La valigetta delle ricompense

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La token economy

Premessa In questo breve articolo, cercheremo di illustrare in maniera sintetica, il funzionamento di un programma di token economy all’interno di una classe. L’idea che ha poi portato alla realizzazione de La valigetta delle ricompense infatti, prende vita proprio dalla constatazione di una generale difficoltà, dovuta all’assenza di specifiche linee guida, nell’utilizzare in maniera rigorosa e di conseguenza efficace, questo particolare strumento. Prima di addentrarci nello specifico, è quanto mai opportuno sottolineare come sia impresa ardua esaurire la vastità degli argomenti che andremo a toccare in queste poche pagine; a tal proposito consigliamo, a chi fosse interessato, di approfondire le tematiche che di volta in volta verranno toccate, utilizzando specifici volumi. Nell’illustrare il funzionamento della token economy, prenderemo le mosse — una volta inquadrata la tematica all’interno della propria cornice teorica di riferimento — dal raccontarvi come questa ha avuto origine, partendo dalle prime pionieristiche applicazioni ad opera di Nathan Azrin e Teodoro Ayllon, considerati da tutti come i «padri» della token economy. Una volta effettuato questo breve excursus storico, potremmo addentrarci più nello specifico del programma, scoprendone le principali caratteristiche, i punti di forza e soffermandoci sull’importanza di osservare alcuni piccoli accorgimenti che, se non tenuti in adeguata considerazione, rischiano di compromettere il buon esito dell’intervento. Introduzione Il nostro lavoro sulla realizzazione di uno strumento per l’utilizzo dei sistemi di token economy in classe, nasce da un’esigenza riscontrata nel quotidiano lavoro tra i banchi di scuola con alunni più o meno «difficili». Per noi lavoratori della scuola, che passiamo gran parte del nostro tempo in classe, è tutt’altro che raro imbattersi in particolari situazioni: • quelle in cui non si applica alcun tipo di rinforzo; • quelle in cui i rinforzatori vengono usati poco e in maniera spesso inadeguata se non controproducente; • quelle in cui si introducono dei sistemi di rinforzo, senza però considerare le innumerevoli variabili e gli imprescindibili vincoli che è fondamentale non ignorare quando si implementa una token economy.

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Sono quei casi in cui gli insegnanti ci dicono «Guardi dottore, abbiamo utilizzato anche le stelline, ma non funzionano, il bambino non migliora!». Sono quei casi in cui se domandi «Mi spieghi che metodo avete utilizzato?» ti viene risposto «Abbiamo fatto un bel cartellone con tutti i nomi dei bambini, l’abbiamo affisso ad una parete della classe e abbiamo detto ai bambini che «Chi sta bravo prende la stellina». Il risultato qual è vi chiederete voi; beh è molto semplice: quello che per sua natura nasce come un sistema di «apprendimento cooperativo», diventa un gioco individuale, una gara a chi è più bravo, in cui sistematicamente chi era bravo all’inizio è molto probabile che lo sia anche alla fine, e chi non lo era avrà poche probabilità di diventarlo. Questo è solo un esempio dei tanti che si potrebbero fare, ma ci fermiamo qua e ce ne avvaliamo per spiegare appunto il motivo del nostro progetto. Non ce ne vogliano gli insegnanti, cuore pulsante del sistema scuola: il nostro lavoro è ben lontano dal voler essere una manifestazione di competenze, ma auspica di presentarsi piuttosto come un valido supporto al loro preziosissimo lavoro educativo. La cornice teorica di riferimento Il condizionamento operante Gli studi di Edward Lee Thorndike sull’apprendimento per tentativi ed errori hanno dato il via a quelli sul condizionamento operante. Con il termine operante si intende la modalità che l’organismo ha di agire sull’ambiente. Esso si può considerare come un apprendimento influenzato dalle naturali conseguenze delle azioni. Si vedrà come tale forma di apprendimento è basata sulla ricompensa e sulla punizione, facendo sì che la condotta non necessiti di una stimolazione per essere emessa, ma possa essere messa in atto in modo del tutto volontario. Il comportamento si riprodurrà così in virtù della ricompensa attesa, in seguito all’azione del «Rinforzo». Lo studio classico del condizionamento operante è quello della «Skinner box». In questo studio, un animale viene inserito all’interno di una speciale gabbia in cui, azionando una leva, è possibile ottenere l’erogazione di cibo. L’esperimento ha evidenziato come, ogniqualvolta l’animale viene inserito all’interno del box, si verifica l’azione di azionamento della leva, funzionale al raggiungimento dell’effetto desiderato, ossia l’ottenimento della conseguenza rinforzante: il cibo. Inoltre si è notato come il tempo che intercorre tra l’ingresso nel box e l’azionamento della leva diminuisce all’aumentare delle esposizioni all’esperimento. Avendo il cibo funzione di stimolo rinforzante dell’azione operativa, il condizionamento viene detto «operante». Skinner, dopo numerose prove sperimentali, arrivò alle seguenti conclusioni: • tanto meglio un comportamento è stato appreso, tanto maggiore è la resistenza alla sua estinzione; • si può avere un condizionamento molto intenso anche in situazioni che consentono un rinforzo molto diradato nel tempo (si pensi, ad esempio, al comportamento dei giocatori d’azzardo); • una situazione di apprendimento che sia, entro certi limiti, variabile nelle sue caratteristiche (frequenza, intensità, ritmo del rinforzo, ecc.) è molto più efficace di una del tutto costante; in quanto la prima tende a riprodurre meglio le situazioni della vita reale; • il mancato rinforzo (o punizione) facilita l’estinzione del comportamento acquisito. infatti, se lo scopo del ricercatore è quello di ottenere l’estinzione, è più facile raggiungere il risultato annullando il rinforzo che, ad esempio, usando una scossa elettrica.

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Gli studi sul condizionamento operante di Skinner, rappresentano una pietra miliare di fondamentale importanza nella storia della psicologia. Proprio in questo contesto si inserisce il lavoro della token economy. Come vedremo più avanti, infatti, la caratteristica centrale di questo tipo di interventi è proprio quella di preferire in maniera sostanziale e imprescindibile il ricorso ai rinforzatori. La nascita della token economy Il merito dei primi studi sulla token economy, va a due ricercatori statunitensi che decisero di introdurre un sistema basato sul rinforzamento simbolico all’interno di un reparto psichiatrico. Il loro studio prese le mosse da una serie di considerazioni circa l’inefficacia dell’utilizzo di singoli rinforzatori, con singoli pazienti, in brevi e infrequenti sessioni di rinforzo. Partendo da ciò, proposero un sistema che prevedesse l’utilizzo di varie tipologie di rinforzatori per una varia gamma di comportamenti in pazienti con disturbi mentali. Il vantaggio di questa procedura era quello di poter essere attuato anche da personale non specializzato, ma anche e soprattutto di poter coprire un lungo arco di tempo in maniera continuativa e costante. Teodoro Ayllon e Nathan Azrin applicarono il loro protocollo di ricerca su pazienti psicotici all’interno del reparto femminile di psichiatria dell’Anna State Hospital in Illinois. A causa dei lunghi periodi di ospedalizzazione, i pazienti cronici divenivano apatici e dipendenti. Questa condizione, detta istituzionalizzazione, laddove si protraeva per lungo tempo, impediva qualsiasi tipo di miglioramento o successo. Per porvi rimedio, Ayllon e Azrin, decisero di ricompensarli quando mettevano in atto quei comportamenti che erano in grado di migliorare la loro condizione. I comportamenti che venivano rinforzati riguardavano ad esempio la cura di sé o l’espletamento di piccole mansioni che venivano loro assegnate all’interno dell’ospedale. La categoria della cura del corpo includeva: pettinarsi, lavarsi i denti, farsi il bagno, rifare il letto e cose simili. La categoria dei piccoli lavori includeva: apparecchiare, sistemare la cucina, servire il pranzo, ma anche compiti genitoriali e mansioni simili. Vennero poi stabiliti e presentati ai pazienti una serie di rinforzi consistenti in privilegi e attività di cui questi potevano fruire quando avevano manifestato una serie di comportamenti target ed ottenuto i relativi token. I rinforzatori furono scelti tenendo conto delle attività e dei desiderata dei pazienti, di modo da fare sì che divenissero effettivamente rinforzanti. Tra questi vi erano: • un armadietto personale in cui riporre le proprie cose; • dei divisori nelle stanze che garantissero la giusta privacy; • delle visite private con lo staff; • delle passeggiate; • l’opportunità di partecipare a celebrazioni religiose; • una sedia personale; • materiale per scrivere e la cancelleria necessaria; • la possibilità di guardare film e programmi televisivi. Il protocollo prevedeva che questi premi fossero ottenibili solamente scambiandoli con un congruo numero di token senza i quali erano completamente inaccessibili. I risultati dell’esperimento furono sorprendenti. Si notò come questi rinforzatori fossero molto forti, ma la loro efficacia non era per nulla sfruttata, questo perché, come spesso accade nei reparti ospedalieri, erano liberamente accessibili.

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Azrin e Ayllon a tal proposito confrontarono il periodo in cui questi privilegi venivano utilizzati come rinforzatori all’interno del programma di token economy con un successivo arco di tempo in cui l’effetto rinforzante venne interrotto e le contingenze premianti tornarono a essere accessibili al di là dell’emissione dei comportamenti desiderati. Emerse un quadro significativo in cui si vide che, nella seconda fase le performance dei pazienti crollarono a quasi un quarto del rendimento osservato nella fase di token economy. Gli autori, grazie a questo dato, poterono concludere quindi che, se in un normale reparto si riusciva creare un ambiente motivante, il rendimento dei pazienti cresceva di quattro volte rispetto a quello tenuto in un contesto non motivante. Da questo studio presero ispirazione altre interessanti ricerche che misero in luce la grande efficacia dei programmi di token economy nel contesto sanitario. Nell’Atthowe’s program for chronic patients realizzato presso il Palo Alto Veterans Administration Hospital i pazienti ricevevano dei token quando partecipavano alle attività di gruppo, prendevano parte alla terapia ricreativa e si univano agli altri nel finesettimana per vedere un film. Così i rinforzatori, in questo e in altri programmi di ricerca, consistevano in: orari di risveglio posticipati, passeggiate, acquisto e cura dell’abbigliamento, libri, balli, ecc. Tutti questi studi non hanno fatto altro che dimostrare come l’utilizzo di programmi basati sul rinforzo simbolico portasse a risultati sorprendentemente migliori sia rispetto alla condizione di assenza di rinforzo, sia rispetto a quei sistemi, di cui abbiamo accennato all’inizio del paragrafo, in cui i soggetti venivano rinforzati poco e di rado. La token economy in classe È con questo paragrafo che arriviamo al tema centrale del nostro lavoro, ovvero quello dell’applicazione dei programmi di token economy nel contesto scolastico. Lo faremo analizzando le varie fasi dell’intervento con particolare attenzione ai vincoli e alle regole di cui tenere conto per far sì che l’intervento produca i risultati cercati. Iniziamo ponendo l’accento su quelli che sono due principi fondamentali da tenere sempre ben presenti: la gradualità e la gratificazione. La gradualità, ovvero «Procedere con pazienza» Quando si parla di gradualità si vuole parlare di quell’atteggiamento che dovrebbe caratterizzare la condotta di un insegnante, non solo nel momento in cui lavora con un programma di token economy, bensì sempre. Quello della gradualità è il più importante degli insegnamenti che si possano apprendere: l’insegnante che pretende che Luca, bambino iperattivo che oggi non riesce a stare seduto al suo banco per più di 3/4 minuti, domani vi stia per tutta la mattinata, ha già fallito in partenza. Domani, quando Luca, a cui si è promesso un token se rimarrà al suo posto, starà seduto per 7/8 minuti per poi alzarsi e fare confusione, la maestra sentirà di aver fallito e che ogni sforzo non valga la pena, dimenticandosi che Luca rispetto al giorno prima, è rimasto seduto per il doppio del tempo, un risultato estremamente positivo. Va da sé quindi che la gradualità deve divenire una forma mentis del buon insegnante, una regola aurea da cui è impossibile prescindere. «Una maestra che si aspetta che il suo allievo difficile diventi bravo come gli altri piuttosto che un po’ più bravo di ieri quasi sicuramente ha già perso» (Celi e Fontana, 2007). La gradualità è un concetto semplice e immediato da comprendere, quanto difficile da tenere ben presente e applicare nella vita lavorativa di tutti i giorni. Chi ha avuto a che fare con bambini difficili sa quanto sia complesso rimanere tranquilli e mantenere un

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atteggiamento paziente di fronte alle frequenti esperienze fallimentari cui, specialmente nei primi periodi, ci si imbatte. È proprio per questo motivo che teniamo così tanto a sottolineare questo aspetto, perché sappiamo che quando la speranza, la motivazione e l’ottimismo lasciano il posto alla frustrazione, si va incontro a veri e propri disastri che chi lavora nella scuola conosce bene. La gratificazione La gratificazione è la parte complementare alla gradualità: senza gratificazione non c’è gradualità, senza gradualità non c’è gratificazione. Come abbiamo detto sin dall’inizio, infatti, i programmi di token economy si basano soprattutto sull’azione gratificante, piuttosto che su quella punente. Nella token economy la gratificazione prende il nome di rinforzatore. La conseguenza positiva (un complimento, un incoraggiamento, un premio) che viene subito dopo l’emissione del comportamento desiderato, si chiama appunto rinforzante e ha l’effetto di rendere più probabile la ripetizione di un comportamento in futuro. Messa così è molto semplice, ma sappiamo che quando la teoria si cala nella pratica quotidiana, le cose tendono a complicarsi. In questo caso la domanda che sorge spontanea è: «Quando e come gratifico il mio alunno difficile?». Domanda assolutamente pertinente. Se si pensa alla propria classe si può cadere facilmente nell’errore di vedere come semplice, lineare e scontata la gratificazione ai primi della classe, quelli che prendono sempre ottimo, quelli che non dimenticano mai un compito, che alzano sempre la mano, che sono sempre i primi a rispondere. Con questi alunni è facile, se non inutile o addirittura dannoso il compito di rinforzare. Si pensi al proprio alunno modello, quello che prende sempre 10. Un giorno sbaglia un esercizio della verifica di matematica e si ritrova con un 8: lo vedremo andare a casa in lacrime, triste, col senso del fallimento stampato in volto. Ora pensiamo invece al nostro alunno difficile, quello che un giorno dimentica a casa il libro, l’altro il quaderno, l’altro ancora non aveva scritto il compito sul diario, quello che legge male, che scrive peggio, che commette un sacco di errori e che nella verifica di matematica a volte un esercizio lo fa giusto. Quando lo si può gratificare? Come possiamo premiarlo se non ne fa mai una giusta? Se pensiamo ciò, è evidente che ci stiamo dimenticando della gradualità, del procedere passo passo, dell’essere pazienti: la gratificazione è impossibile senza la gradualità o meglio è possibile, ma solo in quei casi in cui non serve (Celi e Fontana, 2007). Allora proviamo a correggere la verifica di matematica e a dire al nostro alunno «Bravo, questo esercizio l’hai fatto proprio bene!», ascoltiamolo leggere e quando ha finito diciamogli: «Accidenti che bravo, hai letto tutta la frase sino in fondo e lo sai? Sei migliorato davvero tanto rispetto all’inizio dell’anno, continua così!». Se ci disporremo in questo senso è molto probabile che nella prossima verifica di matematica troveremo due esercizi terminati, la prossima volta che leggerà, farà 12 errori invece di 13, ogni volta sarà un po’ più bravo di quella precedente. Se non facciamo ciò ci sentiremo frustrati e inefficaci e faremo sentire così anche il bambino. Vi è poi un altro importante aspetto da tenere ben presente: cosa si utilizza come rinforzatore? Con cosa rinforziamo i nostri alunni? Per comprendere ciò bisogna dire che, al di là dell’oggetto che utilizzeremo come premio, la gratificazione è in primis un modo di mettersi in relazione, quindi ancora prima di caramelle o macchinine vi sono gli atteggiamenti. Qualsiasi sia il rinforzo quindi è essenziale che questo venga erogato con un bel sorriso, con un abbraccio, accompagnandolo con incoraggiamenti e complimenti. Tutto ciò non è per nulla difficile, anzi sappiamo quanto sia spesso spontaneo e naturale. In fondo il rinforzo è un «premio di ritorno»: premiamo il nostro alunno perché da lui abbiamo appena ricevuto un premio per il nostro lavoro, consistente nel suo miglioramento.

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C’è un’ultima questione da analizzare. Come ci comportiamo col resto della classe? Potrebbe accadere che gli altri alunni si rivoltino, non accettando che il loro compagno venga premiato e loro no. Per ovviare a ciò, come vedremo ampiamente nei prossimi paragrafi, è opportuno che la token economy non venga approntata sul singolo alunno, ma su tutta la classe. Le fasi dell’intervento Entriamo adesso nel vivo dell’intervento, cercando di capire quali sono le fasi da attraversare e le accortezze da mettere in atto per poter implementare una token economy all’interno di una classe. La prima fase di osservazione: l’osservazione occasionale La prima cosa che si fa quando ci si trova davanti una classe è garantirci un tempo per osservare liberamente il comportamento degli alunni senza particolari strumenti e senza avere in mente alcun obiettivo. L’osservazione occasionale consiste nel guardare qualcosa con lo stesso atteggiamento «naturale» con cui osserviamo di solito gli eventi che ci circondano (Celi e Fontana, 2007). Questo tipo di osservazione non è altro che quella che qualsiasi insegnante fa quotidianamente in classe e che ad esempio scaturisce con considerazioni dialogiche del tipo «Marco non sta mai al suo posto», «Giulia chiacchiera sempre»: come si vede, tali asserzioni sono molto generali e per nulla misurabili in termini di durata, intensità e frequenza. Non ci consentono di formulare degli obiettivi operazionali e quantificabili, ma sono comunque importanti poiché cominciano a indirizzare la nostra attenzione verso quei comportamenti problematici che saranno poi oggetto del nostro intervento. In sintesi questo tipo di osservazione ha lo scopo di farsi una prima idea circa gli obiettivi dell’intervento, ma ha il grosso limite di sfociare in descrizioni generaliste e per nulla adatte alla messa a punto di strumenti di intervento né alla misurazione dell’efficacia degli stessi. Per ovviare a questo limite è bene, al termine di questa fase, cercare di trasformare i comportamenti osservati in termini operazionali. Ad esempio l’affermazione «Giulia chiacchiera sempre» può trasformarsi nell’obiettivo «Stare in silenzio durante la lezione». L’osservazione sistematica: la formulazione degli obiettivi Quello che risultava carente nell’osservazione occasionale, diventa invece centrale e imprescindibile nella seconda fase osservativa del nostro progetto, quella detta dell’osservazione sistematica. Al termine della fase di osservazione occasionale siamo pronti per definire un obiettivo chiaro e operazionale come ad esempio: «Alzare la mano prima di prendere parola». Una volta che l’obiettivo è chiaro e scelto in questi termini si può avviare la fase di osservazione sistematica che consiste nell’osservare un comportamento basandosi su un criterio di misurabilità (durata e frequenza) servendosi eventualmente di una strumentazione apposita: una checklist precompilata in cui si inseriscono i comportamenti da osservare e un cronometro per registrarne la durata. Una volta fatto ciò si può rappresentare la situazione del nostro alunno su di un grafico, che risulterà molto importante nel corso dell’intervento. Questa fase è di cruciale importanza poiché ci porta a ottenere un dato che diventerà il parametro con cui porre a confronto tutte le altre osservazioni sistematiche che effettueremo durante l’intervento. Il nostro grafico rappresenterà la cosiddetta baseline

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ossia la situazione in cui si trova l’alunno, relativamente ai comportamenti osservati, prima dell’intervento. Sarà proprio il successivo scostamento dalla baseline a dirci, più avanti, se il ragazzo ha tratto vantaggio o meno dall’intervento. A dircelo saranno le misurazioni che effettueremo nel corso dell’intervento seguendo il medesimo criterio. Un terzo tipo di osservazione: l’analisi funzionale In questa sede riteniamo opportuno e utile accennare brevemente anche a un terzo tipo di osservazione, quella che viene detta analisi funzionale. Con questo termine si intende l’osservare quali sono gli antecedenti che tendono a generare la condotta indesiderata e quali sono le conseguenze che tendono a rinforzarla. Può accadere che, ad esempio, un alunno cominci a fare versacci e battute di cattivo gusto quando non viene considerato (antecedente) e appena lo fa i suoi compagni si mettono a ridere o l’insegnante, seppur per riprenderlo, gli dà attenzione (conseguenza desiderata). Viene appunto detta funzionale perché ci aiuta a comprendere la funzione che il comportamento inadeguato del nostro alunno assume per lui. Dedicare del tempo a questa osservazione, avvalendosi magari di un osservatore esterno, può risultare davvero vantaggioso poiché anche semplicemente comprendere il motivo per cui un comportamento viene messo in atto e la funzione cui assolve, può essere utile nell’approntamento di interventi psicoeducativi efficaci. Le successive osservazioni sistematiche Come già anticipato in un precedente paragrafo, le osservazioni sistematiche non si esauriscono con quella che si effettua prima dell’intervento, ma ve ne saranno delle altre più avanti. Queste successive osservazioni avranno le stesse caratteristiche della prima, infatti, utilizzando la stessa checklist e il nostro cronometro, valuteremo con che frequenza e durata i comportamenti target vengono emessi dagli alunni. Una volta effettuata questa registrazione possiamo nuovamente inserire i risultati in un grafico. Una volta fatto ciò, potremo metterli a confronto con quelli della nostra baseline per verificare l’efficacia del nostro intervento o decidere di apportare qualche modifica nel caso in cui questo non stia producendo i risultati cercati. Per loro natura, queste osservazioni possono essere effettuate in qualsiasi momento dell’intervento, ma è norma condivisa effettuarne, oltre a quella di baseline, una a metà percorso e una alla fine, allo scopo di vedere prima il progresso e poi il risultato finale. Come avremo modo di vedere più avanti è inoltre utile, una volta concluso l’intervento, effettuare ulteriori osservazioni sistematiche dette follow-up a distanza di mesi, al fine di verificare la tenuta nel tempo dei risultati acquisiti con la token economy.

La valigetta delle ricompense Abbiamo pensato di inserire all’interno del nostro kit, una serie di obiettivi già predisposti. Per fare ciò, abbiamo effettuato un attento e scrupoloso lavoro di ricerca, andando a registrare quelli che sono emersi, in numerosi interventi di token economy effettuati all’interno delle classi nel corso degli ultimi anni, come i comportamenti problematici più frequenti e di conseguenza come obiettivi maggiormente prefissati per i vari alunni. Questo vi consentirà, conoscendo i vostri alunni, di passare subito alla fase dell’intervento vero e proprio, assegnando ai vostri bambini quelli che, tra i comportamenti presenti all’interno del kit, ritenete più adeguati come obiettivi per i vostri allievi.

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La presentazione agli alunni della token economy Una volta terminata la fase di osservazione siamo pronti per partire con la token economy. Se facciamo il punto della situazione, possiamo facilmente vedere come abbiamo tutte le informazioni necessarie per capire: • in quale direzione andare: le nostre osservazioni, occasionale e sistematica, ci hanno consentito di stilare una checklist dei comportamenti che riteniamo inadeguati e sui quali ci siamo prefissati di lavorare; • come capire se siamo sulla strada giusta: la rilevazione di baseline ci consente di capire qual è il nostro punto di partenza e di valutare in corso d’opera, mediante ulteriori osservazioni sistematiche, se stiamo lavorando nella giusta direzione. Una volta fatto ciò viene il momento di coinvolgere gli alunni nel nostro viaggio. È bene sottolineare, e potremo comprenderlo in maniera più approfondita nei prossimi paragrafi, che quanto più la presentazione, così come la realizzazione in generale, è calata nella realtà dei bambini, tanto più diventa coinvolgente. Il consiglio è quindi quello di dare libero spazio alla creatività perché più il lavoro è attinente ai gusti e alle passioni degli alunni, più sarà facile il lavoro. Un impegno serio: il contratto comportamentale Una volta presentato il progetto agli alunni, viene il momento di aderirvi, non solo per loro, ma anche per gli insegnanti. In questa fase, in cui c’è una vera e propria presa di responsabilità riguardo alle regole e ai criteri del programma, è bene affiancare alla presa di impegno verbale, la redazione e sottoscrizione di un vero e proprio contratto scritto. Questo contratto deve avere alcune caratteristiche fondamentali: • essere chiaro: Il linguaggio utilizzato deve essere semplice e lineare; • essere inequivocabile: bisogna lasciare il minor spazio possibile a fraintendimenti e interpretazioni. Per questo motivo è sempre opportuno, mentre lo si legge con gli alunni, domandare a più riprese se vi sono delle perplessità e se tutto è chiaro; • essere condiviso: il contratto non deve essere calato dall’alto, ma deve essere condiviso e negoziato con gli alunni; • essere alla portata: deve contenere regole e vincoli a cui i firmatari devono essere in grado di aderire; • essere bilaterale: deve prevedere una presa di impegno da ambo le parti: «Io alunno mi impegno a...», ma anche «Io insegnante mi impegno a...». Questa fase è molto importante perché ci consente di richiamare gli alunni all’adesione al progetto, facendo riferimento all’impegno preso in partenza, placando eventuali polemiche, riportando l’attenzione alle regole e all’impegno a cui ci si era consapevolmente vincolati prima di cominciare. La natura bilaterale del contratto consente di creare un clima di collaborazione e mutuo aiuto in cui l’insegnante può far notare all’alunno come non sia soltanto lui a dover stare a delle regole, ma anche lui stesso e come qualora le infranga possa essere passibile di richiamo per non aver rispettato l’impegno preso. Uno strumento di questo tipo è di grande importanza anche dal punto di vista della crescita individuale. L’alunno, infatti, in questo modo viene responsabilizzato, si prende un impegno serio e può sperimentare come lo stare alle regole sia più conveniente del non starci, facendo un’esperienza contraria a quelle che probabilmente aveva fatto sino ad allora.

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Cosa devo fare per vincere: la scelta degli obiettivi A questo punto veniamo a occuparci di cosa dovranno fare i nostri alunni per ottenere i token, ovvero cerchiamo di capire come scegliere gli obiettivi. Come abbiamo visto nel paragrafo dedicato all’osservazione, una volta superata questa fase, siamo in grado di stilare una lista di obiettivi su cui lavorare. Innanzitutto un obiettivo deve essere sempre formulato in termini positivi. Questo aspetto è imprescindibile poiché se la regola assume la forma dell’invito alla collaborazione è di più facile assimilazione e inoltre, fatto questo talmente banale da passare spesso sottotraccia, vi è una sottile differenza tra il dire «Non disturbare» e il dire «Lavora insieme a noi»: nella prima forma si sta dicendo all’allievo ciò che non deve fare, senza suggerirgli un’alternativa praticabile, mentre nella seconda alternativa si aiuta l’interlocutore (a tutti i livelli) a comprendere quale sia una condotta alternativa praticabile adeguata. Quindi, per fare qualche esempio: • scriviamo «Alzare la mano per chiedere l’autorizzazione a parlare» piuttosto che «Non parlare senza l’autorizzazione»; • scriviamo «Seguire la lezione» piuttosto che «Non distrarsi»; • scriviamo «Aiutare i compagni a stare attenti» piuttosto che «Non dare fastidio ai compagni». Fatto tesoro di questo accorgimento, possiamo procedere all’assegnazione degli obiettivi. Nel fare ciò è bene decidere con ogni singolo alunno da quale obiettivo partire. Anche qui è opportuno essere cauti poiché, quantomeno nelle fasi iniziali, è preferibile che ogni alunno lavori su un obiettivo alla sua portata, per evitare che si scoraggi e rimanga indietro, con il rischio che voglia abbandonare il progetto. Nelle fasi successive poi si potrà lavorare su obiettivi più «difficili» poiché l’alunno avrà acquisito maggior fiducia nelle proprie capacità. Tutti questi accorgimenti sono di fondamentale importanza nella definizione degli obiettivi e consentono di tracciare una strada chiara che garantisca il pieno coinvolgimento degli alunni nel programma. Che cosa vinco? La scelta dei rinforzatori Abbiamo osservato la classe e individuato i comportamenti target, abbiamo presentato la token economy ai nostri bambini, abbiamo raccolto la loro adesione e abbiamo definito con loro gli obiettivi da raggiungere. A questo punto, prima di partire, i bambini domanderanno: «Maestra, ma in questi gioco cosa si vince?». È questa domanda che ci invita a illustrare un altro importante tema, quello della scelta dei rinforzatori. Abbiamo due principali tipologie di rinforzatori: i rinforzatori simbolici, o token, e i rinforzatori di scambio, ovvero il premio che i bambini riceveranno dopo aver accumulato un certo numero di token. Ne approfittiamo subito per una precisazione. Esistono due modalità principali di erogazione dei rinforzatori di scambio. La prima è quella che prevede l’apertura, in momenti stabiliti prima di iniziare, di una sorta di negozio in cui i bambini possono acquistare i rinforzatori, scambiandoli con un congruo numero di token. Ve ne possono essere alcuni con un costo accessibile al singolo alunno (caramelle, carte da gioco, utilizzo di videogame, ecc.), altri con costi accessibili solo mettendo insieme le monete di più alunni finanche dell’intera classe (gite, escursioni, bonus sulla ricreazione, ecc.). Nella seconda modalità di acquisizione di rinforzatori, quella da noi scelta, si acquisisce automaticamente un rinforzatore di scambio al raggiungimento di un certo numero di token vinti. Per fare un esempio: Mirko potrà giocare mezz’ora con i videogame quando

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avrà raggiunto 10 token; così Nicola potrà leggere il suo fumetto preferito quando avrà raggiunto 10 token. Il suggerimento è quello di non prevedere premi troppo grandi per piccoli risultati. A questo punto, posta in questi termini, la token economy potrà sembrare ancora un gioco individuale, in cui ognuno persegue il suo obiettivo mirando esclusivamente all’ottenimento del proprio premio. Come si può porre rimedio alla questione? In merito a tale aspetto è bene effettuare un’importante precisazione. Se da una parte l’erogazione di rinforzatori di scambio individuali è efficace poiché mantiene alta la motivazione degli alunni, dall’altra costituisce una fonte di rischio in quanto potrebbe trasformare un esercizio cooperativo in uno competitivo in cui ogni allievo si impegna per ottenere prima degli altri il proprio premio. Per scongiurare tale eventualità, il consiglio è quello di sostituire i rinforzatori individuali con un altro tipo di rinforzatori, quelli sociali, costituiti da complimenti, incoraggiamenti e veri e propri simboli del successo conseguito (medaglie, stellette, gradi, distintivi, ecc.) mantenendo sempre l’attenzione della classe sul più importante degli obiettivi, quello collettivo. Per l’assegnazione del premio collettivo si opera in una maniera molto semplice che è meglio illustrabile con un esempio. Se comunichiamo che oltre al premio individuale (meglio se costituito da un rinforzatore sociale), quando tutti l’avranno ricevuto, si riceverà anche un token di gruppo, consistente in una tessera di un puzzle che, una volta completato, rivelerà il superpremio finale, avremo ovviato alla nostra impasse. Introducendo un ulteriore rinforzatore di scambio come premio di gruppo, si potrà notare un significativo cambiamento nell’atmosfera della classe. La collaborazione e la solidarietà prenderanno il sopravvento: gli alunni si incoraggeranno a vicenda, chi ha raggiunto il traguardo non si fermerà, ma comincerà ad aiutare chi è rimasto indietro, in un clima di agonismo di gruppo che gioverà alla classe sotto ogni punto di vista. Per la scelta del superpremio finale, vale la stessa logica del premio individuale: è bene scegliere qualcosa che piaccia ai bambini e che magari, in periodi precedenti, avevano espresso come desiderio (giochi, gite, visione di cartoni animati, un gelato per tutti, ecc.). Per scegliere i rinforzatori, si può organizzare un circle time in cui ognuno manifesta i propri desideri, oppure si può somministrare un questionario che indaghi quali sono le preferenze dei singoli allievi. Si eviterà così di non incappare nell’errore di scegliere un premio che a nostro avviso è «di moda» e quindi riteniamo piaccia anche ai nostri bambini e che invece per qualcuno di loro risulta indesiderato o comunque rinunciabile. Come faccio a vincere? I criteri per l’erogazione dei token Riteniamo questo paragrafo molto importante poiché è proprio su questo punto che si corre il rischio maggiore di commettere errori metodologici. Lavorando nelle scuole ci capita spesso di imbatterci in tabelloni con incollate delle stelline e in alto scritte del tipo «Imparo a stare bravo». Lodevole come iniziativa, viene da pensare, e in effetti lo è, se non che quando si interroga chi l’ha realizzata su quale sia il criterio con cui si riceve la stella, generalmente ci si sente rispondere che «La stella la riceve chi sta bravo». Alla luce di quanto fin qui detto potrete capire quanto un criterio di questo tipo possa rivelarsi inefficace, se non deleterio. Così facendo, infatti, la conseguenza più probabile è che a vincere siano sempre i soliti ed i soliti sono i più bravi. Utilizzando questo criterio, chi già era «bravo» continuerà a esserlo ricevendo un premio senza imparare nulla di nuovo, mentre chi «bravo» non era difficilmente lo diventerà, anzi è assai probabile che dopo qualche giorno in cui non riceverà la stellina, o peggio riceverà una stellina nera (quella del più cattivo), non si impegnerà più o forse si comporterà ancora peggio per interrompere un gioco che è diventato per lui noioso, frustrante e unicamente occasione di rimprovero. Inoltre il concetto di «stare bravo»

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è troppo generico, per nulla operazionale né tantomeno misurabile. Per qualcuno stare bravo può significare stare più tempo al proprio posto, per qualcun altro seguire di più la lezione, per altri ancora alzare la mano prima di intervenire. Questo genera delle differenze individuali che rendono il concetto di «stare bravo» troppo generico e superficiale. Riguardo alla misurabilità poi è bene comprendere come comportarsi. Come abbiamo già visto in precedenza, nel momento in cui iniziamo il nostro programma vero e proprio, disponiamo di quella che abbiamo chiamato baseline, ovvero della condizione iniziale della classe all’inizio del percorso. Aggiungiamo adesso che è opportuno, anche se più macchinoso e complesso, disporre di una misurazione di baseline per ogni singolo alunno rispetto a ogni singolo obiettivo. Dobbiamo quindi sapere quante volte Luca, Marco, Paola, Alberta, Nicola, Matteo, ecc. si alzano da posto, quante volte intervengono senza alzare la mano, quante volte chiacchierano e così via per ognuno dei comportamenti. Perché fare ciò? La risposta è molto semplice: nella token economy ognuno deve avere come riferimento se stesso. Accadrà quindi che Marco, che in baseline si alzava da posto 8 volte nell’arco del periodo di osservazione, riceverà un token se si alzerà da posto per un numero di volte inferiore rispetto alla baseline durante la fase di token economy (quindi meno di 8), così Luca, che in baseline chiacchierava per 27 minuti, riceverà un token se chiacchiererà per meno minuti e così via per ogni singolo alunno e per ogni obiettivo. Così facendo risulta chiaro come si riesca a ovviare all’eventualità di veder vincere sempre i più bravi. Avendo un obiettivo alla portata, anche chi si comportava davvero male, verrà messo nelle condizioni di poter vincere. Ne guadagnerà l’autostima, il senso di autoefficacia la capacità di dirsi «Ce la posso fare». È questo il senso più profondo della token economy: ognuno deve essere messo nelle condizioni di potercela fare. Adesso starete pensando che per un insegnante è impossibile, mentre fa lezione, prestare attenzione e tenere sotto controllo i dati di tutti gli alunni. Assolutamente sì, ecco perché un intervento di questo tipo è di facile attuazione se si dispone di un collaboratore che si occupa esclusivamente di osservare e registrare i comportamenti. Un’alternativa meglio praticabile è quella che prevede l’erogazione di un token ogni qual volta viene emesso il comportamento target. Una volta accumulati un numero congruo di token si verrà ricompensati col rinforzatore di scambio. Nel caso in cui il comportamento target non abbia le caratteristiche per prevedere l’erogazione di un token a ogni emissione, si può fare riferimento a un criterio temporale, erogando il token per ogni tot di tempo che quel comportamento viene emesso: se ad esempio il comportamento alzare la mano prima di intervenire può essere rinforzato a ogni emissione, lo stesso non vale per obiettivi come stare composto, stare seduto al proprio posto o seguire la lezione. Per questi ultimi si può stabilire la regola per cui l’alunno riceve il token ogni 3/5/7/10 minuti che manifesta il comportamento, a seconda del livello in cui si trova ogni singolo alunno. Una volta accumulato un congruo numero di token si riceve il rinforzatore di scambio individuale e quando tutti l’avranno ricevuto si ottiene quello di gruppo che andrà a comporre il puzzle del superpremio finale. Provate a pensare al clima in cui vi troverete adesso. Immaginate una classe coesa, dove anche chi prima non aveva altro obiettivo che far confusione, intervenire a sproposito o disturbare, adesso ha il suo ruolo che riveste con un rinnovato senso di responsabilità. Pensate a una canoa, in cui ognuno ha il proprio remo ben saldo nelle mani e insieme al resto dell’equipaggio si adopera senza sosta per portare la barca al traguardo. Anche il nostro alunno difficile adesso riceverà la considerazione dei suoi compagni e dell’insegnante, ma questa volta sarà diverso, non saranno le solite risate

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per le sue battute sciocche, non sarà la solita inutile punizione; questa volta saranno complimenti, ringraziamenti, incitamenti, sguardi sorpresi e compiaciuti. Così forse per la prima volta si sentirà «capace», si sentirà «in grado», pronto per ripartire verso il prossimo obiettivo. Le regole del gioco Entriamo adesso in seno alla token economy al fine di comprendere come si sviluppa. Come abbiamo detto, ogni bambino a questo punto ha scelto l’obiettivo da cui partire e ribadiamo ancora una volta l’importanza di iniziare da un obiettivo facile, alla portata del nostro alunno. Come prima cosa spieghiamo ai bambini le regole del gioco e, possibilmente insieme a loro, le scriviamo su di un cartellone da appendere in classe. Le regole devono essere chiare a tutti e non devono lasciare spazio a interpretazioni o fraintendimenti: per questo è bene utilizzare un linguaggio semplice e condiviso e assicurarsi che tutti le abbiano comprese e che vi aderiscano. A questo punto, come già anticipato, invitiamo i bambini a prendersi un impegno serio facendo loro sottoscrivere il contratto comportamentale. Una volta illustrato il gioco ai bambini, possiamo iniziare. Vediamo punto per punto come funziona. I token: i token non sono altro che piccoli oggetti che vengono dati al bambino quando raggiunge il suo obiettivo. Vale anche qui il consiglio generale: quanto più i token sono personalizzati e incontrano il gusto dei bambini, tanto più saranno accattivanti ed efficaci. Questo vale anche per i token di gruppo: qualora il token di gruppo sia una tessera di un puzzle, è buona norma che essa sia ispirata ai temi di cui sopra. Ad esempio il puzzle potrebbe rappresentare l’immagine di un personaggio die catoni animati e il premio potrebbe essere un’uscita al cinema a vedere proprio quel cartone. Come si vincono i token: il token, a seconda di come si imposta la token economy, viene vinto o quando il bambino raggiunge il suo obiettivo (ossia se quel giorno si è tenuto sotto la soglia di baseline), oppure ogni volta che emette il comportamento desiderato. Il token di gruppo si vince nel momento in cui tutti i bambini ricevono un prestabilito numero di token individuali, ad esempio 10. Al raggiungimento di un prestabilito numero di token di gruppo (da incollare sul tabellone a formare un puzzle) si riceve il superpremio finale. Vige qui una regola fondamentale: l’erogazione dei token deve avvenire immediatamente dopo il raggiungimento dell’obiettivo, mai procrastinare la consegna. Una volta vinti, i token vengono incollati sul tabellone del gioco, che altro non è che un cartellone, possibilmente moto grande, dove viene disegnata una tabella che reca su un lato i nomi degli alunni e sull’altro le caselline in cui attaccare i token. Per quanto concerne questo aspetto è di fondamentale importanza il passaggio dal rinforzo continuo a quello intermittente. Per far sì infatti che il bambino faccia propri i nuovi comportamenti, si deve pian piano attenuare la presenza del rinforzo. Questo non va tolto repentinamente, ma gradualmente. Per farlo si deve prevedere che nelle fasi avanzate del percorso, si riceva un token ogni due emissioni del comportamento desiderato, poi ogni tre e così via, sino a diradare l’erogazione tanto da poter poi sfociare nella fase post intervento in cui si interrompe l’erogazione. Quando si vincono i token: questo aspetto è a discrezione del conduttore. Si può decidere ad esempio che il tempo di gioco duri tutta la mattinata per tutti i giorni della

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settimana, come si può stabilire che abbia luogo per tre giorni a settimana in un certo arco di tempo (ad esempio lunedì, mercoledì e venerdì dalle 09:00 alle 11:00). Le punizioni: nei programmi di token economy è prevista anche la possibilità di inserire delle contingenze punitive, tecnicamente denominate Costo della risposta. Come già detto è sempre bene, in un programma incentrato sul rinforzo, limitarle al minimo. In alternativa si può prevedere la possibilità di dare delle ammonizioni nel momento in cui il bambino perdura oltre un certo limite nell’emettere il comportamento indesiderato. Si chiarisce con gli alunni che, ad esempio, dopo tre avvertimenti, si perde un punto. Il feedback informativo: è sempre bene tenere presente la possibilità, particolarmente utile, di utilizzare dei sistemi di feedback informativo. Questo consiste nell’utilizzo di dispositivi, meglio se creati dai bambini, che informano ogni singolo alunno sul suo andamento. Pensiamo ad esempio a un cartellone su cui disegniamo un grafico dove durante il programma il bambino segna l’andamento della sua condotta rispetto ai vari obiettivi. Uno strumento di questo tipo (sempre personalizzato sul tema generale) è molto utile perché laddove il bambino stia andando bene garantisce un ritorno in termini di autostima, mentre quando va meno bene lo sprona a migliorarsi. Si può pensare sia a un cartellone individuale che a uno di classe. Diventare tutor: questa è un’opportunità da tenere in considerazione per far sì, da un lato, che la classe si unisca sempre di più e, dall’altro, che chi ha raggiunto il proprio obiettivo non passi del tempo escluso dal lavoro. Tale regola consiste nel dare una semplice consegna secondo cui chi raggiunge prima il suo obiettivo diventa automaticamente tutor e da lì in poi ha il compito di aiutare chi è rimasto indietro. La generalizzazione: è una fase molto importante del percorso il cui obiettivo è quello di far sì che le acquisizioni raggiunte dai ragazzi in ambito scolastico all’interno della token economy si estendano anche agli altri contesti e negli altri momenti della giornata. Un modo molto efficace per far sì che ciò accada consiste nell’introduzione di una fase di autovalutazione in cui non è più l’insegnante a dare i token, ma sono gli stessi alunni a erogarseli. Questa modalità sembra incidere molto sul senso di consapevolezza circa la propria capacità di successo, il tutto a favore di una progressiva interiorizzazione dei nuovi comportamenti che man mano va a svincolarsi dal fatto di ricevere un premio, passando da rinforzo estrinseco (il token e il premio, tangibili e desiderati) a uno intrinseco (come il credere in sé e la consapevolezza dei propri mezzi). A questo contribuisce anche la gestione della modalità di erogazione del rinforzo. Il passaggio dal rinforzo continuo a quello intermittente infatti fa sì che la condotta si sleghi dalla convenienza legata alla ricezione di un premio e diventi parte della dotazione comportamentale dell’alunno. I premi: abbiamo già detto che i premi devono essere accattivanti e desiderati. Vediamo ora come deve avvenire la loro consegna. Rispetto a questo punto si dà la massima discrezione e creatività. Il consiglio generale è quello di prevedere un momento ritualizzato in cui si consegnano i premi. Pensiamo ad esempio a delle giornate prestabilite di consegna dei premi individuali e a una giornata «solenne» in cui il Dirigente in persona premia gli alunni della classe con il superpremio finale. Una norma fondamentale e ineludibile è che nella token economy tutti devono ricevere il proprio premio. Non si deve assolutamente arrivare al punto in cui anche solo un alunno non viene premiato. Se un bambino infatti non riesce a raggiungere i propri obiettivi e non vince nulla, dobbiamo aspettarlo, fermarci e aiutarlo (soprattutto con i tutor),

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senza attaccarlo, incolparlo o punirlo. È bene inoltre, quando ciò accade, domandarci se l’obiettivo è troppo difficile. Se ciò si verifica è bene cambiare obiettivo. La conclusione: la conclusione si ha con la giornata di premiazione finale in cui si consegna ai bambini un certificato di partecipazione in cui sono ben scritti i risultati raggiunti. In aggiunta si può pensare a una pergamena o qualcosa di simile da appendere in classe che rappresenti e ricordi il raggiungimento del risultato di gruppo. I follow-up: è bene prevedere e programmare delle misurazioni a distanza di settimane prima e mesi poi, in cui vengono effettuate delle osservazioni sistematiche per verificare la tenuta delle acquisizioni comportamentali. Conclusioni Come abbiamo sottolineato all’inizio, non abbiamo la pretesa che queste poche pagine possano rappresentare un esauriente contributo a un argomento vasto come quello dell’impiego dei rinforzatori all’interno della classe. Tuttavia auspichiamo che leggendo questo breve vademecum, possiate meglio orientarvi nel momento in cui deciderete di utilizzare la token economy con i vostri allievi. Sarebbe davvero un ottimo risultato per noi sapere che il nostro opuscolo si sia rivelato utile soprattutto nel farvi evitare quei piccoli — ma spesso cruciali — errori che possono compromettere in toto o anche solo in parte il buon esito del vostro intervento. Crediamo molto in quello che facciamo e analogamente ci sentiamo di spronarvi ad utilizzare questo potentissimo strumento nelle vostre classi, senza il timore di sperimentare, variare, rompere gli schemi e dare libero sfogo alla vostra creatività e a quella dei vostri ragazzi. È proprio questo spirito ad averci animato nella realizzazione della valigetta, ossia la volontà di mettere a disposizione dei docenti uno strumento che fosse capace di stabilire delle regole rigorose e al contempo di non porre particolari confini all’iniziativa e alla creatività degli insegnanti e degli alunni. Buon lavoro. Bibliografia Annarumma M., Teorie dell’apprendimento, Università Telematica Pegaso. Ayllon T. e Azrin N.H. (1965), The measurement and reinforcement of behavior of psychotics, «Journal of experimental analysis of behavior», vol. 8, n. 6. Celi F. e Fontana D. (2007), Formazione, ricerca e interventi psicoeducativi a scuola, Milano, McGraw-Hill Education. Wexler D.B. (1973), Token and Taboo: Behavior Modification, Token Economies, and the Law, «California Law Review», vol. 61, n. 1.

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Il cooperative learning

Introduzione Alla base del lavoro che ha portato all’idea, prima, e all’effettiva realizzazione, poi, de La valigetta delle ricompense, vi è senza ombra di dubbio il concetto di cooperative learning. Ci siamo resi conto, infatti, di come tale accorgimento sia di fondamentale importanza nel determinare l’efficacia degli interventi di token economy (per ulteriori approfondimenti vi rimandiamo al contenuto speciale dedicato a questo argomento). Quando si lavora sul singolo individuo — a casa oppure nello studio del clinico — è possibile strutturare il lavoro anche specificamente su di lui, ma quando ci si trova di fronte a una classe è sempre bene coinvolgere tutti gli alunni e non solo quelli che riteniamo debbano essere i principali destinatari del nostro intervento, come ad esempio gli alunni con problemi di relazione e condotta che spesso necessitano di specifiche azioni mirate al miglioramento del loro comportamento in classe. A molti sembrerà una considerazione ovvia e quasi pleonastica, ma vi assicuriamo che così non è. Spesso infatti, quando ci troviamo a confrontarci con gli insegnanti, scopriamo che molti degli interventi messi in atto non prendono in considerazione la possibilità dell’apprendimento cooperativo. Questa «svista» in realtà non compromette del tutto l’efficacia del lavoro, anzi spesso i risultati a cui si perviene sono piuttosto soddisfacenti, ma in ogni caso priva l’insegnante della possibilità di ottenerne di ulteriori e più duraturi. Pensiamo ad esempio a una classe in cui è presente un bambino con ADHD. L’insegnante, di sua iniziativa, decide di consegnargli la «patente del bravo bambino» in cui sono disegnate 10 caselline e dice all’alunno «Se rimarrai seduto per tutta la lezione ti consegnerò uno smile adesivo che potrai incollare sulla tua patente e, quando ne avrai collezionati 10, vincerai un pallone nuovo di zecca». Il bambino sarà felicissimo, comincerà con grande entusiasmo questo nuovo gioco e per la prima ora, forse per le prime due o tre, vincerà gli smile. Accade poi che nell’ora successiva a quella del gioco, litighi con un compagno e lui gli sferri un calcione. Verrà ripreso, forse riceverà una nota o una punizione. Il giorno successivo ricomincerà il gioco, l’alunno riprenderà il suo smile e andrà avanti nella raccolta sulla patente. Non è difficile immaginare che i compagni potrebbero iniziare a rumoreggiare, domandandosi perché, nonostante il calcione del giorno prima, sia stato premiato. Questo accade anche nei giorni successivi, magari con altre intemperanze, ma venendo sempre premiato perché nell’ora del gioco effettivamente rimane al proprio posto. Arriva così il giorno della premiazione: il bambino riceve il suo pallone e i compagni pensano e obiettano «Ma come, si comporta sempre male e ha vinto un premio?!?». A partire da ciò potrebbero nascere delle acredini e potrebbe insinuarsi nella classe il

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messaggio per cui non vale la pena comportarsi bene, tanto non ti premia nessuno, anzi è meglio comportarsi male almeno poi fanno un gioco tutto per te e vinci un bel premio. Non mi dilungo troppo, ma vi invito a immaginare le conseguenze a breve e a lungo termine di una tale situazione. Come ovviare a ciò? Senza spendere troppe parole, e rimandandovi per approfondimenti al contenuto sulla token economy, rispondiamo proprio che la soluzione risiede nel cooperative learning. Immaginate la stessa classe in cui tutti gli alunni hanno la propria patente ed il proprio obiettivo e soltanto quando tutti avranno completato la patente, si riceverà un premio finale, magari una bella gita. È facile immaginare che l’atmosfera sarà stravolta, a nessuno converrà additare o criticare un compagno poiché, se si vuole vincere il premio, proprio quel compagno dovrà accumulare punti il più velocemente possibile. Verosimilmente, quindi, più che accusato verrà aiutato, più che criticato verrà giustificato ed è assai probabile che l’acre competizione lasci il posto a una prolifica collaborazione. In questo breve opuscolo tratteremo proprio il tema del cooperative learning, illustrandone gli aspetti principali sotto un profilo prettamente teorico. Il cooperative learning Facendo qualche passo a ritroso nel tempo, si scopre come le prime esperienze di cooperative learning si debbano attribuire al lavoro dei fratelli Johnson. David e Roger Johnson, due ricercatori statunitensi, intorno agli anni ’70, svilupparono quella che passò alla storia come tecnica del learning together. Johnson e Johnson nella loro teorizzazione, approntarono tre differenti tipologie di «apprendimento insieme» fondate sul concetto del piccolo gruppo (3-5 partecipanti): • cooperativo: che prevede la creazione di piccoli gruppi che lavorano in modo cooperativo tra loro; • individualistico: con la creazione di piccoli gruppi che lavorano per alcuni momenti individualmente pur mantenendo la logica del lavoro cooperativo; • competitivo: questa modalità prevede sempre la creazione di piccoli gruppi che però lavorano in un’ottica competitiva, prendendo parte a una sorta di sfida che vede affrontarsi i vari gruppi. Oltre a ciò gli autori fanno riferimento anche a tre differenti modalità di strutturare il lavoro di un gruppo: • struttura informale: prevede che il lavoro di gruppo occupi brevi periodi del lavoro di classe ad esempio durante un periodo di tempo che veda la spiegazione dell’insegnante come metodologia principale; • struttura formale: prevede una strutturazione più rigida e chiara del lavoro di gruppo, che può occupare tempi più lunghi sino a impiegare diverse settimane nel corso dell’anno scolastico; • gruppi cooperativi di base: rappresenta il livello di organizzazione più rigido e strutturato in cui il lavoro dei gruppi occupa molto tempo, da un minimo di un anno in avanti. Favoriscono il nascere di relazioni tra studenti che spesso valicano i confini della classe.

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Da queste prime sperimentazioni ha preso le mosse tutto il lavoro che ci ha condotto sino alle più moderne applicazioni del cooperative learning. I teorici dell’apprendimento cooperativo lo definivano come la relazione in un gruppo di studenti che richiede: • interdipendenza positiva • responsabilità individuale • interazione promozionale faccia a faccia • abilità sociali • revisione e controllo del comportamento del gruppo. Per comprendere meglio questi concetti, nei prossimi paragrafi ci addentreremo più nello specifico di ognuno di essi. L’interdipendenza positiva L’interdipendenza positiva è un concetto che fa riferimento alla capacità del soggetto di pensare al gruppo non come un semplice insieme di individui, bensì come un team in cui i membri sono strettamente interconnessi tra loro: ognuno di essi comprende quindi di non poter prescindere dalla collaborazione di tutti gli altri per raggiungere l’obiettivo finale. L’interdipendenza positiva può assumere due forme: • oggettiva: si ha quando il lavoro di gruppo, teso al raggiungimento dello scopo, prevede necessariamente la collaborazione tra i membri del gruppo; • soggettiva: quando l’interdipendenza è percepita a livello soggettivo dai singoli membri del gruppo. Quando l’interdipendenza positiva è ben strutturata e percepita dagli alunni, viene a crearsi un clima di sinergia e collaborazione in cui tutti i membri sono consapevoli, in ogni momento, che per raggiungere un obiettivo non possono prescindere dal contributo dei compagni. L’interdipendenza positiva ha varie forme in base al tipo di relazione che viene a strutturarsi tra i membri del gruppo. Più nello specifico Johnson, Johnson e Holubec (2015) parlano di: • interdipendenza di obiettivo: ogni membro del gruppo comprende che può raggiungere il suo obiettivo soltanto se anche tutti gli altri raggiungono il proprio; • interdipendenza di compito: il compito è ripartito in una sequenza tale che, per portarlo a termine, ogni membro deve aver eseguito la propria parte affinché l’altro possa adempiere alla propria; • interdipendenza di materiale: gli studenti sono dipendenti reciprocamente gli uni dagli altri per ciò che concerne l’utilizzo del materiale necessario alla realizzazione del compito; • interdipendenza di informazioni e risorse: ad ognuno dei membri del gruppo viene data soltanto una parte delle informazioni e dei materiali necessari per lo svolgimento del compito. Questo fa sì che, per raggiungere l’obiettivo, le informazioni e i materiali nella disponibilità di ciascun membro debbano essere condivisi; • interdipendenza di identità: si ha nei casi in cui il gruppo decida di darsi un’identità propria scegliendo un nome, uno slogan e un simbolo che lo renda identificabile e riconoscibile; • interdipendenza di fantasia: viene assegnato al gruppo un compito creativo, consistente nell’immaginare di trovarsi tutti in una situazione immaginaria che richiede, per la risoluzione di un particolare compito, la collaborazione tra i membri; • interdipendenza di contesto: significa pianificare con attenzione l’ambiente in modo da favorire la collaborazione tra i membri dei gruppi;

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• interdipendenza di sequenza: si ha nei casi in cui venga strutturato un compito per cui ad ogni membro del gruppo viene assegnato un particolare compito inserito in una precisa sequenza temporale funzionale al raggiungimento dello scopo. • interdipendenza di valutazione: una volta portato a termine il lavoro, il gruppo riceve una valutazione ponderata sul giudizio relativo alla prestazione di ciascuno dei membri; • interdipendenza di incentivi e di celebrazione: l’interdipendenza di incentivi si ha quando i membri condividono un riconoscimento per lo svolgimento del compito assegnato, mentre l’interdipendenza di celebrazione si ha nei casi in cui ad essere condiviso è un ritualizzato momento di celebrazione del risultato conseguito. La responsabilità individuale È una credenza diffusa quella secondo cui il cooperative learning andrebbe a diminuire, se non addirittura ad annullare, la responsabilità individuale. In realtà le cose non vanno per nulla in questo modo. Come sottolinea infatti Mario Comoglio nel suo libro Educare insegnando (1998), «La variabile chiave che media l’efficacia della cooperazione è il senso di responsabilità personale verso gli altri membri del gruppo per raggiungere gli obiettivi del gruppo. Esso implica: • concludere la propria attività; • facilitare il lavoro degli altri membri del gruppo e sostenere i loro sforzi». Se si tiene conto di questo aspetto, si può facilmente comprendere come in un contesto di interdipendenza positiva la responsabilità individuale aumenti: ognuno infatti si sente responsabile di un ruolo e di tutta una serie di compiti e responsabilità ad esso connessi, cui soltanto lui può adempiere. Accanto a ciò è molto importante prestare attenzione affinché ognuno svolga il proprio compito, così da scongiurare l’eventuale verificarsi di episodi di sfruttamento. Per evitare ciò è bene considerare la possibilità di momenti di valutazione e discussione di gruppo in cui si esaminano sia il lavoro e i risultati del gruppo che quello di ogni singolo individui, così da verificare che ognuno abbia fatto la propria parte. Se si tengono in debita considerazione tutti questi aspetti, si noterà come nelle situazioni di interdipendenza positiva la motivazione a portare a termine il proprio lavoro generi un senso di responsabilità in ognuno degli individui coinvolti decisamente superiore non solo ai contesti di gruppo tradizionali, ma anche rispetto a quelli di competizione individuale. L’interazione promozionale faccia a faccia «Questa può essere definita come l’incoraggiamento e la collaborazione reciprocamente scambiati per raggiungere gli obiettivi condivisi e comuni» (Comoglio e Cardoso, 1996). È assolutamente vero che il lavoro di gruppo funziona meglio quando le persone sono in una relazione di interdipendenza positiva, ma è altrettanto vero che spesso ciò non basta. Per far sì che il gruppo funzioni, infatti, è necessario che tra i membri vi sia non solo un comune obiettivo, bensì un reale affiatamento. I membri devono avere una relazione che va oltre il semplice collaborare in funzione dello scopo comune; se ci si limitasse a ciò si rischierebbe di fare un buco nell’acqua. Tra i membri deve strutturarsi un legame

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che favorisca la coesione di gruppo, fondamentale nei momenti in cui si incontreranno delle difficoltà. In queste circostanze se non il gruppo non è coeso rischia di sfaldarsi e di andare incontro al fallimento. In un gruppo coeso l’atmosfera è decisamente differente, caratterizzata da motivazione, entusiasmo e dal piacere di lavorare assieme. Questi gruppi, quando si trovano di fronte a delle difficoltà tendono ad unirsi, ad incoraggiarsi reciprocamente e a sostenersi. Ciò, come è facilmente intuibile, va a tutto vantaggio del raggiungimento degli scopi prefissati. Le competenze sociali Per favorire l’instaurarsi di relazioni supportive e di conseguenza efficaci, è bene che i soggetti possiedano una serie di abilità di relazione e interazione definite «competenze sociali». Queste competenze non sono date una volta per tutte, ma sono al contrario migliorabili attraverso il loro esercizio e addirittura possono essere apprese anche in età adulta. Esse rappresentano una dote particolarmente importante nel bagaglio di competenze del soggetto e sono divisibili in cinque marco aree: • competenze comunicative • competenze di leadership • competenze nella soluzione negoziata dei conflitti • competenze nella soluzione dei problemi • competenze nel prendere decisioni. Gli studiosi dell’apprendimento cooperativo non partono dal presupposto che queste capacità siano già in possesso dell’individuo, ma piuttosto che sia proprio il lavoro di gruppo a favorirne lo sviluppo e il miglioramento. La revisione e il controllo del comportamento del gruppo Perché produca i risultati attesi e migliori l’efficacia, gli interventi di cooperative learning necessitano di uno scrupoloso controllo del lavoro del gruppo. Questo monitoraggio prende nomi differenti a seconda del momento in cui viene effettuato: • monitoring: se avviene In corso d’opera • processing: se avviene una volta terminata l’attività comune. Il monitoring in particolare modo sembra essere, dati alla mano, molto importante nel determinare la riuscita dell’intervento poiché, soprattutto per quei programmi in cui vi sono interventi particolarmente lunghi e complessi, consente di tenere sotto controllo la situazione e di apportare modifiche in corso laddove ciò si renda necessario. Conclusioni In questo breve opuscolo abbiamo trattato quelli che sono gli aspetti principali del cooperative learning. Ancora una volta ci preme sottolineare l’utilità dell’impiego di questo tipo di intervento, soprattutto all’interno di una classe, ma anche a differenti livelli come ad esempio il team di insegnanti che, lavorando in maniera cooperativa, avrebbero ricadute estremamente positive sul rendimento della classe stessa.

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Ovviamente queste poche pagine non hanno la pretesa di aver esaurito la vastità di un argomento su cui si sono spesi anni di ricerche, ma ci auguriamo che rappresenti un primo approccio in grado di stimolare in voi la voglia di sperimentarlo con i vostri alunni. Bibliografia e sitografia Comoglio M. (1998), Educare insegnando, LAS, Roma, p. 67. Comoglio M. e Cardoso M.A. (1996), Insegnare e apprendere in gruppo, LAS, Roma. Johnson D.W., Johnson R.T. e Holubec E.J. (1986), Circles of learning: Cooperation in the classroom, Edina, Interaction Book Company. Johnson D.W. e Johnson R.T. (1987), Learning together and alone: Cooperative, competitive, and individualistic, Englewood Cliffs, Prentice Hall. Johnson D.W., Johnson R.T. e Holubec E. (2015), Apprendimento cooperativo in classe. Trento, Erickson. Pavarin D. e Scorzoni P., L’apprendimento cooperativo. Breve guida per cominciare, http:// www.abilidendi.it/materialeCooperativeLearningBreveGuida.pdf. https://www.scintille. it/learning-together-apprendimento-insieme-dei-fratelli-johnson/

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