11 favole di felicità | SFOGLIALIBRO

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11 FAVOLE DI FELICITÀ

Imparare a pensare positivamente

11 favole di felicità

Progettazione/editing

Francesca Cretti

Roberta Tanzi

imPaginazione

Mirko Pau

illustrazioni e immagine di coPertina

Umberto Rigotti

coPertina

Giordano Pacenza

© 2013 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A.

Via del Pioppeto 24 38121 TRENTO

Tel. 0461 950690

Fax 0461 950698 www.erickson.it info@erickson.it

5a ristampa

ISBN: 978-88-590-0306-9

Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo effettuata, se non previa autorizzazione dell’Editore. È consentita la fotocopiatura delle schede operative contrassegnate dal simbolo del © copyright, a esclusivo uso didattico interno.

Finito di stampare nel mese di giugno 2017 da Esperia S.r.l. – Lavis (TN)

11 favole di felicità

Imparare a pensare positivamente

Rosalba Corallo

Nata nel 1973 a Messina, dove attualmente vive e lavora, è pedagogista e insegna da 15 anni nella scuola statale, dove svolge anche attività di coordinamento e supporto al lavoro dei docenti. Si interessa di psicologia dell’età evolutiva e crede nel valore educativo della narrativa, abbracciando in particolare le teorie di Gardner, Goleman e Sunderland. Ama creare percorsi didattici, storie e personaggi con il duplice scopo di divertire i bambini e veicolare messaggi e valori positivi. Con le Edizioni Erickson ha già pubblicato i libri Bravi bambini!, 9 volte intelligenti, Sei folletti nel mio cuore, il CD-ROM 9 volte intelligenti e, per la collana «Il mio primo software», i cofanetti L’incantesimo di Rocco, In viaggio con Reddy, Tutti bravi con Olga!, Piero e il mistero del luna park e Orazio, un pasticciere nello spazio. Il suo sito web è www.rosalbacorallo.it.

Indice

Favola 1

Arturo, il camaleonte a strisce e a pois

Una favola per imparare a non dipendere dall’approvazione degli altri 17

Favola 2

Milly, l’ape brontolona e il sapore del miele al girasole

Una favola per imparare ad assumersi le proprie responsabilità 33

Favola 3

Gino, il porcospino furibondo

Una favola per imparare a controllare gli scatti d’ira

Favola 4

Eliana, la giraffa con il collo oltre le nuvole

47

Una favola per imparare a non rimandare a domani 63

Favola 5

Oscar, il coccodrillo che rischiò di annegare nelle proprie lacrime

Una favola per imparare a combattere i rimorsi e le preoccupazioni inutili

Favola 6

Camilla, la lumaca «tutta casa e lattuga»

Una favola per imparare a non temere le nuove esperienze e i cambiamenti

Favola 7

Beatrice, la foca pittrice

Una favola per imparare a evitare i condizionamenti e la tendenza al conformismo

85

101

115

Favola 8

Leopoldo, il koala nel cassetto

Una favola per imparare ad essere indipendenti

Favola 9

Ingrid, il canguro collezionista

Una favola per imparare a liberarsi dai condizionamenti del passato

Favola 10

Ugo, il polpo in un mare di ingiustizie

Una favola per imparare a non lasciarsi tormentare dal senso di ingiustizia

Favola 11

Fred, il ranocchio che non riusciva a diventare principe

Una favola per imparare ad amare se stessi

131

147

161

177

Prefazione

Ti è mai capitato di provare il desiderio di essere diverso da come sei? Di sentirti turbato da pensieri negativi? Di credere di non valere abbastanza? Di sentire la voglia di spaccare tutto o, in altre parole, di non sentirti felice come vorresti?

Se la cosa può consolarti, non sei da solo, a farti compagnia ci sono circa 7.000.000.000 di persone…

Quanti zeri, dirai tu! Eppure, non è una cifra buttata lì a caso, sette miliardi è il numero approssimativo degli abitanti del nostro pianeta…

Ebbene sì, succede a tutti, ma proprio a tutti di vivere delle esperienze spiacevoli e di conseguenza provare emozioni che fanno star male. Non c’è nulla di cui preoccuparsi perché di solito sono di breve durata, e, passato il brutto momento, se ne vanno così come sono arrivate e il mondo ritorna a sorridere.

Alle volte però succede che i «cattivi pensieri» durino un po’ troppo a lungo, guidino il nostro comportamento e ci facciano dunque fare delle cose sbagliate: è allora che la vita si complica e sentirsi felici diventa sempre più difficile e raro.

È proprio quello che accade ai simpatici protagonisti di queste favole, bizzarri animaletti che non devono affrontare lupi, streghe, orchi o altre mostruose creature così come accade in molti racconti che probabilmente hai letto; i loro nemici sono invisibili

ma, non per questo, meno insidiosi e ti garantisco che possono fare invidia alla più perfida delle streghe…

Leggendo queste storie mi auguro, innanzitutto, che ti diverta; potrai viaggiare con la fantasia, incontrare buffi personaggi e sorridere delle loro bizzarre avventure e disavventure.

La cosa potrebbe anche finire qui e ti assicuro che andrebbe benissimo anche così. Leggere dovrebbe essere, di per sé, una fantastica avventura e credo sia sbagliato pensare che si debba per forza imparare qualcosa o volere a tutti i costi cogliere un messaggio. Questo libro, infatti, non è un testo scolastico e, anche se dovesse venirti proposto a scuola, spero che nessuno ti interroghi per darti un voto o comunque ti faccia fare o dire cose che possano sembrarti un dovere piuttosto che un piacere…

Leggendo queste storie è tuttavia possibile che ti capiti di pensare che la tua vita somigli un po’ a quella di qualcuno dei personaggi, non ovviamente per le strane cose che succedono che appartengono al mondo della fantasia, ma per i sentimenti e le emozioni che i protagonisti provano… e allora potresti pensare «Accidenti! Anch’io ho questi pensieri!» oppure «Anch’io mi comporto così…». In tal caso, cosa fare?

Piuttosto che disperarti e odiare quella parte di te che non ti piace, puoi immaginarla come se fosse un buffo e sprovveduto animaletto, proprio come quelli che incontrerai in questi racconti e provare a rieducarlo come se fossi il suo affettuoso padrone…

Stai in guardia allora… il «nemico» può trovarsi dentro di te, ma, ricordati, non è cattivo! Somiglia piuttosto a un cucciolotto che deve essere addestrato con amore e dolcezza.

Se sei un bambino o una bambina, un ragazzo o una ragazza, salta tranquillamente le pagine riservate agli adulti che seguono, potresti trovarle noiose o incomprensibili, e corri a tuffarti nella magia delle favole! Non c’è un ordine preciso con cui leggerle: puoi iniziare dall’animaletto che preferisci o dal titolo che ti stuzzica di più…

Buon divertimento!

Introduzione

A chi è rivolto questo libro

Come si può facilmente evincere dalla Prefazione, questo libro si rivolge direttamente al lettore, bambino o adulto che sia e, alla stregua di un qualsiasi altro testo di narrativa, si ritiene possa esser letto senza la necessità di una mediazione esterna con finalità educative. Il bambino potrà pertanto leggerlo in completa autonomia, divertendosi per le buffe situazioni descritte nelle storie ed, eventualmente, identificarsi in modo più o meno consapevole con alcuni personaggi che incontrerà nelle favole che, alla fine, gli offriranno un modello di pensiero/comportamento corretto.

Stessa cosa dicasi per quel lettore che più bambino non è ma che continua ad apprezzare e a sentirsi affascinato dal linguaggio metaforico delle favole, per il quale, oltre che un momento di piacevole evasione, questo libro potrà rappresentare un’occasione di autoriflessione senz’altro più leggera rispetto a un testo di psicologia ma non per questo meno efficace nell’accendere il desiderio di provare a modificare quei pensieri e comportamenti che sono di ostacolo ad affrontare la vita in modo psicologicamente sano e soddisfacente.

È tuttavia probabile che genitori, insegnanti, o più in genere educatori, spinti dal desiderio di promuovere situazioni che, come valore aggiunto al piacere della lettura o dell’ascolto, producano

benessere emotivo nei piccoli destinatari, decidano di servirsi di questo testo all’interno di un percorso educativo. A tal proposito, si fornisce un breve quadro di riferimento riguardo le teorie psicologiche da cui le favole traggono ispirazione e alcuni suggerimenti di utilizzo del testo in contesti più o meno strutturati a seconda che si tratti di ambiti domestici o scolastici.

La teoria delle zone erronee e il concetto di felicità

Le undici favole proposte in questo libro traggono ispirazione dalla nota teoria delle «zone erronee», formulata dallo psicologo americano Dyer (1977), ed espressa nel libro Le vostre zone erronee. Guida all’indipendenza dello spirito. Secondo tale teoria ognuno è responsabile della propria felicità e, dunque, anche dell’eventuale infelicità. La buona notizia che emerge esplicitamente sin dalle prime pagine del suddetto saggio è che, malgrado si possa pensare alla felicità come a una meta utopistica, si tratta invece di una condizione molto semplice da raggiungere e alla portata di tutti coloro che sono disposti a impegnarsi per modificare le cattive abitudini mentali.

A scanso di equivoci e onde evitare di generare prospettive illusorie occorre però chiarire cosa l’autore intenda per felicità… Sull’argomento felicità, a partire dalle epoche più remote, si sono infatti versati fiumi d’inchiostro; tuttavia, il tema non potrà mai cessare di essere attuale in quanto si tratta del fine a cui aspira ogni essere umano indipendentemente dall’epoca in cui vive. Se però si pensa alla felicità come a una conquista definitiva, uno stato di beatitudine o una specie di paradiso terrestre e se quindi si immagina la persona felice come un individuo con un sorriso perennemente stampato sul viso, be’, allora non si può dar torto a chi la consideri in termini utopistici! Ciò che Dyer (1977) intenda per felicità — che, tra l’altro, non differisce da una concezione data dal comune buon senso — è facilmente desumibile dall’ultimo capitolo del suo libro, intitolato Ritratto di una

persona che ha eliminato le sue zone erronee, da cui, sintetizzando, può delinearsi il seguente profilo.

Può considerarsi felice un individuo il cui comportamento non è ispirato da motivazioni psicologiche sbagliate, ossia una persona che si accetta completamente e accetta la vita per quella che è. Trattasi dunque di individui liberi dal senso di colpa, da sudditanze psicologiche e da inutili rimpianti e preoccupazioni per il futuro. Persone attente a cogliere nella propria quotidianità ogni opportunità di benessere e disposte a instaurare rapporti interpersonali fondati sul rispetto, la lealtà e la schiettezza senza mai rinunciare alla propria indipendenza psicologica e senza il bisogno di ricevere plauso e approvazione. Persone capaci di accettare le proprie emozioni e anche di gestirle efficacemente. Molti di questi atteggiamenti mentali, come evidenzia più volte l’autore, coincidono con un’attitudine a saper vivere nel presente, caratteristica che alla luce di questa teoria, ma anche di tante altre, può ritenersi una delle principali chiavi d’accesso alla felicità.

Nel suo libro, Dyer individua, descrive e analizza gli 11 pensieri disfunzionali al benessere personale precisando che non si tratta di situazioni mentali patologiche riscontrabili in casi clinici, ma di pensieri/comportamenti assai comuni, presenti in quasi tutte le persone anche se con diverse combinazioni e intensità. Sarà pertanto facilissimo per chiunque legga il libro identificarsi in alcune delle cosiddette «zone erronee», ovvero:

1. Non sentirsi responsabile di sé e delle proprie emozioni.

2. Non amare se stessi, non accettarsi, sentirsi inferiore agli altri.

3. Sentire il bisogno di ricevere l’altrui approvazione.

4. Sentirsi intrappolati nelle esperienze passate e incapaci di evolvere e migliorare.

5. Tormentarsi con emozioni inutili: sensi di colpa, rimorsi, inquietudini.

6. Temere l’imprevisto, le novità, il cambiamento.

7. Sentire il bisogno di adeguarsi alle convenzioni e di essere conformisti.

8. Sentirsi sopraffatti dal bisogno di giustizia.

9. Tendere a rimandare al futuro i propri impegni. 10. Sentirsi psicologicamente dipendenti dagli altri.

11. Non riuscire a controllare i propri scatti d’ira.

Considerando che l’instaurarsi di tali «zone erronee», come afferma lo stesso autore, avviene spesso in seguito a esperienze che si verificano durante l’infanzia e in virtù del fatto che molti dei comportamenti che ne derivano sono riscontrabili già nei bambini piccoli, si ritiene che possa esser vantaggioso educarli il più precocemente possibile al riconoscimento di quei pensieri nocivi al benessere personale offrendo loro dei modelli di pensiero alternativi in positivo. Ecco dunque l’idea da cui ha avuto origine questo libro di favole: effettuare una trasposizione dal linguaggio razionale utilizzato dall’autore, che per ovvie ragioni può rivolgersi soltanto agli adulti, al linguaggio metaforico delle storie, al fine di permettere che la positività del messaggio di Dyer che permea l’intero suo libro, ma anche singoli suggerimenti relativi alla possibilità di modificare i propri pensieri che producono malessere e i comportamenti nocivi che ne derivano, possano arrivare a una fascia più ampia di utenti che include anche i bambini.

Narrativa Psicologicamente Orientata (NPO) e struttura dei racconti

Le 11 favole — ciascuna delle quali è dedicata a una diversa «zona erronea» — sono state elaborate tenendo altresì presente i criteri principali della Narrativa Psicologicamente Orientata (NPO), ritenuta uno strumento valido per aiutare i bambini ad affrontare indirettamente le emozioni disturbanti che inevitabilmente risultano connesse a ognuno dei pensieri precedentemente elencati.

Le favole seguono pertanto la seguente struttura: – un contesto metaforico in cui si presenta un personaggio che a causa di un certo modo di pensare o di comportarsi va incontro a emozioni spiacevoli;

– una serie di circostanze più o meno catastrofiche, ma sempre buffe e divertenti, che mirano a rafforzare l’idea dell’inopportunità di quel modo di pensare o di comportarsi;

– un evento che offre una soluzione al problema che può essere rappresentato da un altro personaggio della storia o da un’intuizione del protagonista;

– un finale positivo in cui il protagonista riesce finalmente a modificare il pensiero/comportamento nocivo sostituendolo con un altro adeguato e funzionale al proprio benessere.

Va comunque precisato che, pur rispettando i principi basilari della NPO, nell’ideazione di questi racconti l’adesione a tale teoria non è stata totale. Ci si è infatti presa qualche libertà in riferimento alla prescrizione di essenzialità delle storie e si è piuttosto preferito arricchirle di particolari divertenti, strani personaggi e buffe situazioni paradossali che, anche quando non sempre risulteranno strettamente connessi all’eventuale fine «terapeutico», saranno comunque sempre funzionali a renderle appetibili anche da un punto di vista narrativo.

Suggerimenti per genitori e insegnanti

Come precedentemente accennato, oltre alla possibilità di una fruizione autonoma da parte dei bambini, questo testo si adatta anche a un utilizzo intenzionale da parte di genitori o insegnanti consapevoli del valore educativo di un certo tipo di narrativa, i quali potranno usare le favole semplicemente per divertire i bambini veicolando al contempo messaggi positivi, o più in particolare come strumenti per aiutarli ad affrontare un disagio e/o per rispondere in modo indiretto a un bisogno d’aiuto manifestato attraverso un comportamento problematico.

Se, dunque, queste favole giungeranno ai piccoli destinatari attraverso la mediazione di un adulto, genitore o insegnante che sia, sarà bene fare attenzione a cercare di resistere alla tentazione di «improvvisarsi psicologi» e astenersi dal provare a trasformare

il momento successivo al racconto in una situazione che somigli a una seduta psicoterapeutica…

Tenendo presente quanto afferma Margot Sunderland (2004) nel suo libro Raccontare storie aiuta i bambini, può risultare controproducente spiegare le nostre motivazioni educative o peggio evidenziare il problema del bambino dicendogli qualcosa come: «Ti ho raccontato questa storia perché anche tu ti comporti così». Una frase del genere si basa su un atteggiamento giudicante che non è di alcun aiuto al bambino, anzi, potrebbe determinare una reazione di chiusura. Si può, al contrario, stimolare l’empatia verso il personaggio, ma conviene farlo restando sempre sul piano simbolico della storia. L’eventuale identificazione col personaggio deve infatti avvenire senza forzature dall’esterno. Saranno infatti le favole ad agire nell’inconscio e faranno il loro lavoro nell’indicare dei modelli comportamentali corretti.

Va infine posta una certa attenzione alle attività di approfondimento, ovvero alle due schede correlate a ciascuna delle favole.

La prima, che presenta una struttura comune a tutte quelle della stessa serie, è stata ideata per favorire una riflessione intrapersonale ed è stata principalmente pensata nell’ottica di una fruizione libera, autonoma e personale da parte del lettore, bambino o adulto che sia, considerando che potrebbe essere imbarazzante o vissuto come una violazione il dover ammettere davanti ad altre persone (genitore, insegnante, compagni, ecc.) pensieri o comportamenti che si considerano come proprie debolezze.

La seconda, che invece varia in base alla favola a cui è correlata, prevede delle azioni un po’ più indirette che rimangono ancorate al piano simbolico del racconto, e si presta dunque maggiormente anche a un utilizzo in presenza di altre persone, come ad esempio nell’ambito un contesto scolastico. Spetta in ogni caso alla sensibilità dell’adulto valutare se e con quali modalità proporle.

Questo libro però non è né vuole essere un saggio per cui mi fermo qui, invitando chi volesse approfondire le tematiche accennate ai soli fini di presentare il contesto teorico di riferimento alla lettura dei testi indicati nei suggerimenti bibliografici.

Vi lascio dunque alle mie favole augurandomi di cuore che possano innanzitutto essere una lettura piacevole e, perché no, sperando che magari possano anche esservi d’aiuto nel trovare una modalità dolce e allo stesso tempo efficace nel delicato compito di rieducazione di quelle «bestioline interiori» che complicano la vita un po’ a tutti o che minacciano di compromettere la crescita psicologicamente armoniosa dei vostri bambini.

Buona lettura!

Bibliografia

Di Pietro M. (1992), L’educazione razionale-emotiva per la prevenzione e il superamento del disagio psicologico dei bambini, Trento, Erickson.

Dyer W.W. (1977), Le vostre zone erronee. Guida all’indipendenza dello spirito, Milano, Rizzoli.

Falda L. e Oggero F. (2006), Chi trova una fiaba trova un tesoro. Un percorso di crescita psicologica attraverso le favole, Trento, Erickson.

Ortner G. (2010), Dimmelo con una fiaba. Migliorare il rapporto con i propri figli, Trento, Erickson.

Siegel R.D. (2012), Qui e ora. Strategie quotidiane di mindfulness , Trento, Erickson.

Sunderland M. (2004), Raccontare storie aiuta i bambini, Trento, Erickson.

Arturo, il camaleonte

a strisce e a pois

Una favola per… imparare a non dipendere dall’approvazione degli altri

«Tesoro,» disse un giorno mamma camaleonte al suo piccolo che stava crescendo e che presto sarebbe andato per la sua strada «ricordati sempre che esser nato camaleonte è una grande fortuna!» «Ma mamma,» obiettò Arturo «come fai a parlare di fortuna? Non hai letto i giornali? Non sai che siamo una specie in via di estinzione?»

«Sì, lo so» ammise la mamma «ma rispetto ad altri animali noi siamo speciali perché la nostra pelle può cambiare colore, e in caso di pericolo questa nostra particolarità è un grande vantaggio, non dimenticarlo mai!»

«Sì certo, certo…» tagliò corto il piccolo camaleonte, senza troppo entusiasmo. La sua vita infatti era piuttosto solitaria e ciò, alle volte, lo rendeva triste. La zona in cui viveva insieme alla sua mamma era parecchio isolata e nel raggio di

migliaia di chilometri non c’erano altri camaleonti. Nei paraggi della loro tana abitava soltanto una famiglia di gechi con un unico figlio coetaneo di Arturo: il geco Jack, che era quindi diventato il suo solo compagno di giochi.

Giocare con Jack, però, non era il massimo del divertimento: era un geco molto prepotente e pretendeva di decidere sempre lui quali giochi fare, e Arturo, pur di non restare solo, finiva ogni volta per accontentarlo.

«I veri amici devono essere uguali,» gli aveva detto Jack una delle prime volte che avevano giocato insieme «ma io, purtroppo, sono un geco e non posso fare niente per somigliare a te, invece tu, che sei un camaleonte, puoi farlo! Dunque,»

aveva concluso il geco «se vuoi essere mio amico devi cambiare colore e diventare come me!»

Era ormai diventata un’abitudine… ogni volta che si incontravano, senza bisogno che l’amico glielo ricordasse, Arturo cambiava colore e diventava grigio, proprio come il geco Jack.

Ma adesso che Arturo era cresciuto e che poteva andare in giro da solo spingendosi anche in luoghi più lontani, pensò che fosse giunto il momento di fare nuove amicizie.

Pur sapendo con certezza che nei dintorni non c’erano altri camaleonti, pensò che di sicuro ci

sarebbero stati tanti altri animali interessanti da conoscere.

Durante una delle sue esplorazioni il camaleonte fu colpito dalla vista di un grosso animale a strisce bianche e nere. Lo spiò nascosto dietro un cespuglio, non sapeva che animale fosse, così quando ritornò alla tana fece una ricerca su internet scoprendo alla fine che si trattava di una zebra.

«Come faccio a fare amicizia con la zebra?» si domandò Arturo «Siamo così diversi!» ma poi gli venne in mente quella storia che ripeteva sempre la sua mamma, della grande fortuna di avere una pelle che cambia colore… in fondo, anche con Jack era andata così, erano diventati amici grazie a questo particolare.

Per prepararsi all’incontro fece dunque diventare la sua pelle a strisce bianche e nere e la rese tale e quale a quella della zebra. Avere qualcosa in comune con lei gli sembrava un ottimo spunto per iniziare una conversazione!

Mentre Arturo camminava verso la vallata in cui sperava di rivedere la zebra, il geco Jack gli tagliò la strada e si fermò a salutarlo: «Ehilà, amico!» disse Jack «Ma che ci fai così conciato? Siamo ancora in pieno giorno, perché ti sei messo il pigiama?»

«Non è un pigiama!» rispose Arturo «È soltanto che… che… volevo cambiare look!» balbettò il

camaleonte «Perché, che ne dici, sto male vestito così?» aggiunse, lasciandosi assalire dalla sua solita insicurezza…

«Malissimo!» sentenziò Jack «Sei molto più bello quando sei grigio come me!»

A quel punto, Arturo, temendo che se avesse confessato il vero motivo di quell’abbigliamento Jack avrebbe potuto ingelosirsi, e visto che non riusciva mai a contraddirlo, divenne immediatamente grigio. Dopo essersi salutati, e solo quando fu certo che il geco non potesse più vederlo, Arturo ritornò a indossare i panni della zebra e si avviò a incontrarla. La zebra era lì, al solito posto. Arturo la spiò di nuovo, restando nascosto per alcuni minuti e poi, a un certo punto, si fece coraggio e le andò vicino, assicurandosi prima che la propria pelle fosse tale e quale al suo pelo.

«Ciao, io mi chiamo Arturo!» le disse, vincendo finalmente la sua timidezza «Ti va di fare due chiacchiere con me?»

«Certo,» rispose educatamente la zebra «Ma che animale sei?» gli domandò incuriosita.

«Sono uno zebronte!» rispose Arturo tutto d’un fiato, e la zebra rimase un po’ sorpresa, perché non aveva mai sentito dell’esistenza di un animale con quello strano nome…

«Bene,» disse la zebra «è un vero piacere conoscerti! Fermati pure a pascolare con me, ho scovato questo cespuglio di foglie aromatiche che sono una vera delizia!»

«Volentieri!» rispose Arturo, fingendo entusiasmo: era felice per il modo con cui era stato accolto e, anche se l’odore di quelle foglie gli dava il voltastomaco, non avrebbe fatto nulla per compromettere quella nuova amicizia che stava nascendo.

Arturo cominciò a divorare le foglie simulando un grande appetito, le masticava e le deglutiva a fatica e smise di mangiarle soltanto dopo che la zebra dichiarò di esser sazia. «Anch’io mi sono saziato!» esclamò il camaleonte con sollievo. Poi, i due animali chiacchierarono un po’ del più e del meno e infine si salutarono con la promessa che si sarebbero rivisti presto.

«Evviva!» pensò Arturo mentre ritornava alla propria tana «Mi sono fatto una nuova amica! Però che mal di pancia! Che terribile mal di pancia!»

«Che animale carino!» pensò Arturo un altro giorno, dopo aver visto una coccinella. Era simile a quelli di cui lui si cibava, eppure l’idea di mangiarla non lo sfiorò neanche per un attimo… con quell’ animaletto così bello ed elegante, Arturo ci voleva soltanto fare amicizia. Così, dopo essersi

procurato delle informazioni su di lei, con i suoi soliti metodi tecnologici, si preparò all’incontro, proprio come aveva fatto con la zebra, cioè mutando il proprio colore naturale in un bel rosso acceso su cui spiccavano tanti pois neri.

«Buongiorno Coccinella!» esordì, questa volta un po’ più sicuro di sé «Io mi chiamo Arturo e sono un Coccinellonte, ti va di giocare con me?»

«Come sei strano!» esclamò la coccinella «Hai i miei stessi colori… eppure, mi ricordi quegli orribili animali verdi che si nutrono di insetti! Sei proprio sicuro di non avere niente a che fare con la loro specie?»

«Ma figuriamoci!» mentì Arturo «Che c’entro io con loro? e poi… che schifo gli insetti!»

«Come sarebbe a dire che schifo? Io sono un insetto!» ribatté irritata la coccinella.

«Scusami,» si giustificò Arturo «non volevo offenderti, intendevo soltanto dire che non li mangio… ci mancherebbe!»

«E allora va bene! Ci sto, giochiamo! Facciamo una gara di volo…» propose la coccinella, e indicando un bel fiore azzurro aprì immediatamente le ali e lo raggiunse senza difficoltà. Arturo provò a imitarla: allargò le zampe e prese la rincorsa, poi, per simulare il volo, spiccò un salto nel vuoto e, ovviamente, visto che non sapeva né poteva volare, stramazzò al suolo.

«Hai perso! Hai perso!» ridacchiò la coccinella, vedendolo mezzo spiaccicato sul terreno «Comunque è stato divertente giocare con te, torna pure quando vuoi!» e così dicendo lo salutò e volò via.

Arturo fece un po’ di fatica a ricomporsi… Per fortuna la pianta da cui si era lanciato non era troppo alta! Era contento di essersi fatto una nuova amica però… «Che male alle zampe! Che terribile mal di zampe!».

«Non è stato difficile farsi dei nuovi amici,» pensò Arturo «sono stato davvero in gamba!» si disse, complimentandosi con se stesso, ma a pensarci bene non aveva poi così tanta voglia di rincontrarli, perché ogni volta si ritrovava a fare cose che a lui non piacevano.

Un pomeriggio, durante una delle sue passeggiate accadde un fatto imprevisto: Arturo scorse in lontananza il geco Jack… Stava per indossare il suo solito abito grigio adatto a quella circostanza, quando da un cespuglio fece capolino una testa bianconera: era la zebra ed ecco, infine, che vide arrivare in volo anche la coccinella…

Tutti e tre gli andarono incontro e Arturo provò un forte imbarazzo perché non sapeva di che colore far diventare la sua pelle… «Se vuoi essere mio amico devi essere tutto grigio!» ordinò il geco.

«Lo zebronte che ho conosciuto era a strisce!» sbraitò la zebra.

«Un vero coccinellonte deve essere a pois!» strillò la coccinella.

E il povero Arturo a ogni richiesta cambiava il colore della sua pelle…

«Grigio!» «A strisce!» «A pois!», «Grigio!» «A strisce!» «A pois!»

Quei tre sembravano non avere intenzione di fermarsi e lui, a furia di accontentarli, si sentiva come una lampadina intermittente di un albero di natale…

«Bastaaaa!» gridò a un certo punto Arturo «Non ce la faccio più! Io sono un camaleonte, mi nutro di insetti, detesto mangiare foglie, non so volare e che vi piaccia o no questo è il colore della mia pelle! Da oggi in poi cambierò colore soltanto in caso di grave pericolo e non per farmi accettare da voi!»

Detto questo, se ne tornò alla tana in lacrime pensando che il suo destino era quello di rimanere da solo, per sempre da solo…

Il giorno seguente sentì qualcuno bussare alla sua tana.

«Chi è?» domandò Arturo.

«Sono io, Jack,» gli rispose una vocetta familiare «ti prego, lasciami entrare, devo parlarti!»

«Entra, è aperto!» rispose il camaleonte con il tono distaccato di chi si sente ancora ferito.

«Sai, Arturo,» disse il geco «sono venuto qui perché devo confessarti una cosa: sin da quando eravamo piccoli sono sempre stato un po’ invidioso del bel verde brillante della tua pelle ed era per questo che ti chiedevo di cambiare colore, e visto che tu accettavi senza mai opporti, ne ho approfittato un po’… anzi tanto! Spero tu possa perdonarmi!» E poi aggiunse: «Anche la storia del dover essere uguali… be’, anche quella era una balla… però quello che volevo dirti è che ci tengo alla tua amicizia e prometto che d’ora in poi non ti chiederò mai più di cambiare colore!».

Quelle parole arrivarono dritte al cuore di Arturo, che non esitò a perdonare Jack, e così i due vecchi compagni di gioco si strinsero la zampa… Adesso finalmente erano diventati veri amici!

«Toh, chi si rivede, il finto zebronte!» esclamò un giorno la zebra, incontrando Arturo. Il camaleonte ancora una volta non sapeva come comportarsi: doveva fare l’offeso oppure scusarsi per averle mentito? Ma a toglierlo d’impiccio ci pensò la zebra: «Immagino che non sia una buona idea se ti invito a pascolare con me» disse «be’.. no,» rispose Arturo un po’ imbarazzato «in effetti quella scorpacciata mi è costata un gran mal di pancia!».

«Ma potevi dirmelo, non eri mica obbligato ad accettare» rispose la zebra. «Non c’è nulla che ci impedisce di essere amici anche se ci piace mangiare o fare cose diverse; ma a proposito… a te che piace fare?»

«Mi piacerebbe fare un giro attaccato alla tua coda» sussurrò timidamente il camaleonte.

«E allora dai, cosa aspetti? Salta su!» disse la zebra. Arturo non se lo fece ripetere due volte e si aggrappò forte alla sua coda, la zebra allora si mise a correre e poi a girare su se stessa, tanto che ad Arturo sembrò di essere a bordo della più fantastica delle giostre!

Veramente soddisfatto per come si erano sistemate le cose, sia con il geco che con la zebra, quando Arturo vide la coccinella pensò che mancava un chiarimento soltanto con lei, e le si avvicinò, fiducioso di recuperare anche quest’altra amicizia… «Ciao,» le disse «sono felice di rivederti!»

La coccinella, però, senza nemmeno ricambiare il suo saluto, si girò dall’altra parte e spiccò il volo. Da quando aveva scoperto che Arturo si nutriva di insetti, non se la sentiva proprio di essergli amica… reazione del tutto comprensibile! Come fare a darle torto?

Arturo ci rimase un po’ male, però non ne fece un dramma: aveva finalmente capito che

rimanendo se stessi non si può piacere proprio a tutti… «Pazienza,» pensò, «due veri amici, che mi vogliono bene, su tre conoscenti sono già un gran bel risultato!» E chissà quanti altri ne avrebbe incontrati ma… senza mai più dover cambiare colore!

SCHEDA

QUANTO PESA

IL TUO CAMALEONTE?

Leggi le seguenti affermazioni e colora i pesi accanto a quelle in cui ti ritrovi.

Pur di non stare da solo mi capita di fare cose che non mi interessano.

Trovo difficile dire di no a chi mi chiede un favore o mi propone qualcosa da fare.

Lascio spesso che siano gli altri a decidere quello che si deve fare.

Se qualcuno mi controbatte mi capita di dargli ragione anche se non ne sono convinto.

Alle volte fingo di divertirmi per sentirmi parte del gruppo.

Mi adatto facilmente a qualsiasi situazione.

Quando mi accorgo di non piacere a qualcuno faccio di tutto per fargli cambiare idea.

Mi viene difficile esprimere le mie opinioni quando sono diverse da quelle degli altri.

E adesso conta i pesi che hai colorato e leggi il profilo corrispondente.

Da 0 a 1

Ottimo! Il tuo camaleonte è in forma smagliante! Non può darti alcun problema!

Da 2 a 4

Attenzione! Il tuo camaleonte è un po’ fuori forma. Aiutalo ad allenarsi a modificare pensieri e comportamenti negativi. Ritornerà in perfetta forma!

Da 5 a 8

Accipicchia! Il tuo camaleonte è davvero ingombrante… Tienilo d’occhio e addestralo con dolcezza a cambiar modo di pensare e di agire. I risultati non tarderanno ad arrivare!

SCHEDA 1b

NUOVI AMICI PER ARTURO

Immagina che Arturo usi il suo solito buffo metodo per far amicizia con un altro animale. Di che animale si tratta? Scrivi nel fumetto ciò che Arturo gli direbbe per presentarsi e poi colora la sua pelle proprio come farebbe lui per somigliare all’animale sconosciuto.

PRIMA

Adesso, finalmente, Arturo ha imparato che non bisogna cambiare per cercare di piacere agli altri… Immagina che voglia farsi un nuovo amico, disegnalo a destra di Arturo e scrivi nel fumetto come potrebbe presentarsi al suo nuovo amico. Infine colora entrambi i disegni. DOPO

Milly, l’ape brontolona e il sapore del miele al girasole

Una favola per… imparare ad assumersi le proprie responsabilità

Quando nell’alveare di Vallefiorita si diffuse la notizia che la vecchia ape regina, a causa di un’artrite al pungiglione, avrebbe ceduto il trono alla sorella più giovane, tutte le api tirarono un sospiro di sollievo… «Ben le sta!» esultarono le operaie. Erano proprio stanche di tutte le angherie subìte e non sarebbe stato facile dimenticare il ronzìo della sua voce stridula che ripeteva loro in continuazione: «Siete delle buone a nullaaa! Delle sfaticateee! Non concluderete mai niente di buono nella vita!». E che dire di quel malefico pungiglione? La vecchia sovrana l’aveva usato a sproposito troppe volte, anche solo per terrorizzarle. Una cosa era certa… nessuno l’avrebbe rimpianta! Per fortuna, la nuova regina, sin dall’inizio, si dimostrò completamente diversa dalla sorella: trattava

le operaie con amore e rispetto e non approfittava mai, neppure una volta, del proprio ruolo di capo.

«Tutte voi un giorno potrete diventare delle “regine”…» soleva ripetere «l’importante è che facciate il vostro lavoro con amore e passione, e non soltanto perché è un vostro dovere.»

Nonostante quella nuova armonia conquistata, un giorno qualcuno ebbe da obiettare…

«Maestà, noi apprezziamo davvero i suoi incoraggiamenti, ma dicendo queste parole non finirà per illuderci? È la natura che decide la nostra condizione e lavorare per bene non ci farà mai diventare delle vere regine!» A parlare era stata la piccola Milly, un’ape nota nell’alveare per essere impertinente e anche un po’ brontolona.

Le altre api la guardarono sconcertate… Per quanto buona e gentile fosse la nuova regina, nessuno aveva mai osato rivolgersi a lei con tanta sfacciataggine e per di più mettendo in dubbio il valore delle sue parole!

Si aspettavano, dunque, da un momento all’altro una sua brusca reazione e temevano che l’arrabbiatura la facesse diventare simile alla perfida sorella. E invece la regina non si scompose affatto e, mantenendo il suo solito tono gentile, le rispose: «Sì, cara Milly, forse mi sono espressa male, ma quello che intendevo dire è che chi riesce a far qualcosa

di speciale è come se fosse una regina… insomma, ciò di cui posso assicurarvi è che se riuscirete a sentirvi davvero speciali, sarete così felici che dei titoli nobiliari non ve ne importerà più nulla!».

Chiarita quella questione le api si entusiasmarono all’idea di poter diventare speciali e le chiesero cosa di preciso dovevano fare.

«È semplice» dichiarò la regina «cominciate a specializzarvi!» e poi aggiunse: «Non ha senso lavorare dove capita e produrre il solito miele: non siete mica delle macchine! Seguite il vostro cuore, fatevi ispirare dai profumi e dai colori delle piante, scegliete le vostre preferite e vedrete… vedrete che risultati!».

Lasciandosi guidare dalle proprie passioni ogni ape scelse la pianta che preferiva e nacquero così alcuni gruppi di lavoro composti da quelle che avevano fatto la stessa scelta. Erano molte le squadre: c’era quella dell’Arancio, quella dell’Acacia, del Castagno, del Mirto, della Lavanda, dell’Eucalipto, del Rododentro, del Girasole… e chissà quante altre se ne sarebbero formate!

Dopo parecchie indecisioni, visto che riusciva a trovare difetti un po’ in tutte le piante, anche Milly si lasciò conquistare dalla bellezza dei girasoli e decise di specializzarsi nella produzione di quel tipo di miele.

Ogni sera al calare del sole nell’alveare di Vallefiorita si svolgeva un rito molto importante: la regina assaggiava una goccia di miele prodotto da ciascun’ape ed esprimeva il suo parere.

«Ottimo! Delizioso! Squisito!» erano molti i giudizi positivi ma, ovviamente, non tutte le gocce di miele avevano un buon sapore, soprattutto quelle delle api più giovani e inesperte: così la regina, senza mai arrabbiarsi, dava loro dei suggerimenti per migliorarlo.

Tutte le api facevano tesoro dei suoi buoni consigli… anzi, quasi tutte perché Milly, ogni volta che riceveva un giudizio negativo, non stava nemmeno ad ascoltare il consiglio della regina e aveva invece una risposta sempre pronta per giustificarsi: «È tutta colpa delle mie compagne della squadra del girasole» disse un giorno Milly «Occupano i fiori migliori, così io sono costretta a ripiegare su quelli un po’ appassiti!».

Le compagne di Milly, sentendosi accusare ingiustamente, si offesero: a Vallefiorita c’erano così tanti girasoli che trovarne uno in buone condizioni non era affatto difficile, bastava soltanto metterci un po’ d’impegno…

«È tutta colpa di fuco Fulvio,» disse un’altra volta Milly «è innamorato pazzo di me e non fa altro che ronzarmi intorno… Ovvio che mi fa distrarre!»

Fuco Fulvio ci rimase malissimo, era davvero innamorato di lei ma era sicuro di non aver fatto mai nulla per distoglierla dal suo lavoro, anzi, in varie occasioni si era anche offerto di aiutarla!

Così, anche se a malincuore, decise che da quel giorno in poi non l’avrebbe più degnata di un ronzio né di uno sguardo…

E un’altra volta ancora disse «È tutta colpa di…» ma la regina, che questa volta si era davvero arrabbiata, la interruppe subito, non lasciandole finire la frase. «Sono davvero delusa dal tuo comportamento, non fai altro che lamentarti e dare la colpa agli altri! Quando ti deciderai a imparare a prenderti le tue responsabilità?»

Mortificata per essere stata rimproverata dalla regina, Milly decise di abbandonare l’alveare… Senza avvertire né salutare nessuno, quella stessa notte, mentre tutti dormivano, volò via alla ricerca di una nuova sistemazione.

Vagò a lungo e senza una mèta precisa per la campagna di Vallefiorita. Era veramente difficile orientarsi nell’oscurità. Ma quando il buio della notte lasciò il posto alle prime luci dell’alba, finalmente scorse un piccolo alveare appeso a un ramo e si rifugiò lì dentro. Era un alveare abbandonato… «Benissimo!» pensò Milly «Questo posto è proprio quello che fa per me! Sarà la mia nuova casa e,

senza api e fuchi intorno che mi fanno i dispetti, il mio miele finalmente sarà perfetto!»

Giorno dopo giorno, svegliandosi sempre un po’ più tardi del solito e scegliendo i girasoli a casaccio, Milly si accorse che le cose non andavano proprio come si sarebbe aspettata…

Purtroppo, il sapore del suo miele era sempre disastroso e, anche se non c’era la regina a dare giudizi, riusciva a rendersene conto anche da sola.

Non avendo intorno i suoi compagni a cui dare la colpa, Milly cominciò a rivolgere altrove la propria attenzione, così al tramonto, dopo l’assaggio, si affacciava sulla soglia dell’alveare e gridava a squarciagola inveendo contro chi pensava fosse il responsabile del suo insuccesso… «Accidenti a te!

Erbaccia stupida e insignificante!» disse un giorno, rivolgendosi all’ortica «È tutta colpa tua se il mio miele non è venuto bene, mi hai punto un’ala! Per questo ho perso tempo e il nettare si è raffreddato!»

«Ehi, sole!» esclamò Milly un altro giorno «Sì, sì, sto dicendo proprio a te! Non fare l’indifferente, non nasconderti dietro una nuvola! Con il tuo calore insopportabile il mio nettare si è sciolto tutto!»

E un’altra volta ancora: «Vento, sei un vero maleducato! Non hai rispetto per chi lavora e sono sicura che l’hai fatto apposta… Oggi hai fatto traballare senza alcun ritegno il mio girasole!».

Ovviamente, nessuno le rispondeva: agli elementi della natura non è data la possibilità di parlare con le creature del mondo animale… Tra loro, però, potevano farlo, così iniziarono un’accesa discussione. La più arrabbiata di tutti era l’ortica: «Ma l’avete sentita, quella!» esclamò la pianta rivolgendosi al sole e al vento «Non fa altro che accusarci, insultarci e darci le colpe dei suoi fallimenti!».

«Suvvia, non essere così pungente!» le rispose il sole «È soltanto una piccola ape un po’ sprovveduta, ha bisogno di qualcuno che la illumini… e se facessimo noi qualcosa per aiutarla?» propose «Se ci fermassimo qualche minuto per dimostrarle che si sta sbagliando?»

«Ma che dici? Ti si è surriscaldato il cervello?» tuonò, acida, l’ortica «Non si può fermare il corso della natura soltanto per dare una lezione a una sciocca ape!»

«E dai!» intervenne il vento, schierandosi dalla parte del sole «Facciamo una piccola eccezione… io posso trattenere il respiro per tutto il tempo della sua raccolta del nettare e, vi assicuro, non si muoverà una foglia!»

«E io posso indirizzare altrove i miei raggi più caldi,» disse il sole «sarà solo per qualche minuto…»

«E tu, ortica? Non puoi fare, anche tu, qualcosa?» le chiesero entrambi sperando di convincerla a fare la sua parte.

«E va bene! Va bene!» acconsentì alla fine l’ortica sbuffando «Ci sto anch’io. Quando quella sbadata mi passerà vicino, farò in modo di scansarmi per non pungerla, siete contenti?»

Il sole le fece l’occhiolino illuminandola con uno dei suoi raggi più luminosi e il vento le solleticò le foglie con un delicato soffio facendola ondeggiare dolcemente. Erano proprio felici di averla persuasa a partecipare a quella insolita missione.

Quando il giorno dopo Milly uscì di casa non poté fare a meno di notare che c’era qualcosa di strano… Era come se il tempo si fosse fermato.

Non c’era un alito di vento, la temperatura era ideale e perfino l’ortica ritraeva i rami al suo passaggio. Tutto era inaspettatamente perfetto! «Dev’esserci sotto qualcosa…» pensò Milly, sospettosa come al solito, così, mentre faceva il suo lavoro, continuava a guardare a destra e a manca aspettandosi che da un momento all’altro sbucasse fuori qualcuno a interrompere quella magia… Ma non accadde nulla e Milly poté ritornare indisturbata all’alveare.

«Benissimo!» pensò l’ape «questa è la volta buona, il mio miele sarà squisito!»

Tutta emozionata si preparò all’assaggio… chiuse gli occhi e poi tuffò la faccia nella goccia più densa e profumata che aveva prodotto. Ma quando il sapore giunse al suo palato li riaprì di scatto e fece una smorfia di disgusto: che delusione! Che terribile delusione! Quel miele era perfino più sgradevole di quello del giorno prima. Ma la cosa peggiore era che questa volta, nonostante si sforzasse di cercare un colpevole, non riuscì a trovare nessuno… nessuno, tranne che se stessa!

All’improvviso le fu tutto chiaro: «Accidenti, che sciocca che sono stata!» disse tra sé «Ho sprecato tutto il mio tempo a dare colpe agli altri, quando invece la responsabilità è mia, è soltanto mia!».

Poi si guardò intorno e si sentì tanto, ma tanto sola: «Non ha più senso stare qui!» pensò, e prese un’importante decisione: «Tornerò subito al grande alveare… speriamo soltanto che gli altri non siano ancora troppo arrabbiati con me!».

Non appena fu sulla soglia del suo alloggio provvisorio, che ormai stava per abbandonare, si ricordò che doveva delle scuse anche all’ortica, al vento e al sole.

«Perdonatemi tutti!» disse ad alta voce «E grazie di cuore per quello che mi avete aiutato a capire!»

Milly era certa che anche se non le rispondevano

potevano sentirla. Poi si librò in volo verso la sua vecchia casa.

«Ehi, guardate, Milly la Brontolona è di ritorno!» Fuco Fulvio fu il primo a vederla arrivare e avvisò le altre api. Erano ancora un po’ tutte risentite per il modo in cui si era comportata, ma tutto sommato felici di ritrovarla.

«Sono davvero mortificata…» farfugliò Milly a occhi bassi. Per lei non era facile ammettere davanti ai suoi simili le proprie colpe, ma si fece coraggio, alzò lo sguardo e rivolgendosi a tutti i presenti disse: «Spero vogliate perdonarmi e accogliermi di nuovo tra voi… d’ora in poi prometto che la smetterò di accusarvi ingiustamente e mi prenderò tutte le mie responsabilità».

«Shhh!» la interruppe la regina «Non devi aggiungere altro, a tutti può capitare di sbagliare, l’importante è accorgersene e tentare di porvi rimedio» e così tutti la accolsero ad ali aperte.

Concentrandosi sul proprio lavoro e mettendo in pratica i buoni suggerimenti della regina, i risultati non tardarono ad arrivare e il sapore del miele di Milly migliorò di giorno in giorno, finché, una sera, dopo il consueto assaggio… «Delizioso!» esclamò la regina, aggiungendo: «Complimenti, Milly! Adesso anche tu sei una regina, la regina del miele di girasole!».

QUANTO PESA

LA TUA APE?

Leggi le seguenti affermazioni e colora i pesi accanto a quelle in cui ti ritrovi.

Dico spesso frasi come «Non posso farci nulla», «Non dipende da me», «Sono fatto così».

Quando qualcosa va storto sono pronto ad affermare che non è stata colpa mia.

Credo molto nella fortuna e nella sfortuna.

Quando mi sento triste o arrabbiato riesco sempre a trovare un responsabile.

Se mi sento felice è sicuramente merito di qualcuno che ha fatto qualcosa di bello per me.

È difficile che io cambi umore se non mi aiuta qualcuno.

Penso che migliorare sia molto difficile se non impossibile.

Se mi capita qualcosa di bello penso di essere stato fortunato e non di essermelo meritato.

E adesso conta i pesi che hai colorato e leggi il profilo corrispondente.

Da 0 a 1

Ottimo! La tua ape è in forma smagliante! Non può darti alcun problema!

Da 2 a 4

Attenzione! La tua ape è un po’ fuori forma. Aiutala ad allenarsi a modificare pensieri e comportamenti negativi. Ritornerà in perfetta forma!

Da 5 a 8

Accipicchia! La tua ape è davvero ingombrante… Tienila d’occhio e addestrala con dolcezza a cambiar modo di pensare e di agire. I risultati non tarderanno ad arrivare!

SCHEDA 2b

PENSIERI NELL’ALVEARE

L’ape Milly è un po’ incerta… Aiutala! Colora soltanto le celle in cui ci sono pensieri utili a farla sentire responsabile di se stessa.

Se mi impegno costantemente il mio miele migliorerà giorno dopo giorno.

Sono orgogliosa dei miei meriti e dei miei risultati.

Non posso farci nulla se sono fatta così!

Non permetterò a nessuno di rovinarmi la giornata. Come mi sento lo decido io!

Se ho sbagliato cercherò di rimediare.

Tutto il mondo sembra avercela con me!

Gino, il porcospino

furibondo

Una favola per… imparare a controllare gli scatti d’ira

«Basta! Io con te non ci gioco più! Guarda quello che mi hai fatto!»

«È tutta colpa tua! Sei stata tu a farmi arrabbiare!»

Le urla di Lina e Gino arrivarono alle orecchie della loro mamma che non poté fare a meno di intervenire per cercare di placare la lite scoppiata tra due dei suoi nove figli.

«Si può sapere che succede?» esclamò la signora Porcospino, piuttosto spazientita.

Gestire la sua numerosa famiglia, certe volte, diventava una vera e propria impresa, e in quelle circostanze, non potendo contare sull’appoggio del marito, doveva sempre sbrigarsela da sola. Eh sì… perché lui di mestiere faceva l’inventore e se ne stava quasi tutto il giorno chiuso nel suo

laboratorio, dicendo che per il suo lavoro aveva bisogno di molta, molta concentrazione.

«Mamma! Mamma! Gino l’ha fatto un’altra volta!» piagnucolò Lina mostrandole un piccolo ponfo sulla zampina sinistra.

«Gino! Ma quante volte ti devo ripetere che lanciare le spine non è una bella cosa? Se continui a farlo nessuno vorrà più giocare con te!»

«Ma io non lo faccio apposta!» provò a giustificarsi Gino «è che quando qualcuno mi fa arrabbiare mi succede, e non posso farci nulla se sono fatto così!»

«E invece potresti fare tanto!» sospirò la mamma. «E adesso chiedi scusa a tua sorella e prometti di non farlo più!» ordinò la signora Porcospino, con un tono che non ammetteva repliche.

Gino obbedì scusandosi con la sorellina, però, in fondo al suo cuore, era convinto di non aver mentito… ogni volta che si arrabbiava, infatti, scagliava una spina, senza mai riuscire a controllarsi.

La prima volta che gli era successa quella strana cosa era ancora un cucciolo di pochi mesi e stava giocando nel bosco con Pippo, uno dei suoi fratellini. I due piccoli porcospini avevano avvistato una bella pigna che dondolava da un ramo ed entrambi erano corsi sotto l’albero aspettando che

cadesse. Quando arrivò un soffio di vento e finalmente la pigna cadde, i due fratelli la afferrarono contemporaneamente e cominciarono a contendersela, tirandola ognuno dalla propria parte: «È mia! È mia! L’ho vista prima io!» strillava Gino, «Non è vero! È mia» ribatteva Pippo, per nulla disposto a cederla. Ma durante la disputa, a un tratto, Gino aveva sentito tutto il suo corpicino scaldarsi e irrigidirsi e poi improvvisamente…zac! Dalla sua pelliccetta era partita la prima spina e aveva colpito il musetto del fratellino. Pippo, sentendosi pungere, si era molto spaventato e aveva subito mollato la presa. Così quella volta Gino l’aveva avuta vinta.

Da quel giorno, per qualche strana ragione, alla minima arrabbiatura, dalla pelliccia di Gino partivano spine volanti. Certe volte, le spine cadevano nel vuoto, altre volte, invece, capitava che colpissero qualcuno dei presenti. Non che le sue spine fossero particolarmente pericolose… per fortuna non potevano ammazzare nessuno, né ferirlo seriamente. Erano più o meno come una puntura d’insetto: un lieve bruciorino e un piccolo ponfo che dopo qualche giorno andava via…

Erano, comunque assai fastidiose e a nessuno faceva piacere riceverle.

Un pomeriggio, la signora Porcospino uscì di casa perché doveva fare degli acquisti e, per evitare quegli antipatici incidenti di cui Gino era il principale responsabile, decise di portarlo con sé, così avrebbe lasciato la famiglia un po’ più tranquilla e suo marito avrebbe potuto lavorare in pace.

Papà Porcospino, allora, approfittò di quell’occasione e radunò gli otto figli che erano rimasti in casa. Era da tempo che voleva affrontare con loro un certo discorso…

«Ragazzi,» disse «non mi piace affatto che escludiate vostro fratello Gino dai vostri giochi.»

«Ma papà…» protestò il più grande dei suoi figli «nessuno di noi vorrebbe escluderlo, ma non per questo siamo disposti ad accettare le sue spine volanti!»

«Insomma…» aggiunse «sai bene come stanno le cose, anche a te e a mamma danno molto fastidio! Non fate altro che rimproverarlo!»

«Sì, avete ragione,» ammise il padre «ma noi siamo una famiglia e se uno ha un problema gli altri devono fare in modo di aiutarlo a risolverlo.»

«Aiutarlo? E come potremmo fare?» chiesero i piccoli.

«Venite a vedere la mia ultima invenzione!» propose il signor Porcospino e li invitò a seguirlo nel suo laboratorio.

In uno stand, proprio come quelli che si vedono nei negozi, appese a delle grucce c’erano dieci tutine trasparenti in diverse misure: otto più piccole e due più grandi.

«E a che servono queste tute?» domandò il figlio maggiore.

«Queste non sono semplici tute… sono dei paraspine!» annunciò il padre esultante «Sono mesi che ci lavoro!»

«Queste,» spiegò «si indossano come una seconda pelle e non danno alcun fastidio. Sono fatte con un materiale elastico che ha il potere di respingere le spine facendole rimbalzare! Nessuno da oggi in poi si pungerà con le spine lanciate da Gino perché rimbalzeranno, e questo, alla fine, sarà un gran bene anche per lui!»

«Allora, ditemi, cosa ne pensate?» domandò il signor Porcospino, augurandosi che ai suoi figli piacesse l’idea.

«Papà, ma tu sei un genio!» esclamarono i piccoli porcospini e gli saltarono al collo riempiendolo di baci, stando però attenti a non pungerlo… Eh già, quando tra porcospini ci si scambia delle affettuosità bisogna farlo con estrema delicatezza!

«Indossiamole subito!» suggerì il padre «E quando tornerà vostra madre ne daremo una anche a lei, ovviamente senza farlo sapere a Gino.»

Grazie all’ingegnosa invenzione di papà Porcospino, da quel giorno in famiglia nessuno si dovette più preoccupare di non far arrabbiare Gino. Tutti potevano comportarsi normalmente e ignorare le sue scenate. Le sue spine, infatti, rimbalzavano a meraviglia e alle volte andavano a colpire proprio lo stesso Gino.

Al di fuori della famiglia, invece, in tutti gli altri ambienti frequentati da Gino (la scuola, il parco giochi, le tane dei parenti) le reazioni degli altri porcospini erano diverse: non si poteva certo pretendere che indossassero i paraspine, così ognuno si regolava come meglio credeva.

C’era chi in seguito a una litigata con tanto di lancio di spine aveva deciso di chiudere con lui, e chi invece lo teneva a una certa distanza… «Con quel caratteraccio che si ritrova è meglio starne alla larga!» pensavano alcuni porcospini.

Ma c’era anche un gruppetto di suoi compagni di scuola che trovava divertente quella sua particolarità, tanto che si erano esercitati a schivarle arrivando perfino a inventarsi un gioco: «il Saltalaspinadigino».

Questo gioco consisteva nello scansare le spine saltando e vinceva chi riusciva a evitarne di più. Per poter giocare era però necessario che Gino fosse arrabbiato, dunque non perdevano occasione per stuzzicarlo.

Un giorno Gino guardandosi allo specchio osservò che aveva perso molte spine: negli ultimi tempi, infatti, ne aveva scagliate veramente troppe! Le zone di pelle nuda erano invece piene di ponfi provocati dalle sue stesse spine che, rimbalzando, l’avevano colpito.

«Accidenti!» pensò «Un porcospino senza spine che porcospino è?» Si sentiva anche molto triste pensando ai tanti porcospini che lo evitavano e a quelli che lo prendevano in giro: «Questo mio carattere mi sta rovinando!» concluse, e poi piagnucolando corse dalla sua mamma.

«Mammina, guardami, sto diventando bruttissimo, sono tutto spinacchiato!»

«Gino, ma che dici?» lo corresse lei «Quella parola non esiste! Si dice spelacchiato! O magari anche spennacchiato!»

«Ma sono le spine quelle che ho perso!» ribadì Gino «Non i peli o le penne, quindi “spinacchiato” è la parola giusta!» Be’, in un certo senso, quel discorso aveva anche una sua logica… ma nell’affermare questo, al suo solito, cominciò a scaldarsi e innervosirsi, infatti dopo poco partì una spina che, rimbalzando sul paraspine di sua madre, andò a colpirlo proprio sulla pancia.

«Ahi! Hai visto, è successo di nuovo, ne ho persa un’altra!»

«Certo, certo…» rispose la mamma «ma che motivo hai di prendertela così tanto per una parola che non esiste? Arrabbiarsi la farà forse esistere?»

«Ma come faccio a smettere di arrabbiarmi?

Come faccio a controllare le spine?»

«Non puoi smettere del tutto di arrabbiarti: a tutti i porcospini del mondo capita di sentirsi così, sapessi quante volte capita a me! Non per questo però mi metto a lanciare spine a destra e a manca… devi solo imparare a controllarti!»

«Sì, ma come faccio? Come faccio?» insistette Gino, impaziente di trovare una soluzione.

«Innanzitutto devi smettere di pensare che gli altri debbano essere per forza d’accordo con te: ognuno è fatto a modo suo e se non vuole cambiare idea di sua spontanea volontà non c’è arrabbiatura che possa riuscirci. Ti sarai accorto che anch’io e tuo padre abbiamo smesso da un pezzo di farti le prediche…

«La mamma ha ragione,» pensò Gino «devo stare molto attento alle sue parole e fare come dice lei.»

«E allora ascoltami bene…» disse sua madre «quando senti la rabbia che invade il tuo corpicino fermati un attimo a riflettere e domandati: se adesso mi lascio andare alla mia collera questo cambierà la situazione? Mi aiuterà a sentirmi

meglio? Se la risposta è no, e credimi, il più delle volte sarà no, fai un bel respiro e prova a rimanere un po’ più tranquillo. Vedrai che pian piano le tue spine impareranno a restare al loro posto.»

«D’accordo, mammina, ci proverò» rispose Gino speranzoso.

L’occasione gli si presentò molto presto: una mattina a scuola, nonostante pensasse di aver studiato abbastanza, durante un’interrogazione qualcosa andò storto e gli capitò di prendere un brutto voto.

«Se adesso mi arrabbio e scaglio una spina questo cambierà il mio voto?» si domandò Gino, e la risposta che si diede, ovviamente, fu «No».

Così, benché rammaricato, riuscì a restare più calmo e, meraviglia delle meraviglie, non partì alcuna spina…

«Funziona! Funziona!» pensò Gino. Ma questo era soltanto l’inizio… doveva ancora esercitarsi molto.

Gino capì che la prova più ardua lo attendeva quando vide avvicinarsi l’odiosa combriccola dei suoi compagni che aveva ideato quell’antipatico gioco; le loro espressioni non lasciavano alcun dubbio: era chiaro che avevano intenzione di giocarci e di farlo subito!

«Bene, bene! Ecco qua il nostro amico spara spine!» esclamò spavaldo il porcospino Lello, che era proprio l’attaccabrighe del gruppo.

«Hop hop! Sono pronto a saltarle tutte» aggiunse un altro, con un sorrisino veramente cattivo.

Gino, allora, si sforzò di mantenere la calma proprio come gli aveva suggerito la sua mamma e li guardò con distacco.

«Oh oh… ma che succede a Sparaspine?» rincalzò Lello «Invece delle spine il nostro amico si è messo a sparare qualche altra cosa? Sento una puzza io!»

E gli altri reggendo il gioco scoppiarono a ridere fingendo di tapparsi il naso.

Restare indifferente alle loro provocazioni era tutt’altro che facile, però anche subirle in silenzio non lo avrebbe di certo fatto sentire meglio, così Gino, riflettendoci un po’ su, trovò il giusto modo di rispondere per le rime a quelle cattiverie…

«Oh, mi dispiace tanto per voi! Ma non ho nessuna intenzione di rimetterci le spine per il vostro divertimento!» disse e, mantenendo un sangue freddo che avrebbe fatto invidia a un serpente, si girò dall’altra parte e andò via lasciandoli lì delusi e senza parole. La sua risposta era stata più pungente di qualsiasi spina!

Ci riprovarono anche altre volte, ma dopo alcuni sfortunati tentativi lasciarono perdere: Gino non reagiva ai loro dispetti nel modo che li divertiva così tanto e giocare al «Saltalaspinadigino» era dunque diventato impossibile!

Dopo qualche tempo, Gino, guardandosi allo specchio, si accorse di essere di nuovo bello folto…

«Fantastico!» esclamò «Non sono più spinacchiato!» Poi si ricordò che quella parola non esisteva e gli scappò da ridere, perché ormai la cosa non lo faceva più arrabbiare… Magari, quando sarebbe stato grande, avrebbe proposto un aggiornamento del vocabolario dei porcospini!

QUANTO PESA

IL TUO PORCOSPINO?

Leggi le seguenti affermazioni e colora i pesi accanto a quelle in cui ti ritrovi.

Anche se si tratta soltanto di modi di dire, uso frasi che contengono espressioni minacciose come «Ti ammazzo», «Ti faccio a pezzi», ecc.

Alle volte mi sento come se stessi per esplodere.

Quando sono arrabbiato sento che potrei spaccare tutto.

Mi vien voglia di colpire chi mi ha fatto arrabbiare.

Mi piacciono moltissimo i giochi in cui si spara, si combatte, si distrugge…

È meglio mostrarsi duri, altrimenti gli altri se ne approfittano.

Reagisco contro chi mi fa arrabbiare con insulti e/o parolacce.

Devo stare attento alle persone che mi circondano perché potrebbero attaccarmi.

E adesso conta i pesi che hai colorato e leggi il profilo corrispondente.

Da 0 a 1

Ottimo! Il tuo porcospino è in forma smagliante! Non può darti alcun problema!

Da 2 a 4

Attenzione! Il tuo porcospino è un po’ fuori forma. Aiutalo ad allenarsi a modificare pensieri e comportamenti negativi. Ritornerà in perfetta forma!

Da 5 a 8

Accipicchia! Il tuo porcospino è davvero ingombrante… Tienilo d’occhio e addestralo con dolcezza a cambiar modo di pensare e di agire. I risultati non tarderanno ad arrivare!

SCHEDA 3b

SPINE VOLANTI

Capita a tutti i porcospini del mondo di sentirsi arrabbiati! Alcune azioni però possono ferire chi le compie e chi le riceve: trovale, collegale con una linea alle spine volanti di Gino e cerchiale con il rosso.

Cerchia poi con il verde i modi corretti di gestire la propria rabbia.

Spiego le ragioni per cui mi sento arrabbiato.

Colpisco o insulto chi mi ha fatto arrabbiare.

Mi tengo tutto dentro anche se mi sembra di esplodere.

Prima di compiere una qualsiasi azione dettata dalla rabbia ci rifletto un po’ su e mi domando se è veramente adeguata a risolvere il problema.

Eliana, la giraffa con il collo oltre le nuvole

Una favola per… imparare a non rimandare a domani

Sotto il sole cocente del deserto africano, un cammello andava per la sua strada canticchiando un allegro motivetto scaccia noia, quando, all’improvviso, una voce alle sue spalle interruppe la sua passeggiata solitaria… «Chiedo scusa, signor Cammello, saprebbe indicarci dove si trova l’oasi meravigliosa?»

Il cammello si voltò e guardò con aria perplessa l’elefante che gli aveva rivolto quella strana domanda passando poi a scrutare, uno dopo l’altro, l’insolita combinazione di animali che gli stava a fianco: una scimmia, un cervo e una giraffa… e, invece di rispondere, scoppiò in una sonora risata che scopriva fino alle gengive la sua dentatura ingiallita… be’, si sa, nel deserto non è facile trovare spazzolino e dentifricio!

L’elefante arricciò la proboscide e fece una faccia offesa, non gli era mai capitato che qualcuno gli ridesse in faccia per il solo fatto di aver chiesto un’informazione, peraltro con tono assai gentile.

«Perdonatemi,» disse il cammello, provando a giustificarsi, «non era mia intenzione essere scortese ma mi è scappato da ridere perché se sapessi dell’esistenza di questo posto “meraviglioso” sicuramente non sarei qua ad arrostirmi sotto il sole… mi sarei già fiondato lì per vivere come un pascià! Non sono mica fesso, io!» aggiunse, e poi scoppiò a ridere ancora una volta, compiacendosi della propria battuta. «Ma piuttosto, ditemi voi,» domandò «che ci fate qui? Non siete mica animali da deserto!»

«Siamo fuggiti da uno zoo alcuni anni fa» rispose la scimmia «Fu il falco Piuma d’Oro, il leggendario ambasciatore dei segreti arcani, a presentarsi un giorno davanti alle nostre gabbie e a suggerirci il modo per liberarci. E fu sempre lui a parlarci dell’oasi meravigliosa e del lungo cammino che bisogna fare per raggiungerla.»

«Da allora, viviamo da nomadi alla ricerca di quell’oasi,» proseguì il cervo «e abbiamo abitato un po’ dappertutto: nella foresta, nella savana, in riva al mare, ai fiumi e ai laghi… ma siamo sempre in attesa che Piuma d’Oro ci indichi la prossima tappa.»

«Ah! Capisco, capisco!» disse il cammello «È una storia davvero affascinante! Comunque, tutto quello che io posso dirvi è che, andando dritto per un paio di chilometri e poi svoltando a destra, c’è una piccola oasi; ma non aspettatevi granché, non è “nientedispeciale” e, di sicuro, non è quella che voi state cercando. Tutto sommato, però, non è malaccio,» concluse il cammello «ci troverete il necessario per sopravvivere fino quando il vostro falco si rifarà vivo.»

Dopo averlo ringraziato, gli animali si congedarono da lui e si incamminarono seguendo le sue indicazioni.

«Però, che tipo quel cammello!» commentò il cervo.

«Ma dai!» disse la scimmia «In fondo era simpatico, non trovate anche voi?»

«Bah…» borbottò l’elefante «proprio simpatico non direi, per i miei gusti era un po’ troppo altezzoso, un po’ troppo pieno di sé.»

«Cammello? Ma quale cammello?» esordì, a un certo punto, la giraffa che fino a quel momento non aveva detto una sola parola.

«Elianaaa!» esclamarono in coro i tre amici «Sei sempre la solita!» sbraitò l’elefante «Come hai fatto a non accorgerti che ci siamo fermati a parlare con un cammello?»

«Mah, sarà…» disse incurante la giraffa «forse ero intenta a pensare a qualcosa di più interessante… ma, a proposito, dov’è che stiamo andando?»

«Ma nell’oasi indicata dal cammello, naturalmente!» le rispose la scimmia.

«Ooh!» esclamò Eliana con un lampo di entusiasmo negli occhi «Ma è l’oasi meravigliosa?»

«No!» ribattè secco l’elefante «Se tu fossi stata a sentire lo sapresti già!»

«E allora che ci andiamo a fare adesso?» protestò la giraffa «Se non è quella meravigliosa può aspettare! Andiamoci domani!» propose «Fermiamoci qui a riposare, io sono così stanca…»

«Ma Eliana, sei ammattita?» la rimproverò il cervo «Fermarsi in mezzo al deserto? E cosa mangiamo? Cosa beviamo? Come ci ripariamo dal sole e dalle raffiche di vento?»

«Ah già, hai ragione» ammise lei, e trascinandosi sulle zampe seguì controvoglia il gruppo dei suoi amici.

Arrivati all’oasi, gli animali constatarono che era proprio come l’aveva descritta il cammello, cioè… nientedispeciale! C’erano soltanto un laghetto e un paio di palme da dattero, niente di più. Così, iniziarono a darsi un gran da fare, prima per rendere quel posto un po’ più accogliente e poi per procurarsi del cibo. Anche Eliana comin-

ciò a costruire alla meno peggio un riparo per la notte, ma interruppe presto il lavoro e si mise a guardare le stelle, finché si addormentò a pancia vuota. L’essere così sbadata tanto da non accorgersi né sentire quello che gli accadeva intorno non era però l’unica sua stranezza: ogni mattina, alle prime luci dell’alba, la giraffa Eliana era la prima del gruppo a svegliarsi e iniziava i suoi esercizi per allungare il collo…

«Uno – due, uno – due, piega – stendi, piega – stendi, sinistra – destra, destra – sinistra…»

Andava avanti per un po’ e, a tratti, si bloccava con il collo proteso alla sua massima estensione verso l’alto, tanto che sembrava sfiorasse le nuvole.

Ma il motivo per cui Eliana ci tenesse così tanto ad allungare il suo collo restava un mistero. Una volta la scimmia aveva provato a chiederglielo ma la risposta ricevuta era stata piuttosto vaga: «Devo allungare i miei orizzonti!» aveva detto Eliana.

«Di solito gli orizzonti si allargano!» aveva ribattuto la scimmia, per dimostrarle che con le parole poteva tenerle testa.

«Ognuno con i propri orizzonti ci fa quello che vuole!» aveva infine risposto la giraffa e l’argomento si era chiuso lì.

Ripensando a quell’episodio, Eliana si era molto dispiaciuta per aver dato quella risposta così

brusca ma soprattutto per il fatto di non essere mai riuscita ad aprirsi davvero con i suoi amici e a raccontare loro delle sue idee e dei suoi sogni. Era convinta che gli altri non potessero capirla: erano così diversi da lei!

«Forse Eliana desidera avere un collo lunghissimo per vincere il guinness dei primati,» ipotizzò la scimmia, che voleva a tutti costi trovare una spiegazione «di questi tempi tutti ci tengono ad apparire!»

«Ahh! Questa è proprio bella!» esclamò divertito l’elefante, «Forse dovrei pensarci anch’io ad allungare la mia proboscide e magari, un giorno o l’altro, arriva qui una troupe televisiva e diventiamo tutti delle star!»

Incurante del fatto che gli altri spettegolassero su di lei, Eliana continuava con i suoi quotidiani stiramenti di collo. A dire il vero, neanche lei aveva ben chiaro il motivo per cui lo faceva, ma aveva la sensazione che con un collo molto lungo sarebbe riuscita a guardare sempre più lontano, quasi nel futuro, e avrebbe senz’altro visto per prima l’arrivo del falco Piuma d’Oro.

Erano proprio tanti i progetti che affollavano la sua testolina… C’erano la semina e la coltivazione dell’Orto delle cento bacche: era una vita che raccoglieva semini di ogni tipo in attesa di trovare

il terreno ideale per poterli piantare. C’era poi l’idea di scrivere un romanzo sulla loro fantastica avventura, ma dovevano prima arrivarci, all’oasi meravigliosa, per cominciare a scriverlo. C’era anche il progetto della costruzione di una elegante capanna: ne aveva viste di bellissime nelle isole tropicali e desiderava tanto abitare in un posto così. Si sarebbe data anche all’arte: sognava di creare fantasiose sculture con noci di cocco e intrecci di foglie di palma. I suoi sogni erano grandiosi e la realtà invece le sembrava grigia e banale. Le venivano sempre delle nuove idee, così la lista di progetti si allungava a dismisura, proprio come il suo collo. Alle volte, presa dall’entusiasmo, ne cominciava uno ma poi lo tralasciava perché era soppiantato da un altro, ancora più entusiasmante. Era comunque sicura che tutti i suoi progetti li avrebbe realizzati nell’oasi meravigliosa… in fondo, che senso poteva avere realizzarli in una qualsiasi oasi di transito?

Una mattina, mentre faceva i suoi soliti esercizi allunga-collo, così come previsto, fu proprio Eliana ad avvistare il falco Piuma D’Oro e, tutta emozionata, corse ad avvertire i suoi amici che stavano ancora dormendo.

«Vi ho osservato a lungo e sono giunto a una certa conclusione…» disse il falco con tono solen-

ne «Elefante! Cervo! Scimmia! Eccovi una mappa che vi aiuterà a procedere verso la prossima mèta.»

«Si tratta dell’oasi meravigliosa?» chiesero i tre animali con trepidazione.

«Oh, questo non vi è dato saperlo,» rispose il falco «lo scoprirete una volta arrivati lì.»

«E io?» domandò Eliana, stupita dal fatto che il falco non l’avesse nominata.

«Giraffa!» sentenziò il falco «Tu non sei ancora pronta per continuare il viaggio, rimarrai qui!»

«Ehi, voi tre! Cosa state aspettando?» disse poi rivolgendosi agli altri «È ora di andare! Salutate la vostra amica e mettetevi in cammino.»

Tra lacrime e abbracci gli animali obbedirono e, a quel punto, anche il falco sembrava pronto a spiccare il volo.

Eliana si sentì il mondo crollarle addosso e provò a trattenere il falco perché non riusciva proprio a capire il motivo di quella crudele decisione.

«Ti prego,» lo implorò «non andare via… spiegami almeno perché non mi hai permesso di andare con loro!»

«E perché mai dovresti farlo?» rispose il falco «Credi di essere simile a loro?»

«No,» ammise Eliana «in realtà so di essere molto diversa. A loro per essere felici basta trovare delle cose buone da mangiare, cantare insieme

attorno a un falò sotto il cielo stellato, farsi una nuotata in un ruscello dalle acque limpide… Io, invece, non riesco mai a far bene o godermi queste cose perché sono sempre presa dai miei pensieri e dai miei progetti.»

«Ecco, brava! Ti sei risposta da sola» disse il falco «Il percorso per l’oasi meravigliosa per te non può essere uguale a quello dei tuoi amici.»

«Ho capito, ho capito tutto!» esclamò tristemente Eliana «Avere delle idee grandiose è una cosa sbagliata! Sono io a essere sbagliata ed è per questo che loro possono procedere e io invece devo restare qui… Questa è la mia punizione!»

«E invece non hai capito niente!» ribatté il falco «Le cose non stanno affatto così.»

«Ma questo che significa?» domandò Eliana, sempre più perplessa «Sono allora loro ad essere sbagliati?»

«Smettila di pensare che qualcuno di voi sia sbagliato,» rispose il falco «nessuno di voi lo è, siete semplicemente diversi. È fantastico avere tante idee, sogni e progetti… ma se non ci si dà da fare per realizzarli, allora è tanto meglio non averne!»

«Ma che senso ha farlo qui?» provò a giustificarsi Eliana.

«Nessuno può sapere quale sia la mèta finale… ma una cosa è certa, se non cominci a darti da fare

adesso, in qualunque posto ti troverai i tuoi sogni saranno destinati a non realizzarsi mai!»

Nel frattempo, i tre animali raggiunsero la nuova destinazione e con un pizzico di delusione si accorsero che era una piccola oasi molto simile a quella precedente: «Oh oh… eccoci arrivati all’oasi Nientedispeciale numero 2» disse la scimmia con un mezzo sorriso, provando a sdrammatizzare.

«Pazienza!» commentò l’elefante «Non ci siamo ancora, però sono sicuro che ci stiamo avvicinando…» Ritrovarono così il loro solito buonumore e si misero all’opera. A fine giornata, stanchi ma soddisfatti, si radunarono attorno al fuoco e rivolsero un pensiero a Eliana e, anche se lei non poteva sentirli, le dedicarono una canzone.

Intanto, tutta sola, Eliana continuava a sognare. Fantasticare era nella sua natura e non riusciva proprio a farne a meno. Dopo la conversazione con il falco, però, aveva finalmente capito che i suoi sogni da soli non l’avrebbero portata da nessuna parte: era dunque arrivato il momento di agire e di farlo subito!

«Da dove comincio?» si domandò Eliana un po’ disorientata; i suoi progetti erano veramente troppi e anche scegliere a cosa dare la priorità rappresentava un problema. Ma quando il suo sguardo cadde sul sacchetto che conteneva i semi-

ni destinati all’Orto delle cento bacche, finalmente si decise: «Peccato!» sospirò «Mi sarebbe davvero piaciuto veder crescere queste piante nell’oasi meravigliosa, ma forse quell’oasi è già perfetta così com’è; questo posto, invece, ha davvero bisogno di nuovi alberi…» Così, senza indugiare ancora e sperando di aver fatto la scelta giusta, lasciò andare tutti i semini nel terreno facendo attenzione a distribuirli su tutta la superficie della piccola oasi. «Chissà se in questo terreno così arido ce la faranno a germogliare…» si chiedeva la giraffa preoccupata per la sorte dei suoi semini. Una cosa era certa: avevano bisogno di molte cure.

Dopo alcune settimane di costante impegno e di amorevoli attenzioni, Eliana vide le prime radichette che facevano capolino dal terreno e provò una fortissima emozione… Bene! Adesso poteva dedicarsi anche a un altro progetto; iniziò a costruire la capanna dei suoi sogni e si diede poi alla stesura del suo romanzo. Purtroppo, non avendo raggiunto l’oasi meravigliosa, le mancavano importanti elementi per il finale, ma si impegnò con se stessa a scriverne almeno due pagine al giorno e mantenne fede al suo proposito. Al finale, ci avrebbe pensato in seguito…

Com’era cambiata la sua vita dal giorno in cui il falco le aveva imposto la sua crudele decisione!

Ma, a pensarci bene, adesso non le sembrava più così tanto crudele… Certo, i suoi amici le mancavano molto e sperava con tutto il cuore di poterli riabbracciare, ma, in quella solitudine forzata, aveva cominciato a dare un senso alla sua vita e a realizzare, uno dopo l’altro, tutti i suoi progetti.

Passò parecchio tempo, mesi, forse addirittura anni, finché un bel giorno, quando ormai nessuno ci sperava quasi più, il falco si presentò nell’oasi Nientedispeciale n. 2.

«Ragazzi,» disse «è arrivato il momento di proseguire, eccovi la nuova mappa.» I tre animali esultarono ma non avevano certo dimenticato Eliana, quindi si affrettarono a chiedere al falco sue notizie.

«E la nostra amica giraffa?» chiese la scimmia «Sono secoli che non la vediamo, ti prego, dicci qualcosa di lei!»

«Questo non vi è dato saperlo!» rispose il falco con la sua solita aria misteriosa «Ma adesso andate, andate! Non indugiate!»

Gli animali obbedirono, ma durante il cammino provarono tutti e tre la stessa strana sensazione…

«Forse è soltanto una mia impressione,» osservò il cervo «mi sembra però di esser già passato da qui.» «È vero!» approvò la scimmia «Questo cactus, sono sicura di averlo già visto!»

Procedendo, quello che prima era soltanto un dubbio divenne una certezza; il percorso segnato sulla mappa conduceva proprio alla prima oasi. L’elefante taceva pensieroso ma tormentato da un’unica e martellante domanda: perché il falco li stava facendo tornare indietro? Non avevano fatto nulla di male, di questo ne era certo… Per di più, avevano vissuto pienamente proprio come lui aveva sempre raccomandato loro… e allora perché? Perché?

Con il suo collo smisurato Eliana riuscì a vederli arrivare quando erano ancora parecchio distanti, sentì nel cuore un tuffo di felicità e non poté trattenersi dal correr loro incontro. «Amici miei, che bello rivedervi!» esultò commossa quando li raggiunse. Anche i tre animali erano felicissimi di ritrovarla, ma era inutile nasconderlo, nei loro occhi c’era un pizzico di disappunto per il fatto che il falco li avesse fatti tornare indietro…

Eliana lo capì e provò a incoraggiarli: «Dispiace anche a me che il momento dell’oasi meravigliosa sembri non arrivare mai, però, in tutto questo tempo, mi sono data da fare per rendere il posto dove vivo un po’ più carino. Dai, su! Venite a vedere!» disse invitandoli a seguirla. Che sorpresa, che incredibile sorpresa, per i tre animali quando giunsero a destinazione! Quell’oa-

si non sembrava più lo stesso posto: uccelli intonavano deliziose melodie, farfalle dai mille colori svolazzavano tra fiori, sorprendenti sculture di noce di cocco si stagliavano contro il cielo azzurro… Poi c’erano alberi, tantissimi alberi, dai cui rami pendevano grosse, succulente e profumatissime bacche, una vera tentazione per qualsiasi erbivoro! Al centro dell’oasi, in prossimità del laghetto, che adesso ospitava una eccezionale varietà di pesci colorati, si ergeva una suggestiva e grande capanna di legno col tetto spiovente di paglia e un bel portico che creava una deliziosa zona d’ombra perfetta per il relax.

«Carino?» esclamò il cervo «E tu chiami questo posto soltanto “carino”? Qui è cambiato tutto… è meraviglioso!»

«Meraviglioso! È davvero ME-RA-VI-GLIOSO!» replicò la scimmia estasiata.

Eliana sorrideva orgogliosa, era felice che i suoi amici apprezzassero i frutti del suo lavoro.

L’elefante, invece, non aveva ancora detto nulla: si guardava intorno e taceva con aria interrogativa.

«Un momento…» domandò l’elefante «ma avete detto proprio “meraviglioso?”»

«Ma certo che lo abbiamo detto!» confermò la scimmia «Perché, a te non piace? Non trovi anche tu che questo posto sia meraviglioso?»

L’elefante tacque ancora qualche istante, e poi, invece di rispondere alla scimmia, come in preda a un raptus la afferrò, attorcigliandola alla vita con la sua proboscide e iniziando a farla girare, a lanciarla e poi a riprenderla.

«Mettimi giù! Mettimi giù!» strillava la scimmia «Ma che ti prende? Sei impazzito? Fammi scendere subito!»

L’elefante, però, non riusciva a trattenere il suo entusiasmo e, se solo gli altri non fossero stati un po’ troppo pesanti, avrebbe fatto la stessa cosa anche con loro. Così, ignorando le sue proteste, continuava a sballottarla su e giù e nel frattempo urlava a squarciagola: «Come fate a non capire? Ci siamo! Ci siamoooooooo! Siamo arrivati!».

«Spiegati, invece di fare il pazzo!» sbraitò la scimmia frastornata, quando finalmente si decise a farla scendere «Cos’è che vuoi dire? Dov’è che siamo arrivati?»

L’elefante prese fiato e poi esclamò «Ma all’Oasi meravigliosa, naturalmente!»

«Oh… Oh…» fu tutto quello che i tre animali riuscirono a dire: erano rimasti senza parole! La più stupita di tutti era proprio la giraffa Eliana. Era stata lei l’artefice di tutti quei cambiamenti, eppure il pensiero di riuscire a trasformare una banale Oasi nientedispeciale nientedimeno che

nella mitica Oasi meravigliosa andava oltre ogni sua aspettativa… dunque, quest’idea non l’aveva neppure sfiorata. Era fantastico scoprirlo e allo stesso tempo incredibile vedere realizzati contemporaneamente tutti i suoi sogni!

Un grido acuto che proveniva dall’alto indusse i quattro amici a sollevare lo sguardo verso il cielo, videro così il falco Piuma d’Oro che sorvolava ad alta quota il perimetro dell’oasi. A un tratto, l’animale emise un altro grido ancora più forte, lasciò cadere una piuma dorata e si librò in picchiata verso un punto indefinito del cielo, dileguandosi come inghiottito da una nuvola. Da quel giorno non l’avrebbero più rivisto.

«Grazie» mormorarono i quattro animali, ognuno dentro di sé, fissando a lungo e con occhi commossi quella nuvola. Poi, abbassando lo sguardo verso le meraviglie che li circondavano, l’entusiasmo tornò a impadronirsi di loro.

«Dobbiamo festeggiare!» esclamò la scimmia. Eliana allora corse verso la capanna, vi si fiondò dentro e, in men che non si dica, riapparve con un vassoio di bambù e quattro eleganti calici ottenuti con gusci di noce di cocco sapientemente intagliati. «Che efficienza! Che stile!» commentò il cervo «È sorprendente come Eliana sia cambiata.» I quattro amici brindarono sorseggiando un deli-

zioso elisir di menta e albicocca che la giraffa aveva preparato proprio con le sue zampe. «Ottimo!» disse l’elefante «Ma adesso muoio dalla voglia di visitare ogni angolo dell’oasi meravigliosa, è una vita che aspettiamo questo momento. Dai, Eliana, accompagnaci! Facci fare un bel giro.»

«Cominciate ad andare voi» rispose la giraffa «che tra un po’ vi raggiungo. Dovete scusarmi,» aggiunse «ma adesso ho da fare una cosa importantissima…» e, così dicendo, si allontanò dal gruppo.

«Però» osservò la scimmia «a pensarci bene, la nostra Eliana non è che sia cambiata del tutto, trova sempre qualche scusa per rimandare!» Gli altri annuirono sorridendo.

E invece no! Questa volta gli amici si sbagliavano; Eliana era cambiata davvero, e in quel momento doveva davvero fare una cosa importante: aveva finalmente trovato uno splendido finale per il suo romanzo e sapeva che mettersi a scrivere subito era senz’altro la soluzione migliore per non lasciarsi sfuggire nessuna delle fantastiche emozioni appena provate!

I tre animali cominciarono allora il loro giro di esplorazione dell’oasi quando, dopo pochi passi, un vocione piuttosto familiare risuonò nelle loro orecchie: «Ehilà, bella gente! Ho appena saputo

che quel luogo meraviglioso di cui mi parlavate tanto tempo fa esiste davvero! Be’, se la cosa non vi dispiace, mi trasferisco anch’io a vivere qui!»

Per chi non l’avesse ancora capito, era il cammello… Non era mica fesso, lui!

SCHEDA 4a

QUANTO PESA

LA TUA GIRAFFA?

Leggi le seguenti affermazioni e colora i pesi accanto a quelle in cui ti ritrovi.

Ho tantissime idee e progetti per il mio futuro a cui se ne aggiungono sempre di nuovi.

Mi distraggo spesso perdendomi nelle mie fantasie.

Rimando spesso al futuro impegni, attività e compiti che potrei svolgere nel presente.

Prima di cominciare un lavoro o prima di studiare cerco sempre di ritardare.

Gli altri mi dicono che ho la testa tra nuvole.

Inizio a fare le cose con entusiasmo ma per me è difficile portarle a temine.

Mi capita spesso di lamentarmi del fatto che ho poco tempo e troppe cose da fare.

Dico spesso parole o frasi come: forse, più tardi, domani, in un altro momento, spero…

E adesso conta i pesi che hai colorato e leggi il profilo corrispondente.

Da 0 a 1

Ottimo! La tua giraffa è in forma smagliante! Non può darti alcun problema!

Da 2 a 4

Attenzione! La tua giraffa è un po’ fuori forma. Aiutala ad allenarsi a modificare pensieri e comportamenti negativi. Ritornerà in perfetta forma!

Da 5 a 8

Accipicchia! La tua giraffa è davvero ingombrante… Tienila d’occhio e addestrala con dolcezza a cambiar modo di pensare e di agire. I risultati non tarderanno ad arrivare!

VERSO L’OASI MERAVIGLIOSA

Immagina che Eliana voglia realizzare un nuovo importante progetto. Scrivi di che si tratta nel cartello dell’oasi e poi aiutala a realizzarlo, un passo alla volta. Dividilo in tanti piccoli compiti necessari allo scopo e scrivili nell’ordine corretto.

Puoi usare questo sistema anche per i tuoi progetti!

Oscar, il coccodrillo

che rischiò di annegare nelle proprie lacrime

Una favola per… imparare a combattere i rimorsi e le preoccupazioni inutili

Nella splendida laguna dei coccodrilli, Osvaldo, Ovidio e Oscar stavano schiacciando il loro consueto pisolino pomeridiano, placidamente distesi sulle rocce che emergevano dalle limpide acque, ma, improvvisamente, furono svegliati da un rumore di passi e dal suono di una vocetta squillante…

«Uff! Anche oggi abbiamo ospiti» disse sbadigliando il coccodrillo Osvaldo, rivolgendosi agli amici sdraiati sulla roccia a fianco. «Sì, ma poca roba,» gli rispose Ovidio guardando verso l’alto «vuoi mettere la confusione di ieri, che ci siamo dovuti sopportare ben tre gite scolastiche!»

La laguna dei coccodrilli era un luogo incantevole: uno specchio d’acqua cristallina incastonato

in una conca rocciosa circondata da una ricchissima vegetazione. I visitatori la potevano ammirare dall’alto, affacciandosi dalla staccionata di un vialetto panoramico che le sporgeva a ridosso creando uno spettacolare effetto a strapiombo. Non era dunque raro che arrivasse gente a interrompere i loro sonnellini, ma in quel caldo pomeriggio estivo a passeggiare lungo il viale c’erano soltanto una mamma e la sua bambina…

«Mamma, guarda! I coccodrilli piangono!» esclamò a un tratto la bambina.

Accidenti, che vista la piccola! Si trovava a una certa distanza, ma non le era sfuggito che dagli occhi di quei bestioni scendevano tante goccioline.

«Eh no, cara» le rispose la madre con dolcezza «quella è soltanto una leggenda! La verità è che i coccodrilli hanno la pelle dura come una corazza, che non lascia passare il sudore, come invece succede a noi esseri umani, dunque, quelle che vedi non sono vere lacrime, insomma…» concluse «non stanno piangendo, stanno solo sudando!»

«E brava! Brava la signora!» esultò tutto soddisfatto Osvaldo, che aveva ascoltato attentamente quella spiegazione e poi, rivolgendosi agli altri, disse «Ah, era ora! Finalmente sento qualcuno che dice ai bambini le cose per come stanno.»

«Eh già,» rispose Ovidio «non se ne può più di quella stupida storia delle lacrime di coccodrillo, che ci fa passare tutti per dei frignoni! Certo,» aggiunse «può capitare anche a noi di piangere, ma accade raramente, solo se succede qualcosa di molto, molto grave…»

«E tu, Oscar? Che ne pensi?» chiese poi all’amico che se ne stava zitto zitto «Non sei d’accordo con noi?»

Oscar taceva.

«Per tutte le alghe della laguna!» esclamò Osvaldo «Oscar, parla! Esprimiti!»

Senza accennare a una minima risposta, il coccodrillo Oscar si tuffò in acqua e si allontanò dal gruppo. Quel discorso stava cominciando a infastidirlo, e anche parecchio! Si sentiva punto sul vivo ed era convinto che non si trattasse di una qualsiasi conversazione tra amici ma di una vera e propria provocazione nei suoi confronti, a cui avrebbero fatto seguito le solite prese in giro…

Eh sì, perché, a differenza degli altri, lui era un coccodrillo dal pianto facile e il più delle volte le goccioline, anzi le gocciolone, che gli rigavano il volto non erano di sudore ma erano vere e proprie lacrime.

«Ma perché Oscar è sempre così triste?» si domandavano spesso i suoi amici senza riuscire a

darsi una spiegazione. La sua vita non era affatto peggiore di quella degli altri coccodrilli e negli ultimi tempi nessuna disgrazia si era abbattuta su di lui.

Eppure Oscar, senza alcun apparente motivo, spesso si tormentava e a tormentarlo erano i suoi pensieri, anzi i suoi cattivi pensieri!

Alcuni riguardavano il suo passato ed erano ricordi, rimpianti e rimorsi di cose già andate ma che secondo lui, se si fosse comportato diversamente, sarebbero potute andare meglio. Questi pensieri cominciavano tutti con «Ah! Se…».

– Ah! Se avessi studiato per bene l’algologia a quest’ora sarei in grado di distinguere le alghe buone da quelle velenose… un giorno o l’altro la mia ignoranza mi ucciderà!

– Ah! Se quel giorno fossi stato più intraprendente con quella bella coccodrilla dagli occhi smeraldo forse a quest’ora saremmo fidanzati…

– Ah! Se mi fossi comportato meglio con i miei genitori ora sarebbero molto orgogliosi di me…

– Ah! Se non avessi mangiato così tanto adesso non sarei così grasso…

Ma ad affollare la sua mente c’era anche un altro tipo di pensieri, che invece riguardavano il futuro, cioè vere e proprie preoccupazioni per fatti non accaduti ma che, secondo la sua fantasia

catastrofica, sarebbero potuti accadere. Questi pensieri, invece, cominciavano tutti con «E se…».

– E se queste montagne rocciose venissero giù all’improvviso?

– E se si estinguono i pesci della laguna di cosa ci nutriremo in futuro?

– E se un giorno si presenta un mostruoso animale predatore di coccodrilli e ci fa fuori tutti?

– E se i miei amici smettono di volermi bene?

Così, per ogni brutto pensiero che gli saltava in mente dai suoi occhi sgorgavano grossi e salati lacrimoni che andavano a mescolarsi con le limpide e dolci acque della laguna. Oscar trovava sempre nuovi motivi per piangere e nel tempo pianse tanto, ma così tanto, che il delicato equilibrio naturale di quella piccola laguna cominciò ad alterarsi.

Arrivò, infatti, il giorno in cui l’acqua diventò troppo salata e le piattaforme rocciose sulle quali i coccodrilli solevano distendersi erano quasi sommerse.

I coccodrilli erano molto amareggiati, però lasciare la loro amata laguna restava l’unica cosa da fare, così, di comune accordo, decisero che si sarebbero spostati in massa e, attraversando la grotta subacquea che collegava la piccola laguna al grande fiume, l’avrebbero raggiunto e si sarebbero trasferiti a vivere lì.

Quando si venne a sapere che Oscar rifiutava di unirsi al gruppo per traslocare nel fiume, non mancò chi si lasciò sfuggire qualche commento molto spiacevole: «Ma che affoghi pure nelle sue lacrime! Quello stupido coccodrillo non solo rovina la sua vita senza motivo, ma ha reso questo bel posto invivibile!». Per fortuna, non tutti la pensavano così: a Ovidio, Osvaldo e altri suoi amici, infatti, stava a cuore la sua sorte e provarono in tutti i modi a fargli cambiare idea.

«E dai, Oscar!» gli disse Osvaldo «Non vorrai morire sommerso dalle tue stesse lacrime!»

«Non essere sciocco,» aggiunse Ovidio «vieni con noi e considera che nel fiume potrai piangere quanto ti pare, tanto lì non succede niente!»

Ma non ci fu nulla da fare per riuscire a convincerlo ad andar via insieme agli altri: Oscar si sentiva terribilmente responsabile dell’accaduto e avrebbe dato qualsiasi cosa per rimediare al guaio combinato. Quando tutti i coccodrilli se ne furono andati, rimasto solo, oltre che a piangere si mise anche a urlare a squarciagola tutto il suo dispiacere: tanto nessuno lo avrebbe più sentito… «Sono stato la rovina della nostra bella laguna!» Sbraitava inveendo contro se stesso «Morirò, morirò affogando nelle mie stesse lacrime, ecco, è proprio questo quello che mi merito!»

«Ah! Se solo avessi pianto di meno!» «Ah! Se fossi riuscito a fermarmi in tempo!» «Ah! Se non…»

«Basta! Ora basta!» Un vocione possente interruppe il suo delirio.

Oscar rimase molto sorpreso: era assolutamente convinto che tutti i coccodrilli fossero andati via, quando dall’acqua emerse la rugosissima testa del Matusacocco.

Il Matusacocco era un coccodrillo molto, molto anziano, assai rispettato e stimato da tutti per la sua fama di essere il più saggio abitante della laguna.

«Matusacocco!» Esclamò Oscar allibito: «Ma che ci fai ancora qui? Allora non sei così saggio come dicono.» E aggiunse: «Non sai che se rimani qui morirai?».

«E tu, allora?» ribattè il Matusacocco, «Perché non sei andato via?»

«Ma io sono un caso disperato e poi lo sai già che sono stato io a provocare il disastro, dunque è questa la fine che mi merito!»

«Non dire stupidaggini, nessuno merita di morire: agli errori si può sempre tentare di rimediare!»

«Ah! Se soltanto sapessi come fare!» sospirò Oscar, che non ne aveva la più pallida idea.

«Sono rimasto qui proprio per questo,» rispose l’anziano coccodrillo «se cambiare è veramente

ciò che desideri e se sei disposto non solo ad ascoltarmi, ma anche a impegnarti, ti aiuterò io e vedrai che, pian piano, la natura rimetterà le cose a posto.»

«Oh, sarebbe meraviglioso…» sospirò Oscar. «Ma come si fa a non piangere quando nella testa ti passano brutti pensieri? Come si fa a trattenere le lacrime? Ti prego, Matusacocco, insegnamelo tu, sono disposto a fare qualsiasi cosa!»

«Eh no, caro mio, è qui che sbagli. Non si tratta di riuscire a trattenere le lacrime, le emozioni non si devono soffocare, sono invece i cattivi pensieri quelli che devi riuscire a controllare! E se non ci saranno più cattivi pensieri non ci saranno nemmeno lacrime… Ascoltami bene, Oscar,» proseguì il Matusacocco «c’è un unico, semplice, infallibile sistema per riuscire a tener lontani i pensieri tristi…»

«Be’, allora dimmelo, che aspetti?» lo implorò Oscar.

«Devi concentrarti solo sul presente, tutte quelle idee da cui ti lasci tormentare sono perfettamente inutili e posso anche dimostrartelo: se pensi agli eventi del passato riesci a cambiarli?»

«Be’… no!» rispose Oscar.

«E quando pensi alle cose brutte che potrebbero accadere in futuro, credi che solo pensandole riusciresti in qualche modo a fermarle?»

«Ovviamente no!» ammise Oscar. «Visto?! È più semplice di quanto non sembri… e adesso vai, e concentrati solo sul presente! È chiaro, no?»

Oscar annuì: il discorso non faceva una piega, ma sarebbe stato davvero così facile metterlo in pratica?

Una cosa però era certa: ci avrebbe provato con tutte le sue forze!

Qualche tempo dopo, Oscar andò a trovare il Matusacocco. L’anziano coccodrillo si rallegrò nel vedere che aveva un’aria un po’ più serena: i suoi occhi non erano, come al solito, velati di lacrime, anche se lasciavano trasparire un pizzico di tristezza.

«E allora, mio giovane amico, di’ un po’, come va?» gli domandò il Matusacocco.

«Un po’ meglio, grazie,» rispose Oscar «ma non ancora come vorrei! Ho provato a fare quello che mi hai detto tu, ma non è facile! Per qualche minuto ci riesco, ma poi mi distraggo e i brutti pensieri ritornano ad assalirmi.»

«Uhm, vediamo, lasciami pensare un attimo…» disse il Matusacocco e immerse la sua grossa testa in acqua per poter riflettere a mente fresca. Dopo qualche secondo riemerse con un lampo di luce negli occhi. «Ma sì, certo!» esultò «Ti serve ancora

un aiutino… insomma, ti serve qualcosa di più concreto! Stammi a sentire, Oscar,» disse «impara a memoria questa coccostrocca e recitala ogni volta che ti salta in mente un cattivo pensiero»:

Coccostrocca intelligente, conta solo il mio presente, e mi tuffo nell’istante perché nulla è più importante!

Oscar lo guardò perplesso riuscendo a stento a trattenere un sorrisetto, e la cosa non sfuggì al Matusacocco.

«Ascoltami bene, Oscar,» gli disse «per quanto la cosa ti possa sembrare bizzarra, credimi, non è uno scherzo. Ripeti la coccostrocca tutte le volte che ce ne sarà bisogno, anche 10, 100,1000 volte al giorno e ti assicuro che i tuoi brutti pensieri spariranno.»

«Ok, lo farò.» rispose Oscar, ma senza troppa convinzione. Naturalmente, il Matusacocco se ne accorse e cominciò a ripetere: «Credimi, funziona! Credimi, funziona! Credimi, funziona!».

«Ho capito! Ho capito…» esclamò Oscar «non serve che continui a ripetermi che funziona!»

«E invece serve!» ribattè il Matusacocco «Non basta aver capito, bisogna crederci, fidarsi, ripeterla…»

Allora, Oscar, per dimostrargli che ci credeva, che si fidava e che l’aveva già imparata, cominciò a ripeterla ad alta voce e poi, dopo averlo salutato, andò via.

«Che strano,» pensò Oscar «non mi sarei mai aspettato di ricevere dal Matusacocco un suggerimento così buffo.» «Ma sì…» disse poi tra sé e sé «perché dubitare dell’animale più saggio della laguna? E poi chi l’ha detto che i metodi per imparare ad essere felici devono essere per forza seri e complicati? Farò esattamente come dice lui, e speriamo bene!»

«È incredibile! È fantastico!» esultava Oscar ogni volta che, grazie alla coccostrocca, riusciva a scacciare un cattivo pensiero, ed era anche stupito di quanto quel metodo fosse semplice. Prendere quella nuova abitudine era stato, infatti, divertente come un gioco. Adesso, non appena un pensiero triste si affacciava nella sua testa sapeva esattamente cosa fare: lo sostituiva con la coccostrocca e, con la mente impegnata a ripetere quei versi, inevitabilmente i cattivi pensieri andavano via.

«Il Matusacocco è un grande!» pensò Oscar «Questa buffa filastrocca è magica! Non solo fa sparire i brutti pensieri ma mi aiuta a concentrarmi sul presente e a scoprire cose a cui prima non facevo caso: il sapore del cibo, il profumo dei

fiori, la forma delle nuvole, la bellezza di questa laguna…»

Eh già, senza la sovrabbondanza di lacrime che sgorgavano dai suoi occhi, pian piano, il livello dell’acqua tornò normale e la laguna riebbe il suo splendore iniziale.

«Benissimo!» pensò Oscar «È arrivato il momento di avvertire gli altri coccodrilli…» e, senza indugiare, attraversò il tunnel e si mise alla loro ricerca nel grande fiume. Non era certo facile ritrovarli tutti, ma gli bastò incontrarne un paio e poi la voce si sparse. Così, nel giro di qualche giorno, tutti fecero ritorno alla loro amata laguna.

«Ehi, papà! Guarda! Quel coccodrillo sta piangendo!» disse un giorno un bambino puntando il dito proprio verso Oscar. «Eh sì…» gli rispose il padre «questi bestioni sono dei veri piagnucoloni!» e poi padre e figlio scoppiarono in una fragorosa risata.

«Accipicchia!» pensò Oscar «Non tutti sono preparati sull’argomento come quella signora di tanto tempo fa…» Ma in fondo gli importava davvero poco di cosa pensasse la gente e dentro di sé gioì al pensiero che le sue «lacrime» fossero soltanto l’effetto di una bella sudata!

SCHEDA 5a

QUANTO PESA

IL TUO COCCODRILLO?

Leggi le seguenti affermazioni e colora i pesi accanto a quelle in cui ti ritrovi.

Mi capita di provare vergogna pensando a cose dette o fatte in passato.

Credo di aver fatto soffrire o deluso gli altri in diverse situazioni.

Vorrei poter tornare indietro per cancellare tutti i miei errori.

Mi capita spesso di ripensare a fatti successi e immaginare come sarebbe andata se mi fossi comportato in modo diverso.

Se devo affrontare una prova (a scuola, nello sport, a lavoro, ecc.) comincio a preoccuparmi molto prima e mi sento nervoso e agitato.

Se una persona cara è in ritardo temo che possa esserle successo qualcosa di brutto.

Alle volte mi intristisco pensando che potrei perdere le persone a cui voglio bene.

Ho molta paura delle catastrofi naturali e penso spesso che potrebbero succedere.

E adesso conta i pesi che hai colorato e leggi il profilo corrispondente.

Da 0 a 1

Ottimo! Il tuo coccodrillo è in forma smagliante! Non può darti alcun problema!

Da 2 a 4

Attenzione! Il tuo coccodrillo è un po’ fuori forma. Aiutalo ad allenarsi a modificare pensieri e comportamenti negativi. Ritornerà in perfetta forma!

Da 5 a 8

Accipicchia! Il tuo coccodrillo è davvero ingombrante… Tienilo d’occhio e addestralo con dolcezza a cambiar modo di pensare e di agire. I risultati non tarderanno ad arrivare!

LA COCCOSTROCCA INTELLIGENTE

Impara a memoria la coccostrocca e ricordati che potrebbe servire anche a te per cacciar via i cattivi pensieri. Aiuta poi Oscar a distinguere i momenti in cui è bene recitarla e quando invece non serve. Per ogni situazione proposta segna SÌ oppure NO.

Coccostrocca intelligente, conta solo il mio presente, e mi tuffo nell’istante perché nulla è più importante!

Quando è concentrato sul sapore del cibo che sta mangiando. Sì No

Quando si preoccupa per quello che potrebbe succedere l’indomani.

Quando è impegnato a svolgere un compito.

Quando è felice per aver incontrato un amico.

Quando è in ansia perché qualcuno è in ritardo.

Sì No

Sì No

Sì No

Sì No

Quando si dispera pensando a cose che avrebbe voluto fare ma non ha fatto. Sì No

Camilla, la lumaca «tutta casa e lattuga»

Una favola per… imparare a non temere le nuove esperienze e i cambiamenti

ACastorlandia, una cittadina fondata da una colonia di castori, il rischio di inondazione per lo straripamento del fiume Straripone era sempre in agguato. Per questo motivo, la grande diga costruita a protezione della loro bella città era un cantiere sempre aperto. Vi erano impiegati una ventina di castori, tutti molto competenti nel proprio lavoro; d’altra parte, per dei castori occuparsi di dighe è un qualcosa che viene naturale! Purtroppo, i tempi di crisi arrivano per tutti… castori compresi! Così, un giorno, mentre gli operai stavano facendo la pausa pranzo, arrivò il capo cantiere con la faccia delle brutte notizie: «Mi dispiace ragazzi,» disse «ma quello che ho da dirvi non vi piacerà affatto, e in particolare ad alcuni di voi. Purtroppo però, sono ordini della direzione e io non posso farci nulla. Dobbiamo

iniziare a ridurre il personale…» e poi annunciò con tono solenne:

«Mario, Dario, da domani siete licenziati!»

Mario e Dario erano fratelli ed erano anche gli ultimi arrivati, dunque non era poi così strano che i primi a essere licenziati fossero proprio loro.

«Siete i più giovani di tutti,» spiegò il capocantiere «e non vi sarà difficile trovare un altro lavoro.»

Per Mario fu un colpo duro e cominciò a disperarsi: «Come faccio? Proprio adesso che mi devo sposare! E chi glielo dice alla mia fidanzata che ho perso il lavoro?»

Dario, invece, accettò la notizia con maggiore serenità e provò a incoraggiare il fratello: «E dai, fratellino… non te la prendere! Vedrai che troveremo un altro lavoro. Anzi, faremo di meglio, avvieremo un’attività tutta nostra!».

«Sarebbe bello,» sospirò Mario «però ci vorrebbe un’idea originale, altrimenti sarà un fallimento!»

«Fidati di me!» gli rispose Dario e iniziò a pensare, pensare e poi guardarsi intorno alla ricerca di un’ispirazione… A un tratto, il suo sguardo andò in direzione di un paesino che sorgeva in cima a una collina, si ricordò allora di chi abitava lassù ed ebbe come un’illuminazione…

Fu così che nacque il camping Il guscio d’oro, un esclusivo luogo di villeggiatura per sole lumache.

L’idea imprenditoriale si rivelò quanto mai azzeccata; mai nessuno aveva pensato alle vacanze delle lumache, e forse fu proprio per questo che l’iniziativa ebbe un così grande successo.

I fratelli castoro scelsero con cura il luogo in cui far sorgere il camping, delimitarono le piazzuole e le dotarono di tutti i comfort: orticelli privati con cavoletti di Bruxelles, verza, cicoria, erba cipollina e tante altre delizie in alternativa alla solita lattuga.

Quando la notizia si diffuse, le lumache ne furono entusiaste. I prezzi, poi, erano super convenienti!

Gli abitanti di Lumacondo, il piccolo paese collinare di sole lumache che aveva ispirato il castoro Dario, decisero di spostarsi in massa: avrebbero trascorso lì tutta l’estate e tutti contenti cominciarono a preparare i bagagli.

A dire il vero, non proprio tutti: la lumaca Camilla, ad esempio, era molto contrariata… «Ma dico io,» brontolava «ma che bisogno c’è di lasciare il nostro paese? A Lumacondo si sta benissimo! L’aria è buona, la nostra lattuga è delle migliori e poi il clima! Volete mettere il nostro meraviglioso clima collinare con l’umidità che ci sarà in riva al fiume? Sento già che se andassi lì mi verrebbero

i reumatismi alle corna! Andateci voi in vacanza, io me ne starò qui!»

«E poi,» borbottava «chi li conosce questi fratelli castoro? Cosa volete che ne sappiano dei castori delle esigenze di una lumaca?»

Ai suoi amici, però, dispiaceva che Camilla se ne restasse tutta sola al paesello mentre loro andavano in vacanza a divertirsi. Così provarono in tutti i modi a convincerla, con le buone e anche con le cattive maniere.

«Ammettilo, hai paura!» le disse la sua amica Lola, «Te la fai sotto ogni volta che ti si presenta una novità!»

Lola aveva toccato il suo punto debole, e siccome Camilla detestava l’idea di dover ammettere di aver paura delle novità, alla fine, suo malgrado, si lasciò convincere.

Doveva però organizzarsi per bene e portare con sé tutto il necessario… E come prima cosa, una consistente scorta di foglie di lattuga. Camilla sapeva che a portarne poca non sarebbe bastata, ma a portarne troppa sarebbe marcita, dunque, non aveva scelta: le sarebbe toccato tornare spesso a Lumacondo a fare le provviste.

«È ridicolo portarsi appresso tutta quella lattuga!» commentò Lola «Lì ci sono tante cose buone da mangiare, non hai visto il dépliant?»

«Sei pazza?» ribatteva Camilla «Che ne posso sapere io di cosa ci mettono quelli nelle verdure… e poi lo sai, io non mangio altro all’infuori della mia lattuga!»

I fratelli castoro, intanto, ce la stavano mettendo davvero tutta per rendere sempre più gradevole il soggiorno ai loro ospiti.

«Signora Camilla» le disse un giorno il castoro Dario, «la vediamo spesso affaticarsi con il suo continuo andirivieni da Lumacondo… forse lei non sa che abbiamo organizzato un servizio di castortaxi».

«Ah sì? E come funziona?» domandò Camilla.

«Io e mio fratello Mario ci alterneremo nelle corse e vi accompagneremo a Lumacondo, così potrete fare le vostre cose, e poi vi riporteremo qui in tempi rapidi e in tutta sicurezza.»

«Ma perché non prendi il castortaxi? È così comodo!» La esortavano le altre lumache quando la vedevano tornare esausta da Lumacondo.

«Siete pazze? Io, salire in groppa a dei castori? E se poi cado e mi si rompe il guscio?! E poi, che ne so dove mi portano?»

«Ma dove dovrebbero portarti, se non a Lumacondo? Non vedi quanto sono professionali?!»

Visto che gli ospiti erano soddisfatti, Mario e Dario sull’onda dell’entusiasmo pensarono di

fare ancora di più: organizzarono allora un altro servizio, il castorboat, che funzionava come il castortaxi però prevedeva che, invece di camminare, i castori nuotassero permettendo così ai villeggianti di godere di vere e proprie mini crociere lungo le coste del fiume Straripone.

«Ve l’ho già detto! Io sui quei “cosi” non ci salgo! Mi sono rifiutata di farlo sulla terraferma, figuratevi se mi faccio sballottare tra le acque del fiume, è una cosa pericolosissima! Anzi,» aggiunse Camilla «consiglio anche a voi di non andarci.» Nessuno ovviamente le diede ascolto e tutti parteciparono a quelle crociere, trovandole piacevolissime.

Nel frattempo, però, alla diga i licenziamenti del personale proseguirono fino al giorno in cui a occuparsi della diga furono lasciati soltanto tre castori: davvero troppo pochi per poter gestire le emergenze! Così, quando si verificò il temutissimo straripamento del fiume Straripone, sia Castorlandia che il camping che le sorgeva vicino furono completamente inondati. L’intervento di tutti i castori della città fu tempestivo così, per fortuna, non vi furono vittime né tra di loro né tra le lumache, però il villaggio rimase isolato. Era tutto circondato da acque melmose che impedivano qualsiasi contatto con la terraferma.

Le lumache erano molto preoccupate… Mario e Dario, però, non si persero d’animo e furono molto premurosi e solleciti nel rassicurare i loro ospiti.

«Non avete nulla da temere,» dissero «ormai il peggio è passato, potete continuare a godervi la vacanza. Lavoreremo sodo e tra circa dieci giorni le strade saranno di nuovo agibili.»

«Dieci giorni? Ma è un’eternità!» esclamò Camilla sull’orlo della disperazione.

«La mia scorta di lattuga durerà al massimo per i prossimi due giorni e senza poter andare a Lumacondo a prenderne dell’altra di sicuro morirò di fame!»

«Non essere sciocca, e assaggia una di queste verdure» la esortò Lola, «ti assicuro che sono ottime.»

Camilla tenne duro, ma quando i morsi della fame furono così forti da diventare insopportabili, non le restò che arrendersi alle circostanze e cominciare ad assaggiare ciò che aveva sempre rifiutato:

«Non mi piace! Non mi piace!» strillò sputando la cicoria che aveva accettato di assaggiare solo perché aveva un aspetto simile alla sua amata lattuga. «Questa roba è disgustosa!» esclamò poco dopo aver dato un morso a una cima di rapa. «Ecco! Lo sapevo, mi tocca morire di fame!» Non

poteva però continuare a lungo a fare la schizzinosa: dopo tutto, la fame è fame… così, assaggio dopo assaggio, finalmente il suo palato cominciò a provare inaspettate sensazioni piacevoli. «Evviva!» pensò Camilla, «I cavoletti di Bruxelles sono meravigliosi, e chi l’avrebbe mai detto! Ma anche il radicchio non è affatto male…»

E ci prese così tanto gusto a scoprire verdure mai provate prima che anche quando la strada per Lumacondo tornò ad essere agibile non sentì più l’esigenza di ritornare al paese per farsi una nuova scorta di lattuga.

«Accipicchia! Quanti sapori deliziosi mi sono persa finora con la mia fissazione di voler mangiare sempre la stessa cosa!» e in quel preciso istante le balenò l’idea che forse il cibo non era l’unica cosa per cui valeva la pena cambiare abitudini…

Peccato, però, averci pensato solo a fine vacanza.. L’estate ormai volgeva al termine: tutte le lumache, infatti, avevano già fatto i bagagli ed erano pronte per tornare in paese.

«Aspettate! Aspettate!» esclamò Camilla «Prima di tornare a Lumacondo, vorrei tanto farmi un giretto nel castorboat.»

«È un vero piacere, signora Camilla» disse il castoro Dario, acquattandosi subito per permetterle di salire a bordo.

Un brivido di emozione le percorse tutto il corpo, rimbombò nel guscio facendole tintinnare le corna e per tutto il viaggio non fece altro che ammirare estasiata i meravigliosi luoghi di cui non immaginava nemmeno l’esistenza.

E ovviamente a Lumacondo ci tornò in castortaxi…

SCHEDA 6a

QUANTO PESA LA TUA LUMACA?

Leggi le seguenti affermazioni e colora i pesi accanto a quelle in cui ti ritrovi.

Sono piuttosto diffidente nei confronti degli sconosciuti.

Non assaggio un cibo mai provato se non sono assolutamente sicuro che mi piacerà.

Se devo fare un viaggio sono molto attento a mettere in valigia tutto ciò di cui potrei sentire la mancanza.

L’idea di cambiare casa, scuola, lavoro, mi mette una certa inquietudine.

Se dovessi trasferirmi in un’altra città penso che farei molta fatica ad ambientarmi.

Se si va a mangiare fuori preferisco tornare nei locali che già conosco.

Non mi piace l’improvvisazione e se non sono io a decidere voglio essere informato su dove si va e cosa si fa.

Non mi interessa sperimentare attività nuove… penso che potrei fallire o far brutta figura.

E adesso conta i pesi che hai colorato e leggi il profilo corrispondente.

Da 0 a 1

Ottimo! La tua lumaca è in forma smagliante! Non può darti alcun problema!

Da 2 a 4

Attenzione! La tua lumaca è un po’ fuori forma. Aiutala ad allenarsi a modificare pensieri e comportamenti negativi. Ritornerà in perfetta forma!

Da 5 a 8

Accipicchia! La tua lumaca è davvero ingombrante… Tienila d’occhio e addestrala con dolcezza a cambiar modo di pensare e di agire. I risultati non tarderanno ad arrivare!

NUOVE EMOZIONI PER CAMILLA!

La lumaca Camilla vorrebbe fare nuove esperienze ma è ancora un po’ timorosa… non sa da dove cominciare: consigliala tu! Leggi le varie possibilità e falla iniziare dall’azione che ti sembra più facile, segnando nella casella corrispondente il numero 1. Procedi poi inserendo gli altri numeri in ordine di difficoltà.

Fare un viaggio in aereo.

Fare una passeggiata senza una mèta precisa.

Prendere l’iniziativa per conoscere qualcuno.

Cambiare qualcosa del proprio aspetto.

Iniziare un nuovo sport.

Partecipare a una festa in cui non conosce nessuno.

Assaggiare un cibo mai provato.

Beatrice, la foca pittrice

Una favola per… imparare a evitare i condizionamenti e la tendenza al conformismo

Nel fantastico parco acquatico di Waterville le occasioni di divertimento non mancavano! Ce n’era davvero per tutti i gusti… I giganteschi acquascivoli, le cascate artificiali, uno strepitoso acquario tropicale e perfino l’igloo dei pinguini ballerini. Ma tra tutte le attrazioni era proprio la piscina delle foche giocoliere ad essere diventata quella principale. Le spettacolari esibizioni delle foche ammaestrate attiravano a tutte le ore ogni giorno centinaia di curiosi che si divertivano ad ammirare la bravura con cui quei grossi animali facevano roteare la palla sulla punta del naso e la destrezza con cui riuscivano a lanciarla e a riprenderla dopo aver fatto sorprendenti acrobazie. Le foche erano molto orgogliose del loro successo e si consideravano fortunate per le attenzioni e per gli applausi del pubblico ma, soprattutto, per

le gustose ricompense in succulenti bocconcini di pesce che ricevevano da Luigi, il loro addestratore.

Non tutte, però… la foca Beatrice, ad esempio, si annoiava terribilmente ad allenarsi per ore, a contrarre e rilassare il naso per tenerci su la palla, a eseguire innumerevoli rotazioni in equilibrio, a passarla o riceverla dalle compagne. Insomma, ogni singola azione che quel lavoro richiedeva era per lei una grande scocciatura. Come mai, allora, Beatrice era entrata a far parte del gruppo delle foche giocoliere?

La spiegazione è piuttosto semplice: tempo addietro, erano stati proprio i suoi genitori a insistere affinché la figlia partecipasse alle selezioni che si tenevano al parco di Waterville.

«Tesoro, è una fantastica opportunità,» le aveva detto sua madre «non puoi lasciartela scappare, pensa che quando avevo la tua età avrei dato qualsiasi cosa per riuscire a ottenere quel lavoro… purtroppo, non mi hanno preso per una deviazione al setto nasale, ma il tuo nasino è perfetto come, del resto, ogni altra parte del tuo corpo. Sei bella, agile, scattante! Vedrai, vedrai che ti prenderanno.»

«Mia cara,» aveva aggiunto il padre «al giorno d’oggi, per una giovane foca, lavorare come giocoliera a Waterville è il mestiere più ambìto che

esista, oltre ad essere in assoluto il più pagato, non puoi sottovalutare l’aspetto economico, ne va del tuo futuro.»

Così, suo malgrado, e per non deludere le aspettative dei genitori a cui voleva tanto bene, Beatrice si era lasciata convincere a partecipare alle selezioni e quando, poco tempo dopo, giunse la notizia dell’esito positivo delle prove, mamma e papà avevano esultato, convinti che per la loro figlioletta si prospettasse un brillante avvenire ricco di soddisfazioni.

Dal punto di vista di Beatrice, però, la realtà era molto diversa e si sentiva ogni giorno più insoddisfatta… «Uffa, uffa! Che noia questi esercizi!» sbuffava durante gli allenamenti «Luigi ci fa fare sempre le stesse cose! Se almeno potessi usare la coda per respingere la palla sarebbe senz’altro più divertente!».

Eh già, a differenza delle altre foche, a Beatrice era sempre piaciuto usare la sua coda sin dai lontani tempi in cui viveva in mare, e ricordava con nostalgia l’età in cui si sentiva libera di fantasticare sul proprio futuro…

«Da grande farò la codologa» aveva pensato tantissime volte, quando era ancora un cucciolo «e diventerò la più grande esperta al mondo di code di foca,» oppure potrei fare la codografa, o

magari la codicure…» Insomma, purché c’entrasse la coda, Beatrice non metteva alcun limite alla sua fantasia.

«Ma che razza di mestieri sono! Ma se neppure esistono!» Era sempre questo il tipo di risposte che riceveva dalle foche a cui confidava i suoi strampalati progetti.

Ma che importanza aveva se quei lavori non esistevano? Per Beatrice nessuna! Avrebbe potuto essere lei a inventarne qualcuno; in fondo per tutte le professioni, anche quelle più antiche, deve esserci stato per forza qualcuno che ha cominciato a farle per primo. Era così che lei la pensava.

Poi, però, le cose erano andate come erano andate e, adesso che era una foca adulta, il suo lavoro richiedeva degli impegni precisi che nulla avevano a che fare con la coda. Peccato! Eppure, ogni tanto Beatrice tornava a rimuginarci sopra: «Che ne pensate se mostro alla gente cosa so fare con la mia coda?» chiese un giorno alle compagne di vasca «Magari lo apprezzano?» «Sei pazza?» le risposero le altre «Da una foca ci si aspetta che usi il suo naso, le sue pinne ma mai, mai la coda. Non sta bene! Non è educato! Non è professionale! E poi se ti vede Luigi sono guai!»

Così Beatrice, pensando che le sue compagne avessero ragione, giocava con la coda stando bene

attenta a non farsi vedere dagli esseri umani e soprattutto da Luigi che, stando a quanto dicevano le altre, di sicuro si sarebbe arrabbiato. Nelle sere d’estate, al parco di Waterville l’affluenza dei visitatori aumentava, così, oltre le attrazioni acquatiche si organizzavano anche altri eventi: spettacoli teatrali, concerti, mostre e concorsi di ogni genere. Quando Beatrice venne a sapere che proprio ai bordi della loro vasca si sarebbe tenuto un concorso di pittura aperto a tutti i visitatori fu contentissima e andò a dare la notizia a destra e a manca. Nessuna tra le foche, però, si lasciò contagiare dal suo entusiasmo, anzi, le altre non capivano proprio cosa lei ci trovasse di così eccitante. «Si può sapere perché questo concorso ti esalta così tanto? Non lo capisci che per noi è una vera fregatura?» le disse una delle sue compagne «Distoglierà l’attenzione del pubblico dalle nostre esibizioni, la gente si distrarrà per guardare quelli che dipingono e noi dovremo fare il doppio della fatica per farci notare!» Ed era così che la pensavano anche le altre foche: tutte erano piuttosto infastidite. D’altra parte, neanche Beatrice sapeva spiegare perché a lei invece l’idea di quel concorso piacesse così tanto, forse semplicemente perché era una novità… Nel pomeriggio che precedeva l’evento, gli addetti ai lavori disposero intorno alla vasca tutto l’occor-

rente: i cavalletti con le tele, i barattoli di pittura e le tavolozze. Poi, finalmente, arrivò la sera e i partecipanti raggiunsero ognuno il proprio cavalletto e, quando il presentatore diede il via alla gara, cominciarono a dipingere. Nel frattempo, le foche si davano un gran da fare per attirare gli sguardi della gente che, come avevano previsto, era un tantino distratta e guardava un po’ qua un po’ là. Beatrice non mosse una pinna e quando Luigi le lanciò la palla se la lasciò scivolare addosso. Rimase invece tutto il tempo incantata a guardare le abili mani degli artisti che facevano scivolare i pennelli leggeri sulle tele, dando vita a fantastiche figure. «Sarà premiata l’opera che riceverà il maggior numero di voti.» disse il presentatore a conclusione della gara «Non dimenticate di votare il vostro quadro preferito e ricordatevi che avete tempo fino a domani sera.» E così dicendo congedò la folla dandole appuntamento alla serata successiva in cui ci sarebbe stato un ricco spettacolo e, a seguire, la proclamazione del vincitore. Le foche, stanche e un po’ insoddisfatte, andarono subito a dormire: erano abituate a stare al centro dell’attenzione e quella sera, invece, avevano dovuto competere con i pittori. Beatrice, al contrario, girava e rigirava nuotando lungo il perimetro della vasca per ammirare i quadri. C’erano figure

umane, dipinti di animali, paesaggi e fantasiose composizioni astratte.

«Che meraviglia! Che meraviglia!» continuava a ripetere, e fu così che a un tratto scorse un cavalletto su cui era esposta una tela rimasta bianca… Chissà, forse ne era stata messa una in più per sbaglio, oppure qualcuno degli iscritti al concorso non si era presentato… Ad ogni modo, non era importante il motivo per cui fosse lì: quella tela bianca, illuminata soltanto dal chiarore della luna, fu per lei una tentazione troppo forte. «Voglio provarci! Voglio provarci anch’io!» disse tra sé, e senza starci troppo a pensare saltò a bordo vasca dirigendosi verso il cavalletto che reggeva quella candida tela. «Ma come faccio a dipingere?» si domandò Beatrice «Gli esseri umani usano le mani e io non ce le ho!» Ma poi le venne un’idea…

«Ma certo! Perché no? Posso usare la mia coda!»

E così fece: come fosse un pennello, intinse la coda nel barattolo della pittura rossa e tracciò sulla tela una prima linea, curva e spessa. L’effetto le piacque molto e volle provare a farlo anche con gli altri colori. Così, ad ogni cambio di colore, immergeva la coda nella vasca per risciacquarla. Quando la sua creazione fu ultimata sulla tela c’era un’esplosione di colori che si stagliava su uno sfondo azzurro cielo e riproduceva perfetta-

mente un meraviglioso arcobaleno. Contemplando la sua creazione, Beatrice si sentì soddisfatta, perché aveva finalmente osato fare qualcosa che le piaceva davvero! Non sapeva se ci sarebbero state conseguenze, ma in quel momento era così felice che non le importava di altro. Quello che invece non poteva immaginare era che qualcuno l’avesse spiata… Nel cuore della notte, infatti, il custode del parco, sentendo dei rumori sospetti provenire proprio dalla vasca delle foche, aveva pensato di avvertire Luigi che corse immediatamente sul posto per vedere cosa stesse succedendo. «Accipicchia! È incredibile!» Luigi, nel vedere Beatrice all’opera, rimase senza parole e la lasciò fare, osservandola senza farsi notare. Al mattino, per gli innumerevoli risciacqui di coda l’acqua della piscina, ovviamente, era tutta sporca ma Luigi, che al momento non voleva rivelare l’incredibile scoperta, si affrettò a farla sostituire. Durante la giornata, tutto si svolse normalmente: i soliti allenamenti per le foche, e un via vai di persone che andavano a votare il proprio quadro preferito. Poi, finalmente, arrivò la sera… C’era davvero tanta gente, ancor di più di quella del giorno precedente, e poi c’erano gli artisti che avevano partecipato al concorso, tutti in trepidante attesa del momento della premiazione. Lo spettacolo

iniziò e vi fu un susseguirsi di ospiti: cantanti, comici, cabarettisti, ballerini e, per concludere in bellezza, un’esibizione delle foche giocoliere. Sopraffatta dal senso del dovere, questa volta anche Beatrice decise di partecipare alle coreografie: aveva già osato troppo la sera prima… Una volta in scena, però, ripensando all’entusiasmo provato nella notte, le venne voglia di rischiare e, invece di respingere la palla col naso, lo fece con la coda. Alla fine della performance, Beatrice si voltò a guardare timorosa in direzione di Luigi e, meraviglia delle meraviglie, lui non sembrava affatto arrabbiato, anzi, lo vide sorridere.

«Cari amici,» annunciò a un certo punto il presentatore «finalmente ci siamo, il momento più atteso è arrivato e tra qualche minuto scopriremo insieme il quadro che ha ottenuto il maggior numero di voti.» Fece quindi un cenno al di là delle quinte e apparve allora una splendida ragazza che indossava un lungo abito verde, perfettamente intonato al colore dei suoi occhi, che lo raggiunse spingendo un carrellino coperto da un telo.

«Siete pronti a scoprire il quadro vincitore?» domandò.

«Sìì!» gridò il pubblico in coro. «Siete davvero pronti?» Chiese nuovamente per aumentare la suspance e, nel frattempo, tutti

i concorrenti fremevano nella speranza di veder premiata la propria creazione.

«Sìì!» replicò il pubblico.

«Bene! Allora contiamo tutti insieme e al tre sveleremo il misterioso quadro vincitore… e, naturalmente, invito l’artista che riconoscerà la sua opera a raggiungermi qui sul palco.»

«Uno… due…tre…» E sotto gli occhi curiosi dei presenti la valletta alzò il drappo che copriva il quadro, scoprendo una coloratissima tela che raffigurava un meraviglioso arcobaleno.

«Wow!» esultò Beatrice dentro di sé «È proprio il mio quadro!» Non poteva certo reclamarne la vincita, ma sentì nel cuore un tuffo di felicità e si sistemò ai bordi della vasca per godersi la scena.

Ci fu un lungo applauso e poi, visto che nessuno si presentava a ritirare il premio, qualche minuto di imbarazzante vuoto… «Chi è l’autore di questo quadro?» chiese il presentatore, e tra il pubblico calò il silenzio. Alcuni fecero una smorfia e alzarono le spalle lasciando chiaramente intendere che non ne avevano idea così, pur cercando di non darlo a vedere, il presentatore cominciò a innervosirsi…

«Insomma, è possibile che nessuno abbia visto chi ha dipinto questo quadro?» disse. «È stata Beatrice» rispose a un certo punto Luigi, facendosi

largo tra la folla e raggiungendo il palchetto delle premiazioni.

«Bene! Bene!» esclamò il presentatore sollevato «Finalmente! Qualcuno che conosce l’artista…

Ma si può sapere dov’è questa signorina Beatrice e perché non viene qui a ritirare il suo premio?»

«Be’, veramente Beatrice non è una signorina… è una foca… eccola lì!» esclamò l’addestratore indicandola. Beatrice fu molto sorpresa e ne approfittò per salutare i presenti agitando la coda.

Il pubblico scoppiò a ridere, nessuno poteva credere che una foca avesse dipinto quel quadro; il presentatore, poi, era molto infastidito: come osava quel tale intrufolarsi nel suo show e interromperlo con una simile sciocchezza?!

Gli avrebbe volentieri dato un calcio nel sedere per farlo precipitare nella vasca insieme alle sue foche, ma sapeva bene che un professionista serio non può lasciarsi andare a simili escandescenze…

Cercò dunque di nascondere la propria irritazione e provò a ribaltare la situazione fingendo di divertirsi: «Oh oh oh, questo signore è proprio simpatico!» disse, dopo aver simulato una risata «E scommetto che invece di addestrare le foche vorrebbe diventare un comico… Complimenti, ha di certo buone possibilità!».

«Bene, ma adesso siamo seri,» proseguì il presentatore e, rivolgendosi direttamente a Luigi, disse: «dato che lei lavora in questo posto, le lascio il premio, così potrà darlo al vero vincitore quando si deciderà a ritirarlo» e così, togliendosi dall’impiccio, gli consegnò il trofeo.

Tra gli applausi e i fischi di chi trovava inopportuno il modo in cui si era conclusa la serata, Luigi afferrò il premio e sorrise imbarazzato. C’era poco da fare ma in quell’occasione non sarebbe mai riuscito a convincere il pubblico che era stata proprio una foca a meritarsi quel premio.

«Mi spiace, piccola,» pensò Luigi volgendo lo sguardo verso Beatrice «ma adesso che conosco il tuo talento troverò il modo di darti giustizia.»

Beatrice però non si sentiva delusa per come erano andate le cose, anzi, tutt’altro! Forse quello era solo l’inizio di una straordinaria carriera di pittrice o forse no… magari si sarebbe data da fare per realizzare qualche altro fantasioso progetto seguendo l’ispirazione della sua coda.

Comunque fossero andate le cose, si sentiva felice e fiera di sé come non lo era mai stata prima, perché aveva finalmente trovato il coraggio di ascoltare il suo cuore.

SCHEDA

QUANTO PESA LA TUA FOCA?

Leggi le seguenti affermazioni e colora i pesi accanto a quelle in cui ti ritrovi.

Spesso mi sento insicuro e prima di agire vedo cosa fanno gli altri.

Per me è molto importante possedere vestiti o accessori e oggetti alla moda.

Preferisco passare inosservato piuttosto che essere considerato un tipo strano.

Faccio quasi sempre quello che gli altri si aspettano da me per paura di essere giudicato male o di ferire gli altri.

Per me è fondamentale sentirmi parte di un gruppo anche se sento di avere poco in comune con i suoi membri.

Ho l’impressione che le cose che ho o che faccio le abbia scelte o decise qualcun altro.

Mi comporto sempre in modo conciliante anche in situazioni in cui sento che dovrei fare tutt’altro.

Se mi viene un’idea che reputo originale spesso la scarto pensando che potrei ricevere critiche.

E adesso conta i pesi che hai colorato e leggi il profilo corrispondente.

Da 0 a 1

Ottimo! La tua foca è in forma smagliante! Non può darti alcun problema!

Da 2 a 4

Attenzione! La tua foca è un po’ fuori forma. Aiutala ad allenarsi a modificare pensieri e comportamenti negativi. Ritornerà in perfetta forma!

Da 5 a 8

Accipicchia! La tua foca è davvero ingombrante… Tienila d’occhio e addestrala con dolcezza a cambiar modo di pensare e di agire. I risultati non tarderanno ad arrivare!

SCHEDA 7b

di felicità, Trento, Erickson

R. Corallo, 11

NUOTANDO CONTROCORRENTE

Aiuta la foca Beatrice a imparare ad andare controcorrente! Sopra ciascuna frase, scrivine un’altra che esprima il concetto contrario.

Rinuncerò ai miei sogni per non deludere le aspettative di chi mi vuole bene.

Devo stare molto attenta a ciò che gli altri pensano di me.

Essere originali è pericoloso: molto meglio seguire le mode e le tendenze.

Leopoldo, il koala nel cassetto

Una favola per… imparare ad essere indipendenti

Il buio della sera era già calato sulla fitta vegetazione della foresta australiana, quando all’improvviso, tra i rami di un grande albero di eucalipto, si accesero mille lucciole e partì un coro: «Tanti auguri a te… Tanti auguri a te, tanti auguri Leopoldoooo! Tanti auguri a teee!».

Tutti i koala applaudirono e il festeggiato, un po’ frastornato, ma felice per quella inaspettata festa, organizzata proprio in suo onore, soffiò forte e spense la candelina posta in mezzo alla torta di foglie balsamiche. Compiere un anno per un koala è una tappa davvero importante perché segna il passaggio alla vita adulta. Per l’occasione erano venuti amici e parenti che, oltre a festeggiarlo, gli sarebbero stati vicini in un momento molto delicato della sua vita; quello della separazione dalla sua mamma. Quella stessa sera, infatti, la

mamma di Leopoldo sarebbe andata ad abitare da un’altra parte. Chi conosceva bene il piccolo koala si sarebbe aspettato di assistere a una scena straziante, con tanto di lacrime, baci e abbracci infiniti… E invece, stranamente, non accadde nulla di tutto ciò. La separazione dalla sua mamma fu molto meno triste del previsto.

«Non preoccuparti, mammina,» disse Leopoldo «ci rivedremo presto, in fondo vai a vivere soltanto due alberi più avanti e poi…» aggiunse «lo sai, con Maurizio io non mi sento mai solo!»

La mamma, che sapeva già a cosa suo figlio si riferisse, scosse la sua testolina pelosa in segno di disapprovazione: «Leopoldo mio!» esclamò, «Ormai sei grande e dovresti smetterla con questa stupida storia!». Gli altri koala si chiedevano invece che animale fosse questo misterioso Maurizio, dato che tra loro non c’era nessuno con quel nome. Che Maurizio non fosse un koala era dunque cosa certa, ma allora che altro poteva essere?

«Forse non si tratta di un animale,» pensarono alcuni koala «magari è una persona…» Altri, invece, iniziarono a fantasticare facendo le ipotesi più strane. C’era chi arrivò a pensare che fosse uno gnomo, chi un folletto e chi addirittura un fantasma.

Nessuno, comunque, quella sera riuscì a indovinare. Maurizio, infatti, non era né un animale, né una persona e neppure una tra tutte quelle fantasiose supposizioni si rivelò azzeccata. Quando, qualche tempo dopo, si scoprì la verità, tutti rimasero molto sorpresi e anche parecchio perplessi.

Maurizio era un ramo! Sì, sì, può sembrare strano… ma era soltanto e semplicemente un ramo!

A differenza degli altri koala, che sui rami si limitavano a passeggiare e ad aggrapparsi per dormire, Leopoldo col «suo» aveva un rapporto del tutto speciale. Un giorno aveva iniziato a parlargli e, pur non avendo mai ottenuto alcuna risposta, aveva continuato arrivando perfino a dargli un nome…

«È un vero peccato che Maurizio non mi risponda!» sospirava, di tanto in tanto, Leopoldo. Almeno su questo però non si faceva troppe illusioni: sapeva bene che i rami degli alberi non parlano con i koala e, in fin dei conti, ciò che per lui era veramente importante era che aggrappato al suo ramo si sentiva al sicuro. Così ogni sera, prima di dormire, dopo aver raccontato a Maurizio la sua giornata nei minimi dettagli, gli sussurrava frasi affettuose del tipo «Io e te non ci lasceremo mai!» e, infine, gli augurava la buonanotte.

Un mattino, apparentemente uguale a tanti altri, tra gli abitanti del grande eucalipto la vita scorreva nella sua allegra normalità. Nulla lasciava presagire che da lì a poco sarebbe accaduto qualcosa di sconvolgente…

«Che succede? Cos’è stato?» L’improvviso rumore del rombo di un motore che proveniva da un sentiero a ridosso della fitta boscaglia mise i koala in allarme… Poco dopo, infatti, le spaventatissime bestioline videro due uomini avvicinarsi al loro grande albero. Uno trascinava una scala di legno e l’altro portava a tracolla una sega elettrica. Il loro aspetto non lasciava alcun dubbio, e purtroppo anche le loro intenzioni non erano un mistero…

Accidenti! Quei due erano proprio dei taglialegna!

Arrivati sotto l’albero, la scala fu appoggiata al tronco e, mentre uno la reggeva, l’altro, quello con la sega a tracolla, salì fino all’altezza della chioma e senza alcun indugio cominciò a tagliarne il primo ramo.

In men che non si dica, i koala, in preda al panico, fuggirono e cercarono rifugio tra i rami di altri alberi. Leopoldo, invece, rimase immobile sperando con tutte le sue forze che il suo ramo fosse risparmiato. Le cose però non andarono come lui sperava e arrivò il temuto momento in cui i

denti aguzzi della sega cominciarono a infierire sulla «tenera» corteccia di Maurizio…

«Presto, Leopoldo, fai presto! Vai via da lì, è pericoloso!» gli altri koala, sparpagliati tra i rami degli alberi vicini, lo osservavano preoccupati e lo incitavano a sbrigarsi a scappare.

Era dunque giunta l’ora di separarsi da Maurizio?

Neanche per sogno! Leopoldo non poteva sopportarne l’idea, così invece di lasciare il ramo, come tutti si aspettavano facesse da un momento all’altro, vi si aggrappò ancora più forte e si appiattì cercando di aderire il più possibile alla sua corteccia.

«Non posso lasciarti, Maurizio…» disse «non posso vivere senza di te! Accada quel che accada, ti seguirò anche in capo al mondo!».

Il ramo Maurizio, insieme agli altri tagliati, fu trasportato a mano dai due uomini fino al sentiero, poi caricato su un autocarro e dopo un tragitto, che al piccolo koala sembrò interminabile, fu scaricato nel magazzino di una falegnameria.

Osservando ciò che accadeva in quel posto, Leopoldo capì che vivere attaccato a Maurizio non sarebbe stata più la stessa cosa. Lì, i rami venivano trasformati in altri oggetti, poi venduti e trasferiti chissà dove…

Quando giunse il momento di Maurizio, Leopoldo fu costretto a separarsene momentanea -

mente, così si nascose dietro una pila di assi, affacciandosi spesso per poter seguire i lavori, e facendo molta attenzione a non perdere di vista il suo ramo, nel caso in cui, tolte le foglie e la corteccia, non fosse stato più capace di riconoscerlo.

A lavoro finito, Leopoldo scoprì che Maurizio era stato trasformato in un cassetto: era il secondo cassetto di un bel comò in stile classico. A quel punto, secondo il koala, non c’era più alcun motivo per restare ancora separato da lui, e senza esitare vi si rifugiò dentro.

«Hai visto, Maurizio, siamo di nuovo insieme! E dai, non fare quella faccia, sei carino anche così… questa maniglia di ottone ti sta benissimo! Insieme faremo grandi cose!» In realtà, non è che all’interno di un comò ci fosse poi granché da fare, comunque, per Leopoldo si presentava un nuovo problema: ora che Maurizio era senza foglie, lui non aveva più di che cibarsi. Di tanto in tanto quindi doveva uscire per procurarsi un po’ di cibo, e ogni volta stare molto attento a non farsi vedere dagli esseri umani. Trascorsero alcuni giorni, e il comò fu acquistato da un tale che se lo fece mandare a casa e mettere in camera da letto.

«Speriamo che in questa casa abbiano delle piante con un buon sapore…» pensava Leopoldo

«altrimenti mi toccherà uscire e non vorrei stare troppo tempo lontano da Maurizio!»

A interrompere i suoi pensieri, giunse la voce di un uomo, e a seguire da quella di una donna che entrarono nella stanza: «Hai visto, cara, che bel comò che ho comprato?» disse l’uomo rivolgendosi alla moglie.

«Eh già, è proprio un bel mobile!» rispose la signora «Ma adesso vieni di là, andiamo a prendere la biancheria, così la metto nei cassetti: magliette nel primo, calzini nel secondo e mutande nel terzo.»

«Hai sentito, Maurizio?» esclamò Leopoldo, «Tu sei il secondo cassetto e ti riempiranno di calzini. Be’, io avrei preferito le magliette, comunque… sempre meglio che le mutande! Speriamo che almeno li lavino per bene, non vorrei ci dovessimo subire la puzza dei loro piedi!

Ma adesso basta chiacchiere, devo pensare a nascondermi per bene. Se mi accuccio in fondo all’angolino, la signora non dovrebbe beccarmi, e poi, per sistemare un cassetto mica ci si infila la testa! Tranquillo, Maurizio, vedrai che andrà tutto bene!»

Evidentemente, Leopoldo non aveva fatto bene i suoi calcoli; la signora, infatti, pur non infilandoci la testa, mentre riempiva il cassetto venne a contatto con la sua calda e soffice pelliccetta che

al tatto risultò molto diversa da un paio di calzini. Tirò fuori quella strana «cosa» toccata e quando si accorse che era un animale lanciò un urlo di terrore lasciandolo cadere per terra.

«Aiuto, aiuto! C’è un orso nel cassetto!» strillò.

«Un koala, signora, sono un koala!» avrebbe voluto puntualizzare Leopoldo, orgoglioso della propria specie, ma capì benissimo che non era certo il momento più adatto per quel genere di precisazione. E poi, era chiaro che alla signora non piaceva affatto l’idea di ospitare nel cassetto del proprio comò un animale, di qualunque specie fosse…

Separarsi da Maurizio, a questo punto, fu inevitabile. Leopoldo, con un balzo, raggiunse il davanzale della finestra e sgattaiolò fuori.

«Addio, Maurizio!» disse tra le lacrime e i singhiozzi guardandolo per l’ultima volta attraverso i vetri «Siamo davvero stati bene insieme, ma adesso il destino crudele ha proprio deciso di separarci» e, senza aggiungere altro, si avviò mesto mesto verso la foresta, sperando che nel frattempo il grande eucalipto non fosse stato abbattuto.

Per fortuna, l’albero era ancora lì: mancavano alcuni rami ma su quelli rimasti erano tornati ad abitarvi i koala. «Leopoldo, finalmente sei tornato!» Gli amici lo accolsero con grande entusiasmo «Ma dove sei stato tutto questo tempo?» gli chiesero.

«Lasciate perdere,» rispose lui «è una lunga storia e mi fa ancora troppo male parlarne, ho bisogno di stare un po’ da solo…» e così dicendo andò a scegliersi un nuovo ramo su cui riposare.

Trascorsero solo alcuni minuti e poi gli venne spontaneo parlare…

«Che ne dici di Giuseppe?» disse rivolgendosi al ramo «Ti piace questo nome? Bene, bene,» concluse sfregandosi le zampe «sono sicuro che ti piace… E allora, mio caro Giuseppe, ti informo che tu sarai il mio nuovo amico, anzi il mio migliore amico e io e te non ci lasceremo mai. Che ne dici? Sei felice, Giuseppe?»

«Oh no, ci risiamo!» pensarono i koala che origliavano dai rami vicini e qualcuno, parafrasando un vecchio proverbio ascoltato dagli esseri umani, disse «Il koala perde il ramo ma non il vizio!»

Dopo qualche tempo trascorso in tranquillità con il suo nuovo amico Giuseppe, l’odioso rumore del motore e poi quello della sega elettrica tornarono a sconvolgere la quiete tra gli abitanti del grande eucalipto. Leopoldo si sentì rabbrividire, ma anche questa volta non ce la fece a staccarsi dal suo ramo. «Accada quel che accada» disse tra sé e sé «ma io Giuseppe non lo mollo! Tranquillo, Giuseppe, resterò con te, sempre con te.»

Leopoldo era un po’ meno spaventato della prima volta perché grosso modo sapeva cosa lo aspettava: avrebbe fatto un viaggio fino alla segheria, poi si sarebbe dovuto separare da Giuseppe durante la lavorazione, senza però perderlo di vista, e poi ci sarebbe stato il trasferimento in una casa. Era soltanto curioso di scoprire cosa ne avrebbero fatto di Giuseppe.

Tutto si svolse come Leopoldo aveva immaginato, eccetto un particolare: Giuseppe non diventò la parte di un mobile, così come era avvenuto per Maurizio, ne fu invece fatto un remo e la sua destinazione non fu dunque un appartamento, ma una barca.

«Oh no, Giuseppe!» esclamò il koala preoccupato «Con tante cose che potevano farne di te, giusto giusto un remo dovevano scegliere? E poi… come la mettiamo col fatto che io soffro il mal di mare?»

Star vicino a Giuseppe si rivelò per Leopoldo un po’ troppo impegnativo… non solo durante la navigazione, in cui per non farsi scoprire se ne doveva stare appeso sotto la seduta del barcaiolo, ma anche quando la barca era ancorata al pontile e gli spruzzi delle onde che la facevano vacillare lo inzuppavano dalle orecchie fino alla coda. Per il povero koala anche riuscire a prender sonno era diventato un grosso problema.

«È dura Giuseppe, è molto dura!» sospirava Leopoldo «Ma io ho bisogno di te e non ho alcuna intenzione di andar via.»

Il vero pericolo però arrivò in una notte di tempesta, quando una violenta ondata travolse la barca scaraventandolo in mare. Leopoldo nuotò verso la terraferma e riuscì a salvarsi per miracolo. Bagnato fradicio e avvilito, non gli restava che ammettere che l’unica cosa giusta da fare era separarsi da Giuseppe e ritornare all’albero. Dovette camminare molto a lungo: il mare era parecchio distante dalla foresta.

Arrivò al grande albero esausto e, ancora una volta, senza voler dare spiegazioni a nessuno, si aggrappò mogio mogio al primo ramo che gli capitò sotto la zampa.

I koala tesero le orecchie, sperando che finalmente Leopoldo avesse imparato la lezione, ma dopo qualche minuto udirono la sua voce.

«Fa’ un po’ assaggiare le foglie, fa’ sentire il profumo della corteccia… Penso che Nicola per te sia perfetto… Sì! Sì! Sì!» esultò Leopoldo «Ti chiamerò Nicola!»

«Accidenti!» pensarono i koala «Ma questo è proprio un caso disperato! È incorreggibile!»

Ma poi, inaspettatamente, il discorso di Leopoldo continuò in modo diverso dal solito. «Caro il mio Nicola,» disse «sono sicuro che io e te staremo

benissimo insieme… Però ascoltami bene, non farti illusioni: se domani o in futuro arriveranno qui i taglialegna io andrò via. Spero che tu non ci rimanga troppo male, ma ho capito che la mia vita è troppo importante per farla dipendere da te o da chiunque altro.»

Quando finì il suo discorso, che credeva di aver fatto in intimità con il suo nuovo amico ramo, il giovane koala si sentì tranquillo come non lo era mai stato e scivolò in un sonno profondo. Trascorsero soltanto alcuni minuti quando Leopoldo fu svegliato, all’improvviso, da un abbagliante luccichìo intermittente a cui fece seguito uno scrosciante applauso. Era proprio come la sera del suo compleanno: c’erano tutti gli amici, i parenti, i conoscenti e che strano… c’era perfino la sua mamma!

«Un momento! Un momento! Qui deve esserci un errore,» disse Leopoldo «siete molto gentili ad aver organizzato una festa per me, ma vi state sbagliando, oggi non è il mio compleanno.»

«È un giorno ancora più importante,» esclamò la sua mamma «finalmente sei cresciuto, hai imparato a essere indipendente!» e partì un altro applauso, ancora più lungo di quello di prima. E di sicuro, se avessero potuto, avrebbero applaudito anche il ramo Nicola, il remo Giuseppe e il cassetto Maurizio…

SCHEDA 8a

QUANTO PESA

IL TUO KOALA?

Leggi le seguenti affermazioni e colora i pesi accanto a quelle in cui ti ritrovi.

Prima di prendere una decisione chiedo sempre consigli.

Penso che sarà difficile realizzare i miei sogni se qualcuno non mi darà una mano.

Quando ho un problema mi rivolgo a qualcuno che possa risolvermelo.

Se ho un amico del cuore mi importa poco degli altri e vorrei stare sempre con lui.

Mi dispiace sempre staccarmi, anche se per poco, dalle persone a cui sono più legato.

Mi capita di dire delle bugie per non dispiacere o far arrabbiare una persona cara.

Quando qualcuno che per me è importante dedica del tempo ad altri mi sento tradito.

Chiedo spesso il permesso di fare le cose, anche quando non ce ne sarebbe bisogno.

E adesso conta i pesi che hai colorato e leggi il profilo corrispondente.

Da 0 a 1

Ottimo! Il tuo koala è in forma smagliante! Non può darti alcun problema!

Da 2 a 4

Attenzione! Il tuo koala è un po’ fuori forma. Aiutalo ad allenarsi a modificare pensieri e comportamenti negativi. Ritornerà in perfetta forma!

Da 5 a 8

Accipicchia! Il tuo koala è davvero ingombrante… Tienilo d’occhio e addestralo con dolcezza a cambiar modo di pensare e di agire. I risultati non tarderanno ad arrivare!

SCHEDA 8b

2013, R. Corallo, 11 favole di felicità, Trento, Erickson

DICHIARAZIONE D’ INDIPENDENZA

Leopoldo vuole scrivere una lettera indirizzata al suo amico ramo. Aiutalo ad elencare tutte le cose che potrà fare adesso che ha deciso di staccarsi da lui.

Ingrid, il canguro

collezionista

Una favola per… imparare a liberarsi dai condizionamenti del passato

Tutto ebbe inizio un’estate di tanti anni fa, quando Ingrid, una giovane cangurina con la testa piena di sogni e, data la tenera età, il marsupio ancora vuoto, trovò sulla spiaggia una bellissima conchiglia… era tutta bianca screziata di rosa e con dei riflessi argentati che riflettevano la luce del sole. Ingrid la raccolse e poi l’avvicinò all’orecchio per sentire il rumore del mare.

Fu proprio in quello stesso istante che da dietro una duna apparve uno splendido esemplare di canguro. Incuriosita da quell’affascinante sconosciuto, Ingrid ripose la conchiglia dentro il suo marsupio per concentrarsi a osservarlo.

«Pensavo che certe meraviglie si potessero ammirare solo sui giornali!» Esordì lui non appena le fu vicino. Era chiaro che stava tentando di attaccare bottone…

«Eh già, hai proprio ragione,» rispose lei «questo posto è davvero fantastico!»

«No, non dicevo del posto,» precisò lui «mi riferivo a te, ai tuoi occhi, alla tua bellezza, alla tua grazia! Senza di te questa spiaggia sarebbe uguale a mille altre…»

«Oh, com’è gentile! Oh, quant’è romantico!» pensò Ingrid «Ai tempi d’oggi è difficile incontrare canguri così!» e, inutile negarlo, si sentì profondamente attratta da lui e lusingata da tutti quei complimenti.

«Io mi chiamo Roberto» disse lui tendendole la zampa e non smettendo neanche per un attimo di guardarla negli occhi.

«E io sono Ingrid» rispose lei ricambiando lo sguardo e la stretta di zampa. Tra loro fu amore a prima vista!

Quello stesso pomeriggio saltarono insieme in riva al mare. Si rividero il giorno successivo e quelli ancora dopo, finché andarono a vivere insieme con l’idea di metter su una nuova famiglia. Dalla loro unione nacquero otto splendidi cangurini di cui Ingrid era molto orgogliosa.

Ma un giorno, anzi un brutto giorno, le tenere orecchie di Ingrid udirono una terribile frase che non avrebbero mai voluto sentire…

«Non ti amo più, mi dispiace» le disse Roberto senza troppi giri di parole e saltò via da lei spa-

rendo per sempre dietro quella duna da cui era apparso.

Abbandonata dal suo grande amore, proprio sulla stessa spiaggia dove tanti anni prima si erano incontrati, Ingrid pianse tutte le sue lacrime. «Sono stata proprio una sciocca a fidarmi di lui» sospirava singhiozzando; poi, a un tratto, il suo sguardo cadde su un guscio di una cozza. Era nera nera, proprio come il suo umore di quel momento, così d’impulso la raccolse e la infilò nel marsupio, che adesso era occupato, oltre che dalla conchiglia, anche dai suoi otto figli.

Col passare del tempo, Ingrid iniziò ad accumulare cozze e conchiglie; non sempre le capitava di trovarle al momento giusto, come era accaduto le prime volte, così prese l’abitudine di andarsele a cercare. Raccoglieva una conchiglia quando le accadeva qualcosa di bello e una cozza se invece si trattava di un evento spiacevole.

Tra gli alti e bassi della vita, tra le gioie e i dolori, la collezione di Ingrid continuava ad arricchirsi sempre di nuovi pezzi.

«Mammina,» le chiese un giorno uno dei suoi figli «ma le conchiglie e le cozze sono nostre sorelle?» e nel frattempo anche gli altri sette cangurini fecero capolino dal marsupio perché anche loro erano curiosi di sentire la risposta…

«Oh no, tesoro, certo che no! Ma come ti viene in mente una cosa del genere?» rispose Ingrid sorridendo.

«E allora perché stanno nel marsupio con noi?»

«Sono i miei ricordi» spiegò Ingrid «e ci tengo ad averli sempre con me.»

«Ma qua dentro siamo già in otto!» esclamò il cangurino «E si sta un po’ stretti… e poi,» aggiunse «senza tutto quel peso potresti venire a giocare con noi!»

«Mi dispiace di non riuscire a saltare come una volta, ma i miei ricordi sono troppo importanti» sospirò Ingrid lasciando chiaramente intendere ai figli che non aveva alcuna intenzione di disfarsi della sua collezione.

«Pazienza!» commentò il piccolo canguro una volta rientrato nel marsupio «Lo avete sentito anche voi,» disse rivolgendosi agli altri «mamma non rinuncerà alle sue cianfrusaglie, quindi ci tocca stare ammassati come le sardine».

«Eh già,» gli rispose una delle sue sorelle «per fortuna, però, stiamo crescendo e presto potremo andarcene da qui. Non ne posso più di sentirmi gusci che mi comprimono sulle costole o che si infilano tra le zampe!»

Ingrid ci rimase un po’ male a sentire i suoi figli parlare così ma poi si consolò pensando che

il desiderio di crescere e di essere indipendenti è una cosa naturale.

Una volta cresciuti, i cangurini infatti lasciarono, uno dopo l’altro, il marsupio della mamma e, sebbene fosse una legge di natura, Ingrid provò comunque un gran dispiacere. Così, per ogni figlio che andava via, raccolse una nuova cozza che si andò a sommare alle tante conchiglie che aveva raccolto per tutti i momenti di gioia che i suoi piccoli le avevano dato.

Con tutto quell’ingombro nel marsupio, saltare divenne sempre più difficile e faticoso, per questo Ingrid rinunciava sempre agli inviti delle amiche.

Nessuno, però, a parte i suoi figli, sapeva della sua strana raccolta, così le amiche, vedendola col pancione e sempre più goffa e impacciata nei movimenti, si misero in testa una certa idea…

«E allora, Ingrid, a quando il lieto evento?» le chiese Marcella, che tra tutti i canguri di sua conoscenza era la sua migliore amica.

«Lieto evento? Ma a che ti riferisci?» Ingrid non riusciva proprio a capire…

«La tua pancia, Ingrid! Sembra voler scoppiare da un momento all’altro! È evidente che presto darai alla luce dei figli! Ma perché non hai detto nulla? Volevi fare a tutti una sorpresa?»

«Oh no! Ma cos’avete capito? Non c’è nessun cangurino in arrivo, è soltanto che nel marsupio ci tengo la mia collezione» spiegò Ingrid.

«Ah sì? E che cosa collezioni?» domandò l’amica incuriosita.

«Conchiglie e cozze!» rispose Ingrid, vuotando il marsupio per mostrale il contenuto.

«Uhm… carine…» commentò Marcella, ma senza troppo entusiasmo «Quello che però non capisco è perché ti porti appresso tutta questa roba.»

«Be’, non si tratta di una semplice collezione fatta così, tanto per…» precisò Ingrid «Ogni pezzo della mia raccolta è un momento speciale della vita: ogni conchiglia mi ricorda una gioia e ogni cozza un dolore!»

«Ah, capisco!» disse Marcella «Un po’ tutti facciamo collezioni di questo tipo, anche se spesso si tratta di pensieri, solo che portarseli addosso mi sembra una pessima idea. Guarda come ti sei ridotta!» aggiunse «Non ce la fai neanche a saltare, è un ingombro pazzesco! Devi assolutamente disfartene!»

«Non ce la faccio! Non ce la faccio!» rispose Ingrid «C’è tutta la mia vita qua dentro, pensa che dopo tutto questo tempo che le porto con me mi sono affezionata anche alle cozze!»

Marcella però fu molto insistente «Ascolta, Ingrid, se ti dico questo è soltanto per il tuo bene… devi disfartene, devi assolutamente disfartene!»

«E va bene! Va bene!» acconsentì Ingrid «Getterò via i gusci di cozza, ma non posso mica separarmi dalle mie conchiglie!»

«Non serve che butti via niente,» disse l’amica «l’importante è che smetti di portarteli appresso.»

«Forse hai ragione» ammise Ingrid «ma dove lascio la mia preziosa collezione?»

«Ma lasciala a casa, no?»

«E se poi me la rubano?» obiettò Ingrid.

«Tranquilla! Non la toccherà nessuno: a chi vuoi che interessino dei vecchi gusci?»

«Mah, forse è come dici tu, comunque, per sicurezza, metterò un antifurto» concluse Ingrid, e le due amiche si salutarono.

Ingrid allora, dopo aver fatto installare in casa il più potente degli antifurti, si recò da un canguro falegname e si fece costruire un elegante scaffale di legno pregiato con le mensoline di cristallo e lo sistemò sulla parete più in vista del salotto. Iniziò quindi a esporre la sua preziosa collezione.

«Marcella è una vera amica!» pensò la prima volta che uscì di casa; si sentiva finalmente leggera come una farfalla, e senza il peso della sua collezione poteva finalmente correre e saltare. Era

come se fosse ringiovanita di almeno dieci anni. Quando tornava a casa, però, la sua collezione assorbiva tutto il suo tempo. Doveva spolverare con cura le conchiglie perché nelle loro venature si annidava sempre un sacco di polvere. I gusci di cozza, invece, tendevano a diventare opachi e lucidarli fino a farli brillare le costava molto impegno e tanta fatica.

Ingrid era molto orgogliosa della sua collezione e prese l’abitudine di invitare a casa sua amici e parenti per il piacere di mostrarla, ma non si limitava solo a questo: di ogni pezzo ne raccontava tutti i dettagli, ricordando di quando, come e perché l’aveva trovato e soprattutto cosa rappresentasse per lei… con questi lunghi discorsi tratteneva i suoi ospiti per ore e ore.

Accadde così che le visite cominciarono a diradarsi.

«Marcella, mi sei rimasta solo tu,» disse un giorno con le lacrime agli occhi alla sua più cara amica «nessuno viene più a trovarmi e se faccio degli inviti tutti li rifiutano con una scusa. Non so proprio perché mi evitano, io sono sempre così gentile…»

«Lo so io!» rispose secca Marcella. «Lo sai?» esclamò Ingrid «E allora perché non me lo dici?»

«Senti, cara,» disse Marcella «mi dispiace tanto dovertelo dire, ma la verità è che sei diventata insopportabile! Non fai altro che raccontare nei minimi dettagli delle tue cozze e delle tue conchiglie, non se ne può più di starti a sentire! Ingrid, ascoltami bene, credo che non sia stata una buona idea quella di esporre la tua collezione in salotto, è arrivato il momento di metter via tutta questa roba. Riponi tutto in una scatola e portala in cantina!»

«E che cosa ci metto in questo scaffale? Mi è costato una fortuna, è un vero peccato lasciarlo vuoto!» esclamò Ingrid.

«Questo io non lo so» rispose Marcella «ma sono sicura che ti verrà in mente qualcosa, e se anche non ti dovesse venire, non è certo un problema! Intanto è necessario svuotarlo, se vuoi posso aiutarti io, però facciamolo subito, prima che tu possa cambiare idea.»

Ingrid accettò l’aiuto di Marcella e quando, a lavoro finito, l’amica andò via si ritrovò a fissare disorientata quello scaffale tutto vuoto…

Era strano e anche un po’ triste vederlo così: adesso il suo passato era tutto in cantina.

«Potrei iniziare una nuova collezione» pensò Ingrid e cominciò a pensare alle varie possibilità ma poi, per fortuna, si rese conto che era una pessima idea…

«Basta accumulare cose!» disse tra sé e sé «Adesso è tempo di vivere» e senza pensarci più uscì di casa saltellando senza una mèta precisa. Era una bella sensazione sentirsi libera, veramente libera e aperta a ogni possibilità che il futuro le avrebbe riservato.

Col tempo, il suo scaffale si riempì di nuovo, ma questa volta non si trattava di una nuova collezione: c’erano deliziose piantine e fiori freschi che i suoi amici, vecchi e nuovi, le regalavano quando andavano a trovarla, ma c’erano anche dei libri, adesso che Ingrid aveva tempo per leggere. Nella mensolina centrale, invece, faceva bella mostra di sé il ritratto di un affascinante canguro… No, non si trattava di Roberto: senza l’ingombro di quella vecchia collezione, adesso nella sua vita c’era lo spazio per tante nuove emozioni e anche per un nuovo amore!

QUANTO PESA

IL TUO CANGURO?

Leggi le seguenti affermazioni e colora i pesi accanto a quelle in cui ti ritrovi.

Penso di conoscere molto bene i miei difetti e quando sbaglio mi giustifico dicendo che sono fatto così.

Credo che cambiare sia molto difficile, quasi impossibile!

Ho paura che in futuro possano ripetersi esperienze negative già vissute.

Nel presente non mi accorgo mai di essere felice.

Mi è difficile ritentare qualcosa che in passato è andata male.

Trascorro molto tempo a ripensare i momenti più belli e più brutti della mia vita.

Dico spesso frasi come «Non sono capace di…», «Non sono portato per…», «Sono fatto così», ecc.

Mi capita spesso di provare nostalgia per cose o persone che adesso non fanno più parte della mia vita.

E adesso conta i pesi che hai colorato e leggi il profilo corrispondente.

Da 0 a 1

Ottimo! Il tuo canguro è in forma smagliante! Non può darti alcun problema!

Da 2 a 4

Attenzione! Il tuo canguro è un po’ fuori forma. Aiutalo ad allenarsi a modificare pensieri e comportamenti negativi. Ritornerà in perfetta forma!

Da 5 a 8

Accipicchia! Il tuo canguro è davvero ingombrante… Tienilo d’occhio e addestralo con dolcezza a cambiar modo di pensare e di agire. I risultati non tarderanno ad arrivare!

SCHEDA 9b

FELICITÀ

OLTRE LE DUNE

Indica a Ingrid il percorso corretto per arrivare alla chiave della felicità! Colora le dune su cui sono scritti pensieri positivi e uniscile con una linea evitando le altre.

Sono destinata a ripetere i miei errori.

Se ho sbagliato posso riprovare e potrebbe andar bene.

Posso certamente correggere i miei difetti e diventare migliore.

Devo rassegnarmi ai miei difetti. Migliorare è impossibile!

Non riuscirò mai più ad essere felice come una volta.

La felicità è nel presente, devo solo imparare a vederla.

Ugo, il polpo in un mare di ingiustizie

Una favola per imparare… a non lasciarsi tormentare dal senso di ingiustizia

Nelle azzurre e limpide profondità del mare, e nei pressi di un veliero naufragato in tempi lontani, viveva Ugo, un polpo nato con la passione della musica. Aveva iniziato a suonare il pianoforte da piccolo e poi, crescendo, si era lasciato affascinare dalla possibilità di impegnare ciascuno dei suoi tentacoli con uno strumento diverso. Si era dunque dedicato allo studio del violino, poi dell’arpa, della tromba e della chitarra. In seguito aveva aggiunto anche la batteria, lo xilofono e il mandolino, arrivando così a suonare contemporaneamente ben otto strumenti.

Per chi vive in fondo al mare, però, coltivare la passione per la musica è una cosa tutt’altro che semplice. Le creature che vivono sulla terra, in questo, sono molto avvantaggiate: c’è l’aria che propaga i

suoni e li fa arrivare alle orecchie degli ascoltatori; nei fondali marini, invece, i suoni si disperdono nell’acqua tanto da risultare quasi impercettibili. Affermarsi come musicista in mare, dunque, è davvero molto, molto difficile. Bisogna avere un talento speciale per riuscire a farsi notare ed era proprio quello che stava accadendo ad Ugo, che di talento ne aveva davvero tanto. Nonostante tutte le difficoltà, grazie alla sua bravura e al suo impegno, giorno dopo giorno scopriva con soddisfazione che erano in tanti i pesci che cominciavano a interessarsi alla sua deliziosa musica.

Tutto contento, Ugo pensò che fosse giunto il momento di organizzare dei veri e propri concerti. Con delle assi di legno, recuperate tra i relitti di un antico veliero, si costruì un palchetto su cui dispose i suoi otto strumenti. Fece poi una bella scenografia decorandola con la lussureggiante vegetazione marina, alghe azzurre, conchiglie e vasi stracolmi di anemoni di mare.

Tutto era pronto per il suo debutto e Ugo si sentiva felice ed emozionato, mentre giù dal palco un folto pubblico era già in attesa. Quando fece il suo ingresso in scena, tutti i pesci presenti lo accolsero agitando le pinne e la coda. Era questo il loro modo di applaudire; così Ugo prese posto tra i suoi otto strumenti e iniziò a suonare…

Passarono soltanto alcuni minuti dall’inizio del concerto e le sue dolci melodie avevano già conquistato la totalità degli spettatori che erano assorti ad ascoltare, quando all’improvviso arrivò un impetuoso branco di gamberi, e, dato il loro particolare modo di procedere senza guardare avanti, non si accorsero del palco travolgendo il polpo musicista, rovesciando tutti gli strumenti e gettando lo scompiglio tra il pubblico che fuggì spaventato.

«Oh, no! Che disastro!» esclamò Ugo «Non è giusto! Non è giusto!» e, arrabbiatissimo, corse a denunciare l’accaduto alle autorità del mare.

Quando arrivò trafelato alla più vicina stazione di polizia subacquea si recò dritto dritto all’ufficio denunce per chiedere giustizia.

«Si calmi! Si calmi!» gli disse una triglia in divisa «E mi spieghi per bene cosa le è successo.»

«Dovete arrestare tutti i gamberi!» sbraitò Ugo «Hanno travolto i miei strumenti e rovinato il mio concerto!»

«Mi dispiace,» si sentì rispondere «ma la sua denuncia non può essere accolta… Non possiamo arrestare i gamberetti, nuotare all’indietro è nella loro natura!»

«Sarà pure nella loro natura,» rispose il polpo amareggiato, «ma quello che mi è successo resta

comunque una grande, grandissima ingiustizia!» e così dicendo andò via con i nervi a fior di ventosa.

Sbollita l’arrabbiatura, e armandosi di una buona dose di pazienza, qualche giorno dopo Ugo si diede da fare per rimettere a posto gli strumenti e la scenografia. Pensò allora di proteggersi dal passaggio dei gamberi con i propri mezzi: smontò alcuni pezzi di barriere coralline e li dispose tutt’intorno al palco in modo da sbarrar loro la strada. Così come aveva previsto, durante uno dei concerti successivi accadde che alcuni gamberi andarono a sbattervi contro. La cosa però non passò inosservata, e un gamberetto indignato andò immediatamente a protestare chiamando i vigili del mare…

In men che non si dica, sul luogo del concerto arrivò un grosso cefalo munito di paletta e fischietto e cominciò a fischiare forte, ma così forte da coprire completamente la musica del concerto fino a obbligare il povero Ugo a sospendere lo spettacolo.

«Non può ostacolare la normale circolazione marina!» gli disse il cefalo con tono severo «E poi,» aggiunse, «non sa che è severamente vietato utilizzare le barriere coralline per scopi personali? Deve subito rimetterle dove le ha prese!» Gli fece, infine, una multa più salata delle acque del mare.

«Se mi impediscono di usare le barriere coralline per proteggermi dai gamberi,» pensò Ugo, «non mi resta che deviare il loro passaggio con i miei stessi tentacoli…»

Riflettendoci su, arrivò alla conclusione che i gamberi potevano provenire da qualsiasi direzione, dunque per riuscire a bloccarli servivano almeno quattro tentacoli liberi e questo significava dover rinunciare alla metà dei suoi strumenti. «È un vero peccato…» pensò il polpo ma, non trovando altre soluzioni, preparò quattro cartellini segnaletici e a malincuore decise di usarli al posto dell’arpa, dello xilofono, del mandolino e della tromba.

La vita alle volte è davvero strana; dopo aver preso questa precauzione, durante i suoi concerti nessun gamberetto si trovò a passare da quelle parti. Il suo sacrificio era dunque stato inutile? Chi poteva dirlo!

Nel mezzo di un altro concerto il povero Ugo dovette invece affrontare un altro spiacevole imprevisto: una terribile banda di pesci martello, in preda a un attacco di vandalismo, invase la scena e distrusse ogni cosa. Fu un vero scempio! Nulla a che vedere con i disordini creati dai gamberetti. In quel caso, l’ingiustizia subìta era dovuta a un atto di pura cattiveria.

Infuriato più che mai, e questa volta sicuro di essere dalla parte della ragione, Ugo si recò nuovamente alla stazione di polizia.

«Dovete arrestare quei delinquenti!» strillò «Oppure anche questa volta mi direte che è una legge di natura così come avete detto per i gamberi?»

«Oh no, no! Si calmi, questa volta ha ragione!»

Gli rispose la stessa triglia poliziotto con cui aveva avuto a che fare la volta precedente «Sia ragionevole, però: non possiamo arrestare tutti i pesci martello del mare, dobbiamo trovare proprio la banda di teppisti che le ha provocato il danno. Mi ascolti,» proseguì la triglia «l’ideale sarebbe coglierli sul fatto, dunque, se dovesse succedere di nuovo, si affretti a chiamarci il più presto possibile, così faremo intervenire immediatamente una delle nostre pattuglie…»

Per esser pronto ad avvertire la polizia in caso di emergenza, Ugo rinunciò anche alla batteria e liberò così un altro tentacolo per tenerci il telefonino.

Proteggersi da ogni possibile ingiustizia era diventato lo scopo principale della sua vita e perfino la sua amata musica cominciava a passare in secondo piano.

«E questi che cosa sono?» esclamò quando una sera, mentre suonava, vide arrivare con un’ondata una marea di bigliettini colorati.

«Che carini i miei fans!» pensò allora il polpo, credendo che si trattasse di una sorpresa organizzata in suo onore «Alla fine del concerto leggerò tutti i loro messaggi…»

Accadde però una cosa molto strana: chiunque li leggeva, assumeva un’ espressione cupa e un po’ preoccupata e poi si allontanava in tutta fretta.

«Che succede? perché vanno tutti via?» si chiese il polpo, che era certo di non aver sbagliato neppure una nota.

«Ma soprattutto dov’è che vanno?»

Ugo interruppe il suo concerto che, ahimè, era rimasto deserto e si mise a seguire il suo pubblico in fuga…

Con grande meraviglia, si accorse che tutti i suoi spettatori si erano trasferiti a un altro concerto.

All’inizio, non riusciva proprio a capire come mai lo avessero tradito con un polpo che non aveva neanche la metà del suo talento, ma guardandosi intorno non gli fu difficile intuirne il motivo: dietro una roccia era appostato un grosso squalo ed era proprio quel perfido animale che distribuiva e diffondeva nel mare quei bigliettini colorati… «Ecco cos’erano quei foglietti!»

finalmente gli fu tutto chiaro: si trattava di inviti un po’ forzati che nessun pesce aveva avuto il coraggio di rifiutare.

«Hai visto che grande successo?» gli disse il polpo rivale alla fine del concerto «Ti ho soffiato tutto il tuo caro pubblico!»

«Dovresti vergognarti!» ribattè Ugo «Farsi raccomandare da uno squalo è la cosa più squallida che un mollusco possa fare!»

«Sei soltanto invidioso delle mie amicizie influenti,» rispose il polpo raccomandato «sei una nullità!» E dopo avergli fatto un gestaccio con i tentacoli nuotò via, lasciando il povero Ugo amareggiato e pieno di rabbia.

Al concerto successivo, Ugo rinunciò a un altro dei suoi strumenti, liberando un altro tentacolo per reggere un cartello di protesta contro i pesci raccomandati…

Adesso gliene erano rimasti soltanto due per suonare e la sua musica non era più così speciale come una volta…

Concerto dopo concerto l’entusiasmo dei primi tempi andava spegnendosi.

«Quante ingiustizie che ci sono nel mare!» sospirava Ugo pensando che invece sulla terra le cose andassero diversamente e cominciando a maturare l’idea di abbandonare per sempre la sua più grande passione… finché un brutto giorno lo fece davvero: smise di suonare e cominciò a trascorrere le sue giornate vagabondando per il mare.

Nuotava senza mèta per ore e ore e alle volte si fermava a osservare la vita degli altri abitanti del mare che, a conti fatti, non era né migliore né peggiore della sua. Scoprire che le ingiustizie riguardavano un po’ tutti e che non era l’unico a subirle era però soltanto una magra, magrissima consolazione…

Un giorno, Ugo si fermò a guardare due sogliole che giocavano a ping pong. Usavano i loro corpi come fossero delle racchette e si lanciavano una pallina fatta di alghe. Avevano un’aria davvero felice e si vedeva chiaramente che si stavano divertendo un mondo. Quella luce che avevano negli occhi gli ricordava la felicità che anche lui provava quando suonava i suoi otto strumenti.

All’improvviso passò da lì un pesce palla che scambiò la pallina con cui le sogliole stavano giocando per una pesciolina della sua stessa razza e iniziò a sbaciucchiarla tutta.

«Uffa, non se ne può più,» strillò una delle sogliole «oggi è la quinta volta che succede!»

E poi insieme protestarono a gran voce cercando di allontanare il pesce palla, ma quando l’animale si convinse che quella non era una pesciolina era già troppo tardi e la pallina era diventata inutilizzabile…

«Perché non è qui il vigile marino a fargli una bella multa?!» commentò Ugo davvero indignato.

«Eh già» sospirò la sogliola «non sempre si riesce a ottenere giustizia al momento opportuno» ma poi insieme alla sorella si mise alla ricerca di altre alghe per costruirsi una nuova pallina con cui giocare.

«Ma come… come fate a sopportare tutto questo senza perdere l’entusiasmo? Io proprio non ce l’ho fatta!» confessò Ugo «Ho abbandonato la musica, che era la mia più grande passione!»

«È un vero peccato!» disse una della sogliole «Io penso che ci siano molte ingiustizie per cui vale la pena lottare e noi non smetteremo certo di farlo. Ma abbandonare le proprie passioni… no, questo è veramente troppo!»

«Infatti,» intervenne l’altra «non ne vale proprio la pena… subire un’ingiustizia fa male ma secondo me fa ancora più male rinunciare a ciò che si ama soltanto per cercare di proteggersi.»

Ugo fu molto colpito dalle parole delle sogliole e nelle sue giornate oziose e tristi gli capitò spesso di ripensarci e di ricordare quella luce nei loro occhi.

Pensa e ripensa, iniziò a dubitare della decisione presa finché una mattina si sentì invadere da un’onda di entusiasmo: era come una forza ma-

gica che lo spingeva verso i suoi strumenti, con un fortissimo desiderio di risentire il loro suono, e in particolare di quelli che aveva abbandonato da molto tempo…

Fu così che riprese a suonarli tutti insieme, lasciando perdere telefonino, cartelli segnaletici e di protesta e decidendo di infischiarsene di gamberetti maldestri, bande di pesci martello e polpi raccomandati: avrebbe affrontato le difficoltà nel momento in cui si sarebbero presentate. In quell’istante promise a se stesso che non avrebbe permesso mai più a nessuno di togliergli il piacere di suonare!

SCHEDA 10a

QUANTO PESA

IL TUO POLPO?

Leggi le seguenti affermazioni e colora i pesi accanto a quelle in cui ti ritrovi.

Dico spesso frasi come «Non è giusto!», «Non vale!», «Non dovevi farlo!».

Se ricevo un regalo o un favore sento di doverlo ricambiare al più presto.

Se subisco un torto penso subito a come vendicarmi.

Faccio spesso dei paragoni tra me e gli altri.

Giudico spesso il comportamento degli altri.

Mi accorgo sempre se qualcuno viene trattato meglio di me.

Rinuncio a fare cose che vorrei se ho il dubbio che potrei subire un’ingiustizia.

Provo sentimenti di invidia nei confronti di persone che ritengo più fortunate di me.

E adesso conta i pesi che hai colorato e leggi il profilo corrispondente.

Da 0 a 1

Ottimo! Il tuo polpo è in forma smagliante! Non può darti alcun problema!

Da 2 a 4

Attenzione! Il tuo polpo è un po’ fuori forma. Aiutalo ad allenarsi a modificare pensieri e comportamenti negativi. Ritornerà in perfetta forma!

Da 5 a 8

Accipicchia! Il tuo polpo è davvero ingombrante… Tienilo d’occhio e addestralo con dolcezza a cambiar modo di pensare e di agire. I risultati non tarderanno ad arrivare!

SCHEDA 10b

UN MARE DI INGIUSTIZIE

Dopo aver letto i due pensieri del polpo Ugo, copia nel cartello la frase che esprime il modo più corretto di porsi nei confronti delle ingiustizie.

Piuttosto che rischiare di subire un’ingiustizia rinuncerò alla mia passione.

Subire un’ingiustizia fa male ma non permetterò a nessuno di togliermi il piacere di suonare!

Fred, il ranocchio

che non riusciva a diventare principe

Una favola per… imparare ad amare se stessi

Sono proprio tante le fiabe che raccontano di ranocchi a cui capita di essere baciati dalla fortuna o, per essere più precisi, da una splendida principessa e veder così, da un giorno all’altro, cambiare la propria vita…

Questa storia non era certo un mistero per gli abitanti di Anfibionia, una grande città paludosa abitata esclusivamente da rospi, rane e girini.

Non tutti i ranocchi però la pensavano allo stesso modo; c’erano quelli pronti a giurare di aver visto con i loro occhi la magica trasformazione di un proprio simile, quelli che, pur non avendo mai assistito a un tale evento, credevano che con un po’ di fortuna potesse accadere, e quelli più scettici, superconvinti che fossero tutte frottole.

Quando il piccolo Fred ascoltò una fiaba in cui si raccontava di questo straordinario avvenimento, era ancora un girino ma ne rimase così affascinato che non riuscì più a togliersi dalla testa l’idea di questa fantastica possibilità. Ci pensava molto spesso durante il giorno e anche la notte, nei suoi sogni, c’era sempre il bacio di una principessa che lo avrebbe fatto diventare un principe, così al mattino, quando si svegliava nel suo corpo di rana, si sentiva sempre molto deluso e insoddisfatto.

«Come sono brutto!» pensava Fred ogni volta che gli capitava di specchiarsi nell’acqua. La sua pelle verde, viscida, rugosa e tutta chiazzata di vescicole gialle lo inorridiva. Non che il suo aspetto fosse poi così diverso da quello delle altre rane, eppure a guardare gli altri non provava quel terribile disgusto che invece sentiva verso se stesso. Così, per evitare di vedere la sua immagine riflessa spesso andava a rifugiarsi nelle zone più torbide e fangose della palude.

Raggiunta l’età della scuola, fece un sacco di storie perché non ci voleva andare.

«E che ci vado a fare io, in una scuola di rane?» domandava a mamma e papà sperando che gli permettessero di evitare di frequentarla.

«Ma Fred, tu sei una rana!» rispondevano i suoi genitori provando a farlo ragionare.

«Sì, lo so,» ammetteva lui «ma io desidero diventare un principe, dunque studiare da rana non mi servirà affatto!»

«Argomento chiuso!» sbraitò un giorno il padre infuriato «Andrai a scuola come fanno tutti i girini di Anfibionia!» Costretto dalla volontà dei suoi genitori, Fred non poté fare a meno di frequentare la scuola ma i suoi risultati furono pessimi: era sempre distratto e svogliato e nessuna materia riusciva a interessarlo. «A che mi serve imparare a gracidare?» domandava al maestro di gracchio che lo invitava a impegnarsi di più. Fred odiava la voce delle rane e in particolare la sua.

«Non mi interessa imparare a fare salti atletici, mi basta e mi avanza potermi spostare,» ribatteva ai rimproveri del maestro di ginnastica «camminare, invece, sarebbe molto più dignitoso! Lei può insegnarmelo?» gli domandava con aria di sfida. Ma anche con le amicizie non è che andasse meglio… I suoi compagni, all’inizio, provarono a coinvolgerlo nei loro giochi ma dopo tanti suoi rifiuti ci rinunciarono. Dopo la metamorfosi, quando Fred era ormai diventato una rana adulta, così come previsto dal regolamento immobiliare di Anfibionia andò a vivere da solo e decise di abitare in una zona costiera della palude, scegliendo una ninfea molto vicina alla terraferma.

In questo modo, se fosse arrivata una principessa, di certo non gli sarebbe sfuggita. Con i suoi nuovi vicini instaurò un rapporto di cortese vicinato, fatto però solo di «buongiorno» e «buonasera», niente di più. Adesso che viveva da solo doveva anche occuparsi delle incombenze domestiche: spazzare i pollini superflui, eliminare i petali avvizziti, riparare le radici… tutto ciò era per lui una grande scocciatura, così molto spesso finiva per trascurare la sua ninfea. «Fred, perché non ti prendi cura della tua casa?» gli chiese un giorno rospo Oreste, uno dei suoi vicini di ninfea che invece era attentissimo a tenere la propria nelle migliori condizioni.

«Che mi importa di questo stupido fiore!» rispose Fred «Se avrò la fortuna di abitare in un castello sarà tutta un’altra cosa e non ci sarà bisogno che io faccia nulla perché avrò una schiera di domestici al mio servizio…»

Così, senza la necessaria manutenzione, le povere ninfee abitate da Fred duravano molto poco costringendolo a traslocare in continuazione… «Mah sì! Che mi importa,» pensava il ranocchio «una ninfea vale l’altra.» Fred poi non sopportava le ingerenze di Oreste e un’altra cosa che non tollerava di lui era che spesso gracidasse a squarciagola Wonderful frog life, una canzone che nel

ritornello non faceva altro che ripetere che la vita di una rana è meravigliosa.

«Cose da pazzi!» borbottava Fred infastidito «Come si fa a entusiasmarsi per una sciocchezza del genere?»

Un giorno, mentre stava meditando sull’idea di cambiar casa per allontanarsi il più possibile da quel vicino così invadente e chiassoso, udì in lontananza il nitrito e lo scalpiccìo degli zoccoli di un cavallo. Scostò i petali della sua ninfea e vide che si trattava proprio di un cocchio reale. Fred aguzzò la vista, sperando che a bordo ci fosse la principessa dei suoi sogni, e attese con trepidazione che il mezzo si avvicinasse. Quando il cocchio si accostò alla riva della palude riuscì a vederla: era meravigliosa, ancora più bella di come l’aveva immaginata!

«Fantastico!» pensò Fred con il cuore gonfio di emozione «Finalmente è arrivato il momento che aspetto da una vita» e iniziò a saltare goffamente da una ninfea all’altra per farsi notare dalla splendida fanciulla. La osservò scendere dalla carrozza e poi guardarsi intorno come se fosse alla ricerca di qualcosa o di qualcuno. A un tratto, finalmente, i loro sguardi si incrociarono e il cuore di Fred cominciò a battere all’impazzata… Ma… accidenti! Quel momento magico durò solo qualche secondo… poi, la principessa si girò

a guardare da tutt’altra parte. Fred seguì con attenzione la traiettoria di quel dolcissimo sguardo, sperando che tornasse presto a posarsi su di lui e invece lo vide indirizzarsi altrove…

Oh no! Era proprio su Oreste che la principessa aveva messo gli occhi!

Il rospo Oreste se ne stava spaparanzato su una foglia galleggiante a prendere il sole incurante di tutto ciò che gli accadeva intorno, e probabilmente neanche si accorse di quando la principessa si chinò su di lui e gli sfiorò la pelle rugosa con un tenero bacio.

Fred sgranò gli occhi quando vide Oreste trasformarsi in un principe e poi abbracciare la meravigliosa creatura. Li guardò salire insieme sulla carrozza e allontanarsi fino a sparire per sempre dalla sua visuale. Quella scena gli spezzò il cuore…

Il povero ranocchio non riusciva proprio a darsi pace e provava un’invidia così forte per il suo ex vicino che gli sembrava di avere dentro un serpentello con i denti aguzzi che gli mordeva le viscere. «Perché lui sì e io no?» si chiedeva tormentandosi senza riuscire a trovare una risposta. «E poi, perché proprio Oreste, che già possedeva tutto quello che desiderava: aveva tanti amici, una bella ninfea curata in ogni dettaglio ed era così felice di essere una rana che lo gracchiava

al mondo intero con quella stupida canzone! Perché proprio Oreste?»

I giorni a seguire furono molto tristi. Fred si sentiva il ranocchio più brutto, insignificante e sfortunato di Anfibionia, anzi, del mondo intero, anzi no… di tutto l’universo!

Ogni volta che guardava verso quella ninfea ormai disabitata che galleggiava a pochi salti dalla sua, il ricordo di quello che era successo rinnovava tutto il suo dolore. Ma un giorno, trovandosi proprio lì davanti, sentì l’irrefrenabile impulso di entrare e iniziò a curiosare tra le cose del fortunato rospo cercando tracce e indizi che gli raccontassero del suo modo di vivere. Guardandosi intorno e rovistando qua e là scoprì un’agenda piena di indirizzi, uno scaffale zeppo di libri, un divanetto soffice soffice e pieno di cuscini colorati…

C’erano poi tanti attrezzi per il fai da te e anche un tappetino elastico che probabilmente il rospo usava per mantenersi in forma.

«Che bella vita piena!» pensò Fred «Quanti interessi aveva Oreste!»

E anche la sua dispensa era stracolma di leccornie che avrebbero fatto impazzire qualsiasi anfibio: purea di mosche, sciroppo di cavallette, frullato di ali di zanzara, vellutata di calabroni, sorbetto di alghe lacustri e tante altre delizie.

Così, mentre Fred per consolarsi un po’ assaggiava quei cibi così appetitosi, improvvisamente gli fu tutto chiaro: Oreste si trattava come un principe ed è per questo che poi lo era diventato davvero!

Ma la cosa ancora più straordinaria è che se ciò non fosse accaduto per lui non sarebbe cambiato granché, perché già così era felice della sua vita da rospo. Oreste amava se stesso: era proprio questo il segreto della sua felicità!

«Questa casetta ha davvero tanto da insegnarmi,» pensò Fred «potrei anche trasferirmi qui, visto che è disabitata, però voglio farcela da solo!» e questo nuovo pensiero lo riempì di entusiasmo.

Per uno che si è sempre detestato non è certo facile cambiare abitudini dall’oggi al domani, ma Fred iniziò dalle piccole cose, a cominciare dalla sua igiene, che aveva sempre trascurato, per passare poi alla cura e manutenzione della propria ninfea e, quando riuscì a renderla veramente accogliente, gli sembrò naturale invitare parenti, conoscenti, vecchi compagni di scuola e anche i suoi vicini che aveva sempre trattato con freddezza… Era giunta l’ora di approfondire i rapporti!

Pian piano imparò ad amarsi e amando se stesso cominciò a provare amore anche per i suoi simili, scoprendo con gioia che molti lo ricambiavano. Aveva finalmente imparato a trattarsi come un

principe: sentiva il canto degli uccellini e dei grilli e gracidava a piena voce intonando splendide melodie. Certo, l’idea di poter diventare un principe gli piaceva sempre, ma adesso la sua vita era così piena e interessante che se ciò non fosse successo non sarebbe stato certo un problema…

Fred si trovò a rammaricarsi del fatto che a scuola non si era mai impegnato abbastanza con l’esercizio fisico e per questo, nonostante fosse un ranocchio felice, era ancora molto goffo nei movimenti, ma non tutto era perduto e di certo si poteva rimediare… così stabilì che ogni giorno avrebbe dedicato un po’ di tempo per migliorare le sue scarse abilità di salto. Un pomeriggio, mentre seguiva scrupolosamente il suo programma di esercizi, una voce umana femminile interruppe il suo allenamento: «Ehi tu, ranocchio, vieni subito qua, che ti devo baciare!».

Fred si voltò in direzione della voce: eh sì, era proprio una bellissima principessa che nulla aveva da invidiare a quella di Oreste; qualcosa di lei, però, lo lasciava perplesso… «E allora, che aspetti?» proseguì la fanciulla «Vuoi che ti mandi la mia carrozza a prenderti? Non sai che è maleducato far attendere le signorine?» e poi, vedendo che il ranocchio non si decideva ad andarle incontro, si chinò bruscamente su di lui e sporse in avanti le labbra per baciarlo.

Nonostante quella principessa fosse molto bella, aveva dei modi che non lo convincevano affatto e anche un’aria piuttosto arrogante, come se tutto le fosse dovuto…

Fred, a quel punto, prese la sua decisione e, invece che lasciarsi baciare, le girò le spalle e saltò lontano, lasciandola lì come un salame, indignata e offesa.

Dopo, riflettendo sull’accaduto, Fred rimase sorpreso di se stesso: aveva rifiutato quella che forse sarebbe stata l’unica possibilità di diventare principe, il sogno di una vita!

Eppure, in cuor suo, sentiva di aver fatto la cosa giusta «Pazienza…» pensò «Mi sarebbe davvero piaciuto diventare principe, ma non posso gettarmi tra le braccia di una che, soltanto perché è una principessa, crede di avere il diritto di comandarmi a bacchetta.»

E poi, tra le nuove amicizie c’erano tante ranocchie carine e forse un giorno o l’altro qualcuna gli avrebbe fatto battere forte il cuore. Senza mai rimpiangere quell’occasione, tornò a concentrarsi sulla sua nuova vita di rana e imparò a memoria il testo di Wonderful frog life.

Sì, adesso anche per lui la vita era diventata meravigliosa e cantare quella canzone gli metteva addosso una grande allegria.

Un giorno, mentre era in casa indaffarato con i preparativi per il pranzo, per qualche strana e misteriosa ragione qualcuno si avvicinò proprio alla sua ninfea e ne sfiorò un petalo con un tocco delicato che fece ondeggiare dolcemente la corolla. Fred, allora, fece capolino dal fiore e si trovò faccia a faccia con la più bella e raggiante creatura che avesse mai visto…

La principessa non disse nulla e si limitò a sorridergli. Questa volta, nessun dubbio attraversò la sua mente, i loro sguardi valevano più di mille parole; ci fu dunque un inevitabile e dolcissimo bacio che diede inizio alla magica trasformazione… Fred guardò per l’ultima volta il suo corpo di rana riflesso nell’acqua e gli rivolse in silenzio un affettuoso saluto, ringraziandolo per tutta la felicità che gli aveva regalato e poi si lasciò andare all’emozione del momento…

Non si può certo rifiutare l’amore quando viene a bussare ai petali della tua ninfea!

SCHEDA 11a

QUANTO PESA

IL TUO RANOCCHIO?

Leggi le seguenti affermazioni e colora i pesi accanto a quelle in cui ti ritrovi.

Quando qualcuno è gentile con me penso che prima o poi vorrà qualcosa in cambio.

Se potessi cambierei molte cose del mio aspetto fisico.

Mi piacerebbe poter cambiare molti aspetti del mio carattere.

Quando ricevo un complimento penso che non sia sincero.

Ho l’impressione di valere poco o nulla.

Penso di non meritare i regali o i gesti d’affetto che ricevo.

Spesso mi sento offeso dalle parole degli altri.

In diverse situazioni mi capita di sentirmi incapace.

E adesso, conta i pesi che hai colorato e leggi il profilo corrispondente

Da 0 a 1

Ottimo! Il tuo ranocchio è in forma smagliante! Non può darti alcun problema!

Da 2 a 4

Attenzione! Il tuo ranocchio è un po’ fuori forma. Aiutalo ad allenarsi a modificare pensieri e comportamenti negativi. Ritornerà in perfetta forma!

Da 5 a 8

Accipicchia! Il tuo ranocchio è davvero ingombrante… Tienilo d’occhio e addestralo con dolcezza a cambiar modo di pensare e di agire. I risultati non tarderanno ad arrivare!

SCHEDA 11b

M.V.B.

(MI VOGLIO BENE)

Adesso che Fred sta diventando un principe deve imparare a trattarsi bene, non più da ranocchio ma da essere umano. Suggeriscigli pensieri e azioni di una persona che rispetta e ama se stessa. Scrivili nella sua agenda.

(Mi Voglio Bene)

Cosa avranno di speciale gli sprovveduti animaletti protagonisti di queste favole per aiutare il lettore a raggiungere nientedimeno che la felicità? La risposta è semplice! Queste storie traggono ispirazione dalla teoria delle «zone erronee», formulata dallo psicologo americano Dyer, secondo la quale ognuno è responsabile della propria felicità e, quindi, anche dell’eventuale infelicità. Attraverso 11 favole buffe e numerosi personaggi divertenti in cui ci si potrà facilmente identificare, questo libro insegna ai bambini, ma non solo a loro, come riconoscere e modificare quei comportamenti e pensieri negativi che ostacolano il benessere personale. Un porcospino irascibile, una giraffa sognatrice ma piuttosto inconcludente, un ranocchio che non si piace affatto e desidera a tutti i costi diventare un principe, un coccodrillo piagnucolone… sono solo alcune delle bizzarre bestioline protagoniste di questi racconti, tutti ideati per far arrivare il messaggio che la felicità è possibile, a condizione di impegnarsi per modificare le cattive abitudini.

Alla fine di ogni favola sono proposte delle attività per imparare a modificare tutti quei comportamenti e pensieri che sono di ostacolo alla propria felicità.

Il «nemico» della felicità è come un cucciolotto che deve essere addestrato con amore e dolcezza

Pedagogista, vive e lavora a Messina.

Insegna nella scuola statale, dove svolge anche attività di coordinamento e supporto al lavoro dei docenti.

Si interessa di psicologia dell’età evolutiva e crede nel valore educativo della narrativa, abbracciando in particolare le teorie di Gardner, Goleman e Sunderland.

Ama creare percorsi didattici, storie e personaggi per far divertire i bambini e veicolare messaggi e valori positivi.

€ 16,00

ROSALBA CORALLO

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