86 minute read

Bambino Gesù di Roma pag

MI PRENDO CURA DI TE

APRE A GENNAIO, SUL LITORALE ROMANO, IL CENTRO DI TERAPIE PALLIATIVE PER I PIÚ PICCOLI REALIZZATO DALLA FONDAZIONE BAMBINO GESÙ. A RACCONTARE IL PROGETTO, SOSTENUTO DA FS ITALIANE, LA PRESIDENTE DELL’OSPEDALE MARIELLA ENOC

di Cristiana Meo Bizzari

Ci accoglie nella sede storica del Bambino Gesù al Gianicolo, nella Capitale, come se fosse casa sua. D’altronde, lei è la “mamma” dell’Ospedale pediatrico che da oltre 150 anni è il fiore all’occhiello della medicina in Italia e nel mondo. La presidente Mariella Enoc si batte ogni giorno per la ricerca, la formazione e la cura dei bambini. Costruire «un contenitore dove il dolore possa essere gestito con empatia e partecipazione» lo considera un suo compito, che verrà tradotto in realtà con l’apertura, a gennaio 2022, del Centro di cure palliative di Passoscuro, sul litorale romano. La struttura accoglierà i bambini che non possono guarire e le loro famiglie, accompagnando entrambi nel percorso di cura in ospedale e a casa. Dieci posti letto saranno destinati ai pazienti della Regione Lazio e altrettanti a quelli delle regioni limitrofe. Come è nato il progetto? A settembre abbiamo iniziato un percorso velocissimo, acquistando l’immobile da una congregazione di suore e realizzando un’importante opera di trasformazione interna. È un ambiente umanamente bello dove è facile gestire le emergenze grazie alla vicinanza con Palidoro, uno dei cinque poli ospedalieri del Bambino Gesù. E poi intorno c’è un bellissimo parco con accesso diretto al mare. Come sarà organizzato il centro? Sarà quasi una casa: piccole unità abitative con una camera per il bambino, una per i genitori e uno spazio diurno, come voluto anche dalla Regione La-

l e P e d ia tr ico Bambino Gesù a © A rchi vi o O s pe d

Mariella Enoc

zio. Qui le famiglie potranno seguire i figli nelle funzioni vitali e apprendere alcune tecniche da usare poi a casa, magari con l’aiuto di un servizio domiciliare. Sarà un luogo dove trascorrere un periodo di transizione, non necessariamente solo quello della fine della vita. Per questo ci tengo a chiamarlo Centro di cure palliative. Cosa si intende per cura palliativa? Il pallium era il mantello, nato per proteggere. Non si tratta di una cura vera e propria perché non può portare alla guarigione, ma è un sostegno per vivere meglio e togliere il dolore per quanto possibile. È un percorso di assistenza e partecipazione, richiede un rapporto di empatia con le famiglie che vivono quotidianamente un grande dramma. Come le supportate?

Grazie all’aiuto di psicologi, infermieri, fisioterapisti, assistenti sociali e volontari, oltre ovviamente a medici preparati in maniera specifica per le cure palliative. Insomma, con tutto quello che può comprendere un servizio che non è più ospedaliero ma di cura. Il centro è stato realizzato grazie alla campagna Mi prendo cura di te della Fondazione Bambino Gesù. La raccolta fondi è ancora aperta: che riscontro state avendo? Abbiamo deciso di non far pesare il progetto sui bilanci dell’ospedale finanziandolo con il fundraising e, in pochi mesi, siamo arrivati quasi a metà del budget necessario. Sono positivamente colpita: l’idea è stata capita, le persone ci stanno sostenendo e ci auguriamo di ricevere altre donazioni entro la fine dell’anno. Sono grata anche al Gruppo FS che sta contribuendo all’iniziativa e a tutti quelli che fanno qualcosa per il nostro ospedale, anche solo raccontandolo. Parlare delle malattie infantili, però, è ancora un tabù… In qualche misura sì. Quando viene diagnosticata una malattia a un bambino la reazione è quella di una tragedia che incombe. Ma, per esempio, oggi dalla leucemia si guarisce nell’85% dei casi. La comunicazione è fondamentale: dobbiamo far capire che le cure ci sono, così alcune parole terribili nell’immaginario comune possono essere assorbite meglio. Anche

© Archivio Ospedale Pediatrico Bambino Gesù

Un padiglione della sede del Bambino Gesù al Gianicolo, Roma

Dottori in corsia, la docu-serie girata all’interno dell’ospedale in collaborazione con Rai Fiction, è stata utile perché racconta storie di speranza: presto verrà realizzata anche la quinta serie. E lei che rapporto ha con il dolore? Il dolore è di tutti, bambini, adulti e anziani. Il nostro compito è renderlo meno faticoso, più di vicinanza e condivisione: non basta mettere il mantello sulla persona che soffre, sotto ci dobbiamo essere tutti noi. Siete il primo centro di ricerca pediatrico in Europa e il secondo nel mondo, con numeri che parlano da soli: 62mila accessi al Pronto soccorso nel 2020, 26mila ricoveri, quattromila famiglie assistite. Su cosa volete puntare ora? Sulla ricerca, il nostro cuore pulsante: qui vanno cercati gli strumenti per

Una stanza del Centro di cure palliative a Passoscuro (RM) guarire. Quando mi chiedono di vedere l’ospedale porto tutti nei laboratori, dove abbiamo un’officina farmaceutica di 1.400 metri quadrati per la generazione di prodotti di terapia cellulare. E poi investiamo sulla formazione, anche in Paesi complessi come la Libia, dove stiamo organizzando corsi online per 160 infermieri di sei ospedali. Lei è un medico di formazione e una manager per scelta. Come concilia l’aspetto umano con l’esigenza di dover far quadrare i conti? È sempre difficile, anche se faccio questo lavoro da quasi 50 anni. Soprattutto perché il Bambino Gesù non porta avanti attività nel privato e ha bisogno di moltissime risorse: le cure sono a carico nostro e totalmente gratuite per i pazienti. Diamo anche tanto spazio alla relazione e questo ha un costo. Qui non si fanno esami ogni 20 minuti, se una visita deve durare un’ora si fa lo stesso. È un modello un po’ più complicato, ma con il grande rigore dei costi e i tagli alle spese inutili l’ospedale oggi sta in equilibrio.

© Archivio Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ospedalebambinogesu.it fondazionebambinogesu.it

DONA ORA

È possibile sostenere con una donazione le attività della Fondazione Bambino Gesù, che vanno dall’acquisto di apparecchiature tecniche ai progetti di ricerca scientifica, fino alla formazione del personale sanitario nei Paesi esteri. Tutte le informazioni su: fondazionebambinogesu.it/dona

GIOIELLI D’ABRUZZO

DAI BOTTONI DEL COSTUME MULIEBRE DI SCANNO AI MONILI D’AMORE CHE L’HANNO RESA FAMOSA NEL MONDO. A EXPO 2020 DUBAI L’ECCELLENZA ARTIGIANA DELL’OREFICERIA DI RIENZO

di Cecilia Morrico MorriCecili morricocecili

Foto © Oreficeria Di Rienzo L inee di matita che danzano insieme sui fogli e materiali preziosi come l’oro e l’argento resi sottilissimi, tanto da intrecciarsi tra loro come fili di una maglia splendente. Questa la magia dell’Oreficeria Di Rienzo, che da Scanno, vicino L’Aquila, realizza le sue creazioni dal sapore antico narrando storie passate ma ancora vive nel tempo. Un’azienda a conduzione familiare, nata nel 1850 e scelta per rappresentare l’eccellenza dell’Italia a Expo 2020 Dubai, negli Emirati Arabi Uniti fino al 31 marzo 2022. Tra monili e utensili centenari incontriamo Armando Di Rienzo, sesta generazione della famiglia, fratello del maestro orafo Eugenio e proprie-

Realizzazione dei gioielli della linea Bottoni nell’attuale Laboratorio orafo Di Rienzo, Scanno (AQ)

Tradizionale costume muliebre di Scanno (AQ)

tario dell’oreficeria e dell’antico laboratorio. La vostra azienda è perfetta per celebrare il “saper fare” italiano all’Esposizione universale di Dubai. Che cosa avete preparato per l’occasione? Nel Padiglione Italia presentiamo tutti i nostri gioielli artigianali legati alla tradizione orafa abruzzese. Ognuno di essi cela una storia, porta con sé un significato e rappresenta un simbolo: le Sciacquajje sono orecchini realizzati in lamina decorata a cesello con motivi floreali e pendentini oscillanti all’interno che emettono un caratteristico tintinnio. L’anello Cicerchiata prende il nome da una particolare denominazione dialettale che si riferisce alla decorazione granulare, bugnata, che caratterizza il castone a fascia dell’antico anello nuziale maschile, simile ai grani della leguminosa cicerchia. Torniamo al 1850: tutto nasce dai costumi muliebri tradizionali di Scanno, adornati da bottoni in argento creati dal vostro laboratorio. Come si sono trasformati in gioielli? Alessio Di Rienzo e suo figlio Armando, nei primi del ‘900, continuarono la lavorazione orafa con lo scopo di adornare questi abiti tipici ma cominciarono a realizzare anche gioielli con pietre preziose ispirati allo stile borbonico. Successivamente il giovane Nunziato, cresciuto in bottega al fianco del nonno e del padre, si appassionò all’attività artigianale e alle tecniche di lavorazione in filigrana e lamina traforata, cesellata e incastonata. Nel corso degli anni poi, quando iniziò a cambiare l’uso del costume tradizionale, si comprese che l’arte orafa, oltre a impreziosire l’abito, doveva accompagnare le persone nella loro quotidianità. La filigrana è la tipica lavorazione scannese, ce la racconta? Si è sviluppata a partire dalla seconda metà del XIX secolo e consisteva nell’intreccio, in senso orario, di due fili

La lavorazione degli orecchini Sciacquajje nell’attuale Laboratorio orafo Di Rienzo in un frame tratto dal filmato di Gabriele Salvatores per Expo 2020 Dubai

Gli orecchini Sciacquajje

d’oro o d’argento. Si cominciava con la fusione di questi metalli, che essendo molto teneri venivano legati con altri in grado di conferire loro maggiore durezza. La barra ottenuta si lasciava raffreddare per poi passarla al laminatoio e ridurne lo spessore. Infine, si utilizzava la trafila, un banco con nastro di stoffa munito di ruota, dove il filo veniva fatto passare dal primo foro andando a ottenere lo spessore desiderato. Questi fili sottilissimi venivano accoppiati, intrecciati, battuti e saldati intorno a un telaio seguendo motivi spiraliformi e floreali somiglianti al merletto del tombolo. Le due arti più antiche della tradizione scannese, l’oreficeria e il tombolo, erano in realtà molto simili: l’orafo rielaborava con il metallo le fantasie floreali delle merlettaie. In un periodo in cui il costo del lavoro era di gran lunga inferiore a quello della materia prima, la filigrana permetteva di creare manufatti delicati e di grande effetto. Oggi le tecniche sono le stesse ma sono cambiati gli strumenti, che consentono di realizzare gli oggetti più facilmente. Tra i monili più famosi c’è l’Amorino, una spilla il cui modello è stato brevettato anche dalla Camera di commercio de L’Aquila. Come è nato? Creato nel 1926 da Armando Di Rienzo come pegno d’amore per la sua sposa, è ispirato alla tradizione orafa del Regno di Napoli. Si tratta di un talismano carico di forza spirituale, ideato per rafforzare la volontà di vivere felicemente nella comunione matrimoniale. La spilla-ciondolo è costituita da una corona, simbolo della nobiltà e un cupido, dio dell’amore. Il tutto era impreziosito originariamente da nove coralli o turchesi, poi, nel corso degli anni, da smeraldi, rubini, zaffiri o diamanti. Il gioiello è stato premiato durante una mostra mondiale a New York, nel 1960, diventando l’emblema della produzione orafa scannese. Avete creato anche la Presentosa, un altro pegno d’amore citato anche da Gabriele D’Annunzio nell’opera Il trionfo della morte… «Una grande stella di filigrana con in mezzo due cuori»: così la descriveva

il celebre poeta abruzzese nel suo romanzo del 1894. Un caratteristico ciondolo che, secondo la tradizione, veniva donato dai genitori dello sposo alla futura consorte, prima che il pastore partisse per la transumanza verso il Tavoliere delle Puglie. Ancora oggi è un omaggio che auspica felicità e amore perenne. C’è anche la versione con un solo cuore che viene donata in segno di amicizia e affetto. Ora questo gioiello è divenuto il simbolo con il quale si identifica l’intero Abruzzo, poiché racchiude il lavoro, la tradizione e la storia di ogni bottega regionale che ha contribuito alla sua creazione. Ogni modello racchiude una storia, quindi. Sì, posso citare anche l’anello le Manucce, che rappresenta il simbolo dell’amore. È costituito dalla mano dell’uomo e da quella della donna che avvolgono e proteggono il cuore: tre anelli uniti da un perno che li fa ruotare. L’antico laboratorio all’interno dell’oreficeria è diventato un piccolo museo: quali tesori ospita? Custoditi nelle teche, si possono ammirare gioielli tipici, in oro o argento, legati al costume muliebre scannese e gli antichi strumenti con i quali venivano realizzati. Un viaggio che va dalle caratteristiche collane del XIX secolo, come i Finimenti e le Chiacchiere, ai monili del XX secolo creati artigianalmente da quattro generazioni di orafi: Alessio, Armando, Nunziato ed Eugenio Di Rienzo. E nel XXI secolo che gioielli avete realizzato? Nel 2010 mio fratello, il maestro Eugenio, ha avuto l’onore di realizzare gli Spilloni con pietre preziose da appuntare sul pallio pontificio di papa Benedetto XVI, in occasione della sua visita a Sulmona (AQ) per la celebrazione dell’Anno Giubilare Celestiniano. Il 29 novembre 2015, la Camera di commercio industria artigianato e agricoltura dell’Aquila ci ha conferito il premio Imprese antiche, riconoscendo ufficialmente l’esistenza della nostra oreficeria da oltre 100 anni. Con l'ingresso di mio figlio Filippo, settima generazione, stiamo introducendo un processo di digitalizzazione con nuove strategie di marketing digitale e una piattaforma e-commerce. Puntiamo a rendere sempre più illustre l’inestimabile eredità ricevuta, diffondendo in Italia e all’estero la conoscenza, la bellezza e il pregio degli antichi monili e delle usanze popolari scannesi. armandodirienzo.com Oreficeriadirienzo oreficeriadirienzo

L’antico Laboratorio orafo Di Rienzo, ora museo

Il pastificio Cuomo, Gragnano (NA)

DONNA DI BUONA PASTA

AMELIA CUOMO HA RILANCIATO L’AZIENDA DI FAMIGLIA A GRAGNANO. VALORIZZANDO IN MODO INNOVATIVO UN PRODOTTO STORICO CELEBRATO ANCHE A EXPO 2020 DUBAI

di Silvia Del Vecchio - s.delvecchio@fsitaliane.it

Foto © Giulio Testa giulio_testa_

Amelia Cuomo, insieme al fratello Alfonso, in sei anni ha recuperato due secoli di storia familiare legati indissolubilmente alla cultura della pasta di Gragnano (NA). Un prodotto celebrato anche a Expo 2020 Dubai attraverso i filmati del regista Gabriele Salvatores dedicati alle eccellenze italiane. Oggi, nell’ambito del Premio GammaDonna, Cuomo ha ricevuto il Giuliana Bertin Communication Award 2021 proprio «per la straordinaria capacità nel valorizzare eredità e identità dell’unica tra le più antiche famiglie pastaie di Gragnano ancora attive, facendo ricorso a un mix innovativo di storia, tecnologia, promo-

Amelia Cuomo

zione del territorio, per raccontare la pasta da diverse prospettive». L’imprenditrice campana ha rinunciato a una carriera come manager in una multinazionale della consulenza per far rivivere il pastificio fondato dai suoi avi nel 1820. «Ho ideato un modello di business capace di fondere insieme produzione agroalimentare, cultura, tecnologia digitale ed economia circolare», spiega. «Innovare era il solo modo vincente per ridare vita all’unica tra le più antiche aziende di Gragnano ancora oggi in attività negli stessi spazi di un tempo. Pasta Cuomo è rimasta ferma per circa 70 anni, ma nel 2015 abbiamo deciso di ricostruirla nella sua verità storica creando qualcosa di nuovo». Come ci siete riusciti? Ho messo a frutto la mia formazione, analizzando quello che facevano le altre imprese del settore, per poi diversificare. Siamo partiti da un prodotto di eccellenza puntando sugli elementi che ci rendono unici: la storia e il territorio. La pasta resta al centro del nostro business ma andiamo oltre, per generare turismo e cultura. Qualche esempio? I tour nel nostro pastificio, il bistrot a chilometro zero, la scuola di cucina, il b&b tematico e il museo interattivo. Abbiamo costruito un percorso esperienziale declinato su più fronti, permettendo a chi viene a trovarci di fermarsi a dormire negli alloggi dei vecchi pastai, rivisitati in chiave moderna: le camere del c c a b&b – Vesuviotta, o R o Spaghettona, Mar n d faldina e Lumacoa e s s na – celebrano le l A © donne illustrando la loro quotidianità e i piatti a cui si ispirano. Le nostre visite guidate hanno il merito di spiegare il made in Italy anche agli italiani, non solo ai turisti stranieri, proprio qui nei luoghi dove questa abilità imprenditoriale è nata e cresciuta. Per rilanciare l’antico pastificio siamo partiti dai nostri concittadini, raccontando loro una storia che molto spesso ignoravano, per poi aprirci al mondo. Organizziamo anche presentazioni di libri, mostre, eventi musicali e teatrali con autori e artisti locali. Abbiamo voluto compiere questo switch tra l’idea di un prodotto della tradizione e la volontà di personificarla e renderla tangibile venendoci a trovare. Siete una sorta di promotori della conoscenza, quindi. Esattamente, e lo siamo in tanti modi. Offriamo corsi di cucina, come Fusilli class, Cooking class o Cucina con nonna, perché a Gragnano quest’abilità artigianale è detenuta dalle persone anziane che, però, sono poco valorizzate. Per noi, invece, cucinare con la nonna diventa un valore aggiunto per tramandare il sapere. C’è poi il tour per visitare il vecchio mulino a cilindro e il pastificio a vapore, in cui si utilizzava anche la dinamo: veri e propri ruderi di archeologia industriale di enorme valore. Abbiamo coinvolto professori universitari per studiare il passato di questa fabbrica e farne una vera ricostruzione storica, anche attraverso il libro Una famiglia, un pastificio (Belle Époque Edizioni, pp. 175 € 22), e Gragnano è risultata tra le città più industrializzate e all’avanguardia dell’800. Così un’identità familiare è diventata, nei canoni della microeconomia, inimitabile. Dico sempre che la nostra è stata un’operazione romantica. E il museo? Si può visitare sia in loco che virtualmente, attraverso l’app gratuita Discover Pasta Cuomo. È un mix innovativo di storia, tecnologia e promozione del territorio per scoprire tutto sull’unica famiglia bicentenaria di pastai in Italia e nel mondo. Come mai Gragnano è diventata la città della pasta? Gragnano ha costruito la propria identità sulla pasta, già di uso comune alla fine del ’600. Qui si posero le basi per costruire un’economia fondata sulla semola di grano duro, grazie alla ventilazione e alla possibilità di approvvigionarsi di acqua sorgiva e grano dalla vicina Puglia. Quello che maggiormente affascinò i nostri predecessori fu la possibilità di creare un mercato mondiale senza particolare aggravamento di costi per la

Il museo interattivo

conservazione del prodotto. Nell’800 le strade e i palazzi furono progettati e costruiti appositamente con volte e diagonali tali da convogliare i delicati venti, ottenendo mulinelli naturali per favorire l’asciugatura della pasta lungo le strade e sui balconi. In particolare sulla via Roma, attorno alla quale si è espansa la città, dove il microclima era perfetto per essiccare gli spaghetti. Qui si incontravano, e ancora si incontrano, i venti provenienti dai Monti Lattari e dal Golfo di Sorrento. Oggi l’essiccazione avviene in fabbrica, all’interno di celle statiche: abbiamo rinnovato tutti i macchinari e i risultati del rigoroso controllo di qualità ci arrivano sullo smartphone, grazie a un’applicazione collegata a sensori che forniscono dati sintetici e diagrammi di produzione. Vi aspettavate di vincere un Award nell’ambito del Premio GammaDonna? Assolutamente no, ci ha sorpreso. E poi io non sono abituata a ricevere premi. Mi ha reso felice che qualcu-

Il bistrot a chilometro zero

Il b&b, camera Lumacona

no abbia riconosciuto il sacrificio necessario per realizzare tutto questo. Ho vissuto lontano da qui dai 18 ai 34 anni, non ho ricordi dell’azienda da piccola, perché era chiusa. Ma una volta tornata, entrando in questi locali, per me è stato come un déjà vu. E la pasta è diventata la mia vita, le ha dato un senso. Ora la sfida dell’innovazione proseguirà: vogliamo avviare un restauro conservativo del vecchio mulino per trasformarlo in un cinema a cielo aperto, perché in città manca un luogo di aggregazione. Il tuo piatto preferito? Sono una sempliciona, senza alcun dubbio la pasta pomodoro e basilico. Il suo profumo è insuperabile.

pastacuomo.com | gammadonna.it pastacuomogragnano pastacuomo GammaDonna gammadonna_

Il vecchio mulino

a cura di Luca Mattei ellemme1 lucamattei1 - l.mattei@fsitaliane.it e Francesca Ventre - f.ventre@fsitaliane.it

save the date

DICEMBRE 2021

1600 ANNI DELLA LAGUNA

© Sofia Franceschini

VENEZIA FINO AL 25 MARZO 2022 Venezia è stata fondata nel 1421, per tradizione il 25 marzo. Per celebrare una delle capitali culturali mondiali, sono ancora in corso eventi, manifestazioni, conferenze e seminari organizzati nell’ambito del progetto Venezia 1600. Tra i molti appuntamenti, la mostra Venetia 1600. Nascite e rinascite, a Palazzo Ducale fino al 25 marzo: una storia, raccontata in modo inedito, delle fasi di rinnovamento ma anche dei periodi di crisi e rotture che la Serenissima ha affrontato nei secoli. Le opere esposte sono realizzate dai massimi artisti e letterati che lavorarono in Laguna, come Giambattista Tiepolo, Tiziano e Canaletto. Particolare attenzione è dedicata a luoghi simbolo quali la basilica e il campanile di San Marco, il Palazzo Ducale, il Ponte di Rialto, la chiesa di Santa Maria della Salute, il Gran Teatro la Fenice. Una visione urbana contemporanea la offre invece HyperVenezia, a Palazzo Grassi fino al 9 gennaio. In esposizione per la prima volta il Venice Urban Photo Project, un’idea del fotografo Mario Peliti, che ha costruito un archivio di 12mila immagini in bianco e nero, con la stessa condizione di luce e senza persone ritratte. Il percorso è composto da tre installazioni: un insieme di 400 fotografie che formano un itinerario per i sestieri, una mappa site-specific composta da un mosaico di 900 immagini e un video in cui scorrono oltre tremila fotografie. La Venezia stereotipata scompare e lascia il posto a una città vuota e senza tempo. 1600.venezia.it palazzoducale.visitmuve.it palazzograssi.it

LA FORMA DELL’INFINITO UDINE FINO AL 27 MARZO 2022 Una mostra per riflettere su una questione esistenziale affascinante: la possibilità di andare oltre la finitezza umana, verso la trascendenza. Il compito di accompagnare queste riflessioni è affidato a 50 opere esposte a Casa Cavazzini, nel Museo d’arte moderna e contemporanea. Molti di questi capolavori, realizzati dai più importanti protagonisti degli ultimi due secoli, non si sono mai visti in Italia. Tra gli artisti spiccano Claude Monet, Paul Gauguin, Henri Matisse, Dante Gabriel Rossetti, Vasilij Kandinskij, Mikalojus Čiurlionis, Nikolaj Roerich ed Emilio Vedova. L’idea di don Alessio Geretti, sacerdote friulano che ha curato altri progetti simili, è creare una storia spirituale dell’arte. Un approccio diverso, che tutti possono sperimentare accompagnati da giovani guide che offrono una chiave di lettura sia iconologica che teologica. laformadellinfinito.it

Vasilij Kandinskij, Mosca I, piazza Rossa, Mosca, Galleria Tret’jacov (1916)

KAKEMONO TORINO FINO AL 25 APRILE 2022 Il corrispettivo di ciò che in Occidente è il quadro, in Giappone si chiama kakemono (o kakejiku): un rotolo di tessuto prezioso o di carta, dipinto o calligrafato, ideato per essere appeso in momenti speciali o come decorazione in base alle stagioni. Al Museo d’arte orientale se ne possono ammirare 125 esemplari, nella prima mostra in Italia dedicata a questa forma di creatività. Molto diffusa nel Paese del Sol Levante, è distintiva anche della produzione pittorica in Cina, Corea e Vietnam, anche se con nomi diversi. A differenza delle tele o tavole viste per secoli a Ovest, rigide, ferme e continue, i rotoli dipinti hanno una struttura morbida e, soprattutto, sono pensati per una fruizione limitata. Esposti nel tokonoma delle case, l’alcova, o lasciati per poche ore a oscillare al vento leggero di un giardino, rappresentano il tempo e il movimento. maotorino.it

Kaburagi Kiyokata, Una geisha con parasole (1920-39)

© Studio Gonella

THE WORLD OF BANKSY MILANO 3 DICEMBRE>27 FEBBRAIO 2022 Lo street artist più noto al mondo, che ha fatto dell’anonimato il suo tratto distintivo, è protagonista di un’esposizione nella stazione di Milano Centrale. Per quanto le sembianze del genio britannico siano ancora ignote, godono di assoluta popolarità molti dei suoi capolavori, come Flower Thrower e Girl with Balloon. Icone contemporanee visibili nella mostra immersiva, insieme a oltre 30 opere mai esposte prima, tra cui Ozone Angel, Steve Jobs, Napoleon e Waiting in Vain, e a una sezione video che ripercorre la storia e il messaggio sociale dei murales realizzati per le strade, sui muri e sui ponti di tutto il pianeta. Lavori creati sempre con l’arma dell’ironia, persino se al centro della denuncia c’è il Covid-19, come nell’opera Aachoo!! Old Woman Sneezing. theworldofbanksy.it

CIRCUMNAVIGANDO FESTIVAL GENOVA 2>˃30 DICEMBRE Corpi, oggetti, spazio: nuove interpretazioni sulla giocoleria. È il tema della 21esima edizione di questa manifestazione internazionale di circo e teatro. Sedici location, sparse tra le strade e le piazze del centro e della periferia genovese, accolgono 15 rocambolesche compagnie provenienti da tutto il mondo. Tra gli spettacoli più attesi, Smashed dei Gandini Juggling, in arrivo dal Regno Unito. Il Giappone è invece rappresentato dalla compagnia di Hisashi Watanabe, con la performance Yokai Kemame. Contaminazioni tra Oriente e Occidente sono al centro dell’ipnotico Yin zero dei francesi Monad, una mescolanza tra esibizioni dei dervisci rotanti, danza butoh e virtuosismi dei giocolieri. Le manipolazioni al polistirolo di Materia vedono invece protagonista il romano Andrea Salustri. sarabanda-associazione.it

La Chute, compagnia Lea Legrand

© Andrea Macchia

GIOVANNI BOLDINI. LO SGUARDO NELL’ANIMA BOLOGNA FINO AL 13 MARZO 2022 A 90 anni dalla sua morte, Palazzo Albergati celebra il pittore che più di ogni altro ha saputo immortalare le atmosfere raffinate della Belle Époque. Con oltre 90 opere, la mostra consente di compiere un viaggio nella vita di Boldini, piena di charme per le sue frequentazioni salottiere, e nell’universo femminile dell’epoca. Se da un lato l’artista ritraeva il profilo più elegante e naïf delle sue muse, dall’altro ne evidenziava i tratti più caratteristici. Le faceva infatti posare per ore o giorni, conversava con loro ponendo persino domande sconvenienti e, quando la confidenza ammorbidiva gli sguardi o le portava a scoppiare in pianti liberatori e gesti eccitati, le coglieva negli aspetti più sinceri, svestite di ogni manto psicologico e sociale. palazzoalbergati.com

Giovanni Boldini, Mademoiselle De Nemidoff (1908)

BENOZZO GOZZOLI E LA CAPPELLA DEI MAGI FIRENZE 16 DICEMBRE>10 MARZO 2022 Alla meravigliosa Cappella dei Magi custodita a Palazzo Medici Riccardi, dal periodo delle Feste fino a marzo, è abbinata l’esposizione costruita intorno a un eccezionale capolavoro, affrescato a metà del ‘400 da Benozzo Gozzoli. La mostra mette in evidenza i legami del pittore con i Medici e Firenze, dove muoverà i primi passi e con cui manterrà una relazione speciale. L’avvicinamento alla famiglia si ha probabilmente già da giovane, ma raggiunge l’apice nel 1459 con la realizzazione del Viaggio dei Magi e del Giardino del Paradiso sulle pareti della Cappella, un esempio di rara maestria tecnica. Nella sala angolare, invece, un’installazione multimediale immersiva unisce il rigore scientifico al linguaggio contemporaneo e divulgativo. Non mancano visite, conferenze e laboratori rivolti a ogni tipo di visitatore. palazzomediciriccardi.it

La stanza dedicata a Mario Schifano

© Agostino Osio SENZAMARGINE ROMA FINO AL 30 GENNAIO 2022 Passaggi nell’arte italiana a cavallo del millennio è il sottotitolo della mostra visitabile al MAXXI. Negli spazi della Galleria 1 è allestita una serie di stanze, ognuna dedicata a un artista creatore di grandi installazioni. La sequenza degli ambienti potenzia la carica rivoluzionaria, la forza e la monumentalità delle opere, oltreché la relazione con lo spazio, facendo emergere tematiche ancora oggi al centro di riflessioni culturali. La prima stanza è dedicata a Luigi Ghirri, maestro della fotografia, la seconda a Mario Schifano, che medita sul potere della televisione. Seguono Jannis Kounellis con Senza titolo e poi Luciano Fabro, Carla Accardi, Paolo Icaro, Claudio Parmiggiani e Anna Maria Maiolino. Il percorso si chiude con Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, specialisti dell’immagine in movimento. maxxi.art

LUCI D’ARTISTA SALERNO FINO AL 15 GENNAIO 2022 Salerno accende le sue meravigliose Luci d’artista. La rassegna d’arte luminosa, organizzata dal Comune con il sostegno della Regione Campania, incanta i visitatori con le sue spettacolari composizioni installate nelle location più belle del centro città e anche tra la Costa d’Amalfi e il Cilento. La fantasia, la bellezza e la creatività illuminano il buio generando gioia e speranza. I temi delle opere esposte sono variegati: dal mito mediterraneo al fascino del misterioso Oriente, dalle fiabe più amate ai funamboli del circo, dagli astri agli animali dell’Arca di Noè, in una sequenza di composizioni incantevoli. Non mancano un maxi albero di Natale e gli addobbi delle Feste. Le visite sono regolamentate, con controlli minuziosi e flussi limitati. P.I. comune.salerno.it

Il Giardino incantato, Salerno

© Massimo Pica

GIANCARLO MOSCARA. OPERE 1955-2019 LECCE FINO AL 13 MARZO 2022 Un artista visionario, interprete dei grandi temi della cultura contemporanea. Giancarlo Moscara, scomparso nel 2019, ha legato il proprio nome alle committenze negli ambiti più vari. Come nella comunicazione industriale, settore in cui, tra gli anni ‘70 e ‘90, ha innovato l’immagine di Iri, Eni, Agip, Vorwerk e Olivetti. O nell’illustrazione politica, con i disegni-editoriali per il periodico Rinascita e i giornali murali dell’Arci. Ma la retrospettiva del museo Must va oltre i campi che gli hanno dato notorietà: valorizza la sua ricerca artistica complessiva, iniziata negli anni ‘60, che l’ha portato a esprimersi con linguaggi diversi, dalla pittura alla grafica, dalla poesia alla tecnologia. mustlecce.it | giancarlomoscara.com

di Andrea Radic Andrea_Radic andrearadic2019

GONG MILANO: PERFETTO CONNUBIO TRA ORIENTE E OCCIDENTE

Il talento dello chef Guglielmo Paolucci unisce con grande abilità la tradizione di una cucina millenaria come quella cinese alle cotture e ai sapori occidentali, trovando equilibri e abbinamenti originali. Come nei Ravioli di black cod, ripieni di merluzzo nero d’Alaska, crema alla bottarga di muggine, kizami wasabi e panko profumato alle erbe. Oppure l’Anguilla Roset del delta dell’Ebro in cracker di alga nori, leggermente affumicata e servita tiepida accompagnata da foie

Guglielmo Paolucci e Giulia Liu gras, shiso verde e cipollotto. Materie prime di alta qualità e abbinamenti che sono vere esplosioni di sapore, a volte complessi, a volte minimalisti, ma sempre buonissimi. La sala è illuminata da Giulia Liu, maître e proprietaria del Gong Oriental Attitude, a Milano, locale dove il design incontra lo stile e la grazia si esprime in gesti e servizio perfetti. Una vera danza quando i camerieri arrivano al tavolo per comporre i piatti di fronte al commensale e descriverli precedendo la gioia di degustarli. Da provare senza indugi i Lamian all’astice, spaghetti di grano tirati a mano, saltati con ragù di astice sfumato al vino di riso cinese, zenzero, erba cipollina e un tocco di tobanjan. Ghiotti e concreti. La cantina è nelle mani di Massimo Francescato, sommelier di profonda esperienza e grande passione. Ottima selezione geografica italiana e ampia scelta d’Oltralpe sia tra gli champagne che tra i vini fermi. Piccoli produttori da scoprire e interessanti etichette tedesche. Al Gong viene anche servita la tradizionale Peking duck, un tempo consumata solo alla corte dell’imperatore. Un tributo all’anatra che consacra l’alta cucina cinese, creativa e identitaria. gongmilano.it

NINO FERRERI: CUCINA SICILIANA DI GRANDE GIOIA

Bagheria (PA) è ricca di storia e di architetture ottocentesche, tanto da essere chiamata la Città delle Ville. Qui, lo chef Nino Ferreri ha scelto l’antica Torre Ferrante per aprire il ristorante Līmū, che in arabo-persiano significa limone: «È un omaggio alla Sicilia e a Bagheria, patria del limone Verdello, che uso spesso nei miei piatti», spiega. Un locale molto suggestivo: mura antiche, sale eleganti e un’iscrizione religiosa sull’architrave d’ingresso alla cucina. Dove oggi sono i fornelli si trovava, infatti, la cappella della struttura, risalente al 1565. Tradizione, territorio e tecnica sono i tre pilastri della creatività dello chef. Al centro la materia prima, rigorosamente stagionale, ottimamente abbinata a sapori, profumi e ingredienti diversi, mai secondari. Il sapore perfetto e identitario della Cialda con acciuga e pomodoro, uno degli sfizi di benvenuto, già dimostra tutto. Di grande livello la Palamita marinata, erbe di mare e insalata liquida di arance e finocchio, irrinunciabile capolavoro la Reginetta al limone, ragù di moscardini e spuma di provola madonita, piatto iconico e incantevole. Tra i secondi di mare Sgombro in camicia di sale nero, zucca in agrodolce e salsa di vino bianco e rosmarino, mentre tra quelli di terra Crepinette di agnello,

Nino Ferreri, Lorenzo Brancaleon e Giandomenico Gambino

cavolicelli e acciuga. Un percorso ghiotto e ben disegnato quello di Ferreri, coadiuvato in cucina dal giovane e spiccato talento di Lorenzo Brancaleon. Carta dei vini di intelligente geografia enologica con prevalenza di vitigni autoctoni e qualche chicca selezionata dal maître e sommelier Giandomenico Gambino, originario, come Ferreri, di Trabia (PA) dove sono cresciuti insieme. limurestaurant.it

CASTELLO DEL TERRICCIO: VINO E TERRITORIO FILOSOFIA DI VITA

MICHELASSO: TAVOLA GOURMET NEL CUORE DI NAPOLI

Èuna delle più estese tenute agricole della Toscana, tra Bolgheri e la costa: 1.500 ettari complessivi di cui 65 vitati, 40 a uliveto, un allevamento di bovini di razza Limousine allo stato brado e uno di cavalli, fieri protagonisti di questa terra di suggestiva bellezza. Qui la viticoltura risale agli Etruschi e la proprietà del Castello del Terriccio è passata da conti a vescovi fino agli anni ‘70, quando Gian Annibale Rossi di Medelana eredita l’azienda e la porta alla notorietà, grazie all’altissima qualità dei suoi vini. Oggi la tenuta è passata al nipote Vittorio Piozzo di Rosignano Rossi di Medelana. Qui si producono vini che respirano il mare e prendono dal terreno minerale e ferroso una concentrazione eccezionale. Un insieme di terra, luce, profumi compone l’anima delle quattro etichette prodotte. Le uve del Lupicaia sono selezionate rigorosamente dall’omonimo vigneto delimitato da filari di eucalipti e vanno a comporre un rosso corposo di grande carattere, con aromi complessi. Castello del Terriccio è invece un bel bouquet aromatico dai toni balsamici che, con coerenza stilistica, si ritrova al palato. Un vino che affronta con eleganza e adeguatezza l’incedere del tempo. Il Tassinaia è un mix di identità territoriale e potenza descrittiva, affascinante nei sentori al naso che porta

Vittorio Piozzo e Cristiano Tomei

frutti del bosco e sensazioni di tabacco. Col Vento, unico bianco della tenuta, prodotto da uve Viognier e Sauvignon Blanc, fermenta e affina in acciaio. Freschezza e piacevolezza. La tenuta completa la proposta con il ristorante Terraforte, il cui menù è curato dal creativo e stellato chef Cristiano Tomei. terriccio.it

Passione, talento ed esperienza sono le linee guida del ristorante Michelasso. Una novità nel panorama gastronomico napoletano, affacciato sul nobile ingresso a scalinata della Galleria Umberto I. La passione è quella di Lucio Sindaco, professionista del settore risorse umane che ha realizzato il suo sogno aprendo questo locale, nel quale ha trasferito il suo amore per la grande cucina e per l’arte, impreziosendo

Angelo Gravino e il team del Michelasso le pareti con opere di apprezzati artisti moderni. Il talento e l’esperienza sono quelli dello chef Angelo Gravino, che ha abbracciato il progetto sin dal primo momento, insieme al sous chef Ferdinando Califano e al maître e sommelier Giorgio Zoccolella. La definizione di grande table è quella che più si addice alla proposta di Gravino: materie prime eccellenti, cotture perfette, abbinamenti e composizioni di sapori che esaltano mare, terra e stagionalità. Ricerca e creatività sono gli altri punti forti. Calamaretti farciti con cipollotto Nocerino, crema di patate al nero, uovo e tartufo, bilanciati e ricchi, il cui ripieno è una gioiosa esplosione di gusto. Il Plin, agnolotto ripieno di genovese, crema di parmigiano 24 mesi e jus di vitello è un incontro felice tra Napoli e il Piemonte. Dal mare ancora una Spigola in crosta di pane nero, crema di mozzarella e pomodorini confit, sublime nell’esaltare il pesce e la croccantezza. E il sontuoso crudo di mare dimostra la scelta di fornitori eccellenti. Cantina di gran classe grazie al lavoro di selezione di Zoccolella. Per gli champagne è un vero talent scout, capace di scoprire piccoli produttori di altissimo livello. Servizio cortese, professionale e sorridente. michelasso.it

MERRY CHRISTIAN

DE SICA VESTE I PANNI DI BABBO NATALE NEL NUOVO FILM DI ALESSANDRO SIANI

Regali, dolci, alberi addobbati e cinepanettoni. Qualche anno fa era questa la prassi natalizia di molte famiglie italiane. Ora i tempi sono cambiati, ma la voglia di evasione c’è sempre. Ecco quindi che Alessandro Siani ha tirato fuori dal cilindro – o forse sarebbe meglio dire dalla calza – Chi ha incastrato Babbo Natale?, film brillante in cui condivide la scena con Christian De Sica, uno degli interpreti italiani più eclettici, pronto a immedesimarsi in Santa Claus. «Dopo Il principe abusivo, che portammo anche a teatro con grande successo, Alessandro mi ha chiamato per questa nuova pellicola che non è una favola, ma una commedia». Che vicende deve affrontare il suo Babbo Natale? Una multinazionale vuole impadronirsi della mia slitta per distribuire più velocemente i doni. Poi un elfo mi si rivolta contro e assolda il “re dei pacchi” Genny Catalano, un imbroglione napoletano che arriva nel Villaggio del Natale per distruggere l’officina dei regali. Piano piano facciamo amicizia, finché lui si innamora di mia nipote. E mi trasforma: barba, capelli lunghi e vestito bianco vengono sostituiti da capelli corti, giubbetto di pelle rossa, jeans e anfibi. Divento Babbo Cazzimma, come il modo di dire partenopeo che denota un atteggiamento risoluto. Genny mi insegna a essere più furbo, io gli spiego come essere più buono. Si è divertito in questo ruolo? Molto. Anche perché il mio Babbo Natale assomiglia ad alcuni personaggi che ho interpretato: mascalzoni e carogne che cerco di far risultare simpatici seguendo l’insegnamento del grande Alberto Sordi. Del resto, come dico

di Gaspare Baglio gasparebaglio

sempre, San Francesco non fa ridere, il demonio sì. E a me piace prenderli in giro, i diavoli. Cosa rappresenta il Natale per lei? Una grande festa. Nel privato sto con parenti e amici stretti, in pigiama, a cucinare e mangiare prima di andare a messa. Per quel che riguarda la vita sotto i riflettori è il momento clou: i miei film sono sempre usciti in questo periodo e tocco con mano se quello che ho fatto è piaciuto al pubblico. Altri progetti oltre a questo Xmas movie? Dopo il film d’autore Comedians, di Gabriele Salvatores, che mi ha dato grandi soddisfazioni interpretative per il ruolo breve ma difficile, ho fatto parte del reboot di Altrimenti ci arrabbiamo, diretto dai registi YouNuts, dove farò la parte del cattivo. In questi giorni, poi, sono andato in giro per l’Italia con Pino Strabioli e una grande orchestra per lo spettacolo Una serata tra amici, dove racconto aneddoti della mia vita legando ogni ricordo a una canzone. È stato davvero un grande successo che spero di continuare a portare in tour: il contatto con il pubblico fa restare giovani e permette di respirare le mode del momento. Non si ferma mai? In questi giorni sto brigando anche per altri soggetti e sceneggiature. Ho tre pellicole in cantiere: un film americano, uno sull’amore platonico tra un uomo della mia età e una quarantenne. E un adattamento del romanzo I fannulloni di Marco Lodoli, un sogno nel cassetto che vorrei realizzare, come artista e come attore, a cui sto lavorando con Anna Pavignano. Non so a chi dare i resti insomma, e ringrazio sempre Gesù per la fortuna di poter proseguire questo mestiere che amo ancora tantissimo.

© Ivan Romano/GettyImages

Qual è la sua più grande soddisfazione oggi? Vedere ragazzi più giovani dei miei figli che mi riconoscono e mi chiamano zio. Per chi fa il mio mestiere è un enorme appagamento. Che cosa vorrebbe trovare sotto l’albero? Un po’ di tranquillità per tutto il Paese, considerate le difficoltà causate da questa pandemia, noiosa come il politicamente corretto. A questo proposito, è un momento difficile per voi attori brillanti? Una fregatura! Se oggi facessi le stesse battute che dicevo nei cinepanettoni di qualche anno fa mi arresterebbero. Come vede il futuro dello showbiz? Si investirà sempre più in serial e film per le piattaforme. La sala, che è la cosa più bella del mondo, resterà solo per i film-evento e i blockbuster.

christiandesicaonline.com christiandesicaofficial christiandesica35official

UNA SCINTILLA DI DIVINITÀ

GIOVANNI ALLEVI RICERCA L’ESTASI NEL NUOVO LAVORO DISCOGRAFICO CHE TRADUCE IN NOTE IL PIÙ SUBLIME DEGLI STATI DI COSCIENZA

di Gaspare Baglio gasparebaglio

«U n giorno, a Roma, dopo aver contemplato una statua del Bernini, ho iniziato a sentirmi alterato. Il cuore ha preso a battermi all’impazzata. Tutto ciò che ricordo è di essermi ritrovato a terra, circondato da estranei e con una costola rotta. Ho pensato al significato della parola estasi, che proviene dal greco e significa uscire fuori da sé, vivere una condizione di espansione della propria mente, superare il limite di apparente finitezza per toccare l’abisso. Da allora ho avuto un’unica ossessione: raccontare in musica questa esperienza, per poterla condividere al di là delle parole, perché solo le note possono riportarne il senso profondo».

Con queste parole il compositore Giovanni Allevi presenta Estasi, il suo nuovo progetto discografico che mira ad allontanarsi dalle mode del momento per raggiungere una dimensione universale, trattando temi quali la solitudine, la meditazione e il destino del nostro pianeta. Non è un caso, quindi, se dal singolo Our Future è partita la collaborazione con l’Earth

Day European Network, che lo vede coinvolto come ambassador della più importante iniziativa green dedicata alla Terra. Un’unione di intenti sfociata nella presentazione del videoclip del brano in anteprima mondiale, il 5 novembre, durante la quinta giornata della COP26, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Glasgow. Maestro Allevi, iniziamo proprio dalla sua anima green che ha preso forma con il brano Our Future. Nelle immagini del video si vede come gli adulti, per sete di ricchezza e potere, saccheggino la natura, mentre i bambini, con il loro sguardo pensieroso e sognatore, mantengano con l’ambiente un contatto profondo e amorevole. Per capire il futuro della Terra dobbiamo guardare attraverso gli occhi dei più piccoli. La composizione fa parte del nuovo album Estasi. Cosa vuole esprimere con questo lavoro? Ho voluto tradurre in note il più sublime degli stati di coscienza, uscito fuori dalla quotidianità per dilagare in una dimensione più ampia. Credo che, con la pandemia, il sentire comune sia finalizzato a raggiungere questo sentimento, ancora più importante della felicità. Perché? La felicità appartiene alla vita di tutti i giorni e si realizza nel momento in cui un nostro desiderio o bisogno viene appagato. L’estasi è molto di più. Cioè? È la rottura delle maglie della quotidianità per approdare a una dimensione metafisica. È un surrogato di eternità che possiamo vivere adesso. Lei cosa vorrebbe raggiungere, oggi, per avere la felicità? Sto ricevendo da tutto il mondo attestati di stima: persone in preda all’estasi immerse nell’ascolto delle mie note mi stanno raccontando le proprie emozioni. E questo riscontro per me è più prezioso dell’oro. Passiamo ai live. Il 1° gennaio 2022 si esibisce dall’Auditorium Parco della Musica di Roma per poi raggiungere Milano, Brescia, Padova, Bologna, Lugano, Vienna, Locarno e Zurigo. L’obiettivo è quello di coinvolgere il pubblico in una esperienza estatica. Sono spaventato perché i brani sono molto difficili da interpretare, basta una piccola imperfezione per vanificare tutto. Ma è un rischio che devo correre. Perché? Quando usciamo fuori dalla sicurezza per intraprendere qualcosa che suscita un’alternanza tra paura e desiderio, inizia la vita autentica. Ha scritto anche Le regole del pianoforte - 33 note di musica e filosofia per una vita fuori dall’ordinario. Come si fa a essere così straordinari? In realtà, lo siamo già tutti. Tutti nasciamo nell’estasi, poi però la società conformista ci tiene imbrigliati nella vita quotidiana spingendoci a omologarci a stereotipi piatti e banali. Dobbiamo ritrovare la scintilla divina che è dentro ognuno di noi. Partendo da questo assunto, cosa vorrebbe per il 2022? Ho grande difficoltà a rispondere, sono animato da uno spirito di abnegazione e sacrificio incredibili. Mi sembra strano poter chiedere di ricevere qualcosa. Ma se chiudo gli occhi vedo un pianoforte gran coda Bösebdorfer Imperial preparato come dico io, con un suono morbido e aggressivo al tempo stesso.

giovanniallevi.com giovanniallevi

VI REGALO L’AMORE

LA CANTAUTRICE FOLK ROCK LP TORNA CON L’ALBUM CHURCHES, UN PROGETTO SPIRITUALE CHE METTE AL CENTRO IL SUO PERCORSO INTERIORE

Il nuovo album Churches non esce sotto le Feste perché LP è stata illuminata dallo spirito natalizio. Semplicemente, è stato rimandato a causa della pandemia. Ma il progetto discografico è comunque intriso di quella spiritualità che si respira in particolar modo a dicembre. La cantautrice folk rock made in America, ma di origini italiane, tra le più talentuose e sensibili, ha tirato fuori dal cilindro un lavoro molto intimo che mette al centro l’amore e il suo percorso interiore in continua connessione con il mondo. L’artista riccioluta con un veliero tatuato sul petto ha vivisezionato il cuore, regalandolo ai suoi ascoltatori. Il risultato sono canzoni degne di essere chiamate tali. Chi non ricorda, del resto, la sensazionale Lost on you che le ha dato il successo in tutto il mondo? Il risultato di questo album, in uscita il 3 dicembre, è unico. As usual, verrebbe da dire. Non resta che farsi trasportare dalla musica e dalle emozioni confezionate ad hoc da questa star senza troppi fronzoli. Qual è stata la genesi di Churches? La canzone omonima è stata la prima che ho scritto. Volevo parlare di qualcosa di differente rispetto all’amore romantico, che di solito è al centro della mia introspezione. Cosa mi dici di Angels? Non stavo cercando di dare un senso religioso al progetto. Gli angeli sono all’origine della mia fortuna: persone passate dalla mia vita, che mi aiutano e sono vive e vegete. Angels è anche un’ode ai miei fan e a chi aveva bisogno della mia musica. Hanno con-

di Gaspare Baglio gasparebaglio

tribuito a renderla la mia vita, il mio mestiere, e a loro sono infinitamente grata. Chi sono i tuoi angeli? Quelli per cui sento di potermi esibire sul palco ogni sera. Motivo per cui non prendo le performance alla leggera: in un mondo in cui è possibile fare mille cose, è un onore vedere il pubblico seduto di fronte a me. Significa che quelle persone vogliono condividere con me parte del viaggio. Che sapore volevi dare al disco? Questa domanda la dovresti rivolgere anche a Mike Del Rio, con cui ho dato vita a questo progetto. L’idea era di registrare canzoni acustiche che sembrassero suonate live. Abbiamo lavorato su ritmi e groove molto interessanti. Sei sempre in prima linea per i diritti Lgbtq+. Il brano Rainbow è molto toccante… È stato molto difficile scriverlo. Stavo cercando di dare un senso alla mia relazione. In una strana rivelazione psicologica, mi sono resa conto che questo rapporto aveva aspetti simili a quello vissuto con mio padre, pieno di rabbia e angoscia: c’erano elementi di staticità familiare. Faticavo a comprendere i miei sentimenti. Sono riuscita a dare loro un senso attraverso questo pezzo, ma è stato complesso. La canzone più rappresentativa dell’album? Mi piace pensare che Churches sia una gemma che si comprende pezzo dopo pezzo. Ecco perché When we touch è come una porta d’ingresso nel disco, una promessa di quello che verrà dopo. Quanto amore c’è in questo lavoro? È tutto amore. Ho sacrificato la mia vita e la mia pace per il progetto. Credo molto in quello che faccio e mi piace pensare che ogni canzone che ho scritto abbia aiutato qualcuno. La mia esistenza sarebbe molto diversa se non ci fosse la musica, sarebbe come avere un enorme buco nel cuore. Cos’è, per te, l’amore? Il collante che ci lega al mondo, l’interazione, la gentilezza. Qual è la tua personale chiesa? È rappresentata dalle persone, dalla musica e dall’amore, da dare, ricevere e diffondere il più possibile in questo mondo. Cerco di basare la mia vita sulla gentilezza e la decenza, trattando gli esseri umani con rispetto e amore. Sei credente? Ho fede in Dio, ma non sento il bisogno di spiegare quello che sento. Immagino un potere spirituale superiore che sta con me e guida la mia anima nel lavoro da fare verso gli altri. Ognuno ha la sua visione da questo punto di vista e lo rispetto. Cosa ha rappresentato la pandemia per te? Un’occasione per capire quanto sia importante, fragile e fugace la vita. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro, dipendiamo gli uni dagli altri. Anche se i poteri forti mettono al centro i soldi e l’avidità umana, il fulcro di tutto sono le persone. Le nostre necessità dipendono dal modo in cui stiamo insieme.

IamLP IamLPOfficial

UN TRENO DI LIBRI

Invito alla lettura

di Giulia Brandani

OLIVA DENARO

IL BIANCO E IL NERO DELLA LIBERTÀ ALLA FINE DEGLI ANNI ‘60, QUANDO NASCERE DONNA ERA UNA CONDANNA

«L a femmina è una brocca, chi la rompe se la piglia». La madre di Oliva non fa che ripetere queste parole come un mantra, una convinzione profondamente radicata dentro di sé.

Siamo alla fine degli anni ‘60 a Martorana, un paesino della Sicilia rurale. In questa terra arida vessata dalla calura mediterranea, Viola Ardone sceglie di raccontare, attraverso il personaggio di Oliva Denaro (anagramma del nome della scrittrice), come il seme del coraggio possa fiorire in un terreno reso sterile dai pregiudizi. Prendendo ispirazione dalla storia di Franca Viola, la prima italiana che scelse di denunciare il proprio stupratore e non accettare un matrimonio riparatore, l’autrice pone al centro del proprio romanzo l’ambiguità insita in quel “codice d’onore” che, col pretesto di difendere la vittima, la privava della parola e la dava in pasto alle malelingue.

In questa realtà chiusa e bigotta,

Oliva nasce da un’umile, onesta e rispettabile famiglia: fin da “piccinna” mostra atteggiamenti singolari rispetto alle sue coetanee: la mattina presto ama accompagnare il padre a prendere le lumache, “i babbalucci”, gioisce intimamente nell’essere la più brava della classe e avrebbe preferito nascere maschio. Perché loro sono liberi di correre a “scattafiato”, di camminare da soli la sera e non hanno bisogno di una moglie per avere un’identità.

I desideri di Oliva si scontrano con l’educazione materna, basata sulle regole che scandiscono la vita di una ragazza raccomandabile: i dettami della Chiesa, i comportamenti da tenere a scuola e a tavola, le regole non scritte del matrimonio. Un copione che una “brava femmina” deve rispettare in ogni circostanza. Le passioni di Oliva, agli occhi della madre, sono segni di una condotta inaccettabile: trascorrere troppo tempo sui libri, per esempio, le mette troppi grilli per la testa, alimenta il taglia e cuci delle comari e rischia di farla restare zitella. Diverso è l’atteggiamento del padre, un uomo taciturno che spinge la figlia a cercare le risposte alle sue domande esistenziali, seguendo i suoi desideri e i suoi sogni. Tra i due scorre un amore silenzioso e incondizionato: la dolcezza con cui lui ammira la figlia è struggente e, nella sua semplicità, riesce a travalicare il pensare ottuso di paese e a spazzare via ogni pregiudizio. Oliva trascorre gli anni della giovinezza seguendo docilmente tutte le regole materne. L’adolescenza porta con sé la fioritura della sua bellezza e le lusinghe dei corteggiatori, ma anche alcune scelte che non saranno prive di conseguenze. Pagina dopo pagina, la narrazione in prima persona snocciola tutte le difficoltà che una mente libera deve affrontare per abbattere i pregiudizi e un retaggio culturale sedimentato. Oliva desidera essere come gli altri, rendere felici i propri genitori e avere delle risposte chiare, come quando era alle scuole elementari. Ma la necessità di opporsi a un sistema ingiusto e sessista si affaccia, senza possibilità di essere ignorata. Decide perciò di portare avanti la propria scelta con forza e caparbietà, anche se questo significa complicarsi enormemente la vita. Servirà tempo prima che possa gioire dei propri traguardi, tempo per curare tutto quello che è stato devastato dentro di lei, tempo per poter amare gli altri e riuscire ad apprezzare nuovamente la vita insieme ai suoi cari. Un tempo lungo, ma che non passerà invano: riuscirà a lenire le ferite e a far crescere dentro di sé il seme del coraggio. Il germe di questa nuova forza si radicherà, fiorirà e nutrirà un futuro fatto di speranze, che presto diventeranno realtà.

BRANI TRATTI DA OLIVA DENARO

[...] Una volta, mentre facevamo l’analisi grammaticale, ci aveva dettato la frase: «La donna è uguale all’uomo e possiede i medesimi diritti». Tutte noi bambine ci eravamo incurvate sul quaderno e avevamo iniziato a compitare: la, articolo determinativo, femminile, singolare; donna, nome comune di persona, femminile, singolare. A me però non suonava bene questa cosa: femminile singolare. «Maestra, l’esercizio è sbagliato», avevo detto prendendo coraggio. La maestra si era toccata i riccioli rossi che portava sempre sciolti e vaporosi. «Che cosa vuoi dire, Oliva? Non capisco». «La donna non è mai singolare», avevo risposto. «Una donna, tante donne», aveva contato sulle dita, «singolare, plurale». Io però non ero convinta. «La donna singolare non esiste. Se è in casa, sta con i figli, se esce va in chiesa o al mercato o ai funerali, e anche lì si trova assieme alle altre. E se non ci sono femmine che la guardano, ci deve stare un maschio che la accompagna». [...] Lo vidi in fondo alla via, prima del bivio per la piazza. Si avvicinò alla fontana e ci infilò sotto la testa. L’acqua gli scorreva sulla faccia e gli gocciolava sui capelli ricci e neri. Poi si alzò, con entrambe le mani li lisciò all’indietro e sistemò sull’orecchio destro un rametto di gelsomino. Era tutto vestito di bianco, quando mi notò dalla parte opposta della piazza fece una riverenza. Gli andai incontro a passo svelto, senza guardarlo in faccia, lui si frugò nella tasca, ne tirò fuori un’arancia e iniziò a staccare la buccia dalla polpa. Ficcò le dita tra gli spicchi e divise il frutto a metà mostrandone il rosso. «Prendi, che è dolce», disse, allungando il braccio verso di me, come per agguantarmi. Mi voltai ma in strada non c’era nessuno. Solamente io e lui. Poi avvicinò l’arancia al viso. «Ti rinfresca tutta la bocca, vedi? Così». Affondò denti e lingua in una metà dell’agrume, succhiando fino a che non

Bambine e bambini alle scuole elementari, Sicilia anni '60 rimase solo il bianco sotto la buccia. «Questa è la parte tua», e mi offrì l’altra metà. «Vediamo se ti piace, come da piccinna la ricotta mischiata con lo zucchero». Accolsi il frutto nella mano: era ancora caldo delle sue dita e umido di succo, l’odore acre mi pungeva le narici, ne fui nauseata e nello stesso momento sentii una fitta nella parte bassa del ventre. Tenevo le labbra serrate perché non mi potesse leggere in faccia nessun pensiero. Femmina che sorride ha detto sì, recitava mia madre. Lui mi guardava come se avessi qualcosa di bello al centro del viso, invece dei miei soliti occhi piccoli e neri sulla faccia scura e spigolosa, e sentivo paura. Per scacciarla iniziai a compitare a mente la prima declinazione di latino: rosa, rosae, rosae. L’avevo ripetuta così tante volte ogni sera prima di prendere sonno per dirla correttamente che era diventata una preghiera. Rosa, rosae, rosae, rosam, rosa, rosa continuai a cantilenare tra me e me fino a quando lui non ebbe fatto un passo in avanti e fu così vicino che avvertii il profumo del gelsomino appoggiato

© Jonathan Blair/GettyImages

dietro al suo orecchio. «Rosae, rosarum, rosis», gli gridai forte, tanto che sembrò una imprecazione e tesi la mano con l’arancia davanti a me, per tenerlo lontano. [...] «Chi bella vuole apparire tanti dolori deve soffrire», dice mia madre, e va in cucina a infilare la teglia con la pasta nel forno. Mi guardo le scarpe, le stesse che indossavo alla festa del patrono: se sono loro a farmi apparire graziosa, vuol dire che senza sono brutta. La bellezza risiede sempre negli occhi di un’altra persona. È questo forse che ce la fa amare. «Stanno arrivando», grida eccitata guardando dalla finestra. Mi viene accanto, mi sistema una forcina, mi stira con le mani la camicetta sui fianchi. Sembra una piccinna che gioca con la bambola. «Vai a chiamare gli uomini!». Mio padre è già nel campo, come ogni giorno, accovacciato accanto ai pomodori. Vedendolo così, con i pantaloni da lavoro e il fazzoletto al collo, mi illudo che è tutta un’invenzione di mia madre, che questo Franco non verrà, che non mi daranno via e che potrò restare qua, a casa mia, a raffigurare di nascosto le facce delle divinità del cinematografo. «Non ti metti l’abito buono?», provo a domandargli. «No, non lo preferisco», dice semplicemente. Gli do la mano per aiutarlo a rialzarsi e gliela stringo due volte, appena appena. I tacchi delle scarpe affondano nella terra, a ogni passo mi pianto nel terreno come uno dei suoi ortaggi. Vorrei restare qui e crescere solo con l’acqua e con il vento. Lasciarmi staccare le foglie gialle una a una, aggrapparmi al sostegno di una canna nodosa per svilupparmi dritta. «Andiamo a conoscere questo signore», aggiunge senza partecipazione, come se dicesse: versiamoci un bicchiere di acqua e menta. «Ho paura, pà», provo a dire. «Non c’è paura. Se va bene per te, va bene anche per noi». Io non lo so quello che va bene per me. Fino a quando correvo ancora con le gonne corte insieme a Saro e Cosimino e pregavo la Madonna dei miracoli di non diventare mai femmina, mi pareva di sapere ogni cosa, ma adesso non ci capisco più niente. [...] Dall’auto si apre uno sportello, la donna scende e mi fa segno di avvicinarmi. «La strada per la città, bella giovane?», chiede, «Andiamo bene?». Da vicino sembra più anziana. I capelli sono sottili e dalla radice spunta il nero della ricrescita, ai lati della bocca ha due rughe marcate, come se si fosse sforzata a lungo di sorridere. «La città?», domando, «Io non lo so. Però dovete uscire dal paese», allungo un braccio nella direzione opposta alla mia e mi giro verso il lato indicato. La donna mi prende il polso, mentre il marito sbuca alle mie spalle e mi afferra per la vita così forte che resto senza respiro. Mi manca il fiato per gridare, cerco con gli occhi qualcuno a cui chiedere aiuto ma lo stradone è vuoto. «Lasciatemi», riesco solo a dire, la voce mi esce fioca. Agito braccia e gambe per divincolarmi dalla presa, quello mi solleva e i calci colpiscono l’aria. La donna apre lo sportello posteriore e il maschio indietreggiando mi trascina dentro. «Oggi è il mio compleanno, mi aspettano a casa, lasciatemi», riesco solo a dire. La vecchia ride senza divertimento. «Auguri, bella mia, il regalo lo avrai questa sera», dice e mi ficca un fazzoletto in bocca per impedirmi di parlare. L’auto parte, e lo sterrato scompare dalla mia vista. La stoffa ruvida ha un cattivo sapore e mi chiude la gola fino quasi a farmi soffocare. Intorno a me scorre un paesaggio che non so riconoscere, e la mia casa mi sembra lontanissima. Ho i pugni contratti e lo stelo della rosa ancora stretto tra le dita. Alcuni petali del fiore sono rimasti in strada, al posto mio. A me restano le spine. Io non sono favorevole alle spine. Quando apro il palmo della mano destra, è tutto rosso. Le macchie di sangue sono difficili da cancellare, così dice mia madre. [...] Arrivano dei passi dal corridoio. «Stai dormendo?», domanda lui da dietro la porta. «Quando mai, entra», e mi appoggio la vestaglia sulle spalle. Cosimino è ancora vestito come quando è arrivato. Stenditi qua, vicino a me, vorrei dirgli, che ti racconto la

Franca Viola, la prima donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore

bella storia di Giufà e i briganti. Invece non dico niente e lui rimane in piedi accanto allo stipite. «A casa di Saro, sono stato in questi giorni», dice senza che io abbia chiesto. «Ti manda i saluti Nardina. Dice se la vai a trovare». «Ricambia, se la vedi», rispondo. Quanti anni sono passati da quando aveva paura del buio e mi chiedeva la storia per prendere sonno? «Dice Nardina che è giusto così», le parole gli escono di bocca come olio dal frantoio: filo a filo. Ogni sillaba gli costa lo sforzo di spremere il frutto. «Dice che alle voci della gente non ci devi dare importanza, devi andare sulla tua strada. Che tu non ci hai colpa, solo male ne avesti». I baffetti, l’abito crema e i capelli tirati di lato con la pomata: tutto per dimostrare che è un uomo, ma la fatica che gli procurano queste parole me lo fa tornare bambino. Pure essere maschio è cosa dura, mica solo femmina. «Va bene, Cosimino, ho capito. Passa la buona nottata». Lui però non si muove, forse il sonno gli fa ancora paura come quando aveva nove anni. Rimane dov’è, sotto

l’arco della porta. «Anche Saro dice che fai bene se non ti prendi quello». Saro lo dice, Nardina lo dice, ma tu che cosa pensi, gli vorrei chiedere, invece taccio, forse perché il suo parere non lo voglio ascoltare e di quello che credono gli altri non mi importa davvero più niente. «Saro dice che il matrimonio non si ottiene con la forza», fa un passo avanti come per sedersi sul bordo del letto, si ferma, indietreggia di nuovo, «e che le femmine sono nuvole», questo mi ha detto, «che è necessario osservare la forma che prendono e non cercare di metterle in uno stampo». Mi tornano in mente i marfogli bicornuti, e arriccio gli angoli della bocca all’insù. «E tu, che gli hai risposto?». «Io?». Sulle guance gli si formano due chiazze rosse. «Gli ho chiesto… se lui una così se la sposerebbe», e abbassa gli occhi», una che ha avuto questa offesa», si corregge. La femmina è una brocca, così diceva nostra madre. Finalmente alza il viso e ricambia il mio sguardo. «E lo sai che cosa mi rispose?». Giro la testa da un lato e dall’altro. Non lo so. «Ai suoi piedi mi getterei, ora ora», così mi rispose. [...] All’alba io e mio padre abbiamo ripreso ad andare per rane e per lumache, a condividere il silenzio. «Pà», gli domando un giorno mentre rientriamo in casa nel buio nuvoloso del mattino, «sto andando per la strada giusta?». Lui apre la porta, si toglie il cappello, poggia i secchi accanto alla panca nell’ingresso e, come sempre, non fa parola. «Sei il padre tu: niente dici?», mi spazientisco. «Niente fai?», mi sfilo la giacca umida e la abbandono sul pavimento. Lui la raccoglie con lentezza e la aggancia all’appendiabiti. «Che cosa faccio», sorride, e si accovaccia accanto al secchio a dirimere le lumache: più grandi e più piccole. «Sempre ti piacque venire per i campi e il lavoro non ti spaventava, a differenza dei tuoi fratelli, fin da quando eri piccinna». Le sue mani frugano tra i gusci che cozzano tra loro con un delicato picchiettio. Che cosa c’entra questo, mi chiedo. Mai che risponda a tono, ha ragione mia madre. «Una volta, chissà se ti ricordi, potevi avere cinque o sei anni, dopo una pioggia di due giorni mi accompagnasti per un cammino che non avevamo mai fatto, ma sulla via di casa mettesti un piede

Ricamo con il tombolo in fallo e scivolasti dentro un pozzo artesiano abbandonato. Non avesti nemmeno il tempo di gridare, che subito ti vidi scomparire nella terra». Quella scena mi ritorna presente all’improvviso, come se stesse accadendo in questo momento. Il freddo mi entra nelle ossa, i piedi scalciano senza riuscire a toccare il fondo, il sapore terrigno dell’acqua mi invade bocca e narici. «Credevo di affondare», ricordo con chiarezza, e mi strofino i palmi aperti sulle braccia, per mandare via i brividi. Poi chiudo gli occhi e sento arrivare le sue mani, forti, che mi afferrano, mi estraggono dal molle della fanghiglia e mi riportano a galla. «Mi salvasti tu», sussurro. Mio padre riversa in un catino le lumache grosse per lasciarle spurgare, sono quelle che varranno di più al mercato, lascia le piccole nel secchio, sono quelle che mangeremo noi. «Quando si va per campi sconosciuti è meglio essere in due». I gusci vuoti li mette da parte per concimare le piante superstiti. «Poco fa mi hai chiesto che cosa faccio. Questo faccio io», dice una volta che ha completato la cernita. «Se tu inciampi, io ti sorreggo».

© Senia Effe / EyeEm/GettyImages

BUONANOTTE, SIGNOR TOM Michelle Magorian Fazi Editore, pp. 326 € 17 Un classico moderno dalle atmosfere dickensiane, tra i 50 libri più amati dagli inglesi, adattato più volte per il cinema e il teatro. Protagonista è Willie Beech, uno tra le migliaia di bambini evacuati dalle città inglesi nel 1939, nel timore dei bombardamenti tedeschi. Viene ospitato da Tom Oakley, un uomo di mezza età che vive solo, dopo la morte della moglie, nel villaggio di Little Weirwold.

ANGELA MERKEL Massimo Nava Rizzoli, pp. 372 € 19 La vita pubblica di Angela Merkel è nota in tutto il mondo, ma questo saggio mette in luce la parte privata, trascorsa nella Germania comunista: l’educazione protestante, la giovinezza durante la dittatura, la formazione scientifica, l’amore per la libertà. Ritratto dell’unica leader di Paesi democratici che ha resistito più a lungo all’usura del tempo e alla stanchezza fisiologica dell’elettorato. G.B.

#LEDONNESIDANNODELTU Valentina Picca Bianchi Lab DFG, pp. 192 € 17,50 Tenaci, determinate, curiose della vita e di se stesse, orgogliose fino al midollo, inarrestabili. In una parola, “antifragili”. L’autrice racconta le donne imprenditrici in una dimensione completamente nuova, quella della “sorellanza digitale”, attraverso la trasposizione letteraria di una chat whatsapp. Una conversazione al femminile che mostra tutti risvolti dell'essere donna, spesso dati per scontati.

ANIMAL MAN Grant Morrison Panini Comics, pp. 712 € 75 La serie cult del fumettista britannico raccolta, per la prima volta, in un unico volume. Buddy Baker è un supereroe (quasi sul lastrico) con i poteri degli animali. Per mantenere la famiglia si divide tra azioni valorose e il grigio mondo dell’attivismo per i diritti del mondo animale. Tutto cambia quando una catastrofe esistenziale minaccia di disfare le fondamenta della sua realtà. G.B. LA TORCIA Marion Zimmer Bradley HarperCollins, pp. 648 € 24 Non solo Achille, Ettore, Paride, Priamo, Aiace, Odisseo. Anche molte donne sono state protagoniste della guerra Troia. Regine, guerriere, sacerdotesse. Tra loro c’è una voce che deve essere ancora ascoltata, condannata da sempre a non essere creduta. Quella di Cassandra, nata da Ecuba e Priamo, fin dalla nascita destinata a essere molto più di una principessa. Ma prima di tutto donna.

BEST IN TRAVEL 2022 AA.VV. EDT, pp. 208 € 16,90 Tornano i viaggi intorno al mondo e con loro la classifica dei migliori dieci Paesi, città e regioni da visitare nei prossimi mesi. Dalle lagune e foreste delle Isole Cook, nel Pacifico Meridionale, alle cascate e montagne dei Fiordi Occidentali dell’Islanda fino a scoprire i paesaggi di Auckland, in Nuova Zelanda. Tra le varie destinazioni selezionate dagli esperti, la Borgogna, Lagos, Puerto Rico e Shikoku. Per l’Italia, Firenze con il suo centro storico è la meta da non perdere nel 2022. S.G.

IRMA KOHN È STATA QUI Matteo Corradini Rizzoli, pp. 160 € 16 (da 11 anni) Salvata dalla deportazione delle SS grazie a un gruppo di partigiani, la piccola Irma viene ospitata in un bordello. Qui Oma, la maîtresse, e due giovani prostitute, Meise e Branta, la nascondono e le cambiano identità per proteggerla. Una storia di coraggio in cui è chiaro dove sta il male, e dove il bene, anche nel cuore dell’ingiustizia, è un mistero che i protagonisti faticheranno a risolvere. Su tutti spicca la figura di Irma, spinta dal desiderio di fuggire e trovare il proprio modo di essere.

NATALE CON TOPOLINO AA. VV. Panini Comics, pp. 304 € 25 (da 9 anni) Un vero e proprio calendario dell’Avvento in versione libro, con 25 storie da leggere: una al giorno per tutto il mese di dicembre. Tra queste c’è Paperino e la sorpresa della sorpresa, in cui bisogna scoprire da chi arriva un pacco misterioso, e Ciccio e il pupazzo vittorioso, in cui il pigro aiutante di Nonna Papera partecipa alla competizione annuale delle fattorie, riuscendo a vincere. G.B.

PICCOLI AMORI SFIGATI Chiara Rapaccini Beisler, pp. 88 € 16 (da 9 anni) Ottanta vignette satiriche sugli amori sfigati, che sono già diventate un fenomeno sui social, fotografano con fulminante umorismo le quotidiane incomprensioni e le ripicche della coppia moderna. Qui ci si addentra, in particolare, nella tempesta emotiva che travolge i più giovani, senza risparmiare nessuno, in una divertentissima galleria di pene d’amore capaci di accomunare tutti. Per allenarsi fin da ragazzi a ridere delle proprie disavventure amorose.

STORIE DI CORAGGIO E DI AVVENTURA Marie-Aude Murail Giunti, pp. 112 € 16,50 (da 7 anni) Tre racconti che si ispirano alle novelle classiche, rilette in chiave etica. Lupo di mare, il primo, ha come protagonista il re dei boschi non visto come un personaggio cattivo, mentre V come 2.0 è ambientato nel ’700 e narra la storia di un granduca che confisca la lettera V. Infine Zampa-Bianca è una fiaba che coinvolge e commuove sul tema dell’amicizia con gli animali. S.G. L’ALBERO, LA NUVOLA E LA BAMBINA Chiara Valentina Segré Camelozampa, pp. 32 € 16 (da 5 anni) Un libro che affronta con delicatezza, poesia e speranza le grandi questioni della vita con cui tutti si confrontano, anche i più piccoli. Protagonisti della storia una bambina, la casa della nonna sul lago e un vecchio albero che deve essere tagliato perché malato. Ci sono anche un fratellino in ospedale e una soffice nuvola che non se ne vuole andare. Nello spazio di una notte, la bambina e il vecchio albero affrontano la paura, il senso della vita e della morte, con fiducia.

MANÙ E MICHÈ. IL SEGRETO DEL PRINCIPE Francesco Niccolini Mondadori, pp. 240 € 16 (da 10 anni) Una grande amicizia tra il figlio di un principe ombroso e quello del servo della sua corte. I due ragazzini hanno la stessa età e, nonostante famiglie tanto diverse, insieme si divertono a vagare per la città. Fino a un tragico evento che li divide. Ispirata alla figura di Carlo Gesualdo, principe di Venosa, la storia è ambientata nella fine del ’500 e narra di amicizia, passione, solitudine e amore per la musica. S.G.

VIAGGIARE TRA LE PAGINE

A VOLTE SONO LE PAROLE A INDICARE LA STRADA. IN TRENO TRA ROMA, ASCOLI PICENO E TORINO, ALLA SCOPERTA DI TRE LIBRERIE STORICHE

di Giuliano Compagno

Roma, quartiere Trieste-Salario, tra due palazzi di fine anni ‘40 in viale Somalia costeggio decine di citazioni letterarie incise su legno e giungo alla porta della Eli, che si apre come fosse l’abitazione di ogni visitatore. «La tua libreria è il tuo ritratto», diceva lo scrittore britannico George Holbrook Jackson, e ciò vale in particolare qui. Ultima impresa di Marcello Ciccaglioni, insuperato libraio indipendente che, con le sue Arion, ha dominato per tre decadi la scena commerciale romana, la Eli nasce dal desiderio di ospitare

© Daniele Ratti lettori e affini in un luogo differente, dove ogni volume sta nel suo scaffale a indicarci una strada nuova. Un altro viaggio. È da qui che inizio il mio, dove i libri sono disposti come in una biblioteca, «la mia porta per l’altrove», come Jeanette Winterson amava definire la sua, a Manchester. Ciccaglioni mi racconta che la sua storia di libraio è incominciata da ragazzino, in un chiosco adiacente la stazione Termini, quando ancora i lettori si sporgevano in cerca di rarità. Un’altra epoca. Ai tempi d’oggi, per vincerla, servono volontà creative: «Volevo inventare un luogo dove i clienti si sentissero in un’altra parte del mondo, dove le pagine si muovessero», mi confessa. E infatti i clienti di Eli si abbandonano alla sensazione di essere, loro stessi, nei libri. «Desideravo uno spazio dove i clienti trovassero ciò che non stavano cercando». La bella attitudine che gli inglesi chiamano serendipity. E poi un luogo dove i curiosi della cultura tornassero a incontrarsi, alle presentazioni, ai concerti, ai dibattiti, ai mercatini, ai corsi di arti e di lettere. Come invitati a una festa di emozioni. Tonia e Diego sono le due forti spalle di Marcello, da cui hanno appreso che questo lavoro è uno stile di vita e che i libri penseranno per loro. Trovo una vecchia edizione delle Novelle pirandelliane. La prendo, vorrei gustarmene una, Il treno ha fischiato, mentre viaggiando transito da San Benedetto del Tronto (AP). Voglio leggere di un viaggiatore immaginario. «Seguitava ancora a parlare di quel treno. Ne imitava il fischio, come lontano, nella notte. E subito dopo aggiungeva: “Si parte, signori! Per dove? Per dove?”». Il signor Belluca non lo sapeva, io sì, io stavo andando ad Ascoli Piceno, la Stupenda, che allo scrittore André Gide ricordava le più belle cittadine della Provenza e dal cui travertino grigio e caldo Guido Piovene, giornalista e scrittore, vedeva fiori, fogliami e stelle. Alla Rinascita, Giorgio Pignotti mi accoglie dopo qualche anno con lo stesso sorriso. Siamo in piazza Roma, in pieno centro; è qui il Palazzetto della Comunicazione dove da 20 anni la libreria ha trovato dimora. Nata nel 1976 in uno spazio di appena 100 metri quadrati, oggi è in un edificio storico della città, un tempo sede di un bachificio. Anche questa è letteratura: negli anni ’30 il motore dell’economia ascolana era la seta e la clientela ne acquistava da tutto il mondo, sin dal Giappone. Ciò era dovuto al fatto che venivano selezionate alcune razze particolarmente preziose di bachi, come il “giallo Ascoli” ancor oggi usato dalla famiglia imperiale. Con i suoi 800 metri quadrati magistralmente suddivisi tra scaffalature, aree di esposizione, zona per bambini, sale di incontri, caffetteria e uffici, Rinascita è stata inserita tra le 25 librerie più belle del mondo dalla European and International Booksellers Federation. Un riconoscimento che premia l’eccezionale impegno di Pignotti e del suo staff e che rivela il loro amore verso Ascoli Piceno. «Quello librario è un commercio a handicap, che non promette sopravvivenza a meno che non divenga una sorta di presidio territoriale, culturale e civile», afferma. Con me ho quattro olive ascolane e un libro di Albert Camus che mi fa piangere dall’emozione. La Caduta è il suo titolo, il viaggiatore stavolta è vero e si racconta nello scompartimento di un treno. Lo ascolterò fino alla stazione torinese di Porta Nuova, dopo di che percorrerò via Lagrange fino alla Luxemburg, dove mi attende Gigi Raiola. Ci accomodiamo al piano e Gigi va subito indietro di un secolo e mezzo, a quando Francesco Casanova apriva una filiale della libreria genovese Le Beuf. Per intraprendenza e fiuto letterario sorpasserà presto la casa madre. Da quel 1872 in poi si susseguono autori e libri che segneranno la storia italiana, saranno illusioni e orrori, il fascismo, due guerre, un’occupazione e infine la libertà, che in quell’angolo di piazza Carignano si respirerà cultura ancor di più allorché, nel 1974, Angelo Pezzana rileva il negozio e lo intitola Luxemburg. «Angelo era un radicale puro», racconta Gigi, «un libertario ante litteram, un intellettuale che poteva rapportarsi a editori internazionali di grande prestigio. Ma non basta: affrontò temi che all’epoca erano tabù. Pochi anni prima aveva fondato

Eli, Roma

l’associazione Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano, infine si sentiva prossimo alla cultura e alla spiritualità ebraiche». Pezzana, un pacifico discordante. Anche grazie a lui Torino provò a diventare una città complessa, a mettersi dietro il rigore accademico, la vita industriale e operaia del romanzo sociale del ’71 Vogliamo tutto, la minoranza silenziosa e i mutismi di una imprenditoria un po’ facile e un po’ statale. Divenne meno borghese e preferì gli allievi ai maestri, i colori delle copertine ai completi grigi. E prese ad amare questa libreria splendida dove i giovani si sentivano liberi di sfogliare un’opera prima e di acquistarla, e dove gli stranieri potevano leggere le loro riviste migliori. Luxemburg è ancora quella stessa libreria di un presente che implica un domani e di una tradizione sempre nuova. È tardi, saluto Gigi e, in forma di omaggio, compro una raccolta di storielle ebraiche curate da Angelo Pezzana. Venti minuti dopo sono in treno per Milano. Non so più se sto leggendo o viaggiando, né se vi sia una qualche differenza. libreriaeli.it libreriaeliroma libreriaeli libreria.rinascita.it LibreriaRinascita librerialuxemburg.wordpress.com librerialuxemburg

ETERNAMENTE MONICA

A TEATRO È STATA MARIA CALLAS, AL CINEMA ANITA EKBERG. ORA L’ATTRICE SI TRASFORMA IN UNA STREGA PER IL PREQUEL DEL FILM LA BEFANA VIEN DI NOTTE

di Andrea Radic Andrea_Radic andrearadic2019

La sua carriera di modella è iniziata a Milano, quella di attrice a Roma. Ma il successo internazionale è arrivato quando Monica Bellucci si è trasferita a Parigi, dove ha lavorato subito tanto, tra copertine e servizi importanti. «Nel cinema è andata allo stesso modo. Ho cominciato a Roma, ma è nella capitale francese che ho girato il mio primo film da protagonista, L’appartament. Poi c’è stata la prima pellicola americana, Under suspicion, con Gene Hackman e Morgan Freeman. Dopodiché Malena, di Giuseppe Tornatore, mi ha aperto molte porte: da lì non mi sono più fermata». A novembre Monica ha interpretato a teatro Maria Callas, mentre al cinema dal 1° al 3 dicembre è Anita Ekberg, La ragazza nella fontana, diretta da Antongiulio Panizzi. E, dal 30, diventa la protagonista del film La Befana vien di notte 2 - Le origini, prequel della pellicola uscita nel 2018 con Paola Cortellesi. È stato difficile trasformarti in una strega? Il mio personaggio si chiama Dolores ma è più una fata, perché usa la magia per fare del bene e aiutare i figli delle streghe bruciate sui roghi. Tra questi bimbi c’è una ragazzina speciale, interpretata da Zoe Massenti: per scoprire perché bisogna vedere il film. È stata veramente una bella esperienza girare questo fantasy movie italiano con Fabio De Luigi, Alessandro Haber, Corrado Guzzanti e tanti bambini meravigliosi. Un film che saprà emozionarci e divertirci, quindi. Non mi capita spesso di essere diretta da una donna, visto che ho lavorato soprattutto con registi uomini. Mi è successo con Alice Rohrwacher, Maria Sole Tognazzi e Rebecca Miller. E ora con Paola Randi, che per il prequel sulla Befana ha saputo calarci con grande sensibilità in un mondo onirico e profondo al tempo stesso. Mi sono trovata molto bene con lei: un cast bellissimo e un film ricco di umanità e poesia, di cui abbiamo molto bisogno in questo momento. Non vedo l’ora che esca. C’è differenza tra una regia femminile e una maschile? Sicuramente lo sguardo può essere diverso. Con una donna si creano altre modalità di comunicazione, una sorta di non detto, perché tra noi ci si capisce anche senza parole. Poi è tutta una questione di energia. Quanto ti diverti sul set? Per me è fondamentale, quando lavoro voglio lasciarmi prima di tutto ispirare. E la mattina mi alzo piena di energie perché sto facendo qualcosa che mi piace. Periodo intenso questo: a teatro hai interpretato Maria Callas, mentre al cinema sei Anita Ekberg. È facile accettare proposte così interessanti, quasi un gioco tra ciò che scegli e ciò che ti arriva. Come accaduto con la proposta di Tom Volf per lo spettacolo teatrale Maria Callas. Lettere e memorie: le lettere inedite della cantante erano così belle e profonde che non ho potuto dire di no alla mia prima volta in teatro. Lo stesso è accaduto con Panizzi e il suo progetto su Ekberg, La ragazza nella fontana, così curioso e diverso, un film documentario che offriva l’opportunità di ripercorrere attraverso i miei occhi e il mio sguardo il vissuto di questa donna e diva. Progetti che mi hanno fatto crescere come attrice. L’interpretazione di ruoli biografici è fatta più di studio o intuito? Un misto di entrambe le cose. Nel mio caso, quando scelgo un ruolo biografico ho una reazione innanzitutto “di pancia”: alcuni elementi mi raggiungono profondamente e muovono interrogativi che voglio approfondire, così da poter maturare anch’io. Perché in un lavoro come il mio, fatto di successi e insuccessi ma anche di film mai usciti, ciò che conta è la crescita personale. Per Callas è stato difficile esordire sul palcoscenico, avevo

Qui e nella pagina accanto, Monica Bellucci in una scena del film La Befana vien di notte 2 - Le origini

paura, ho sofferto molto, ma superate le difficoltà ho potuto vivere un’esperienza diversa. In teatro cadono le protezioni, il pubblico è lì davanti. Quali emozioni hai provato? Una paura tremenda (dice con l’espressione da film horror, e poi ride, ndr). Come l’hai superata? Mai vinta, è sempre presente, mi piacerebbe sapere come si sconfigge, ma non esiste un modo. Salgo sul palcoscenico, mi concentro sul testo e su ciò che sento e di colpo passa tutto, mi dimentico di avere paura. Dicono comunque che sia necessaria per far bene. Poi c’è il rapporto diretto con il pubblico, senza filtri, così diverso dal cinema, perché dalla platea del teatro ti arriva tanta energia. E la relazione che si crea con chi assiste allo spettacolo è molto bella, di comunione e di scambio. A teatro l’attore mostra anche la sua parte più vulnerabile: lì si vede l’anima delle persone, dice qualcuno. Non so se sia vero, ma senz’altro sei a nudo. A proposito di energia. Modella, attrice e cittadina del mondo: una vita ricca di emozioni. L’energia vitale è imprescindibile, un fatto scientifico, fa parte di noi. Gli avvenimenti possono fartela perdere, a volte senti che tende a scemare. Per questo dobbiamo sempre tenerla viva, anche quando non è per nulla facile. Da tanti anni vivi a Parigi. Che cosa ti affascina di questa città? La straordinaria offerta culturale, continua e sempre originale, dal teatro alla musica, dall’opera alle mostre d’arte fino ai grandi eventi internazionali. Se cerchi cultura qui hai l’imbarazzo della scelta. Parigi è un nido che accoglie artisti, pittori, scrittori, attori da tutto il mondo. Uno scambio culturale intenso e a doppio senso: Jean-Louis Trintignant e Alain Delon hanno lavorato molto in Italia, così come Claudia Cardinale, Lea Massari, Monica Vitti e Marcello Mastroianni, che qui sono amatissimi. Esiste qualcosa che i francesi sanno fare molto bene e gli italiani non impareranno mai? Penso che i due popoli abbiano in comune la diplomazia, ma la mettono in campo in modo differente. Due diverse chiavi che consentono di aprire le medesime porte. Una differenza forte, però, esiste: i francesi, anche quando hanno grandi disponibilità economiche, non osten-

© A. Lanzuisi

tano, non danno a vedere nulla, secondo il motto vivons caché, vivons heureux (viviamo nascosti, viviamo felici). Gli italiani, al contrario, anche quando non hanno nulla vogliono far vedere di avere tutto. Parigi è una città anche molto attenta all’ambiente, lo si percepisce? I giovani si rapportano con le problematiche green in modo puntuale e consapevole. Lo vedo con le mie figlie, hanno una sensibilità molto maggiore di quella che avevamo noi ai loro tempi. Ti piace viaggiare in treno? Sì, è un momento dedicato a me stessa, in cui mi sento in diritto di pensare a quello che voglio. È tal-

Monica Bellucci è Anita Ekberg nel docufilm La ragazza nella fontana mente bello guardare i paesaggi che sfilano davanti agli occhi lasciando andare la testa. Siamo sempre presi da mille cose che quasi perdiamo l’occasione di vivere un momento così particolare. Cosa apprezzi e cosa detesti nelle persone? Non amo etichettare gli altri, siamo

tutti diversi, con pregi e difetti. Poi con gli anni si diventa più compassionevoli, da giovani è tutto bianco o nero, con l’età si ha meno voglia di giudicare. Il profumo della tua infanzia? Sono cresciuta a Città di Castello, in provincia di Perugia, se chiudo gli occhi sento in casa un profumo di vaniglia che qualcuno aveva addosso. Un odore infantile che ha qualcosa di innocente, come se si volesse vedere solo la parte zuccherata dell’esistenza. Ami stare ai fornelli o preferisci sederti a tavola? Non sono una bravissima cuoca, anche se le mie figlie sostengono il contrario. D’altronde, cucinare è una dimostrazione d’amore. Però apprezzo molto andare a casa di amiche brave ai fornelli, intorno alla tavola si vivono momenti di condivisione e affetto importanti. Il fascino è un’arma o una qualità? Quello vero ce l’hai senza nemmeno saperlo, è qualcosa di naturale. C’è e basta.

monicabellucciofficiel

Monica Bellucci interpreta Maria Callas a teatro

© Tom Volf

CHRISTOF INNERHOFER SI PREPARA A SFRECCIARE SULLE PISTE DELLA VAL GARDENA, IL 17 E 18 DICEMBRE, PER LA COPPA DEL MONDO DI SCI

di Flavio Scheggi mescoupsdecoeur

Da bambino guardava le imprese di Alberto Tomba e sognava di diventare come lui. Nel 2008 ha vinto la sua prima discesa libera a Bormio, a cui sono seguite due medaglie olimpiche ai Giochi di Sochi. Oggi Christof Innerhofer, nato a Gais, in provincia di Bolzano, si appresta a vivere la sua 16esima stagione in Coppa del mondo. Il 17 dicembre, giorno del suo 37esimo compleanno, la Fis Ski World Cup arriva in Italia, in Val Gardena. Qui Christof si deve cimentare nella prova di Super G e, il giorno seguente, nella discesa libera sulla pista Saslong. Abbiamo raggiunto l’atleta delle Fiamme Gialle via whatsapp, mentre si trovava in Colorado per allenarsi. Con lui abbiamo parlato di sport, velocità, delle sue montagne e della riapertura degli impianti sciistici. Sei alla 16esima stagione e hai ancora voglia di gareggiare. Questi anni sono passati molto velocemente, vuol dire che sono stato bene e mi sono divertito. La testa è rimasta giovane e il fisico continua a reggere. Continuo ad avere una grande passione per questo sport: gareggiare per me non è un sacrificio, ma un privilegio. Amo la natura, le montagne e la velocità. Nel 2013 a Wengen, in Svizzera, dove ho vinto la discesa libera, ho raggiunto i 158,9 chilometri orari. Vuoi fare concorrenza al Frecciarossa? Con i miei sci non riesco ad andare così veloce (ride, ndr). Ma è bello spostarsi con il treno ad Alta Velocità, in poco tempo si arriva da una città all’altra. Quando viaggio posso leggere un libro, guardare internet, dormire e il tempo vola via veloce: non sei neppure partito che è già il momento di scendere. Festeggerai il tuo compleanno sugli sci correndo il Super G in Val Gardena. Cosa rappresentano per te le montagne dell’Alto Adige? Io viaggio tanto per il mondo, ma non ho mai visto luoghi così belli, perfetti da vivere in ogni periodo dell’anno. In inverno abbiamo la neve, in estate

Christof Innerhofer all'Alpine Ski World Cup 2020/2021, Garmisch, Germania

SCIVOLARE AD ALTA VELOCITÀ

siamo circondati dal verde. Mi piace andare in bici a valle ma anche salire verso Cortina, il lago di Misurina e il passo Monte Croce. La domenica, quando posso, amo camminare per poi fermarmi in una baita a mangiare e a godermi il panorama. Finalmente si tornerà a sciare dopo la chiusura dello scorso anno per l’emergenza Covid-19. È molto bello. Ed è importante che tornino a farlo soprattutto le persone adulte: se si sta troppo fermi è difficile, poi, riprendere ritmo e forma fisica. Quali piste ci consigli? Ne abbiamo tante bellissime, ogni impianto ha le sue. Mi piace molto la Sylvester di Plan de Corones, ci vado da quando ero bambino e ha sempre il suo fascino. Oltre allo sci, che attività si possono fare? Si può pattinare sul ghiaccio, prendere una slitta trainata dai cavalli, organizzare escursioni con le ciaspole. E visitare luoghi bellissimi come le Tre cime di Lavaredo, le cascate di Riva in Valle Aurina e Amaten, sopra Brunico, per ammirare un panorama unico su tutta la Val Pusteria. E poi, magari, rifocillarsi in qualche baita... Nei rifugi si trova un’ottima cucina, sono da provare i piatti tradizionali come i canederli o le mezze lune ripiene di ricotta. Qui il cibo è buono dalla colazione alla cena. Per andare a sciare in Alto Adige si può anche prendere il treno. Ti piace l’idea? È bellissimo poter usare un mezzo ecologico per raggiungere le piste da sci. In Val Pusteria, per esempio, a pochi metri dalla stazione di Perca ci sono gli impianti per salire a Plan de Corones, ma si può anche arrivare in treno a San Candido e sciare sul Monte Baranci o prendere l’autobus per il Monte Elmo.

christof-innerhofer.com InnerhoferChris innerhoferchristof suedtirol.info/it visitsouthtyrol

TUTTI IN PISTA

La Val Gardena, immersa nel Parco naturale Puez-Odle, offre 500 chilometri di piste, tra cui la velocissima Saslong dove si disputa la Coppa del Mondo. Due le novità assolute di questa stagione: la pista nera La Ria, che parte dalla stazione a monte della cabinovia Dantercepies e si snoda per oltre un chilometro con una pendenza massima del 52%, e la Pilat, spettacolare e tortuoso percorso forestale di quasi quattro chilometri con una vista unica sulla valle. Si aggiungono, poi, ben 30 km di sentieri per gli amanti delle escursioni e 115 km di piste per lo sci di fondo.

La pista Saslong, in Val Gardena

Christof Inner hofer

LO SGUARDO DELLE MONTAGNE

DA TRENTO A MERANO CON SOSTA A BOLZANO. CONOSCERE IL TRENTINO-ALTO ADIGE PERCORRENDO LE SUE CITTÀ, PIENE DI ARTE, NATURA E BUON CIBO. SEMPRE CON LE DOLOMITI A FAR DA SFONDO

di Sandra Gesualdi sandragesu

Attraversando il Trentino fino all’Alto Adige, ci si accorge che le montagne sono le protagoniste di ogni vista. Sempre presenti, addossate, vicinissime, sullo sfondo, zigrinate, sassose, soffici di candore, imponenti e rassicuranti come uno sguardo familiare. Incuneata com’è tra Svizzera, Austria, Lombardia e Veneto, questa regione gode di una singolare posizione geografica. Le Alpi centrorientali ne caratterizzano quasi costantemente i profili, su cui spiccano solenni le Dolomiti occidentali. Con i gruppi del Puez, delle Odle e del Sella, lo Sciliar, il Sassolungo, la Marmolada e le Pale di San Martino: montagne cariche di storia, leggendarie imprese alpinistiche e un diffuso turismo all’aria aperta, nella natura incontaminata. Ma anche di città da scoprire, piene d’arte antica e contemporanea, castelli, chiese affrescate, campanili a clessidra, musei inaspettati, portici tessuti come labirinti e panorami su tetti spioventi. Vale la pena abdicare qualche giorno alle piste da sci e percorrerle, lentamente, respirando l’inverno che emanano, per scoprirne il loro ritmo urbano. Da Trento a Merano

© Vladimir Ovchinnikov/Adobestock

Fontana di Nettuno, Trento

con sosta a Bolzano, su uno dei nuovi treni regionali che fermano a pochi minuti dai centri cittadini, dopo essersi addentrati tra gole e valli, seguendo alcuni dei tanti itinerari proposti dalla Guida Giunti per Trenitalia I Regionali da vivere. Trentino-Alto Adige in treno. TRENTO MITTELEUROPEA Fuori dalla stazione di Trento una luce fredda e chiarissima abbaglia, come si addice a un autunno inoltrato. Di quelli brizzolati di neve e con le punte imbiancate intorno. In piazza Dante, sotto la statua del Sommo, al mercatino bio dei produttori locali, le casse piene di mele fanno percepire ritmi sostenibili, a stretto contatto con i lunghissimi e ordinati filari di frutta e vigneti incontrati subito fuori dalla città. Basta attraversare il parco con laghetto per imboccare una delle vie che dritte arrivano in piazza Duomo.

Piazza Duomo, Trento

© rudi1976/Adobestock

© Ingo Bartussek/Adobestock

Scorcio di via dei Portici, Bolzano

Il centro storico, delimitato tra l’Adige e il suo affluente Fersina, è un pugno stretto colmo di palazzi affrescati, piazzette che si susseguono, stratificazioni archeologiche, dedali di vicoletti. Ai due estremi, una fortezza e una torre: il Castello del Buonconsiglio, antica sede dei principi-vescovi, affrescato col Ciclo dei mesi e scene di vita trecentesca. Dall’altra parte, affacciata sul fiume, la merlata Torre Vanga, costruzione del periodo medievale. Ma è arrivando al Duomo che si percepisce l’atmosfera vagamente mitteleuropea di una tipica piazza del nord, piena di caffè e ad alta intensità di architetture, stili e ricchezza urbanistica. La riempie la lunga navata della Cattedrale di San Vigilio, pachiderma di pietra romanico-gotico adagiato sul selciato e tatuato dal rosone del transetto, e dal turrito Palazzo Pretorio, oggi sede del Museo diocesano. Al centro la fontana del Nettuno zampillante e, a far da sfondo, sempre montagne alte. STRUDEL, ARTE E SCIENZA Vagando per la zona pedonale abitata e viva, ci si imbatte in un Teatro Sociale, gallerie d’arte e pasticcerie storiche, come la Bertelli, dove assaggiare strudel profumati. E, dalle tante librerie presenti, si scopre che la provincia di Trento è tra quelle in cui si legge di più. Da visitare la Viaggeria, adatta agli spiriti erranti, specializzata in guide turistiche, mappe, mappamondi e testi di narrativa da viaggio. Il Polo museale dedicato all’arte contemporanea è presente, qui, con la Galleria civica, che ospita mostre di artisti legati al territorio e ha il suo fulcro al Mart di Rovereto. Dove, sotto la cupola di vetro e acciaio, fino a febbraio, è possibile visitare una grande esposizione dedicata a Fortunato Depero e, dal 17 dicembre, Canova tra innocenza e peccato. Quindici minuti a piedi, seguendo il corso dell’Adige e, superato il cimitero monumentale, si raggiunge un’area stretta tra la linea ferroviaria e il fiume, piena di scienza, arte, orti didattici, prati verdeggianti, campi sportivi e dimore storiche. È l’ex area Michelin recuperata con la costruzione dell’avveniristico Muse, il Museo delle scienze progettato da Renzo Piano con forme geometriche appuntite che seguono i profili alpini: quattro piani di percorsi didattici dove scoprire la vita sulla Terra, dal sole al clima, fino alle biodiversità. Accanto, il cinquecentesco e affrescato Palazzo delle Albere, un tempo villa nobiliare e oggi sede di mostre temporanee, ospita fino al 27 febbraio una gigante e rossa sagoma di cervo, tra le opere di Selvatici e salvifici. Gli animali di Mario Rigoni Stern, la rassegna piena di poesia, dedicata agli abitanti del bosco amati e raccontati dallo scrittore-montanaro. BOLZANO, TRA GOTICO E PORTICI Anche il treno regionale, spingendosi a nord, corre nella vallata fluviale, in direzione di Bolzano lasciandosi alle spalle boschi fitti, frutteti, spicchi di altura alternati a quadrati pianeggianti ben coltivati. A Bozen, la “capitale” altoatesina in tedesco, i sapori si fanno più forti, le passeggiate più lunghe, le chiese più acuminate. L’ideale è visitarla in una tarda mattinata di sole, a cavallo del pranzo da liquidare con un brezel da strada ripieno di speck saporito. La parte storica è un fazzoletto da percorrere a piedi in poco tempo, toccando tutte le tappe che caratterizzano la cittadina altoatesina. Partenza dalla via dei Portici, i Lauben, l’arteria dei negozi incastonati sotto le volte dei porticati, delle case antiche che si arrampicano su e dentro intrecci di cunicoli, scale interne e dalle facciate con stucchi a tinte cromate. Da lì si arriva direttamente in piazza Erbe dove ogni giorno, all’alba, si aprono le bancherelle verdi dell’antico mercato, cariche di frutta, verdura e gastronomia locale, dove comprare gli spätzle, gnocchetti di spinaci, o gli schlutzkrapfen, i ravioli a mezza luna. Poco oltre, il museo civico Stadtmuseum, dimora di Ötzi, la

mummia dell’Età del Rame rinvenuta tra i ghiacciai della Val Venosa. Le linee gotiche del corpulento Duomo lasciano senza fiato, appena entrati in piazza Walther. Psichedelico ed enorme il tetto decorato a losanghe verdi, gialle e bianche alla maniera di quello delle cattedrali di Basilea e Vienna, appuntito il campanile, mentre dentro danze di archi a tutto sesto spingono verso l’alto e ospitano pulpiti tardo gotici. Se lo si circumnaviga ci si trova in uno slargo – piazza della Parrocchia – esposta al sole e dove, osservando a terra, si notano le fondamenta della chiesa di San Niccolò, rasa al suolo dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Si riconosce l’abside circolare, piccolo e raccolto. Dietro l’angolo c’è anche la chiesa dei Domenicani, in cui vale la pena entrare per ammirare un cielo stellato blu elettrico e una Madonna con il bambino in un rudimentale marsupio. Sono scene del ciclo degli affreschi che saturano completamente la cappella di San Giovanni, realizzati da maestranze di scuola giottesca ispirate presumibilmente alla cappella degli Scrovegni di Padova. Dalla parte opposta alla diagonale cittadina si trova, invece, il convento Francescano. Lo si riconosce perché fanno da sentinella al complesso alti cipressi che spuntano all’improvviso in mezzo alla via. Il chiostro, lungo e poco battuto, merita di essere percorso a passo lento. Un’altra Bolzano, invece, si apre appena fuori dalla parte vecchia. Ci si trova sulla

Stazione di Merano (BZ)

© e55evu/Adobestock

Piazza Walther e Duomo di Bolzano

Talvera e sul ponte omonimo che porta al Monumento alla vittoria dove, faccia a nord, si gode di una vista che fa respirare gli occhi. Parchi fino all’orizzonte, che nei giorni festivi si riempiono di sportivi e, sullo sfondo, declivi tempestati di castelli, chiesette e funivie che si alzano gradualmente fino a diventare altopiani e poi Dolomiti. Dal ponte parte il Lungotalvera, passeggiata inzuppata dai colori del foliage autunnale che si spinge per qualche chilometro fino al castello di Roncolo, una sorta di piccolo Central Park con l’aria più cristallina e alti pioppi al posto dei grattacieli. MERANO BACIATA DAL SOLE Le panchine di Merano sono in legno e ferro, di solito laccate di bianco. Le si trovano ovunque, in centro, lungo il fiume, durante le escursioni e sembrano raccontare la qualità della vita in questa città alpina dell’Alto Adige. Ritmi ener-

© Sandra Gesualdi

I REGIONALI DA VIVERE TRENTINO ALTO ADIGE

inTRENO

TRENTINO-ALTO ADIGE IN TRENO

Giunti, pp. 129 € 10

gici ma non forsennati, clima mite, cibo e vino buoni e la possibilità di muoversi soprattutto a piedi, per lavoro, studio o semplicemente per camminare, in ogni stagione dell’anno, lungo uno dei tanti anelli pedonali che l'attraversano. Dalla passeggiata Tappeiner, che corre sopra i tetti della città, ci si rende conto di come Merano si estenda in una conca perfetta, sempre esposta al sole, scavata tra la Val Venosta e la Val Passiria e chiusa in un saldo abbraccio del gruppo dei Monti Tessa. Alta solo 320 metri sopra il livello del mare, baciata dalla luce e protetta dai venti freddi che arrivano da Innsbruck, gode sempre di una temperatura dolce. La città si crogiola in questa posizione tanto piacevole che le dona profili montanari innestati su un rigoglioso paesaggio mediterraneo. Così palme e grandi ficus coabitano con castagni e querce secolari, terrazze urbane ospitano orti d’erbe officinali o filari di viti mentre poco oltre si infittiscono i boschi. In basso, lungo il torrente Passirio, si snoda la camminata più cittadina, tra l’antico ponte romano e quello di ferro, per poi allungarsi nell’assolata passeggiata d’Inverno. Sull’altra sponda, superata la porta Passiria, ci si addentra nel piccolo quartiere di Steinach, il rione più antico della cittadina tirolese, risalente al XII secolo, quando ancora si commerciava per le vie fluviali legando le imbarcazioni fuori dalla porta. Una piccola rete di vicoletti e scale in pietra si issano su pettate rocciose contro cui si addossano le case storiche. Oggi è abitato da creativi che qui hanno aperto atelier, studioli, piccole gallerie e sede di un lungo graffito pubblico, che mai t’aspetteresti, con personaggi fantastici in bianco e nero opera di due dei più famosi street artist del mondo, Blu ed Ericailcane. Un po’ oltre si incontra piazza Duomo, con la cattedrale di San Nicolò e l’aguzzo campanile di oltre 80 metri, uno degli esempi più antichi dell'architettura gotica tirolese del ‘300. All'interno affreschi, sculture bibliche e arredi in legno scuro, in contrasto a grandi vetrate colorate. Accanto alla chiesa si trova il Palais Mamming Museum, che vanta una collezione d'arte locale, oltre a una mummia egizia e la maschera mortuaria di Napoleone. La lunga via dei Portici, cannocchiale naturale puntato sulle montagne, è la parte più animata di Merano, piena di negozi e ristorantini e abitata da un continuo via vai. Sotto le volte anche due interessanti 11/06/21 10:55 spazi culturali: il Kunst Meran, dedicato

Scorcio del centro storico di Merano (BZ)

© Sandra Gesualdi al contemporaneo, che fino al 13 febbraio ospita la collettiva The poetry of translation, e il Museo delle donne con la storia di pioniere ed eroine. Sulla sponda sinistra del Passirio, invece, si staglia la moderna struttura in acciaio e vetro delle Terme, con le benefiche acque ricevute dal monte San Vigilio: una cittadina del benessere colma di piscine, saune e un grande parco. In questo periodo, fino alla Befana, si possono visitare anche i mercatini di Natale con le tipiche casette in legno, le bancarelle d’artigianato e le lanterne accese, dove sorseggiare vin brûlé o assaggiare canederli, gulasch e croccanti ciambelle alle mele. Seduti su una tipica panchina bianca. comune.trento.it mart.tn.it muse.it bolzano-bozen.it meran.eu

DOLOMITI DA OLIMPIADI

CORTINA D’AMPEZZO SI PREPARA A ESSERE INCORONATA REGINA DEI GIOCHI INVERNALI PER LA SECONDA VOLTA. E LE MONTAGNE VENETE SONO PROTAGONISTE ANCHE A EXPO 2020 DUBAI, GRAZIE AI FILMATI DI GABRIELE SALVATORES CHE RACCONTANO I PAESAGGI ITALIANI PIÙ SCENOGRAFICI

di Valentina Lo Surdo valentina.losurdo.3 ValuLoSurdo ilmondodiabha ilmondodiabha.it

This article is from: