«Rime diverse», di Oddo Savelli Palombara, a cura Jean-Luc Nardone e Maria Fiammetta Iovine

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Indice

Premessa di Davide Canfora

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Introduzione

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1. Le Rime diverse e Le Farragini di Pindo: due manoscritti e il libro di una vita, p. xi - 2. Il ms. Cason 103 n. 35 Zelada: una storia curiosa, p. xx - 3. I Savelli Palombara, un’antica famiglia comitale romana, p. xxvii - 4. L’autore: Oddo Savelli Palombara, p. xxxiii - 5. Presentazione e analisi del manoscritto Zelada, p. xlvi - 6. Le rime: tra esercizi accademici e biografia intellettuale, p. l - 7. Le liriche amorose del Savelli Palombara tra classicismo e marinismo, p. lvii - 8. I due codici di rime e alcune riflessioni, p. lxi

Criteri di trascrizione

Rime diverse

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Bibliografia 373 Indice dei nomi e dei luoghi notevoli

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Premessa di Davide Canfora

Il Seicento è uno dei secoli più ardui da decifrare nella cultura letteraria italiana ed europea. La ricchezza delle interferenze – scientifiche, religiose, filosofiche – non permette di ridurre ad un’unica dimensione quest’epoca così complessa ed eccentrica, che felicemente è stata accostata al disordine del mondo contemporaneo dalla riflessione di specialisti autorevoli. In questo quadro così mosso agì, quasi giunse all’onore dei torchi di stampa e infine rischiò di scomparire nel nulla la figura di un accademico umorista spettatore privilegiato di momenti cruciali dell’attività culturale di inizio secolo. Oddo Savelli Palombara, la cui identità i curatori di questo volume ricostruiscono con precisione scientifica e con una capacità narrativa che non sarebbe dispiaciuta a Simenon, fu attivo nella Roma di primo Seicento e partecipò alla vivacità dell’ambiente barberiniano e al giro di vite che quell’ambiente conobbe a partire dalla condanna di Galilei. A riprova dei tratti ibridi di quel mondo e di quella cultura, in cui manierismo e classicismo, rigorismo ed eterodossia convivevano come sacro e profano in una stessa rappresentazione, il poeta Oddo fu eclettico e felice imitatore di stili diversi. Il suo canzoniere, cui Jean-Luc Nardone e Maria Fiammetta Iovine rendono oggi finalmente l’onore delle stampe con questa edizione critica sorvegliatissima, prese a modello indifferentemente Petrarca e il cavalier Marino: segno di una laicità irreversibile, a volte trascurata dalla rigidità delle categorie critiche consolidate, che coniuga e raccoglie in sé le contraddizioni destinate a segnare non solo quel tempo, ma anche le generazioni a venire, fino all’epoca in cui si fronteggeranno puristi e illuministi innovatori in un’Italia divenuta intanto sempre più culturalmente secondaria e di provincia. Sarà Foscolo e ancor più Leopardi a ricostruire e a rinnovare realmente il linguaggio poetico italiano, riuscendo nell’impresa di cambiare tantissimo dall’interno della tradizione: portando dunque a definitiva maturazione quel tentativo già secentesco di integrazione tra classicismo e modernità che le rime del nostro marchese limpidamente testimoniavano.


Introduzione

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sia entrato a far parte della collezione del cardinale Zelada, né se il cardinale lo abbia acquisito ritenendolo il canzoniere inedito di Galeotto Oddi, in virtù dell’inserto biografico delle cc. IVr-Vr, o se il codice si sia solo successivamente ‘trasformato’ nel canzoniere dell’Oddi con l’aggiunta vergata sulle carte in questione durante la permanenza nella sua biblioteca. Difficile che Oddo Savelli Palombara o i suoi eredi se ne fossero liberati, come del resto testimonia la permanenza tuttora nell’Archivio Massimo dell’altro codice di rime, il Prot. 36; ma forse il codice Zelada, così vicino a una stampa da realizzarsi, non era già più conservato nella biblioteca privata dei Palombara. Più probabile che il manoscritto sia giunto al cardinale attraverso le sue frequentazioni accademiche, per esempio il consesso arcadico28 certamente interessato a recuperare le produzioni di altre analoghe istituzioni, come gli Umoristi, che non avevano resistito alla falce del tempo. E forse, pur di collocare un buon pezzo a un avido acquirente, Oddo Savelli Palombara lasciava il posto al più noto Galeotto Oddi.

3. I Savelli Palombara, un’antica famiglia comitale romana Affrontare la biografia di Oddo Savelli Palombara è compito arduo sia per la scarsità dei dati disponibili – a integrare i quali contribuiscono significativamente proprio le rime – sia per la difficoltà di districarsi nella complessa genealogia della famiglia. Vi è grande incertezza circa le origini dei Palombara e le loro relazioni con l’inclita prosapia dei Savelli. L’olandese ‘romanizzato’ Teodoro Amayden (1586-1656) riferisce, senza precisare le fonti, che i Palombara discenderebbero da un ramo dei Savelli e colloca l’effettiva unione delle casate al 1495 con le nozze tra Giovanni Lucido Palombara e Clarice Savelli, figlia di Pier Giovanni signore della Riccia, sua parente in quarto

Palombara e del marchese Silvio Alli Maccarani; Maria Caterina era figlia di Massimiliano Palombara, primogenito di Oddo. 28 Anche le relazioni tra Arcadi d’Italia e Spagna potrebbero aver favorito la traslazione di parte della collezione di manoscritti del cardinal Zelada a Toledo; il nipote del cardinal Lorenzana, Gregorio Alfonso Villagómez Lorenzana, fu ammesso in Arcadia tra il 1791 e il 1800. Cfr. José María Domínguez, Los primeros españoles en la Arcadia y los primeros árcades en España, in I rapporti tra Roma e Madrid nei secoli XVII e XVIII: arte, diplomazia e politica, a cura di Alessandra Anselmi, Roma, Gangemi, 2014, pp. 680-695: p. 689.


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Introduzione

grado, con dispensa papale di Alessandro VI:29 sarebbe stata questa alleanza matrimoniale a suggellare la consuetudine della famiglia di cognominarsi Savelli Palombara.30 Ai primi del Novecento, Luttazzi si dichiara con certezza a favore dell’alterità, non però dell’estraneità, dei Savelli e dei Palombara avendo studiato approfonditamente il testamento di Clarice Savelli: Da queste notizie pertanto si conosce che Clarice Savelli entrò in Casa Palombara, e Palombara e Savelli presi per lo più congiunti insieme hanno prodotto l’abbaglio di due case fare una sola casa o discendenza. Di fatti i Palombara aveano il loro palazzo nel Rione Campo Marzio, i Savelli nel teatro Marcello, che fu poi comprato dai Gravina. I Palombara aveano la Cappella gentilizia in S. Silvestro in Capite, i Savelli l’aveano nella Chiesa d’Aracoeli. La roba dei Palombara è stata ereditata dai Massimi, quella dei Savelli dai Sforza Cesarini.31

D’altra parte le diverse genealogie concordano nel fissare il capostipite dei Palombara in Oddo I, senatore di Roma nel X sec., non appartenente ai Savelli; ma la famiglia fu elevata allo stato comitale solo più tardi, con quell’Octavianus comes (XI-XII sec.)32 che compare in due atti datati 1111, conservati a lungo in S. Silvestro in Capite,33 la chiesa in cui i Palombara fecero costruire una cappella gentilizia nel XV secolo dove è collocato il sepolcro di famiglia.34

29

Teodoro Amayden, La storia delle famiglie romane, con note e aggiunte di Carlo Augusto Bertini, 2 voll., Roma, Istituto Araldico Romano, 1914: II, pp. 120-124. Amayden elaborò solo il primo stralcio della storia della famiglia che, arrivando sino al 1750, fu integrata da curatori successivi; così avverte il Bertini (nota 1, p. 120). 30 Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da s. Pietro sino ai nostri giorni specialmente intorno ai principali santi..., 103 voll., In Venezia, dalla Tipografia Emiliana, 1840-1861: LXI, p. 297 e LXXVI, p. 33; Mario Tosi, La società romana dalla feudalità al patriziato (1816-1853), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1968, pp. 51-52. 31 Raffaele Luttazzi, Dell’Isola Sabina della Badia di S. Giovanni in Argentella di Palombara. Notizie storico-critiche per lo più inedite, Palombara Sabina, Unione Tipografica Sabina, 1924, pp. 223-224. 32 Cfr. Aa.Vv. I monasteri di Subiaco, 2 voll., Roma, a cura e spese del Ministero della Pubblica Istruzione, 1904: I, p. 92; Mary Stroll, The Medieval Abbey of Farfa: Target of Papal and Imperial Ambitions, Leiden, Brill, 1997, pp. 91-95. 33 Il conte Ottaviano restituiva alcuni beni all’abbazia benedettina di S. Giovanni in Argentella, nel territorio di Palombara, e faceva dono di Caminata all’Abbazia di Farfa nel 1093; cfr. Giulio Silvestrelli, Città, castelli e terre della regione romana. Ricerche di storia medioevale e moderna sino all’anno 1800, 2 voll., Roma, Istituto di Studi Romani, 1940: II, pp. 393-396. 34 Una lapide marmorea sul pavimento della cappella reca questa iscrizione: «SABEL-


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L’ipotesi che i Palombara discendessero dai Savelli è poi rigettata con fermezza già nella seconda metà del XVIII secolo quando Luzio Savelli, marchese di Rignano, ingiunse al duca Zenobio Savelli Palombara (ca. 16731752),35 nipote di Oddo e governatore di Castel S. Angelo sotto Clemente XII, di rinunciare al cognome Savelli. Se ne ha traccia in uno scritto del marchese Domenico Maria Lombardi che riprende, argomentandole, le ricerche svolte allora da Fra’ Vincenzo Maria Nardi su commissione dello stesso Zenobio.36 Pur riconoscendo l’esistenza di quattro linee dei Savelli – di Albano, della Riccia (Ariccia), di Rignano e di Palombara – Lombardi conclude che non vi è alcuna necessità di identificare i Palombara con i Savelli «di Palombara», e che i primi deriverebbero il loro cognome semplicemente dal luogo di provenienza della famiglia.37 Tuttavia, i piatti della legatura del codice romano delle rime di Oddo – il Prot. 36 contenente Le Farragini di Pindo del Marchese Oddo Savelli Palombara – che presentano lo stemma di famiglia Palombara, la colomba in un ovale, sormontata da una corona all’imperiale e da un’aquila bicipite, suggeriscono che almeno nei primi decenni del Seicento i Palombara vantassero un’intima vicinanza con i Savelli principi di Albano; questi, infatti, furono innalzati a principi del

LORVM DE PALVMBARIA | EX | CLARISS(IMA) ROMANORVM GENTE | SEPVLCHRVM», cioè «Sepolcro dei Savelli di Palombara, chiarissima stirpe romana». L’epigrafe, che risale probabilmente al XV secolo, si riferisce ai “Savelli di Palombara” seguendo la tradizionale confusione che identificava nei Savelli Palombara il ramo dei Savelli signori di Palombara. 35 Sulle date di nascita e morte, cfr. Necrologio Galletti, BAV, Vat. lat. 7889, c. 263r. 36 BNCR, ms. Varia 149, Storia genealogica dell’antichissima, nobilissima Casa Savelli principiando dall’Istoria del volto Santo portato in Roma da Volusiano Savelli l’anno primo dalla gloriosissima Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo. Il manoscritto è ricavato «da una facoltà di memorie estratte da più Auttori de manuscritti, che si conservano in diverse celebri librerie e documenti pubblici nell’Archivio di Campidoglio, dalla diligenza del fu molto Reverendo Fra’ Vincenzo Maria Nardi dell’Ordine de Predicatori e, con quelle migliori ordinanze che è stato possibile, fattone qui il trasporto dal marchese Domenico Maria Lombardi l’anno 1750» (p. 2). Secondo Lombardi il padre Nardi si sarebbe prestato alla causa di Zenobio sperando in qualche beneficio ma ne ottenne compenso ben misero. 37 L’attendibilità della testimonianza sembra in parte compromessa dalle ragioni personali che il marchese Lombardi, che abitava allora a Palazzo Savelli di Montesavello a Roma, poteva avere nella vicenda. Nel Prot. 36 alcune rime cameratesche di Oddo Savelli Palombara e dei suoi amici accennano a Palazzo Savelli come luogo abituale di ritrovo tra sodali; dell’Accademia degli Umoristi, nella quale Oddo sperava di acquistare meritata fama, fece anche parte Giovanni Savelli, fratello di Federico e di Paolo Savelli (1593-1628).


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Introduzione

Sacro Romano Impero nel 1632 con Federico Savelli (?-1649), signore di Palombara e ambasciatore cesareo a Roma, carica già ricoperta dal fratello Paolo (?-1632), primo principe di Albano e insignito del Toson d’Oro nel 1625.38 Né si può affermare, come fa ancora l’estensore del ms. Varia 149, che manchino del tutto elementi similari nelle armi dei Palombara e dei Savelli.39 In entrambi gli stemmi figura, infatti, una colomba bianco-argento: centrale in campo azzurro per i Palombara; in miniatura, sopra una rosa sostenuta da due leoni rampanti affrontati, per i Savelli.40 Nel corso del XIX secolo l’identificazione dei Savelli Palombara con un ramo dei Savelli diviene sempre più dubbia. L’erudito e studioso di antichità Giuseppe Antonio Guattani41 sostiene che seppure i Palombara non discendevano da un ramo dei Savelli avevano avuto però prima di loro, «sotto gli Oddoni», la signoria di Palombara. In tempi più recenti, Tosi precisa che i Savelli sarebbero subentrati nel feudo solo successivamente, con il papato di Onorio III (1216-1227), al secolo Cencio Savelli, e solo dopo l’ascesa al soglio pontificio di Giacomo Savelli, Onorio IV (1285-1287), si sarebbero divisi «nei rami di Albano e Castel Savello, Rignano, Ariccia e Palombara, nel quale poi si fusero in un unico ramo, estinto nei maschi con Giulio Sa38 Cfr. M.F. Iovine, “Le Farragini di Pindo del marchese Oddo Savelli Palombara”, cit., p. 200. Si vedano anche: Luigi Borgia, Intorno a uno stemma di Giulio Savelli, 3° principe di Albano: memorie e riflessioni storiche e critiche, «Nobiltà. Rivista di Araldica, Genealogia, Ordini Cavallereschi», XXII, 124, gennaio-febbraio 2015, pp. 41-102; Irene Fosi, La famiglia Savelli e la rappresentanza imperiale a Roma nella prima metà del Seicento, «Kaiser Hof, Papst Hof 16.-18. Jahrhundert» a cura di Richard Bösel, Grete Klingenstein, Alexander Koller, Vienna, Akademie der Wissenschaften, 2006, pp. 67-76. 39 «La Casa Palombara, come in appresso si dirà, pure a tempi nostri estinta, ha fatto in Roma civile comparsa. Certuni di essa hanno preteso esser un ramo della Casa Savelli [...]. Quelli, che stanno per l’affermativa, s’appoggiano nel trovare in più luoghi scritto li Savelli Signori o Duchi di Palombara, che li Savelli anno [sic] più volte contrattato il feudo di Palombara, alle volte, fra loro stessi, cioè dello stesso casato, ed altre volte con estranei; perloché hanno creduto che il cognome di Palombara sia aggionto al Savelli per ragion di detto feudo, come molti stilano, e più comunemente è praticato dai Francesi. Quelli poi, che non convengono nel sovraccennato parere, e che anzi positivamente l’impugnano, per prima cosa additano a lor favore il stemma gentilizio, che l’uno con l’altro in minima parte confronta, nemeno per inquartatura; ché non si vede in veruno antico, o moderno monumento, alcun indizio per il quale posser inferirsi esser la stirpe Palombara un tralce prodotto dal tronco Savelli» (BNCR, ms. Varia 149, pp. 4-5). 40 Il Moroni invece (Dizionario di erudizione, cit., LXI, p. 297) sottolinea l’analogia. 41 Giuseppe Antonio Guattani, Monumenti Sabini, 3 voll., Roma, Tipografia di Crispino Puccinelli, 1827-1830: III, pp. 109-112.


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velli († 1712)»;42 sempre Tosi riconduce quindi l’origine dei Palombara a un’altra famiglia di conti romani, i Crescenzi-Ottaviani, che furono anteriori ai Savelli.43 Ma sulla scorta di documenti di archivio, e degli studi svolti dal canonico Antonio Maria Bernasconi, Enzo Silvi44 sembra argomentare conclusivamente che i Palombara derivino, non dai Crescenzi-Ottaviani, bensì dai conti di Tuscolo45 e spiega la ridda di nomi e famiglie che si chiamano in causa per dare conto della loro origine «dal fatto di confondere da sempre i Rettori del patrimonio Sabinese, che in nome del papa governavano quali prefetti della Sabina, con i conti di Palombara, i quali erano nobili feudatari investiti per diritto ereditario di una contea».46 Dunque non si dovrebbe guardare a una discendenza diretta né dai Savelli, né dai Crescenzi-Ottaviani, e nemmeno a una generica provenienza dei Palombara dal capoluogo della Sabina, come afferma il ms. Varia 149, bensì all’ipotesi che la famiglia, derivante da un ramo dei conti di Tuscolo, abbia preso nome dal feudo di Palombara; feudo che ottenne contestualmente all’annobiliarsi al comitatus ereditario al principio del XII secolo, con Octavianus, per via di un’investitura che, se non fu direttamente imperiale, doveva essere però dall’impero riconosciuta e garantita.47 Ma il feudo di Palom42

M. Tosi, La società romana, cit., p. 51. Ibidem. 44 Enzo Silvi, Il dominio dei conti di Palombara Sabina in una ricostruzione dall’XI al XIII secolo, «Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e Arte», 59, 1986, pp. 48-72. Il contributo rinvia all’acconto del canonico penitenziere della Cattedrale di Sabina, Antonio Maria Bernasconi in Notizie storiche di Palombara Sabina e del santuario della Madonna della Neve, Siena, 1905, il quale precisa: «Gli scrittori di Palombara, nel riportare le memorie dei suoi signori, caddero in moltissimi errori per l’omonimia ed il titolo che ebbero, simili ad altri personaggi romani dell’epoca... In base a ciò confondevano i Conti o Rettori o Difensori del patrimonio Sabinense (che dall’anno 967 al 1106 furono per la maggior parte della famiglia dei Crescenzi dal lato materno), che erano autorità create dai Pontefici e governavano tutta la Sabina a guisa di Prefetti in loro nome, scambiandoli con i Conti di Palombara i quali erano invece semplici governatori di Contea e nobili feudali. I primi furono del partito nazionale o Pontificio, quest’ultimi invece militarono in quello imperiale più avanzato con tutta la famiglia Tuscolana», pp. 7-8. 45 Valeria Guarnieri, I Conti di Tuscolo (999-1179): caratteri delle vicende familiari, dell’assetto patrimoniale e del loro Adelspapsttum, Frascati, Tipografia laziale, 2007. 46 E. Silvi, Il dominio dei conti di Palombara, cit., p. 48. 47 A.M. Bernasconi, Notizie storiche di Palombara Sabina, cit., p. 7. «Non sappiamo da chi i suddetti Conti di Palombara ricevessero l’investitura, ma è lecito supporre che, nell’ingrandimento della famiglia Tuscolana, l’ottenessero dai primi Pontefici di loro famiglia, in origine come officiali Pontifici, o Governatori del Contado o Contea del territorio di Palombara, e 43


ODDONE Conte di Palombara, Senatore di Roma, X sec.

Tavola II. Genealogia dei (Savelli) Palombara limitata alla linea diretta maschile e agli esponenti secondari della famiglia citati nel testo.

GIOVANNI

OTTAVIANO (Octavianus comes) XI sec.

ODDONE II

FILIPPO ODDONE III RINALDO Signore di Moricone ODDONE IV (1300) CECCO (13??) COLA, o NICOLA (ca. 1376) Cecilia di Sant’Eustachio CECCO II ANDREA 1. Luisa Marieni 2. Caterina Colonna PAOLO Felice Colonna GIO. LUCIDO PALOMBARA Clarice di Giulio Savelli TRAIANO Silvia Gaddi

MASSIMILIANO (15?-1607) Arcivescovo di Benevento

CAMILLO (15?-1605) Signore di Moricone 1. Ippolita Orsini di Mariano 2. Flaminia Armentieri

POMPILIO (†1565) Cavaliere di Malta

ODDO V (ca. 1590-1648) 1. Francesca Alessandra Vigevano 2. Laura di Adriano Ceuli (o Cevoli) MASSIMILIANO (1614-1685) 1. Cassandra di Ludovico Mattei 2. Costanza Baldinotti

CAMILLO (†1679)

FEDERICO (†1695) Barbara Colonna

Massimiliano III (†1754) Porzia Gabrielli di Prossedi

Tav. I – Genealogia dei (Savelli) Palombara limitata alla linea diretta maschile e agli esponenti secondari della famiglia citati nel testo.


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bara entrò poi a far parte dei possedimenti dei Savelli, mentre i Palombara conservarono il contiguo feudo di Moricone poi venduto a favore di Pietraforte, il che renderebbe ragione della distinzione tra i «Savelli di Palombara», cioè il ramo della famiglia titolare del feudo, e i «Savelli Palombara» cui appartenne il nostro autore.48 All’epoca di Oddo Savelli Palombara i rapporti tradizionalmente molto stretti tra i Palombara e i Savelli, ribaditi tanto nel doppio cognome – Savelli Palombara – quanto nell’uso singolare dello stemma dei Palombara che si riscontra sul codice romano delle rime, rispondevano forse alla rinnovata esigenza di una narrazione imperiale della famiglia che appare affievolirsi verso la fine del quarto decennio del Seicento (cfr. Introduzione, 5).

4. L’autore: Oddo Savelli Palombara Il nostro autore, Oddo Savelli Palombara, fu il quinto a portare questo nome nella linea diretta maschile della famiglia. Non abbiamo notizie precise circa l’anno di nascita ma il Necrologio Galletti ci consente di fissarla, a ritroso, intorno al 1590: 1648 11 Augusto † Oddo Savelli di Palombara del quondam Camillo di età di anni 58 a Strada Felice nel palazzo de’ Signori Stefanoni, Patrizio Romano marchese Palombara Sepolto a S. Silvestro in Capite nella sepultura sua.49

Il marchese morì dunque in casa degli Stefanoni che abitavano sull’antica Strada Felice nei pressi di Villa Palombara all’Esquilino,50 la dimora subur-

quindi divenissero Comites ereditari. Così il territorio prima amministrato nel nome del Pontefice divenne proprietà trasmissibile. Questo fenomeno si verificò in Roma fra i nobili verso la fine del X secolo epoca della creazione dei feudi, i quali in origine ebbero carattere d’enfiteusi con prestazione militare». 48 Per la distinzione tra i Savelli di Palombara (uno dei quattro rami della famiglia Savelli insieme ai Savelli di Albano, di Ariccia, di Rignano) e i Savelli Palombara, cui appartiene il nostro autore, si rinvia alla genealogia dei Savelli a cura di Francesca Curti per l’Archivio Orsini Savelli accessibile online. 49 BAV, ms. Vat. lat. 7880, c. 14v. 50 Informazioni sulla villa e sul suo sito storico si trovano in La porta magica. Luoghi e memorie nel giardino di piazza Vittorio, a cura di Nicoletta Cardano, Roma, Fratelli Palombi, 1990. Per un’analisi del monumento nell’ambito della tradizione alchemica rinviamo a Eugène


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Rime diverse

[95r] La Primavera Canzonetta Ecco torna Primavera, Già la rosa è ’nsù la spina Al garrir de la foriera Rondinella pellegrina; Apra ligustri il sol, gigli e viole, Che mentre il mio bel Sole M’asconde i chiari rai, Primavera per me non torna mai. Pria che Febo in Cielo indori L’uscio aperto al dì nascente, Mille Augelli odo canori Salutar l’Alba ridente; Or ch’ogn’Alma gioisce io piango, io solo, Se non quanto il mio duolo Col gemito accompagna Tortora ch’ha perduta la Compagna.

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[95v] Vaghe ninfe e Pastorelli Movon danze al caldo raggio, Al cantar de’ lieti Augelli Sotto un lauro o sotto un faggio; Né più de’ figli e sua fedel consorte, Ma di mia trista sorte Pietoso il canto frange Quel Rossignuol che sì soave piange.

24

Canzonetta di schema ababCcdD con tre strofe di otto versi (settenari, ottonari e endecasillabi). Il ritorno della primavera è uno degli argomenti topici della lirica virgiliana e petrarchesca («Zephiro torna, e ’l bel tempo rimena», RVF, cccx) e conobbe particolare fortuna nella forma della canzonetta. Già sviluppato dal Savelli Palombara con Fiori invitati (v. 7v-8r), qui con la


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Oddo Savelli Palombara

ripresa, nel verso conclusivo, dell’incipit di RVF, cxxxi, «Quel rossignuol, che sì soave piange», si opera una sintesi voluta dei due sonetti del Petrarca. Il tema, pure esplorato dal Tasso con la canzonetta Io son la Primavera, o dallo Stigliani, La Primavera (T. Stigliani, Il Canzoniero, cit., 1623, pp. 125-126) è rielaborato sotto l’influsso del gusto barocco per l’aneddoto; pensiamo al sonetto «Scherza intorno alla primavera, per quando le foglie degli alberi sono sì picciole che non fanno ombra continuata, ma quasi ricamano la terra» (C. Achillini, Poesie, cit., 1632, p. 136) o a «Primavera che soleva prima giovare ora annoia l’amante» (Giovan Battista Manso, Poesie nomiche di Gio. Battista Manso Marchese di Villa... Academico Otioso, divise in rime amorose, sacre e morali, In Venezia, appresso Francesco Baba, 1635, p. 31). Anche il trattamento pastorale della primavera scelto dal Savelli Palombara, soprattutto nella terza strofa, propone una sintesi di stilemi secenteschi già emergenti in Marino (cfr. il sonetto «Annuncia la primavera e loda la vita pastorale», con incipit Già parte il Verno, e la stagion senile in G.B. Marino, Rime, cit., p. 68);1 uguale contesto per «La Primavera» del Balducci, amico del nostro autore (F. Balducci, Rime, cit., 1645-1646, II, pp. 132-133, con incipit Ecco pur, ch’al nostro Cielo). Il sonetto oppone, come già nella poesia medievale2 ma qui con schietta eco petrarchista, il ritorno della vita della natura (fiori, alberi, uccelli) alla continua sofferenza del poeta («Che mentre il mio bel sole / M’asconde i chiari rai, / Primavera per me non torna mai», vv. 6-8). Ogni strofa sviluppa questo argomento nella seconda parte, con una rottura sintattica semplice («mentre», v. 6, «or», v. 14 e «Ma», v. 22). Partecipano d’altro canto alla coerenza tematica, tre uccelli – uno per strofa – assai simbolici della lirica classica: la rondine che annuncia la primavera, la tortora che illustra la fedeltà d’amore e l’usignolo dal dolcissimo canto, doppio del poeta, già evocato in altri componimenti (v. la canzonetta L’Augellino, 3v). Il rovesciamento del tono è segnato, in ogni strofa, dalla presenza solenne degli endecasillabi.

1

Si pensi pure all’Umorista Marcello Macedonio (1582-1619), col suo Ritratto della Primavera in Ballate et Idilli di Marcello Macedonio, In Venetia, appresso Gio. Battista Ciotti, 1614, pp. 16-17. 2 Ricordiamo ad esempio il sonetto della Compiuta Donzella (seconda metà del Trecento), A la stagion che ’l mondo foglia e fiora.


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Rime diverse

[96r] Collari donati Candidi lini di tua man contesti In varie forme a questo collo usato A l’empio giogo del tuo Impero ingrato Mandarmi, e tu restar cruda1 potesti?

4

Miraro al dono tuo questi occhi mesti Nel bel candor di vari fregi ornato, Che ’l tuo cor variabile e gelato, E la mia bianca fé mostrar volesti.

8

Bissi non curo e porpore disprezzo, E quante2 chiude l’Ocean profondo Perle e coralli,3 senza te non prezzo;4 11 E qual fregio mai puote esser giocondo Al collo mio? Per tua pietade avvezzo Sostener de le braccia il dolce pondo.

14

Sonetto su 4 rime di schema ABBA ABBA CDC DCD. Nel Prot. 36, p. 51. Il sonetto si iscrive nella serie dei regali scambiati tra gli amanti (Dona il ritratto suo all’amante che parte, 5r; Fazzoletti donati, 6v; Laccia donata, 52r) e per la terza volta (v. 5r e 6v) si tratta di un regalo fatto dalla donna al poeta. Ma come già accaduto (6v), il regalo diventa simbolo della servitù d’amore («A l’empio giogo del tuo Impero ingrato», v. 3) e offre pretesto all’amante di reclamare ben più tangibili pegni d’attenzione: invece dei collari, il Savelli Palombara desidererebbe che la donna gli cingesse il collo in un abbraccio. Qual collo più del suo «usato / a l’empio giogo», come lamenta la prima quartina, potrebbe essere più «avvezzo» al «dolce pondo» evocato nella seconda terzina? Ma la donna resta «cruda» (v. 4) e il suo cuore «variabile e gelato» (v. 7) si rispecchia «nel bel candor di vari fregi ornato» (v. 6) dei collari offerti al poeta. Lo stesso gioco metonimico del regalo (il dono per la donatrice) che autorizza maliziosamente quello inverso (la donatrice per il dono) riecheggia per esempio in «Confetture donate» dell’amico Paoli con incipit Voi gite al mar de le dolcezze, o dolci (P.F. Paoli, Rime, cit., 1637, p. 22).

1

Nel Prot. 36 crudel in origine poi corretto in cruda. Nel Prot. 36, quanti 3 Si noti il gioco del tutto nuovo sulla parola «coralli», col rotacismo rispetto ai «collari» del titolo. 4 Nel Prot. 36, io senza te non prezzo. 2


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Oddo Savelli Palombara

[96v] Incontratosi l’Autore in un Giovine, che per cogliere viole cadde morto dal Colosseo Fra Colossi maggior Roma superba Erge ad onta del Tempo eccelsa mole, Ed ei vendicator co’ rai del Sole Gli alteri fasti suoi ricopre d’erba.

4

Quivi in vece1 d’Eroi, mentre riserba Rozzo teatro a povere viole A suoi giochi rivolte, ecco si duole Folle Garzon d’alta caduta acerba.

8

Folle, ch’alzato dal desire insano Di coglier fiori, il piè mal cauto, e ’l core Più caduco de’ fior, ruina al piano.

11

Dolorosa vicenda a lieve errore; Mentre egli coglie un fior con fredda mano, Morte gli svelle di sua vita il fiore.

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Sonetto su 4 rime di schema ABBA ABBA CDC DCD. Nel Prot. 36, p. 85. Il sonetto rientra nei testi aneddotici, frequenti nei canzonieri secenteschi. L’evento narrato ha luogo al Colosseo che offre al Savelli Palombara l’occasione di recuperare il tema della gloria antica di Roma, come già aveva fatto altrove per esempio con i sonetti dedicati a Brenno sconfitto da Furio Camillo (v. 54r, 86r). Ma qui non vi è alcun intento di riferirsi al passato per alludere in filigrana al presente. Il Colosseo, che resiste «ad onta del Tempo» (v. 2), è divenuto un «rozzo teatro» (v. 6) ricoperto «d’erba» (v. 4), tanto che un giovane ragazzo, la cui fragilità contrasta con l’«eccelsa mole» (v. 2), vi si arrampica per cogliere viole finendo per trovarvi la morte. L’episodio, di nessun rilievo sul piano della storia, è però cumulativo di una serie di paradossi, impliciti, che scuotono i sentimenti del poeta: dall’altera rovina dell’antica Roma un ragazzo «ruina al piano» (v. 11); dal monumento imponente, triste vestigio della caducità umana, risuona il cadere di una giovane vita spezzata. La transizione dalle quartine alle terzine, operata tramite la ripetizione anaforica dell’aggettivo «folle», stringe ora il testo sul tragico, e insieme banale, destino del ragazzo con un ultimo struggente paradosso, questa volta esplicito: colto dalla morte mentre coglie un fiore.

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La locuzione in vece è stata copiata due volte. La prima è cancellata.


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Rime diverse

[97r] La gara. Canzonetta Cedi, o mano, ai chiari accenti, Cedi pure ai dolci canti De la bocca, Cui sol tocca Il trionfo de’ tuoi vanti; Sai ch’avanti a’ miei concenti Suol fermare L’onde il Mare, il volo i venti.

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Cedi, o bocca, al suono arguto Del mio plettro che temprato Trae le belve Da le selve; S’al tuo canto il mar turbato Vien placato, e ’l vento è muto, La mia Cetra Ferma l’Etra e move Pluto.

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[97v] Mentre è pari il vostro onore Sien le risse ancor finite: Or concorde A le corde Venga il canto, e non più lite; Voi unite, e qual fia core Che non pianga, Non si franga per Amore.1 24 Canzonetta di schema abccbada con tre strofe di otto versi (quaternari e ottonari). Il penultimo verso di ogni strofa ha una rima interna con l’ultimo. Nel Prot. 36, pp. 90-91. Il titolo esplicativo anticipa che ci sono più interlocutori, tre, che si dividono le strofe e forse si allude a qualche discorso accademico sulla superiorità del canto o della musica. Le prime

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Nel Prot. 36, p. 91, il verso si chiude con un punto interrogativo.


262

Oddo Savelli Palombara

due, di costruzione simmetrica, illustrano la competizione. Nella prima strofa, il (o la) cantante afferma la superiorità della voce («accenti», v. 1, «dolci canti», v. 2, «bocca», v. 3, «concenti», v. 6) sulla musica e, nella seconda parte della strofa, l’iperbole della voce che domina la natura perché placa il mare e silenzia il vento sulla natura mira a dimostrare questa supremazia. Nella seconda strofa, con la ripresa anaforica dell’imperativo, si afferma invece che è proprio la musica («suono arguto», v. 9, «plettro», v. 10, «cetra», v. 15) a superare il canto; giustificando il titolo di «gara», l’interlocutore esagera l’iperbole precedente sostenendo che la musica domina non solo la natura ma l’universo, dal cielo agli inferi. La terza strofa propone una sintesi del dialogo anteriore, una concordia tra musica («corde», v. 20) e «canto» (v. 22): i versi conclusivi asseriscono, con due verbi che conservano il ritmo binario della struttura, quanto musica e canto siano insieme strumenti d’Amore. Secondo un’altra ipotesi, la gara evocata potrebbe fornire il pretesto retorico per lodare le doti di musicista e di cantante di una stessa figura eccellente in entrambe, per esempio Leonora Baroni (v. 3r, 32v, 33r-37v, 47v-49v e comm.), ammirata dal Savelli Palombara.


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