Indice
Premessa
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La tradizione italiana tramandata Elena Zilotti Un laboratorio di teatro nobiliare: il caso degli Albergati Capacelli
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Stefania Onesti Un’impresa coreografica famigliare: i Viganò
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Leonardo Mancini Luigi Rasi e la Regia scuola di recitazione di Firenze: la formazione teatrale tra i “figli d’arte” e i “dilettanti”
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Simona Brunetti L’eredità mattatoriale alle soglie della nascita della regia in Italia
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La sopravvivenza delle famiglie d’arte nel Novecento Paolo Puppa Cesco Baseggio e la sua tribolata famiglia veneta: ovvero maestri senza scuola
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Laura Mariani Figli e figlie d’arte, famiglie di antico e nuovo conio, in particolare i Cuticchio
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Indice
Anna Sica Il salto sillabico. Dalle ottave del Meli al cunto di Mimmo Cuticchio
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Maria Teresa Pizza Famiglia d’arte tra storia e innovazione: l’Archivio Franca Rame Dario Fo
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Testimonianze contemporanee Giorgia Penzo Colloquio a più voci con Titino Carrara, Sergio Pisapia, Loris Seghizzi
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Francesco Viola «One man show? No, quattru men... lassati suli!». Gilberto e Alessandro Idonea e la tradizione catanese del mattatore di Musco e Grasso
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Maria Pia Canino, Francesco Viola Viaggio nell’anima della marionetta. Tradizione, innovazione, continuità dell’arte pupara dei Canino
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Premessa
Questo volume nasce a coronamento di un Convegno organizzato presso l’Università di Verona dal 28 al 29 novembre 2017 in collaborazione con l’Associazione Città Teatro di Riccione1 e la Fondazione “Umberto Artioli” Mantova Capitale Europea dello Spettacolo2. Le giornate di studio veronesi, di cui qui si pubblicano gli atti, sono state la tappa conclusiva di un diversificato progetto artistico teatrale-multimediale, ideato da Giorgia Penzo per Città Teatro, dedicato alla memoria e alla riproposizione della prassi rappresentativa delle “famiglie d’Arte” itineranti italiane: all’inizio del precedente mese di luglio, a Lari, in provincia di Pisa, sede della compagnia Scenica Frammenti, promotrice del Festival Collinarea, erano sta1 Città Teatro (http://www.cittateatro.it) è un’associazione teatrale nata dall’unione di artisti e operatori professionisti del teatro attivi nel territorio della provincia di Rimini. Sin dalla fondazione è riconosciuta dalla Regione Emilia-Romagna in ragione dell’eredità artistica delle singole compagnie di provenienza (Compagnia del Serraglio; Maan ricerca e spettacolo). Dal 1995 si occupa di produzione di spettacoli, formazione, direzione artistica e organizzativa di rassegne ed eventi, collaborando con vari enti teatrali a livello sia locale che nazionale e con numerosi comuni della provincia di Rimini. Dal 2013 gestisce il Teatro Giustiniano Villa a San Clemente (RN), è fra i fondatori di La Valle dei Teatri-rete Teatrale Valconca ed è partner di TeatrInrete che riunisce realtà teatrali di produzione e formazione da varie regioni Italiane. 2 Fondazione “Umberto Artioli” Mantova Capitale Europea dello Spettacolo (http://www. capitalespettacolo.it) nasce nel gennaio 1999 come Centro Studi nell’ambito dei progetti culturali sostenuti dal Comune e dalla Provincia di Mantova. Nell’aprile 2000 l’istituzione viene trasformata in Fondazione, ottenendo il riconoscimento della Regione Lombardia nell’ottobre dello stesso anno. Sin dalla sua formazione si occupa di organizzazione, promozione e studio in ambito teatrale. Accanto alla promozione di un progetto di ricerca e archiviazione di vaste dimensioni sul teatro rinascimentale e barocco, il progetto Herla, nel corso degli anni la Fondazione ha ospitato spettacoli dei maggiori registi contemporanei e prodotto diversi allestimenti che rivisitassero, alla luce di una concezione novecentesca, particolari testi o motivi della spettacolarità rinascimentale. Tra le molte attività promosse, spicca l’istituzione del premio Arlecchino d’oro, assegnato ogni anno a un artista dello spettacolo di fama internazionale che abbia saputo valorizzare alcuni caratteri condivisi dalla Commedia dell’Arte e dalla spettacolarità contemporanea.
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Premessa
te realizzate diverse interviste e riprese video con alcuni membri della famiglia Seghizzi-Barone; verso la fine del mese, in quattro località della provincia di Rimini, rintracciando le piazze dell’antico cammino percorso dai loro avi, erano stati presentati due spettacoli tratti dal loro storico repertorio di tradizione. A partire dalla visione di alcuni materiali video prodotti nel corso delle repliche estive, le due giornate di colloqui sono state dedicate alla riflessione sulle origini e sulle modalità di permanenza di particolari sistemi organizzativi e produttivi a carattere familiare nel panorama teatrale italiano del secondo Novecento. Il tema scelto per la riflessione teorica conclusiva svolta a Verona trae origine dalla constatazione che, tra le produzioni degli ultimi eredi della tradizione recitativa della nostra penisola, emergono oggi importanti tentativi di presentare sulla scena le vicende artistiche della propria famiglia d’Arte, attraverso singole performances dedicate all’argomento, o anche spettacoli compiuti, per recuperarne la memoria e preservarne le tecniche rappresentative ormai in disuso. Accanto alla già citata famiglia Seghizzi-Barone, ci si è focalizzati, in particolare, a quanto realizzato negli ultimi anni dai vicentini Carrara, dai romagnoli PisapiaFiore e dalla celebre ditta Rame-Fo. La dimensione errante delle compagnie e l’eccellenza creativa dell’attore italiano discendono certamente dalla tradizione plurisecolare della Commedia dell’Arte. Con l’affermazione del professionismo teatrale, nella seconda parte del sedicesimo secolo si consolida infatti anche un’organizzazione sociale degli attori assolutamente particolare, legata da una fitta rete di rapporti, un mondo chiuso e ben regolamentato che permette loro di convivere in maniera originale, e in parte antagonistica, con la società degli altri uomini: Discendenti da generazioni di comici, – scrive Silvio d’Amico – i ‘figli d’arte’ erano i discepoli dei magnifici ‘virtuosi’ del Cinque, del Sei e del Settecento, gli eredi di quella commedia dell’arte che sbalordì il mondo, i pronipoti delle millenarie ‘maschere’ laziali e campane, e dei ‘mimi’ siciliani. Alla frequente incultura supplivano, come tutti sanno, con l’intuito; all’impreparazione, con la genialità improvvisatrice. Nati sul palcoscenico, e vissuti dall’infanzia, per dodici ore al giorno, fra proscenio e camerini, non conoscevano di solito altra vita se non quella appresa dai copioni e chiusa nella maniera della scena, né altre facce se non quelle delle truccature tradizionali3.
Per poter meglio delineare la questione dell’attualità e della valenza in epoca contemporanea di modalità rappresentative che affondano le proprie radici in una tradizione di tipo familiare, si è deciso di affrontarla secondo tre diverse direttrici, definite dalle parti in cui è stato suddiviso il libro. Nella prima sezione, intitolata La tradizione italiana tramandata, si è pensato, 3 S. d’Amico, Tramonto del grande attore, con una presentazione di L. Squarzina e un saggio di A. Mancini, la casa Usher, Firenze 1985, p. 30 [I ed. Mondadori, Milano 1929].
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Premessa
da un lato, di allargare lo sguardo ad alcune modalità spettacolari di tipo familiare adottate nel secondo Settecento sia nel teatro dei dilettanti che in ambito coreografico, dall’altro, di rimettere a fuoco gli aspetti specifici della formazione tecnica e spettacolare dei “figli d’arte” nel corso dell’Ottocento, tra insegnamenti appresi nelle scuole di recitazione e apprendimento diretto “sulla scena”. Se Elena Zilotti indaga il laboratorio di teatro nobiliare del marchese Francesco Albergati Capacelli attraverso il filtro del coinvolgimento dei propri congiunti negli allestimenti, Stefania Onesti si concentra sulla prospettiva “ibrida” offerta dal mondo coreutico, in cui il mestiere si trasmette allo stesso tempo di padre in figlio e attraverso studi più istituzionali. Leonardo Mancini analizza poi il pensiero di Luigi Rasi che, pur promuovendo in Italia un approccio pedagogico al teatro, nel bipolarismo tra “figli d’arte” e “dilettanti” individua una terza via. Per concludere questa sezione, si è pensato quindi di definire sommariamente le caratteristiche più rilevanti del teatro mattatoriale, per comprendere quali aspetti recitativi permangano sottotraccia, o sopravvivano inalterati, alla rivoluzione introdotta dall’avvento del teatro di regia in Italia. I contributi raccolti nella seconda sezione, La sopravvivenza delle famiglie d’arte nel Novecento, affrontano invece più esplicitamente il cuore dell’argomento proposto mediante l’analisi di alcune figure chiave della teatralità di tradizione del ventesimo secolo, mettendole a confronto anche con il territorio che le ha prodotte e alimentate. Paolo Puppa, per esempio, indaga il caso di Cesco Baseggio e degli attori veneti, mentre Laura Mariani e Anna Sica volgono lo sguardo verso la Sicilia e l’arte pupara della famiglia Cuticchio, da cui si stacca la moderna tecnica del cunto elaborata da Mimmo, il figlio oggi più celebre. L’ultimo tassello di questa parte è offerto da Maria Teresa Pizza, che affronta il connubio di storia, tradizione e innovazioni creato dalle dirompenti rappresentazioni della coppia artistica e familiare Franca Rame-Dario Fo. Nell’ultima sezione, infine, definita Testimonianze contemporanee, si è pensato di dare voce agli eredi di una tradizione più che centenaria, offrendo scampoli di memorie, dirette o mediate da amici e familiari, di alcuni artisti particolarmente significativi nel panorama italiano del secondo Novecento, per ricostruire un frammento della loro storia e della loro tradizione interpretativa messa al servizio del contemporaneo. Da un lato, Giorgia Penzo dialoga con Titino Carrara, Sergio Pisapia e Loris Seghizzi, mentre, dall’altro, Francesco Viola dà voce alle memorie familiari di Alessandro Idonea e dialoga con Maria Pia, figlia del puparo Nino Canino. Simona Brunetti
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Premessa
Il Convegno si è tenuto presso l’Università degli Studi di Verona dal 28 al 29 novembre 2017. Un sentito ringraziamento, oltre a tutti i relatori, di cui in gran parte si pubblicano gli scritti, va agli artisti che hanno partecipato e animato le giornate veronesi: Maria Pia Canino, Titino Carrara, Jacopo Fo, Alessandro Idonea, Sergio Pisapia, Loris Seghizzi. Una riconoscenza particolare va anche alle persone che a vario titolo hanno collaborato alla realizzazione di questo volume: Giorgia Penzo, in primis, per le riflessioni artistiche e di pratica scenica che abbiamo condiviso; Elena Randi per il sostegno personale e i molti suggerimenti scientifici; Maria Teresa Pizza, Marco Prandoni, Davide Schinaia, Francesco Viola, per l’aiuto con i materiali visivi e i contatti artistici; Monica Cristini, Veronica Ghizzi, Elena Zilotti, per l’efficiente collaborazione redazionale; Piero Cappelli e Franco Perrelli, per aver creduto nel progetto. Rivolgo infine la mia gratitudine alle istituzioni che hanno sostenuto in vario modo la realizzazione del Convegno e la pubblicazione di questo libro: il Dipartimento di Culture e Civiltà dell’Università di Verona; l’Associazione Città Teatro di Riccione; la Fondazione “Umberto Artioli” Mantova Capitale Europea dello Spettacolo.
Tavv. 1-2. Mimmo Cuticchio mostra la testa del mago Demorgene, realizzata da Nino Cuticchio (L’urlo del mostro, 1993). Nella parte anteriore il volto del padre Giacomo, in quella posteriore il volto della madre, Pina Patti. Intorno, da sinistra, i figli Guido, Rosa, Nino, Piera, Mimmo, Anna e Teresa.
Tav. 3. Locandina a colori del repertorio della Compagnia Marionettistica Famiglia Rame (1874).