Lezioni di Meccanica dei Robot

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Discipline universitarie 1

Cesare Rossi Università di Napoli “Federico II”

Lezioni di Meccanica dei Robot versione provvisoria per l’A.A. 2009-2010

Edizioni Scientifiche e Artistiche



Cesare Rossi UNIVERSITÀ DI NAPOLI - “FEDERICO II”

Lezioni di Meccanica dei Robot Versione provvisoria per A.A. 2009-2010

EDIZIONI SCIENTIFICHE E ARTISTICHE


Progetto grafico ed impaginazione: Cesare Rossi Hanno collaborato: Sergio Savino e Salvatore Strano I diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, archiviata anche con mezzi informatici, o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico, con fotocopia, registrazione o altro, senza la preventiva autorizzazione dei detentori dei diritti. ISBN 978-88-95430-18-8 E.S.A.

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Edizioni Scientifiche e Artistiche

Š 2010 Proprietà letteraria artistica e scientifica riservata www.edizioniesa.com info@edizioniesa.com


Indice Capitolo 1: Definizioni e concetti generali 5 9 27 43 Capitolo 2: Componenti dei robot 48 51 52 62 83 Capitolo 3: Meccaniscmi articolati 88 88 90 91 Capitolo 4: Cinematica dei manipolatori seriali 123 124 125 132 143 144 150 151 156 171 179 185


198 204 210 212 Capitolo 5: Leggi del moto e traiettorie 217 218 223 226 233 Capitolo 6: Dinamica 245 245 250 259 275 Capitolo 7: Elementi di controllo dei robot 279 280 281 285 290 Capitolo 8: Esempi di programmazione dei robot 299 299 300 306 Capitolo 9: Esempi di programmazione delle traiettorie 313 314 319


Capitolo 10: Esempio di progettazione di un robot 323 323 324 333 335 339 341 Capitolo 11: I sistemi di visione computerizzata ed il riconoscimento di forme tridimensionali 344 346 350 353 354 359 365 368 371 375 Capitolo 12: Sistemi di visione applicati ai robot 395 396 399 400 402 404 413 418 419 422 Capitolo 13: Robot antropomorfo per la digitalizzazione e la replica di superfici 434


435 438 442 445 449 452 463 476


CAPITOLO 1 1 DEFINIZIONI E CONCETTI GENERALI 1.1 - Robotica In generale si può affermare che [Mc. Kerrow, 1966] la robotica è la disciplina che riguarda: a) Il progetto, il controllo e la programmazione dei robot. b) Lo studio dei processi di controllo, dei sensori e degli algoritmi utilizzati negli esseri umani, animali e macchine. c) L'applicazione dei processi di controllo, dei sensori e degli algoritmi (di cui al punto b) al progetto dei robot. Molto spesso si fa distinzione tra ingegneria robotica e robotica propriamente detta. L'ingegneria robotica (o tecnica robotica) si occupa del progetto, della costruzione e della applicazione dei robot. La robotica si occupa invece di comprendere i dati ed i processi fisici e tecnologici che sono alla base di percezione ed azione. Una volta che tali principi siano stati stabiliti, essi possono esser utilizzati per il progetto dei robot. La costruzione degli attuali robot è stata resa possibile dai velocissimi progressi dell'elettronica che hanno permesso la realizzazione dei circuiti di azionamento e controllo dei servomotori; contemporaneamente, i progressi nella tecnologia di fabbricazione dei componenti elettronici hanno consentito la produzione di tali circuiti con costi relativamente contenuti. A questo proposito è da osservare che la struttura meccanica di un attuale robot era già realizzabile molti decenni prima (basti pensare ai livelli di precisione raggiunti nei sistemi di guida inerziale dei siluri, nei calcolatori meccanici ed eletttromeccanici della prima metà di questo secolo ed ancora agli "automi" del secolo scorso ai quali si accennerà più avanti). 5


Come accade per qualsiasi scoperta di una certa importanza, la robotica ha in se delle potenzialità sia per il bene che per il male; a questo riguardo molti pensano che essa sia molto lontana dall'essere "neutrale". Tuttavia, essa è una materia in continua evoluzione e, pertanto, è (e diventerà) principalmente quello che noi vogliamo che diventi. Come esempio di quanto appena detto, si può citare il timore (fondato) che molti hanno di vedere i robot finire col sostituire gli esseri umani (con, tra l'altro, perdita di posti di lavoro) senza fornire alcuna contropartita sul piano sociale. D'altra parte però è senz'altro possibile indirizzare la robotica verso altre direzioni: i robot possono ad esempio "potenziare" l'essere umano o liberarlo da compiti gravosi anziché sostituirlo. Come esempi di quanto appena detto i robot possono svolgere lavori molto pesanti ed operare in ambienti insalubri e pericolosi (volendo citarne solo alcuni, si pensi ad: altoforni, manovre di billette in impianti di fucinatura, manutenzione di impianti in profondità marine o deserti, disinnesco di mine), oppure possono svolgere compiti di altissima precisione (perfino operazioni chirurgiche in campo oculistico). E’ importante osservare che, di fatto, l’introduzione dei robot industriali avvenuta negli ultimi decenni non ha causato, nel medio termine, alcuna riduzione del livello di occupazione, mentre speso lo ha incrementato. La tendenza attuale è, infatti, quella di sostituire l’uomo in compiti gravosi o pericolosi o, ancora, talmente ripetitivi da risultare alienanti, reimpiegando le risorse umane che così si rendono disponibili per altri compiti piú qualificati. E’ ancora da osservare che l’impiego dei robot comporta l’utilizzo (sia diretto che indiretto) di molte risorse umane qualificate. 1.2 - Robot Come si può immaginare, il termine robot, riferendosi ad una macchina recente, è ancora piuttosto vago e non vi è alcun accordo a livello internazionale su cosa esattamente si intenda con questo termine. Anche del termine robot industriale, che è quello che maggiormente interessa (i robot industriali sono circa il 95% dei robot oggi utilizzati), non è stata mai data una definizione universalmente accettata.

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Per quanto detto, è utile riportare qui nel seguito le definizioni di robot industriale date da alcuni dei principali Enti che si occupano di sviluppo e ricerca su tali macchine. Per il Robot Institute of America (R.I.A.) con robot industriale si intende "un manipolatore riprogrammabile, multifunzionale, progettato per spostare materiali, parti, utensili o apparati specializzati per mezzo di un moto variabile e programmato a seconda del compito da svolgere". Questa definizione è quella più largamente accettata. Per la British Robot Association (B.R.A.) un robot industriale è "un apparato riprogrammabile con un minimo di 4 gradi di libertà, progettato per manipolare ed allo stesso tempo trasportare utensili od apparecchi specializzati con un movimento variabile e programmato a seconda dello specifico compito da svolgere". In Giappone, e cioè secondo la Japan Industrial Robot Association (J.I.R.A.) ed il Japaneese Industrial Standard Committee (J.I.S), si definisce il robot secondo vari livelli di evoluzione: 1) Manipolatori manuali: macchine che hanno funzioni simili a quelle del braccio umano, cioè muovono semplicemente gli oggetti nello spazio da un punto ad un altro. 2) Dispositivi posizionatori (pick and place). 3) Manipolatori programmabili a sequenza variabile: macchine uguali a quelle del punto 1) che però vengono "istruite" da un programma che può esser modificato entro certi limiti. 4) Robot istruiti manualmente (Playback Robot): robot capaci di eseguire una operazione in base ad informazioni memorizzate mediante l'intervento di un uomo; quest'ultimo fa compiere al robot il ciclo di lavoro una prima volta spostandolo manualmente, il robot memorizza le posizioni da raggiungere e le operazioni da svolgere e ripete il ciclo. 5) Robot controllati mediante un linguaggio di programmazione: robot molto simili ai precedenti ai quali però le informazioni sul ciclo di lavoro da svolgere vengono fornite da un programma simile a quello di un calcolatore. 6) Robot in grado di reagire al loro ambiente (Intelligent Robot): robot in grado di determinare il loro comportamento per mezzo di una propria "sensibilità" e capacità di riconoscimento. In altri termini essi sono in grado, per esempio, di riconoscere il mutamento di una certa situazione ed "adattare" ad essa autonomamente il ciclo di lavoro. 7


Da queste definizioni si evince che la differenza fra cosa si intenda per robot in Occidente e cosa in Giappone, concettualmente risiede nella versatilità della macchina: un semplice posizionatore, cioè un semplice dispositivo meccanico i cui movimenti sono regolati da arresti di fine corsa, in Giappone è già considerato robot, mentre in Occidente è considerato un manipolatore fisso perché esso manca intrinsecamente di flessibilità. Un esempio può chiarire meglio cosa si intenda per robot industriale: immaginiamo, per esempio, di dover tagliare un pezzo di lamiera da un foglio, ed esaminiamo i vari modi di svolgere tale compito, prima nella maniera più semplice o rudimentale e poi via via più complessa o evoluta: 1) Pieghiamo la lamiera più volte fino a tagliare il pezzo desiderato (!). 2) Ritagliamo il pezzo con una cesoia a mano. 3) Utilizziamo un utensile a motore. 4) Mettiamo il foglio di lamiera in una macchina che esegua il taglio secondo una sequenza non modificabile (la macchina può essere anche alimentata da un nastro trasportatore). 5) Per alimentare la macchina precedente utilizziamo un semplice posizionatore; quest'ultimo può presentare il foglio di lamiera in maniere diverse modificando il taglio. 6) Utilizziamo un posizionatore che prende un foglio di lamiera scelto tra vari possibili e lo posiziona nella macchina che lo taglia secondo un profilo scelto tra vari possibili. 7) Un robot a traiettoria continua prende un foglio di lamiera e lo posiziona nella macchina che taglia, dal foglio, una forma complessa scelta tra molte possibili. 8) L'intero sistema fa parte di uno molto più grande interamente controllato da un calcolatore. 9) L'intero sistema robotico fa uso sostanziale di informazioni visive e tattili, per esempio per trovare il foglio di lamiera. In Occidente i livelli 4 e 5 sono considerati casi di automazione fissa (o dedicata); il livello 6 è il più semplice sistema robotico perché esiste la possibilità di variare i movimenti programmati. I livelli 8 e 9 sono già in fase di utilizzo nelle fabbriche, sia pur in misura ancora molto limitata perché vi sono ancora alcuni problemi da risolvere. 8


In Giappone, invece, il livello 5) è già considerato un sistema robotico. La distinzione fra cosa sia un robot in Occidente e cosa in Giappone non è solamente accademica: ad esempio uno dei parametri utilizzati per quantificare il livello di automazione di un'industria è il numero di robot installati; i Giapponesi nel 1981 dichiaravano di aver installato nelle loro industrie 70000 robot, di questi, secondo la definizione occidentale, solo 8000 erano effettivamente dei robot. 1.3 – Meccanica dei robot La meccanica dei robot, intesa in senso stretto, riguarda lo studio geometrico, cinematico, dinamico e funzionale dei robot. Argomenti tipici della meccanica dei robot sono quindi la determinazione della struttura geometrica dei robot e dei loro elementi (fra le molte possibili), la determinazione delle traiettorie, delle velocità ed accelerazioni di questi ultimi, la determinazione delle forze e dei momenti necessari ad ottenere i movimenti desiderati ed infine molte delle problematiche che si incontrano nell'applicare le possibilità di impiego di un robot in un dato ambiente di lavoro o nello svolgere un dato compito (es. pianificazione delle traiettorie). 2 - CENNI STORICI L'idea (o il desiderio) di costruire macchine automatiche per sostituire il lavoro umano o potenziarlo, oppure semplicemente per diletto, si è affacciata nella mente umana in tempi molto più remoti di quanto non si possa credere comunemente. A tal proposito basta ricordare che nella mitologia Greca (v. ad es. Iliade) Efesto, il dio del fuoco, aveva costruito alcuni "automi" (diremmo oggi: androidi) ai quali faceva svolgere alcuni compiti. E’ importante, per chi si occupa di automazione e di robot in particolare, avere una breve panoramica delle principali “tappe del pensiero umano” che hanno portato a realizzare i robot che vengono realizzati ed impiegati oggigiorno.

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2.1 Un antico calcolatore. Una di più antichi esempi di strumenti per il calcolo automatico è rappresentato dal Calcolatore di Anticitera. Poco prima della Pasqua del 1900, un gruppo di pescatori di spugne di Samo (Dodecaneso), al ritorno da una spedizione di pesca nelle acque tunisine, fecero tappa in un’insenatura dell’isoletta di Anticitera (antica Αιγιλια). Alcuni di loro si tuffarono in cerca di spugne su di un fondale di circa 42m. Uno di essi, Elias Stadiatis, trovò una grande nave il cui relitto era adagiato sul fondo; nel relitto, insieme ad anfore ed altri reperti trovò quello che a prima vista sembrava un blocco compatto di bronzo in parte ricoperto da incrostazioni calcaree. Successivamente il reperto fu portato al Museo di Atene dove non fu fatto oggetto di studi articolari prima del 1928, quando l’ammiraglio greco Jean Theophinidis se ne occupò menzionandolo in un articolo sui viaggi di S. Paolo nella Great Military and Nautical Encyclopaedia; Theophinidis descrive alcune visibili ruote dentate presenti nel meccanismo e propone una ricostruzione con proiezioni stereografiche, rilanciando l’idea che lo strumento fosse stato un astrolabio. Solo nel 1951, però, il Professor Derek J. De Solla Price (1922-1983), professore di Storia della scienza all’Università di Yale, con la collaborazione del dott. Christos Karouzos, direttore del Museo Archeologico Nazionale di Atene, intraprese uno studio approfondito avvalendosi anche di altri scienziati per le analisi chimiche e radiografiche del reperto. Negli anni successivi altri ricercatori, tra i quali ricordiamo Allan George Bromley, Michael Wright e quanti fanno parte del “Antikythera Mechanism Research Project”, recentemente costituito, hanno continuato gli studi sul meccanismo scoprendo nuove possibilità di ricostruire il suo funzionamento. Tra gli studiosi che oggi si dedicano al Meccanismo di Anticitera va ricordato l’Italiano Giovanni Pastore che ad esso ha dedicato una parte del suo interessantissimo volume sui regoli calcolatori. Secondo la ricostruzione del De Solla Price, il meccanismo era costituito da un insieme di rotismi contenuti in una scatola avente le dimensioni di circa 30x15x7,5 cm (più piccola di una scatola da scarpe) dalla quale fuoriusciva una manovella che serviva per farlo funzionare. 10


La scatola di legno costituiva il telaio e presentava tre quadranti: uno sul lato anteriore e due su quello posteriore. L’unico quadrante comprensibile è quello sul lato anteriore: esso mostra il moto del sole e quello della luna rispetto alle costellazioni dello zodiaco ed il sorgere ed il tramontare di stelle o costellazioni importanti. I quadranti sul lato posteriore sono poco leggibili perché profondamente corrosi; si presume che essi servissero a visualizzare il moto della luna e degli altri pianeti conosciuti all’epoca. Uno di questi due quadranti riporta la durata del mese sinodico e dell’anno lunare; dell’altro non si sa quasi nulla.

Ricostruzione del meccanismo In figura che segue sono riportate le ricostruzioni dei tre quadranti (quello anteriore in alto e quelli posteriori in basso) e la ricostruzione dei rotismi secondo De Solla Price. Il moto entra dalla ruota dentata A1 (z=45) (che era collegata ad una manovella) ed ingrana con la ruota B1 (z=225); quest’ultima muove tutti gli altri rotismi. Poiché 225/45=5, occorrono 5 giri della manovella (e quindi della ruota A1 per un giro della B1; di conseguenza ad 1 giro di A1 dovevano corrispondere 73 giorni (73x5=365). Il rotismo principale è costituito da una ventina di ruote che, sempre il De Solla Price costituiscono un rotismo differenziale. Una delle funzioni 11


principali è quella di riprodurre il rapporto fisso 254/19 che rappresenta il rapporto del moto siderale della luna rispetto al sole.

Ricostruzione secondo De Solla price

2.2 Automi nell’età classica Se consideriamo il termine robot in un significato piuttosto lato, i primi esempi storici possono esser fatti risalire alla Scuola Alessandrina (III ÷ I sec. a. C.): oltre 2000 anni fa Il più famoso realizzatore di automi della scuola alessandrina è senz’altro Erone di Alessandria. La sua data di nascita è molto incerta: è probabile che l’eclissi di luna da lui osservata sia quella verificatasi il 13 marzo del 62 d.C. Anche le sue origini sono incerte forse fu greco o forse egiziano. In alcuni suoi trattati (La Pneumatica; Sugli Automi), Erone ha descritto statue con sembianze umane (automaton) che si muovevano in un teatro, animali che bevevano, uccelli che cantavano, porte di templi 12


che si aprivano e chiudevano; tutti mossi dall'azione dell'acqua o del vapore. Il meccanismo è mostrato nella figura che segue.

Fig. – Azionamento delle porte di un tempio L’aria calda prodotta dal fuoco F metteva in pressione l’acqua nel serbatoio S che andava a riempire il recipiente mobile C; il peso di questo, agendo su due corde avvolte su due rulli, faceva ruotare i rulli stessi cui erano collegate le porte di un tempio che così si aprivano. Se il fuoco veniva spento la pressione nel serbatoio diminuiva ed in esso ritornava l’acqua dal recipiente mobile; quindi il peso P provocava la chiusura delle porte. Un famoso automa di Erone raffigurava Ercole che colpisce un drago con la clava, una ricostruzione del quale è stata fatta da Giovanbattista Aleoti nel 1589 ed è mostrata nella figura che segue. Una serie di pesi e contrappesi costituiti da serbatoi riempiti dal getto d’acqua di una fontana muovevano le braccia di una statua raffigurante Ercole che così colpiva il drago sulla testa e quest’ultimo emetteva getto d’acqua dalla bocca che investiva Ercole. Moltissimi sono gli automi attribuiti ad Erone, tra i quali ricordiamo ancora un teatro nel quale gli attori erano automi mossi meccanicamente dalla forza dell’acqua o del vapore. 13


Fig.3 – Ercole ed il drago Si tramanda che anche altri alessandrini (Archita di Taranto, Ctesibio, Filone di Bisanzio) abbiano realizzato sistemi automatici, spesso aventi forma di figure umane o di animali, mossi dalla pressione dell'acqua o del vapore. In particolare Ctesibio (probabilmente il fondatore della scuola alessandrina), costruì (tra l’altro) un orologio ad acqua la cui precisione fu superata solo molti secoli dopo dagli orologi a pendolo. 2.3 Il medioevo Nel medioevo progressi furono fatti soprattutto nei meccanismi a camme e nella programmazione del movimento mediante funi avvolte su cilindri. Alcuni di essi sono riportati in fig. 4. In particolare nella fig.4,a è mostrato un meccanismo a camme mentre nella fig.4,b sono mostrati dei cilindri sui quali è avvolta una fune con passo e verso di avvolgimento variabili; tirando la fune a velocità costante, la legge del moto con la quale ruota il cilindro dipende dal passo e dal verso di avvolgimento della fune sul cilindro stesso. E’ possibile così “programmare” la legge del moto del cilindro. Si racconta che Papa Silvestro II (salito al Soglio Pontificio nel 999) abbia inventato il meccanismo a scappamento sulla base del quale sono costruiti i moderni orologi meccanici, e la leggenda vuole che questa controversa figura di Papa abbia costruito anche statue semoventi ed una testa parlante che funzionava grazie al vapor acqueo.

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Fig.4 Meccanismi a camme e funi Un'altra legenda vuole che Alberto Magno (1204-1282) abbia costruito un servitore meccanico, forse per liberarsi da incombenze materiali e poter dedicare più tempo allo spirito. 2.4 Il Rinascimento Per trovare esempi documentati di applicazione dell’automatica occorre attendere il rinascimento. Secondo alcuni Leonardo da Vinci si occupò (anche) di questa disciplina disegnando nel 1495 un meccanismo che è stato interpretato dall’ingegnere nordamericano Mark E. Rosheim come il primo esempio di androide a tutti gli effetti. Una ricostruzione del “robot di Leonardo” ed uno dei disegni ad esso relativi sono mostrati nella figura che segue. E’ indubbio che Leonardo abbia disegnato un dispositivo in grado di far muovere lungo delle guide alcuni manichini in armatura sugli spalti di un castello in modo da simulare la presenza di armati; tuttavia, alla luce di quanto è noto a chi scrive, l’interpretazione che i disegni di Leonardo siano un “robot aneroide” non è molto convincente.

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Il “robot” di Leonardo Anche se non erano precisamente automi, devono essere ricordate alcune protesi realizzate dal chirurgo francese Parè Ambroise (15101590) tra le quali è particolarmente notevole la mano meccanica descritta nel suo trattato “Dix livres de chirurgie” (Parigi 1564); essa fu costruita per un ufficiale francese che aveva perduto una mano in battaglia.

Fig.6 – Mano meccanica 16


Come si può osservare il livello di perfezione degli “attuatori” e delle articolazioni delle dita è davvero sorprendente per l’epoca. E’ davvero un peccato che gli studi del chirurgo francese siano state abbandonati per alcuni secoli. Una spiegazione verosimile è che, in quei secoli, la realizzazione di congegni che riproducessero molto realisticamente quelli della natura fosse ritenuta da molti una attività sospetta. Un impulso alla realizzazione dei meccanismi che muovevano figure di esseri umani o di animali fu dato nel secolo XVI dall’utilizzo della molla a spirale; essa è essenzialmente costituita da una lamina metallica avvolta a spirale che può immagazzinare lavoro meccanico per poi restituirlo nel tempo ed è ancor oggi impiegata negli orologi meccanici. Mediante la molla a spirale fu possibile dotare gli automi di un motore interno, mentre, fino ad allora, essi erano mossi da una fonte di energia esterna, salvo rarissime eccezioni. Nel secolo XVI furono così realizzati da maestri orologiai di Augusta e Norimberga piccoli orologi da tavolo con figure umane che si muovevano grazie al meccanismo ad orologeria. Nello stesso secolo furono realizzati inoltre un buon numero di figure mobili installate sui campanili e sugli orologi delle chiese. Tra tutti si ricorda il gallo meccanico montato nel 1574 sull’orologio della cattedrale di Strasburgo che, a mezzo giorno, appariva, batteva le ali e, dopo aver aperto il becco cantava tre volte. 2.5 - Il XVIII secolo Nel XVIII secolo, accanto al grande sviluppo delle scienze, si verifica uno sviluppo senza precedenti della tecnica e dell’artigianato. In particolare sono notevoli i progressi della meccanica di precisione per la costruzione di orologi. E’ questo un contesto molto favorevole allo sviluppo di meraviglie meccaniche da donare a re ed imperatori e da esibire presso le corti europee. Uno dei più noti ideatori e costruttori di automi fu Jacques de Vaucanson (1709-1782) che dal 1737 al 1741 realizzò alcuni automi il più famoso (ed il più sorprendente) dei quali è certamente l’anatra è andata perduta ma è riportata nella Encyclopedie di Diderot e d’Alambert, (1751). 17


Con questa realizzazione, probabilmente per la prima volta, un progettista tenta di riprodurre, con la meccanica, non solo il movimento ma anche le funzioni degli organi interni di una creatura appartenente al regno animale. L’anatra del de Vaucasson era composta da oltre mille pezzi e le ali da sole contenevano circa 400 parti mobili per riprodurre al meglio possibile i movimenti di un anatra in carne ed ossa. La macchina imitava molto realisticamente i movimenti principali di un’anatra ed inoltre beveva e beccava chicchi di grano.

Anatra di de Vaucasson

All’interno del corpo dell’anatra sono celati particolari sorprendenti: l’acqua ed i chicchi di grano, triturati dal becco, venivano aspirati in un sacchetto che simulava lo stomaco nel quale avveniva una specie di digestione, al termine della quale si verificava l’evacuazione. Non si conoscono descrizioni accurate sul come avvenisse questa pseudo digestione ma il celebre prestigiatore Robert-Houdin affermò di aver riparato l’anatra e che l’evacuazione fosse stata realizzata con un abile “trucco” utilizzando mollica di pane bagnata e colorata di verde. Non è noto se il “trucco” sia stato da attribuire al de Vaucasson o a 18


Robert-Houdin; pare che dell’automa fossero state realizzate copie più o meno fedeli e quindi il prestigiatore potrebbe aver riparato una copia e non l’originale. Ogni movimento dell'automa era codificato mediante cilindri dentati od opportunamente sagomati. Automi molto celebri e per molti versi straordinari furono costruiti da due orologiai svizzeri: Pierre ed Henri-Louis Jaquet Droz, rispettivamente padre e figlio. I due orologiai, coadiuvati da JeanFrédéric Leschot, tra il 1768 ed il 1774 costruirono bambole meccaniche davvero stupefacenti. Al padre si deve Lo Scrivano ed al figlio Il Disegnatore e La Suonatrice, ancor oggi visibili presso il Museo dell’arte e della Storia di Neuchatel in Svizzera. I tre automi sono mossi da motori ad orologeria e, mediante un complicato meccanismo a camme, lo scrivano scrive un messaggio, il disegnatore riproduce un disegno e la suonatrice esegue un breve brano musicale su di una vera tastiera. Il compito che ognuno di loro esegue può essere scelto fra alcuni possibili; in qualche misura si può quindi parlare di una specie di riprogrammabilità.

Automi dei Jaquet Droz

Meccanismo del “Disegnatore”

Nella figura che precede è mostrato il dorso del disegnatore aperto in modo da rendere visibile parte del meccanismo. Esso è composto di due parti: la prima, situata superiormente, agisce su di un cilindro con tre 19


⎧ q1 ( t ) ⎫ ⎪ q (t) ⎪ ⎪⎪ 2 ⎪⎪ {Q( t )} = ⎨ • ⎬ ⎪ • ⎪ ⎪ ⎪ ⎩⎪q m ( t )⎭⎪

dove m rappresenta il numero di assi del manipolatore. Risulta, naturalmente: s1 = f1(Q) ; s2 = f2 (Q) ; · · · · ; sn = fn(Q) Più sinteticamente si può scrivere: S = f(Q)

(4.1)

La (4.1) "introduce" il problema cinematico diretto. 4.2 - PROBLEMA CINEMATICO DIRETTO

Dato un manipolatore, cioè assegnati i parametri geometrici degli elementi rigidi, il problema cinematico diretto consiste nel determinare la posizione della pinza (cioè il vettore {S(t)}), a partire dalle rotazioni, note, dei giunti (cioè a partire dal vettore {Q(t)}. La soluzione di questo problema, per i robot seriali, è relativamente semplice. Nota quindi la funzione f che compare nella (4.1), si possono facilmente calcolare le velocità e le accelerazioni, derivando la (4.1) rispetto al tempo. E' comodo, per il calcolo di velocità ed accelerazioni, far riferimento alla matrice Jacobiana, definita come:

[J(Q)] = ⎡⎢ ∂f (Q )⎤⎥ ⎣ ∂Q ⎦

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Il generico jij vale: ∂f (Q ) j = i i j ∂q j

Velocità ed accelerazioni possono quindi essere determinate mediante le seguenti relazioni: ⎫ ⎡ ∂f (Q ) ⎤ ⎧ ∂Q ⎫ ⎧ ∂Q ⎫ {S& } = ⎧⎨ dS ⋅ ⎨ ⎬ = [J(Q )]⋅ ⎨ ⎬ ⎬=⎢ ⎥ dt ∂Q ∂t ∂t ⎩

⎦ ⎩

(4.2)

&

{S&&} = ⎧⎨ ddtS ⎫⎬ = ⎧⎨ ddtS ⎫⎬ = [J& (Q)]⋅ ⎧⎨ ∂∂Qt ⎫⎬ + [J(Q)]⋅ ⎧⎨ ∂∂tQ ⎫⎬ 2

2

2

2

(4.3)

4.3 - PROBLEMA CINEMATICO INVERSO

Dato un manipolatore ed assegnati posizione ed orientamento desiderati per la pinza, in un sistema di coordinate di riferimento, il problema cinematico inverso consiste nel determinare: 1) Se il manipolatore può portare la pinza nella posizione voluta con l'orientamento richiesto. 2) Quali sono gli angoli dei giunti che individuano la configurazione del braccio per la quale la pinza assume la posizione e l'orientamento richiesti. 3) Quante configurazioni del braccio soddisfano il problema. Più sinteticamente i punti 2) e 3) consistono nel determinare il vettore {Q(t)}, a partire dal vettore {S(t)}; in genere esiste più di una soluzione. La soluzione del problema cinematico inverso è in genere alquanto più complessa di quella del problema cinematico diretto. Se la matrice Jacobiana è invertibile il problema cinematico inverso, in termini di velocità ed accelerazioni, può essere risolto in modo relativamente semplice mediante le relazioni: 125


⎧ dQ ⎫ −1 ⎧ dS ⎫ ⎨ ⎬ = [J ] ⋅ ⎨ ⎬ ⎩ dt ⎭ ⎩ dt ⎭

(4.4)

⎧ d 2 Q ⎫ d[J ] −1 ⋅ S& + [J ] ⋅ &S& ⎨ 2 ⎬= dt ⎩ dt ⎭ −1

{}

{}

(4.5)

Tenendo presente che [J ] ⋅ [J ] = [1] , risulta: −1

d[J ] −1 d[J ] ⋅ [J ] + [J ]⋅ = [0] dt dt −1

da cui: d[J ] −1 d[J ] −1 = −[J ] ⋅ ⋅ [J ] dt dt −1

e quindi la (4.5) si può scrivere: 2 ⎧ d 2Q ⎫ ⎡ dJ ⎤ ⎧ dQ ⎫ ⎞ −1 ⎛ ⎧ d S ⎫ ⎜ [ ] J = ⋅ − ⎨ 2⎬ ⎨ ⎬ ⎜ dt 2 ⎢ ⎥ ⋅ ⎨ ⎬ ⎟⎟ ⎩ dt ⎭ ⎭ ⎣ dt ⎦ ⎩ dt ⎭ ⎠ ⎝⎩

(4.5')

Può accadere che il determinante della matrice Jacobiana sia nullo, in tal caso la matrice non è invertibile. Le configurazioni per le quali ciò si verifica sono configurazioni singolari; nell’intorno di tali configurazioni gli elementi dell’inversa della matrice Jacobiana tendono ad infinito. Fisicamente questo significa che il moto della pinza ha delle limitazioni dovute alla cinematica del braccio meccanico: per alcune configurazioni di ques’ultimo, esisteranno direzioni lungo le quali la componente della velocità della pinza sarà nulla, qualunque sia la velocità degli attuatori; ma non necessariamente sarà nulla, in tali direzioni, anche la componente della accelerazione. Nell'intorno delle configurazioni singolari, per ottenere piccoli spostamenti in una particolare direzione, occorrono grandi movimenti degli attuatori.

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Esempio 4.I

Per chiarire quanto detto, consideriamo un braccio (vedi fig 4.2) dotato di moto piano a due soli gradi di libertà (che costituisce il più semplice esempio di braccio a catena cinematica aperta) ed applichiamo a tale caso le relazioni ed i concetti appena esposti; essi sono validi in via generale per meccanismi costituiti da sistemi multicorpo ad n gradi di libertà.

Fig. 4.2

Problema cinematico diretto: 1) Posizione Le coordinate del centro della pinza sono:

x p = l1 ⋅ cosϑ1 + l 2 ⋅ cos(ϑ1 + ϑ2 )

(4.6)

y p = l1 ⋅ sin ϑ1 + l 2 ⋅ sin (ϑ1 + ϑ2 ) 2) Velocità Derivando le (4.6) si ottengono le velocità:

(

)

(

)

& ⋅ l ⋅ sin ϑ − l ⋅ sin (ϑ + ϑ ) ⋅ ϑ & +ϑ & x& p = −ϑ 1 1 1 2 1 2 1 2 & ⋅ l ⋅ cosϑ + l ⋅ cos(ϑ + ϑ ) ⋅ ϑ & +ϑ & y& p = ϑ 1 1 1 2 1 2 1 2 127

(4.7)


3) Accelerazione Derivando ancora si ottengono le accelerazioni:

(

)(

)

(

)(

)

⎡ && &2 && && & & 2⎤ &x& p = −l (ϑ 1 1 ⋅ sinϑ1 + ϑ1 ⋅ cosϑ1) − l 2 ⎢⎣sin ϑ1 + ϑ2 ⋅ ϑ1 + ϑ2 + cos ϑ1 + ϑ2 ⋅ ϑ1 + ϑ2 ⎥⎦

(

)(

) (

(4.8)

)(

)

⎡ && &2 && && & & 2⎤ &y& p = l (ϑ 1 1 ⋅ cosϑ1 − ϑ1 ⋅ sin ϑ1) + l 2 ⎢⎣cos ϑ1 + ϑ2 ⋅ ϑ1 + ϑ2 − sin ϑ1 + ϑ2 ⋅ ϑ1 + ϑ2 ⎥⎦

Ad uguali espressioni si perviene applicando le (4.2) e (4.3). A tale proposito si calcoli la matrice Jacobiana [J]: ⋅ sin ϑ1 − l 2 ⋅ sin (ϑ1 + ϑ 2 ) [J ] = ⎡⎢−l l⋅1cos ϑ + l ⋅ cos(ϑ + ϑ ) ⎣

1

1

2

1

2

− l 2 ⋅ sin (ϑ1 + ϑ 2 )⎤ ⋅ l 2 ⋅ cos(ϑ1 + ϑ 2 ) ⎥⎦

che consente di determinare, applicando la (4.2), il vettore velocità {x&} :

( (

) )

& ⎫ ⎧− l ⋅ sinϑ ⋅ ϑ & − l ⋅ sin (ϑ + ϑ ) ⋅ ϑ & +ϑ & ⎫ ⎧ϑ ⎧x& p ⎫ 1 1 2 1 2 1 2 ⎨ y& ⎬ = [J ]⋅ ⎨ & 1 ⎬ = ⎨ 1 & + l ⋅ cos(ϑ + ϑ ) ⋅ ϑ & +ϑ & ⎬ ϑ l ⋅ cos ϑ ⋅ ϑ p ⎩ ⎭ 1 1 2 1 2 1 2 ⎭ ⎩ 2⎭ ⎩ 1 Derivando rispetto al tempo la matrice Jacobiana si ottiene:

( (

⋅ ϑ& 1 − l 2 ⋅ cos(ϑ1 + ϑ 2 ) ⋅ ϑ& 1 + ϑ& 2 & & & 1 ⋅ ϑ1 + l 2 ⋅ sin (ϑ1 + ϑ 2 ) ⋅ ϑ1 + ϑ 2

ϑ [J& ] = ⎡⎢−− ll ⋅⋅cos sin ϑ 1

1

1

) )

( (

ed applicando la (4.3) si ottiene il vettore accelerazione {&x&} : && ⎫ ⎧ϑ ⎧&x& p ⎫ & ⎧ ϑ& 1 ⎫ ⎨&y& ⎬ = J ⋅ ⎨ & ⎬ + [J ] ⋅ ⎨&& 1 ⎬ ⎩ p⎭ ⎩ϑ 2 ⎭ ⎩ϑ 2 ⎭

[]

Sviluppando queste ultime relazioni, scritte in forma matriciale, si ottengono ancora le (4.8).

128

) )

− l 2 ⋅ cos(ϑ1 + ϑ 2 ) ⋅ ϑ& 1 + ϑ& 2 ⎤ − l 2 ⋅ sin (ϑ1 + ϑ 2 ) ⋅ ϑ& 1 + ϑ& 2 ⎥⎦


Problema cinematico inverso: 1) Posizione Gli angoli θ1 e θ2 si possono ricavare mediante considerazioni geometriche: 2

OP = x 2p + y 2p = l12 + l 22 + 2 ⋅ l1 ⋅ l 2 ⋅ cosϑ2 da cui: ϑ2 = ± arccos

ϑ1 = γ − arctan

x 2p + y 2p − l12 − l22

(4.9)

2 ⋅ l1 ⋅ l 2

PQ l ⋅ sin ϑ2 = γ − arctan 2 = l1 + l 2 ⋅ cosϑ2 OQ

yp

l ⋅ sin ϑ2 = arc tan − arctan 2 xp l1 + l 2 ⋅ cosϑ2

(4.10)

In alternativa l'angolo θ1 si può ricavare analiticamente, scrivendo le (4.6) in forma matriciale: ⎧x p ⎫ ⎡ − l 2 ⋅ sin ϑ 2 l1 + l 2 ⋅ cos ϑ 2 ⎤ ⎧ sin ϑ1 ⎫ ⋅ ⎨ y ⎬ = ⎢l + l ⋅ cos ϑ l 2 ⋅ sin ϑ 2 ⎥⎦ ⎨⎩cosϑ1 ⎬⎭ 2 ⎩ p⎭ ⎣ 1 2

da cui: − l1 − l 2 ⋅ cos ϑ 2 ⎤ ⎧x p ⎫ ⎧ sin ϑ1 ⎫ 1 ⎡ l 2 ⋅ sin ϑ 2 ⋅ ⎨cosϑ ⎬ = ⋅ ⎢− l − l ⋅ cos ϑ − l 2 ⋅ sin ϑ 2 ⎥⎦ ⎨⎩ y p ⎬⎭ Δ ⎣ 1 2 1⎭ 2 ⎩ dove Δ vale:

Δ = −l 22 ⋅ sin 2 ϑ2 − (l1 + l2 ⋅ cosϑ2 ) < 0 2

risulta quindi: 129


ϑ1 = arctan

− l 2 ⋅ sin ϑ2 ⋅ x p + (l1 + l 2 ⋅ cosϑ2 )y p

(l1 + l2 ⋅ cosϑ2 )x p + l2 ⋅ sin ϑ2 ⋅ y p

e ricordando che arctan α - arctan β = arctan(α−β)/(1+αβ) si ha: ϑ1 = arctan

yp xp

− arctan

l 2 ⋅ sin ϑ2 l1 + l2 ⋅ cosϑ2

che coincide con la (4.10). L'angolo θ2 si può ottenere quadrando e sommando le (4.6): x 2 + y 2 = l12 cos 2 ϑ1 + l 22 cos 2 (ϑ1 + ϑ2 ) + 2 ⋅ l1 ⋅ l 2 ⋅ cos ϑ1 ⋅ cos(ϑ1 + ϑ2 ) + + l12 sin 2 ϑ1 + l 22 sin 2 (ϑ1 + ϑ2 ) + 2 ⋅ l1 ⋅ l 2 ⋅ sin ϑ1 ⋅ sin (ϑ1 + ϑ2 )

da cui: x 2 + y 2 − l12 − l 22 = 2 ⋅ l1 ⋅ l 2 [cos ϑ1 (cos ϑ1 ⋅ cos ϑ 2 − sin ϑ1 ⋅ sin ϑ 2 ) +

+ sin ϑ1 ⋅ (cos ϑ1 ⋅ sin ϑ 2 + sin ϑ1 ⋅ cos ϑ2 )] da cui ancora:

x 2 + y 2 − l12 − l 22 = cos 2 ϑ1 ⋅ cos ϑ2 − cos ϑ1 ⋅ sin ϑ1 ⋅ sin ϑ2 + sin ϑ1 ⋅ cos ϑ1 ⋅ sin ϑ2 + 2 ⋅ l1 ⋅ l 2

+ sin 2 ϑ1 ⋅ cos ϑ2 = cos ϑ2 (sin 2 ϑ1 + cos 2 ϑ1 ) = cos ϑ2 e quindi:

⎛ x 2 + y 2 − l12 − l 22 ⎞ ⎟⎟ ϑ2 = arccos⎜⎜ 2 ⋅ l ⋅ l 1 2 ⎠ ⎝

che coincide con la (4.9).

130


2) Velocità Occorre innanzitutto calcolare l'inversa della matrice Jacobiana:

[J]−1 = 1 ⎡⎢− l Δ⎣

l 2 ⋅ cos(ϑ1 + ϑ 2 ) l 2 ⋅ sin (ϑ1 + ϑ 2 ) ⎤ ⎥⋅ ( ) ( ) ⋅ cos ϑ − l ⋅ cos ϑ + ϑ − l ⋅ sin ϑ − l ⋅ sin ϑ + ϑ 1 1 2 1 2 1 1 2 1 2 ⎦

dove il determinante vale: Δ = l1 ⋅ l 2 ⋅ sin ϑ2

(4.11)

Applicando la (4.4) si risolve il problema cinematico inverso in termini di velocità: &p⎫ ⎧ ϑ& 1 ⎫ −1 ⎧ x ⎨ & ⎬ = [J ] ⋅ ⎨ y& ⎬ ⎩ p⎭ ⎩ϑ 2 ⎭ 3) Accelerazione Applicando la (4.5’) si ottengono le accelerazioni dei giunti: && ⎫ x& p ⎫ ⎧ϑ ⎧ ϑ& 1 ⎫ ⎞ −1 ⎛ ⎧& 1 ⎨&& ⎬ = [J ] ⎜⎜ ⎨&y& ⎬ − J& ⋅ ⎨ & ⎬ ⎟⎟ ⎩ϑ 2 ⎭ ⎩ϑ 2 ⎭ ⎠ ⎝⎩ p ⎭

[]

La (4.11) chiarisce quanto detto in precedenza riguardo le configurazioni singolari della matrice Jacobiana: il determinante di tale matrice risulta nullo se sinθ2 = 0, cioè se θ2=0 oppure θ2=π ; le configurazioni del braccio per le quali ciò si verfica sono rappresentate in fig. 4.3.

Fig. 4.3 131


Come si può osservare, nell'istante in cui i due elementi rigidi sono allineati, se θ2=0 il centro della pinza P ha raggiunto la massima distanza possibile dal punto O e non può ulteriormente allontanarsi da esso, se θ2=π il centro della pinza non può ulteriormente avvicinarsi ad O. In tale istante, in entrambi i casi, la componente della velocità di P nella direzione del segmento OP non può che essere nulla qualunque sia la velocità dei motori & eϑ & . ϑ 1 2 Dalla fig. 4.3 è anche facile comprendere come, se θ2 è molto piccolo, ad una data velocità di rotazione ϑ&2 , corrisponda una componente della velocità di P nella direzione dell'asse di l2 prossima a zero.

(

)

4.4 – MATRICI DI ROTAZIONE

Come si è visto nei precedenti paragrafi, lo studio cinematico diretto di un manipolatore richiede innanzitutto di determinare la posizione (e l'orientamento) della pinza (end effector) in funzione degli spostamenti dei giunti. Tale determinazione, per manipolatori a più gradi di libertà, viene effettuata mediante l'utilizzo di matrici di trasformazione, delle quali si dirà nel seguito, per determinare le quali occorre definire, innanzitutto, delle matrici di rotazione. 4.4.1 - Matrici di rotazione fondamentali

Si consideri un punto P appartenente ad un corpo rigido S (v.fig.4.4), la cui posizione è individuata, rispetto una terna Ouvw solidale ad S dalle coordinate: ⎧p ⎫ ⎪⎪ u ⎪⎪ p = ⎨p ⎬ uvw v ⎪p ⎪ ⎪⎩ w ⎪⎭

{

}

oppure, rispetto ad una terna fissa Oxyz:

132


⎧p ⎫ ⎪ ⎪ ⎫ = ⎪p x ⎪ ⎧p ⎨ xyz ⎬ ⎨ y ⎬ ⎭ ⎪ ⎩ ⎪ ⎪⎩ p z ⎪⎭

E' da precisare che la terna solidale ha l'origine coincidente con la terna fissa e risulta ruotata rispetto a quest'ultima.

Fig. 4.4

E' possibile ottenere il secondo vettore dal primo mediante la relazione:

{

⎧p ⎫ ⎨ xyz ⎬ = [R ] ⋅ p uvw ⎩ ⎭

}

La matrice [R] è la matrice di rotazione. Si supponga che, a partire da una posizione per la quale le due terne erano coincidenti, il corpo S ruoti di un angolo α attorno all'asse x (v.fig.4.5). Le coordinate di P rispetto alla terna fissa saranno date da: ⎧p ⎫ ⎡l l l ⎤ ⎧p ⎫ ⎪⎪ x ⎪⎪ ⎢ ux vx wx ⎥ ⎪⎪ u ⎪⎪ ⎨p y ⎬ = ⎢l uy l vy l wy ⎥ = ⎨ p v ⎬ ⎥ ⎪ ⎪ ⎪ ⎢l ⎪ ⎪⎩ p z ⎪⎭ ⎢⎣ uz l vz l wz ⎥⎦ ⎪⎩p w ⎪⎭ 133


Fig. 13.41

Sia Γ = {x,y,z} l’insieme costituito dalle coordinate dei punti della superficie da realizzare, si orienti Γ in modo tale che risulti: ⎧max(x ) − min( x ) ≤ a x ⎪max( y) − min( y) ≤ a y ⎨max(z) − min(z) ≤ a ⎪max(z) = max(z ) z p ⎩

Dove ax, ay e az sono le dimensione del pezzo da lavorare rispettivamente lungo gli assi xl,yl,zl.

120 100 80 750

60 700

50 650 0

600 -50

550

Fig. 13.42

Si definisco le curve di livello ottenute da Γ ed appartenenti a piani paralleli al piano xlzl ed equidistanziati di una quantità δy dipendente dalla 468


geometria dell’utensile utilizzato. Indicando con ny il numero di curve si ha: γ i = {x i , yi , z i }

i = 1,..., n y

Si definisce la grandezza δz = δy ed il numero nz pari all’approssimazione per eccesso ad un numero intero del seguente rapporto: max(z i ) − min(z i ) δz

allora, per ogni curva di livello i punti che definiscono il percorso da assegnare all’utensile sono definiti come segue: se max(z i ) − δ z j ≤ z i ⎧{x , y , z } γ it = {x it , yit , z it } = ⎨ i i i j=1,..., n z { x , y , max( z ) max(z i ) − δ z j ≥ z i − δ i z j} j =1,..., n z se ⎩ i i

Tali punti saranno ordinati dal valore massimo al valore minimo di z it ed alternando un ordinamento crescente – decrescente alle xit al variare di j, come mostrato in figura 13.43. 120

100

80 50

700

0

680 660 640 -50

620 600

Fig. 13.43 469


Agli insiemi dei punti delle curve di livello viene aggiunto un punto avente coordinate xl e yl pari a quelle dell’ultimo punto e zl = max(zp)+5 δz in modo tale da assegnare all’utensile un punto che lo riporti una volta eseguita la curva di livello al di sopra del pezzo da lavorare e quindi in posizione tale da poter passare alle curve successive. Il percorso totale da assegnare all’utensile per effettuare la lavorazione è rappresentato dall’unione delle curve di livello come indicato di seguito: ny t

Γ =

t i

i =1

L’obiettivo è stato quello di definire una curva parametrica che interpolasse i punti del percorso. Una curva parametrica nello spazio è un’applicazione continua da un intervallo I ⊆ R in R 3 : λ ∈ I → {x (λ), y(λ ), z(λ)} ∈ R 3

Per definire le varie grandezze associate alla curva si richiede per lo meno la regolarità di classe C 2 (vale a dire di ciascuna componente come funzione da I in R ). Una curva inoltre è regolare in un punto se il vettore: {x′(λ), y′(λ), z′(λ)}

(13.28)

non è il vettore nullo. Com’è noto, la (13.28) fornisce in ogni punto della curva la direzione tangente alla curva stessa (con l’apice si intende la derivazione rispetto all’argomento). La mancanza di regolarità in un punto della curva è associata all’esistenza di punti singolari. Per ottenere una curva parametrica a partire da Γ t si è scelto di adottare la funzione interpolante spline cubica naturale. Si indichi con N t il numero di punti del percorso, ed il parametro k = 1,2,..., N t , per ogni vettore componente di Γ t si definisce una funzione interpolante. 470


A titolo di esempio si consideri il vettore colonna x ′k = f (k ) , la spline cubica di tale funzione nei nodi x′k sarà una funzione s x (λ) tale che: ⎧s x1 (λ ) ⎪s x 2 (λ ) ⎪ s x (λ ) = ⎨s x 3 (λ) ⎪ ... ⎪⎩s xN t (λ )

se 1 ≤ λ ≤ 2 se 2 ≤ λ ≤ 3 se 3 ≤ λ ≤ 4 ... se N t − 1 ≤ λ ≤ N t

Dove ogni s x k ( λ ) è un polinomio di grado ≤ 3, e tale inoltre che (I) s x k ( λ ) = xk′ per k = 1,2 ,..., N t (II) s x ( λ ) ∈ C 2 [ 1, N t ] Così facendo si ottiene una curva parametrica nello spazio Ψ ( λ ) : (13.29)

Ψ (λ ) = {s x (λ ), s y (λ ), s z (λ )}

Per ogni punto della funzione (13.29) è possibile definire il versore tangente: t (λ) = {t x (λ), t y (λ), t z (λ )} =

Ψ′(λ ) Ψ′(λ )

Una volta definito il percorso geometrico si passa alla definizione della traiettoria. Con la pianificazione della traiettoria si intende stabilire la modalità con cui si vuole che evolva il movimento del manipolatore, da una postura iniziale ad una postura finale. Si tratta di definire sia il percorso geometrico che la sua traiettoria. La definizione del percorso può essere fatta sia nello spazio dei giunti che nello spazio operativo; di solito si preferisce quella nello spazio operativo, perché consente in maniera più naturale di descrivere il compito che il manipolatore deve eseguire. Inoltre consente di affrontare problemi legati alla presenza di vincoli sul percorso: questi sono infatti 471


Discipline universitarie 1 Cesare Rossi Lezioni di Meccanica dei Robot versione provvisoria per l’A.A. 2009-2010

La meccanica dei robot, intesa in senso stretto, riguarda lo studio geometrico, cinematico, dinamico e funzionale dei robot. Argomenti tipici della meccanica dei robot sono, quindi, la determinazione della struttura geometrica dei robot e dei loro elementi (fra le molte possibili), la determinazione delle traiettorie, delle velocità ed accelerazioni di questi ultimi, la determinazione delle forze e dei momenti necessari ad ottenere i movimenti desiderati ed infine molte delle problematiche che si incontrano nell'applicare le possibilità di impiego di un robot in un dato ambiente di lavoro o nello svolgere un dato compito (es. pianificazione delle traiettorie).

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ISBN 978-88-95430-18-8

9 788895 430188

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