni un movimento ritenuto archetipico. Si è scelto, così, di intervenire in uno dei saggi contenuti in questo volume più che sul come, concretamente, si crea una danza, sul risultato che i coreografi intendono realizzare, e, esaminando diversi artisti operanti tra la fine dell’Ottocento e i primi sessant’anni del Novecento circa, si è individuata una costante nel loro obiettivo: la messa in scena degli archetipi, anziché, come avviene nel teatro naturalista, di una copia del pallido e corrotto “reale”. La convinzione di base di alcuni danzatori modern è che esistano leggi cinetiche universali ed immutabili (archetipiche), di cui nel moderno non abbiamo più contezza, ma che, una volta riscoperte, dovrebbero costituire i soli principi in base ai quali creare un evento coreografico. Alcuni degli artisti esaminati, in questa operazione, si ispirano consapevolmente a François Delsarte (18111871). Pensiamo a Isadora Duncan (1877-1927), Ruth Saint Denis (1879-1968), Ted Shawn (1891-1972), Martha Graham (1894-1991) o Rudolf Laban (1879-1958). Altri – Nikolais (1910-1993), Limón (1908-1972), Hawkins (1909-1994) – non hanno forse questa coscienza, e comunque sono così lontani nel tempo da Delsarte e così distanti da lui sotto altri profili, che tale presunta lacuna conoscitiva risulta del tutto comprensibile. Talvolta lo scavo volto ad estrarre l’archetipo sepolto sotto la crosta superficiale porta ad una sorta di astrazione più esplicita di quella concepita da Saint-Léon. È il caso del lavoro analizzato da Marco Argentina: Dances of Johann Sebastian Bach di un artista modern come Ted Shawn (1940). Si tratta di una sequenza di otto pezzi tutti contraddistinti dall’essere music visualizations, ossia visualizzazioni di brani musicali, in questo caso di Bach. Argentina ritiene che, nelle sezioni coreiche di cui è composta la complessiva coreografia, siano presenti passi della tecnica classica e della danza indiana all’epoca denominata nautch. La scelta sarebbe dettata dalla convinzione che in essi (anche in essi come in qualunque altra forma di danza) siano contenute, sia pure in modo difficilmente percepibile, le leggi cinetiche universali e immutabili alle quali spetta di appropriarsi della scena. Ciò non significa ancora, però, che l’espressione sia assente.


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Introduzione

Secondo Shawn, infatti, anche la coreografia concepita nel modo più astratto, per esempio, appunto, le Dances of Johann Sebastian Bach, ineluttabilmente parla: per quanto l’esecutore cerchi d’essere freddo e distaccato e per quanto un’opera sia costruita solo ed esclusivamente in modo tecnico, Shawn crede che comunque trapelino il mondo interiore, il sentimento, l’emozione del danzatore. Diverso il pensiero di Trisha Brown (1936-2017), che, come tutti i protagonisti della corrente post-modern, si libera dell’espressione, del contenuto, del “letterario”, a tutto favore della ricerca sulla struttura, sul motion, sulla forma. Ai successivi metodi di costruzione di un evento performativo di Trisha Brown dedica il suo intervento Rossella Mazzaglia, compiendo un percorso nel tempo delle diverse soluzioni adottate e dei motivi che le sorreggono: dall’improvvisazione intesa a reagire spontaneamente agli imprevisti, all’assegnazione di compiti funzionali, alle improvvisazioni strutturate, agli equipment pieces in cui le scelte soggettive sono sempre più limitate. Si arriva alla memorizzazione delle improvvisazioni, secondo modalità che si modificano nel corso degli anni, a lavorare negli edifici teatrali e ad introdurre coefficienti come la scenografia e la musica, prima ritenuti inutili. A proposito di uno dei lavori della fase matura della Brown, M.O. (1995), ispirato all’Offerta musicale di Bach, la coreografa, le cui opere non «ricalcano la musica bensì seguono un processo di astrazione che passa dallo studio pregresso della struttura», commenta: «Bach ha creato una macchina e la risposta non può che essere un’altra macchina». È sostanzialmente l’idea celata dietro le Dances of Johann Sebastian Bach di cui parla Marco Argentina. Ma per Trisha Brown la struttura non possiede necessariamente una profondità, né nasconde un significato “altro”, come invece, ritiene l’autore di Every Little Movement.


Stefania Onesti

Gasparo Angiolini. Appunti e riflessioni fra prassi scenica e modalità compositive: tre versioni della Semiramide

Nel 1765 va in scena a Vienna la Semiramide, «tragédie en ballet pantomime»1, terza opera danzata esemplificativa della riforma messa in atto da Gasparo Angiolini2 dopo Le festin de pierre denominato anche Don Juan3 e la Citera assediata4. Questi lavori costituiscono i primi tentativi fondanti la nuova pratica scenica del coreografo italiano, raccogliendo la sintesi della sua poetica e della sua prassi creativa. Tutti e tre vedono la luce a Vienna – dove Angiolini lavora a stretto contatto con Calzabigi e Gluck per la redazione del libretto 1

G. Angiolini, Sémiramis. Tragédie en ballet pantomime composé par le Sr. Gaspar Angiolini à l’occasion du marriage de leurs majesties Joseph II d’Autriche et MarieJosephe de Bavière, chez Jean-Thomas de Trattnern, imprimeur de la court, Vienne 1765, ora in C.W. Gluck, Sämtliche Werke, begründet von Rudolf Gerber, herausgegeben von Gerard Croll, Bäreureiter, vol. VII: I libretti, Kassel 1995, pp. 181-183 (d’ora in poi Sémiramis, 1765). 2 Su Gasparo Angiolini cfr. L. Tozzi, Il balletto pantomimo del Settecento Gaspare Angiolini, Japadre, L’Aquila 1972, in particolare la biografia alle pp. 157-168. Cfr. anche la voce del Dizionario Biografico degli Italiani consultabile on line al seguente link: http://www.treccani.it/enciclopedia/gasparo-angiolini_(Dizionario-Biografico)/ (ultima visita 22.08.2018). 3 G. Angiolini, Le festin de pierre. Ballet pantomime composé par Mr. Angiolini, chez Jean-Thomas de Trattnern, imprimeur de la court, Vienne 1765, ora in Gluck, Sämtliche Werke cit., vol. VII, pp. 171-175. 4 G. Angiolini, Citera assediata. Opera comica messa in musica dal sig. cavalier Gluch l’anno 1757. Ridotta in pantomimo dal sig. Gaspero Angiolini compositore de’ balli al teatro presso la corte in Vienna, e rappresentata per la prima volta sopra questo teatro li 15 settembre 1762, nella stamperia di Ghelen, [Vienna 1762].


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e la composizione della musica5 –, ma l’unico ballo a essere ripreso in Italia è Semiramide, che viene riallestito nel 1773 a Venezia e, l’anno successivo, a Milano. I libretti stampati per queste produzioni si offrono come un punto di vista interessante per osservare il consolidamento della prassi scenica e creativa angioliniana e tentarne un’analisi. La prima versione della Semiramide è appunto quella del 1765. Possediamo due redazioni del libretto di questo spettacolo: una contenuta nel Programma vero e proprio, che esce a stampa per essere distribuito in occasione della rappresentazione6, e un’altra all’interno della Dissertation sur les Ballets Pantomimes des Anciens, pour servir de programme au ballet pantomime tragique de Sémiramis7. In entrambi i casi, il libretto è suddiviso in tre scene o atti (i due termini sono utilizzati come sinonimi) in cui ritroviamo la concitazione nello sviluppo dell’azione e l’essenzialità nella struttura e nella scelta dei personaggi che Angiolini riteneva fondamentali affinché un ballo fosse chiaro e arrivasse diretto al cuore dello spettatore. La versione del 1773, andata in scena al teatro San Benedetto di Venezia per la fiera dell’Ascensione, si articola in cinque atti, con 5

Sulla questione della paternità dei libretti di Le festin de pierre e Sémiramis, cfr. S. Onesti, Di passi, di storie e di passioni. Teorie e pratiche del ballo teatrale nel secondo Settecento italiano, Accademia University Press, Torino 2016, pp. 12-13. Ma cfr. tutto il primo capitolo sull’uso del libretto come fonte per lo studio del ballo pantomimo e sulla sua autorialità. 6 Sémiramis, 1765. 7 Come recita il titolo, la Dissertation doveva servire da Programma al ballo. Cfr. G. Angiolini, Dissertation sur les Ballets Pantomimes des Anciens, pour servir de programme au ballet pantomime tragique de Sémiramis, chez Jean-Thomas de Trattnern, Imprimeur de la Cour, Vienne 1765. La prima edizione della Dissertation, pubblicata a Vienna nel 1765, si trova in Gluck, Sämtliche Werke cit., vol. VII, pp. 185-200. Nel 1956 Walter Toscanini ne cura un’edizione in ristampa anastatica: W. Toscanini, Les ballets pantomimes des anciens, Dalle Nogare e Armetti, Milano 1956. La copia originale del libretto è conservata presso la New York Public Library, Performing Arts Research Collection, Cia Fornaroli Collection, call number *MGT-Res. Del volume voluto da Walter Toscanini sono stati stampati cinquecento esemplari. Chi scrive ha studiato e tradotto l’esemplare numero 89 conservato presso l’Archivio Contemporaneo “Alessandro Bonsanti” del Gabinetto G.P. Viesseux di Firenze, fondo Luigi Dallapiccola, collocazione FDa 601.


Tre versioni della Semiramide

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indicazioni molto più dettagliate e precise riguardo alla scenografia, i personaggi e la musica, composta espressamente da Angiolini (nel 1765, lo ricordiamo, l’autore della partitura era Gluck). Il libretto di questa versione, edito presso Modesto Fenzo nell’anno della messinscena8, è accompagnato da un Avviso al pubblico in cui il coreografo presenta e giustifica il suo operato. Per l’ultima ripresa del 17749, rappresentata nella stagione di carnevale al Regio Ducale di Milano, Angiolini, in un Avviso contenuto nel libretto dell’opera si limita a fornire un breve riassunto dell’azione che, secondo quanto dichiarato, ricalca quella veneziana. In linea con le sue convinzioni teoriche ritiene che l’opera debba spiegarsi da sé: «Il darne un minuto programma sarebbe un abusare dell’intelligenza del pubblico, e degradar un’arte la quale della chiarezza e semplicità de’ mezzi che adopera desume il suo maggior pregio»10. La fonte d’ispirazione per tutti gli allestimenti è l’opera in versi di Voltaire11. Semiramide, con la complicità di Assur, uccide Nino, il 8

G. Angiolini, Semiramide. Ballo tragico pantomimo rappresentato in Venezia nel nobilissimo teatro di San Benedetto per la fiera dell’Ascensione dell’anno 1773, in P. Metastasio, Antigono. Dramma per musica da rappresentarsi nel nobilissimo teatro di San Benedetto nella fiera dell’Ascensione dell’anno 1773, appresso Modesto Fenzo, Venezia 1773 (d’ora in poi Semiramide, 1773). Il Programma si trova rilegato in fondo al libretto dell’opera e comprende anche il libretto del secondo ballo Il disertore francese. La numerazione delle pagine non segue dall’opera precedente ma è autonoma. 9 G. Angiolini, Avviso della Semiramide. Primo ballo tragico pantomimo, in V.A. Cigna-Santi, Andromeda. Dramma per musica da rappresentarsi nel Regio-Ducal teatro di Milano nel carnovale dell’anno 1774, nella stamperia di Giovanni Montani, Milano [1773 o 1774], pp. 6-8. 10 Ivi, p. 7. La necessità del Programma per spiegare il ballo è molto dibattuta negli anni Settanta del Settecento essendo anche uno dei punti di scontro fra Angiolini e Noverre. Cfr. su questo G. Angiolini, Riflessioni di Gasparo Angiolini sopra l’uso dei programmi nei balli pantomimi, [s.e.], Londra 1775, ora in C. Lombardi (a cura di), Il ballo Pantomimo. Lettere, saggi e libelli sulla danza (1773-1785), Paravia, Torino 1998, pp. 117-124. Per un panorama sulla polemica, cfr. A.B. Fabbricatore, La querelle des pantomimes. Danse, culture et société dans l’Europe des Lumières, Presse Universitaire des Rennes, Rennes 2017, pp. 289-336. 11 Effettivamente Angiolini segue Voltaire anche nel presentare il suo lavoro insieme ad una dissertazione teorica. La Semiramide dell’illuminista francese, infatti, esce accompagnata da una Dissertation sur la tragédie ancienne et moderne dedicata


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suo sposo, e regna incontrastata facendo del suo stato una prosperosa potenza. Tuttavia, dopo quindici anni, la regina babilonese è perseguitata dallo spettro del defunto marito che pretende vendetta invocando il nome del condottiero Arsace. Tormentata e affranta, chiede consiglio agli dei: il popolo reclama un nuovo re che possa vendicare l’assassinio di Nino attraverso un sacrificio. Tutti i presagi indicano nel giovane Arsace la persona designata a questa grande impresa e a risollevare le sorti del regno. Egli, però, altri non è che il figlio di Semiramide e Nino, sottratto, ancor piccolo, quindici anni prima all’infame sovrana e al suo complice. La tragedia si consuma: Arsace, che in realtà si chiama Ninia, entra nel sepolcro e, credendo di uccidere Assur colpisce e trafigge a morte, la madre. Egli vorrebbe suicidarsi, ma viene fermato dagli astanti e sviene sul corpo senza vita della donna. Come procedere, concretamente, nella trasposizione dai versi alla danza? Dall’analisi dei testi che riguardano la creazione di questo spettacolo possiamo individuare delle strategie ben precise. Angiolini, in primo luogo, condensa l’azione, quanto meno nella prima versione scenica, da tre a cinque atti e mantiene solo i personaggi essenziali allo svolgimento del dramma: Semiramide, Ninia/ Arsace, il sacerdote e il fantasma del defunto re Nino. Spariscono il complice Assur e la promessa sposa del giovane protagonista, Azema, i confidenti e gli amici dei vari personaggi, così come gli episodi ritenuti secondari: l’amore tra Arsace/Ninia e Azema e il complotto ordito da Assur e Cedar per usurpare il trono di Semiramide. Il corpo di ballo si divide fra il popolo, i pretendenti alle nozze di Semiramide, notabili del regno e milizie varie. Il coreografo, rispetto alla tragedia in versi, mantiene l’impianto del primo atto, la fine del

al cardinal Querini. Cfr. Voltaire, La tragédie de Sémiramis par M. de Voltaire et quelques autres pièces de littérature du même auteur qui n’ont point encore parues, chez P.G. Le Mercier, imprimeur-libraire, rue St. Jacques au livre d’or et chez Michel Lambert libraire, Paris 1749. Il testo è disponibile in consultazione digitale in Gallica: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k5783896g/f4.image (ultima visita 21.09.18). La prima edizione della tragedia è del 1748. L’anno successivo viene rieditata accompagnata dalla dissertazione. Una prima traduzione italiana, invece, esce a cura dell’abate Melchiorre Cesarotti nel 1771.


Tre versioni della Semiramide

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terzo e l’ultimo, sostanzialmente cassando due atti e mezzo; i lunghi dialoghi vengono sostituiti dalla messa in azione delle passioni forti e contrastanti che animano i protagonisti, vero fulcro della riforma del ballet d’action; gli snodi drammaturgici più importanti, come la volontà di Nino di essere vendicato e l’agnizione di Arsace/Ninia come legittimo erede al trono, vengono risolti dall’uso di pannelli, scritte che compaiono in scena e manifestano il volere dello spettro del re defunto; l’ombra di Nino assume un ruolo più centrale, e da protagonista12. Ma procediamo con ordine. Osservando la prima scena del ballo e della tragedia, notiamo come Angiolini trasformi la descrizione che Mitrane fa ad Arsace dello stato d’animo della regina in azione fisica. Angiolini si appoggia ai versi di Voltaire, pronunciati da Mitrane, per dare vita al suo personaggio: A’ suoi dolori in preda Semiramide sparge in questi luoghi la tristezza che a lei divora il core. L’orror che la spaventa è penetrato in tutti i spirti: or di lugubri strida l’aria ferisce, ed or cupa, abbattuta, sbigottita, perduta, fuggir sembra di qualche dio vendicatore lo sdegno. [...] Ella si prostra a terra tra questi luoghi tenebrosi e sacri [davanti la tomba di Nino dove è proibito entrare] alla notte, al silenzio e alla morte [...]. Ella s’avanza a passo lento, impallidita il volto, tremante, ansante e si percote il petto dal suo pianto inondato13.

Il racconto viene quasi letteralmente tradotto in pantomima sul palcoscenico. La Semiramide danzatrice sembra dare vita, nel corso del ballo, a questa immagine di una regina spaventata e prostrata dal dolore. Nel libretto del 1765 leggiamo: Il suo sonno è estremamente agitato; sembra che faccia dei sogni tremendi. L’ombra di Nino appare; Semiramide crede di vederla in sogno e il

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Sul libretto della Semiramide di Angiolini-Gluck e per una breve disamina della sua partitura, cfr. B.A. Brown, Gluck and the French Theatre in Vienna, Clarendon Press, Oxford 1991, pp. 335-341. 13 Voltaire, La Semiramide del signor di Voltaire trasportata in versi italiani dal Sig. abate Melchiorre Cesarotti, s.l. 1771, pp. 5-6 (d’ora in poi citata come Cesarotti, 1771) e Voltaire, La tragédie de Sémiramis par M. de Voltaire cit., 1749, p. 34 (d’ora in poi abbreviata in Voltaire, 1749).


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suo tormento aumenta. L’ombra, dopo averla minacciata con un pugnale che tiene nella mano, la scuote, la sveglia e sparisce. La Regina si alza; l’orrore è dipinto sul suo volto; cerca ovunque il fantasma e crede di vederlo ovunque14.

Appare una scritta (il libretto dice prodigiosamente tracciata da una mano): «Mio figlio mi vendicherà: trema perfida sposa!»15. Affranta, esce sostenuta dalle ancelle accorse ai suoi lamenti. Nella tragedia di Voltaire Semiramide compare nella quinta scena del primo atto come una donna sfinita e vinta, quasi disturbata. La didascalia che accompagna il suo ingresso recita: «Semiramide s’avanza appoggiata sopra le sue donne»16 e più avanti «cammina smarrita sopra la scena credendo di veder l’ombra di Nino»17. Nel libretto angioliniano del 1773 la descrizione delle azioni della protagonista è molto più dettagliata. La scena, in questo caso, si svolge nel bosco sacro fra le tombe dei re di Assiria, dove vi è anche quella di Nino: Semiramide con due fide damigelle, vivamente agitata dai rimorsi de’ suoi esecrandi delitti, viene tremante al Mausoleo di Nino per placare l’Ombra sdegnata dell’ucciso consorte. Prima di cominciare la religiosa cerimonia usa ogni possibile cautela per non essere da niuno veduta, acciò non sia palese la sua paura interna, che la rende, e timida, e infelice18.

Ancora nel secondo atto del ballo, versione 1773, leggiamo come «sempre traspirano in essa i tormenti interni che la divorano, e le 14

Angiolini, Dissertation cit., cc. 14v-15r. Ivi, c. 15r. Un simile espediente era abbastanza comune fra i coreografi del ballet d’action, servendo a sciogliere quei momenti dell’intreccio altrimenti impossibili da rendere solo attraverso la pantomima. In questo modo infatti il pubblico ha chiara, una volta per tutte, la causa del tormento del personaggio. Hilverding, maestro e mentore di Angiolini, ne fa uso sin dal 1757 nel ballo La guirlande enchantée. Cfr. Brown, Gluck and the French Theatre in Vienna cit., p. 338. Cfr. su queste tematiche anche E. Nye, Mime, Music and Drama on the Eighteenth-Century Stage, Cambridge University Press, Cambridge 2011, pp. 138-154. 16 Cesarotti, 1771, p. 22; Voltaire, 1749, p. 44. 17 Cesarotti, 1771, p. 23; Voltaire, 1749, p. 44. 18 Semiramide, 1773, p. 7. 15


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amareggiano ogni lieto momento»19. In un altro passaggio presente in entrambe le versioni danzate, la regina «s’avanza lentamente»20 o «gravemente»21 e a mala pena riesce a celare il doloroso stato di prostrazione. Angiolini, dunque, se da un lato condensa l’azione di Voltaire in tre atti, dall’altro “diluisce” il racconto di Mitrane per caratterizzare, lungo tutto il ballo, il personaggio principale, attingendo anche alle didascalie del testo in versi che tratteggiano l’ingresso della regina. Da queste descrizioni, inoltre, intuiamo come la pantomima giochi un ruolo fondamentale per la delineazione di Semiramide (non sarà così per Ninia), anche se non possiamo del tutto escludere che a questi passaggi, apparentemente solo mimici, fosse associato qualche passo di danza accademica in senso stretto22. Altri elementi fondamentali che passano, con efficacia drammaturgica, da Voltaire ad Angiolini sono l’ombra di Nino e i coups de théâtre ad essa collegati, anzi a questi elementi nel ballo viene dato uno spicco particolare. A tal proposito, nella Dissertation Angiolini scrive: «È l’ombra di Nino a giocare un ruolo importante nel mio ballo. Mi serve molto per farmi capire e rende la mia catastrofe veramente terribile e tragica»23. Il soprannaturale permette infatti l’utilizzo di espedienti quali i famosi pannelli scritti che, oltre ad agevolare notevolmente il lavoro del coreografo, offrono il destro ai colpi di scena, utili per rendere più ricco e appetibile lo spettacolo e mantenere viva l’attenzione del pubblico. Confrontiamo ancora una volta i testi. Nella seconda scena del primo atto voltairiano Arsace/Ninia rimane solo in attesa del sacerdote davanti alla tomba e ode «una voce lagrimosa e tetra». Una didascalia al testo infatti recita: «Si sente l’ombra di Nino dentro il sepolcro» e ancora più avanti: «Ombra di 19

Ivi, p. 9. Sémiramis, 1765, p. 3. 21 Semiramide, 1773, p. 11. 22 Sul rapporto fra danza e pantomima e sulle problematiche ad essa connesse, mi permetto di rimandare ancora una volta a Onesti, Di passi, di storie e di passioni cit., pp. 28-56. 23 Angiolini, Dissertation cit., c. 14v. 20


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dentro geme»24. Nel primo atto del ballo, versione 1773, è Semiramide a udire «questi gridi, e questi gemiti» che – secondo una nota al testo – non vengono recitati da un attore fuori scena ma «spiegati dalla musica»25. In questo caso, dunque, la parola recitata trova un valido sostituto nella partitura musicale che è un elemento cardine del ballo pantomimo. In Voltaire, l’ombra di Nino si impone con tuoni e lampi nel momento in cui Semiramide sceglie Arsace/Ninia come suo sposo: «Un fulmine scoppia, ed il sepolcro di Nino si scuote»26. Nel ballo, parallelamente, «il lampo balena; il tuono rumoregga; le tenebre coprono il tempio e dei globi infuocati bruciano e riducono in cenere l’altare e il simulacro»27. Semiramide a questo punto crede che l’ombra di Nino voglia essere placata, ma nella versione ballata del 1765 non ha ancora capito chi è suo figlio, al contrario nel libretto del 1773 leggiamo che subito dopo, «attraverso una nuvola scesa quasi vicino a terra, si legge in caratteri di foco: Ferma perversa madre: egli è tuo figlio»28. Le parole vengono in soccorso per chiarire ulteriormente l’azione e svelare la vera identità di Ninia. Come sottolinea anche Edward Nye, i dialoghi della tragedia in versi vengono trasformati in azioni fisiche e rinforzati dall’elemento scenotecnico29. La stessa strategia è adottata per la scena conclusiva. I concitati scambi di battute e i monologhi vengono condensati in un’unica grande azione a cui tutti i personaggi partecipano. Ninia si accorge di aver ucciso sua madre, corre e si getta ai suoi piedi; deplora il suo errore e il suo sfortunato destino. Le presenta il pugnale ancora macchiato del suo sangue, supplicandola di dargli la morte. Il ferro sfugge dalla mano di Semiramide. Riconosce suo figlio, lo abbraccia, lo perdona, cade e muore. Ninia riprende il pugnale per colpirsi; i Maghi lo disarmano, lo trattengono; la tela cade e lo spettacolo finisce30. 24

Cesarotti, 1771, p. 12; Voltaire, 1749, pp. 37-38. Semiramide, 1773, p. 7. 26 Cesarotti, 1771, p. 67; Voltaire, 1749, p. 77. 27 Sémiramis, 1765, p. 3. 28 Semiramide, 1773, p. 12. 29 Cfr. Nye, Mime, Music and Drama cit., pp. 147-148. 30 Angiolini, Dissertation cit., c. 17v. 25


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Nell’altro libretto si specifica che «il ballo si conclude con diversi gruppi che sottolineano l’orrore e la costernazione da cui tutto è penetrato»31. Nella versione del 1773, non appena la regina spira, Ninia raccoglie lo stile caduto di mano alla già morta Semiramide, e divenuto furibondo inferocisce contro se stesso facendo ogni sforzo per ammazzarsi, ma i suoi seguaci con varj gruppi addattati alla confusione, e a quella terribile situazione, l’impediscono, e lo salvano: con che finisce l’azione, ed il ballo32.

Il confronto tragedia voltairiana-ballo spiega in che senso Angiolini parli della danza come di «un’arte che abbrevia meravigliosamente i discorsi»33 e che «riunisce tutti i raggi in un sol punto»34. La trattazione del soggetto di Semiramide si offre come un chiaro esempio delle sue asserzioni. Le ultime otto paginette della tragedia (grosso modo le scene VI, VII e VIII) si condensano in una sorta di tableau vivant in cui la retorica dei versi poetici lascia il posto all’eloquenza del corpo «parlante»35 dei ballerini. 31

Sémiramis, 1765, p. 6. Semiramide, 1773, p. 16. 33 Cfr. Angiolini, Dissertation cit., c. 13r. 34 Cfr. ivi, c. 19r. 35 Angiolini in diversi Avvisi dei suoi balli utilizza spesso l’espressione «danza parlante», facendo riferimento – immaginiamo – all’eloquenza di un gesto ben danzato ed espressivo. Cfr., per esempio, Gasparo Angiolini, Avviso del compositore de’ balli, in C.F. Badini, Le pazzie d’Orlando. Dramma giocoso da rappresentarsi nel regio-ducal teatro di Milano, l’autunno dell’anno 1773, presso Gio. Batista Bianchi Regio Stampatore, Milano [1773], pp. [57-58]. L’Avviso si trova in fondo al libretto dell’opera, ma le pagine non sono numerate. Pur con le dovute precauzioni, non ci sembra inopportuno citare analoghi procedimenti che alcuni dei coreografi della modern dance americana mettono in atto nel momento in cui si confrontano con la trasposizione danzata di un testo letterario pre-esistente. Condensare l’azione, ridurre i personaggi e ricercare la sintesi perfetta nel gesto significante ed espressivo, ma tecnico allo stesso tempo, trova, a nostro parere, una magistrale resa in The Moor’s Pavane di José Limón. Come sottolinea Elena Randi nella sua analisi, i quattro personaggi «raffigurano stati d’animo» e il pezzo si compone di scene essenziali in cui i veri protagonisti sono i loro sentimenti. In un certo senso, il coreografo messicano compie, a secoli di distanza, le stesse operazioni che i compositori dei balli pantomimi tentano nella seconda metà del Settencento. Osservando la Pavana 32


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