Indice
Archivi delle emozioni, di Sotera Fornaro 7
Introduzione
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1. Il linguaggio della vergogna
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1.1. La vergogna e il conflitto interiore, p. 31 - 1.2. L’azione, p. 33 - 1.3. Lo statuto dei personaggi, p. 37 - 1.4. Strategie di lettura, p. 40 - 1.5. Il linguaggio della vergogna, p. 45 - 1.6. Il narratore, p. 50 - 1.7. La poetica, p. 53
2. La marchesa di O... di fronte alla vergogna
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2.1. L’azione, p. 60 - 2.2. La controazione, p. 63 - 2.3. Il conflitto, p. 66 - 2.4. Il momento ritardante, p. 72 - 2.5. La peripezia, p. 78 - 2.6. Il lieto fine, p. 84
3. Gli altri personaggi
3.1. Il conte F..., p. 90 - 3.1.1. L’azione, p. 92 - 3.1.2. La controazione, p. 94 - 3.1.3. Il conflitto, p. 96 - 3.1.4. Il momento ritardante, p. 98 - 3.1.5. La peripezia, p. 99 - 3.1.6. Il lieto fine, p. 101 - 3.2. La madre, p. 103 - 3.3. Il padre, p. 112 - 3.4. Il fratello, p. 120
Lo schema dell’azione
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Bibliografia
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Indice dei nomi
Introduzione
Racconti morali (Moralische Erzählungen) era il titolo ipotizzato da Kleist per il primo volume delle sue novelle1, abbreviato in Erzählungen nell’edizione del 1810. Una scelta più consueta, quest’ultima, ma che oggi appare elusiva: ne La marchesa di O..., infatti, sarà proprio il confronto con un sentimento di vergogna esemplare a consentire alla protagonista di liberarsi dai condizionamenti esterni e di individuare una sua più vitale armonia2. La reazione dei contemporanei alla carica eversiva della Marchesa è stata al riguardo eloquente: fin dalla sua prima pubblicazione nel febbraio del 1808 sulla rivista «Phöbus»3, la novella suscitò molte proteste, tanto che nel 1812 la censura viennese ne vietò la stampa per i «passi immorali»4 denunciati sin dalle prime recensioni. «Indicarne anche solo la trama significa bandirla dai circoli virtuosi», esordiva Karl August Böttiger nella rivista berlinese «Der Freimüthige» del marzo 1808, finendo per negare all’autore il rispetto dovuto «all’avvampare di vergogna dell’innocenza femminile»5. Sempre in «Phöbus», qualche mese dopo, Kleist stesso rispondeva ironicamente alle critiche con un epigramma intitolato La marchesa di O...: «Questo romanzo non fa per te, figlia mia. Svenuta! / Che farsa svergognata! Ha tenuto soltanto, lo so, gli occhi chiusi»6. Così all’editore Reimer in una lettera del maggio 1810. Cfr. Heinrich von Kleist, Werke und Briefe, voll. 1-4, Aufbau, Berlin-Weimar 1978, cui si rinvia d’ora innanzi con la sigla WuB, qui WuB IV, 434. 2 La ricerca qui presentata si inserisce nel progetto coordinato da Sotera Fornaro, che ringrazio con stima e affetto. 3 Kleist, Müller 1961, pp. 65-94. 4 Sembdner 1996, p. 572. Ove non indicato diversamente, la traduzione è mia. 5 Sembdner 1984, p. 193. 6 WuB III, p. 305. Cfr. anche il suo aneddoto Storia singolare, accaduta ai miei tempi 1
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Ora, considerando l’argomento di questo libro, è interessante notare che, riferendosi alla novella, sia Kleist, sia i suoi detrattori abbiano dato risalto alla vergogna. La presenza del tema nella produzione kleistiana è stata rilevata dalla critica7, che tuttavia non ha saputo misurarne appieno la centralità ne La Marchesa di O... È dunque opportuno soffermarsi su questo aspetto nonostante la Kleist-Forschung sia diventata nel frattempo unüberschaubar (sterminata), come afferma Ingo Breuer nel fondamentale Kleist-Handbuch8. È noto che lo scrittore si sia confrontato col sentimento della vergogna. Anzi, l’intero arco della vita di Kleist è stato condizionato da questa sfida. Né la sua aristocratica famiglia, né la società del tempo furono capaci di comprendere e tanto meno di accettare la personalità esigente e ostinata del giovane, che tacciato di ipocondria divenne oggetto di riprovazione. Tuttavia, nonostante ricambiasse l’incomprensione con un distacco crescente, il suo rapporto con la realtà ne venne modificato. Soprattutto la crisi esistenziale vissuta nei primi mesi del 1801, coeva alla lettura di Kant (e di Fichte)9, modificò i presupposti conoscitivi su cui aveva modellato gli anni della prima maturità; se fino ad allora aveva considerato il conseguimento della verità e l’educazione di sé «la sola meta degna di essere raggiunta»10, in quel periodo diventò consapevole di non potere «stabilire, se ciò che chiamiamo verità sia realmente verità». L’inconoscibilità della “cosa-in-sé” lo privò di un orientamento esistenziale stabile, come scrive sconfortato alla fidanzata Wilhelmine von Zenge: in Italia, pubblicato il 3 gennaio 1811 nel nr. 2 dei «Berliner Abendblätter» 1965, pp. 5-8, in cui la protagonista, ingannata da un cavaliere, è rimproverata dalla principessa di San C. per la vergogna arrecata alla corte, anche se in seguito, essendo donne non «prive di spirito e della necessaria inventiva» escogitano uno stratagemma non dissimile da quello prospettato dalla levatrice alla marchesa. 7 Cfr. Oesterle 2001; Benthien 2009. 8 Breuer 2013. Anche Neumann 1994a, p. 150, sostiene che «La marchesa di O... – costituisce un problema irrisolto, nonostante le numerose ricerche». 9 Già Cassirer 1919 aveva individuato nella lettura della lezione di Fichte, «La missione dell’uomo», uno dei fattori scatenanti della crisi, perché ciascun essere umano cerca la propria. Cfr. in proposito anche Mandelartz 2006; Muth 1954; Koch 1958, soprattutto pp. 45-60, vi individua il nucleo tragico e il motivo dell’impostazione analitica delle opere. Politzer 1981, p. 76, interpreta invece la crisi quale finzione per sottrarsi ai doveri sociali. 10 Heinrich von Kleist, Lettere alla fidanzata, Se, Milano 2010, cui si rinvia d’ora innanzi con la sigla LaF, p. 107.
Introduzione
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Se gli uomini avessero davanti agli occhi due vetri verdi, dovrebbero concludere che gli oggetti osservati attraverso questi vetri sono verdi, e non potrebbero mai stabilire se l’occhio mostri loro le cose così come realmente sono e non attribuisca ad esse qualche proprietà che appartiene non alle cose, bensì all’occhio11.
Il dilemma lo ferisce in ciò che aveva di più sacro12: l’individuazione di principi che, attraverso l’integrazione del sentire, del pensare e dell’agire personale, consentissero agli individui di distinguere il bene dal male e quindi di orientare le loro scelte esistenziali13. Pertanto, smise di aspirare a una verità univoca, salda, eterna e dunque intransigente, per dedicarsi con uguale passione alla ricerca di una prospettiva individuale pluralistica; il volontarismo ottimistico di stampo idealistico-moraleggiante è abbandonato in favore di una concezione antropologica differenziata14: le nostre convinzioni sono ipotesi, risultato di una «appercezione tendenziosa»15, «che appartiene non alle cose, bensì all’occhio». E mentre negli stessi anni la lettura di Rousseau lo convinceva dell’impossibilità di adattarsi «a una qualunque convenzione del mondo»16, proprio la filosofia trascendentale kantiana finisce per radicalizzare il suo atteggiamento critico. Se il nostro sapere è soggettivo, avendo noi accesso alla realtà fenomenica con la mediazione dei costrutti dell’intelletto e dei sensi, sono questi ultimi che dobbiamo indagare; ed è semmai dalla coscienza soggettiva in dialogo con altre coscienze che consegue una nuova forma di oggettività condivisa17. Fu un cambiamento importante, che comportò la sistematica messa in discussione delle convenzioni, in ogni ambito: etico, giuridico, sociale, filosofico, religioso, e pure di genere18. La sua attenzione si concentrò sulla conLaF, p. 108. Cfr. in proposito Mandelartz 2006. Ibid. 13 Vgl. Karl 2010. Platone, Gorgia, 527b (2007, vol. 1, p. 471): «Soltanto questo discorso rimane solido, cioè che bisogna badare a non commettere l’ingiustizia piuttosto che a subirla e che l’uomo deve preoccuparsi soprattutto non di sembrare, ma di essere buono, in privato e in pubblico». 14 Sulla critica della metafisica in Kleist, cfr. Fischer 1988. 15 Roth 1997, p. 270. 16 LaF, p. 134. 17 Cfr. Adorno 2009, in part. pp. 218-234. 18 Cfr. in WuB III, p. 295, i distici per l’anno nuovo alla sorella Ulrike, appellata nell’incipit Amphibion e invitata a fare una sua scelta; cfr. sull’argomento anche la lettera 11 12
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traddittorietà della realtà, che negli anni successivi sarà investita da un radicale scetticismo linguistico, inducendolo a cercare una mediazione tra gli opposti di io e altro, individuo e società, esperienza e idealità19. Del resto, come ha osservato a suo tempo Rudolf Kassner, lo scrittore precipitò letteralmente nei temi nuovi e iniziò a saggiarli insistentemente, superando in ogni caso il limite dato20. Tuttavia, la ricerca di una propria verità è per Kleist tanto più spasmodica in quanto ha il suo nucleo segreto nella dinamica del riconoscimento21, cioè nel desiderio originario di dare e ricevere un’attenzione più eigentümlich, più specifica, commisurata all’unicità di ogni singolo. Pertanto, in questa prospettiva, la ricerca della verità si salda intimamente con quella dell’identità individuale. Un esempio di questa dinamica è osservabile nell’ambito dei rapporti familiari22, in cui sperimentò soprattutto quel dramma del riconoscimento mancato confessato con lucida sincerità in una lettera del 1799 inviata all’amata sorellastra Ulrike23, l’unica tra i fratelli e le sorelle con cui resterà in contatto: a Kleist an Adolfine von Werdeck, WuB IV, p. 248. Quasi anticipasse la prospettiva dei Queer Studies, anche le connotazioni di genere non sottostanno a univoche determinanti biologiche, ma sono caratterizzate da mediazioni infinite, su cui influisce la percezione di sé e quella degli altri. Ciò riguarda anche se stesso: nelle lettere didattiche alla fidanzata sperimenta una sua identità maschile, ma si confronti anche la descrizione dell’amicizia con Ludwig von Brockes a Wilhelmine (LaF, p. 99) e la lettera a Pfuel del 7 gennaio 1805, WuB IV, 331-333, il cui «bel corpo» ha osservato con «sentimenti di ragazza». Tra i suoi personaggi, è Pentesilea quello più investito dalla problematica, ma anche i protagonisti de Die Geschwister Ghonorez. Cfr. Neumann 1994b. 19 Cfr. la lettera a Ulrike del 5 febbraio 1801, WuB IV, pp. 190-196, in part. p. 191. Heimböckel 2003 vede non a caso in Kleist un anticipatore del moderno scetticismo linguistico. 20 Kassner 1947, pp. 92-93. 21 Sul riconoscimento cfr. Kojève 1947; Ricœur 1993; Honneth 2002; Turra 2018, ma anche Sanna 2019. 22 Se nel «Aufsatz, den sicheren Weg des Glücks zu finden» Kleist parla del sentimento di sé, in Amphitryon Alcmena osserva che esso viene «succhiato al seno materno», grazie alla fiducia istituita con la figura di riferimento originario, ossia con quella madre che Winnicott 1970 e 2005 avrebbe definito “sufficientemente buona” e che Kleist appunto non deve avere conosciuto. Dotzler 1996, pp. 522 e 57, ritiene che in Über die allmähliche Verfertigung der Gedanken beim Reden si riscontri la ricerca di un feedback, mentre persino l’attività giornalistica di Kleist risponderebbe al tentativo di farsi ascoltare. Significativa è inoltre l’insistita presenza di figli illegittimi o adottivi, trovatelli e sosia nell’opera dello scrittore. 23 La lettera ricorda la notazione di Kafka nel Diario (1972, p. 534), tre anni dopo
Introduzione
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Talora vorrei essere compreso, se non incoraggiato e lodato, almeno da un’anima vorrei essere di tanto in tanto compreso, anche se tutti gli altri mi dovessero misconoscere. [...] Ritienila una mia debolezza che desideri tanto la comunicazione, che mi manca completamente. Realizzare grandi progetti con sacrifici gravosi, senza potere far conto sulla ricompensa d’essere capito, è una virtù che possiamo ammirare, ma non pretendere. [...] Mille vincoli legano tra di loro gli uomini, uguali interessi, uguali desideri, speranze e prospettive; – tutti questi vincoli non mi legano a loro e questo è forse uno dei motivi principali per cui non ci capiamo. Soprattutto il mio interesse è a loro tanto estraneo, e disuguale, che – sembrano cadere dalle nuvole se appena intuiscono qualcosa24.
Altrettanto esemplare è il rapporto di amore con Wilhelmine, il cui animo egli indaga con una trepidazione non inferiore a quella di un cambiavalute che verifichi l’autenticità di una banconota da cui dipende il destino del suo patrimonio, come afferma in una lettera del gennaio 180125. Ha necessità di accertare la peculiarità dei suoi sentimenti perché confida in un processo di riconoscimento reciproco, di cui intende insegnarle i principi26: ecco la ragione di tanta insistenza, e delle sue molte «lettere d’amore sconcertanti»27. Eppure, sarà soltanto alla fine della sua vita che si sentirà finalmente riconosciuto da una donna, Henriette Vogel, che accettò di morire con lui28. Questi tratti della personalità cominciarono a delinearsi molto presto, nel corso di un’infanzia e di un’adolescenza tutt’altro che benevole. avere conosciuto Felice, mentre il rapporto con Ulrike è affine a quello dello scrittore praghese con Ottla: «Considero i rapporti degli altri con me. Per quanto poco sia, qui non c’è nessuno che abbia comprensione di me nel mio complesso. Oh, possedere qualcuno che abbia questa comprensione, non so, una donna, vorrebbe dire essere sostenuto da ogni parte, avere Dio. Ottla capisce parecchio, anzi molto, [...] F. forse non capisce niente e ciò crea, in questo innegabile rapporto interiore, una posizione a parte.» Sul riconoscimento cfr. la lettera a Wilhelmine, in LaF, p. 99, in cui si augura che possa capirlo come si è sentito compreso da Brockes. 24 WuB IV, pp. 42-44. 25 LaF, p. 93. 26 Cfr. soprattutto in LaF, pp. 19-21 la lettera del 30 maggio 1800, in cui affida alla donna l’educazione dell’anima, ossia quella cura dell’interiorità che nella novella spetta alla marchesa. 27 Schrader 1981-1982; Id. 1983. 28 Cfr. WuB IV, p. 497, la lettera in cui confessa a Marie von Kleist il suo “tradimento”, ma ogni volta che le ha chiesto di morire con lui, la cugina gli ha opposto un rifiuto.
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Quando perdette il padre, a dieci anni, la madre lo spedì in collegio; e quando morì anche lei, era già un bambino-soldato, costretto nel 1793 a partecipare all’assedio di Mainz ed esposto in battaglia agli effetti travolgenti della levée en masse dell’armata rivoluzionaria francese. Rampollo dell’élite militare prussiana, sembrava questo il suo destino, e invece non riuscì a riconoscersi in esso: «I più grandi miracoli della disciplina militare [...] erano oggetto del mio cordiale disprezzo; gli ufficiali mi parevano altrettanti maestri d’esercitazione, i soldati tanti schiavi, e quando il reggimento esibiva la sua bravura mi pareva un monumento vivente della tirannia», scrive nel 1799 a Christian Ernst Martini, suo precettore fino ai dodici anni, comunicandogli di essersi sottratto col congedo a lunghi anni di sofferenza. Confortato dallo studio degli scrittori e dei filosofi dell’Illuminismo, che gli consentirono di sentirsi «più studente che soldato»29, immaginò in dialogo con l’amico e commilitone Otto Rühle von Lilienstern un programma di vita giusta alternativo: così nacque il saggio Der Aufsatz, den sichern Weg des Glücks zu finden und ungestört – auch unter den größten Drangsalen des Lebens, ihn zu genießen!30; perseguendo la ricerca di una realizzazione interiore, non si arrendeva al Zufall der Geburt, alle circostanze occasionali della nascita, alle quali, anzi, contrapponeva una seconda nascita, come scrisse nel maggio 1799 a Ulrike con riferimento al Nathan (III.5) di Lessing31. La ricerca di sé, oramai iniziata, comprendeva il susseguirsi di tentativi di osservare i suoi doveri e sempre nuove testimonianze di fuga e ribellione. Aristocratico ma non facoltoso, si iscrisse all’Università di Francoforte sull’Oder, in attesa di un incarico nella compagine dello Stato prussiano, e poco dopo, nel 1800-1801, interruppe gli studi per un primo praticantato a Berlino. In seguito si sottrasse anche a questi obblighi con lunghi periodi di malattia (1802, 1803, 1805 e 1806), di cui non si può stabilire se fossero reali o fittizi. Si aggiungano i molti, frenetici viaggi – davvero un «Reisen als Lebenshaltung»32 – compresi i lunghi soggiorni a Parigi, che gli appare corrotta e indifferente, una città in cui un WuB IV, p. 24. WuB III, pp. 433-449 (Saggio su come trovare la sicura via della felicità e di continuare a goderne anche sotto le più grandi sciagure della vita). 31 WuB IV, p. 35, dove osserva che la maggior parte delle persone «restano per sempre in uno stato di minorità e il loro destino è un gioco del caso». Cfr. di contro la lettera a Wilhelmine dell’aprile 1801, LaF, p. 111. 32 Schulz 2007, p. 89. 29
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massimo di erudizione si accompagna a un minimo di formazione individuale, di rein-menschliche Bildung33. Nel 1805-1806 si impegnò in un secondo tirocinio a Berlino e a Königsberg; ma anche questo progetto fu di breve durata: «Devo fare ciò che lo Stato esige da me e tuttavia non devo indagare se ciò che esige è bene. Devo essere mero strumento dei suoi fini sconosciuti: no, non posso»34, scrisse alla fidanzata Wilhelmine; del resto già nel 1802 le aveva proposto il trasferimento in Svizzera per vivere secondo il modello di Les Rêveries du promeneur solitaire (1782) di Rousseau35, mantenendosi cioè col lavoro dei campi e cercando di essere se stessi; il risultato fu la rottura del fidanzamento, e con esso fallì l’unico tentativo di integrazione nella vita privata borghese compiuto da Kleist. Pertanto, com’era prevedibile, non diventò contadino (né falegname, come progettava di fare nel 1804), ma iniziò a comporre il suo primo dramma, Die Familie Schroffenstein, incoraggiato da una piccola cerchia di amici. Un diverso tentativo di integrazione si profilò dopo la vittoria di Napoleone ad Austerlitz alla fine del 1805, quando iniziò a manifestare un crescente interesse politico; e infatti, tra il maggio 1808 e il luglio 1809, parlava di questo impegno come di un dovere ineludibile: «Ritengo che ci si debba gettare nella bilancia del tempo con tutto il proprio peso, sia esso consistente o modesto»36. Tuttavia, questo passo è ormai affidato alla scrittura, per esempio dell’importante pamphlet patriottico Cosa conta in questa guerra? (1809)37. Si riconosceva in questo compito, che però gli fu sottratto dal mutare delle condizioni storiche, perché la Prussia fu sconfitta a Jena e ad Auerstedt (1807), e l’Austria, l’altro interlocutore su cui confidava e che pure aveva battuto i francesi ad Aspern, fu piegata a Wagram (1809) e costretta a venire a patti con Napoleone, al culmine della sua gloria. «Il tempo porterà un nuovo ordine delle cose, ma noi non vivremo altro che il tracollo del vecchio»38, confidò a von Lilienstern in relazione alla Prussia; mentre nel saggio Sulla salvez33 Cfr. soprattutto la lettera a Adolfine von Werdeck del 29 luglio 1801, WuB IV, pp. 249-252 34 LaF, p. 76. Sui rapporti di Kleist col suo tempo cfr. Vierhaus 1980; Kreutzer 1980. 35 Nel suo racconto Das Erdbeben in Chili (1807) l’idillio di natura e eguaglianza si rivelerà fallace. 36 WuB IV, p. 420. 37 Cfr. Weiss 1982. 38 WuB IV, p. 346.
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za dell’Austria39 deplorava l’imporsi degli interessi dinastici degli Asburgo in decisioni di portata collettiva. Nonostante la disapprovazione della famiglia, era ormai certo di non avere altra vocazione che lo scrivere, al quale avrebbe dedicato la sua vita, come confessò a Rühle nel 180640. Se avesse conquistato la fama e con essa il suo posto nel mondo, lo avrebbe dovuto alla sua opera letteraria: ecco la sua verità personale, la sua originale traduzione dei valori ai quali era stato educato41; in caso contrario, cioè di un mancato riconoscimento pubblico, l’arte sarebbe stata la sua terra di esilio interiore. Il successo è peraltro tutt’altro che scontato. Persino Goethe gli comunica nel 1808 di non potere «fare amicizia»» con la sua Pentesilea42, perché l’eroina kleistiana, un’anti-Antigone e anti-Ifigenia, contraddiceva la concezione classica della “misura”, come pure la lettura dell’antichità di Winckelmann43. Non tutti furono però ingenerosi con lui. Christoph Martin Wieland44, per esempio, che nel 1802-1803 lo aveva ospitato per alcuni mesi a Oßmannstedt presso Weimar e a cui presentò il dramma Robert Guiskard, aveva compreso il suo talento; eppure, Kleist distruggerà il manoscritto rimasto incompiuto e in cui aveva riposto ogni Ehrgeiz45, ogni ambizione; e tanto era grande il desiderio di riconoscimento che reagì alla crisi creativa cercando di arruolarsi nell’esercito francese col proposito di trovare la morte durante lo sbarco in Inghilterra46. Continuò tuttavia a scrivere, e sebbene nel 1807 fosse accusato di spionaggio e incarcerato dai francesi nel Fort de Joux presso Pontarlier e a Châlons Cfr. Müller-Salget 1994. WuB IV, p. 355, lettera del 3 agosto 1806 a Rühle von Lilienstern. 41 Strobel 2005, p. 218, parla non a caso di «cicli di distacco e di ritorno» a una vita di tipo aristocratico. 42 Cfr. Sembdner 1984, p. 179. Anche la messa in scena di Der zerbrochene Krug a Weimar curata da Goethe era stata come è noto un insuccesso. Sul riconoscimento tributato a Goethe cfr. la lettera a Marie von Kleist, WuB IV, p. 481. Goethe, ivi, p. 145, ebbe a ridire anche sulla Marchesa di O... 43 Schmidt 1995, p. 118; Grathoff 1995; v. Graevenitz 2001; Meuthen 2001; Gallas 2005, pp. 215 sg., ritiene che anche il modello cristiano sia messo in discussione. 44 Da Wieland si sente riconosciuto come scrive a Ulrike nel gennaio 1803, affermando di avvicinarsi a ogni felicità terrestre, WuB IV, p. 308. Cfr. anche ivi, p. 314 e 320, e la lettera di Wieland, ivi, p. 313. Cfr. anche Meyer-Sickendiek 2012. 45 WuB IV, p. 316. 46 WuB IV, p. 317. 39 40
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sur Marne, in due lettere di fine anno cita Die Marquise von O... tra le opere portate a termine47. A Dresda, nella Confederazione del Reno costituita da Napoleone, dove visse dall’agosto 1807 al 1809, individuò anche un’ambiente culturale che pareva corrispondergli, frequentando una cerchia di amici, tra cui Adam Müller, che riconobbero le sue doti letterarie e lo incoraggiarono. Finalmente, cominciò per lui un periodo più proficuo, in cui riuscì a sviluppare un’attività a tutto campo. Intanto, poté sperimentare la commistione tra autore e produttore, letteratura e medialità48; con Müller si dedicò infatti alla pubblicazione della rivista «Phöbus» (1808)49; in seguito pubblica i «Berliner Abendblätter» (1.10.181030.3.1811), quotidiano moderno, quest’ultimo, che sollecitava la curiosità dei lettori convincendo per esempio il presidente della polizia a raccontare i casi più insoliti e interessanti; il fine dichiarato era quello di essere un Volksblatt50, un foglio popolare, e al contempo di contribuire a formare un’opinione pubblica51. Ma soprattutto componeva drammi e commedie – Die Familie Schroffenstein (1802), Amphitryon (1807), Penthesilea (1806-1808), Das
WuB IV, pp. 388 e 390. Dotzler 1998. 49 Tra i suoi progetti vi è anche la pubblicazione della rivista «Germania», che ritiene destinata ad anticipare la libertà tedesca. 50 WuB IV, p. 440. 51 Cfr. Marquardt 1986; Dönike 1999; Peters 2003. La sua ode «Germania und ihre Kinder», WuB III, p. 317, ideata nella speranza di un risorgimento tedesco, evoca legami e bagni di sangue. Fin dal 24 ottobre 1806, Kleist aveva comunicato alla sorella: «noi siamo i popoli soggiogati dai romani», WuB IV, p. 357. Scritto nella primavera del 1808 sotto la spinta della lotta antinapoleonica in Spagna raffigurata nei Desastres (1810-1820) di Goya, Die Hermannsschlacht postula la netta contrapposizione io/altro, amico/nemico, invero estranea allo scetticismo di Kleist; in Penthesilea lo scrittore aveva per esempio smascherato l’antinomia tra amazzoni e greci quale costrutto culturale, mentre la novella Die Verlobung in St. Domingo è un testo ibrido (Loster-Schneider 2003), che tematizza la rivolta anticoloniale su cui torneranno Anna Seghers, Heiner Müller e Hans Christoph Buch. È pur vero che Kleist intendeva il dramma «calcolato unicamente per questo momento», WuB IV, p. 420, eppure l’uso propagandistico di un violento mito fondatore è innegabile, quasi che la sua brama di riconoscimento mai soddisfatta, e dunque repressa, disperata e rabbiosa, venisse amplificata sino a tracimare e investirne un’intera comunità di popolo: è questa stessa spinta che nelle opere del 1808-1809 perverte il suo criticismo in certezza. Cfr. anche Grathoff 2000, p. 85; Müller-Salget 2013; e Maurach 2013 sulla ricezione della sua opera durante il nazionalsocialismo. 47 48
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Käthchen von Heilbronn (1807-1810), Die Herrmannsschlacht (18081821), Prinz Friedrich von Homburg (1810-1821) e Der zerbrochene Krug (1802-1811) – e novelle ambiziose. Singolarissimo amalgama di illuminismo e di romanticismo, queste opere furono apprezzate da scrittori come Tieck o Fouqué, ma non dal pubblico, tant’è che le messe in scena mentre era in vita si contano sulle dita di una mano. Un esempio significativo è Prinz Friedrich von Homburg, dedicato da Kleist alla principessa Marianne von Preussen, nata von Hessen-Homburg, nella speranza di trovare in lei una mediatrice: con uno slancio ideale tutto kleistiano, l’azione del dramma mira a conciliare l’iniziativa del singolo col destino collettivo, la legge individuale e lo Stato, affinché l’impero governato dall’alto si apra a una partecipazione dal basso. L’opera, tuttavia, non fu rappresentata, né trovò un editore52. Ludwig Tieck la pubblicò postuma nel 1821, negli scritti di Kleist da lui curati; rappresentata a Berlino nel 1828, ebbe tre repliche e poi fu vietata; finché tornò in scena nei Gründerjahre, negli anni successivi alla fondazione del Reich, ora in un’aggressiva prospettiva nazionalistica. Kleist non otterrà il giusto riconoscimento: la sua opera, come quella di Hölderlin e Büchner, dovrà attendere la fine del XIX secolo per essere accolta nel canone della letteratura di lingua tedesca, come classica e anti-classica53. La sua marginalità in vita si trasformerà nel successo postumo. È anche questo il motivo per cui il Kleist-Preis, istituito nel 1912, riconosce e premia ancor oggi il talento, non la fama di uno scrittore54. Dall’estate del 1811, nella vita di Kleist crebbe invece l’isolamento, o quell’assenza di riconoscimento personale, lamentato nelle ultime lettere. Alcuni giorni prima del suicidio, si rammaricava con l’amata cugina
All’editore Georg Andreas Reimer, Kleist, WuB IV, p. 477, offre il Principe di Homburg definendolo un dramma patriottico, anche perché fa riferimento alla vittoria di Fehrbellin del 1675 contro gli svedesi sostenuti da Luigi XIV e si conclude non a caso con l’incitazione alla rivolta: «Nella polvere con tutti i nemici del Brandeburgo!». Sennonché Kleist, oltre a volere essere riconosciuto, auspicava la lotta di liberazione contro l’oppressione straniera dei tedeschi, come i grandi riformatori tedeschi dell’epoca, von Stein, Hardenberg, Gneisenau e Scharnhorst. 53 Breuer 2013, p. 404. 54 Il premio, conferito tra gli altri a Musil e Brecht, è stato finanziato soprattutto dall’editore ebreo Samuel Fischer. Sospeso nel 1933 per impedire la strumentalizzazione da parte dei nazionalsocialisti, è riassegnato dal 1985, nel rispetto delle procedure democratiche di selezione ideate da Richard Dehmel. 52
Introduzione
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Marie von Kleist – nata Gualtieri e moglie di un lontano parente, tra le poche persone a cui lo scrittore riconosceva il merito di «sapere osservare il mondo anche da prospettive diverse dalla propria»55 – di non essere stato riconosciuto neanche dai suoi congiunti, quei «dieci o dodici occhi» che lo avevano osservato, mortificato e oppresso con le loro attese56: «recare loro gioia e onore con lavori e opere è stato uno dei miei desideri più fervidi e intimi»57. Eppure per la sua rappresentativa famiglia – legata alla corte prussiana, e dunque condizionante quasi come un tribunale sociale – è rimasto unausprechlich, indecifrabile e indecifrato, «un inutile membro della società umana»58. Sinché alla fine, come presagito nella sua descrizione dell’arco del portale di Würzburg illustrato per Wilhelmine nel dicembre 1800, il suo complicato equilibrio si infranse59. Si uccise insieme a Henriette Vogel presso il Piccolo Wannsee. Il significato di questa esistenza intensissima si offre ad alcune considerazioni. Kleist compì una tragica scelta, ma non tradì il suo Lebensplan60, il suo progetto di vita, facendo prevalere la spinta a sviluppare opinioni, interessi, desideri, speranze e prospettive suoi propri, ossia l’imperativo di seguire un «precetto interiore, rispetto al quale tutti quelli esteriori [...] non valgono niente»61, in modo da attingere alle sue energie vitali, non di doverle controllare e reprimere. Si sottrasse alla «necessità di interpretare un ruolo», verso cui provava «un’intima avversione», schivando la vita di società: non si può essere se stessi, quando si è costretti a essere anzitutto un personaggio pubblico62. Senza evitare il confronto con le sue ambivalenze, ha continuato a frequentare «le figure meravigliosamente discordanti, che scavano e si intrecciano nel nostro interno»63, e dunque a contestare ogni etichetta incapace di dare voce alla pluralità identitaria, costitutiva dell’individuo. In ogni scelta in cui si è riconosciuto, dai progetti politico-sociali a quelli letteWuB IV, p. 491. WuB IV, p. 289, così a Ulrike nel 1802. 57 WuB IV, p. 309. 58 Ibid. 59 WuB IV, p. 159. Cfr. Penthesilea, scena nove, WuB II, p. 54. 60 WuB IV, p. 37, così fin da una lettera alla sorella del 1799, in cui peraltro si legge: «Un progetto di vita è – –». 61 LaF, p. 134. Cfr. in proposito Müller 2011. 62 WuB IV, p. 194. 63 WuB III, p. 442. 55 56
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Una vergogna esemplare
rari, preservò la possibilità di pensare la realtà altrimenti, nella sua pienezza e complessità64. Attraverso le mediazioni infinite dello stile, inteso come forma dell’espressione e sostanza del contenuto, questo sapere è confluito nei suoi personaggi, proprio come nell’esemplare “racconto morale” della marchesa di O..., animata dalla ricerca di una verità personale che sollecita il suo divenire. Il percorso della protagonista, incentrato sul kennen, sul conoscere e sui suoi molti sinonimi che intrecciano consapevolezza e passioni, si sviluppa parallelamente al confronto con la vergogna, l’emozione che punisce la trasgressione delle regole sociali.
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Cfr. Arendt 2009, p. 133, sull’incontro col volto dell’altro e col sensus communis.