Indice del volume
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Prefazione
Serie I. Favole ed apologhi [1] Na volpe astéute / L’astuzia della volpe, narrata da Messere Francesco di Giovinazzo [2] U làupe e u majale / Il lupo e il maiale, narrata da Minervini Damiano di Molfetta [3] U rizze e la lépre / Il riccio e la lepre, narrata da Angione Rachele (madre di S. La Sorsa) di Molfetta [4] La tapenàre cange re d’ócchjere pe la cóete / La talpa cangia gli occhi in cambio della coda, narrata da Sciancalepore Leonardo di Molfetta [5] La cecale e la fermèjche / La cicala e la formica, narrata da Angione Rachele (madre di S. La Sorsa) di Molfetta [6] U lione e le tóere / Il leone ed i tori, narrata da Azzollini Sergio di Molfetta [7] Velìmece bène! / Vogliamoci bene!, narrata da Dentamaro Luigi di Bari [8] Mbà cane e mb’acìedde / Compar cane e compar uccello, narrata da Manzari Maria Donata di Bari [9] Na nzi facénne méje bbène a la carna battezzéte / Non far mai bene a carne battezzata, narrata 3
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da La Sorsa Domenico (zio di S. La Sorsa) di Giovinazzo
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Serie II. Novelle di carattere morale [10] Le du frôte mòuneche / I due fratelli monaci, narrata da Logoluso Donato di Bisceglie [11] L’ammìdie castegate / L’invidia punita, narrata da Montevago Michele di Bari [12] La storie du acidde grefóene / La storia dell’uccello grifone, narrata da De Feo Salvatore di Molfetta [13] Geséppe u giuste / Giuseppe il giusto, narrata da La Sorsa Francesco (padre di S. La Sorsa) di Giovinazzo [14] Chjù se cambe, e chjù se mbare! / Più si vive, e più s’impara!, narrata da Balacco Corrado di Molfetta [15] Na volte se mbénne Necôle! / Una volta s’impicca Nicola!, narrata da D’Amato Nicolò di Molfetta [16] Ci fasce béene recève béene, e ci fasce màle recève màle / Chi fa bene riceve bene, e chi fa male riceve male, narrata da Carabellese Vincenzo di Molfetta [17] Vâle chjò a bundê chê a recchèzze / Vale più la bontà che la ricchezza, narrata da Pesce Giovanni di Mola
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Serie III. Novelle d’argomenti famigliari [18] U côre d’attàne / Cuore di padre, narrata da Gentile Girolamo di Bisceglie [19] Jére figghje, e mo so mamme, ténghe nu figghje 4
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marite a mamme / Ero figlia, ed ora sono mamma, ho un figlio che è marito a mamma, raccontata da una popolana di Bari vecchia allo studente Cassano Arturo L’anemèle ca pàrlene / Gli animali che parlano, narrata da La Sorsa Francesco (padre di S. La Sorsa) di Giovinazzo Na mamme chjù pèsce du figghje berbande / Una madre peggiore del figlio scapestrato, narrata da La Sorsa Vincenzo di Giovinazzo Pigghjatìlle come Dì te la manne! / Pigliatela come Dio te la manda, narrata da Scoppio Michele di Bari La pènne du pavone / La penna del pavone, narrata da Milella Paolo di Bari
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Serie IV. Novelle d’argomento fantastico [24] U uòmne du cardellêine / L’uomo del cardellino, narrata da Lamanna Giuseppe di Polignano [25] La fertune de cinghe frate / La fortuna di cinque fratelli, narrata da Dentamaro Luigi di Bari [26] La vènde nzégne l’arte / Il ventre insegna l’arte, narrata da La Sorsa Francesco (padre di S. La Sorsa) di Giovinazzo [27] Tré fréte spòsene le tré figghje de tatà nanurche / Tre fratelli sposano le tre figlie dell’orco, narrata da La Sorsa Francesco (padre di S. La Sorsa) di Giovinazzo [28] Nu mideche mbrevveséte / Un medico improvvisato, narrata da La Sorsa Francesco (padre di S. La Sorsa) di Giovinazzo 5
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[29] I bravèure de nu forbe / Le bravure di un furbo, narrata da Mancini Pietro di Mola [30] L’ombre de la prencepésse / L’ombra della principessa, narrata da Leone Giuseppe di Trani [31] Nu rè pazze / Un re bizzarro, narrata da La Sorsa Francesco (padre di S. La Sorsa) di Giovinazzo [32] Giuste gastéighe de nu chépe bregande / Giusta punizione di un capo bandito, narrata da La Sorsa Francesco (padre di S. La Sorsa) di Giovinazzo [33] U rè barbarosse téne la récchje du ciucce / Il re barbarossa tiene l’orecchio dell’asino, narrata da La Sorsa Francesco (padre di S. La Sorsa) di Giovinazzo [34] La recchèzze e u povre Cole / La ricchezza e il povero Cola, narrata da Crudele Francesco di Bari
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Serie V. Fate e incantesimi [35] Rè Maurocróne / Re Maurocrone, narrata da Angione Rachele (madre di S. La Sorsa) di Molfetta [36] La prengepéssa ranógne / La principessa rana, narrata dal contadino Sollecito Francesco di Giovinazzo [37] La clônna nêrghe / La colonna nera, narrata da Capurso Attillo di Trani [38] Ré Fendana d’áure / Re Fontana d’oro, narrata da Lopopolo Marino di Bisceglie [39] Na salviètte, nu ciucce e na mazz’affatate / Una salvietta, un asino ed una mazza fatati, narrata da Caradonna Giuseppe di Molfetta 6
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[40] La condadine, u pringepe e u serpènde / La contadina, il principe e il serpente, narrata dalla sorella di S. La Sorsa, di Molfetta 151 [41] Cenèrèdde / Cenerentola, narrata dalla sorella di S. La Sorsa, di Molfetta 154 [42] U lupe nane / Il lupo nano, narrata da Rizzi Onofrio di Monopoli 160
Serie VI. Racconti di maghi e streghe [43] Tatè nanurche, mamma nanorche e ’u meninne / L’orco, l’orca e il fanciullo, narrata da La Sorsa Francesco (padre di S. La Sorsa) di Giovinazzo [44] ’U uagnaune cchiù bbèdde du munne / Il ragazzo più bello del mondo, narrata da La Sorsa Domenico di Giovinazzo [45] ’U mostre ’ngannéte / Il mostro ingannato, narrata da La Sorsa Francesco (padre di S. La Sorsa) di Giovinazzo [46] ’U gatte Mamòene / Il gatto Mamone, narrata da Angione Rachele (madre di S. La Sorsa) di Molfetta [47] La sdréeghe / La strega, narrata da Angione Rachele (madre di S. La Sorsa) di Molfetta [48] Du’ figghie de pescatáure devéndene rrè / Due figli di pescatore diventano re, narrata da La Sorsa Francesco (padre di S. La Sorsa) di Giovinazzo
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Serie VII. Novelle a fondo religioso [49] Criste e ’u candenìere / Cristo e il cantiniere, narrata 196 da Manzari Maria Donata di Bari 7
[50] San Biete / San Pietro, narrata da D’Alessandro Francesco Paolo di Barletta [51] La bondà de san Ghètane / La bontà di san Gaetano, narrata da Manzari Maria Donata di Bari [52] ’U mbràcue de sand’Andònie / Un miracolo di sant’Antonio, narrata da Lopopolo Luigi di Bisceglie [53] San Brangische fasce recupèrà cèrte ánghele / San Francesco fa ricuperare certe ancore, narrata da Uva Michele di Molfetta [54] Gése Criste e sande Martáine / Gesù Cristo e san Martino, narrata Angione Rachele (madre di S. La Sorsa) di Molfetta
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Appendice 207 Il diavolo e le donne [55] La fémmene fésce danné jánche u diávue / La donna fa dannare anche il diavolo, narrata da La Sorsa Francesco (padre di S. La Sorsa) di Giovinazzo 207 La Canzone di Bellafronte 213 [56] Bèllafronde / Bellafronte, cantata da un anziano 219 marinaio di Molfetta
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Prefazione
La presente raccolta è il frutto di una estrapolazione redazionale, sulla base di un criterio geografico-linguistico, dei racconti tradizionali rilevati nelle cittadine marinare della costa della Terra di Bari, e presenti nei tre volumi delle Fiabe e novelle del popolo pugliese pubblicati da La Sorsa rispettivamente nel 1927, 1928 e 1941 (Casini, Roma). Questi sono stati di recente riproposti in volume unico (2014) – più volte ristampato dalle Edizioni di Pagina – e costituiscono nel loro insieme, ancora oggi, la più ampia raccolta regionale della narrativa tradizionale pugliese (ben 287 racconti). Con questa operazione editoriale prosegue (dopo Salento in Fabula, Edizioni di Pagina, 2019) il tentativo di “snocciolare”, quasi, e riproporre in piccoli repertori territoriali il ricco giacimento di narrazioni folcloriche raccolte e sistematizzate da La Sorsa in Fiabe e novelle del popolo pugliese nella prima metà del Novecento. È uno strano paradosso che questa pregevole raccolta stia riscuotendo solo ora, dopo tanti decenni, quella fortuna editoriale che non ebbe alla sua prima comparsa, pur essendo più “estraneo” ai lettori contemporanei il contesto storico e culturale evocato da quelle narrazioni. Con Puglia in fabula: dalle marine della Terra di Bari si è voluto, questa volta, isolare le narrazioni di località vicine al La Sorsa – del suo territorio d’origine –, dove più diretto era il suo alacre intervento di raccoglitore e collezionista di materiale folclorico dalla viva voce dei suoi testimoni. Non è un caso 9
che, delle 56 narrazioni che qui si presentano, ben 18 provengano da Molfetta (il paese di La Sorsa) e altrettante (18) dalla vicina Giovinazzo. La sua famiglia si divideva tra queste due cittadine: di Giovinazzo era il padre (Francesco La Sorsa), di Molfetta la madre (Rachele Angione). E tra i testimoni da lui consultati figurano proprio i genitori e altri parenti (una sorella, uno zio), sempre appartenenti a questi paesi. Nel radunare le narrazioni della fascia costiera della Terra di Bari (da Barletta a Monopoli), inoltre, abbiamo seguito un criterio di omogeneità linguistico-culturale, mantenendo solo quelle rilevate nei centri marinari. Non sono pertanto comprese testimonianze dei paesi dell’entroterra, anche vicini alla costa, ma culturalmente e materialmente afferenti a contesti di economia rurale. Per ciascuna delle “storie” raccolte in Fiabe e novelle del popolo pugliese La Sorsa dichiarava località di rilevazione e nome del narratore, corredando la trascrizione del dialetto con una sua traduzione. Naturalmente queste preziose informazioni sono state mantenute. Le poche note esplicative che corredano alcune storie sono del curatore (salvo diversa indicazione). Oltre alla selezione “marinara” tratta dalla editio princeps di Fiabe e novelle del popolo pugliese, infine, abbiamo voluto introdurre in Appendice due integrazioni1: la prima è una novellina di Giovinazzo pubblicata nel 1927 su «Il folklore italiano» insieme ad altre (stranamente non confluite nella raccolta maggiore), che avevano a tema il diavolo che resta quasi sempre scornato nelle sue incursioni terrene, soprattutto quando ha a che fare con le donne. La seconda è un testo di 1 Anche nel già citato Salento in fabula integrammo la dotazione originaria dei racconti con una raccolta supplementare di altre 9 fiabe che, con il titolo Alcune fiabe salentine, La Sorsa pubblicò nel n. 25 de «La Zagaglia» (1965).
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estrema importanza, sempre frutto dell’appassionata ricerca del folclorista molfettese. Si tratta della Canzone di Bellafronte, un canto narrativo (o “epico-lirico”, come dicono gli studiosi) raccolto a Molfetta da un anziano marinaio molfettese, “cieco” (come si conviene ai migliori cantori tradizionali) e poi pubblicato nel 1936. Ne dà conto lo stesso La Sorsa nel breve saggio che fa precedere alla trascrizione del canto (cfr. infra, pp. 213-218). Il tipo narrativo è uno dei più diffusi nella tradizione folclorica2 e letteraria mondiale (con dei riscontri nel biblico Libro di Tobia). Questa molfettese pare l’unica attestazione rilevata in Puglia (a detta di La Sorsa), e ne segnalava l’importanza uno specialista del livello di Giovanni Battista Bronzini, in un discorso commemorativo3, a un anno dalla scomparsa di La Sorsa, che costituisce il più attendibile profilo della carriera dello studioso. Conviene pertanto, a integrazione di quanto premette La Sorsa alla trascrizione del testo, riportare il breve commento filologico che Bronzini, proprio in quel discorso, dedicava a questo canto narrativo molfettese: Sfuggì al La Sorsa, nelle brevi note di commento che precedono il testo, che le vicende narrate nella Canzone di Bellafronte «s’intessono intorno al motivo del “morto riconoscente”», e sono «tra le più note della novellistica d’arte e popolare», come dimostrano i riscontri (segnalati dal Vidossi4) nell’Aar2 Italo Calvino, ad esempio, nelle sue Fiabe italiane (1956), ne riportava una versione istriana (n. 45: Bella Fronte). Si noti che Calvino ha del tutto ignorato La Sorsa tra le sue fonti, come si evince dalle Note e dalla Bibliografia delle Fiabe italiane. 3 Poi pubblicato, corredato di note essenziali: G.B. Bronzini, La demopsicologia di Saverio La Sorsa, in «Archivio Storico Pugliese». a. XXIV, fasc. 3-4 luglio-dicembre 1971, pp. 312-338. 4 Cfr. G. Vidossi, Aggiunta all’articolo «La canzone di Bellafronte», in «Il
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ne-Thompson, nel Bolte-Polivka e nelle stesse Fiabe e novelle calabresi del Di Francia, nonché, per la novellistica d’arte, nella novella di Messer Dianese e in quella di Bertuccio dello Straparola. E sfuggì pure che la canzone molfettese corrisponde, quasi perfettamente, al poemetto popolare, che si fa risalire al sec. XVIII, ma che si rifà a fonte più antica, intitolato appunto Istoria bellissima di Stellante Costantina figliuola del Gran Turco, la quale fu rubata da certi cristiani che teneva in corte suo padre e fu venduta a un mercante di Vicenza presso Salerno. Una Storia questa che si continuò a stampare fino al 1926, presso il Salani di Firenze, col titolo, ancora più vicino al canto molfettese, Avventure di Stellante Costantina, figlia del Gran Sultano, la quale fu rapita dai Cristiani a suo Padre, e poscia venduta al giovine Bellafronte di Vicenza. Ma forse il canto molfettese non ha il poemetto come unica fonte, perché in qualche punto differisce da esso, e, comunque, la metrica in endecasillabi rimati o assonanti rivela una fase più antica della struttura in ottave del poemetto. Tralasciando tali problemi filologici, che pur sollecitano da noi una risposta, al La Sorsa spetta il merito di aver salvato dal sicuro oblio (l’ottantenne pescatore di Molfetta pare che fosse l’unico testimone della tradizione di Bellafronte) una bella canzone, che con la siciliana Baronessa di Carini e con la Donna rapita dai corsari siciliano-calabrese-salentina, imparentata con la Lepa Vida slovena, costituisce la più bella triade epica dell’età delle incursioni barbaresche e immette così la Puglia nel circuito marinaresco di tanta nostra poesia popolare e popolareggiante dei secoli XIV, XV e XVI.
Continueremo con altre iniziative editoriali, nei limiti delle nostre possibilità, a valorizzare l’opera di questo tenace e prolifico studioso, di cui nel 2020 ricorre il cinquantesimo anniversario della morte. Folklore italiano», XI, 1936, pp. 198-199; ripubbl. nei Saggi e scritti minori di Folklore, Torino 1960, pp. 240-241 [N.d.A.].
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[35] Rè Maurocróne [Narrata da Angione Rachele (madre di S. La Sorsa) di Molfetta]
Stave na volte na giovene ca nan avéve fertàune; ére bédde, vertellóse, ma nesciáune la veléve spesá. Allore édde velàje addemanné a na zìnghere sôpe o destájne sáue, e chèsse la chenzegliáje de sciáje ad acchjá u rè Maurocróne ca l’avév’a dà la frettáune ca velèeve; pèrò avév’a chenzemé sétte pare de scarpe de fierre, avév’a cammená sétt’anne, sétte méjse e sétte dáje, e avéve da énghjáje che re lágreme sô sétte vase grùesse e sétte pecceninne. La povra giovene accettáje cusse sagreficie, e acchemenzàje a cammené. Acchjáje mille mbedemìende, seffráje assè, passáje tánde pericle, e doppe sètt’anne e mèjse e dáje fessate arrevàje a na cavérne, stènghe a mmùerte. Avéve chenzemàte le sétte pare de scarpe, avéve anghjàute le sétte vase de lágreme, ma nvéce d’acchjà u rè de carne, acchjáje u rè de márme. Allore straziate do delóre acchemenzáje a pregàue: «Ah rè Maurocróne méje! Agghje cammenàte sétt’anne, sétte méjse e sétte dáje pe venitte ad acchjà; e doppe ca t’ègghje acchjáte, t’ègghje acchjáte de pèta màrme; ah rè Maurocróne mèje!». Acchessì decènne chjangèeve. U rè da prengipie fo tùeste, percè velève speremendà la fête de la giovene, ma quanne se n’avvertàje ca ére proprie la giovene ca veléeve, se la spesáje. Acchessì tutte e dáue fùrene assé chendiende. Re Maurocrone
C’era una volta una giovane che non aveva fortuna; era bella, virtuosa, attempata, ma nessuno chiedeva la sua mano. Allora ella volle interrogare una zingara sul suo destino, e questa le consigliò di andare in cerca del re Maurocrone, il 132
quale le avrebbe dato la felicità che desiderava. Però doveva consumare sette paia di scarpe di ferro, camminare sette anni, sette mesi e sette giorni, ed empire con le sue lacrime sette grandi vasi e sette piccoli. La povera giovane accettò questo sacrificio, e si mise in cammino. Incontrò mille ostacoli, soffrì infinite pene, superò molti pericoli, e dopo i sette anni e mesi e giorni fissati giunse ad una caverna, stanca ed estenuata. Aveva consumate le sette paia di scarpe, aveva empito i sette vasi di lacrime, ma invece di incontrare il re di carne, ebbe la delusione di trovarlo di marmo. Allora, straziata dal dolore, cominciò a pregarlo: «Ah! Re Maurocrone mio, re Maurocrone mio! Ho camminato sette anni, sette mesi e sette giorni per venirti a rintracciare, e dopo che ti ho rinvenuto, ti ho trovato di pietra e marmo; ah! re Maurocrone mio!». Così dicendo piangeva dirottamente. Il re dapprima fu duro, perché voleva sperimentare la costanza e la fede della giovane; ma quando notò in lei le virtù che desiderava, si mutò in carne, e la sposò. Così tutti e due furono felicissimi, e godettero d’ogni bene.
[36] La prengepéssa ranógne [Narrata dal contadino Sollecito Francesco di Giovinazzo]
Ngére na volte nu ré, ca tenàjve tré figghje. Na déje, pe nzeralle, le chjaméje e nge decéje: «Chisse so tré palle, ogne jéune s’av’a pegghjé chèdda sàue, e l’av’a scetté nnanze o pertàune du palazze de chèdda fémene ca se vole spesé». U chjù granne pegghjèje la palle, scéje a la Spagne e la scettéje nnanze o pertàune du castidde, adàue avetáive la prengepésse de ddé. U seconde se mettéje a cammenè pe scéje a la Frange, e 133