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LA TEMPESTA NEL CARRELLO.
Guerra ed energia mandano i prezzi in orbita
di Emanuele Scarci

Tempesta perfetta nel carrello.
Carenza di materie prime e prezzi alle stelle, quotazioni dell’energia sulle montagne russe e inflazione galoppante. Il muro eretto dalla distribuzione moderna per tentare di frenare il rally dei prezzi sugli scaffali fino a febbraio ha sostanzialmente tenuto, a marzo però ha manifestato preoccupanti segnali di cedimento. Il brusco avvio post pandemico delle catene di fornitura aveva scosso la stabilità dei listini, facendo credere che l’impennata dei prezzi si sarebbe riassorbita nel corso dell’estate, ma la guerra in Ucraina ha riproposto un copione totalmente diverso. Secondo le stime elaborate dall’Ocse, l’impatto dell’invasione russa dell’Ucraina taglierà un punto e mezzo di Pil all’Eurozona e oltre un punto per l’Italia in seguito. L’Ocse, però, evita di spingersi oltre nelle previsioni per l’incertezza estrema della situazione. In generale, tutte le previsioni antecedenti al 24 febbraio sono carta straccia. In Italia, il deterioramento del clima di fiducia delle famiglie e delle imprese nel mese di marzo è stato impressionante. Per i consumatori, spiega l’ufficio studi di Confcommercio, si tratta di un’erosione totale del sentiment faticosamente conquistato dopo la pandemia. Legato ad attese di peggioramento dell’occupazione e dell’inflazione che produrrà inevitabilmente un’ulteriore frenata dei consumi. Questa tendenza potrebbe coinvolgere in misura più significativa i beni durevoli e, più in generale, gli acquisti di beni e servizi considerati meno necessari. A febbraio, l’Istat ha certificato che i prezzi dell’energia sono cresciuti del 94% su base annua mentre l’inflazione generale
è del 5,7%. Sui massimi del 1995. Più moderato l’indice dei beni alimentari, +4,7%. «A questo punto, anche in assenza di peggioramenti sui fronti geopolitico ed energetico – commenta l’ufficio studi di Confcommercio –, un tasso d'inflazione medio per il 2022 superiore al 5% è ampiamente prevedibile. Le conseguenze negative per la dinamica dei consumi, e quindi del Pil, sono già tangibili». La sofferenza del caro-energia è palese, tanto che in marzo in Lombardia le imprese che hanno sospeso, sia pure temporaneamente, la produzione sono oltre 300. Problema che assilla le aziende dalla scorsa estate. Per molte aziende i costi di gas ed energia elettrica si sono decuplicati e stare sul mercato non conviene più. Secondo il rapporto FipeConfcommercio, l’87% degli imprenditori ha registrato un aumento della bolletta energetica fino al 50% e del 25% per i prodotti alimentari. Rimangono tuttavia contenuti gli aumenti dei prezzi ai consumatori: nel febbraio 2022 lo scontrino medio è salito solo del 3,3% rispetto a un valore generale dei prezzi aumentato del 5,7%. L’impennata dei costi di gestione incide però sulle previsioni di crescita, con il 62% delle imprese che ritiene verosimile un ritorno ai livelli pre-crisi solo nel 2023. Incertezza che si acuisce a causa della minore propensione degli italiani a spendere in bar e ristoranti dovuta principalmente, secondo il 43% degli imprenditori, agli effetti del carovita e al perdurare di un indice di fiducia negativo. Il Fao food price index indica chiaramente il rally dei prezzi internazionali dei prodotti alimentari: partito fin dall’inizio del 2021, nel primo bimestre del 2022 ha stabilito nuovi record. La Fao ha previsto che i prezzi dei beni alimentari a livello mondiale potrebbero aumentare fino al 22% a seguito della crisi ucraina.


Export col freno tirato
Russia e Ucraina producono il 19% dell’approvvigionamento mondiale di orzo, il 14% del grano e il 4% del granturco. Oltre al grano, la Russia è leader nell’export di fertilizzanti. Mosca ha sospeso fino ad aprile le vendite all’estero di nitrato di ammonio. E la Russia produce il 15% dei fertilizzanti mondiali. L’Italia di questi prodotti ne importa per quasi 140 milioni di euro proprio da Ucraina, Russia e Bielorussia. Quest’ultima, poi, è il secondo produttore mondiale di potassio, ingrediente base di molti fertilizzanti. Come effetto di questi stop, le sostanze per fertilizzare il terreno sono arrivate a costare il 170% in più. Per l’olio di girasole l’Italia si appoggia per oltre il 60% delle importazioni all’Ucraina, che è il primo produttore mondiale. E così, nel giro di poche settimane, il nostro Paese è destinato a esaurire anche queste scorte. Infine c’è la questione del grano tenero,

Fonte: Nomisma

quello utilizzato per il pane e per l’industria dolciaria: l’Italia oggi lo importa per il 64% del fabbisogno, ma dall’Ucraina ne arriva solo una minima parte. In compenso, sostiene Italmopa, l’associazione dei mugnai, un buon 30% di quello che compriamo all’estero proviene dall’Ungheria, che appunto ha fermato le esportazioni. L’Italia, ricordano i Consorzi agrari d’Italia (Cai), importa il 64% del grano tenero necessario per fare il pane e i biscotti e il 47% del mais, fondamentale per la produzione dei mangimi animali. Quanto al grano duro, utilizzato per la pasta, al momento la situazione è sotto controllo: nonostante ne importiamo il 44%, le sue quotazioni rimangono elevate ma stabili. Ora l’Italia spinge per un aumento della produzione di cereali. «Abbiamo almeno un milione di ettari di terreni improduttivi», sottolinea il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. Mentre Coldiretti calcola che, con questi ettari, si potrebbero produrre 75 milioni di quintali in più di mais per gli allevamenti, di grano duro per la pasta e di grano tenero per il pane. Infatti la Ue, con le misure varate in deroga alla Pac, ora consente agli agricoltori (e solo per quest’anno) di sfruttare 4 milioni di ettari di aree a riposo in tutta
Europa per aumentare la produzione di mais, grano o girasoli. Anche l’Associazione dei suinicoltori italiani sottolinea che sia la Russia che l’Ucraina sono i principali esportatori di grano, soia e mais verso l’Europa. L’Ucraina è la quarta produttrice mondiale di mais, importato anche in Italia e utilizzato per nutrire 1,3 milioni di suini, bovini e polli. La granella di frumento duro è aumentata dell’81% in un anno, mentre il prezzo medio del mais che un anno fa era intorno ai 237 euro a tonnellata, a febbraio di quest’anno è salito a 312 euro a tonnellata. Anche i prezzi dei concimi sono cresciuti del 170% a causa dell’incertezza nelle forniture di gas dalla Russia. Dal fronte degli industriali, Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare, dichiara che «la crisi ucraina appesantirà ulteriormente i costi di produzione. Non si tratta di aumenti opinabili ma di dati chiari e trasparenti e nessuno può fingere che non esistano, distribuzione in primis. In caso contrario, sarebbe l'ennesimo aumento che graverebbe sulla sola industria alimentare che si sta sobbarcando tutti i costi già da tempo. L'inflazione dei prodotti alimentari è di gran lunga maggiore rispetto a quella generale indicata dall'Istat e se la distribuzione non ne terrà conto subito dovrà prendersi la responsabilità della chiusura di diverse aziende alimentari».

LA CORSA DEI PREZZI
Variazioni % su base annuale dei prezzi dei principali prodotti e servizi; febbraio 2022/febbraio 2021
Fonte: Istat





Industria e retailer
Dopo l’appello lanciato lo scorso autunno, industria italiana del largo consumo e distribuzione ci hanno riprovato anche a marzo. L’organizzazione Gs1 Italy, con il supporto di Coop, Ancd, Centromarca, Federdistribuzione e Ibc, ha scritto al governo chiedendo un aiuto per le famiglie e i settori economici maggiormente colpiti dall’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime. In concreto, si chiede l’azzeramento degli oneri sull’energia per tutto il 2022 e l’abbassamento dell’Iva sui beni di largo consumo, fondamentali nel carrello della spesa delle famiglie italiane. Il governo, con il decreto Ucraina di marzo, ha ridotto le accise sulla benzina, ha alzato il tetto Isee (da 8 a 12 mila euro) e concessa la possibilità di rateizzare le bollette. Troppo poco, dicono gli operatori, per consentire alle famiglie di recuperare potere d’acquisto. «Fino a tutto febbraio – interviene Marco Pedroni, presidente di Coop Italia – i prezzi del food a scaffale non hanno risentito dei rincari: le insegne hanno assorbito gran parte degli aumenti dei listini. Ma non sarà sempre così. Al momento non ci sono problemi di approvvigionamento delle merci e Coop difenderà il potere d’acquisto delle famiglie», ma non attraverso la riduzione delle promozioni che rischia di compromettere i bilanci delle aziende. Pedroni ammette che «anche l'industria, in questo momento, è stretta in una morsa fra l'aumento dei costi di produzione e, in prospettiva, una riduzione dei volumi». Come difendere il consumatore? «Uno degli strumenti è il marchio del distributore – sottolinea il presidente di Coop Italia – che consente un risparmio del 20-30% sui prezzi dell'industria di marca». Si stima che anche nel 2022 farà risparmiare mediamente 100 euro a famiglia. Ed è possibile che cambi anche il carrello della clientela: alcune insegne modificheranno la selezione dei prodotti a marchio sugli scaffali in base ai migliori prezzi di acquisto spuntati con i fornitori. In attesa delle decisioni del governo italiano, ci sono anche altre proposte per limitare l’impatto degli aumenti sui costi sui prezzi finali. Per esempio, Gianpiero Calzolari, presidente di Granarolo, big dell’industria lattiero-casearia, ha chiesto una moratoria di sei mesi sulle offerte promo-
zionali nei supermercati per aiutare le imprese agroalimentari. «Alla fine dell’anno scorso – spiega Calzolari – come gruppo, registravamo aumenti del 10-12%. Oggi, per alcune aree, gli aumenti superano anche il 15%. La mia proposta è quella di una moratoria su tutte le promozioni: dal sottocosto al taglio dei prezzi. Un po’ come è successo durante il primo lockdown, quando il problema era riuscire a rifornire gli scaffali dei supermercati e nessuno faceva campagne promozionali. Adesso c’è bisogno di difendere tutti insieme il sistema, poi fra sei mesi potremo ricominciare a competere sul sistema dei prezzi». Carlo Alberto Buttarelli, direttore relazioni di filiera di Federdistribuzione, è allarmato dall’impennata delle materie prime, ma anche del rimbalzo dell’energia. «Non siamo classificati come comparto energivoro – osserva – pur consumando più di diversi comparti industriali. Da 15 anni effettuiamo investimenti ma non possiamo spegnere i banchi frigo». Da qui la preoccupazione che «il governo deve tenere in massima considerazione le richieste veicolate da imprese industriali e distributori attraverso GS1 Italy. L’inflazione all’acquisto è superiore all’inflazione alla vendita. E se si comprimono troppo i consumi si ferma l’economia italiana. È un problema di tutti». In passato gli appelli lanciati dai retailer sono spesso caduti nel vuoto nonostante la distribuzione sia un gigante economico, ma forse anche un nano politico. Mentre l’industria riesce, normalmente, a incidere di più sulle istituzioni. «La distribuzione ha un problema di rappresentanza – conclude Buttarelli –. Nei tavoli istituzionali spesso ci accorgiamo che i nostri interlocutori non hanno conoscenze adeguate sulla complessità della distribuzione».


Il caro-bolletta dà una scossa alla Mozzarella di bufala
Allarme rosso dal Consorzio della mozzarella di bufala campana: «La filiera potrebbe ancora crescere, ma vive un paradosso – avverte il presidente, Domenico Raimondo –. Le nostre aziende rischiano il collasso, se non si interviene subito per adeguare i listini dei prezzi». I soci del Consorzio hanno già avviato confronti con la grande distribuzione. Sono raddoppiate le spese per il gas e l’energia elettrica, che, unitamente ai rincari di trasporti, logistica e imballaggi, incideranno per un +10% sui bilanci delle aziende. «Da due anni – incalza il presidente del Consorzio – è in costante crescita il prezzo del latte di bufala, a cui vanno sommati gli incrementi delle spese per i rincari di energia, gas, plastica, imballaggi e trasporti, solo per citare le voci più significative. Ecco perché i trasformatori sono in grandi difficoltà. Da mesi questi aumenti sono assorbiti totalmente dai trasformatori, che non riescono a compensarli all'interno della filiera e ora a essere a rischio è la sostenibilità economica delle stesse aziende». Il 2021 è stato l’anno del record assoluto di produzione per la Mozzarella di bufala campana Dop. Con un aumento della produzione del 7,5% sul 2020 e +8,5% sul 2019. Per la prima volta, oltre 1 miliardo di bocconcini sono stati portati sulle tavole di tutto il mondo. Circa il 70% del latte idoneo alla Dop è stato trasformato in bufala campana, la restante parte invece è stata declassata per produrre altre tipologie. Con la crisi odierna, però, si rischia di compromettere il primato raggiunto in Francia, dove le vendite di mozzarelle hanno superato anche il Camembert.
Leggi anche: "Prezzi al +6,7%, sui massimi dal 1991. I consumatori tagliano i beni non essenziali".

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SANTAMBROGIO: OCCHIO ALLE SPECULAZIONI. TEMO UN AUMENTO DEI PREZZI A DOUBLE DIGIT

Non basta la guerra o l’impennata dei prezzi delle materie per richiedere aumenti immediati. Gli incrementi devono avere una dinamica graduale, ma questo non è avvenuto.
Selettività nei rinnovi contrattuali con i fornitori, riduzione dell’Iva da parte dello Stato su alcune categorie merceologiche e comunicare meglio la marca del distributore: sono queste le mosse giuste suggerite da Giorgio Santambrogio, amministratore delegato del gruppo VéGé, per aiutare le imprese e le famiglie italiane a ridurre l’impatto dei prezzi nel carrello. Il gruppo VéGé rappresenta 35 imprese, con 3.847 punti vendita (leader di numerica in Italia) e un fatturato aggregato 2021 di 11,95 miliardi, +4,9% a rete corrente.
Come vi difendete dalla corsa dei prezzi?
La guerra in Ucraina ha ulteriormente accentuato, purtroppo, un booster energetico. Questo determina a sua volta un aumento trasversale dei costi che incide su ogni istituto economico, industria, distribuzione o logistica che sia. È, inoltre, doveroso considerare l’accelerazione inflattiva di alcune categorie correlate con le materie prime che arrivano dalle zone di crisi. Altre categorie, invece, non hanno nessun legame con le emergenze. Per esempio, la pasta: il grano duro ha pochissimi legami con la Russia e l’Ucraina, ma ci sono egualmente richieste di aumenti, sino a un triplo listino.
Potrebbe essere determinato dal rimbalzo delle bollette elettriche.
Ma questo coinvolge tutti. Bisogna stare attenti e capire in quale categoria vi è semplice speculazione. Inoltre, nella normalità le aziende di produzione hanno scorte e non basta la guerra o l’impennata dei prezzi delle materie per richiedere aumenti immediati. Gli aumenti debbono avere una dinamica graduale. Io so solo che a 24 ore dall’inizio della guerra, o forse meno, abbiamo ricevuto decine di chiamate dai partner industriali con subitanee richieste di aumenti. In sintesi, la mia sensazione è che gradualmente i prezzi alla vendita, malgrado i nostri sforzi, possano aumentare arrivando finanche al double digit o, comunque, nell’intorno di questa soglia psicologica.
Il presidente di Granarolo ha suggerito di ridurre significativamente le promozioni per aiutare l’industria. È d’accordo?
Gianpiero è un amico, ma in questo caso dissento. Non è ancora giunto il momen-
to in Italia per cui si possano annullare le promozioni e i 26mila punti di vendita della distribuzione moderna in Italia facciano l’every day low price. Non funzionerebbe. Certo che occorrerebbe studiare e realizzare promozioni che abbiamo un’efficacia superiore e non buttare via marginalità. Lavorando scientificamente sull’elasticità promozionale, si potrebbe ottimizzare maggiormente la leva delle promozioni. Inoltre, con una comunicazione più saggia dell’offerta, si aiuterebbe a far risparmiare il cliente.
E come difendersi allora dall’inflazione?
Rimango un liberista convinto e ritengo che la famosa mano invisibile di Adam Smith possa regolare il mercato, ma adesso siamo in una situazione di assoluta emergenza. Quindi chiedo e benedico un intervento dello Stato, con una riduzione temporanea dell’Iva in alcune categorie. Peraltro, con questa inflazione galoppante, l’erario non ci ha certo rimesso. Una volta che anche lo Stato, di concerto con la filiera, conclude che l’inflazione è sotto controllo, allora si ritorna alle aliquote precedenti.
Questa situazione ha frenato i rinnovi contrattuali di VéGé con l’industria?
No, al contrario. È stato tutto più complesso e stressante, ma siamo una delle organizzazioni che ne ha rinnovati di più. In quelle situazioni dove verifichiamo che c’è un oggettivo, reale e giustificato aumento dei costi, accettiamo i listini. Tuttavia, sono sempre dell’idea che qualora ci fossero riduzione di costi di processo e di altro genere si dovrebbe tornare a sedersi e decidere che fare. Per ultimo, sono invece molto perplesso dei doppi o finanche tripli aumenti di listino: li vedo molto preoccupanti e potrebbero creare tensioni di filiera.
L’inflazione sta modificando il carrello della spesa?
Si, ultimamente stiamo andando verso un carrello più povero. C’è un graduale, e spero temporaneo, scivolamento verso un prodotto più economico. Precisamente, si sta accentuando la polarizzazione, con un altissimo di gamma in crescita, ma con una ponderata superiore sulla polarizzazione bassa. Quindi per semplificare, si sta passando per esempio dal Parma Dop 30 mesi a un semplice toscano. C’è un downgrading non di qualità, ma di scelta di prodotto.
L’erosione del potere d’acquisto delle famiglie favorirà il canale discount?
Si, ma auspico anche la marca del distributore se si riesce a comunicare bene il mainstream della Mdd. Auspico anche un incremento delle vendite nei nuovi format di supermercato convenience. E.S.