A BORGO VALSUGANA IL “PALIO DELA BRENTA” LA STORIA DEL COSTUME DA BAGNO
I DATI DEL TURISMO IN TRENTINO LEVICO TERME IN VETRINA
Come eravamo...
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IL SOMMARIO ALBUM…COME ERAVAMO ............................ 3 VIAGGIARE INTELLIGENTE ........................ 18 GIULIA, RAGAZZA ACQUA E SAPONE.......... 20 ARTISTI IN VALSUGANA ............................ 22 ARTE MARZIALE - STILE DI VITA ............... 24 FUNGHI E FUNGAIOLI ............................... 28 LA DIPENDENZA ALCOOLICA ..................... 30 1930 – IL TABACCO IN VALSUGANA ........... 32
ANNO I – N° 4 – AGOSTO 2015
Storia dei costumi da bagno
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TRENTINO – GUIDA CURIOSA ................... 34 ECOMUSEO............................................... 36 LA PRO LOCO DI CALDONAZZO.................. 38 LA DROGA ............................................ 40 I GIOVANI E LA MUSICA ............................ 47 INTERVISTA A UN PASTORE ...................... 48 STORIA DEGLI ORECCHINI ........................ 51 CONOSCIAMO I COMUNI - LEVICO TERME........ 52 IL FORTE COLLE DELLE BENNE .................. 54 LEVICO TERME - LE BOTTEGHE STORICHE ....... 56 LE STRIE DI LEVICO TERME ...................... 58 CONOSCIAMO LA VALSUGANA - IL TESINO ....... 60 L’AVVOCATO RISPONDE ...................... 62 ARTENATURA IN VAL DI SELLA .................. 64
I DATI DEL TURISMO IN TRENTINO
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IL PA LIO ENTA D E LA BR
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CONOSCIAMO I COMUNI - STRIGNO .......... 66 PRO LOCO - VALLE DEI MOCHENI .............. 72 IL MUSEO DI CANEZZA - PORTOLO ............ 74 BENESSERE E SALUTE ............................... 76 MEDICINA E SALUTE ................................. 78 BENESSERE E SALUTE ............................... 80 GIROVAGANDO - L’ISOLA DI BALI .............. 82 ASTRONOMIA - ASTROLOGIA IL LEONE ..... 84 L’IMMOBILIARE......................................... 86
Bernstoler Kulturistitut PAG. 69
DIRETTORE Cristina Dellamaria DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munao’ - 333 2815103 VICEDIRETTORE Roberto Paccher COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser COORDINAMENTO PUBBLICITARIO Cristina Dellamaria - 347 6475297 COLLABORATORI Luisa Bortolotti - Erica Zanghellini - Aldo Gravino Mario Pacher - Franco Zadra - Laura Fratini Francesca Schraffl - Alessandro Voltolini Chiara Paoli - Tiziana Margoni Patrizia Rapposelli - Zeno Perinelli - Adelina Valcanover CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE Edizione Printed srl Viale Vicenza, 1 - Borgo Valsugana IMPAGINAZIONE, GRAFICA Grafiche Futura STAMPA Grafiche Futura www.valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright EDIZIONI PRINTED e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a EDIZIONI PRINTED, le loro pubblicità, le loro immagini i loro testi o articoli. Per quanto sopra EDIZIONI PRINTED si riserva il diritto di adire le vie legali per di tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.
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Brigitte Bardot
Esther Williams
Annette Kellerman
Lucia bosè
di © Mitì Vigliero
dai GONNELLONI ai FILI INTERCHIAPPALI
Storia dei Costumi da Bagno Femminili:
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’uso di frequentare d’estate le spiagge “organizzate” nacque nel 1700, quando vennero scoperte le proprietà terapeutiche dei bagni in mare. Gli uomini entravano in acqua nudi, le donne indossando sottovesti di flanella a maniche lunghe. Nel secolo XIX andare al mare divenne invece una moda oltre una sana abitudine, per questo i costumi da bagno si tramutarono in un vero e proprio capo d’abbigliamento. Quello maschile era solitamente composto da un paio di mutandoni con sopra una lunga maglia a maniche lunghe; quelli femminili avevano larghi mutandoni altezza caviglie o gonnelloni con sottovesti, lunghe casacche con maniche a sbuffo sino al gomito (e sotto camiciole e camicine), cuffiette
di stoffa sul cranio, calze nere e scarpette gommate. Le signore e signorine più vanitose, o le più burrose, sotto si strizzavano in strettissimi busti di gomma. I colori predominanti erano il nero, il blu e il rosso; le fantasie erano rigorosamente a righe bianche e rosse o bianche e blu e i costumi erano tutti in lana spessa che in acqua si inzuppava e allungava diventando una pesantissima zavorra. Dal 1890 i più audaci (e i più pratici) d’ambo i sessi iniziarono a dare dei tagli alle lunghezze; i mutandoni arrivarono al ginocchio così come le gonne e le maniche, e poco per volta sparirono calze e scarpette. Una piccola rivoluzione avvenne ai primissimi del Novecento in Francia grazie al sarto Paul Poiret detto Le Magnifique, che impose per uomini e donne costumi sempre di maglia,
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ma più aderenti. Nel 1906 una nuotatrice australiana, Annette Kellerman, si presentò a una gara negli USA indossando un costume intero fatto a tutina che lasciava scoperte le cosce: fu arrestata, multata e immediatamente rimpatriata con foglio di via. Ma ormai la corsa alle forbici era tratta. Nel 1915 nacquero in Francia le prime fabbriche/case di moda specializzate in costumi come la Erté;
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nel 1920 Coco Chanel, imponendo la moda della donna bella solo se tutta abbronzata, lanciò sul mercato pantaloncini corti sopra al ginocchio e parti superiori decisamente scollate; nello stesso anno in America veniva inventato il primo costume in maglina “elasticizzata” (detto “modello sirenetta”) che permetteva ampie scollature anche sulla schiena. Negli anni ’30 nacquero gli antenati del
due pezzi; pantaloni corti legati a corpetti tramite sottili strisce di stoffa (per curiosità la prima italiana ad indossarli al mare, con grande scalpore dell’opinione pubblica e gran divertimento di Pirandello, fu l’attrice Marta Abba); fu allora che nacquero anche i lunghi accappatoi in spugna che permettevano alle bagnanti di uscire dall’acqua e coprirsi immediatamente senza dare scandalo. Nel 1939 la casa di moda Jantzen lanciò il primo due pezzi “ufficiale”; il reggiseno era in realtà un bustino che copriva l’ombelico (e che solo nel ‘49 divenne un reggiseno vero e pro-
prio), mentre i pantaloncini arrivavano sotto l’anca; ma l’idea di quel costume era stata presa da quello in maglina nera e considerato audacissimo che Greta Garbo indossava nel film “La donna dai due volti” (1934) Ma una rivoluzione era in agguato. Mentre il mondo femminile impazziva per i magnifici e sensuali costumi indossati da una giovanissima Esther Williams nei suoi film. Il 2 luglio 1946 gli americani sperimentarono, con grande scalpore, le bombe all’idrogeno, facendole esplodere in un atollo della Micronesia: Bikini. Pochi giorni dopo (e precisamente il 5 luglio) a Parigi, ai bordi della piscina Molitor, un sarto francese allora assolutamente sconosciuto –Louis Réard– lanciò un’altra bomba: un costume in due pezzi, che lasciava totalmente scoperto l’ombelico, chiamato appunto “bikini”. In realtà, storicamente non fu una novità: l’avevano già “inventato” gli antichi romani nel IV sec. dC, come dimostrano gli splendidi mosaici di Piazza Armerina. Nessuna modella famosa volle sfilare
con quella roba svergognata, e così Rèard lo fece indossare a una ballerina-spogliarellista del Casinò, Micheline Bernardini; non era una gran bellezza, ma nel giro di un mese la fanciulla ricevette, grazie alle foto che fecero il giro d’Europa, ben 50 proposte di matrimonio. Nel 1947, le concorrenti di “Miss Italia” sfilarono tutte indossando il bikini (per la cronaca, vinse Lucia Bosè); da allora, tutte le donne dello spettacolo fecero a gara a indossare due pezzi sempre più succinti, intendendoli come strumento di seduzione: indimenticabili le immagini anni ’50 dell’imbronciata e meravigliosa Brigitte Bardot sulla spiaggia di Saint Tropez che sfoggia il primo bikini con reggiseno a balconcino a leziosi disegnini bianchi e rosa, con pizzetti loli-
teschi. Nel 1953 sempre la vulcanica mente di Réard inventò il “reggiseno disco volante”, che stava miracolosamente su senza bisogno di spalline e il pezzo di sotto a guaina (Sexyform) che altrettanto miracolosamente spostava all’insù le natiche. Nel 1956 Marisa Allasio sconvolse i sonni maschili indossando nel film “Poveri ma belli” il bikini più succinto della storia di quegli anni; modello immediatamente copiato dalle più grandi case,
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che mise in allarme i custodi della pubblica morale: sulle spiagge italiane giravano carabinieri in coppia, muniti di centimetro, che avevano il compito di misurare le dimensioni dei bikini indossati dalle bagnanti Le “misure” variavano da regione a regione e se erano inferiori al lecito, come accadde ad Anita Ekberg nel 1956 a Ostia, si veniva fermate, portate in caserma, sottoposte a verbale e multate per oltraggio al pudore. Negli anni Sessanta il bikini venne finalmente accettato dalla morale comune e divenne indumento da indossare senza alcun clamore, forse sdoganato definitivamente dalla splendida Ursula Andress in “007 Licenza d’uccidere”. Nel 1968, ufficialmente seguendo le norme femministe che in nome della libertà e parità sessuale imponevano il rogo ai reggipetti, sempre le attrici lanciarono la moda del topless: in Italia la prima a mostrarsi pubblicamente a
tette al vento sulle spiagge fu Laura Antonelli. Nel 1972, sulla spiaggia di Ipanema (Rio de Janeiro) la signora italo-brasiliana Rose Di Primo, per farsi notare in una festa in spiaggia, modificò la parte di sotto del suo bikini inventando il “tanga”: la cosa ebbe un clamore enorme tanto che la leggenda vuole che la poveretta, sconvolta da tanto scalpore e cacciata ignominiosamente dalla famiglia, si chiudesse in convento. In compenso da allora furono migliaia le brasiliane che indossarono provocatoriamente il tanga, nel tempo talmente ristretto sino a diventare perizoma o decisamente “filo interchiappale”®, come parte inferiore del costume; la moda, nata per i piccoli e sodi sederini delle brasilère, arrivò ben presto in Europa e ancora permane anche su chiappone mediterranee ahimé non sempre perfette.
Su gentile concessione di Mitì Vigliero. http://www.placidasignora.com/2010/07/16/storia-dei-costumi-da-bagnofemminili-dai-gonnelloni-ai-fili-interchiappali/
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1890 - 2015
ARCOBALENO & OPINEL
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l coltello tascabile Opinel compie 125 anni e per questo particolare anniversario Laura e Livio, titolari del negozio ARCOBALENO di Borgo Valsugana, e partner dell’azienda già da diversi anni, hanno voluto raccontare la storia dei uno dei più famosi coltelli al mondo. E lo hanno fatto dedicando un ampio spazio espositivo a tutta la vastissima gamma di prodotti a marchio OPINEL. Una storia cha ha inizio nel 1890 quando Josepk Opinel, che lavorava nella piccola officina del padre, progetta e crea un piccolissimo coltello tascabile utile agli agricoltori. Una idea geniale, la sua, che , per il positivo riscontro, lo spinge ad avviare un proprio laboratorio. Nel 1897 la svolta: realizza una serie di coltelli in dodici dimensioni numerati da 01 a 12, registra il marchio Opinel della “mano coronata” ed inizia l'avventura di quello che, negli anni, sarebbe diventato il
coltello per tutti e per ogni occasione esportato in tutto il mondo”. Tramandata di generazione in generazione, l’azienda rimane fedele alla filosofia del suo capostipite, mantenendo inalterate le caratteristiche di robustezza, efficienza e semplicità che l’hanno resa così famosa, affrontando nel contempo un incredibile percorso di innovazioni nel mondo della cucina e della tavola. Nasce così una completa collezione di coltelli che affascina, rassicura e accompagna anche i cuochi più esigenti, mentre la tavola si veste di colore con modelli dalla linea precisa, giovane ed elegante. “Attraverso le fotografie dell’epoca, i libri e l’esposizione di alcuni pezzi in edizione limitata, noi di Arcobaleno, abbiamo voluto offrire agli appassionati, e non, di Opinel l’opportunità di conoscere meglio e condividere con noi l’emozione e il fascino che questi prodotti possono trasmettere”. P.R.
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I DATI DEL
TURISMO IN TRENTINO NEL 2014 I
l Servizio Statistica della Provincia autonoma di Trento (ISPAT) è la fonte dei dati relativi agli arrivi e alle presenze turistiche nella stagione estiva 2014 che descrivono l’andamento dello scorso anno, sia per il settore alberghiero che per tutto il complesso delle strutture ricettive della provincia. E i numeri ci dicono che il turismo, rispetto all’estate 2013, ha fatto segnare una flessione sia in termini di arrivi (4,9%) che di presenze (-3,1%). Una delle motivazioni principali di questo calo è imputabile alle difficili condizioni atmosferiche che hanno interessato la nostra provincia, a esclusione del mese di giugno che evidenzia variazioni positive, sia negli arrivi che nelle presenze, grazie al positivo contributo fornito dalla componente straniera. Il Trentino però, come sottolinea ISPAT, ha saputo attrarre comunque, un numero di turisti considerevole, superiore al milione e seicentomila unità, con un dato in termini di soggiorni registrati di poco inferiore agli 8 milioni. L'andamento delle presenze turistiche si mostra a tratti altalenanti tra fasi molto positive e altre di poco negative. Il risultato registrato nel 2014 s’inserisce in un contesto di fluttuazioni in parte negative, per cui si discosta in modo evidente dai dati degli ultimi 8 anni. L’analisi per provenienza mostra che dal 2006 vi sono andamenti contrapposti della componente straniera,
in buona tenuta, e italiana, in marcata sofferenza. Nel periodo considerato le presenze straniere rilevano variazioni positive per tutti gli anni. Anche nell’estate 2014 gli stranieri crescono del 2,2%. Viceversa, la componente italiana, che costituisce il 67% circa delle presenze della stagione, presenta in cinque anni su sette una dinamica regressiva. Quindi, anche se il -8% è l’effetto di condizioni meteorologiche sfavorevoli, la presenza degli italiani in Trentino nelle stagioni estive risulta da qualche anno a questa parte in generale flessione. Vi è da rilevare, per la stagione estiva 2014, considerando la distribuzione giornaliera delle presenze tra italiani e stranieri, il diverso modo di fare vacanza di questi ultimi. Gli italiani sono presenti soprattutto nelle settimane a ca- Lago di Caldonazzo vallo di ferragosto e nei fine settimana, mentre la presenza degli stranieri risulta più omogenea e distribuita su tutto l’arco dei mesi estivi. Considerando in particolare il settore alberghiero, l’analisi per provenienza indica un andamento alterno nei mesi per la componente straniera, con dati
di Franco Zadra
32 milioni di euro in meno rispetto al 2013 positivi nei mesi di giugno e agosto e negativi in luglio e settembre. Nel complesso della stagione, gli stranieri registrano un aumento del 2,8% degli arrivi e dell’1,9% delle presenze. La componente italiana registra, invece, dati in calo in tutti i mesi e, di fatto, condiziona l’andamento negativo della stagione estiva a esclusione del mese di giugno che registra un +1,8% negli arrivi e un +3,7% nelle presenze. Da notare che nei mesi di giugno e settembre le presenze straniere superano in valore assoluto le presenze degli italiani. La composizione della stagione estiva presenta una forte polarizzazione sui mesi di luglio e agosto, con il 31% e 39% del movimento alberghiero complessivo. I mesi in testa e in coda alla stagione estiva in pratica si equivalgono, con un peso del 14%
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Lago di Garda per giugno e del 16% per settembre. La principale regione di provenienza, nonostante il calo di oltre il 10% negli arrivi e del 8,8% nelle presenze, rimane ancora la Lombardia, con un dato di poco inferiore alle 950.000 presenze. Seguono per entità, seppure in ribasso, gli arrivi e le presenze dall’Emilia-Romagna, dal Veneto e dal Lazio che, con la Lombardia, rappresentano il 67,7% del movimento turistico alberghiero degli italiani che sceglie come meta di vacanza il Trentino. Per quanto concerne la componente straniera, che pesa per circa il 33% sul totale delle presenze estive, l’analisi delle principali provenienze mostra un aumento dei turisti tedeschi e austriaci, che insieme rappresentano circa il 57% delle presenze straniere complessive. Incrementi positivi si riscontrano anche per i turisti della Svizzera, ma in questo caso solo per il numero di pernottamenti. Buoni i risultati per Svezia, Russia e Austria e Repubblica Ceca; segni contrapposti si registrano invece per Paesi Bassi, Francia, Stati Uniti d’America e Finlandia. Negativo l’andamento per Regno Unito, Belgio, Irlanda, Danimarca e Polonia. Nel complesso, il saldo del movimento degli stranieri nella stagione estiva è positivo e totalizza un +2,8% negli arrivi e un +1,9% nelle presenze. L’analisi del settore alberghiero per territorio e per categoria conferma risultati negativi per tutti gli ambiti turistici a esclusione, per la sola componente degli arrivi, delle zone di Trento e Rovereto. Le flessioni registrano valori che variano dai 3 ai 9 punti percentuali e interes-
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sano in particolare tutte le località di montagna; più contenute le diminuzioni negli ambiti del Garda, Val di Non e Terme di Comano. Nella stagione estiva appena conclusa il numero di alberghi funzionanti è stato pari a 1.474 con 91.528 posti letto disponibili. Per quanto riguarda la Comunità dell'Alta Valsugana e Bersntol, un dato salta agli occhi e va a sommarsi a questa negatività in particolare per il numero di strutture alberghiere attive, passato da 121 nel 2013 a 111 nel 2014 dopo essersi mantenuto pressoché costante dal 2008. Nella categoria alberghi a 4 stelle, 4 stelle superior e 5 stelle il numero dei posti letto occupati al giorno per l’intero periodo estivo è stato pari a 11.462, vale a dire il 59% dell’intera disponibilità della categoria. La permanenza media più alta si è registrata negli alberghi a 3 stelle e 3 stelle “Superior” con 4,7 giorni, mentre la media provinciale si è attestata sui 4,5 giorni. Il confronto per categoria dell’andamento delle ultime due stagioni estive evidenzia la maggiore contrazione delle presenze nelle strutture con minori stelle, pari a -8,7%. Nelle strutture di categoria più elevata si osserva una flessione delle presenze più contenuta, pur con un contemporaneo aumento dei posti letto del 1,3%.
Il comparto extralberghiero rappresenta il 33,5% delle presenze estive e comprende le tipologie di strutture riconducibili a campeggi, rifugi, agritur, esercizi rurali, affittacamere, bed & breakfast, ostelli, foresterie, case e appartamenti per vacanze e case per ferie. Anche in questo settore gli arrivi diminuiscono del 5,5% e le presenze del 2,9%. Le variazioni registrate mostrano flessioni per quasi tutte le tipologie di struttura, a eccezione dei bed & breakfast, case e appartamenti per vacanze e case per ferie. Segni contrapposti per arrivi e presenze si evidenziano negli agritur, esercizi rurali e ostelli. Nel complesso dei due comparti il numero di arrivi nell’estate 2014 è stato di 1.635.780 unità, mentre i pernottamenti registrati sono risultati 7.921.952. Rispetto all’estate 2013 si registra una variazione negativa del 4,9% negli arrivi e del 4,3% nelle presenze.
Questi risultati confermano il generale ed evidente calo dei turisti italiani; buono l’andamento, invece, della componente straniera che riesce a limitare il complessivo risultato negativo, analogo a quello rilevato per il solo comparto alberghiero. Una eccezione è rappresentata dal Garda che nel complesso mostra una variazione positiva sia negli arrivi (+0,3%), che nelle presenze (+0,6%); un dato significativo visto che le presenze del Garda trentino
rappresentano il 23% del totale dei pernottamenti estivi. Valori positivi anche per la componente arrivi dell’ambito di Trento (+2,9%) e per le presenze della Val di Non (+0,7%). Considerando infine il comCastello di Pergine parto degli alloggi privati e delle seconde case, i dati stimati dai singoli Comuni ed Enti di promozione confermano una generale flessione per quanto riguarda gli arrivi (-1,2% per gli alloggi privati e -1,3% per le seconde case), che le presenze (-2,7% per gli alloggi e -1,5% per le seconde case). Ma quanto spende in media il turista per la sua vacanza? La spesa varia in funzione della struttura ricettiva scelta, la località turistica del soggiorno, ma anche riguardo alla provenienza. Combinando
questi elementi si arriva alla stima della spesa media giornaliera pro-capite per area territoriale e struttura ricettiva. Sulla base dei risultati dell’indagine sulla spesa turistica condotta nel 2013, è possibile, tenendo conto dell'inflazione, fare un bilancio dell’estate 2014 rispetto alla sua dimensione economica. Il fatturato turistico movimentato dagli oltre 16 milioni di presenze ammonta a poco più di 1.100 milioni di euro, cioè meno di 70 ero al giorno. La perdita del 3,1% nelle presenze turistiche si traduce sul piano economico in una flessione del fatturato pari al 2,8%, una cifra che si aggira intorno ai 32 milioni di euro. Tra i più penalizzati sono stati gli alberghi e i campeggi. Il brutto tempo ha pesato in particolare sulle località di alta montagna (-4,6%) e, più in generale, sulle vallate caratterizzate da un turismo montano e lacuale. Tiene invece la spesa dell’area del Garda, mentre guadagnano le città di Trento e Rovereto che si sono avvantaggiate della presenza di turisti alla ricerca di mete alternative durante le giornate di pioggia.
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Tradizioni di famiglia
Ristorante Alla Stua
Natura incontaminata, paesaggi montani unici che con i loro colori e visioni panoramiche che non hanno eguali. Una competenza culinaria che nasce da tradizioni familiari che si tramandano da madre in figlia. Specialità, manicaretti e piatti prelibati dal gusto e sapore inconfondibile.
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ono questo gli elementi che accolgono il cliente del Ristorante “Alla Stua”, in località Desene. Una struttura ricettiva inaugurata nel 1971 da Sandro e Orsolina, genitori di Ketty, l’attuale titolare che insieme alla dinamica figlia Serena, non solo ha saputo rispettare l’essenza “ospitalità” della iniziale struttura, ma, con il passare degli anni, ha fatto diventare questo locale un vero punto di riferimento per la ristorazione montana nel cuore del Lagorai. Il Ristorante “Alla Stua” è situato a 1500m, immerso in un verde a contatto con la natura e gli animali del bosco e conserva le stesse caratteristiche di un tempo con muri in pietra e arredamento rustico in legno, in-
tegrate da tutte le comodità e servizi che un ristorante deve avere, compreso quel “focolare” situato nella saletta minore e grazie al quale i clienti possono osservare ed apprezzare come si prepara la tradizionale polenta sul fuoco a legna e nel paiolo di rame.
Una maestria della cuoca Ketty che giornalmente propone piatti tipici e tradizionali, carni alla griglia, i formaggi locali, gli appetitosi dolci fatti rigorosamente in casa e tutti i menu stagionali compresi i ricercati e succulenti piatti di selvaggina. E chi vuole apprezzare la frescura della montagna, niente di meglio che pranzare nella capiente veranda esterna ammirando la suggestiva vista sulla valle. A tutto questo si aggiunge anche che Alla Stua è un locale che fa parte del Distretto Famiglia della Valsugana e Tesino e che gode del ricercato e qualificato marchio di “esercizio amico dei bambini” che in parole povere significa avere a disposizione spazi riservati per i più piccini, un menu appositamente creato per loro e un’area giochi dove i bimbi possono divertirsi e giocare in tutta sicurezza sotto l’attenta visione e controllo dei genitori che, comodamente seduti a tavola, possono gustare i manicaretti preparati da Ketty. A tal proposito è doveroso sottolineare che tutti gli alimenti usati non solo vengono acquistati da aziende locali e che le verdure sono quelle a km zero, ma tutto è fatto in casa come il croccante e saporito pane. Una delle più qualificate ed importanti
Una delle sale interne novità de “Alla Stua“ è che nel 2016 sarà inaugurato lo Chalet “Serena” una struttura ricettiva veramente familiare che con le sue sette camere, l’arredamento in legno e una ricercata intimità, offrirà pernottamento e prima colazione dando agli ospiti
La veranda esterna la possibilità di vivere giorni di vero a assoluto relax in un ambiente naturale. E per concludere sottolineiamo che “Alla Stua” è un locale per “ogni occasione”. Dal Battesimo alla Cresima, dalla festa di compleanno alla laurea, dalla cena sociale ai pranzi personalizzati. Da una semplice “intima” cenetta ad una riunione goliardica tra amici. P.R.
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Viaggiare INTELLIGENTE
di Alessandro Voltolini
Appare sempre più complicato organizzare un viaggio e molti preferiscono rivolgersi alle agenzie piuttosto di pianificare in autonomia. Infatti, nonostante numerosi siti presenti in rete offrano servizi di confronto e prenotazione, c’è ancora molta confusione a riguardo. Il mondo di internet però offre inestimabili tesori per i viaggiatori. E non si tratta solo di uno sistema più semplice per muoversi, ma di un modello innovativo e socialmente stimolante. Blablacar: sito raggiungibile da pc, tablet e smartphone di cui è anche apparsa recentemente la pubblicità in tv. Mette a disposizione agli iscritti, gratuitamente, l’accesso ad un motore di ricerca per reperire un passaggio in auto. Si forniscono il luogo di partenza e di arrivo e il gioco è fatto. Attualmente sono coperti 19 Paesi principalmente europei, fra cui l’Italia. Naturalmente sono gli iscritti stessi a poter offrire un passaggio, inserendo la tariffa, il modello della macchina, la grandezza del bagaglio per l’ospite. Un moderno autostop per cui chi guida ottiene un no-
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tevole rimborso delle spese e chi viene ospitato risparmia rispetto all’utilizzo dei mezzi pubblici. Un semplice esempio; la tratto Borgo Valsugana-Trento costa circa 1-2 € su Blablacar, rispetto ai 3,50 € richiesti dal trasporto pubblico. Il pagamento avviene in contanti al termine della corsa. Un ottimo rimedio anche nei confronti dell’inquinamento. Oltre ad un risparmio economico ed ecologico, questo sistema permette di socializzare e avere compagnia durante il viaggio. Come evitare incontri spiacevoli? Controllare l’avvenuta verifica del profilo e leggere
i feedback che passeggeri ed autisti si scambiano. Il contatto fra utenti avviene su un sistema di messaggi interni al sito per cui non si è obbligati a rivelare il proprio numero di telefono. AirB&B: è dedicato a chi necessita di un alloggio. Nel sito, presente in più di 190 Paesi, è possibile pubblicare e vedere annunci riguardo l’affitto di un abitazione. L’offerta è molto diversificata e tutti possono trovare il letto dei propri sogni . Si può decidere se accontentarsi di un divano nel soggiorno, di una stanza privata o se si desidera prendere in affitto un’intero appartamento. Si decide il numero di ospiti, i servizi che reputiamo necessari (lavatrice, poter fumare, portare animali, TV, internet wireless, aria condizionata…) e la gamma di prezzi che ci si può permettere. Il costo è spesso molto conveniente rispetto agli alberghi. Nel mio ultimo viaggio, a Berlino, ho pagato 13 € a notte per una stanza privata, a trenta
minuti di bus dal centro, in compagnia di una simpaticissima coppia. Il prezzo minimo in ostello, invece, variava in quel momento fra i 20-25 € a notte in camera condivisa, che naturalmente non ha cucina né bagno personale, presenti invece nell’appartamento. Per la prenotazione possiamo affidarci a sistemi di pagamento internazionali, Paypal e carta di credito, evitando così di dover portare in viaggio soldi in contanti. In caso di imprevisti, si può richiedere il rimborso e spesso non ci sono penalità. Come su Blablacar ci si può affidare ai feedback lasciati dai precedenti ospiti, frequentemente articolati, che ci offrono un buon resoconto di chi ospita. Couchsurfing: altro sito, con 10 milioni di utenti, dedicato a chi necessita di un posto per dormire. A differenza di AirB&B, l’alloggio è gratuito e non è obbligatorio ricambiare l’ospitalità. Chi utilizza questo sistema non lo fa per non spendere soldi ma per vivere un
viaggio in maniera differente. In genere ci si confronta con persone umanamente interessanti e mentalmente aperte; un’ottimo modo per immergersi nella cultura locale e aprire la strada a nuove amicizie. Il proprietario di casa sarà generalmente la guida e accompagnerà, nel suo tempo libero, a visitare luoghi interessanti e particolari i propri ospiti, e quest’ultimi eviteranno spiacevoli situazioni da turisti. Couchsurfing scardina la dicotomia fra visi-
tatore e locale; un nuovo sistema basato sull’ospitalità, sull’amicizia che può legare gente fino a quel momento estranea e sul rispetto reciproco; superando le barriere ideologiche, i preconcetti e la diffidenza. Viaggiare arricchisce, stimola le riflessioni, dissolve i pregiudizi e migliora la conoscenza di noi stessi. Il viaggiare intelligente ci insegna a rafforzare la nostra socialità e a cogliere il nostro stesso sorriso sul viso di tutti.
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Giulia, una ragazza “acqua e sapone”
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l venti di settembre su La7 si terrà il tradizionale appuntamento, presentato da Simona Ventura, che eleggerà Miss Italia ovvero la ragazza che si fregerà per un anno del titolo di “più bella d'Italia”. Un concorso che nasce nel 1946 quando le ragazze partecipanti sfilano in passarella. Per la verità questa manifestazione era stata preceduta da una analoga iniziativa nel 1939 quando la quattordicenne Isabella Vernay è eletta Miss Sorriso, aggiudicandosi una selezione fotografica ideata da Dino Villani, con la collaborazione dello scrittore Cesare Zavattini. Un concorso nato per cercare una ragazza dal sorriso unico e accattivante per sponsorizzare un dentifricio. Le ragazze però non sfilavano ma si limitavano ad inviare alcune loro fotografie. Il concorso divenne di importanza nazionale e tutte le foto delle ragazze parteci-
panti furono pubblicata su moltissimi giornali di allora, tra i quali il Milione e il Tempo. La guerra purtroppo interruppe questa iniziativa, sostituita, alla fine dell'evento bellico, appunto nel 1946, da Miss Italia e, a differenza dei concorsi che la precedettero, le concorrenti dovevano sfilare in passerella. Quel primo concorso, che si tenne a Stresa, fu vinto da Rossana Martini, ma, la giuria, vista la votazione di un referendum popolare a vantaggio di Silvana Pampanini, pur decretando “ufficialmente” la vittoria della Martini, decise per un ex equo con la Pampanini. Nel corso degli anni Miss Italia divenne un vero trampolino di lancio per numerose attrici. Infatti per moltissime partecipanti o vincitrici si aprirono le porte del cinema, della televisione e della moda e dello spettacolo. Tra le più
Le premiate con la responsabile del concorso Sonia Leonardi
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Giulia D’Andrea celebri e famose ricordiamo: Silvana Pampanini, Silvana Mangano, Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Lucia Bose’, Simona Ventura, Anna Falchi, Martina Colombari, Anna Valle, Francesca Chillemi, Miriam Leone, Cristina Chiabotto, Claudia Andreatti e tantissime altre. Quest’ultima, trentina di Pergine Valsugana, è stata la prima Miss Italia nella storia del concorso (eletta nel 2006) a vincere con i “capelli corti”. Tornando alla cronaca recente di Miss Italia in questo periodo in moltissime città e Comuni italiani i responsabili del concorso sono impegnati nelle numerose selezioni provinciali, nelle finali regionali e nelle prefinali nazionali che stabiliranno le finaliste che si confronteranno nella serata conclusiva dalla quale emergerà la Miss Italia. E quest’anno una delle eliminatorie si è tenuta, il 16 di luglio, proprio a Borgo Valsugana dove 21 ragazze provenienti da tutta la regione hanno sfilato davanti alla giuria che con i suoi voti, alla fine delle varie fasi, hanno decretato la vincitrice. E tra le ragazze “in passerella” il numerosissimo pubblico ha visto sfilare una borghesana verace, quella Giulia Dandrea che per la prima volta ha partecipato al concorso. Per la cronaca Giulia è la figlia di Michela Dalledonne, la cui mamma è quella Bruna Segnana, cono-
sciutissima in quanto da decenni è titolare del negozio “La Bomboniera” di Borgo Valsugana. La “nostra” Giulia, 19enne con la passione del nuoto, non ha vinto e non è salita sul podio. Ha però conquistato un meritatissimo quarto posto e il titolo di Miss Compagnia della Bellezza. Un piazzamento che se da una parte, forse, non l’appaga e potrebbe non soddisfarla, dall’altra considerato il nu-
mero delle partecipanti è certamente un buon risultato. “Ho iniziato l’avventura di Miss Italia, ci ha detto Giulia, perché partecipare a questo concorso mi ha affascinato sin da piccola. Fare sfilate e quindi avere la possibilità di entrare nel mondo della moda e dello spettacolo è una concreta occasione di mettersi in gioco, di verificare la propria personalità e le proprie ambizioni. Il tutto al di là dei risultati, che ovviamente se arrivano fanno sempre piacere e sono gratificanti. Viceversa, si chiude il libro di queste cercate esperienze e si intraprende un’altra strada che è quella dello studio, del lavoro e di altre opportunità”. Dialogando con lei ci accorgiamo che Giulia è veramente una ragazza “acqua e sapone” senza grilli per la testa già conscia e consapevole che nella vita nulla viene dato. E siamo veramente colpiti quando Giulia con estrema semplicità afferma… “che la bellezza senza valori, principi educativi, cultura ed altri importanti elementi di vita è solo e solamente una scatola
vuota. La bellezza con il passare degli anni, sottolinea, passa e svanisce, tutto il resto invece rimane dentro e dentro di noi diventa una vera ed insostituibile fonte di energia per superare le difficoltà della vita, che purtroppo, quotidianamente possono capitare”. (a.m.)
Sophia Loren partecipo’ a Miss Italia nel 1950
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TRA ‘800 E ‘900, IN MOSTRA A BORGO E GRIGNO
A N A G U S L A V IN I T IS ART
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na sessantina di opere, pittori con stili così lontani tra loro. Vissuti, anche, in epoche diverse. Ma con un unico legame: quello di essere nati, aver vissuto, lavorato o solo aver esposto in Valsugana. Fino al 16 agosto è possibile ammirare allo Spazio Klien di Borgo (al pianterreno del municipio) e nell’Antica Pieve di Grigno la mostra “Artisti in Valsugana Tra Ottocento e Novecento”, organizzata dai due comuni di Borgo e Grigno, dalla Provincia di Trento, dal Sistema Culturale Valsugana Orientale e dall’Associazione Castel Ivano Incontri.
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“La Valsugana è spesso citata come terra di confine – ricorda il vicesindaco di Borgo e portavoce del Sistema Culturale Valsugana Orientale Enrico Galvan – una valle di comunicazione tra mondi e realtà differenti ma che ha goduto, in passato, del passaggio di molte persone che, in epoche differenti, hanno lasciato un’impronta. Contaminazioni culturali che hanno stimolato molti artisti locali nella loro crescita e formazione”. Quello che viene proposto è un percorso artistico dove trovano posto diversi artisti che dalla Valsugana sono partiti per poi tornare o qui sono arrivati per innamorarsi della bellezza dei luoghi. “L’obiettivo di questa rassegna – proseguono il sindaco di Grigno Leopoldo Fogarotto e l’assessore alla cultura Barbara Bellin – è di valorizzare il patrimonio artistico che diffonde la cultura e la conoscenza e promuovere l’interesse per l’arte, la bellezza e le emozioni che
essa sa trasmettere”. La mostra è curata da Isidoro Dusatti, coordinata da Massimo Libardi con i saggi nel catalogo realizzati da Mario Cossali e Vittorio Fabris. “Come il fiume Brenta, che da ovest ad est segna la valle – scrive Dusatti – anche questa mostra segna il percorso vivo ed estroverso di una brulicante e fervida attività creativa”. A Borgo ed a Grigno si possono ammirare le opere di Luigi Bonazza (nel 1929-30 decorò le chiese di Tezze Valsugana, di Villa e di Santa Giuliana a Levico), di Francesco Raffaele Chiletto (nato nel 1897 a Torcegno, dove morì nel 1976), di Alcide Davide Campestrin, di Giu-
seppe Angelico Dallabrida (nato a Caldonazzo nel 1874, morto nel 1959 a Mezzolombardo), del pittore originario di Strigno Francesco Danieli (dove nacque nel 1852), del veronese Carlo Donati che realizzò diversi cicli di dipinti murali decorando le chiese di Marter, Vigolo Vattaro e Castello Tesino. “Sembrano incredibili la quantità e la qualità degli artisti che escono dal cilindro – ricorda Mario Cossali – della Valsugana destando nell’osservatore di oggi sorpresa dopo sorpresa. Un viaggio che inizia nell’Ottocento, attraversa la belle epoque, conosce le tragedie del secolo breve, sosta in tante città e di immerge nel paesaggio delle stagioni”. Tra le opere esposte anche quelle di Anton Sebastian Fasal, amico del pittore Oddone Tomasi, che decorò, tra il 1926 ed il 1929, la chiesa di Samone. Spazio anche ad Orazio Gaigher (Barco 1870 – Merano 1938), a Tullio Garbari (nato a Pergine nel 1892 e morto all’età di 39 anni a Parigi), a Ulvi Liegi (anagramma di Luigi Levico), nato e vissuto tra il 1858 ed il 1939 a Livorno e presente nel 1909 a Roncegno, Guido Polo (nato a Borgo e morto, all’età di 90 anni, nel 1988 a Trento), Giulio Cesare Prati (fratello del più noto Eugenio), nato e morto a Caldonazzo tra il 1860 ed il 1940, lo stesso Eugenio Prati per passare a Romualdo Prati (nipote di Eugenio e Giulio Cesare), Luigi Senesi (Pergine 1938 – Bologna 1978), Oddone Tomasi (nel dopoguerra per alcuni soggiorna a Caldonazzo) e Giorgio Wenter Marini. Non mancano i quadri e le opere di Orlando Gasperini, prematuramente scomparso nel 2004 a Grigno all’età di 54 anni. “Un’arte, al sua – conclude Cossali – per certi aspetti inafferrabile nel suo essere così piena di futuro proprio nello stesso momento del suo tornare incessantemente alle radici del mistero della vita. La sua pittura raccoglie il testimone della Valsugana sapiente, errabonda, legata al proprio prato e distesa sul mondo”. La mostra “Artisti in Valsugana Tra Ottocento e Novecento” è aperta, fino al 16 agosto, a Borgo e Grigno tutti i giorni (escluso il lunedì) dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19. (a.d.)
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Arte marziale... uno stile di vita
di Patrizia Rapposelli
“Quando iniziai a praticare conobbi l’amore per l’arte e la fiducia nel maestro. Subito capì che non era semplice lotta, ma nascondeva qualcosa di profondo ed andava oltre la mia conoscenza d’allora. Praticavo ogni qualvolta ne avevo la possibilità, senza concedermi soste durante gli allenamenti. Entravo ogni volta in un mondo nuovo che suscitava in me forti e profonde emozioni. Non era sport, ma era vita, ognuno trascendeva la parte di guerriero che era in lui." (… anonimo …)
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i piaceva l’idea di intraprendere il mio e il vostro cammino con il mondo dell’arte marziale tramite questa frase, detta in un tempo assai lontano da un praticante il cui nome è rimasto sconosciuto, perché a mio avviso lascia comprendere l’essenza di fondo che accomuna ogni pratica marziale, dalle loro origini ai giorni nostri. Nel corso della loro storia, hanno visto al loro interno trasformazioni e cambiamenti, sia nel loro apparato tecnico di lotta, sia nel loro significato, da stile di vita a competizione sportiva, ma ciò che nel tempo in ognuna è rimasto immutato è il senso filosofico per cui sono nate le discipline marziali.
Combattere non vuol dire annientare un’ avversario, aspetto che comunque era previsto nei tempi storici in cui sono nate e che erroneamente oggi si affianca all’idea di questo sport, ma vuol dire fare dell’arte vita e vivere di questa, applicando i suoi principi nel cammino di tutti i giorni. Disciplina, rispetto e solidarietà è in questa direzione che si muovono per indirizzare in una strada di autostima e d’insegnamento. E conosciamo le più importanti arti marziali e la loro essenza di vita. KARATE: il karate trova origine in un combattimento a mani nude sull’isola di Okinawa, inizialmente essendo praticato clandestinamente veniva tramandato oralmente comportando la diversificazione delle tecniche e dando vita, a seconda delle zone, a diversi stili. Da prima chiamato genericamente “Tode” prese il nome di karate solo nel 1935, quando tale disciplina divenne popolare in Giappone. KENDO: arte marziale giapponese tra le più antiche, evolutasi dalle tecniche di combattimento con la katana (una spada anticamente utilizzate dai samurai). Kendo significa “il cammino della spada” ed esprime l’essenza delle arti di combattimento giapponese; il suo principio è la ricerca della perfezione come essere umano tramite l’esercizio. Il suo scopo è quello di formare la mente e il corpo, coltivando uno spirito forte per lo sviluppo di una mente fluida e sensibile.
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AIKIDO: disciplina giapponese, praticata sia a mani nude che con le armi tradizionali, che si sviluppò a partire dal 1930 per opera del maestro Morihei Ueshiba, di costituzione fragile e malaticcia mostrò interesse per lo studio del Budo(via del samurai) che lo cambiò radicalmente. Lui dice:”l’amore del vero Budo è l’amore universale e spirituale; il Budo non è vincere con la forza, ma conservare la pace nel mondo temporale e spirituale. JUDO: prese vita grazie al Maestro Jigoro Kano nel 1882. Un’allegoria narra che egli avendo un fisico gracile e debole si fosse messo alla ricerca di un
Jigoro Kano metodo di lotta per maturare e per difendersi. Allenarsi nel judo vuol dire raggiungere la perfetta conoscenza
dello spirito attraverso attacco-difesa e l’assiduo sforzo per migliorare; consiste in tecniche di proiezione. Sono insegnati tutt’ora i principi samurai basati sull’onestà e la giustizia, la compassione, la gentilezza e la cortesia, la completa sincerità, il dovere e la lealtà. MUOY THAI: ha origine nell’antico Regno del Siam, Thailandia, da una storia di leggende e oscurità. Divenne popolare solo nel 1900 e si caratterizzò per i combattimenti a contatto pieno. Si basa sull’idea che l’energia si possa diffondere per tutto il corpo attraverso la respirazione. La peculiarità sta nell’entrata sul ring, momento di concentrazione, meditazione, preghiera e gesti scaramantici necessari ad infondere fiducia e a sgomberare la mente da pensieri inutili. TAEKWONDO: arte marziale coreana conosciuta come “ l’arte del combattimento con l’uso dei calci e pugni”; ha origini molto antiche. Veniva insegnato
ai nobili guerrieri Hwarangdo, uomini dalla forte spiritualità, come difesa dalle invasioni giapponesi. Dal 1909 a causa del proibizionismo di questa emersero clandestinamente diversi stili che si unificarono sotto l’attuale nome solo nel 1955. Tale disciplina si fonda sui principi della cortesia, dell’integrità, della perseveranza, dell’autocontrollo e dello spirito indomito che tutt’oro sono tramandati a noi.
l’oriente all’occidente negli anni avvenire.
KUNG FU: disciplina che è parte integrante della vita quotidiana, è una via per realizzare se stessi ed aiutare gli altri a realizzarsi; è una ricerca continua per liberare la vera essenza dell’uomo dalla complessità della vita esteriore e interiore. La sua origine risiede nel monastero Shaolin intorno al 525 d.C dopo l’arrivo di Bodhidharma, maestro indiano. La sua storia ed evoluzione è molto complessa e ricca di stili diversi, dal 1722 cessò di essere un arte elitaria insinuandosi in tutti gli strati della popolazione cinese e diffondendosi dal-
Jackie Chan
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NEWS DA RAVINA
di Mario Paccher
SAGRA BELVEDERE
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ista circa un chilometro dalla città di Trento il grazioso villaggio Belvedere di Ravina, dove abitano non più di cento persone. Il centro è dominato da una piccola chiesa dedicata a Sant’Antonio da Padova, il cui Patrono si festeggia sempre nel mese di giugno nella ricorrenza del Santo. A pochi metri, nel piazzale antistante, una bellissima fontana antica dove un tempo le donne di casa si recavano, anche in forma collettiva, per fare il bucato. Una decina di metri più in là, un bel locale arredato di tutto il necessario, è adibito a sede degli Alpini dell’intero circondario. Una associazione questa molto attiva che, assieme alle signore del “Gruppo Donne”, anima le poche feste e manifestazioni della frazione. “Alpini e donne” lavorano in silenzio con grande senso umano, tanta semplicità e gene-
rosità. Questa è l’impressione che abbiamo raccolto partecipando alla recente festa del Patrono, quando più di trecento persone erano venute a far festa dalla stessa Ravina, Romagnano, Trento ed altri centri vicini. La piccola chiesa e l’antistante piazzale erano gremiti come non mai e i fedeli hanno assistito alla Messa celebrata dal parroco don Gianni Damolin, che è stata solennizzata dal canti intonati da un gruppo di cantori. Il parroco: “E’ una bella festa così ben partecipata ed organizzata. Ringraziamo la comunità di Belvedere per l’entusiasmo dimostrato in questa ricorrenza, così come anche in occasione della festa del voto per lo scampato pericolo al bombardamento del 1945, che si celebra tutti gli anni nel giorno di Pasquetta. Un altro appuntamento importante per la piccola frazione è quello
della rassegna dei presepi nel periodo natalizio”. Un membro del direttivo Alpini: “Per questa festa anche quest’anno noi abbiamo allestito il grande tendone mentre le appartenenti al Gruppo Donne hanno preparato, in grandi recipienti, la minestra d’orzo che, secondo tradizione, viene poi distribuita a tutti i partecipanti alla festa”. Pure una rappresentante del Gruppo Donne ha espresso il suo apprezzamento per l’impegno e la solidarietà delle colleghe in ogni iniziativa della frazione.
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Funghi e Fungaioli
di Franco Zadra
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boschi della Valsugana e del Lagorai sono rinomati per la presenza di numerose specie di funghi. Finferli (Gallinacci), Porcini, Chiodini, Funghi dal Sangue e molte altre varietà si sviluppano durante il corso della stagione estiva e autunnale ai piedi degli alberi e nei prati. Raccoglierli rappresenta indubbiamente, soprattutto per chi viene dalla città, un’attrattiva formidabile. A proposito di questo, chi non ricorda quella novella di Italo Calvino che aveva come protagonista Marcovaldo? Quando scopre dei funghi cresciuti su una striscia d'aiuola d'un corso cittadino. Crede di poter ritrovare un angolo di natura anche in città, un angolo solo a lui noto, e quando è finalmente arrivato il momento di raccogliere i funghi, scopre che altre persone sono arrivate prima di lui. L'episodio è concluso da una corsa in ospedale, i funghi erano velenosi e i malcapitati si ritrovano tutti accomunati da un identico destino. Una novella che forse e per fortuna ha salvato la vita a centinaia di potenziali fungaioli, ammaliati dalla maestria narrativa di Calvino. Sì, perché di funghi si muore ancora oggi come in passato. Una nota statistica del Soccorso Alpino che dovremmo imparare a memoria e recitare ogni volta che decidiamo di andar per funghi dice che in Italia ci sono circa 50 morti all’anno per incidenti escursionistici legati alla ricerca e alla raccolta dei funghi, contro i circa 20
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morti per valanghe. Il consumo dei funghi è sempre occasione di grande soddisfazione non solo per quanto riguarda la preparazione ma anche perché spesso è associato a quella di aver provveduto “in proprio” alla loro raccolta: non ultimo, il consumo di funghi è spesso anche occasione per momenti di convivialità e socializzazione. È quindi molto importante che questi momenti di gioia non vengano turbati e rovinati da episodi che, a volte sfociano anche nella tragedia. Ogni anno la maggioranza delle intossicazioni da funghi è determinata da funghi raccolti e non fatti controllare o raccolti in luoghi inidonei, oppure commestibili, ma preparati male. Per consumare i funghi con la necessaria sicurezza, serve indubbiamente la conoscenza e l’applicazione di pochi e semplici consigli. Con questo articolo intendiamo aiutarvi in un consumo “sicuro” di quel prelibato frutto della terra. Il primo e fondamentale consiglio è forse quello che in apparenza sembrerà il meno applicabile: «Consumare solo funghi che siano stati controllati da un micologo professionista!». Ogni paese di montagna ha un esperto micologo che ci possiamo far indicare cogliendo forse anche l’opportunità di conoscere una persona interessante. Passeggiare in montagna in cerca di funghi dovrebbe poi non essere fatto in solitaria e, se proprio non si può fare altrimenti, dovremmo informare amici e familiari dell'itinerario che intendiamo
Le regole d’oro per non intossicarsi con i funghi sono: 1
non consumare funghi non controllati da un vero Micologo. Regola importantissima è portare i funghi raccolti e farli controllare da persone addette a questo compito;
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consumare quantità moderate non somministrare ai bambini
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non ingerire in gravidanza consumare solo in perfetto stato di conservazione consumare i funghi ben cotti e masticare correttamente sbollentare i funghi prima del congelamento e consumarli entro 6 mesi
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non consumare funghi raccolti lungo le strade, vicino a centri industriali e coltivati (assorbono pesticidi)
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non regalare i funghi raccolti, se non controllati da un micologo professionista
10 Attenzione! Nei funghi sott’olio si può sviluppare la tossina botulinica.
percorrere. In montagna non sempre è garantita una copertura di rete per i cellulari e potremmo trovarci in guai seri se confidiamo troppo nella tecnologia delle comunicazioni alla quale siamo abituati in città. Vestirsi con un abbigliamento idoneo che preveda repentini cambiamenti del tempo (scarponcini, kway, felpa,). Non scordarsi di portare con se qualcosa da bere (no alcool). Il bravo "fungaiolo", se non è sicuro, non raccoglie il fungo che non conosce: i
funghi velenosi possono creare problemi di salute! A questo proposito è bene dare retta alla testimonianza di un micologo, professore universitario, grande professionista, autore di molti libri, che disse una cosa rintracciabile in rete che può essere un buon insegnamento: «Sono 25 anni che mi occupo di funghi e che mangio funghi. Eppure, c’è n’è sempre qualcuno che lascio per terra, che non raccolgo, che mi dà da pensare, perché non riesco proprio a
capire che diavolo di fungo sia! Ricorda, ragazzo. Se si ha un dubbio su un fungo che si ha intenzione di mangiare o si ricorre al microscopio per identificarlo con certezza o si lascia perdere… ». Il consumo dei funghi riguarda anche quelli presenti nel circuito commerciale, spesso importati da Stati dove vigono disposizioni diverse, è quindi opportuna un’attività di controllo in collaborazione con gli uffici di frontiera, dogane, uffici di sanità marittime e aerea. I micologi si occupano anche del controllo e della vigilanza sulle attività comREGOLE E NORMATIVE merciali che effettuano la racLa raccolta funghi in Trentino è regolamentata da una legge provinciale le cui princolta, la coltivazione, la cipali disposizioni a cui ci si deve attenere sono: trasformazione dei funghi (es. es• E' necessario avere il permesso raccolta che rilascia, su richiesta, il Comune dove siccazione, sughi, etc.); ristoranti, la raccolta avviene. trattorie, ecc. Inoltre vengono • Raccolta solo dalle ore 07.00 alle ore 19.00; controllati i luoghi di vendita, ve• Quantità massima di 2 chilogrammi al giorno per persona di età superiore ai 10 rificando non solo le modalità anni; operative e i requisiti strutturali, • Pulizia sommaria dei funghi sul posto di raccolta; ma provvedendo anche a certifi• Trasporto con contenitori forati e rigidi; care i funghi immessi sul mercato. • Divieto di danneggiare o distruggere i funghi sul terreno; • Divieto di usare rastrelli, uncini e altri mezzi che possano danneggiare il terreno; • Divieto di disturbare la fauna presente (anche se, nel caso di orsi, è bene che ci sentano e se ne vadano); • Divieto di abbandonare rifiuti di qualsiasi genere. • È inoltre necessario rispettare la proprietà privata, in particolare: • Divieto di raccolta in prossimità dei masi o delle loro pertinenze; • Il fungo deve essere raccolto intero, staccato dal micelio con movimento rotatorio e non tagliato, questo consente una sicura determinazione della specie; • Non si devono raccogliere esemplari troppo giovani o in cattivo stato di conservazione; • La raccolta va riposta in contenitori che consentano la diffusione delle spore, vietando in ogni caso l’uso di sacchetti di plastica che ne accelerano la decomposizione; • Non si devono distruggere gli esemplari che si ritengono velenosi, anche loro sono utili alla vita del bosco.
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L’ESTATE I GIOVANI E IL BERE
LA DIPENDENZA ALCOOLICA
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l bere qualcosa in compagnia è qualcosa di piacevole ma ricordiamoci che l’alcol può essere uno dei fattori di rischio che spesso è sottovalutato per la salute dell’uomo. E’ una sostanza legalizzata e se assunta in modo moderato di certo non comporta difficoltà, ma se se ne abusa, allora può diventare un problema. Nella tradizione dei nostri paesi mediterranei l’assunzione di alcol era legata al consumo dei pasti principali e associata in genere a un certo autocontrollo, ora invece tra i giovani e giovanissimi è prevalente la tendenza a bere alcolici e superalcolici nei momenti di divertimento, fino ad arrivare nei casi più estremi ad abusi alcolici veri e propri. Nella nostra realtà storica ora come ora, il bere è diventato una delle modalità per socializzare, un modo per approcciarsi con l’altro e stare in compagnia, insomma un nuovo stile di vita. I giovanissimi alle loro prime esperienze spesso vogliono sentirsi uguali all’altro e accettati dal gruppo dei pari, quindi per dimostrare che non si è da meno, che si è grandi, che si regge l’alcol, si possono attuare dei comportamenti eccessivi e pericolosi con lo scopo di dimostrare quanto si è “forti”. Un altro motivo per cui questo comportamento si mantiene e si mette in atto frequentemente è perché porta un certo grado di disinibizione sessuale, ci si sente più attraenti e più inclini a trasgredire.
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di Erica Zanghellini
L’estate è la stagione che molti di noi aspettano: le scuole sono chiuse, è il tempo per le vacanze e spesso in molte città e paesi d’ Italia si svolgono molte sagre e feste. Le persone sono più disposte a fare delle uscite serali e ci sono molte più occasioni sociali. Questa stagione è spesso definita quella del divertimento ma il passo è breve dal passare dal sano divertimento a un periodo di eccessi e comportamenti a rischio per la propria salute. Così sempre più spesso l’adolescente e i giovani adulti sono spinti ad assumere una quantità eccessiva di bevande alcoliche in un breve lasso di tempo, con l’obiettivo di ubriacarsi (binge drinking). Teniamo presente che la composizione delle bevande alcoliche, sia in quelle a bassa che alta gradazione, è caratterizzata principalmente dalla presenza di alcol etilico, il quale ricade nella categoria delle sostanze psicoattive. Questo tipo di sostanza è capace di modificare sensazioni, emozioni e pensieri di chi l’assume. L’alcol ha un effetto disinibente e questo rappresenta una sorta di rinforzo per tutte le persone timide ed introverse, in quanto permette loro di approcciarsi con l’altro con meno sforzo, bloccando o diminuendo le sensazioni ansiogene, rendendo più facile esporsi e conoscere così persone nuove, migliorando l’aspetto della socialità. Dobbiamo dire però, che seppur vero che l’ assunzione di alcol ha un effetto immediato “positivo” per le per-
sone, cioè la diminuzione dell’ ansia, alla lunga prolungando il bere a tutta la serata si possono manifestare anche gli effetti “negativi” cioè l’ aumento dell’aggressività o le “crisi” di sonno. Quanto appena detto non è un lato trascurabile, i giovani spesso fanno fatica a calcolare tutte le possibili conseguenze delle proprie azioni e quindi potrebbero usarlo come metodo per compensare o nascondere le difficoltà relazionali, ma potrebbero non avere in testa che l’uso di questa sostanza potrebbe fargli ritrovare in mezzo ad una rissa o ancor peggio ad un incidente. E’ fondamentale ricordarsi che come tutte le altre sostanze che danno dipendenza, l’alcol se assunto in modo sregolato può
causare alterazioni del proprio funzionamento sociale, lavorativo o scolastico e famigliare, nonché causare dei danni fisici importanti che condizioneranno la propria vita definitivamente. L’alcol etilico (o etanolo) è una sostanza tossica per il nostro organismo, soprattutto se si è giovani, in quanto il nostro corpo raggiunge definitivamente la capacità di metabolizzare l’alcol tra i 20-21 anni. Rispetto ad un adulto quindi a parità di liquido alcolico introdotto nel corpo l’adolescente o il giovane adulto percepirà un maggior effetto dell’alcol e impiegherà molto più tempo ad eliminare tale sostanza dal proprio corpo. Per di più assunto in dosi elevate può penetrare fino al cervello, danneggiando irreversibilmente. Oltre a ciò sempre a causa delle differenze di sviluppo, l’adolescente sarà cosciente delle sensazioni di stordimento in ritardo rispetto all’adulto e anche questo è un fattore controproducente per il preservare la loro salute in quanto aumenta il rischio di abusi alcolici irresponsabili e/o inconsapevoli. Inoltre
come effetto cascata potremmo trovarci di fronte alla possibilità che si manifestino all’improvviso delle non conseguenze programmate come ad esempio dei colpi di sonno mentre si guida. Lasciando da parte il tipo di sostanza alcolica introdotta, le strategie comportamentali che si ritrovano nei casi di binge drinking sembrano essere correlati alla perdita del controllo. Ogni persona è diversa quindi per ognuno ha un significato diverso che va capito e ricercato mettendolo in relazione alla propria personalità e il modo di vivere la vita. I fattori che spingono al binge drinking non sono ancora del tutto chiari, ma essendo legati sicuramente alla persona e al suo modo di funzionare, alla sua percezione di autoefficacia nella vita e all’autostima sicuramente alcune persone sono più a rischio. Inoltre emergerebbe che risultino legate a questo fenomeno la ge-
stione/regolazione delle emozioni negative, che se carente può diventare un fattore di rischio per l’esordio di questo comportamento disfunzionale. Ricordiamoci comunque che questo tipo di fenomeno, seppur dannoso e pericoloso, non risulterebbe un vero e proprio comportamento di dipendenza patologica, ma un comportamento consapevole e programmato di ubriacarsi in alcune occasioni. Da monitorare risulta però la frequenza di queste ubriacature programmate in quanto potrebbero celare un vero e proprio problema di dipendenza.
Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologo-psicoterapeuta e.zanghellini@yahoo.it
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1930... IL TABACCO IN VALSUGANA
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e è vero che “di tabacco si muore” è altrettanto vero che “di tabacco si vive”, o meglio si viveva. Molti infatti ricordano ancora quanto fu provvidenziale, diversi decenni or sono, la tabacchicoltura per l'economia della nostra valle. La coltivazione del tabacco in Europa si diffuse tra la metà e la fine del sedicesimo secolo, per merito di un monaco benedettino che portò con se nel convento alcuni semi di questa pianta esotica, all'epoca chiamata “Erba Santa” per la polvere che era possibile ricavare e che provocava lo starnuto. La coltivazione del tabacco in Valsugana, come del resto anche in altre vallate del Trentino, iniziò in maniera massiccia nel 1925 e costituì per molte famiglie una vera e propria fonte alternativa di sostentamento. In quelli anni, infatti, si stava registrando un decadimento della coltivazione del baco da seta e pure la viticoltura si trovava in una fase negativa per l’improvvisa comparsa della filossera e della peronospora che distruggevano gran parte dei raccolti. A metà degli anni ‘20 venne rilasciata la nuova autorizzazione ministeriale per la coltivazione del tabacco che era stata presentata ancora nel 1919. Nuova perché, una cinquantina d'anni prima, era già stata rilasciata una speciale concessione dallo Stato austriaco, ma per
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la sola durata di cinque anni. Un tempo sufficiente però per sperimentare che le nostre campagne erano particolarmente adatte alla coltivazione di questa pianta. La reintroduzione fu quindi una vera e propria manna venuta dal cielo, che diede modo alle famiglie contadine di riprendere fiato e guardare al futuro con un po’ di ottimismo anche se nel frattempo, molti, non trovando più sostentamento di vita dalla lavorazione dei campi, dovettero scegliere la via dell'emigrazione. All'epoca non erano state ancora costruite le strutture per la macerazione e l’essiccazione delle foglie, per cui ogni coltivatore doveva provvedere lui stesso a questa importante fase successiva alla raccolta. Il Ministro delle Finanze subordinò il rilascio della licenza all'obbligo di costruire una struttura adeguata per l'essiccamento delle foglie. In Alta Valsugana nacque così la “macera del tabacco” di Levico gestita dalla Lega Contadini, in grado di accogliere le foglie di tabacco che venivano prodotte in zona e che di anno in anno erano in costante aumento. L'essiccazione avveniva a cura della Lega Contadini in uno stabile realizzato all'interno di un progetto relativo alla coltivazione dei bachi da seta. In conseguenza dell'aumentata produzione, nacque l'esigenza di costruire un fabbricato di dimensioni
di Mario Pacher
adeguate che fu realizzato grazie al contributo ottenuto dalla Direzione Generale dei Monopoli, del comune di Levico e ad un mutuo a tasso agevolato concesso dalla Cassa Rurale di Levico. Le opere di costruzione iniziarono nel primo periodo del 1930 e dopo solo 8 mesi di lavoro si potè inaugurare lo stabile. Era il 28 ottobre del 1930. Per far funzionare questa grande struttura, si dovette provvedere a nuove assunzioni il che contribuì ad aiutare, sotto l'aspetto occupazionale, molti nuclei familiari. Inizialmente gli addetti erano una cinquantina, prevalentemente donne, che raggiunsero il numero di 130 nell'anno 1939. Il lavoro era a carattere stagionale e nei primi anni potevano lavorare per una durata di 4 -5 mesi, per passare poi a 8 - 9 mesi all'anno. La preparazione del terreno destinato a questa coltivazione, s’iniziava verso la metà di marzo con la concimazione, usando in molti casi la latrina
che veniva prodotta nelle singole stalle. Poi venivano posati i semi per far nascere le piantine. In epoca successiva, dopo la metà degli anni ‘50, si cambiò sistema e si passò direttamente alla posa delle piccole piante che un incaricato consegnava ad ogni singolo coltivatore, in base alla sua richiesta, e la piantagione avveniva ai primi di giugno. Fra le piccole piante di tabacco crescevano anche le erbacee che venivano tolte mediante zappatura. In quell’occasione la terra veniva tirata su come protezione alle piantine e quando queste avevano raggiunto l'altezza di quaranta - cinquanta centimetri, si procedeva alla spunta con il taglio della parte più alta. Con tale operazione si favoriva un maggior sviluppo delle foglie rimaste. La coltivazione era soggetta ai controlli da parte del capo zona che spesso si presentava per la “conta” delle piante. Si quantificava il prodotto facendo una media su alcune piante prese a campione, stabilendo così il numero delle foglie che dovevano poi essere confe-
rite al magazzino. Se il numero previsto fosse stato superiore, l’eccedenza veniva sradicata e distrutta. La maturazione era attesa verso la fine di settembre e si iniziava con la raccolta delle foglie più in basso perchè erano le prime a maturare. Successivamente si passava alle foglie chiamate di “prima”, cioè quelle più alte e più
grandi che erano le più pregiate, e poi quelle di “seconda”. Tutte venivano man mano consegnate al magazzino, dove il tabacco veniva pesato e pagato. Al momento della liquidazione del corrispettivo veniva trattenuta la somma corrispondente al costo delle piantine a suo tempo fornite, poiché pochi erano in grado di pagarle in anticipo.
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Trentino – una guida curiosa è un testo di Brunamaria Dal Lago Veneri, edito da Raetia nel 2014, una guida diversa dalle solite, che narra moltissime curiosità sulle valli della nostra regione e che parla ovviamente anche della nostra Valsugana. Ecco perché ho scelto di parlarne per questa edizione speciale di agosto…
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TRENTINO s una Guida
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s a r o i cu
utti i perginesi sanno che al Castello di Pergine vaga lo spirito della Dama Bianca, ma quanti sanno a quando risale e che origini ha questa storia? Ecco allora che la guida lo narra e io qui lo riporto per voi… Trasformato in albergo dopo la prima Guerra Mondiale, il castello ospitò a lungo il famoso poeta indù Jiddu Khrisnamurti, che nel 1925 divenne il nuovo Budda, qui rimase con il suo seguito di adepti e di principi indiani, dando avvio ad un periodo di turismo spirituale sulla collina di Pergine. Sull’onda di questi studi, nel 1925 giunse al castello Anne Haldermann, americana appassionata di scienze occulte, che si stabilì nell’albergo- maniero per due anni. E’ proprio lei che evocò nella sala del Camino per la prima volta lo spirito della Dama Bianca, il fantasma di un’antica contessa, che qui aveva vissuto. L’apparizione avvenne di fronte a molti adepti, testimoni dell’appa-
di Chiara Paoli
rizione di questa figura di bianco vestita, che emanava dal volto un fioco bagliore, ma sufficiente a renderne riconoscibili i tratti. Ed ecco che la storia della Dama Bianca è entrata a far parte delle leggende che circolano sul Castello perginese, ma ora sapete anche qual è l’origine di questo mito. Passiamo ora a narrarvi un’altra curiosità, quella relativa all’acqua Forte e l’acqua Debole di Vetriolo Terme: ne scrive nel 1920 il famoso antroposofo Rudolf Steiner “Le acque sembrano proprio preparate da un buono spirito al fine di predisporre già nella natura esterna una serie di forze capaci di giocare un ruolo favorevole nell’organismo umano. In queste acque termali le forze del rame e quelle del ferro si trovano in reciproche proporzioni mirabilmente bilanciate e, tale rapporto, viene poi posto sopra una base più ampia dalla presenza dell’arsenico.” Le proprietà medicinali di queste acque erano già note nel-
l’antichità, i pastori della zona lavavano e facevano bere quest’acqua alle bestie colpite dall’afta epizootica. I montanari usavano bucare le condutture per fare scorta di queste acque, di cui si servivano per curarsi dalle malattie. Risale al 1782 la relazione del prof. Tallandini che ne illustra le proprietà e il primo stabilimento venne qui inaugurato nel 1814; attualmente viene utilizzata a scopi terapeutici la sola Fonte dell’Acqua Forte e con i suoi 1500 m.s.l.m. Vetriolo è il più alto centro termale di tutta Europa. Questa curiosità perché a volte non si sa di avere a pochi km da casa una fonte di acqua terapeutica nota sin dall’antichità per le sue proprietà curative. Correva l’anno 1400 quando Siccone il Giovane, signore di Caldonazzo invitò tutta la nobiltà dell’epoca ad una battuta di caccia nella sua tenuta in Valsella. La preda doveva essere un grosso cinghiale che stava distruggendo le coltivazioni della zona e seminava il terrore tra gli abitanti. Il superbo Siccone, sicuro della sua forza uscì in campo
aperto contro l’animale che azzannò il cavallo, disarcionando il giovane, che rivolse una preghiera a San Lorenzo, promettendo di erigergli una cappella in cambio della salvezza. E così sorse la splendida e mirabilmente affrescata chiesetta di San Lorenzo all’Armentera, raggiungibile in un’ora e mezza di cammino con sentiero SAT 210, partendo dall’Hotel Legno in Val di Sella. Un’altra notizia, che potete trovare in
questo testo riguarda un noto personaggio, Luigi Negrelli, che molti conoscono come il “padre” del Canale di Suez (il più noto fra i suoi moltissimi progetti), ma che forse non tutti sanno essere nato nel 1799 a Fiera di Primiero. Spero che questo articolo vi abbia incuriosito e se volete, moltissime altre sono le curiosità che potete trovare in questa guida assai curiosa.
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L’ecomuseo È
estate, la stagione ideale per interessarsi degli ecomusei. Ma che cosa si indica con il termine “ecomuseo”? Innanzitutto, non è un museo, non è un’esposizione di oggetti, non é un percorso di visita. E’ il modo che una comunità sceglie per rappresentarsi e presentarsi a chi non la conosce; è cultura “scatenata”, che non si può tener ferma, che non vuole star chiusa fra quattro mura e che diventa laboratorio. L’ecomuseo nasce in Francia nel 1971; i suoi fondatori sono George Henry Rivière e Hugues De Varine, che ne hanno proposto le prime definizioni. La più nota definisce l’ecomuseo come “un’ istituzione culturale che assicura in modo permanente, su un dato territorio, le funzioni di ricerca, presentazione, valorizzazione di un insieme di beni naturali e culturali, rappresentativi di un ambiente e dei modi di vita che vi si succedono, con la partecipazione della popolazione stessa. Un qualcosa che rappresenta ciò che un territorio è, e ciò che sono i suoi abitanti, a partire
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dalla cultura viva delle persone, dal loro ambiente, da ciò che hanno ereditato dal passato, da quello che amano e che desiderano mostrate ai loro ospiti e trasmettere al futuro”. (G.H. Rivière). Se un museo tradizionale espone una collezione, un ecomuseo esprime il patrimonio culturale di una comunità; se un museo è collocato all’interno di un edificio, un ecomuseo è diffuso sul territorio; se un museo si rivolge a un pubblico, un ecomuseo parla a una popolazione; il primo è pensato dall’alto e a tavolino, il secondo viene progettato “dal basso” e condiviso. Per potersi definire tale a norma di legge un ecomuseo deve però possedere alcuni requisiti, definiti dall’IRES (Istituto per le Ricerche Sociali e Economiche). Dietro a ogni ecomuseo deve esserci un patto con il quale una comunità si impegna a prendersi cura del suo territorio: un patto informale, un accordo non scritto e condiviso stipulato fra i membri della comunità locale e le istituzioni, il cui scopo è quello di conservare ma anche di utilizzare, per l’oggi e per il futuro, il patrimonio culturale
di Luisa Bortolotti
del territorio. Diffusi dapprima in Francia (ove esiste una federazione degli ecomusei) e in altri paesi francofoni come il Canada, sperimentati poi in molti altri paesi europei e in situazioni territoriali diverse, a partire dagli anni ’90 si sono sviluppati anche in Italia, come una delle forme più innovative nella difficile coniugazione di conservazione e sviluppo, cultura e ambiente, identità locale e turismo. Ma quale è la situazione degli ecomusei in Italia oggi? Le esperienze ecomuseali nel nostro Paese sono numerose e molto diversificate, anche per le divergenze interpretative da parte dei soggetti promotori. Accanto ad iniziative isolate, esistono poi reti di ecomusei, in fase di espansione, realizzati sulla base di leggi regionali specifiche. Il Piemonte è stata la prima regione a dotarsi di uno strumento normativo in materia (L.R. 31/95), seguita dalla Provincia autonoma di Trento (L.P. 13/2000), poi la Sardegna, il Friuli Venezia Giulia, la Lombardia, l’Umbria, il Molise e la Puglia.
La Rete degli Ecomusei del Trentino unisce gli otto Ecomusei riconosciuti e attivi nella nostra Provincia. La Rete, costituitasi nell’ambito del progetto “Mondi Locali del Trentino”, vuole essere uno strumento di dialogo, scambio di esperienze e di reciproco supporto per gli Ecomusei della Provincia nel loro cammino di lavoro e di crescita. Comprende l’Ecomuseo del Lagorai, l’Ecomuseo del Tesino, l’Ecomuseo della Valsugana, l’Ecomuseo del Vanoi, l’Ecomuseo dell'Argentario, l’Ecomuseo della Judicaria, l’Ecomuseo della Valle del Chiese, l’Ecomuseo della Valle di Peio. Ciascuno ha un proprio sito web in cui viene proposto un ricco calendario completo delle attività e degli appuntamenti “da non perdere”. Nelle serate del 25 e 26 giugno, in occasione delle Feste vigiliane, hanno animato le strade del centro cittadino (largo Mazzini) con le loro bancarelle per intrattenere e far conoscere al pubblico le loro attività e i loro territori. In particolare, in Valsugana orientale esiste un agglomerato di siti storici e di musei che uniti in un medesimo museo
diffuso ricevono un coordinamento e una interconnessione tra loro; si raccolgono prevalentemente oggetti di interesse etnografico storico. Questo insieme supera pertanto la struttura chiusa unica che è il museo tradizionale e si sviluppa sul e con il territorio; le due componenti sono uno spazio fisico in cui esporre la propria collezione ed un sistema di percorsi che si diramano sul territorio. Abbiamo quindi visto come l'ecomuseo interviene nel territorio di una comunità, nella sua trasformazione ed identità storica, proponendo "come oggetti del museo" non solo gli oggetti della vita quotidiana ma anche i paesaggi, l'architettura, il saper fare, le testimonianze orali della tradizione. Inoltre, non dimentichiamolo, si occupa
anche della promozione di attività didattiche e di ricerca grazie al coinvolgimento diretto della popolazione e delle istituzioni locali.
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Anche Caldonazzo ha la suaPROLOCO In occasione delle manifestazioni in programma per i festeggiamenti del Santo Patrono di Caldonazzo (9-10 agosto 2015) la nuova Pro Loco organizzerà il suo piccolo ma significativo primo evento: “La fattoria didattica in Paese”. Nell’occasione, rappresentanti della Pro Loco “Lago di Caldonazzo” saranno presenti con uno stand per permettere, a chi lo volesse, di raccogliere informazioni sugli obiettivi e le finalità della Pro Loco e di associarsi ad essa.
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l 26 maggio 2015 è stata formalmente costituita a Caldonazzo la Pro Loco “Lago di Caldonazzo”. Il progetto nasce, nelle fredde serate di febbraio, da un gruppo di cittadini e operatori economici di Caldonazzo fermamente intenzionati a voler rilanciare e promuovere Caldonazzo come centro di riferimento agricolo, turistico ed economico sia della zona Lago di Caldonazzo sia dell’Alta Valsugana. L’iniziativa, ambiziosa nelle sue intenzioni, si fonda su alcuni principi fondamentali: dialogo, collaborazione, sostegno, solidarietà, laicismo politico, promozione del territorio, difesa dell’ambiente, prodotti ed economia a chilometri 0. È in quest’ottica che la Pro Loco “Lago di Caldonazzo” si presenta alla popolazione, agli operatori economici e alle altre Associazioni di Caldonazzo con l’intento di fungere da crogiolo di idee e da promotrice di dialogo fra cittadini, operatori economici, enti di promozione turistica locali e provinciali e Amministrazione Comunale.
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Proprio con l’intento di presentarsi ufficialmente e favorire fin da subito un proficuo colloquio con l’amministrazione comunale di Caldonazzo, la neonata Pro Loco “Lago di Caldonazzo” ha chiesto ed ottenuto il 30 giugno u.s. un incontro con l’Amministrazione Comunale di Caldonazzo. Nell’incontro svoltosi presso il Municipio di Caldonazzo la Presidente pro-tempore della Pro Loco “Lago di Caldonazzo”, Sabrina Smaniotto accompagnata dal Segretario pro-tempore Daniele Costa e da uno dei revisori dei conti, Gabriella Cilione, ha presentato al Sindaco di Caldonazzo, dott. Giorgio Schmidt e all’Assessore di riferimento per le Associazioni e il volontariato dott.ssa Marina Eccher, il progetto e le intenzioni della Pro Loco rimarcando l’assoluto impegno a lavorare fin da subito per Caldonazzo ed i suoi cittadini e mettendo a disposizione il proprio know-how nonché lo spirito di iniziativa e di collaborazione dei singoli
componenti e soci dell’Associazione. I rappresentanti del Comune, in seguito alle doverose delucidazioni fornite rispetto agli obiettivi e alle finalità della Pro Loco, hanno accolto di buon grado il progetto, offrendo pieno sostegno dell’Amministrazione Comunale alle iniziative che la Pro Loco “Lago di Caldonazzo” sarà in grado di proporre in futuro. Ferma intenzione della Pro Loco “Lago di Caldonazzo” è quella di coinvolgere fin da subito tutti coloro che vorranno mettersi in gioco per Caldonazzo ed i suoi cittadini, fornendo idee, progetti,
esperienze, manualità, sostegno economico e spirito di iniziativa. Per questo motivo nelle prossime settimane, una volta portato a termine l’iter burocratico presso la Provincia Autonoma di Trento, previsto a cavallo fra luglio ed agosto, e la Federazione delle Pro Loco Trentine con la quale il Comitato Direttivo si è incontrato il 15 luglio, si procederà a presentare e promuovere la Pro Loco “Lago di Caldonazzo” in prima istanza agli operatori economici e alle Associazioni di Caldonazzo, per poi presentarla a tutta la cittadinanza in un incontro pubblico che si terrà a fine settembre. Infine nel mese di ottobre sarà convocata la prima assemblea dei soci della Pro Loco “Lago di Caldonazzo” nella quale si procederà ad eleggere il nuovo Comitato Direttivo dell’Associazione. Nel frattempo si potranno ricevere informazioni rispetto alle iniziative e alle modalità di associazione alla Pro Loco (costo di associazione annuale di 25€/anno solare) inviando una mail al seguente indirizzo: info@lagodicaldonazzo.com .
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Società OG
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di Patrizia Rapposelli
Riflettendo sulla droga si rischia di cadere nella banalità delle frasi, ciò accade quando non si cerca di guardare al fenomeno nelle sue diverse prospettive e nelle sue mille sfaccettature; il segreto risiede quindi nello scegliere un punto di vista che offra una diversa chiave di lettura. Avete mai pensato allo sniffare droga come godimento narcisistico, il quale porta a sperimentare una libertà degradata a pura forma di capriccio? Un godimento illimitato, assoluto e privo di argini.
DROGA:
godimento assoluto e senza argini
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ociologicamente il capriccio è visto come una forma di libertà separata dal senso di responsabilità; non importa il pensare alle conseguenze, ciò che conta è quel senso di piacere immediato e quell’ebbrezza del fare qualcosa di apparentemente ribelle ed ecco che lo sperimentare una sostanza o l’abuso di essa diviene una sorta di libertà che si configura nella non responsabilità (il non dover render conto). Nel nostro tempo ecco che l’uomo si sente libero da ogni dovere che precede il diritto e liquida il problema della responsabilità come una questione antiquata; ciò che conta è fare e poter fare ciò che si vuole perché le regole e il pensare alle conseguenze non sono idea della nostra epoca. Un giorno ho letto queste parole:” io ho scelto di non scegliere la vita, ho scelto qualcos’altro… le ragioni? Chi ha bisogno di ragioni quando c’è l’eroina?” Droga è libertà, sembra vita senza regole, senza ostacoli, è puro godimento immediato che si traduce come passatempo per generazioni di adolescenti annoiati e di giovani non compresi dalla loro realtà famigliare. Si deve però fare una distinzione tra quello che è uso occasionale e dipendenza da droga, perché le cause e gli argomenti per parlare di ciò sono molto diversi tra loro, come non è possibile prendere in considerazione le motivazioni che spingono a questo mondo; infatti ogni sto-
NOVITÀ
ria è a sé. Vorrei far riflettere però sul fatto che quando si parla di uso di droga ci sono delle parole chiave, indipendentemente dalle cause o dalle persone e mi riferisco alla famiglia, al territorio e al gruppo dei pari; si parla di fattori di rischio che hanno un’influenza centrale nel condurre un ragazzo alla curiosità della sostanza stupefacente o alla responsabilità di capire che avere limiti e regole non vuol dire essere schiavi, ma realmente liberi. Pongo l’attenzione sul rapporto figli e famiglia, sempre da un’ottica sociologica, dove si parla di prima socializzazione, ossia di ruolo educativo primario dei genitori, i quali hanno un funzione fondamentale. Allora pongo questa domanda: “cosa accade quando i genitori o chi ne fa le veci assume la “felicità spensierata” dei figli come parametro di vita, evitandogli l’incontro con l’ostacolo e l’ingiustizia, assu-
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mendo il compito di spianargli il terreno da ogni difficoltà ? “ I “no” non ci sono, le regole non ci sono, pur sapendo che le prime limitazioni, giuste o sbagliate che siano, sono imposte dalla famiglia, così ne deriva la tendenza a disperdersi nel godimento immediato e senza limiti; le conseguenze si vedono solo in un secondo momento o meglio dall’adolescenza in poi, quando i figli iniziano quell’età critica di ribellione e di contatto stretto con amici e con ciò che offre un territorio. Ci tengo a dire che questo deve essere uno spunto di riflessione, perché ricordo che nell’avvicinarsi alla realtà della droga concorrono una serie di problematiche e di relazioni non solo dipendenti dal ruolo genitori. La famiglia è da considerare un ambiente di prevenzione, previdenza che si crea nel tempo in un gioco di affetto, ascolto e regole condivise tra figli e genitori che tradurrei in un sentimento di fiducia reciproca e di base. Il problema droga c’è ed è evidente anche sul nostro territorio, parlo di droghe legali (alcol e tabacco) e illegali; ri-
porto dei dati percentuali, emersi da una ricerca svolta nel 2014 su 1200 studenti delle scuole Superiori del Trentino (età 15-19), di chi consuma sostanze piuttosto frequentemente: tabacco (sigarette) 41,5, cannabinoidi (canne) 17,6, allucinogeni e ecstasy 1,3, alcol 48, 8, i valori si alzano di gran lunga quando ci si riferisce a qualche volta all’anno. I risultati sono preoccupanti in quanto evidenziano un consumo superiore rispetto alla media italiana riferita alla stessa classe d’età. Lascio ai lettori lo spazio alla riflessione, consapevole che molti ne saranno indifferenti con la frase:” per una volta che sarà, tanto per provare “. Non mi dilungherò in spiegazioni mediche sulle conseguenze di ogni tipo di sostanza; il tempo di prova poco conta perché ogni droga ha un effetto
diverso su ognuno di noi. Droga, piacere immediato, non è libertà, ma schiavitù.
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26 - 30 agosto 2015 째
31 edizione del Palio dela Brenta
Il Dottor Farina
Mastro Semola
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Farinoti e
l Gruppo storico Palio della Brenta si ha dall'unione di due gruppi di rievocazione di Borgo Valsugana, che hanno una storia diversa ma sono uniti dal desiderio di portare alla luce e alla memoria quello che un tempo fu. Il primo gruppo è il "Palio storico di Borgo Valsugana", che nasce nel lontano 1984 con lo scopo di far rivivere le vecchie tradizioni e le contese raccontate nei volumi di storia del paese. Il Palio dela Brenta al Borgo nasce nel 1985 in occasione dell’inaugurazione del nuovo Centro Parrocchiale per rievocare il periodo del Cinquecento, durante il quale la Magnifica Comunità di Borgo fu protagonista di due avvenimenti importanti: la Lotta per gli statuti (1508 – 1574) e la Guerra Rustica (1525). Ogni anno la manifestazione rievoca e mette in scena uno di questi due importanti avvenimenti storici: il paese si veste così a festa per diversi
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giorni e passeggiando per le sue vie si possono rivivere le atmosfere degli antichi mestieri, le abitudini del popolo e le antiche contese, che vengono trasformate in sia una gara per la conquista del "Palio dela Brenta" sia in una vera allegra festa paesana dove sono presenti giochi e sfide a "singolar tenzone" per amostrare quanto sia grande il proprio valore. Ricordando le antiche rivalità paesane, nei giorni del Palio si fronteggiano le contrade dei Farinoti (alla sinistra della Brenta, alle pendici del monte Ciolino e a ridosso del Castel Telvana) e quelle dei Semoloti (alla destra del fiume, che si apre ai campi). I Farinoti devono il proprio nome alla farina, la parte più nobile del grano con la quale si fa la polenta, e rappresentano la componente nobile del Borgo, che fin dal Medioevo trova casa nei palazzi signorili di Corso Ausugum e che frequenta la corte dei Welsperg, giurisdicenti di Telvana. Per questi motivi il corteo fa-
Semoloti
rinoto è composto da dame altezzose, coraggiosi cavalieri e superbi signorotti, da armigeri a cavallo e da carri riccamente addobbati come segno di autorità, signorilità e ricchezza. Loro tenaci avversari sono i Semoloti, uomini e donne che nella società contano ben poco (come la semola) e che si dedicano per lo più al lavoro nei campi, nei boschi, all’allevamento del bestiame, sottomessi alle angherie dei potenti. Orgogliosi e allegri, sfilano per le strade portando il frutto del loro lavoro nei campi, con gli indispensabili, semplici attrezzi in legno con cui si riesce a coltivare la terra, cantando le vecchie melodie che rallegravano la loro semplice e povera vita quotidiana. Il secondo gruppo, con una storia più recente, è quello dei "Musici e Sbandieratori di Borgo Valsugana". Tutto ha inizio quando alcuni ragazzi appassionati di storia medievale e facenti parte del gruppo dei musici Farinoti del Palio dela Brenta, entrano in
contatto con l'antica arte della bandiera e del tamburo e decidono di formare un gruppo nel loro paese. Dopo aver superato molte difficoltà e duri allenamenti, fanno la loro prima esibizione proprio al Palio e il successo ottenuto li porta a ufficializzare la loro unione: il 5 gennaio 2012 nasce il gruppo "Musici e sbandieratori Borgo Valsugana". Sbandierare è un'antichissima arte che unisce capacità atletiche, coreografiche e spettacolari, dove le movenze usate dagli sbandieratori fanno assumere loro l'aspetto di moderni giocolieri, spettacolarizzando al massimo il movimento ed il volteggio della bandiera. Queste capacità si acquisiscono e si perfezionano con ore di preparazione e allenamento, ed il risultato finale è un'armonia di movimenti della bandiera che si accompagna ed è sostenuta dal ritmo dei tamburi, rendendo l'esecuzione collettiva un qualcosa di unico da vedere, da ammirare e applaudire.
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Quando la fantasia vola... 1° HISTORICA NOTTE - di Borgo Valsugana Sabato 29 agosto 2015 dalle ore 22.30 inizio delle prime emozioni della "HISTORICA NOTTE", dove dopo una giornata di sfide Farinoti e Semoloti festeggiano fino a notte fonda. La serata inizierà alle ore 22.30, dove in tre luoghi del Centro Storico si potranno trovare concerti musicali, in Largo Dordi un concerto per le famiglie, poi alle 23.00 in Piazza Degasperi concerto di Max Pezzali Tribute, e in Piazzale Bludenz esibizione del gruppo locale "I Glockenthurm". Alle ore 00.30 spettacolo pirotecnico musicale poi in Piazzale Bludenz musica con DJ fino alle ore 02.00.
I GIOVANI E LA MUSICA
di Alessandro Voltolini
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n varco. Tutto quello di cui necessitiamo è un varco. Un qualcosa che ci aiuti a trascendere la quotidianità, a fuggire da una realtà che non riusciamo a comprendere o che conosciamo troppo bene. Abbiamo maledettamente bisogno di soddisfare un piacere non materiale. L’uomo si è prodigato per dare un volto e un nome a questo bisogno e l’ha chiamato arte. Arte come bellezza, armonia, panismo. Sembra che oggi ce ne siamo dimenticati; nell’esistenza frenetica ed economicocentrica non riusciamo a fermarci e osservare. Non c’è tempo. Ma l’arte sa adattarsi ai cambiamenti e con il tempo va a braccetto. E’ la musica, la musa Euterpe, che oggi comunica con noi e che sul tempo impone le proprie regole. La musica che nasce diversa in ogni ambiente e rivela le mille sfaccettature del nostro essere, che non ha bisogno di mediazioni ed entra in noi senza controllo. La musica che è speranza, vita, immedesimazione. E sono i giovani che la vivono più intensamente. Forse perché i giovani non hanno ancora trovato un proprio ruolo nel mondo, non si sentono realizzati, e il proprio futuro appare ancora incerto e spaventoso. Forse perché essi provano costantemente emozioni forti e nella musica trovano un’interlocutore e un compagno di viaggio con cui sfogarsi.
Disorientati in una società estranea e superficiale, hanno bisogno di una grande famiglia in cui riconoscono pensieri, difficoltà, emozioni comuni. Forse perché quando assumono coscienza, i giovani colgono per la prima volta le difficoltà che sono presenti nel mondo. E per questo hanno bisogno di allontanarsi dalla brutalità e dalla freddezza dell’esistenza, nella ricerca di un’utopia, nel bisogno di vivere in un paradiso lontano dal reale. I giovani trovano rifugio nella musica, ne fanno un’egida, ne assaporano la bellezza, si fanno traportare sulle sue ali. La musica non è il fine ma solo un mezzo, per potersi allontanare dal disagio e provare emozioni autentiche separate dalla realtà fisica. Essa serve a fargli comprendere di non essere gli unici a subire la violenta indifferenza dell’esistenza, di non essere gli unici a scavare a fondo per cercare il senso ultimo delle cose. La musica è crescita. Essa, come la scrittura, la pittura, la scultura, nasconde
verità e perle di saggezza. I giovani che le colgono hanno la possibilità di riflettere, sviluppare una coscienza critica e scoprire nuovi orizzonti. La musica si adatta ad ogni esigenza; chi in essa vuole trovare un’idea, un pensiero comune, chi solo un’emozione condivisa, chi ci si immerge come in un sogno, chi la usa per ballare. Invito chiunque a provare a prendere in mano uno strumento musicale o un semplice lettore mp3; fate di voi stessi una melodia, stuzzicate le corde del vostro pensiero, percuotete il tamburo della vostra coscienza, soffiate nel flauto della vostra anima perché solo nel confronto con l’altro possiamo ritrovare noi stessi.
Sono aperte le iscrizioni per le sfide del “Palio dela Brenta”. Gli adulti, i ragazzi e le ragazze che desiderassero partecipare alle “disfide” possono contattare:
Thomas: 348 0346484 (per i Farinoti) Lorenzo: 347 6243788 (per i Semoloti)
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Il mestiere del pastore è tra i più antichi praticati. Lo ritroviamo nei miti, leggende, letteratura, proverbi e religioni di tutto il mondo. Scopriamo insieme uno dei vecchi “lavori” praticati ad ogni latitudine intervistando un pastore, orami in pensione da anni, che racconta com’era un tempo quest’attività. Un lavoro certamente non facile, sicuramente pieno di sacrifici e di giornaliero impegno, spesso in solitudine umana con l’unica compagnia un gregge di pecore che per moltissimi anni sono stati il riferimento della sua quotidianità. Con Luigi abbiamo dialogato per conoscere il non facile mestiere di pastore.
Intervista a un Pastore Signor Luigi, lei che è stato pastore per tanti anni ed è di queste parti, mi parli del suo lavoro. Adesso non faccio più il pastore, perché ho un’età avanzata. Avanzata? Non mi sembra tanto vecchio! Non sono antico, è vero, diciamo un pensionato, ecco. Cominciamo dall’inizio. Quando e come ha cominciato? Nel 1964. In autunno. Ho acquistato le mie prime pecore a Sarentino in Alto Adige. C’era la fiera delle pecore e delle capre. Erano esposte in vari settori. Tutti di privati. Ce n’erano varie centinaia tra cui scegliere. Ed dopo una ragionata scelta ho acquistato trenta pecore e due capre. Perché due capre? Perché i pastori hanno sempre avuto anche qualche capra. Era una vecchia tradizione. Aveva lo scopo, specialmente in montagna, di nutrirci col suo latte e spesso per allattare gli agnellini dei parti gemellari, capitava perfino che se li adottassero. Ricorda al riguardo qualche capra in particolare? Per esempio la Bocy, che non adottava assolutamente, ma bastava la chiamassi, lei veniva subito da me, si accostava vicino e lasciava che gli agnellini si saziassero senza muoversi. Ma dovevo essere sempre presente accanto a lei. Di quei capi più due cosa ne ha fatto? Già l’autunno del ’65 ne avevo 60, e
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sono partito per “l’Italia”, ossia il Veneto per la transumanza. Da solo? No, mai da soli, dovevamo essere almeno in due. Quindi con le 40 del mio socio sono partito con un gregge di 100 pecore, ma non tutte fattrici. Quello fu il primo inverno e fu davvero
di Adelina Valcanover
magro. Su 100 capi sono nati solo 30 agnelli, da dividere in due! Allora cosa decise? Ascoltai il suggerimento di mio padre. Ritentai anche l’inverno successivo. Cambiai socio e mi misi con altri due. Con circa 500 capi. E la mia, fu una scelta giusta perché andò meglio dell’anno precedente. In primavera ero proprietario di ben 60 agnelli e ho potuto così acquistare anche un’asina. Credo di avere anche capito che cosa ha giocato in negativo l’inverno precedente. Le pecore non erano abituate a stare all’aperto e sotto le intemperie come quando si è in transumanza, mentre l’anno dopo erano oramai avvezze a certi disagi. Ma com’era un tempo vivere in transumanza in pieno inverno? Eh, si stava all’aperto, ma si aveva delle pelli di pecora da mettere per terra e un paio di coperte e un telo per coprire il tutto in caso di pioggia, neve o brina. Come vi regolavate con i pasti? Chiedevamo in case di contadini se ci lasciavano cuocere o cucinare qualcosa tipo pasta o la polenta e a volte si scambiavano cibarie invece di pagare il disturbo. Quando era possibile si andava in qualche bottega ad acquistare la pasta. Ricordo che in tre si cuoceva un chilo e due etti di pasta! E i cani da pastore? Erano essenziali. Ne allevavo anche. Di solito erano almeno quattro. Quando un capo si ammalava come vi regolavate?
Dipende da cosa aveva. Per esempio in caso di mastite a volte si interveniva con un salasso praticato sulla vena del latte. Se non era sufficiente si passava alla penicillina. Una volta capitò che molte pecore ebbero la mastite. E io le ho curate con buon esito con un unguento che si chiamava ‘Sloan’ e che puzzava da maledetto. Quanti chilometri in media facevate al giorno? Dipendeva dall’erba che si trovava (si parla sempre dell’inverno), potevamo spostarci anche di tre chilometri. In primavera, quando si rientrava dalla transumanza, anche 35 chilometri in un giorno, perché bisognava partire dal paese di sosta ed arrivare al successivo per pernottare, senza mai fermarsi. Grosso modo da quando si partiva a quando si tornava si percorreva sui seicento chilometri, rigorosamente a piedi. E’ più facile fare il pastore oggigiorno? Difficile da dire, perché transitare per le strade oggigiorno è complicato per il traffico. In compenso però c’è il furgone dove i pastori possono dormire, cucinare e hanno la rete elettrificata a batteria per contenere le bestie durante le soste, mentre prima bisognava fare i turni di guardia. Dove si trovano adesso i pascoli? Dove di sono prati e campi di sorgo che le macchine non hanno raccolto, insomma greggi e pastori ce ne sono ancora, più numerosi di quanto si pensi. Il suo lavoro come lo definirebbe? A parte il luogo comune che chi fa il pastore è un fannullone che non ha voglia di lavorare, e, se si fa come si deve è faticoso, direi che è un lavoro come un altro con i suoi pro e i suoi contro. In certi momenti era molto più impegnativo, come alla nascita degli agnelli o quando si doveva castrare le bestie. Io avevo imparato da un vecchio pastore un metodo particolare che poi dovetti insegnare a un veterinario su sua richiesta. Era meno doloroso per le bestie. E poi il tran tran quotidiano: controllare il benessere degli animali, contarli spesso, intervenire tempestivamente al bisogno, insomma le solite incombenze.
E la famiglia? La famiglia per mesi, purtroppo, veniva trascurata. Adesso è diverso, perché hanno i mezzi per andare avanti e indietro, mentre ai miei tempi erano gli asini che trasportavano le cose per dormire, per cucinare, per cambiarsi. Lei è sposato? Sì. Sono stato molto fortunato a trovare una moglie che ha accettato la mia assenza per mesi per il mio tipo di lavoro, senza farmelo pesare. Non solo, mi ha fatto sentire a posto e un compagno, quando rientravo. Si condivideva. Gran donna! Da quello che mi ha detto, lei ha svolto con piacere e perizia il suo lavoro. Ha ragione. Ho avuto le mie soddisfazioni. Ho portato in giro assieme a un altro (quindi in due persone soltanto) fino a milleduecento pecore, una ventina di capre, cinque/sei asini e quattro cani… Vi capitava mai di perderne qualcuna? Ha presente l’abigeato? Sì, e il reato per furto di bestiame. Ecco, appunto! Ogni tanto qualcuno ‘abigeava’, soprattutto qualche agnello. Ma anche quando si passava a denunciare per avere trovato il ladro o meglio i capi nella stalla di chi aveva “grattato”, non siamo mai riusciti a farceli restituire. Mi pare di capire che avevate bestie di più proprietari. Come le distingueva? Avevano un contrassegno, ma io le riconoscevo tutte. Le pecore sono come le persone che hanno segni diversi tra loro e quindi riconoscibili. L’ultimo anno che ho fatto il pastore ho avuto capi di ben cinquanta proprietari diversi. Dal suo pellegrinare che cosa ha portato con sé di bello? La soddisfazione di avere svolto con perizia il mio lavoro. Mi dice per favore una curiosità propria dei pastori che pochi conoscono? Avevamo un linguaggio segreto che conoscevamo solo noi pastori. Ma questa, direi, è un’altra storia.
Lo sa che la sua storia mi richiama alla mente la famosa poesia di Gabriele D’Annunzio: I Pastori. Ed io la voglio ricordare sulla pagine di Valsugana News per dedicarla a Lei, Luigi, ai lettori del nostro giornale.
I Pastori Settembre, andiamo. È tempo di migrare. Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare: scendono all'Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti. Han bevuto profondamente ai fonti alpestri, che sapor d'acqua natia rimanga né cuori esuli a conforto, che lungo illuda la lor sete in via. Rinnovato hanno verga d'avellano. E vanno pel tratturo antico al piano, quasi per un erbal fiume silente, su le vestigia degli antichi padri. O voce di colui che primamente conosce il tremolar della marina! Ora lungh'esso il litoral cammina La greggia. Senza mutamento è l'aria. Il sole imbionda sì la viva lana che quasi dalla sabbia non divaria. Isciacquio, calpestio, dolci romori. Ah perché non son io cò miei pastori?
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HA RADDOPPIATO Con l’apertura del secondo “salone” a SCURELLE, Alice, una vera “maestra” dell’ acconciatura di casa nostra, presenta alla clientela, una nuova e funzionale struttura di oltre 100 mt. che si affianca a quella di Telve e all’interno della quale, oltre alle proposte ”coiffeur” per donna e uomo, offre il nuovo angolo “barbershop”(per uomo), la possibilità di tatuaggi e tattoo e da settembre anche completi servizi di estetica.
Ed è con queste parole che Alice, la titolare di “Lui & Lei” con sede a Telve, ci presenta la sua seconda sede a Scurelle in Via della Palanca. Un nuovo “salone” dalla funzionale planimetria appositamente creato per integrare, potenziare, e indubbiamente migliorare le offerte del primo Lui&Lei inaugurato dalla nostra Alice l’8 marzo del 2009 con una piacevole e fortunata coincidenza (o forse simpaticamente voluta) il giorno in cui si festeggia la donna). Da allora, da quel lontano 8 marzo, tanta acqua è passata sotto i ponti e con essa, progressivamente, sono cresciuti la competenza e la conoscenza del proprio mestiere di Alice e da tutto lo staff di collaboratrici che la circonda. Vere professioniste del “mestiere” meritevoli di essere citate poiché costituiscono un insieme operativo che nella nostra zona ha poche eguali. Un team che oltre alla “nostra” dinamica titolare comprende Ketty, Marina (che gestiranno la sede di Telve), mentre Rita, Michelle e la “nostra” Alice (quella di Scurelle). In questo nuovo “centro” le clienti saranno destinatarie di nuovi servizi che vedranno soddisfatte le loro richieste non solo di acconciatura, sia tradizionale che moderna, ma anche di estetica, di tatuaggi e tattoo vari. Grande novità inoltre è che a Scurelle, oltre ai servizi citati e in analogia con quelli già presenti nel depliant di Lui & Lei di Telve, si aggiunge, in maniera decisamente potenziato, il “barbershop” un angolo “maschile” che Alice, la “deus ex machina” di Lui & Lei, ha ideato per proporre, in una nuova dimensione, ciò che serve agli uomini per essere sempre “a posto”. E in questo suo qualificato compito si servirà della fattiva collaborazione di Mishu e della sua verve creativa. Un insieme, quindi, di vere esperte che si sono formate, apprendendo gli elementi essenziali della loro professione, sia con il conseguimento del diploma nelle scuola specifiche che con la frequentazione di corsi e didattiche professionali. da sinistra: Rita, Lui & Lei ora ha raddoppiato la sua insegna e lo ha fatto non (in piedi) Marina, Mishu, Ketty, soltanto con nuove possibilità “estetiche” o nuove proposte, ma Alice e Michelle anche per poter concretizzare, al meglio, quell’idea e quella qualificata concezione che ai clienti bisogna proporre un servizio veramente personalizzato e che, soprattutto, tenga sempre conto delle loro esigenze, anche le più particolari. P.R.
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. . e h c e t a v e p a S Lo GLI ORECCHINI di Franco Zadra
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'orecchino, contrariamente a quanto siamo portati a credere e come riportano superficialmente molti siti internet che sia nato con il desiderio di ornarsi, diventando presto simbolo di appartenenza a una razza, un clan, una civiltà, una classe, prima ancora di essere un ornamento della persona e caratteristico di un determinato genere o, in tempi moderni, di una categoria sociale, è nato come segno per identificare gli iniziati al linguaggio degli uccelli. Linguaggio non umano che direbbe l'origine cosmica e non più soltanto umana della conversazione. Stiamo parlando dell'età del bronzo, cioè quel periodo caratterizzato dall'utilizzo sistematico ed esteso della metallurgia del bronzo - fusione di rame e stagno estratti dai minerali - che, per quanto riguarda l'Europa, si estende dal 3500 a.C. al 1200 a.C. circa. Come segno distintivo e simbolo iniziatico lo troviamo ancora nell'Antico Egitto a costituire un ornamento prettamente maschile. Gli iniziati al linguaggio degli uccelli, come lo troviamo ipotizzato nella mitologia, nella letteratura medievale e nell'occultismo, comunicavano con gli uccelli che li rendevano dotti di segreti mistici o divini. San Francesco d'Assisi è noto, ma non è l'unico esempio, per
parlare agli uccelli, come si legge nella Legenda maior (XII,3): "Andando il beato Francesco verso Bevagna, predicò a molti uccelli; e quelli esultanti stendevano i colli, protendevano le ali, aprivano i becchi, gli toccavano la tunica; e tutto ciò vedevano i compagni in attesa di lui sulla via". Nella Bibbia della CEI, troviamo citati gli orecchini in 4 versetti, per lo più come strumento di seduzione o simbolo di stato sociale: (Gdt 10,4) Si mise i sandali ai piedi, cinse le collane e infilò i braccialetti, gli anelli e gli orecchini e ogni altro ornamento che aveva e si rese molto bella, tanto da sedurre qualunque uomo l'avesse vista. (Ct 1,10) Belle sono le tue guance fra gli orecchini, il tuo collo tra i fili di perle. (Ct 1,11) Faremo per te orecchini d'oro, con grani d'argento. (Is 3,19) orecchini, braccialetti, veli. (Ez 16,12) misi al tuo naso un anello, orecchini agli orecchi e una splendida corona sul tuo capo. Nel corso del XIX e XX secolo l’uomo che sceglie di adornarsi con un ciondolo all’orecchio denuncia spesso un modo di essere bizzarro, insolito, stravagante, un certo distacco
e rottura sociale. Bohémiens, nomadi, artisti, omosessuali, pantere nere, hippies, punk, skin heads e altri innumerevoli personaggi lo usavano come valido accessorio alla propria diversità. Oggi alcuni uomini lo portano a sinistra, seguendo una tradizione già presente nel XIX secolo nella marina mercantile inglese, mentre nella marina da guerra inglese lo si portava a destra. Alcuni sono convinti che portare un orecchino d'oro migliori la vista, in relazioni a pratiche di agopuntura della medicina cinese, ma sembra che serva molto crederci per rilevare qualche effetto.
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CONO SCIAMO
I Comuni
Valsugana
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onosciuto per le sue acque arsenico-ferruginose, è uno dei centri più grandi ed importati della Valsugana. Geograficamente è posizionato sulla sinistra del Brenta e ai piedi del Monte Vetriolo. La storia di Levico ha inizio in epoca romana anche se in alcuni testi è sottolineato che nella zona sono stati rinvenuti moltissimi reperti archeologici risalenti a periodi antecedenti (età del ferro e del bronzo). Venendo a epoche più recenti, testi e ricerche storiche evidenziano il fatto che Levico Terme fu guidato e controllato dapprima dal Vescovato di Feltre, poi da quello di Trento e successivamente dalla Casa d’Austria. Anche Levico Terme come moltissimi paesi della Valsugana, del Tesino e del Primiero subì gravi danni a causa dei due conflitti mondiali ( la Prima e la Seconda Guerra) che ne determinarono non solo la parziale distruzione di una parte, ma anche numerose
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evacuazioni. Le cose però cambiarono quando furono scoperte le proprietà curative delle sue acque termali che richiamarono una sempre crescente affluenza turistica. Nel tempo e per effetto degli ospiti Levico Terme costruì nuovi edifici, nuove strutture ampliando le capacità ricettive. E oggi la cittadina sull’omonimo lago è in grado di garantire ospitalità a chi decide di soggiornare non solo per le necessarie cure termali, ma anche per trascorrere delle rilassanti ferie tra il lago e la montagna visitando le numerose strutture architettoniche presenti: Il Castel di Selva, la chiesetta di San Biagio, la chiesa del Redentore, il Forte Colle delle Benne. E per gli appassionati della montagna, la Panarotta 2002, sia in estate che in inverno è il luogo ideale per ecologiche passeggiate o per praticare lo sport dello sci. Come prima detto Levico Terme è uno dei centri più importanti
o e c i m v r e e T L Levico Terme - Forte Verle della Valsugana e lo è per tutte le componenti che fanno parte del suo biglietto da visita: il lago, il clima, le terme e la presenza
delle numerose strutture (grandi hotel e alberghi) che offrono e garantiscono una qualificata ospitalitĂ .
I NUMERI UTILI Associazione Albergatori Azienda per il Turismo Azienda Provinciale Servizi Sanitari Cup - Centro Prenotazioni Distretto Sanitario Est COMUNE - Centralino Biblioteca Scuola materna Polizia Municipale Soccorso Alpino Scuola Musicale Vigili del Fuoco Asilo nido Farmacia De Prez Farmacia Romanese Guardia Medica Poste Italiane Provincia Autonoma Trento Scuola elementare Scuola Armida Barelli Soccorso Stradale
0461 706511 0461 706004 848816816 0461 515111 0461 710211 0461 710206 0461 706330 0461 710234 337 458839 0461 702129 0461 706222 0461 701300 0461 706116 0461 706115 118 0461 710911 0461 495111 0461 706247 0461 706145 0461 706549
Tullio e Dolores Bosco al 65^ di matrimonio
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FORTE COLLE
di Chiara Paoli
DELLE
BENNE UNA BELLA PASSEGGIATA DAL CENTRO DI LEVICO TERME E UN TUFFO NELLA STORIA Posto in cima all'omonimo colle che domina il lago di Levico, si trova a circa 2 km dal centro storico della cittadina termale. Chiamato anche Forte di San Biagio, dal nome del colle e della vicina chiesetta medievale, eretta nel XIII secolo e successivamente affrescata, che porta il nome di questo beato. Fu costruito dagli austroungarici tra il 1880 e il 1882, opera gemella del Forte di Tenna, non fu mai utilizzato come postazione di combattimento durante il primo conflitto mondiale, data la sua posizione arretrata rispetto al fronte, ma servì come osservatorio e deposito.
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a sempre meta frequentata, grazie alla piacevole passeggiata che lo costeggia, camminata praticata spesso sia dai residenti, che dai turisti che visitano anche la cappella dedicata al santo vescovo, che si trova nelle vicinanze. Smantellato delle strutture in ferro agli inizi degli anni ’30 (destino comune a molte altre strutture di questo tipo), radiato dal Demanio Militare nel 1931, fu venduto per 3.000 Lire al Comune di Levico il 13 ottobre del 1933. Il forte restaurato in questi ultimi anni, ha riaperto i battenti la scorsa estate ed è visitabile. E’ possibile raggiungerlo con una breve passeggiata, passando dall’Hotel Prime Rose di Levico e seguendo le indicazioni che portano alla struttura. L’associazione Culturale Chiarentana di Levico ha inaugurato al suo interno, lo scorso 27 giugno una mostra che ricorda i trentini profughi e internati. L’esposizione resterà aperta al pubblico per tutta l’estate; si tratta del secondo blocco della mostra “Paese di guerra, paese in guerra”, che si dovrebbe articolare nel Forte delle Benne fino al 2018 (anno della conclusione del conflitto), dedicata a profughi e internati politici del primo conflitto mondiale. Linguaggi più tradizionali, quelli dei 15 nuovi pannelli storici, si fondono con opere d’arte, installazioni e performance di artisti e realtà artistiche note in tutta la regione. Sotto la curatela di Paola Vettorazzi, Elisabetta Gomirato e Davide Barbini creeranno dei pezzi unici appositamente per il forte, e costruiranno una narrazione che si intreccia fortemente con la storia di un secolo fa. Uno dei punti focali di questa esposizione, è proprio la collaborazione e il dialogo tra chi studia la storia e chi comunica con linguaggi e tecniche odierne. L’opera della ventinovenne veneta Elisabetta Gomirato verrà inaugurata assieme alla mostra, e si compone di 12 pannelli in plexiglas, appositamente costruiti per essere collocati nel camminamento di
controscarpa, un lungo tunnel che si snoda nella parte meridionale del forte, aggettato verso il nemico. I pannelli, sapientemente incisi e poi dipinti dall’autrice, sono posizionati nelle feritoie del camminamento, originariamente utilizzate come strumento di guerra. Ma la giovane artista racconta di chi, abbandonata la propria casa e la propria vita, si ritrova in luoghi lontani ed alieni. Questi luoghi sono i campi di baracche in Moravia e Boemia, colti nelle fotografie esposte in mostra. A questi si affiancano testi e testimonianze, alcune inedite, che raccontano le vicende dei trentini che provarono a ricostruire una parvenza di quotidianità nei luoghi dove furono trasferiti. Stessa sorte toccò ai politicamente schierati, irredentisti, membri della lega nazionale. Loro però vennero rapidamente processati, e condotti a Katzenau, dove vissero fino al 1917 come internati politici; e tra questi si annoverano 26 levicensi. Gli storici Carolina Cattoni, Francesco Filippi e Leonardo Vinciguerra hanno scovato, raccolto e rielaborato le vicende dell’allora sindaco Slucca de Matteoni, di Romano Ioris, che scrisse un volume sulla sua esperienza a Katzenau e di molti altri che vissero questa terribile esperienza. La memoria di questi vive ancora grazie ai figli e ai nipoti, che hanno permesso ai giovani storici di leggere e utilizzare fotografie, documenti
e lettere dei loro avi per raccontare una storia che, a cento anni di distanza, è ancora profondamente sentita. In agosto, una collaborazione con la Galleria Civica di Trento – Mart, porterà visitatori e curiosi a indagare sul concetto di identità all’interno del contesto militare della Grande Guerra. La mostra, come il Forte delle Benne, saranno visibili per tutta l’estate con il seguente orario: martedì-domenica 10.00 - 12:30 e 14.00 – 18.00
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Conosciamo
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evico Terme, uno dei maggiori centri della Valsugana, ha una storia antica che richiama alla mente la “belle époque” nella quale principesse e nobili provenienti da tutta Europa si davano appuntamento nella cittadina termale per trascorre periodi di relax e dove arte, cultura e turismo erano gli elementi portanti della loro quotidianità. Una particolare atmosfera caratterizzata anche dalla presenza di moltissime attività economiche, commerciali e artigianali, che con le loro luci, le vetrine e le fantasmagoriche esposizioni calamitano l’attenzione dei villeggianti che sceglievano questa cittadina per le loro ferie. Un qualcosa che sembrava essere persa ed appartenere al passato ma che, grazie alle Botteghe Storiche, situate sia all’interno che all’esterno del Centro Storico, si è ripresentata con una nuova luce e una nuova energia. E’ infatti a Levico Terme che moltissimi esercizi espongono all’esterno del loro ingresso una particolare targhetta che li identifica come negozi particolari che hanno iniziato la loro attività da almeno 50 anni, mantenendo ed operando sempre nello stesso settore merceologico che ne ha caratterizzato la nascita e non di rado anche nella stesse sede. Un riconoscimento ed una insegna, quella di Bottega Storica, che costituisce una vera e concreta testimonianza della storia, cultura ed imprenditoria di quanti hanno saputo
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di
Levico Terme
operare con continuità nel grande universo del commercio e dell’artigianato locale. Un segno di riconoscimento voluto dalla Provincia Autonoma di Trento che con una particolare delibera del 2011 ha voluto ufficializzare gli esercizi in possesso dei qualificati requisiti. E oggi le Botteghe Storiche di Levico Terme, con il loro continuo operare, contribuiscono a qualificare la carta d’identità della cittadina termale in quanto, non solo sono stati protagonisti ed elementi attivi della crescita economica, ma soprattutto hanno saputo costruire e rinvigorire quel particolare legame che unisce al nostro presente il loro passato. E lo hanno fatto coniugando il verbo della tradizione e dell’esperienza che i figli hanno ricevuto dai padri attraverso la memoria storia e i loro insegnamenti. Non solo, ma queste realtà sono, indiscutibilmente, un qualificato patrimonio, un vero e concreto punto di riferimento, che con il loro commercio e artigianato hanno caratterizzato, nel corso degli anni, lo scorrere del tempo cittadino.
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Le Strie di Levico Terme
di Franco Zadra
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l maestro Luciano Decarli, già sindaco di Levico Terme, nel suo pregiatissimo volume di memorie delle deportazioni di guerra in quel di Levico, “…for per le Austrie”, riporta la testimonianza di Sergio Venturini, ora defunto, nipote dei conti Bessler, che ricorda come Villa Beatrice, all’interno del complesso in ristrutturazione della Croce Rossa, sotto le scuole nuove, che il 23 dicembre 1917 divenne sede di Comando d’Armata, «fu fatta costruire nel 1906 dai suoi nonni Charles Bessler ed Emma Riess di Berlino, su progetto del prof. Arch. Hoch Eder di Monaco di Baviera». Sul cancello della Villa Bessler – scrive ancora Decarli – c’è uno stemma con una civetta. La signora Emma Riess l’aveva voluto come stemma perché quell’uccello era sacro a Minerva, la dea della sapienza e del-
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l’intelligenza. I proprietari di questa villa erano imparentati con la migliore aristocrazia del tempo e avevano parenti sparsi a Reims (Francia), a Riga, Lubecca, Newcastle onTyne (Gran Bretagna), Berlino, Rotterdam, Pietroburgo, Mosca, Zurigo. La villa venne requisita come bottino di guerra nel 1920 e […] passata all’Italia, sparì il roseto che bordava il parco antistante per buona parte della sua lunghezza. Sparirono anche le balconate in ferro sagomato che giravano intorno alla villa: servirono in Italia “per la ricostruzione”. Ricordiamo qui le disavventure di villa Beatrice poiché il suo aspetto ha da sempre un po’ inquietato gli abitanti e chi la frequentò negli anni sessanta quando diventò sede della Croce Rossa. Si racconta di quanto l’allora segretaria della fondazione, suor Melania, confidasse ad alcuni amici di “ritrovamenti di cose paurose” nei sotterranei della villa, cose poi affidate alla curia arcivescovile e disperse ora chissà dove. L’architettura della villa ha certamente delle particolarità curiose. Lo stemma sulla facciata dell’entrata principale, arroton-
data quasi ad assomigliare a una faccia, una margherita con petali ovali a mo’ di naso e due camini posticci sul tetto a mo’ di corna diaboliche, un altare in giardino affiancato da due colonne portanti ciascuna un’enigmatica anfora antica, hanno alimentato gli incubi e i pensieri horror di chissà quanti adolescenti del secolo scorso. A parte questo, vi è un’altra storia che i vecchi di paese si tramandano riguardo a chi abitava quel fondo ai primi anni del 1600. Si racconta di tre sorelle che in quel giardino, poi divenuto orto botanico, coltivavano erbe medicinali, fiori e piante atte alla produzione di medicamenti, pomate, elisir e quant’altro si potrebbe ricondurre all’attività di quelle custodi di antiche sapienze curative che mettevano a disposizione di chiunque ne richiedesse l’aiuto. In Trentino a quei
tempi soffiava forte il pregiudizio dei maschi che si concretizzò in molti casi nel “martello delle streghe”. La cugina di chi scrive, tale Gnes Zader di Cis in Val di Non fu bruciata a 18 anni in piazza a Cles nel 1618 alla presenza del parroco e del sindaco. Così, si racconta, l’attività di quelle tre sorelle incontrò la contrarietà degli abitanti che cominciarono a chiamarle “strie” e poi le cacciarono dal paese il 20 novembre 1640. Si racconta ancora che una di queste fu poi processata e bruciata a Nogaredo, dove vi era la sede del tribunale dell'in-
quisizione, nel 1647, in uno degli ultimi processi alle streghe in Trentino. Nell’andarsene da Levico le tre sorelle avrebbero lanciato un incantesimo, maledicendo il luogo e invocando le potenze invisibili perché la gente del posto trovasse sempre motivi di discordia e che i loro affari andassero sempre a finire a rotoli. La sorte di villa Beatrice confermerebbe questa credenza, così come le alterne vicende del vicino palazzo imperiale che l’imperatore non ha mai potuto godere veramente. Della maledizione delle strie nessuno parla apertamente, ma subito riemerge alla coscienza collettiva quando accadono strani fatti legati alla data del 20 novembre, come nel 1994 la prima edizione
del Mercatino di Natale che ospitò solo 12 casette di articoli natalizi, venne battezzata da una raffica di vento che sradicò nel parco più di cento e cinquanta piante, oppure, semplicemente, per scovare un’origine esoterica al carattere litigioso degli abitanti che fa dire in certi momenti «A Levico non dura niente di buono». Chissà se l’aver rivelato questa storia potrà servire da esorcismo? Ce lo auguriamo tutti. Si ringrazia l'architetto Acler per la concessione delle foto
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Cinte e Castello Tesino
'Altopiano del Tesino, o Conca del Tesino, circondato dalla catena del Lagorai, geograficamente si sviluppa in un’area dolomitica. L’origine del Tesino non ha una data certa, ma secondo la documentazione storica i primi insediamenti abitativi risalgono all’epoca romana in quanto questa zona era attraversata da una delle più importanti vie di comunicazione: la strada Claudia Augusta Altinate che collegava direttamente il porto di Altino con la citta di Augusta. Con i passare dei secoli, nel Medioevo, il Tesino divenne dapprima domino della Repubblica di Venezia e poi fu conteso dal Principato Vescovile di Trento e quello di Feltre. Nel corso della prima guerra mondiale tutto il Tesino fu colpito dall’evento bellico che, tra l’altro, per effetto dei bombardamenti austriaci, causò la totale distruzione di Castello Tesino. Ed anche il secondo conflitto mondiale interessò questa zona con ingenti perdite umane e danni alle abitazioni. Per la cronaca dal 1943 al 1945 in questa zona fu attivo il famoso Battaglione Ghirlanda e due partigiane: Ancilla Marighetto e Clorinda Menguzzato, morte in azioni contro il nazifascismo, furono insignite della Medaglio d’oro al valore militare. Per quanto riguarda invece l’aspetto economico ed occupazionale le prime attività che si svilupparono nel Tesino sono state la pastorizia, la falegnameria e una massiccia presenza di venditori ed artigiani ambulanti. Più tardi a queste attività si aggiunsero quelle della stampa e la realizzazione di oggetti religiosi che permisero ai “tesini” di girovagare in molti paesi europei per proporre i loro articoli. Attualmente l’economia dei Tesino si basa sul turismo estivo ed invernale. Il primo, quello estivo, è particolarmente indicato per la possibilità di vivere in un ambiente ecologicamente sano a contatto con la natura lungo i moltissimi sentieri presenti nella zona. E ancora visite a chiese ed edifici storici nonché la pratica del golf presso il campo presente a Pieve Tesino. Alternando il tutto andando “per funghi”. Il secondo, quello invernale garantisce, sui pendii del Passo Brocon, lo sport dello sci, agonistico e amatoriale, grazie agli impianti di risalita, alle strutture presenti e alle ampie piste innevate. Passando per la storia politica del Tesino è da ricordare, che Alcide De Gasperi, una delle personalità più importanti della nostra nazione Dolomiti Trentine - Albergo del passo Broccone m. 1616 e primo Presidente del Consiglio dei Ministri è nato a Pieve Tesino.
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Pieve Tesino
NUMERI UTILI CASTELLO TESINO AMBULATORIO MEDICO 0461 594110 AZIENDA PER IL TURISMO 0461 592563- 593306 BIBLIOTECA 0461 592516 CARABINIERI 0461 594134 CASA DI RIPOSO 0461 594166 FARMACIA 0461 594950 GUARDIA MEDICA 118 ISTITUTO DI GEOFISICA 0461 594011 MUNICIPIO 0461 594152 PARROCO 0461 594020 POLIZIA LOCALE 0461 757312 POSTE ITALIANE 0461 594140 PROVINCIA AUTONOMA TRENTO 0461 593218 SCUOLA ELEMENTARE 0461 594683 SCUOLA MATERNA 0461 593023 TRASPORTO INFERMI 0461 593388 VIGILI DEL FUOCO 0461 594777 NUMERI UTILI PIEVE TESINO APSP CASA DI RIPOSO BIBLIOTECA FARMACIA GUARDIA MEDICA CASA DI RIPOSO MUNICIPIO PARROCO POLIZIA LOCALE POSTE ITALIANE PROLOCO PROVINCIA AUTONOMA TRENTO SCUOLA MATERNA VIGILI DEL FUOCO
0461 594179 0461 594162 0461 594659 118 0461 592612 0461 593122 – 594122 0461 594173 0461 756820 – 334 6505473 0461 594161 0461 594292 0461 495111 0461 594733 0461 594888
NUMERI UTILI CINTE TESINO GUARDIA MEDICA 118 MUNICIPIO 0461 594143 POSTE ITALIANE 0461 594168
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Il danneggiamento provocato da animali domestici e selvatici
Il diritto al risarcimento
L’AVVOCATO RISPONDE
Ormai da alcuni mesi, sui giornali locali, viene portata all’attenzione del lettore il problema delle aggressioni, anche fisiche, poste in essere da animali selvatici e nello specifico quello degli orsi. In passato si parlava, di frequente, anche dei sinistri automobilistici causati dall’attraversamento della strade di montagna di cervi ed altri animali selvatici, ma quali sono i rimedi civilistici a disposizione del cittadino per ottenere il risarcimento danni.
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n principalità è bene evidenziare che il proprietario di un animale domestico è responsabile dei danni cagionati dallo stesso, ai sensi dell’art. 2052 c.c. e l’obbligo di risarcimento opera oggettivamente, non è necessario, infatti, un accertamento di responsabilità, anche per colpa del padrone dell’animale. Le uniche prove liberatorie, che può addurre il proprietario dell’animale, per esimersi da ogni responsabilità sono il caso fortuito, inteso come un fattore esterno, avente il carattere dell’imprevedibilità oppure se dimostra la colpa esclusiva del danneggiato. Per quanto riguarda gli animali selvatici, a seguito dell’entrata in vigore della legge 968/1977 (ora art. 1 legge 157/1992), sono stati inquadrati come patrimonio indisponibile della pubblica amministrazione (826 c.c.), tuttavia, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente (In tal senso Cass. Sez. III, n. 5202 dd. 04 marzo 2010), non può applicarsi all’ente pubblico il criterio previsto dall’art. 2052 c.c., mancando, infatti, un effettivo potere d’uso e di governo di quest’ultima sugli animali. Ciò posto la responsabilità della pubblica amministrazione viene ricondotta, dalla giurisprudenza di legittimità, all’interno della previsione dell’art. 2043 c.c. ed in particolare come negligenza degli amministratori e cioè nell’assenza di atti volti a segnalare e prevenire comportamenti invasivi della fauna nelle zone antropizzate (Cass. Civ. n. 11250 dd. 30 luglio 2002 e Cass. Sez. n. 1008/2003). Il giudice, in base alle modalità del fatto concreto, dovrà determinare la sussistenza e la misura della responsabilità della pubblica amministrazione. La legge 11 febbraio 1992, n. 157, oltre ad aver statuito che la fauna selvatica appartiene al patrimonio indisponibile dello Stato ha previsto che la Re-
gione è competente ad emanare norme relative alla gestione e tutela della stessa. La stessa legge ha ripartito le competenze in materia, attribuendo alle Regioni funzioni di coordinamento, programmazione e di orientamento, di controllo e sostitutivi e conferendo alle Provincie funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna. La Provincia Autonoma di Trento ha emanato la legge provinciale n. 24 dd. 9.12.1991 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per l'esercizio della caccia” ove espressamente all’art. 33bis, intitolato: “Azioni preventive e indennizzi per danni provocati dai grandi carnivori e da altra fauna selvatica”, si prevedono sul punto i criteri per l’indennizzo, anche specifico, nei casi di aggressioni da parte di grandi carnivori come orso bruno, dal lupo e dalla lince in particolare la norma prevede: “1.Per far fronte ai danni provocati dall'orso bruno, dal lupo e dalla lince, la Provincia può: a)fornire a titolo gratuito il materiale per la realizzazione di misure di prevenzione o concedere contributi in conto capitale al fine di predisporre interventi che consentano di prevenirne le incursioni; b)concedere, alle sole imprese, contributi per il pagamento del premio di polizze assicurative per il rischio di danni; c)corrispondere un indennizzo, su domanda di chi ha subito il danno; a tal fine la Provincia può stipulare una polizza assicurativa. 2. Le imprese possono chiedere il contributo per il premio di polizze assicurative previsto dal comma 1, lettera b), o l'indennizzo solo se hanno realizzato idonee opere per prevenire le incursioni dell'orso bruno, del lupo e della lince. Il contributo previsto dal comma 1, lettera b), esclude
di Zeno Perinelli
la possibilità di ottenere l'indennizzo previsto dal comma 1, lettera c). 3.L'indennizzo previsto dal comma 1, lettera c), è corrisposto anche in misura forfettaria per ristorare i danni arrecati a beni immobili o mobili, compresi gli animali, e i danni alle persone. […]”. La norma prevede sia le modalità di indennizzo del cittadino sia oneri specifici, a carico dell’amministrazione pubblica, di promuovere campagne d'informazione e di sensibilizzazione sulle abitudini dell'orso bruno, del lupo e della lince e sulle buone pratiche da attuare nei territori caratterizzati dalla loro presenza, nonché iniziative di educazione dirette a evitare comportamenti che possano aumentarne la confidenza con l'uomo e che possano attirarli in prossimità dei centri abitati; l'attività informativa comprende la redazione periodica di un rapporto sulle azioni intraprese e sui risultati conseguiti, che è trasmesso anche alla competente commissione permanente del Consiglio provinciale; b)garantire la formazione degli operatori addetti all'informazione, alla sorveglianza, al monitoraggio, alla ricerca e agli interventi di emergenza nei casi di problematicità; c)promuovere accordi e protocolli operativi per definire azioni comuni di coordinamento sulla gestione dell'orso bruno, del lupo e della lince, fermo re-
stando quanto previsto dalla normativa statale in materia; la Provincia, nei casi di particolare problematicità, assicura l'informativa ai cittadini e il coinvolgimento dei sindaci e delle altre istituzioni interessate. Per quanto invece riguarda l’investimento di ungulati, era previsto, sino all’approvazione della finanziaria provinciale L.P. n. 14 dd. 30.12.2014, l’articolo 26 comma 3bis della Legge Provinciale n. 24/1991 il quale prevedeva la possibilità di risarcimento danni, non altrimenti risarcibili, causati dall'investimento di ungulati lungo strade comunali, provinciali e statali, escluse le autostrade, per caso fortuito o forza maggiore. La normativa provinciale ha previsto la possibilità di risarcimento, ai sensi dell’abrogato art. 26 comma 3bis LP 24/1991, solo per i sinistri avvenuti entro il 30.06.2015, per quelli successivi sarà necessario adire le vie giudiziarie per ottenere un indennizzo. La legge provinciale n. 24/1991 ha dato un accesso diretto al cittadino per ottenere un risarcimento
del danno patito a causa di un evento riconducibile, sia all’aggressione di un animale selvatico, come possono essere l’orso bruno, il lupo o la lince. Purtroppo, con l’abrogazione dell’art. 26 comma 3bis LP 24/1991, rimane invece scoperto un settore importante e relativo agli incidenti provocati dall’animale ungulato che attraversa la strada, costringendo il cittadino ad adire direttamente le vie legali. Per ogni informazione per i moduli sarà sufficiente accedere al sito del servizio forestale della Provincia Autonoma di Trento: http://www.dip-foreste.provincia.tn.it/
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“Artenatura” in Val di Sella
Mario Bolognese
di Franco Zadra
«Il senso e la sacralità della vita, come la fecondità, anche in senso spirituale, si intrecciano con ogni culla di bimba e di bimbo. La dignità dei bambini e delle bambine del mondo va dunque rispettata e promossa a ogni livello, promuovendo giustizia e pace. Ma le bambine e i bambini sono anche donatori di una visione del mondo e di una loro originale spiritualità, dentro e fuori le religioni, e il loro dono va accolto.Apriamo il cielo e la terra anche a loro, e con loro tante altre diversità germoglieranno assieme a noi».
È
questa l’introduzione a un sito (www.partecipiamo.it/cultura/m ario_bolognese/mario_bolognese.htm) che presenta alcuni tratti bibliografici di un autore originale e quasi unico nel panorama italiano che abbiamo la fortuna di incontrare nel meraviglioso contesto di Arte Sella. Mario Bolognese ci accompagnerà, interpretandone alcuni passaggi, dentro quel processo creativo unico, che nell’arco di un cammino più che ventennale ha visto incontrarsi linguaggi artistici, sensibilità e ispirazioni diversi accomunati dal desiderio di intessere un fecondo e continuo dialogo tra la creatività e il mondo naturale, che è Arte Sella. Approfittiamo delle competenze di Mario Bolognese per offrire ai lettori di
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Valsugana News un motivo in più per riscoprire quella possibilità, quel luogo, quell’occasione di sperimentazione e di crescita creativa in continuo dialogo e ascolto con i mondi della musica, dello spettacolo, della fotografia e della cultura nelle sue molteplici sfaccettature che è diventata Arte Sella, che certamente avremo già visitato, magari accompagnando i nostri bambini, ma forse non con quella consapevole partecipazione alle loro visioni e interpretazioni che ci avrebbero potuto aprire gli occhi su quel loro invisibile mondo che in Arte Sella si rende visibile... per chi lo vuol vedere. Siamo con Mario Bolognese sul percorso “Artenatura”, nel bosco della Val di Sella. Cominciamo assieme a lui il cammino sul sentiero per un percorso attraverso la natura e i suoi rumori, attraverso l’arte e i suoi colori. La scoperta di un bosco vivo e non contaminato, di pietre odorose di muschio e di alberi maestosi, ci faranno assaporare il fascino e l’armonia delle opere esposte, che dal 1986 nascono, vivono e muoiono in questi luoghi di incontestabile bellezza. Mario, quasi come un vecchio gnomo Mauri Giuliano - Cattedrale vegetale saggio, si siede su di un ceppo
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Rainer Gross - Il quadrato e comincia a raccontare. «Scriveva Gaston Bachelard, un impiegato delle poste divenuto filosofo e professore alla Sorbona, che “l’immaginazione è un albero. Ha le virtù integratrici di un albero. È radici e rami. Vive tra terra e cielo. Vive nella terra e nel vento. L’albero immaginato impercettibilmente diviene l’albero cosmologico, epitome di un universo, creatore di un universo”». «Da diversi decenni mi sto nutrendo della linfa segreta dell’albero, continua Bolognese - inteso proprio come Albero della Vita, in un senso che abbraccia storie, popoli e culture, anche del sacro e del religioso, diverse. Il “nutrimento” rimanda alla sostanziale dimensione di cura di sé, personale e collettiva, umana e biocosmica, di cui è
intrisa la sacralità dell’albero. Naturalmente questo “verde” ben-essere è anche indispensabile germoglio di ogni ricerca di pace…». Un albero è un albero o no? «Molto di più. - dice Bolognese – Possiamo considerarlo nostro “gemello vegetale”, la cifra, il cantore e il canto dentro la danza di “…quell’Amor che move il sole e l’altre stelle”. Ha una grande capacità di “ospitare” voci, espressioni e culture poetiche e artistiche diverse, vicine o lontane nello spazio e nel tempo, naturalmente anche di bambini e bambine. Uno straordinario “contenitore” delle tante voci, vibrazioni, informazioni, canti e palpiti che scaturiscono dal grande scrigno della bio-diversità». Nel cammino incontriamo un grande nido dove Mario si sistema felice ed esclama quello che poi ci dirà essere un verso di Tagore, «Là dove tutto il mondo si trova in un nido!». Ma che cos’è un nido? «Il nido è quel luogo – dice Mario – dove possiamo guardare a ciò che ci manca come a una risorsa. Un vero miracolo, se ci pensiamo, che possiamo cogliere solo nel linguaggio poetico, se intendiamo che il proposito della poesia, come scriveva Milosz, è quello di ricordarci come sia difficile rimanere una persona sola, “perché la nostra casa è aperta, non ci sono chiavi alla porta e ospiti invisibili vanno e vengono”. Il nido è appunto questa casa aperta». Belle le poesie ma, parafrasando una frase famosa dell’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti, «non possiamo farci un panino con le poesie». «Il tema della poesia – dice Mario, divertito – va inteso come pratica di “re-
spirare il cosmo”, non solo come stile e tradizione letteraria, ma anche per il suo valore di (auto)camdello biamento stesso nostro paradigma di pensiero e di percezione della realtà». Sul sentiero arriviamo a una “casa”, ma quando Mario vi si installa ci appare più come un castello. A quel punto comincia a raccontare una fiaba, «Una gigantessa dormiva per mille anni e restava sveglia per altri mille e quando dormiva il suo corpo si trasformava in un castello. A vederla era un’abitazione molto grande ma non diversa dagli altri castelli, con le sue mura, le sue torri, i suoi corridoi, le sue scale, le sue stanze, i suoi sotterranei, le sue finestre e i suoi cinque comignoli. Tutti dicevano che in questo castello c’era nascosto un tesoro, ma nessuno era riuscito a trovarlo. Sul portone d’ingresso, di legno massiccio e con una forma strana, c’era disegnato un gallo e una rana ed era una porta che poteva aprirsi e chiudersi all’improvviso. Bisognava stare molto attenti a passare per non finire imprigionati tra i due battenti. Un giorno una bambina e un bambino, due orfanelli, decisero di andare a cercare il tesoro e per combinazione avevano per amici proprio un gallo e una rana. Entrarono in fretta e cercarono a lungo ma senza trovare niente. Ma a un certo punto il gallo si mise a cantare e la rana a saltellare gracidando e la gigantessa, dormendo, si mosse un po-
Beckers Will - Eco
Aeneas Wilder - Senza titolo
Patrick Dougherty - Tana libera tutti chino. Adesso tutto sembrava diverso e il castello pareva essersi destato, rianimato, con tutti i suoi segreti di porte, passaggi, musiche, odori... E allora via di corsa dietro il gallo e la rana che erano agitatissimi. Su, giù, a destra, a sinistra, per le scale a chiocciola o di corda, attraverso pareti che si aprivano e si spostavano e le finestre e il soffitto e il pavimento e i corridoi che apparivano come un labirinto che si risolveva mano a mano che si complicava. Finalmente, nel posto che meno si aspettavano, trovarono il tesoro. Era...». Che era? «Dimmelo tu – ci dice Mario, ridendo sotto i baffi – io il mio l’ho trovato. Il tuo qual’è?». Si ringrazia l’Associazione Artesella e Giacomo Bianchi per la concessione delle foto
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CONO SCIAMO
I Comuni
Valsugana
della
Panoramica di Strigno
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trigno (Striegen in Lingua tedesca), uno dei centri principali del Comprensorio C3 (oggi Comunità di Valle), geograficamente appartiene alla Catena del Lagorai. Un Comune che dalla seconda metà dell’Ottocento fino ai primi anni del 1900, grazie al suo clima mite, era molto frequentato non solo dalla piccola e media borghesia,
ma anche da personaggi di un certo rango provenienti dalla vicina Austria. Durante la Prima guerra mondiale e per effetto della vicinanza al fronte, tutti gli abitanti del paese furono fatti evacuare anche perché in questa zona molto decisa fu la resistenza al nazifascismo e quindi vi era il concreto pericolo di rappresaglie. E purtroppo a causa dell’evento bellico, il paese fu
Giochi d'altri tempi
Il re Vittorio Emanuele a Strigno
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o n g i r St
Bigolada prima della guerra
Castel Ivano
anche distrutto per essere poi ricostruito. Da ricordare le azioni dei moltissimi partigiani e del famoso Battaglione “ Gherlenda” che si batterono contro la dittatura. E i libri di storia ci raccontano di una visita che nel 1921 il Re Vittorio Emanuele III° fece a Strigno. E tra i moltissimi personaggi “storici” che hanno fatto o sono appartenuti alla storia di Strigno: • David Weiß (1775-1848), disegnatore e incisore • Nel 1833, nella casa già Ceschi, nacque il pittore Albano Tomaselli • Ottone Brentari (18521921), geografo, storico e irredentista
• Enrico Tabbro (nato 1869), capitano della k.k. Standschützenkompanie di Strigno • Luigi Carbonari, politico • Ezio Franceschini, insigne professore e antifascista, nato nel 1906 a Villa di Strigno ora Villa Agnedo Oggi, per effetto del referendum sull’accorpamento dei Comuni, Strigno, insieme a Spera e Villa Agnedo, darà vita al nuovo Comune di Castel Ivano, che per somma di residenti diventa di fatto il secondo municipio con più abitanti della Comunità Valsugana e Tesino.
Alluvione Via XXIV Maggio 1924
Si ringrazia Vito Bortondello per la concessione delle foto NUMERI UTILI BIBLIOTECA CASA DI RIPOSO FARMACIA GUARDIA MEDICA MUNICIPIO PARROCO POLIZIA LOCALE POSTE ITALIANE PROVINCIA AUTONOMA TRENTO SCUOLA ELEMENTARE SCUOLA MATERNA STAZIONE FORESTALE VIGILI DEL FUOCO TIRO A SEGNO
0461 762620 0461 762009 0461 762101 118 0461 780010 0461 762061 0461 757312 0461 762023 0461 495111 0461 782078 0461 762327 0461 762062 0461 762344 0461 763308
Piscina di Strigno e piccolo Balilla
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ISO-TETTO
Una azienda esperta nel settore della carpenteria, lattoneria, realizzazione di tetti e coperture, restauro e manutenzioni in genere. • • • • • • • • • • • •
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BERNSTOLER KULTURISTITUT di Chiara Paoli
L’Istituto culturale mòcheno – Bersntoler Kulturinstitut propone quest’anno una mostra sul tema del bosco e delle sue risorse, allestita nelle sale dell'Istituto a Palù del Fèrsina, che rimarrà aperta fino al 31 ottobre 2015. Riservando particolare attenzione alla lingua mòchena, il percorso espositivo descrive diversi aspetti del rapporto della comunità mòchena con i boschi della Valle del Fèrsina, considerati sia come fonte di preziose risorse per il sostentamento che come scenario di un patrimonio di conoscenze tramandate di generazione in generazione. Pannelli, oggetti e materiali multimediali offrono approfondimenti su come questo profondo rapporto ha plasmato sia il paesaggio, la denominazione dei luoghi, l’architettura, sia gli stili di vita, creando a profonde conoscenze sul legno e sui suoi multiformi utilizzi, sulle piante e sugli animali del bosco. La mostra è il frutto di un lavoro pluriennale di ricerca condotta su libri e documenti d'archivio, ma soprattutto sul campo, attraverso interviste e attenzione alla valorizzazione di oggetti di uso quotidiano e strumenti di lavoro. Oltre alla ricostruzione della tradizione e del passato, il percorso espositivo propone spunti di riflessione sul ruolo e sull'uso del bosco nel ventunesimo secolo.
Il Bernstoler Kulturistitut
Ma chi sono i mòcheni? “Siamo donne, uomini e bambini, parliamo una lingua di origine tedesca, ma conosciamo perfettamente l’italiano! Abitiamo in una valle alpina a 20 km da Trento. Per secoli abbiamo conservato e tramandato la nostra cultura e le nostre tradizioni. Il territorio della valle in cui ci siamo insediati alla fine del XIII sec. , porta i segni della nostra cultura originaria. Per questo è stato fondato il nostro Ente, s Bersntoler Kulturinstitut.”
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uesta l’introduzione che si trova appena entrati nel sito dell’Istituto di Cultura Mochena, che ha sede a Palù del Fersina. Nato nel 1987, con l’intento di conservare e valorizzare la lingua e la cultura tradizionale di questa isola linguistica, inizialmente viene fondato l’Istituto Mocheno Cimbro, da cui si separa poi nel 2005. Erroneamente moltissimi abitanti della Valsugana, credono che i Mocheni siano una minoranza stanziatasi in Valle per l’estrazione mineraria, i famosi canopi. In realtà i primi colonizzatori di queste zone, che comprendono i comuni di Frassilongo (Garait), Roveda (Oachlait), Fierozzo (Vlarozt) e Palù del Fersina (Palai en Bernstol) furono a partire dal XIII secolo i “roncadori”, che giunsero in questi luoghi boscosi e selvaggi, ancora disabitati ed utilizzati solamente per il, pascolo estivo. Dopo l’anno mille l’Europa conosce un periodo di forte espansione demografica che spinge le popolazioni a flussi migratori, alla ricerca di nuovi territori da colonizzare. Ed è così che Eltele da Schena, capitano di Pergine eletto nel 1304 dai Conti del Tirolo, nel 1324 concede alle famiglie migranti, dispo-
ste a stanziarsi in queste zone e a disboscarle per renderle produttive, un lotto di terreno di circa 25 ettari. Si formano così i masi. Solo nel 1400 inizia l’intensa attività mineraria, per cui giungono maestranze specializzate dalla Boemia e non solo; il minerale estratto è la calcopirite, da cui si estrae il rame, ma successivamente viene ricavata anche la fluorite. Canezza, Sant’Orsola Terme ed il passo del Redebus invece erano già state colonizzate fin dai tempi antichi dai Reti e dai Romani, come testimoniano i forni fusori che si trovano presso l’area archeologica dell’Acqua Fredda. Ecco i siti di interesse del Bernstoler Kulturinstitut: presso la sede dell’Istituto è allestita una mostra permanente che parla della cultura e delle tradizioni mochene, a partire dalle origini, per approfondire il discorso della lingua, delle coltivazioni e dell’uso delle materie prime. Adiacente a questa si trova la mostra temporanea Lem der Bolt – Vivere il bosco. Il tema del rapporto tra ambiente e comunità mòchena si ritrova anche nelle altre sezioni museali dell’Istituto. Der Filzerhof è invece la casa rurale
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mòchena che si trova a Fierozzo; gli antichi urbari testimoniano l’esistenza di questo “hof” già fin dal 1400, ma il primo proprietario del quale si ha una qualche notizia e dal quale probabilmente il maso ha preso il nome, era un certo Filzmoser (1591). Questo nucleo verso il 1600 lascia il maso che viene occupato da un’altra famiglia. Verso la metà del ‘700 un certo Laner, originario di Frassilogno/Garait sposa probabilmente una "erede" del maso, dando origine alla discendenza dei Laner detti Filzer. Questa famiglia riesce a mantenere unita la proprietà originaria del maso, anzi la espande: per mancanza di altri eredi maschi i possedimenti passano di generazione in generazione ad un unico erede. La famiglia si estingue nel 1967. Il maso con gli anditi attorno e l’orto, è stato acquistato nel 1994 dal Kulturinstitut Bersntol Lusern. La struttura del-
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l’edificio e l’origine degli spazi interni è rimasta intatta fino ai giorni nostri, così da poter rappresentare un valido esempio di residenza tradizionale. L’allestimento si propone di dimostrare il sistema di vita tradizionale rispettando la fruizione originaria dei locali che sono arredati in Der Filzerhof parte con manufatti originari del maso, in parte con manufatti provenienti da altre abitazioni della zona. Il maso è stato parzialmente restaurato: rifacimento del tetto, ripristino della stalla e dei ballatoi. Essendo ancora disponibili in loco artigiani in grado di riproporre un restauro fedele delle tecniche di costruzione locali, il Kulturinstituti ha affidato, come si può vedere già all’esterno la ricostruzione totale del tetto con copertura tradizionale Schintln (scandole in larice), per l’intero tetto ne sono state realizzate ben 30.000 fatte a mano. Anche il casello del latte è stato ricostruito con le tecniche tradizionali e grazie all’aiuto degli artigiani locali e il sistema di apertura-chiusura è un tipico esempio dell’ingegno umano, che le guide saranno liete di
mostrarvi in occasione della vostra visita al maso. Moltissime altre notizie in merito a questa struttura e a tutto ciò che gravitava intorno agli abitanti di questa zona, dal commercio ambulante dei Krumer alla capacità di sfruttare al meglio le risorse del luogo, vengono narrate durante la visita guidata. Il maso è visitabile in agosto tutti i giorni, escluso il lunedì dalle 15 alle 17.30, a settembre la domenica con lo stesso orario, o eventualmente in altri giorni ed orari per gruppi su prenotazione. La “Sog van Rindel“ è una segheria alla veneziana recuperata come sezione museale del Bersntoler Museum, dedicata all’esperienza del legno e legata quindi al bosco e all’attività della segagione. Questa segheria, collocata sul rio Balkof a Fierozzo/Vlarotz, ha soddisfatto il fabbisogno di legname delle fa-
Esterno segheria
di vivere profondamente e sapientemente legato all’utilizzo di questo prezioso materiale. Nel mese di agosto la segheria è visitabile la domenica dalle 15 alle 17.30, in orari e giorni diversi, fino ad ottobre per gruppi su prenotazione.
Interno Museo miglie che vivevano nella zona circostante e il suo utilizzo si è protratto fino alla fine degli anni Cinquanta del ‘900, continuando a rappresentare quindi fino a tempi abbastanza recenti, una soluzione tecnica soddisfacente. La struttura è situata in un’area particolarmente significativa, dove è possibile esplorare le varietà arboree del bosco, in particolare larici e abeti, e, poco sopra, pascoli e baite, splendida testimonianza del rapporto fra l’uomo e il territorio. Il percorso di visita risulta quindi essere un luogo particolarmente significativo per comprendere quel concetto che l’etnografo Giuseppe Šebesta, da sempre molto legato alla Valle dei Mòcheni, definì come "età del legno", indicando in tal senso un modo
Nel 1915 lo scrittore austriaco Robert Musil, a tal proposito l’Istituto ha curato anche un percorso dedicato a questo scrittore, in qualità di sottotenente dell’esercito austro-ungarico, venne inviato sul fronte in Valle del Fersina. Colpito dai luoghi e dai suoi abitanti, profondamente legati al territorio e alle sue risorse, prese numerose annotazione nei Diari e, terminata la guerra, elaborò la novella Grigia, ambientata a Palù del Fersina e nei dintorni. Definì inoltre questa come una “valle incantata”. Nelle zone frequentate dallo scrittore, dove è stato ritratto e in altri che ne hanno ispirato le tematiche quali luoghi di trasfigurazione dell’anima, è stato allestito un itinerario con l’apposizione di piccole targhette riportanti un’identificazione e il logo. Ogni punto è adeguatamente descritto nella mappa del percorso disponibile presso l’Istituto.
meccanismo esterno della segheria
GLI APPUNTAMENTI Lunedì 17 agosto alle ore 9.30 è possibile effettuare l’escursione letteraria “Musil en Berstol” in compagnia dell’esperto di letteratura Massimo Libardi e dell’accompagnatore di territorio Martin Toller. Inoltre presso le sedi museali nel mese di agosto, le famiglie hanno la possibilità di partecipare con i bambini alle seguenti attività: • 2 agosto ore 15.00 Sog Van Rindel (segheria Fierozzo) - Sogmel -Visita guidata alla segheria e laboratori didattici per i più piccoli • Giovedì 6 agosto ore 15.00 Filzerhof - Un pomeriggio al Filzerhof e Ôrbetn en hoff: la lana • Giovedì 13 agosto ore 15.00 Filzerhof - Un pomeriggio al Filzerhof e Ôrbetn en hoff: come costruire un tetto in scandole • Giovedì 27 agosto ore 15.00 Filzerhof - Un pomeriggio al Filzerhof e Ôrbetn en hoff: saperi del bosco
Per informazioni, per conoscere le tariffe di ingresso o prenotazioni: Bersntoler Kulturinstitut - www.bersntol.it/ - tel. 0461 550073 - e-mail:kultur@kib.it
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La Valle dei Mocheni Una valle incantata per le sue bellezze naturali, ricca di storia e tradizione, abitata dai Mòcheni, comunità di origine tedesca. La Valle dei Mòcheni è chiamata “valle incantata” per il magnifico scenario naturale, affascinante in ogni stagione, dove si sviluppano itinerari tra prati e boschi circondati dalle vette prossime ai 2.400 metri della parte occidentale della catena del Lagorai. Dall'alto di Palù del Fersina è possibile ammirare un panorama straordinario sulla sottostante Valsugana.
BERSNTOL RING Il 23 agosto 2015 si svolgerà il Bersntol Ring, un imperdibile viaggio a piedi di 360° alla scoperta della Valle dei Mòcheni, la valle incantata! Questa vallata, a soli 20 km da Trento, è nota per essere un’isola linguistica di origine tedesca oltre che una fantastica meta per escursioni panoramiche. Durante il giro scoprirete, avvolti da un’atmosfera fiabesca, tutte le peculiarità della vallata, con numerosi stand gastronomici con piatti tipici della tradizione, la musica del folklore popolare, gli artisti e i lavoratori artigiani del territorio. Non mancheranno naturalmente gli stand con foto e pannelli illustrativi della storia della valle, oltre ai meravigliosi panorami e scorci che essa ha da offrire. Una giornata che vi rimarrà nel cuore all’insegna di arte, sport, cultura, folklore e gastronomia! Il percorso partirà da Palù del Fersina, addentrandosi nei luoghi più significativi descritti da Robert Musil, passando per l'antica segheria ed arrivando a Fierozzo, per un totale di circa 15 km. Per il rientro previsti bus navetta.
per info: Ufficio Turistico Valle dei Mòcheni 0461-551440 o info@valledeimocheni.it Costo per adulto € 20,00; per ragazzi nati dopo il 1.01.01 € 12,00; per bambini nati dopo il 01.01.09 € 5,00
MUSEO PIETRA VIVA Sempre in Valle dei Mòcheni, a Sant’Orsola Terme, si trova il Museo Pietra Viva. Questo museo, dedicato in gran parte alla geologia della Valle e all’attività mineraria che la ha contraddistinta per secoli, è una meta fantastica per le famiglie! All’interno si può ammirare una ricostruzione del più grande "geode" rinvenuto nell’arco alpino dai gemelli Pallaoro di S. Orsola Terme (famosi per le loro apparizioni nelle puntate di “Geo&Geo”). Attraverso i metalli viene raccontata la storia della valle, con interessanti spunti sulle pratiche dell'età del rame, usanze e modi di vivere tipici della valle. Fantastica per i bambini la “mini miniera” all’esterno del museo e la possibilità di cercare l’oro presso il piccolo ruscello artificiale. Se poi avete voglia di una passeggiata “magica” non potete non andare sul Sentiero Fatato, un giro ad anello che parte dal museo dove, se avrete fortuna, incontrerete funghi giganti, la fata e lo gnomo del bosco, oltre all’abete rosso di risonanza che dà vita ai migliori violini al mondo.
Per info: Museo Pietra Viva tel. 339/8159225 o gemelli@museopietraviva.it
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ALBUM
Bernstol Ring
Chiesa Frassilongo
Pietra viva luce
Attivita’ del Museo
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Il Museo di Canezza-Portolo Canezza è stata fino agli anni Cinquanta del Novecento il centro principale ed economico della Valle dei Mocheni. Qui infatti convergevano in gran parte gli abitanti della Valle per gli approvvigionamenti e i commerci. Il paese proprio per questo motivo, pur con una consistenza demografica limitata, si dotò di una straordinaria concentrazione di attività artigianali e commerciali molto conosciute ed apprezzate anche al di fuori della Valle. La “Guida di Pergine, Val dei Mocheni e Piné” di Cesare Battisti (pubblicata nel 1904) riconosce a Canezza il ruolo di capoluogo della Valle, a quel tempo quasi del tutto priva di strade. Battisti scrive: “Canezza è l’emporio commerciale dei Mocheni. Qui essi scendono ad approvigionarsi di viveri, di vestimenta: qui portano la selvaggina. Canezza ha negozi ben forniti; ha parecchi mulini, una bella filanda, due fabbriche di salami, una segheria, fucine, etc.”
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Attrezzi Agricoli ed Artigianali
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l Museo degli attrezzi agricoli ed artigianali della Comunità di Canezza – Portolo raccoglie numerose testimonianze del passato di questa attiva e laboriosa comunità. Nato prendendo spunto da un’idea di Luigi Bruno Oss, fabbro del paese, il museo venne aperto e inaugurato una prima volta nel dicembre del 2000, presso l’edificio un tempo sede del salumificio. Dalla fine del 2012 il museo ha cambiato sede, spostandosi nell’area un tempo occupata dal mulino riprendendo così in pieno il suo ruolo e la sua attività. Nel museo sono esposti, in forma razionale e suggestiva, gli attrezzi della lavorazione del latte (caseificio o casél), del fabbro (ferar), del salumificio, del falegname (tìsler), del bottaio (pìnter), del calzolaio (caliàr), del “fabbricante di dalmedre”, del tessitore (tesàdro), del funaio (fumadro), del sellaio (selàr), del mulino (molìn), del mondo contadino; il tutto arric-
di Chiara Paoli
chito con una consistente raccolta di fotografie, di documenti e “oggetti vari”, quale ad esempio il meccanismo di epoca asburgica, rimesso in funzione, del vecchio orologio della chiesa. Molti gli attrezzi a tutt’oggi funzionanti di cui è possibile scoprire l’uso ed il funzionamento, ma anche un notevole numero di fotografie che riguardano la Comunità di Canezza soprattutto, ma anche la Valle dei Mocheni e il Perginese.
Si sono raccolte immagini di processioni, delle alluvioni, di scolaresche, dei coscritti, di momenti di lavoro o di festa; immagini che ci portano a ricordare, ma che sono anche testimonianze concrete di storia solo apparentemente minore, ci aiutano a guardare al passato, per meglio capire il presente. Nel museo sono presenti alcune opere di Guido Stefani (1924 – 2013), scultore di Canezza, per anni socio attivo e so-
stenitore. Il museo è prima di tutto una testimonianza della storia della Comunità di Canezza - Portolo; ma lo è anche della storia della Valle dei Mocheni, del Perginese e più in generale dell’arco alpino. E’ una raccolta ragionata di attrezzi da lavoro e di oggetti di uso quotidiano, attraverso i quali è possibile intuire il modo di vivere delle passate generazioni, delle quali noi siamo la continuazione e il risultato; un modo quindi immediato, emotivamente coinvolgente, di ritrovare le nostre radici e di prendere consapevolezza della nostra storia. In occasione del centenario, in memoria del primo conflitto mondiale, dal 24 luglio al 30 agosto il museo ospita la mostra temporanea intitolata “Guardo la guerra penso la pace”, mostra di oggetti, fotografie, cartoline e documenti della Prima Guerra Mondiale.
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BENESSERE&SALUTE
La dietaESTIVA Normalmente, quando si parla di dieta, quasi sempre si intende un qualcosa che ha il preciso scopo di causare un dimagrimento e quindi una perdita di peso. La dieta, però, ha ben altri scopi che possono riassumersi in una migliore e più completa alimentazione volta al benessere fisico ed allo stare bene. I maggiori nutrizionisti, fra i quali il Prof. Giorgio Calabrese, sono del parere, infatti, che esista una dieta per tutte le stagioni a patto che siano rispettati i principi che della varie diete sono parte integrante. In questo nostro scrivere desideriamo porre l’attenzione sulla dieta dell’estate e su quelli che sono gli elementi che la caratterizzano ovvero i principi nutritivi che con gli alimenti devono essere assunti.
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ominciamo con sottolineare che la dieta estiva deve necessariamente modificarsi rispetto a quella invernale ovvero il principio basilare è quello di eliminare i grassi e oli a vantaggio di fibre, vitamine, verdure, frutta e sali minerali. A questo principio si deve aggiungere anche la buona e sana abitudine di evitare i cibi precotti e confezionati ( appesantiscono, sono meno digeribili e non sono indicati per combattere il caldo e il sole) sostituendoli con tutto ciò che è più digeribile e facilmente assimilabile. Tra le verdure indicate nell’alimentazione estiva sono da prediligere tutti quelli colorate meglio se mangiati crudi o poco cotti. E un’altra regola da seguire è quella di una buona colazione a base di frutta, la quale può essere ingerita anche nel corso della mattinata o nel pomeriggio. Secondo i più esperti nutrizionisti non solo frutta e verdura, ma anche i cereali “estivi” hanno la loro importante funzione. E per chi invece non vuole sostituire la carne, una buona regola è quella
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di evitare quella rossa a vantaggio della bianca in quanto più digeribile e dal minore contenuto di grassi. Ricordarsi che nella dieta estiva non può e non deve mancare il pesce, sia esso di mare, di fiume o di lago, in quanto questo alimento apporta una buona quantità di acidi grassi essenziali, molte vitamine, specialmente quelle del gruppo B, e tanti minerali che aiutano a combattere il caldo e l’arsura estiva. Importantissimo ruolo assume nel periodo estiva la “bevanda” ovvero tutto ciò che serve a reintegrare i liquidi persi con la sudorazione. Con il sudore e la traspirazione, infatti, il nostro organismo non solo perde liquidi, ma cosa può importante, elimina sali e i micronutrienti quali il cloruro di sodio, il potassio e il magnesio. Da qui la necessità di ridare al nostro organismo ciò che il caldo ha eliminato dal nostro corpo. Particolare attenzione deve essere riposta sia ai bambini sia
BENESSERE&SALUTE
FARMACIA COMUNALE DI CASTELNUOVO
Piazza Municipio 13/B - CASTELNUOVO (TN) Tel. 0461 751300 - Orario: dal lunedi al sabato 7.30 / 13.00 e 15.00 / 19.00
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prio si è “allergici” a questo sano liquido il tutto può essere sostituito da fresche centrifughe di verdura o di frutta, possibilmente senza aggiunta di zuccheri o dolcificanti anche sintetici. Buona idea è anche quella di bere tisane, decotti, thè (possibilmente del tipo verde) e caffè d’orzo. E il gelato? Per molti esperti di nutrizione il gelato rappresenta un vero e proprio alimento e non solo perché combatte il caldo e l’arsura ma anche perché essendo di facile digestione e assimilazione apporta all’organismo un giusta quantità di nutrimento e di calorie. Il gelato, nella dieta estiva, può essere ingerito sia da solo oppure accompagnato da buona frutta fresca e da biscotti di vario tipo.
FITOTERAPIA
agli anziani in quanto il contenuto idrico presente nel loro corpo è molto più basso di quello di un adulto. Molte persone bevono solo quando hanno sete, invece una buona abitudine è quella di ingerire liquidi anche quando non si ha sete. Ed è buona norma farlo anche quando si hanno sintomi di stanchezza o di spossatezza in quanto, secondo la scienza medica, un muscolo disidratato perde anche il 30-40% di efficienza. E quali sono i liquidi da ingerire? Al primo posto l’acqua doverosamente non gassata o con l’aggiunta di sciroppi. Naturale solamente naturale. Nel corso della giornata buona abitudine è bere almeno 2 litri di acqua che non sia però ghiacciata o molto fredda, specialmente quando si è stati esposti al sole per molto tempo e quindi la temperatura corporea è molto alta. Bere acqua fredda può causare, infatti, danni anche molto seri quali la congestione gastrica o addirittura quella polmonare. E se pro-
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MEDICINA&SALUTE
Quandol'alimentazione diventaunproblema
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disturbi alimentari, anoressia e bulimia tra tutti, non sono una tematica recente, figlia della nostra società, ma in principio venivano considerati una stramberia dal sapore quasi ottocentesco, simile alle "donne isteriche" studiate da Jean-Martin Charcot, psicologo francese, che nella seconda metà del XIX secolo studiò la mente umana, contribuendo ad aprire la via alla psicologia moderna. È dagli anni 80 del '900 che cambia la visione di questi disturbi: cambia la società e cambiano i valori. Improvvisamente l'obiettivo non è più quello di salvare il mondo ma affermarsi personalmente, ed è sotto questa luce che oggi vanno visti. Non è a caso che l'esordio del disturbo anoressico avviene spesso al limitare dell'adolescenza quando la giovane ragazza esce dalla cerchia strettamente familiare ed entra in un mondo fatto di giovani adulti ,che vogliono affermarsi e in primis conquistare l'attenzione altrui. A quell'età il ruolo della bellezza e dell'aspetto fisico attraente e curato gioca
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un ruolo importante, così come diventa particolarmente incisivo il giudizio degli altri. I giovani sono molto sensibili ai primi dispiaceri dettati dalle competizioni imposte dalla vita sociale. Così, questi ragazzi sono preda di stati di sofferenza particolarmente acuta, spesso legati a convinzioni, che in gergo psicologico, vengono definite maladattive, come la convinzione di non essere all'altezza, di non avere il controllo sulle situazioni e ancora peggio di non avere
di Laura Fratini
nessun controllo sulle proprie emozioni che spesso diventano ingestibili. Chiaramente non si può limitare un disturbo alimentare alle distorsioni della società o all'eccessiva importanza del valore della bellezza, ma di fondamentale importanza, nel caso dei disturbi alimentari, sono anche i processi interpersonali, come le tensioni familiari o eventi stressanti sfavorevoli. Interessante è l'evidenza di come le tensioni familiari favoriscono il restringimento alimentare come nel caso dell'anoressia nervosa e come alcuni eventi sfavorevoli possano invece intensificare l'alimentazione incontrollata quali la bulimia nervosa. Così, le condotte alimentari disfunzionali (vomito autoindotto, intenso esercizio fisico o alimentazione incontrollata), vengono usate per controllare questi stati d'animo. Chi soffre di disturbi alimentari sente di essere incapace di controllare i rapporti personali, le reazioni emotive interne e gli eventi in generale e, per raggiungere un certo grado di prevedibilità e controllo, sono disposti a confinare le loro vite focalizzandole sull'alimentazione e
sulle dimensioni corporee. Persone anoressiche terrorizzate dalle loro emozioni negative incontrollabili, cercano disperatamente di compensare esercitando un controllo materiale sulla quantità di cibo ingerita o sul peso forma. I disturbi alimentari comprendono ad esempio l'anoressia nervosa, caratterizzata da un intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi. E questo anche quando si è evidentemente in sottopeso, poiché il soggetto ha una percezione alterata del proprio corpo. Questi soggetti mettono in atto delle restrizioni alimentari o in alcune fasi mangiano e poi utilizzano condotte di eliminazione quali (vomito, uso di lassativi o diuretici). La bulimia nervosa invece, è caratterizzata da ricorrenti abbuffate e ricorrenti condotte compensatorie per non aumentare di peso e anche in questo caso i livelli di autostima sono influenzati dalla forma e dal peso corporeo. Esiste anche un altro disturbo che è pur-
troppo molto frequente: chiamato binge-eating disorder. Questi pazienti riportano abbuffate compulsive, mangiano in un breve periodo circoscritto quantità di cibo altamente superiori rispetto a quelle che la maggior parte delle persone mangerebbero nello stesso tempo, ma non assumono metodi di compenso ed infatti la maggior parte di questi pazienti è obesa. È comunque abbastanza condiviso da molte correnti psicologiche che i disturbi alimentari esprimono sempre un profondo senso di disagio emotivo, di difficoltà di strutturazione della propria identità e del proprio senso di autonomia personale. Per questo è molto importante in terapia concentrarsi sulle condotte alimentari cambiando le credenze disfunzionali alla base del disturbo e che alimentano il disturbo stesso. Spesso chi soffre di un disturbo alimentare serio, deve essere
preso in carico da strutture specializzate che si concentrano sulla rieducazione dell'alimentazione con un equipe che segue questi pazienti in modo appropriato da ogni punto di vista. La psicoterapia ha un ruolo fondamentale nei disturbi alimentari, in quando aiuta il paziente ha capire in modo più approfondito cosa lo porta ad usare il cibo in modo disregolato e quali sono i fattori che spesso mantengono queste condotte cosi rigidamente attive. La dott.ssa Laura Fratini è specializzata in Psicologia clinica (laurafratini.psicologa@gmail.com) La dottoressa Frattini riceve su appuntamento: tel. 339 2365808
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PROTEZIONE DEGLI OCCHI Gli occhi sono i nostri organi più sensibili ai raggi solari. Infatti in una giornata piena di sole e di riverberi, sentiamo forte la necessità di proteggerli attenuando la luce. La componente pericolosa della luce per i nostri occhi è costituita dalla radiazione UV, con la differenza che non essendo percepita non ci fa sentire la necessità di proteggerci. Indossiamo sempre un buon paio di occhiali da sole, chiedendo informazioni sulla qualità ottica delle lenti e sul grado di protezione dagli UV. PROTEZIONE SOLARE E BENESSERE Ormai è provato che i raggi solari UV possono essere dannosi per gli occhi. La protezione dai raggi UV è efficace solo utilizzando lenti trattate a norma, che superano i test di verifica che hanno il marchio CE e hanno le opportune indicazioni d'uso. I raggi UV sono visibili e possono causare all'occhio una serie di problemi: sono causa di congiuntiviti; a) in caso di esposizione molto intensa possono danneggiare l'epitelio della cornea; b) attraversando l'occhio, favoriscono l'invecchiamento del cristallino, aumen-
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di Rolando Zambelli Rolando Zambelli è titolare dell’Ottica Valsugana con sede a Borgo Valsugana in Piazza Martiri della Resistenza. È Ottico, Optometrista e Contattologo.
tando il rischio di cataratta; c) per questo i raggi UV sono ritenuti tra i fattori di rischio nei processi degenerativi della retina negli anziani. L'attenzione alla protezione ai raggi UV serve già nei bambini perchè i danni delle radiazioni si sommano progressivamente per tutta la vita. Iniziando da subito con un'adeguata protezione, si riducono i rischi. Infine, è opportuno ricordare che alcune condizioni ambientali estreme aumentano la pericolosità dei raggi solari UV, come le esposizioni in alta montagna e sulla neve, dove i danni possono essere anche immediate, o in mare o in condizioni di riflessioni violente della luce. Per migliorare l'efficienza visiva diurna è indispensabile, da parte di coloro che già utilizzano lenti correttive ( sia occhiali che lenti a contatto) dotarsi di occhiali da
sole con lenti specifiche che trattengano i raggi nocivi e che aumentino il contrasto. Per questo è bene fare molta attenzione agli occhiali che si scelgono: le lenti devono essere di alta qualità ed avere la protezione UV/400, che blocca i raggi UVA e UVB e devono avere una colorazione non troppo scura e con una percentuale di assorbimento della luce adeguata. Inoltre il trattamento di antiriflesso interno sulle lenti sole-vista aumenta il confort visivo e la percezione dei contrasti.
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L’ISOLA DI BALI
di Tiziana Margoni
Bali pare L’isola che non c’è della canzone di E. Bennato. Misteriosa ed esotica, ma dove si trova? Per arrivarci si parte da Milano,Venezia o Roma. Si viaggia verso sud-est per diciassette ore d’aereo, si fa una sosta intermedia a Singapore o Doha o Bangkok. E si arriva alla fine, quasi a pelo d’acqua, sulla pista di Denpasar, il capoluogo. Sorvolando l’isola si sono visti il mare, la spiaggia di Kuta, il lungomare con gli alberghi, e Seminyak, Sanur, Jimbara; il rigoglioso verde delle risaie a terrazzamenti e i vulcani. L’isola, fra le più piccole dell’Indonesia, è anche la più famosa grazie ai viaggiatori -artisti e studiosi- che negli anni ’30/‘40 ne sono rimasti affascinati e l’han fatta conoscere nel mondo.
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ali si trova sotto l’Equatore; ha due stagioni, quella estiva e quella delle piogge. Il paesaggio e la gente, fra passato e futuro; ritmi tranquilli e caos, luoghi incantevoli e usanze antiche convivono, rendendola unica. Come soggetti di quadri naif: dopo l’acqua alta, i ragazzi pescano nei fossi e nei canali; i surfisti stanno di fronte al mare a studiarne l’onda; prima del tramonto i bambini fanno volare gli aquiloni; nelle risaie il contadino è curvo al lavoro e il guardiano delle oche si staglia contro l’orizzonte; i commercianti assemblano merci su merci; giovani donne pregano davanti ad altari di pietra. In ogni ristorante di strada, intanto, si vende riso bollito o fritto, con salse piccanti e spezie, verdure, spiedini di carne, uova, polpette di soia. E in ogni centro abitato c’è un mercato affollato. A Denpasar è il più grande. Abbondano frutti e aromi nei cesti, fiori, sarong e batik, artigianato del metallo, del legno e della paglia; prodotti naturali, oli essenziali, creme ai chiodi di garofan e altro ancora. Profumi d’incensi nell’aria, mentre i venditori al primo incasso -in rupie o dollari- con gesto scaramantico, sventolano la mazzetta di soldi: porta bene!
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La religione a Bali è l’induismo: un insieme di filosofia e pratiche spirituali e culturali. Molte sono le feste religiose: al plenilunio e alla luna nuova e Galungan, tanto per fare qualche esempio. E’ davvero bello vedere la gente sorridente e vestita a festa, con i fiori tra i capelli, che porta cesti e offerte di frutta sulla sommità del capo. In corteo, a piedi, ai bordi delle strade o dei canali nelle risaie o lungo scalinate di terra battuta coperte talvolta di muschio o verso la spiaggia, tutti sono diretti ai templi. Colorata e numerosa è la compagnia dell’orchestra dei gamelan, che si sposta su camioncini, portando con sé gli strumenti tipici per suonare in ogni cerimonia sacra, per le danze e il teatro delle ombre o nei riti di passaggio delle varie età. Il vestiario tradizionale accomuna tutti i fedeli, nella foggia e nei colori: esalta la grazia femminile e segna il momento della socialità. Molte sono anche le figure mitiche e le leggende che formano le credenze e che si esprimono nel teatro, nelle maschere, nei rituali. Famosa è la danza del Barong,
mezzo cane e mezzo drago, dal muso di legno colorato e da drappi frangiati ondeggianti al passo del ritmo incalzante di suoni metallici e martellanti. Stesso rituale e danza per Rangda, figura dello spirito del Male in eterna lotta contro il Bene. Ci sono personaggi popolari e maschere buffe nel teatro tradizionale, e altri, inquietanti, con maschere lignee e nero crine. Di origini giavanesi è il teatro delle ombre con le sagome in cuoio traforato, animate dalla regia di un solo uomo che dà le voci a tutti i personaggi della storia. La danza tradizionale s’insegna in scuole speciali sin dall’infanzia; è arte integrante di ogni rito. L’artigianato è l’orgoglio dei “maestri”, artisti nel loro mestiere, che trasmettono di padre in fi-
glio i processi di lavorazione e i segreti del batik, del cesello orafo, dell’intaglio della pietra o del legno. I centri più importanti dell’isola, oltre al capoluogo Denpasar sede di Musei e Uffici Governativi, sono quelli balneari. Kuta, la più frequentata per la movida e le onde lunghe decine di chilometri adatte al surf. Seminyak, per i negozi di manifatture esclusive e antichità, per i villaggi turistici di fascino coloniale o minimalista. Sanur, con ristoranti rinomati e quadri colorati esposti lungo la strada che affianca la spiaggia. Nusa Dua, curata in ogni sua strada e giardino, ha sabbia fine e bianca e mare trasparente ed è meta tranquilla e signorile. Poi le spiagge di Kusamba e Candidasa, di fronte all’isola di Lombok. Lovina a nord è nota per il passaggio al largo dei delfini. Sempre a nord-ovest c’è il Parco Nazionale di Bali. Ubud è all’interno dell’isola ed è il centro culturale di arte e pittura -naif, tradizionale e moderna-, e produzioni di oggetti in vetro, tek, sculture e mobili, porte massicce decorate in oro. La lavorazione dell’argento è nella vicina Celuk. Bedugul, in montagna, ha il suo tempio sul lago Bratan, il
mercato di piccoli animali da cor- gli spiriti protettori. Nelle case le donne tile, prodotti delle serre per i mer- depongono sugli altari piccoli cesti e ofcati delle zone di mare e i centri ferte di caramelle, sigarette, fiori, biurbani. I templi sono presenti ovun- scotti, e accendono incensi. Questi altari que. Fra i più importanti Besakih in pietra locale nera, sono ricoperti di sullo sfondo del vulcano Agung. stoffe colorate e preziose, specchietti, Tanah Lot è su un isolotto: scen- bandiere a forma di vela, ombrellini con dendo in spiaggia si accede a piccole nappe e decori di metallo lavorato a grotte, dove l’officiante offre un breve sbalzo, entro giardini di piante e fontane rito di purificazione anche ai turisti. Que- con mandala di petali. Capiterà di certo sto tempio, con l’alta marea è raggiun- al turista di vedere, in orari mattutini e gibile solo in barca. Uluwatu è a picco serali, le donne che portano offerte agli sulla scogliera a strapiombo; frequentato incroci delle strade o piccole barchette da visitatori e fedeli, ma anche da scim- create con fibre vegetali, e con offerte, mie vagolanti pronte a infastidire i turisti. affidate alle onde. Qui si rappresenta il Kecak, danza tradi- Le etnie di Bali, come per il resto delzionale che narra una storia epica indù, l’Indonesia sono derivate da antiche caratterizzata dal solo coro delle voci dei migrazioni indiane, ma anche da mescolanze con i cinesi nella zona a nord, danzatori. C’è poi il tempio di Goa Gajak, dentro le e troviamo fra gli antenati, sia i feroci viscere delle terra. A sud-est dell’Isola, si pirati che i misteriosi e aristocratici Aga. visita l’antico complesso delle residenze Ciò conferma che l’Isola ha attirato a reali in stile indiano, con giardini, vasche, sé e accolto da sempre genti diverse. acque termali e fiori di loto: Klungkung. Tutti questi particolari aspetti sono solo La storia documenta che l’ultimo re di la punta emergente dell’essenza di Bali Bali per non arrendersi agli Olandesi in- e della sua spiritualità complessa, e ci vasori, qui, si diede la morte con un pu- fa capire perché Bali sia “l’isola dove gli gnale, seguito nell’esempio dall’intera dei sorridono”. corte e dalle mogli. Ci sono poi tempietti, a protezione dei campi, tra bandiere di nailon e stoffe che ondeggiano all’aria su fili che attraversano da un capo all’altro le risaie. E i tempi di famiglia, per gli Già nel 1480 grandi viaggiatori nei loro primi giri intorno al mondo nomiantenati e
Sapevate che ?
nano Bali? Pigafetta, l’italiano che navigò con Magellano, elenca nei diari: luoghi, animali, piante -alberi di cannella-. E’ colpito dagli usi diversi: “ la moglie, dopo la cremazione del marito, si agghinda di fiori, ride e consola i parenti”. Dice: “Non piangete, questa sera mangio e dormo assieme al mio sposo”. Si fa portare al fuoco della pira funebre, e vi si getta. E che esisteva lo schiavismo? Olandesi, Inglesi e Portoghesi hanno contatti commerciali con il re di Bali, nel 1500 e nel 1700. Esistono documenti che parlano di schiavi -nemici sconfitti con assalti di pirateria in Malesia o isole vicine- usati nei lavori o venduti a Francesi e a Portoghesi. E che naturalisti ed esploratori fanno riferimenti a strani animali di Bali? Wallace, nella seconda metà del 1800, scrive di “cactus con aculei, di piccoli bovini, di uccelli tessitori con piumaggio giallo che costruiscono nidi a forma di bottiglia fra gli alberi sulla spiaggia. ” Tra le molte specie di farfalle ne scopre e denomina una nuova, dai disegni neri e arancio su fondo bianco. Negli anni Trenta, un altro italiano si incuriosisce per certi porcellini neri di esportazione mai visti prima, “di razza cinese, con la pancia che tocca terra per la schiena profondamente incurvata e di varie specie di uccelli del paradiso dai colori indescrivibili”. E cosa stupì uno dei più importanti antropologi americani contemporanei? Il gallo! Fra tutti gli animali a Bali è uno sport! Gli uomini passano i pomeriggi ad addestrare il loro gallo da combattimento, lo nutrono con grani di pepe rosso, e organizzano combattimenti con scommesse. Sapevate che Mata Hari era…? di origini olandesi, ma visse in Indonesia? Lì imparò le danze orientali e le arti sensuali che la resero un’affascinante spia durante la grande Guerra. E che Mata-hari, significa “sole/occhio dell’alba?”
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astronomia la costellazione
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Il Leone è una grande costellazione zodiacale dell'emisfero settentrionale appartenente alla fascia zodiacale, visibile sia in inverno avanzato che all'inizio della primavera. Si trova tra la costellazione del Cancro e la Vergine. E’ facilmente individuabile anche ad occhio nudo poichè le stelle più luminose hanno una forma di trapezio, a cui è connesso un famoso asterismo, chiamato "la falce" che corrisponde alla testa del leone. Per trovare tutta la costellazione del Leone, basta partire da Regolo, la stella più brillante, sapendo che rappresenta il petto della belva. Il leone è raffigurato esattamente nella posizione di una sfinge, quindi dal petto, salendo, si vede la testa e andando verso Est si vede il corpo. Come detto,la stella più luminosa della costellazione del Leone è Regolo (Alfa Leonis) una stella molto calda distante dalla Terra 77 anni-luce. Regolo, che è anche conosciuta come "il cuore del leone" o “piccolo re”, è in realtà una stella doppia, perché ha una compagna di colore rosso e quindi più fredda. Si dice che questa stella, insieme a Aldebaran, Antares e Fomalhaut, è una delle quattro stelle regali Nella costellazione del Leone si trovano anche molte galassie. Una è conosciuta come “tripletta” in quanto è formata da tre galassia molto vicine molto luminose: la M65, la M66 e la NGC3628. Tra le stelle del Leone ricordiamo : Denebola (Beta Leonis) che dista dal nostro pianeta 36 anni luce. Questa stella indica la coda del Leone; Algieba ( Gamma Leonis) , una stella doppia; Zosma (Delta Leonis) una stella bianca distante da noi 58 anni luce. La sella più vicina a noi è Wolf359, una nana rossa (piccola e fredda) che dista dalla Terra solamente 7,8 anni luce. Per la cronaca questa stella è divenuta famosa grazie alla serie televisiva Star Trek. E’ difficilmente individuabile con i telescopi amatoriali o fatti in casa. Wolf359 ha un piccolissimo diametro per essere una stalla (solo 265.000 km, 22 volta quello della Terra). Tutte le nane rosse sono stelle poco luminose e debolissime che possono essere osservate solo con potenti telescopi. Secondo la mitologia questa costellazione era molto nota. Era la costellazione del solstizio d’estate per questo in agosto si parla di “solleone”. Deve il suo nome alla prima delle 12 fatiche di Ercole e precisamente a quella dell’uccisione del leone di Nemea. Ercole lo afferrò per la criniera e lo sconfisse. E sebbene riuscì a battere il Leone, Zeus volle premiare l’animale mettendolo in cielo e facendo in modo che la sua costellazione fosse molto luminosa di quella dedicata ad Ercole.
curiosità Dato che la costellazione del Leone è una delle dodici dello Zodiaco (la zona di cielo percorsa dal Sole in un anno) la Repubblica di S.Marino negli anni ’70, continuando la tradizione ,ha emesso anche per questa costellazione uno dei dodici francobolli con una valore facciale di ben 5 lire!
LEONE
astrologia lo zodiaco ABBIGLIAMENTO GIOCATTOLI
22 agosto
LIBRI
Insieme all’Ariete e al Sagittario, il Leone costituisce i segni di fuoco Il Leone è riconosciuto non solo come il segno zodiacale del potere, ma anche della volontà e determinazione unite a gentilezza. I nati sotto questo segno infondono a gli altri un senso di fiducia e di una certa sicurezza. Nella società sono ricercati in quanto riescono ad organizzare bene gli eventi e le manifestazioni alle quali partecipano. Tutti gli appartenenti a questo segno sono a volte prepotenti, sicuri di se, orgogliosi e non di rado coraggiosi. E come il leone animale tendono a prendere il comando e quindi a comportarsi come capi ed indiscussi leader in quanto sovente dimostrano di possedere un certo carisma. Caratterialmente oltre ad una evidente autorità nel comportamento, sono decisamente individui magnanimi e sempre propensi ad aiutare il prossimo ed i più bisognosi. Per quanto riguarda gli affetti, tutti Leoni hanno uno spiccato senso paterno e quindi sempre pronti a difendere ed attaccare chi “osa” arrecare danno agli elementi della sua famiglia. In amore il Leone è un grande amante, portato a piacere alla compagna anche se a volte è facile al tradimento. Tuttavia a dispetto di questo lato del suo carattere, il Leone è sempre in grado di coccolare la compagna o le vere amicizie verso le quali dimostra costanza e onestà di pensiero e di comportamento. A questo di aggiunge che gli appartenenti al Leone sono ottimi compagni di viaggio e in questo campo sono portati a selezionare i compagni con i quali decidono di intraprendere le avventure. Per effetto del suo carattere forte il Leone vuole o desidera sempre primeggiare nel lavoro e nelle professioni dove è in grado di mostrare le sue doti migliori. Anche il Leone, come tutti gli altri segni dello Zodiaco ha alcuni aspetti negativi: la permalosità e non sopporta le critiche ed i richiami. Al primo dissenso reagisce e si pone in un atteggiamento d’attacco.
curiosità Il pianeta dominante è il Sole, l'elemento è il fuoco e la qualità è fissa. Colore da portare: il giallo oro. Metallo: l'Oro, simbolo del sapere, che dà coraggio e vitalità Pietra Portafortuna: il diamante. Giorno favorevole: la Domenica che è il giorno del Sole.
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