Nino Lavermicocca
La Via Egnazia, itinerario di identitĂ europea Alle origini del CorridoioVIII Presentazione di Gino Lorenzelli con un contributo di Miranda Carrieri
Indice
Presentazione Le strade che hanno fatto la storia europea
IX
«Sub terris quaerebat iter»: riscoperta di una antica strada
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Adriatico mare d’Europa, Bari porta dell’Adriatico
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I Balcani e l’Adriatico, un “Commonwealth” da ricomporre
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Gnathìa, «alma mater»: la città e il mare
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Egnazia, «via nostra militaris»
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Egnazia, “via della fede”
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Paesi e popoli fra passato e presente
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Un mare di santi: città e patroni dell’Adriatico
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Il bacino storico-artistico della Via Egnazia: le città d’arte
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La strada ritrovata; il progetto paneuropeo
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Un “Cammino” di san Nicola?
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Bibliografia
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Ci sono storie che sembrano già scritte nella memoria collettiva e altre che attendono solo la mano giusta per passare dalla memoria alla scrittura. E ci sono percorsi, itinera, che per secoli hanno fatto la storia senza grandi clamori, forse perché offuscati da vie di comunicazione – e dunque di civiltà, di cultura – a loro attigui: è così che il Corridoio VIII ha acquisito importanza come naturale continuazione della Via Appia-Traiana lungo il tratto dell’antica Via Egnazia. Se oggi l’Europa è sempre più un orizzonte che accelera i processi di democrazia e stabilizzazione dell’area balcanica, ragionare come fa Lavermicocca in termini di storia e radici comuni aiuta a superare oggettive difficoltà e confini spesso anche ideologici. Le pagine del libro, con la loro approfondita ricerca e le suggestive rievocazioni, sono dirette ad una comunità internazionale, o meglio sovranazionale, che supera questi confini E se l’Italia, e la Puglia in particolare, è sempre più l’interlocutore naturale delle popolazioni balcaniche, lo si deve anche al ruolo guida assegnatole in ambito europeo sul Corridoio VIII che, ereditando la tradizione della Via Egnazia, diventa sempre più luogo privilegiato di scambi che non frontiera immaginaria. E la Puglia, a volte in maniera isolata e nonostante interessi contrastanti, non ha mai smesso di credere alla concretezza di questo asse di trasporto e luogo di scambio di culture. Ecco perché La Via Egnazia, itinerario di identità europea, oltre ad un indiscusso valore storiografico, ha una forte valenza etica: il Corridoio VIII sta a testimoniare lo sforzo comune che dal 2002 ha visto riunirsi le comunità politiche e istituzionali di Albania, Macedonia, Bulgaria, Grecia e Turchia, sotto l’egida del Governo italiano. Uno sforzo che va proprio nella direzione tracciata dall’Unione Europea. Sin dai trattati di Maastricht nel 1992, e di Amsterdam nel 1997, furono avviate le basi giuridiche per il completamento
delle infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali e aeroportuali. La visione di un’adeguata rete di trasporti che superasse i confini comunitari era già parte integrante di tali trattati, segno della lungimiranza dei governi europei di allora. Una lungimiranza che oggi necessita di ulteriori conferme. Il libro di Lavermicocca è quanto mai attuale e anzi anticipa gli sviluppi futuri dell’asse Bari-BrindisiDurazzo-Tirana-Skopje-Sofia-Burgas-Varna, dove le comunicazioni e lo scambio di culture rappresentano una strategia necessaria per il rafforzamento di tutta l’Unione. Per la regione balcanica, lo sviluppo di un asse di comunicazione est-ovest rappresenta dunque un indispensabile fattore di sviluppo economico e di stabilità intraregionale, destinato ad avere un forte impatto positivo sulle relazioni tra gli Stati attraversati dal Corridoio VIII, per incrementare la competitività territoriale senza porre barriere, siano esse culturali, infrastrutturali o economiche. La Puglia, che rappresenta il fulcro orientale della Piattaforma strategica transnazionale, attraverso il Corridoio VIII gioca un ruolo fondamentale nell’abbattimento di tali barriere. La connessione tra l’Italia e i Balcani servirà dunque a valorizzare la posizione geografica del Meridione nel quadro del più generale rafforzamento delle relazioni tra il nostro Paese e l’Europa sud-orientale. La vicinanza geografica e culturale con queste aree, se adeguatamente integrata da una sufficiente dotazione infrastrutturale, offrirebbe occasioni di crescita verso tutto il Sud Europa e il Mediterraneo, secondo percorsi sud-sud non ancora adeguatamente sperimentati. E renderebbe inoltre più efficiente il sistema pugliese, per rivendicare da posizioni di forza la realizzazione del Corridoio VIII che avrà in tal modo, nella Puglia, un retroterra organizzato e competitivo in grado di rendere davvero credibile la filosofia dei collegamenti con i Balcani e il Vicino Oriente.
IX
Le strade che hanno fatto la storia europea di Gino Lorenzelli*
* Giornalista, responsabile Relazioni esterne del Segretariato del Corridoio VIII.
LA VIA EGNAZIA, ITINERARIO DI IDENTITÀ EUROPEA
on la Dichiarazione dell’ottobre 1987 l’Europa riconosceva il “Camino” di San Giacomo di Compostela (Galizia, Spagna) come «Cammino di identità culturale europeo», poiché il secolare afflusso di torme di pellegrini alla tomba dell’apostolo Giacomo lungo le strade della vecchia Europa ne aveva scompaginato le frontiere, mescolando popoli e culture. La Via Francigena, come venne chiamato quel percorso transfrontaliero, apriva le porte dell’Europa ad Occidente ponendo a Santiago le nuove colonne d’Ercole della cristianità ritrovata. Il “Camino” giacobeo non era l’unico tracciato fra gli oltre 8000 chilometri di strade costruite dai Romani per connettere fra loro le diverse regioni
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dell’Impero. In Italia erano attive ad esempio la via Aurelia, la Flaminia, l’Emilia, la Popilia, la Salaria, la Postumia e soprattutto l’Appia e la Traiana al Sud, avanguardia dell’itinerario verso l’Oriente: da Durazzo a Salonicco, Costantinopoli e soprattutto Gerusalemme, la meta per eccellenza dei pellegrinaggi medievali. Tale percorso, anch’esso transfrontaliero, più antico del “Camino” di Compostela, era indicato col nome di Via Egnazia, la via regalis verso la seconda capitale dell’ecumene mediterranea: Costantinopoli. Sviluppatasi nel tempo, anch’essa manifesta aspetti culturali tipicamente europei; archeologia, architettura, arte, storia delle città e dei suoi popoli, scambi commerciali e culturali, rotte marittime, religiosità
«Sub terris quaerebat iter»: riscoperta di una antica strada
Una strada romana in costruzione, incisione (da Pratilli, 1745)
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L’antico percorso romano della Via Egnazia
popolare e pellegrinaggi, etnografia, formazione del paesaggio e dell’ambiente, vicende storico-politiche comuni esprimono una dimensione altrettanto identitaria, ma aperta questa volta all’Oriente del mondo. L’inizio del III millennio sembra aver ridestato la memoria storica dell’ancestrale rapporto che vede la Puglia avvinta strettamente alle radici comuni della civiltà euromediterranea (con particolare attenzione ad Adriatico, Egeo, penisola balcanica, Turchia, Cipro, Vicino Oriente). La Via Egnazia può svolgere tuttora in questo ambito un ruolo da protagonista, considerata la sua tradizionale funzione di ponte fra i due mondi (Europa occidentale ed orientale), crocevia naturale di scambi commerciali, guerre, pace, filosofie, culti, devozioni, reliquie e memorie, ma soprattutto luogo d’incontro delle religioni fiorite sulle sponde del Mediterraneo: Chiese latina e grecoortodossa, islam, ebraismo. Alla luce della Dichiarazione di Santiago e degli altri documenti approvati dall’Unione Eropea, la Pu4
glia è fortemente interessata – per motivi economici e culturali – alla riscoperta del percorso millenario transadriatico e alla valorizzazione della contiguità geografica della penisola balcanica connessa dall’itinerario prima marittimo e poi terrestre. Il Corridoio VIII costituisce infatti quasi un ricalco contemporaneo della vetustissima Via Egnazia – che congiungeva fin da tempi remoti l’Italia con l’Illiria, la Macedonia, la Bulgaria, la Romania, la Grecia, Costantinopoli –, permettendo oggi di ampliare lo spettro delle influenze reciproche non solo alle città-stazioni dell’itinerario, ma a un più vasto bacino di relazioni storiche, politiche e culturali, partendo dal milion della città archeologica di Egnazia (madre o figlia della strada?) fino al traghetto per Durazzo, Elbasan, Berati, Lesh, Ochrida, Skoplije, Kastorià, Sofia, Plovdiv, Salonicco, Tarnovo, Varna, Nesebar, Burgas, ecc. Proprio questa prospettiva balcanica, con l’incessante cammino di uomini e cose lungo una strada antica, tornata prepotentemente alla ribalta, ha fatto della Puglia una regione cosmopolita, multietnica ed ecumenica (dove tutte le culture e le fedi hanno avuto spazio di confronto, raccordando il mondo pragmatico dell’Europa occidentale a quello fervido e mistico del Mediterraneo orientale), chiamata nuovamente dalle contingenze storiche a rafforzare ed incrementare le sue relazioni con i paesi che si affacciano sul versante orientale del basso Adriatico. Riconosciuto recentemente «mare d’Europa», l’Adriatico può essere considerato una vera e propria linea d’incontro fra civiltà, piuttosto che confine, come di fatto avvenuto negli anni passati. Soprattutto la Puglia è in grado di cogliere le nuove possibilità di sviluppo insite in questo riconoscimento, contribuendo al ripristino di una ecumene adriatica, fondata sulla rinnovata conoscenza delle città rivierasche d’oltremare, con le quali per tutto il Medioevo e fino al Rinascimento ha avuto rapporti e sviluppi comuni, inoltrandosi poi sul filo dipanato della strada, nel cuore profondo della Balcania, una sorta di istmo inciso fra monti e pianure fino al Mar Nero, anch’esso figlio riconosciuto del Mediterraneo. Non fu soltanto Venezia a governare il “golfo adriatico”; anche i Pugliesi ebbero la loro parte
nel condominio come coinquilini del mare, casa amica con porte e finestre aperte in ogni direzione. Soprattutto il Levante esercitava un’attrazione fatale, cui era difficile scampare. La Cronaca dell’Anonimo Barese, nella metà dell’XI secolo, offre i dati più antichi del movimento di navi dal porto di Bari: 1045 – naufragò la nave di Maraldo, figlio di Icanato, là dove il mare si chiama Egeo. Veniva da Tarso. 1051 – bruciò una nave proprio sul promontorio della “Penna” [attuale molo San Cataldo], carica di olio, mentre andava a Costantinopoli. 1062 – naufragarono tre navi dirette a pieno carico a Costantinopoli; vi morì donna Maria, madre di Ronno, a Capo Malea. 1071 – una chiatta diretta a Durazzo, su cui era Kyr Epifanio con molti altri, scoppiata una tempesta, fu sommersa dal mare. Tutti gli uomini morirono.
Questo vivido, anche se traumatico, squarcio di cronaca medievale sottolinea l’orizzonte commerciale dei Baresi, esteso fino al Vicino Oriente – Egitto, Costantinopoli, Antiochia, Tarso, Grecia, Durazzo, Cattaro, ecc. – governato da proprie Consuetudini marittime, uno dei codici di navigazione più antichi conservati (forse di età bizantina: X-XI sec.). Al di là delle coste della Balcania, le rotte della Puglia volgevano più ad Oriente verso la Terrasanta. L’attrazione verso Gerusalemme catalizzò un flusso ininterrotto di pellegrini e soldati soprattutto durante e dopo la I Crociata (la Crociata “dei Baresi”). I frequenti contatti ebbero ricadute positive sulla circolazione delle idee, delle conoscenze, Tracciato della Via Egnazia da Durazzo a Costantinopoli (da Obolensky, 1974)
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A. Ortelius, Apuliae quae olim Iapygia nova corographia, incisione (I. Castaldo, Anversa, 1573)
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Siena, Palazzo comunale: Roma, dipinto di Taddeo di Bartolo (1362-1422)
delle merci, dell’arte, della religiosità. Poiché i confini estremi di questo magma religioso e culturale erano posti, da una parte, nel lontano Occidente (Santiago di Compostela, Mont Saint-Michel in Normandia) e, dall’altro, nei Luoghi Santi dell’Impero bizantino e della Palestina (Costantinopoli, pantheon delle reliquie; Gerusalemme, memoria Christi), con Roma cristiana ombelico del mondo, la Puglia costituì il passaggio obbligato che connetteva i due poli del sacro. Era infatti
il punto di partenza dell’itinerario marittimo verso la Terrasanta (il più celere) e di quello terrestre (più lungo), fondato sulle selci della Via Egnazia da Apollonia e Durazzo. Ma essa non fu solo terra di transito; la sua geografia religiosa mutò rapidamente dopo il IV secolo, proprio grazie al flusso dei pellegrinaggi (luogo santo preminente: il Gargano, con il Monte dell’Angelo), proponendo importanti santuari reliquiari (San Sabino a Canosa, San Marco ad Aecae, 7
Bari, basilica di San Nicola: facciata absidale
San Leucio a Trani, San Riccardo a Canne, il celeberrimo San Nicola a Bari) e modelli riproducenti quelli di Terrasanta (l’Anastasis del San Sepolcro, ad esempio). La funzione mediatrice della Puglia fra Oriente e Occidente coinvolse di fatto l’intero ambito europeo, ponendosi come termine del reticolo stradale e recuperando nel contempo nel suo seno il patrimonio culturale multiforme del bacino dell’Adriatico. Contribuì infine alla for8
mazione della koinè storico-artistica delle città “sorelle” dell’una e dell’altra sponda – Bari, Trani, Monopoli, Brindisi, Otranto, Siponto, Ancona, Ravenna, Venezia, Grado, Trieste; Zara, Spalato, Ragusa, Cattaro, Corfù –, confermata dal loro simultaneo sviluppo e dalla loro funzione, in tutte le fasi storiche, di intermediazione tra i movimenti culturali che percorrevano le vie del mare lungo le fasce costiere e i rispettivi entroterra.
Adriatico mare d’Europa, Bari porta dell’Adriatico
Tra tutti i piccoli Mediterranei, giardini di un solo o più padroni, l’Adriatico è l’esempio più vistoso. Tra tutte le riduzioni del Mare Interno, è la più riuscita, la meglio avvolta da terre e forse la regione marittima più coerente, per la sua storia […] verso sud l’Adriatico sbocca nel Mar Ionio attraverso il Canale d’Otranto, tra il capo omonimo in Italia e quello di Linguetta in Albania. Canale stretto: le carte marine indicano che misura soltanto 72 chilometri. Già nel secolo III a.C. i lèmboi a vele spiegate e con vento favorevole lo attraversavano in un giorno. Altrettanto fanno nel secolo XVI le fregate incaricate di portare le notizie da Corfù e Cefalonia sino alle coste napoletane, e viceversa, per conto del Viceré di Napoli. Una “memoria” spagnola del 1598, tra le altre cose, dice che «da Capo Otranto» si scorgono le luci di Valona (F. Braudel).
E in questo tratto Pirro immaginò di costruire un ponte di barche per passare a piedi da costa a costa con i suoi elefanti; altrettanto pensò di fare Marco Varrone con le navi della flotta di Pompeo per sconfiggere più agevolmente i pirati illirici di Almissa. Tra realtà e leggenda, un’antica rete di rapporti si sviluppò tra la Puglia e oltreadriatico (Balcania e Grecia) fondata sul mito: Ulisse nella grotta di Calipso a Leuca, Diomede sbarcato nei campi di re Dauno, Teseo a Brindisi, Calcante sul Gargano, ecc. e più concretamente negli scambi commerciali attestati fin dal II millennio con il mondo miceneo e nei successivi rapporti con i centri di produzione elladici di Creta, Rodi, Corinto, della Laconia, di Atene e dell’Attica, di Corfù,
Canosa (Bari), ruderi della basilica paleocristiana di San Leucio (V sec.)
ecc., che caratterizzano significativamente la storia e la cultura della regione. Qualcuno (Cagiano de Azevedo) ha definito l’Adriatico una “piazza” su cui convergono come strade i porti pugliesi, pronti ad estendersi fino alle sponde contrapposte di Epiro, Illiria, Dalmazia, Grecia, Egeo, esportandovi merci e cultura. Su ambedue le coste dell’Adriatico si sviluppò quel milieu artistico manifestato in ugual misura, ad esempio, dalle basiliche paleocristiane di Bari, Egnazia, Canosa (San Leucio), Siponto, Lucera (San Giusto), rilucente certo con maggiore magnificenza a Ravenna, Grado, Aquileia, ma analogo alle chiese e rovine di Zara, Salona, Traù, Butrinto, ecc. Testimonianza di calda umanità sono i graffiti, i disegni propiziatori e le epigrafi del IV-III sec. a.C. lasciate nelle grotte di Leuca, nel santuario marino di Zeus “Batios”, e a Vieste, nel santuario dedicato a Venere “Sosandra” (salvatrice di uomini) dai navigatori e passeggeri prima della trepida attesa di veleggiare nello stretto o dopo il fausto sbarco, a ringraziamento. 9
Bari, Porta Nuova in una incisione di A. Festa per l’edizione delle Satire di Orazio (Roma, 1816)
Bari, “paranze” a pesca al largo del porto (da Le cento città d’Italia illustrate, Milano, fasc. 104)
Grano, vino, olio (la “trinità” delle vettovaglie) e poi ancora formaggio, biscotto (panis recoctus), orzo, frumento, legumi, lardum, carnes salate et assorgia, mandorle, frutta, lana, cera, ecc. prendevano il largo per l’oltreadriatico, contro legname, ferro, stagno, rame, stoffe (fustagno della Rascia), spezie, gioielli, schiavi, cavalli, tutto pesato, carato e minuziosamente riportato nelle tabelle dei dazi conservate. Due economie affidate per il tratto del viaggio al precario trasporto di una barca. Il popolo rivierasco sembra sicuro dei suoi gusci di noci, più o meno cresciuti: navi merciarie, onerarie, galee, chelandie, dromoni (navi da guerra), tricantìre, fuste, barcelle, bilancelle, trabaccoli, cocche, tartane, marcelliane, paranze, vascelli sulla costa pugliese o italica; banzo, bastasia, karablja, drievo, ladja, lontra, gumbara, katrga, zopula sulla sponda balcanica (Pr. Matvejevic´). Due marinerie regolate da reciproci trattati, esenzioni daziarie, privilegi mercantili: Bari con Venezia nel 1122, fra il Doge Domenico Micael e il Principe barese Grimoaldo Alferanite; Bari con Cattaro nel 1195 («quotienscumque Catarini cives ad partes Apulie venerint […] ab exatione ancoratici et plateatici, quod de navibus eorum et mercimoniis suis in portu et civitate Bari […] liberi sint ipsi Catarini penitus et immunes») e con Ragusa nel 1201; Molfetta, l’attivissima consorteria degli “Olandesi del mare”, con Ragusa nel 1148 («Nos homines Melficte, quia ex veridico relatu seniorum nostrorum, diligenti cura invenimus inter homines Raguse et Melficte cives, mutua dilectione et consaguinitatis proximitate, sic esse conventum…») e con Durazzo nel 1269, affari non disgiunti da reciproca simpatia e quasi parentela tra figli di uno stesso padre: l’Adriatico. Il più delle volte pacifico, oppure spietatamente selvaggio nei suoi uragani: Avendo preinteso che per un uragano sopravvenuto in mare si perdevano delle barche paranze, verso le ventitre e mezza accorremmo in mezzo al largo detto della porticella unitamente a buona porzione di popolo ed infelicemente vedemmo coi propri occhi sommergersi da un turbine al fondo del mare […] la barca paranza di G. Stoja [un albanese?] perdendosi l’intera ciurma (Molfetta 1819); mentre i santi protettori del mare restavano a guardare!
La traslazione del corpo di san Marco a Venezia in una formella smaltata della Pala d’oro (inizi XIII sec.)
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Nell’Adriatico vigeva la pax veneziana; non si
Molfetta (Bari), santuario della Madonna dei Martiri: tavoletta ex voto (sec. XIX)
muoveva foglia che Venezia non volesse. Il suo commercio, a differenza delle repubbliche marinare minori delle due sponde, era diretto dallo Stato che stabiliva le linee di navigazione, costruiva le celebri “galere da mercato”, organizzava i convogli. Nonostante pirati albanesi e corsari turchi, la pace teneva e non pregiudicava gli interessi mercantili: «Cum la guerra la merchadantia non corre, et è in detrimento cussì de li privati come de li publici interessi». Rivaleggiava con Venezia, nel Quattrocento e Cinquecento, la repubblica di San Biagio, Ragusa, autonoma dalla Serenissima a partire dal 1358, ma passata nell’orbita della Sublime Porta (il Sultano di Istanbul), quasi come
proiezione nell’Adriatico dei trasporti turchi provenienti dall’entroterra dell’Impero ottomano, fin dal Mar Nero, e di quelli internazionali, destinati al mercato del vasto hinterland delle regioni balcaniche, l’unico loro sbocco sul mare. I traffici non erano più, nella congiuntura politica mutata, appannaggio dei Veneziani, insidiati infatti dal Vicereame spagnolo di Napoli, dall’Austria con il “proprio” porto di Trieste, da Inglesi e Olandesi: «Il giorno in cui una nave olandese porta a Venezia il primo carico di spezie può considerarsi come la fine della vecchia funzione mondiale dell’emporio veneziano» (G. Luzzatto). Un mare comunque transnazionale, in cui affondavano le radici della 11
Ragusa, in croato Dubrovnik (Dalmazia), veduta generale della città murata
trasformazione in Mare d’Europa: «I marinai di questi paesi [Balcani] uscivano sul Mediterraneo e su altri mari più sotto bandiere di altri Stati che sotto le loro: e qualche volta non avrebbero neppure saputo dire quale fosse davvero la loro bandiera» (Pr. Matvejevic´). Un curioso esempio di convergenza di merci plurime in un unico prodotto finito, frutto – è il caso di dire – di un intreccio transnazionale di elementi, era offerto, sul finire del XIX secolo, dalla lavorazione del maraschino (il rosolio maraschino), liquore tipico della Dalmazia (ma lo stesso discorso è valido per la slivovitza, la grappa serba di prugne). Dalla Puglia giungeva la quantità di frutta necessaria, fra cui le “marasche” di Conversano; da Trieste erbe aromatiche e droghe; da Ancona, la cannella detta “della Regina”; lo zucchero raffinato da Amburgo o dall’Olanda o da Genova, pregiati ingredienti per il celebre maraschino 12
della ditta istriana Salghetti-Drioli, uno dei liquori più venduti sulle piazze adriatiche e in Austria. Una rete di corrispondenti operanti ad Ancona, Trieste, Genova, Fiume, Zara, Ragusa riforniva i mercati soprattutto tedeschi: «questi signori Todeschi che bevono a dovere». Adriatico lago salato ma non troppo e un bene di consumo gustoso, fautore di una larga intesa fra palati esigenti. «Barensis nisi mercatur moritur» (muore il Barese se non ha mercato) si diceva anche in greco e slavo – «Barìnos eàn mè emporèutai, thnèskei»; «Barski, ako ne trguje, umre» –, sancendo così, attraverso il detto popolare, l’incidenza della città sul mercato balcanico e orientale. Capisaldi del navigare dei Baresi erano i porti di Durazzo, Valona, Ragusa nella Balcania e Alessandria, Cipro, Antiochia e Costantinopoli nel Vicino Orente. La prima nave in partenza da Bari per Alessandria è
attestata nell’865; le ultime, dopo la requisizione della flotta mercantile ad opera dei Normanni e degli Svevi e la sua statalizzazione (lo stolio regis), due grandi vascelli in uscita da Bari, l’Emisphairon (Mezzomondo), con trecento uomini di equipaggio, e da Trani la Vulcasia, con carico di vino e frumento. La ricchezza della città era in proverbio, come ricordato nel Contrasto di Cielo d’Alcamo composto fra 1231 e 1250: Se i tuoi parenti trovanmi e che mi pozzon fare? Una defensa metoci di dumila agostari; non mi tocara padreto per quanto avere à ’m Bari.
Il centro di scambio delle merci era in piazza Maggiore (oggi Mercantile), alla “catena” (uno spazio recintato); le navi erano immatricolate nei registri della Dogana («scriptae in matricula Dohane»), prima di prendere il largo («navis it in taxidium») con il loro carico (parabulsum o emptika); esse erano un po’ come case galleggianti («que quasi domorum vice funguntur»); il contratto d’imbarco era alla barese («contractus bariensis») o all’amalfitana («contractus amalphitanus»). Nell’XIXII secolo operavano due compagnie marittime di noleggio: la Buctia Sancti Nicolai e la Buctia Castelli per il trasporto di crociati e pellegrini: «Barenses per omnes civitates maritimae nostrae totius provinciae intraverunt dando naulum, passando cum magnis, vel infinitis navibus maiores et minores» (Anonimo Barese). Una galea di Teutonici («Teotonici et peregrini ituri cum buctia Sancti Nicolai bariensis in occursum ad Sanctum Sepulchrum») era ferma nel porto di Bari nel 1199, impedita dal salpare, liberata soltanto per intervento del pontefice Innocenzo III. I vascelli erano proprietà di eminenti famiglie mercantili, quali gli Icanato, gli Argiro, gli Epifani, gli Adralisto, i Dottula, i Chyurlia, ecc. Erano allestiti negli arsenali cittadini, secondo la testimonianza del geografo arabo al-Idrisi, nel 1139:
La traslazione delle reliquie di san Nicola a Bari in una incisione tratta da Putignani, 1771 Bari, veduta dell’insenatura di Santa Scolastica
Bari, città grande e popolata, posta in fondo a un golfo, è la capitale del paese dei Longobardi ed è una delle metropoli rinomate dei Rûm [Bizantini]. In questa città si costruiscono navigli.
Ruolo importante e significativo del commercio 13
Otranto (Lecce), la cittadina sulle mura medievali e il porticciolo
levantino di tutta la fascia costiera barese, da Polignano, Monopoli fino a Molfetta, Bisceglie, Trani, anch’esse minuscole repubbliche marinare, ma assai vivaci. È infatti noto che la Puglia è attratta dal mare; è rivolta verso est, tanto che Bari fu a lungo città greca. Ancora nel secolo XVI il greco era lingua corrente; nulla indica meglio la forza di richiamo e quasi di rottura del mare. Bari guarda soprattutto verso la Grecia, la Dalmazia e le grandi città del nord, Ferrara e Venezia, clienti del suo olio e del suo sapone. E non già verso la lontana Napoli, alla quale è collegata per mezzo di difficili trasporti con carri o di una lunga circumnavigazione attraverso lo stretto di Messina (F. Braudel).
Se Bari è la porta dell’Adriatico, Otranto può esserne considerata la chiave infilata, ad Oriente, nella toppa di Durazzo. La più bizantina fra le città pugliesi, capitale di un Ducato e “metropolia” dipendente dal Patriarca ortodosso, offriva da sempre il suo porto alle navi di Costantinopoli. Ma col pizzico di ambiguità propria dei Pugliesi, Otranto non si negò ai Normanni: la chiesa di San Pietro 14
con i suoi cicli di affreschi bizantini e le storie intessute nel tappeto musivo della Cattedrale normanna sono l’emblema della capacità di coniugare, in perfetta simbiosi, Oriente e Occidente. Rapidi i collegamenti della cittadina con Corfù, Durazzo, Corinto per l’import-export di derrate alimentari e vino, anfore da trasporto, ceramiche prodotte nelle locali fornaci, in tipi comuni a quelle rinvenute in Grecia e sul Mar Nero, che suggeriscono un rafforzamento dei contatti con l’Oriente nel IX-XI secolo ed in particolare con l’area pontica. Un ruolo significativo dell’attività di emporio marittimo è messo in evidenza anche dalle merci affluenti ad Otranto da regioni assai lontane: dall’Afganistan, ad esempio (rinvenuta nel 1993 una moneta o dirham d’argento della zecca di Ma’dan Panjir), dalla Sicilia, dalle isole dell’Egeo (macine per grano), dal Maghreb, da Costantinopoli (ceramiche), dal Mar di Marmara (anfore vinarie), dall’Albania e dalla Grecia (anfore fittili). Orientalità della Puglia, dunque, che si coglie tut-
tora in una molteplicità di aspetti: l’architettura delle chiese, con corrispondenze e analoghe caratteristiche formali e strutturali su ambedue le sponde dell’Adriatico (a Trani, Mola, Bari, Ostuni, Zara, Sebenico, Cattaro, ecc.); il disegno delle città e degli edifici pubblici: i palazzi, le fontane, le dimore aristocratiche, i portici, le piazze; il patrimonio archeologico comune; la storia politica; i rapporti commerciali e culturali: la regione adriatica più vivace ed aperta a nuovi sviluppi. La Balcania appare invece più grifagna, meno solare, quasi dubbiosa di un’apertura senza limiti al presente, abbarbicata al passato: come, ad esempio, per il retaggio delle roccaforti di montagna in Albania, le kula, sedi di clan tribali in cui sembra sopravvivere tuttora qualche residuo di “legge del sangue”; per il divario tra la fioritura, anche turistica, delle isole e della costa e l’inospitalità dei monti all’interno; per la pervicace negazione del mare, estraneo alla realtà balcanica profonda, priva di passaggi, valli, fiordi (splendida eccezione: le Bocche di Cattaro). Piuttosto che all’Adriatico, la Balcania guarda al Danubio, la sua grande unica via fluviale, non in grado, tuttavia, di produrre unità e sanare secolari divisioni. Soltanto la Serbia medievale ha ricercato al culmine della sua potenza uno sbocco sul mare, sottratto ai Bizantini, nel porto di Cattaro (dal 1186 al 1371). Sebbene lo scenario delle grandi montagne sia l’habitat proprio degli Albanesi, tuttavia una parte di essi non mancò già dall’età greca e romana di affacciarsi sull’Adriatico, attraverso la città di Epidamnon-Dyrrachium, porta della Balcania, da cui partiva, inoltrandosi fra cime tempestose, la Via Egnazia, dall’uno all’altro mare, dall’Adriatico al Mar Nero. La fascia costiera costituisce la bassa Albania, abitata da uomini di spirito diverso dagli Illiri dell’interno, divisa in due grandi gruppi etnici: Gheghi a nord, Toschi a sud, raggruppati intorno a masserie (ciflick) dedite soprattutto ad attività agricole. Il loro impatto sul territorio è stato comunque esiguo e le attività, proprie dei popoli rivieraschi, bloccate da una sorta di “paura del mare” che ha impedito contatti e proficue relazioni con la sponda italica, confinando il paese a una condizione di marginalità rispetto alla ecumene adriatica. È stato osservato (F. Farinelli) che a differenza
dei mari del Nord, dove le città che si affacciano sulle coste svolgono sovente funzioni di capitali di Stato (Londra, Amsterdam, Copenhagen, Oslo), nessuna di quelle adriatiche, tranne per qualche tempo Venezia, ha svolto un ruolo analogo, limitandosi alla gestione del territorio circostante e all’autonomo svolgimento delle proprie attività. La vita urbana nell’Adriatico ha radici ancestrali, sviluppandosi da insediamenti remoti e spontanei e da sovrapposizioni strutturali ben raramente originate da autentici atti di fondazione o da schemi planimetrici prefissati. L’antitesi dei modelli, fra dionisiaco (labirinto, caos, claustri, corti, piazzole, strettoie) e apollineo, appare più marcata15
Ostuni (Brindisi), cattedrale di San Biagio: facciata tardogotica (XV sec.)
Bari: case, cattedrale e castello sull’ansa portuale di Marisabella (da Le cento città d’Italia illustrate, Milano, fasc. 104) A. Ortelius, «Italia nam tellus Graecia maior erat», incisione ( Anversa, 1612)
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mente solo in età contemporanea, quando si accentua la diversità fra terra vecchia e nuova, città antica e moderna, fra elementi disomogenei fra loro ed un progetto lineare e rigoroso, diversità evidenziata persino dall’uso di materiali da costruzione assai diversi dai paramenti murari medievali. Un punto di convergenza è dato invece dai porti, veri punti-stazioni dell’Adriatico, la risorsa più evidente della città sul mare, il suo cordone ombelicale (spesso reciso) a volte coincidente con la città stessa (il caso di Ancona). Tangente alla città vecchia a Bari è invece il suo porto, aperto su un lato, oggi non più in raccordo, nemmeno artificiale, con il mare, battente una volta ai piedi delle muraglie e purtroppo malamente respinto da una circonvallazione stradale: il Lungomare. L’improvvida costruzione ha definitivamente cancellato il suo carattere di borgo marinaro, fondato su un piccolo promontorio, una penisoletta stretta al collo da un breve istmo, con rade, insenature e banchine. Nemmeno l’impostazione della città murattiana e di quella degli anni Trenta ha preso in considerazione l’ambiente mare, collocando il fulcro della città nuova al centro di una
piana e tracciando le vie in diagonale, oblique, cozzanti contro sipari di edifici che impediscono persino la percezione del mare. Le centinaia di insenature, porticcioli, piccoli fiordi, promontori o gli innumerevoli frammenti di isole assicurano invece alle città rivierasche della Balcania la più libera circolazione dell’acqua, in armonica simbiosi fra solide pietre e placide onde; commistione fra terra e mare quasi labirintica. Regina del paesaggio dei porti può essere riconosciuta Dubrovnik, non a caso dichiarata patrimonio dell’umanità, in cui si è venuto maturando un perfetto equilibrio fra natura e costruito, uno dei capolavori dell’ingegno umano nell’organizzazione del proprio abitare: un patrimonio di fruizione comune. Il Corridoio VIII a ragione dunque ha individuato nell’Adriatico, in conseguenza dei suoi altissimi valori storici, culturali, ambientali, umani ed economici, il “traghetto” o liquido pontile destinato, secondo la sua ancestrale vocazione di raccordo di popoli e culture, a connettere nuovamente il Mar Nero e il Mediterraneo orientale, attraverso le giogaie della Balcania, al cuore dell’Europa occidentale.
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