Indice
Incroci
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Ubaldo Casotto Introduzione
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Joseph H.H. Weiler, Antonio Polito Sotto il cielo d’Europa: i fondamentali cambiamenti in atto, fra politica e istituzioni
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Giuseppe Frangi Magnificare l’istante. André Kertész
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Piero Bassetti, Mauro Magatti, Bernard Scholz Perché è finita la democrazia. Nuovi “luoghi” e corpi intermedi
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Angelo Scola, Thomas Georgeon Dare la vita cambia il mondo. Gli uomini nuovi di Algeria
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Mauro Giuseppe Lepori, Mattia Ferraresi «C’è una strada dentro il cuore degli altri» San Benedetto e l’Europa
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Piero Boitani La letteratura come rivelazione
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Franco Manzi «Luigi Giussani: il pensiero sorgivo» Punto di vista di un biblista
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Nota editoriale
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Incroci
“Incroci”, una serie di libri per lettori curiosi, che hanno un’ipotesi di lettura del presente e del futuro, capaci di essere compagni di un luogo dove si generano le parole che qui si presentano. Sono riflessioni che il Centro Culturale di Milano ha cercato e individuato nella vasta rete di importanti e costanti relazioni. Sono parole che si trovano in qualche modo riassunte nel titolo di copertina che rappresenta il tema che ha guidato tutti i percorsi d’arte, letteratura, società, tecnologia, scienza, fotografia, poesia sui quali il CMC è intervenuto nel corso dell’anno. In questa serie si trovano solo gli “incroci”, i percorsi più decisivi, dove quel tema apre una fenditura tra i ghiacci non sciolti, questi sì, dell’abitudine e del preconcetto. La prua rompighiaccio di questa nave che va nel “vasto mondo di Dio” è il saggio introduttivo, affidato a un primo lettore.
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Introduzione di Ubaldo Casotto
«Preside, mio figlio vuole abbandonare la scuola, lei potrebbe parlargli?» «Certo, lo chiamo subito.» «Allora, perché vuoi mollare?» «Non me la sento più, non mi va, non mi interessa...» «Che cosa non ti va? Per esempio, prendiamo filosofia...» «No, quella mi piace, tutte quelle domande importanti che questi uomini si sono fatti e che mi faccio anch’io...» «Allora, filosofia ok. Latino. Vogliamo parlare di latino? Sei stato rimandato e poi a settembre hai preso otto. Che cosa è successo questa estate?» «È vero, latino mi piace, l’ho studiato con gusto.» «Allora qual è il problema, scienze?» «Scherza? Il prof è bravissimo, fa lezione sempre in laboratorio, ci fa fare un mucchio di esperimenti. No, scienze spacca.» «Che cosa vuoi fare allora? Te ne vai o resti?». Silenzio. 11
Il dialogo non è immaginario, si è realmente svolto in un liceo della pubblica istruzione italiana tra uno studente e un preside. Di questo botta e risposta mi ha colpito il progressivo stupore dello studente per se stesso. Quello studente siamo noi, “i moderni” come direbbe Alain Finkielkraut, e il suo retrocedere di fronte al bonario incalzare del preside, e dei fatti, mi suggerisce sostanzialmente due indicazioni. Prima. Lo stupore, quella capacità naturale tipica del bambino di sorprendersi di fronte alla realtà, va educato. Non è per sempre. O meglio, è per sempre se l’adulto viene diuturnamente sollecitato a guardare la realtà, e nella realtà, se stesso, con occhio virginale. Seconda. Raramente nel conoscere le cose del mondo, e noi tra queste, partiamo dalle nostre esperienze del mondo. Il nostro “sentire” («non me la sento più») prevale, ma è un rimescolamento confuso di stato d’animo, pressione delle circostanze, opinioni, presunti “pensieri”, giudizio degli altri. Insomma, tutto fuorché una ragione. Ricorderò per sempre una discussione con don Luigi Giussani quando uno dei presenti, in disaccordo con lui, premesse alla sua obiezione: «Io non oserei mai contraddirti, ma...». Giussani non lo lasciò finire: «Tu non hai le ragioni per contraddirmi». Non solo confondiamo l’esperienza con il sentimento, ma anche le ragioni con le nostre opinioni. Ora, quando mi hanno chiesto un testo introduttivo alla pubblicazione di questo ciclo di conferenze del Centro culturale di Milano ho detto di sì senza sapere bene a che cosa andavo incontro. Il mio sentimento, alla fine della 12
lettura dei vari contributi, era che tutto era stato detto. Non in queste pagine. Tutto è già stato detto, tutto è già successo, da duemila anni e nel corso di questi duemila anni. Però questo mio accomodante “sentire” contraddiceva non una mia idea, quanto una mia esperienza: innanzitutto che le cose continuano a succedere e in secondo luogo che è vero che tutto è stato detto ma io non l’ho capito. Mi accorgo però che se continuo ad ascoltarlo in ciò che di nuovo succede può diventare mio. Da qui prende senso, oltre che la mia vita, anche la storia e il lavoro di comprensione e di approfondimento, ad esempio, di questo ciclo di incontri. Mi sono messo allora a ripercorrere gli appunti presi, stupendomi di quello che pur avevo visto ma incasellato come già saputo. Quella che segue è la stesura delle mie note di lettura, ma soprattutto dell’incontro che attraverso queste parole ho fatto con gli uomini che le hanno pronunciate. «L’uomo – dice Aharon Appelfeld – vede solo ciò che gli è già stato mostrato». Io non ho nulla da aggiungere se non riferire ciò che altri mi hanno detto, che il mio cuore ha in qualche modo trattenuto, e che questa lettura ha riportato a galla nella mia coscienza. Il mio atteggiamento è di una passività totale, ma la passività è una iniziativa, richiede una decisione. Dice Chesterton che «le cose si vedono bene quando si vedono la prima volta», e per chi è bambino è sempre la prima volta. Noi contemporanei invece siamo stanchi, prova ne è – sempre per Chesterton – che mentre «il sole si alza tutte le mattine, io no». Il bambino ci vede fare 13
una cosa e dice «fallo ancora», e noi anziani lo rifacciamo fin quasi a morire – «No, uguale!» protesta se non siamo precisi – perché non abbiamo più “la forza sufficiente per godere della monotonia”. Non amiamo la monotonia perché siamo vecchi. Dio, invece, «forse è abbastanza forte per goderne e può darsi che dica al sole ogni mattina: “ancora”; e alla luna ogni sera: “ancora”. Può non essere una automatica necessità quella che fa le roselline tutte uguali; può darsi che Dio le faccia separatamente, una ad una, e non gli sia mai venuto noia a farle». Allora è vero, come dice il titolo di questo ciclo di incontri, che “Lo stupore è all’origine del risveglio dell’umana coscienza”, chi lo nega, non nega una mia opinione, nega una mia esperienza. «La continua capacità di stupirsi – diceva Václav Havel – fa parte di una vita degna e normale», ed è un anziano Joseph Ratzinger che, rileggendo per l’ennesima volta l’Apologia pro vita sua di John Henry Newman, dice: «È per me sempre nuovo e affascinate accorgermi e riflettere...». L’esperienza della novità, senza la quale c’è la morte (pensate a quando non ci sarà un “nuovo” giorno), dipende certo da ciò che succede, ma molto di più (perché ciò che c’è accade anche senza il tuo consenso) dall’occhio di chi osserva. «Che una cosa sia detta a te – ripeteva spesso don Giussani – dipende solo ed esclusivamente da te». Non diversamente il professor Piero Boitani, parlando di poesia, dice che «la letteratura dice tutto a chi la intende, a chi non la intende non dice niente», ma non è questione di conoscenza specialistica, quanto piuttosto di «silenzio e immobilità», di esperienza («leggere, leggere, leggere») e di stupore: «Digli le cose. 14