Vincent a Theo. Van Gogh in parole e colori

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v i n c e n t a t h e o van gogh in parole e colori

a cura di Alessandro Rovetta

edizioni di


Avvio a Silvia

I

l racconto intenso e drammatico dell’esperienza umana di Vincent Van Gogh (1853-1890) è affidato ai suoi straordinari dipinti e al fittissimo carteggio intrattenuto col fratello Theo, circa settecento lettere scritte tra l’agosto del 1872 e il luglio 1890. Sarebbe arbitrario usare questi scritti come primo strumento interpretativo dell’opera pittorica di Van Gogh, ma trascorrere lo sguardo dalla vibrante materia colorata delle tele alle parole accorate e riflessive delle lettere ci aiuta a immedesimarci in un percorso umano che non ha cessato di affermare l’orizzonte infinito della propria sensibilità in un contesto epocale malfermo e contraddittorio. Le lettere a Theo descrivono volti, luoghi, circostanze, aspirazioni con grande sincerità e semplicità di tratto, rendendo familiari e ‘possibili’ i folgoranti accadimenti pittorici, che ci appaiono allora tutti radicati nella vita minuta, attesi con incessante caparbietà lavorativa, tra tormenti affettivi e ideali di solidarietà sociale. Nato in Olanda, a Groot Zundert, nel 1853, figlio di un pastore protestante, lasciò presto gli studi per impiegarsi nel 1869 presso la casa d’arte Goupil, che lo portò all’Aja, a Parigi e a Londra. Per il fratello Theo questo sarà il lavoro di tutta la vita; non per Vincent, che nel 1876 venne licenziato. Si dedicò agli studi di teologia, animato da uno spiccato senso missionario della vita, in parte dovuto all’educazione familiare, in parte radicato come nota dominante del suo temperamento. Giudicato dai superiori inadatto all’attività pastorale, Vincent consumò questa nuova sconfitta nel Borinage, la regione mineraria del Belgio, prodigandosi come evangelizzatore laico: incontrò e condivise una grande miseria, sapendovi intravedere una 1


grande dignità umana – quella dei Mangiatori di patate – e soprattutto scorgendo i primi potenti indizi creativi, che presto assunsero la forma di una piena vocazione pittorica. Era il 1880: lo aspettavano dieci anni di inesausta e tormentata attività, una delle esperienze umane e artistiche – non si potrebbero mai scindere i due termini – più travolgenti che la cultura occidentale abbia conosciuto, pari alle folgoranti incursioni di Masaccio e Caravaggio. Proprio dell’unità esistenziale della vicenda di Van Gogh raccontano le lettere a Theo. Il legame col fratello si documenta nel tempo come una questione di vita o di morte, un’incessante domanda di aiuto, anche economico, di comprensione e di compagnia.

[132] Wasmes, 15 ottobre 1879

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Caro Theo, ti scrivo per dirti quanto ti sono grato della tua visita. [...] Quando ti ho rivisto e ho preso a camminare con te, ho avuto una sensazione che da tempo non provavo più, come se la vita fosse qualcosa di buono e prezioso da tener caro. Mi sono sentito più vivo e più allegro di quanto non mi sia sentito da molto tempo, poiché man mano la vita è diventata per me meno importante, meno preziosa e quasi indifferente. Almeno, così credevo. Quando si vive con gli altri e si è uniti a loro da un affetto sincero, si è consapevoli di avere una ragione di vita e non ci si sente più del tutto inutili e superflui: abbiamo bisogno l’uno dell’altro per compiere lo stesso cammino come compagni di viaggio, ma la stima che abbiamo di noi stessi dipende molto anche dai nostri rapporti col prossimo.


L’intenso sentire umano – che è sguardo, cuore, riflessione, comunicazione – diviene, quasi naturalmente, poetica, impetuosa e virile, sempre vissuta nei termini di un compito sociale, dove ci sorprende l’intreccio tra la consapevolezza della drammaticità del vivere e una serenità di fondo, non sentimentale, ma riconosciuta quasi asceticamente.

[218] L’Aja, luglio 1882

V

oglio che tu capisca bene la mia concezione dell’arte. Bisogna lavorare a lungo e duramente per afferrarne l’essenza. Quello a cui miro è maledettamente difficile eppure non penso di mirare troppo in alto. Voglio fare dei disegni che vadano al cuore della gente. [...] Sia nella figura che nel paesaggio vorrei esprimere, non una malinconia sentimentale, ma il dolore vero. In breve voglio fare tali progressi che la gente dica delle mie opere: «sente profondamente, sente con tenerezza», malgrado la mia cosiddetta rozzezza, e forse perfino a causa di essa. [...] Questa è la mia ambizione, che malgrado tutto, è basata meno sull’ira che sull’amore, più sulla serenità che sulla passione. È vero che spesso mi trovo nello stato più miserando, ma resta sempre un’armonia calma e pura, una musica dentro di me. L’arte richiede un lavoro persistente, lavoro malgrado tutto, e osservazione continua.

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Van Gogh studia tutti i dettagli della sua casa d’artista, perché risulti la dimora ideale per sé e per i suoi compagni: Gauguin e, si augura, anche Bernard. L’obiettivo è la realizzazione di un luogo di lavoro solidale, per cui tutto al suo interno non può essere casuale, ma deve avere un carattere, così da facilitare l’amicizia e la tensione creativa, che in questo tempo Vincent sente come termini interdipendenti. Dagli esterni notturni e diurni, le tele di Van Gogh ci introducono all’interno della casa gialla, fino alla camera dell’artista, della quale esistono più redazioni, diverse soprattutto nelle scelte cromatiche. La composizione prospettica è ancora vertiginosa: la disposizione del letto suggerisce allo spazio una profondità lontana e misteriosa che viene interrotta dalla parete di fondo e addirittura rilanciata in senso opposto dalla finestra. Le imposte socchiuse, invece di aprirci all’oltre, ci riportano all’interno, con lo stesso dinamismo che fa scivolare gli oggetti sul pavimento, ingrandendoli smisuratamente e accentuandone di conseguenza il valore espressivo. I moti e i contrasti compositivi si sostanziano e si armonizzano nei colori: nel trasmutarsi dei toni azzurri sulle porte e sulle pareti; nel mescolarsi più o meno deciso dei gialli, ora col rosso della coperta sul letto e sulle lenzuola, ora col verde degli infissi della finestra sui vetri e sulle sedute, fino al panno appeso alla parete. Immancabile lo specchio, come nel Caffè di notte. Alle pareti, tanti quadri; il soggetto preferito è quello dei Girasoli. La preminenza del letto si comprende alla luce della lettera a Theo dove Van Gogh confida tutta la sua aspirazione a costruirsi una famiglia [® 19].

[534] Arles, settembre 1888

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N

e voglio veramente fare una casa d’artista, ma non preziosa, al contrario niente di prezioso, ma che tutto, dalla sedia al quadro, abbia un carattere. Anche per i letti, ho preso dei letti del paese, dei letti grandi a due piazze, non dei letti in ferro.


19. La camera di Van Gogh, ottobre 1888; Amsterdam, Rijksmuseum Vincent Van Gogh.


Saint-Rémy: maggio 1889-maggio 1890 Col passare dei mesi Van Gogh avverte il progredire della sua malattia: «non sono capace di amministrarmi e di governarmi», afferma. D’accordo con il medico Peyron e il reverendo Salles – le persone che più gli stanno vicino, oltre Roulin – decide di entrare in una casa di cura dove ottiene due stanze, una delle quali per dipingere. Nonostante l’isolamento, le cure e un grave senso di solitudine, continua a lavorare alacremente, sospendendo solo nei momenti di annebbiamento. Raggiunge temi e soggetti che aveva inseguito da tempo ma non era ancora riuscito a portare sulla tela. Dominano gli ulivi e i cipressi, i quali, pur adombrando il tema della morte, rappresentano la scoperta di nuove forme – contorte e serpentinate, tutte volte dalla terra al cielo – e di nuovi colori, del verde innanzitutto, che passa dai timbri smorzati dei mesi precedenti ad una scura intensità, prossima al nero. Il segno pittorico attinge a tutto il repertorio finora esperito: dai tratteggi fitti, alle pennellate più distese, alle macchie, ai contorni scuri; prevale su tutti l’andamento curvilineo assemblato in vortici di materia pittorica [® 29].

[596] St. Rémy, 25 giugno 1889

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I

cipressi mi preoccupano sempre, vorrei farne una cosa come i quadri dei girasoli, e mi stupisce che nessuno li abbia ancora fatti come li vedo. Sono belli come linee e come proporzioni e assomigliano a un obelisco egiziano. Il verde è un colore così distinto. Rappresenta la macchia nera in un paesaggio sotto il sole, ma è una delle note nere più interessanti,


29. Campo di grano con cipressi, settembre 1889; Londra, The Trustees of the National Gallery.


Indice

Avvio

1

I Primi anni

4

Parigi: marzo 1886-febbraio 1888

16

Arles: febbraio 1888-aprile 1889

24

Saint-RĂŠmy: maggio 1889-maggio 1890

56

Auvers-sur-Oise: 21 maggio-29 luglio 1890

78

Bibliografia

93


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