Roberto de Rubertis
Darwin architetto l’evoluzione in architettura e oltre
Edizioni ScientiďŹ che e Artistiche
ARCHITECTURA 3
Roberto de Rubertis
Darwin architetto l’evoluzione in architettura e oltre
Edizioni Scientifiche e Artistiche
Immagine di copertina e illustrazioni all’interno: “Ritmi di materia in formazione” di Carlo Enrico Bernardelli Progetto grafico ed impaginazione: Helix Media - www.helixmedia.it
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ISBN 978-88-95430-42-3 E.S.A.
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Edizioni Scientifiche e Artistiche
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Imprevedibili mutazioni generano il segno, favorevoli circostanze lo guidano, poi nasce la forma.
È convinzione diffusa e incontestabile che l’architettura, nei cinquemila anni e poco più della sua storia, abbia subìto un graduale processo evolutivo e che l’uomo abbia conseguito traguardi sempre più avanzati nell’adattare l’ambiente alle proprie esigenze. Che questo sia l’esito di una deliberata volontà di progresso è convinzione ugualmente diffusa, ma contestata dall’ipotesi deterministica di un’evoluzione intesa come prodotto necessario ed inevitabile di una successione di eventi occasionali, selezionati in base a contingenze accidentali. A voler inquadrare subito la questione in termini evoluzionistici, deve riconoscersi innanzitutto che lo stesso termine “evoluzione” necessita di chiarimento. Nel suo uso più corrente, di recente adozione, contiene il significato di un cambiamento indissolubilmente legato ai concetti di progresso, di sviluppo e di miglioramento, mentre nell’accezione scientifica ed etimologica allude solo al mutamento, non necessariamente volto al conseguimento di una maggiore qualità: ex-volvere ha infatti implicito il concetto di derivazione da qualcosa, non di orientamento verso un fine, come invece oggi comunemente si intende. In architettura la dicotomia si presenta particolarmente problematica per il nesso sottile che lega il progetto alle sue finalità. Gli stessi obiettivi della scienza e della tecnologia, che supportano l’innovazione in architettura coinvolgendo ogni sua espressione dalla maniglia alla megalopoli, vanno perdendo oggi progressivamente la legittimazione etica conquistata dall’idealismo prima e dal positivismo poi. Allo stesso modo l’affermarsi di un pensiero debole in antitesi alla visione teleologica della storia attenua l’antica fiducia nella ricerca delle verità ultime e quindi offusca il senso dell’agire umano volto a perseguirle.
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Secondo la logica evoluzionista, come si è già detto, il punto di partenza essenziale è che accadono eventi la cui maggiore o minore vantaggiosità, valutabile solo a posteriori, è la discriminante che decreta la loro sopravvivenza selettiva. Alla base dell’operato umano, ma fin qui la questione riguarda qualsiasi organismo vivente, sta l’istinto di sopravvivenza che, anche a non volerlo considerare motore assoluto di ogni azione, è comunque agente costante in tutto l’arco della vita. L’istinto di sopravvivenza, nel rispetto del principio essenziale dell’evoluzionismo, si forma anch’esso in modo occasionale e inevitabile: azioni accidentali che producono vantaggio hanno la tendenza ad essere selezionate rispetto ad altre. Chi ha compiuto, anche non intenzionalmente, atti che si sono poi rivelati utili, o anche chi ha solo, sempre per caso, avuto tendenze che ugualmente hanno mostrato efficacia, è stato selezionato dalla natura ed è sopravvissuto con maggiore facilità. Di conseguenza la sua attitudine si è conservata nei suoi geni più che l’attitudine opposta, vale a dire quella di compiere azioni autolesioniste o neutrali. L’insieme degli atti abilmente volti a procurare più vantaggiosa sopravvivenza è diventato così patrimonio genetico selezionato e le generazioni che ne hanno beneficiato hanno incamerato tale comportamento come facente parte della propria natura. Si è detto poi impropriamente istinto di sopravvivenza tale comportamento, associandogli una sorta d’impulso mirato alla conservazione della specie o del singolo organismo, mentre è solo una annessione al patrimonio genetico delle tendenze più vantaggiose, come il piacere della nutrizione, della riproduzione e del difendere comunque la propria vita, in quanto uniche tendenze sopravvissute selettivamente.
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L’incipiente crescita di attenzione per la ricerca di indizi evoluzionistici in architettura dà inizio ad un nuovo capitolo della teoria formulata da Darwin; capitolo di particolare interesse perché il nuovo ambito di sperimentazione consente verifiche molto più agevoli rispetto all’ambito biologico, per la velocità con cui possono essere condotte le osservazioni, dall’individuazione dei postulati alla constatazione delle conferme. In biologia il meccanismo che porta alla sopravvivenza delle mutazioni che superano la selezione naturale è governato dai geni, possessori dei codici di trasmissione della vita. Le accidentali variazioni (errori di duplicazione) delle innumerevoli sequenze di proteine e basi azotate che formano la doppia elica del DNA, producono impercettibili progressive alterazioni degli organismi stessi. Ma le modifiche sono riscontrabili solo nel confronto tra generazioni successive, sufficientemente distanziate perché si possano rendere evidenti le differenze accumulate nel tempo. La trasmissione biologica delle mutazioni richiede infatti che la vita, e con essa le mutazioni, si rinnovi tra le generazioni attraverso il meccanismo della riproduzione. Meccanismo lento; tanto lento, nella generalità dei casi, da determinare incertezza sulla reale possibilità di dar luogo alle differenze macroscopiche che si riscontrano tra le specie viventi, e tanto lento da lasciare spazio alle convinzioni creazionistiche che ipotizzano la nascita simultanea di tutti gli organismi all’inizio dei tempi per opera divina (nel 6000 a.C. secondo le fonti più accreditate). Non ci si sofferma qui sulla descrizione di come il processo si sviluppi in biologia; ciò che interessa invece notare è che in architettura, come in tutta l’attività umana, la trasmissione dei caratteri di volta in
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Si vuole prendere qui in esame il modo di operare dei memi, traendo spunto dalla polemica sorta a seguito della pubblicazione del saggio Il gene egoista di R. Dawkins. Secondo il pensiero evoluzionista ciò che conta è il fatto che i memi, e diciamo qui segnatamente quelli riguardanti l’architettura, come d’altra parte anche i geni in generale, non perseguono alcuno scopo prefissato né vogliono nulla, tanto meno possono essere tacciati di atteggiamenti egoistici. Semplicemente, vengono replicati oppure no. La stessa cosa vale per i canali attraverso i quali avviene la trasmissione dei memi, vale a dire i media attraverso i quali essi si diffondono, nonché gli stessi bacini di accoglimento nei quali poi sopravvivono o scompaiono. Secondo Dawkins le culture possono evolversi in maniera analoga a come si evolvono gli organismi viventi. Molte delle idee che passano da una generazione alla successiva possono aumentare o diminuire le possibilità di sopravvivenza della generazione che le riceve, la quale a sua volta potrà ritrasmetterle o meno. Ad esempio, una cultura potrà sviluppare una propria personale tecnica ed un proprio metodo per realizzare un utensile o una soluzione costruttiva. In alcuni casi questi metodi e queste tecniche si diffonderanno maggiormente e la cultura che li avrà concepiti ne ricaverà beneficio o forse danno, comunque ne sarà in qualche modo influenzata. Il progetto dell’utensile agisce quindi in modo simile a come agisce un gene biologico appartenente a certi organismi piuttosto che ad altri, guidando con la propria presenza o assenza il futuro del gruppo cui appartiene.
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Nella ricerca biologica l’indagine sull’origine della vita risale nel tempo fino ad uno stadio evolutivo assai remoto del pianeta, oltre due miliardi di anni fa, quando un “brodo primordiale” di composti di carbonio diede inizio a forme primitive di molecole autoriproducentisi. Si ritiene che l’altissima varietà di sostanze coinvolte e la forte stimolazione determinata da un ambiente molto instabile abbiano favorito le eccezionali circostanze d’innesco, uniche secondo alcuni, della catena di eventi da cui è andata poi sviluppandosi la vita. Se si tratti di circostanze solo rare e improbabili, o anche veramente irripetibili, implica una differenza tutt’altro che marginale che però esula da queste note. L’ipotesi di estensione dell’evoluzionismo all’architettura procede in modo analogo a quello del nascere della vita sul pianeta, anche se molto più veloce, e prende in esame l’infinità di contingenze che innescarono combinazioni di materiali e di tecniche tra le quali, in poche decine di migliaia di anni, andarono selezionandosi quelle più idonee a risolvere necessità umane estemporanee, quali la protezione dagli agenti atmosferici, la difesa dai predatori e la semplicità di esecuzione. Una sorta di brodo primordiale architettonico che però, a differenza di quello biologico, continua ad essere operante ancora oggi, ogni volta che imprevedibili situazioni di necessità, oppure altrettanto imprevedibili opportunità offerte dalle circostanze, creano mutazioni vantaggiose per la sopravvivenza dell’uomo, o anche per la sopravvivenza della stessa sola mutazione, senza ricaduta di vantaggio sull’uomo. Le condizioni ambientali che diedero origine inizialmente alla vita non sono più presenti e sembra che non si registrino nuovi casi di una
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Pare evidente comunque che alla scala urbana si assista oggi alla più inquietante dimostrazione dell’imprevedibilità dell’evoluzione. Il caso è offerto dalla città stessa, come luogo tradizionalmente cintato e separato dall’ambiente circostante. Luogo della vita per eccellenza, predisposto a proteggerla e agevolarla, secondo un ordine conformato alle attività funzionali alla sopravvivenza. Luogo calibrato dalle necessità umane e fatto quindi, come si è sempre detto, a misura d’uomo. Ma luogo esploso e dilagato oggi verso altre dimensioni, al di fuori di ogni previsione e di ogni intenzione. Certo non può più dirsi che la megalopoli contemporanea sia plasmata in conformità delle esigenze dell’uomo che ospita, né che sia idoneamente predisposta a nutrire il suo corpo e il suo spirito secondo un ragionevole programma di migliorie. La città che in passato si poteva forse supporre fosse esito del coordinamento di obiettivi consapevoli, indirizzati intenzionalmente da menti libere e attuati secondo volontà conseguenti, appare oggi fuori da ogni controllo umano, proiettata verso dimensioni mai espressamente volute, ma derivanti da sommatorie di eventi contingenti e sfuggenti. Sebbene anche in passato le cose non siano andate sostanzialmente in modo molto dissimile, deve riconoscersi che oggi il fenomeno è ben più evidente. Le espansioni urbane crescono in modo incontrollabile lungo direttrici che si protendono come tentacoli ad esplorare territori sempre più problematici. La dinamica dei luoghi (e dei “non luoghi”) si adegua a leggi operanti solo nel quadro dell’intera struttura e che, come in un organismo unitario di alta complessità, sono globalmente inconoscibili, fatta eccezione per sintomi episodici, estemporanei e locali.
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L’accettazione dell’automatismo che, secondo il pensiero evoluzionista, regola ogni aspetto del divenire trova spesso un ostacolo insuperabile nel convincimento tenace che gli accadimenti, per lo meno quelli interessanti la scala del comportamento umano, siano tutti interconnessi e soprattutto che quelli riguardanti gli atti consapevolmente compiuti siano frutto di motivata e libera scelta, conseguenza necessaria del libero arbitrio, assunto come facoltà umana aprioristicamente posseduta. Si era già introdotto il tema del libero arbitrio, segnalandone la sua verosimile evoluzione per via genetica e quindi la sua giustificazione all’interno della logica evoluzionistica. È ipotesi di difficile trattazione, vista la scarsa disponibilità dell’uomo di rinunciare a quello che appare un privilegio eccellente ed esclusivo della sua specie. La rinuncia risulta essere ancora più insuperabile nell’ambito di quelle attività dove il valore della libera iniziativa, delle scelte ponderate e dell’assunzione cosciente di responsabilità sembrano elementi dominanti nel quadro di una progettualità che si ritiene incontestabile. È quanto accade soprattutto nell’ambito delle arti applicate e in ogni altra occasione nella quale l’ingegno, la volontà e le attitudini naturali possono essere volte al bene collettivo e nelle quali quindi assume valore indiscutibile l’intenzione del singolo di porsi a servizio di un ideale. Sembra stare in questo il valore ontologico del libero arbitrio, vale a dire nel poter indirizzare con libera consapevolezza il proprio operato secondo un programma finalizzato al vantaggio collettivo, piuttosto che ad azioni di basso profilo egoistico; in altri termini nel poter scegliere tra bene e male.
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Un’affascinante ipotesi di recupero delle prospettive di libera finalizzazione dell’opera umana, e quindi del pensiero progettuale che la muove, nasce proprio ai margini del ragionamento evoluzionista, ed è quella proposta da Pierre Teilhard de Chardin il quale, pur accettando l’origine accidentalmente selettiva dell’evoluzione, traccia una visione finalizzata dell’intero divenire del cosmo, nella quale attribuisce all’uomo il ruolo essenziale di partecipe e prosecutore della stessa creazione, inserito in un piano aprioristicamente prestabilito da un volere superiore. Nella sua concezione la materia, attraverso un processo evolutivo sempre più complessificato, darebbe luogo inizialmente alla vita, poi al pensiero cosciente, quindi allo spirito che mira alla perfezione. Il postulato di un obiettivo finale, che per l’architettura sarebbe quello di cooperare a determinare le condizioni favorevoli allo sviluppo armonioso della vita, ne risulta consolidato in una visione trionfale. Franco Purini inquadra in modo analogo il suo riconoscimento dell’incontestabilità scientifica dell’evoluzionismo e preserva allo stesso modo il ruolo egemone e illuminato del progettista negando l’accidentalità degli esiti della sua opera. La necessità di contemperare spiritualismo ed evoluzionismo è oggi sostenuta con vigore da Vito Mancuso e contestata con altrettanto vigore da Telmo Pievani. Interessante è anche la contestazione sotto forma di dibattito fatta da Corrado Augias in “Disputa su Dio e dintorni”, che provoca l’incessante retrocessione di Mancuso da tutte le posizioni di pensiero progressivamente affrontate e il suo conseguente arroccamento su linee difensive sempre più arretrate.
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Lineamenti generali
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La questione della “missione” progettuale
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Geni e memi
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Il meme egoista dell’architettura
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L’evoluzione dell’architettura
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L’evoluzione della città
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Il libero arbitrio
Appendice 69
L’evoluzione del pensiero
Roberto de Rubertis è Senior Professor della facoltà di Architettura, Università “Sapienza” di Roma. Ha fondato e diretto (dal 1986) la rivista “XY, dimensioni del disegno”. Tra le sue pubblicazioni: Progetto e percezione (Officina, Roma 1971), Il disegno dell’architettura (NIS Carocci, Roma 1994), De vulgari architectura (Officina, Roma 2000), La città rimossa (Officina, Roma 2002), La Città mutante (Franco Angeli, Roma 2008); Rilievi archeologici in Umbria (ESA, Napoli 2012); in narrativa: La bistilloide (Kappa, Roma 2004).
Carlo Enrico Bernardelli è architetto e pittore. Ha insegnato Storia dell’Arte nei Licei Artistici; Percezione e Comunicazione Visiva nella facoltà di Architettura, Università “Sapienza” di Roma. Ha esposto i suoi disegni in varie gallerie e ha pubblicato articoli sull’immagine in riviste specializzate. Insieme a S. Tanimoto, Università di Washington, Seattle, ha costruito due programmi su web per la gestione di dati attraverso l’immagine: “Vedo, Vedi” e “The Etruscan Room”. Ha creato presso il Liceo Artistico Ripetta di Roma un laboratorio informatizzato per il restauro virtuale di opere pittoriche antiche.
Finito di stampare presso presso Cangiano Grafica in Napoli nel mese di Maggio del 2012
E.S.A.
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Il libro contesta la convinzione diffusa che l’architettura, nei cinquemila anni o poco più della sua storia, abbia subìto un graduale processo evolutivo come esito di una deliberata volontà di progresso da parte dell’uomo. Sostiene, al contrario, l’ipotesi deterministica di un’evoluzione intesa come prodotto inevitabile di una successione di eventi occasionali, selezionati in base a contingenze accidentali. Un’ipotesi le cui estreme conseguenze delineano un futuro inquietante.
€ 15,00
ISBN 978‐88‐95430‐42‐3
9 788895 430423
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