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L’archeologo del futuro

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ARIA DI NOVITÀ

ARIA DI NOVITÀ

GUARDARE AVANTI, SENZA MAI DIMENTICARE IL PASSATO. TROVARE L’ISPIRAZIONE NELLE COSE IMPROBABILI, CONNETTENDO MONDI DIVERSI TRA LORO, PER INNOVARE

E CAMBIARE, SENZA DIMENTICARE LE PROPRIE RADICI

COLLOQUIO CON GIULIO CEPPI DI BENEDETTA MINOLITI

Creare connessioni improbabili, tra mondi diversi tra loro, essere curiosi, mettendo insieme ingredienti differen ti. Potremmo racchiudere così, molto brevemente, l’intervista con Giulio Ceppi, architetto, designer e fondatore di Total Tool Milano. Rispondendo con entusiasmo a tutte le domande, Giulio Cep pi è riuscito a trasmettere non solo la grande passione per il suo lavoro, ma anche il desiderio, e l’obiettivo, di guardare sempre avanti, verso il futuro, senza però dimenticare il passato. Ecco cosa ci ha raccontato.

Com’è nata la tua passione per il design?

In realtà io volevo fare l’archeologo subacqueo. Ad un certo punto però mi sono reso conto che l’archeologia guardava solo indietro, mentre io volevo guardare avanti. Oggi è come se fossi un “archeologo del futuro”, perché per guardare al futuro devi sempre essere legato al passato. Il piacere del viaggiare nel tempo mi ha portato a questo lavoro, perché il progettista non si occupa solo dello spazio ma anche del tempo, soprattutto se vuoi lavorare con l’innovazione. Lavoro cercando sempre di connettere passato, presente e futuro.

Chi sono i tuoi “maestri”?

Io mi ritengo un po’ apocrifo, perché tra i miei maestri c’è Jacques-Yves Cousteau, grande esploratore degli oceani e progettista, primo a fare importanti documentari sul mare. Ho poi avuto due maestri “veri”: Ezio Manzini, da cui ho preso l’attenzione per i materiali e per l’ambiente e Antonio Petrillo, tra gli inventori del design primario.

E invece da cosa ti lasci ispirare?

Sono un onnivoro. Credo che l’ispirazione arrivi quando c’è una soglia di curiosità molto alta e ci si fanno tante domande. Soprattutto, bisogna creare connessioni improbabili. In questo mi ha sicuramente ispirato Bruno Munari, mio professore alla scuola politecnica di design, un maestro nel creare connessioni tra mondi che forse non si sarebbero parlati. Io, ad esempio, ho insegnato al Politecnico con persone che provenivano da mondi diversi, come Elio (Stefano “Elio” Belisari, frontman di Elio e le storie tese, ndr), con cui ho lavorato su sonorità e acustica degli oggetti. La curiosità e la consapevolezza sono le due fondamentali attività che deve coltivare un progettista per rimanere vivo e non diventare monotono.

Qual è invece il tuo modus operandi? È molto simile alla tecnica del collage, dove si uniscono frammenti, piccoli pezzi che attraggono l’attenzione. Mettendo poi insieme diversi ingredienti, come in cucina, capisci quali sono quelli giusti, che ti servono per creare qualcosa di nuovo. Non credo nell’idea in assoluto, non vengono sotto la doccia. E poi, non servono a niente se non sei in grado di tradurle in realtà.

Com’è nata Totaltool?

Nasce nel 1999 come gruppo di lavoro interdisciplinare ed internazionale, dopo le mie esperienze negli anni ‘90 al Centro Ricerche Domus Academy e in Philiphs Design, entrambe realtà progettuali con queste caratteristiche ed ambizioni. Un gruppo di persone che sapessero far dialogare architettura, design, comunicazione e ricerca dentro un unico processo: allora era una forte intuizione, oggi credo siamo diventati per molti un modello di riferimento. Sono passati oltre 20 anni, ma non siamo cambiati, anche se siamo cresciuti e maturati.

C’è un progetto a cui sei particolarmente affezionato?

Questa è sempre una domanda difficile, come chiedere ad un padre se ha un figlio che ama più degli altri. Certamente abbiamo avuto clienti importanti con cui si sono instaurate relazioni lunghe nel tempo, fondamentali per fare innovazione vera, che ci hanno permesso di fare progetti belli e duraturi insieme. Con Autogrill, ad esempio, ho lavorato oltre 12 anni, arrivando poi a concepire Villoresi Est che, ancora oggi a 10 anni dalla realizzazione, credo sia un benchmark e un riferimento insuperato per la sua categoria, per caratteristiche di sostenibilità e di qualità dell’esperienza. È il locale più altovendente in Italia tra oltre 1000 punti vendita. Io poi collaboro anche con le scuole di Reggio Children, un’eccellenza assoluta nella pedagogia e lavorare per l’infanzia e per le generazioni future con un partner eccezionale come loro mi dà grande gioia e soddisfazione.

Sul vostro sito si legge, nella sezione “mission”: “Per noi innovare è una missione”. Cosa significa?

Credo che in Totaltool non sia mai capitato di fare due progetti simili o di ripetere un tipo di commessa. Ci interessa esplorare, ricercare il nuovo e il “non noto”. Non si possono battere terre già note. Se fossimo un’imbarcazione saremmo una rompigiacchi o un ocean explorer, non una nave passeggeri. Probabilmente non è un caso che uno dei prossimi progetti sia proprio EARTH 300, un ocean explorer di 300 metri destinato a ospitare a bordo 300 persone tra scienziati, progettisti, artisti e ricercatori che collaborano sul tema del cambiamento climatico.

Nella realizzazione di un progetto, che ruolo hanno i materiali?

Primario, fondamentale. Anzi spesso per noi i materiali sono il progetto. Tra i nostri clienti ci sono aziende come 3M per le quali abbiamo lavorato sull’identità dei materiali e delle tecnologie di lavorazione, cercando nuovi mercati e trovando nuovi clienti. Questa è tra le commesse che amo di più, ritenendola più interessante rispetto al classico design del prodotto o dell’oggetto finito: un materiale è vivo, in trasformazione continua, alla ricerca di nuove soluzioni applicative.

In occasione dell’ultima Design Week avete presentato “VIVARIUM. The Educational Power of Bio-based Materials”, progetto che esplora il tema dei materiali bio-based come “ingredienti fondamentali per la scoperta e la crescita di progettualità delle nuove generazioni”. Parliamo nel dettaglio di questo progetto. Come dicevo conosco Reggio Children da oltre 25 anni e VI-

VARIUM vuole creare un approccio sperimentale e di ricerca sul tema dei materiali bio-based partendo dall’infanzia e da come i bambini possano percepire questo cambio epocale. La mostra all’Accademia di Brera è stato il primo passo di un percorso che include altri partner di prestigio internazionale e aziende leader, ma anche giovani start up. Lavorare con i bambini ci aiuta a volte a vedere le cose con occhi diversi e trovare nuove strade progettuali, soprattutto quando il tema è di natura culturale, non puramente tecnologica. Abbiamo identificato 4 grandi macrofamiglie, messe poi ironicamente in campane di vetro come nuova divinità da santificare nel nostro quotidiano. Questo per costruire un immaginario che i materiali bio-based ad oggi faticano a trovare.

Una delle quattro macrofamiglie di “VIVARIUM. The Educational Power of Bio-based Materials”

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