Valsugana News n. 2/2017 Aprile

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Speciale casa

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L’EDITORIALE  di Armando Munaò

DURNWALDER

un uomo d’altri tempi Nella mia quasi trentennale carriera di giornalista, di interviste a personaggi famosi ne ho realizzate tante. Quella però che ho avuto il piacere di fare a Luis Durnwalder, ancora oggi considerato uno dei maggiori esponenti dell’Autonomia Trentina e che, senza tema di smentita, ha caratterizzato per oltre quarant’anni la storia del Südtirol, affermandosi come uno dei politici più amati dalla gente, rimarrà per me come una delle più significative. Il dialogo, più che un’intervista, che io e Franco Zadra, mio vicedirettore, abbiamo avuto con lui, ci ha fatto incontrare un uomo d’altri tempi. La “forte personalità”, l’innegabile carisma, la simpatia, la sincerità, la concretezza del parlare e del fare, e la consapevolezza, come ha voluto precisare, che quando si scende nell’agone politico lo si deve fare solamente per il bene della gente. Sono stati questi gli elementi “umani” che ci hanno colpito e che indiscutibilmente, a mio modesto avviso, appartengono a pochissime persone. E Luis Durnwalder è una di queste. Una persona che, indiscutibilmente, è rimasta nel cuore e nel pensiero degli altoatesini. Un politico che ancora in molti, e sono davvero tanti, etichettano e ricordano come il “Presidente” del dialogo e della distensione. Colui

il quale, con il suo pensiero e il suo dinamico fare, si è battuto, e ci è riuscito, per eliminare dalla quotidianità della “sua” gente, qualsiasi tensione di origine etnica che per decenni aveva caratterizzato la convivenza tra italiani e germanofoni. Si deve a lui se la pacificazione tra i gruppi linguistici dell’Alto Adige ha fatto passi da gigante. Si deve a lui, a Luis Durnwalder, se la politica ha assunto il deciso ruolo del fare, dell’agire, e non tanto quello del “parlare” che purtroppo sempre di più appartiene ai “nostri” politici. Luis Durnwalder ancora oggi ama definirsi come un “semplice” amministratore al servizio della gente. E la gente l’ha apprezzato in maniera dav-

vero “unica” perché a oggi pochi uomini politici sono stati amati come lui e non solo dai suoi concittadini ma anche dai Tirolesi e dai Trentini. Tra i residenti dell’Alto Adige viene ancora indicato come “uomo” vicino alla gente. Pure i suoi avversari politici, gli riconoscono un’alta statura morale, un costante impegno per la gente, e un’azione politica e amministrativa che in Alto Adige non ha avuto molti altri equivalenti. E nessuno ha dimenticato il famoso «Sarò il presidente di tutti », quando il 17 marzo del 1989 fu eletto Presidente della Giunta Provinciale di Bolzano facendo intendere che per lui non esistevano distinzioni di sorta tra italiani, altoatesini, e tirolesi. Dopo venticinque anni di presidenza della Provincia autonoma di Bolzano, Luis Durnwalder ha lasciato la politica istituzionale e come un “grande” guerriero si riposa, incontrando però ancora la sua gente, girando l’Europa a testimoniare un’Autonomia possibile e vincente. Il suo nome, per ciò che è stato, per quello che ha saputo fare per la “sua” Provincia e per la “sua” Regione, e per quello che ancora è e sarà, troverà di certo posto a fianco di quello di Silvius Magnago, riconosciuto e ricordato come il “grande” padre dell’Autonomia.

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IL SOMMARIO Editoriale.......................................................... 3 Luis Durnwalder................................................ 7 Educare all’imprenditorialità ............................. 12 ISTAT fotografa l’Italia..................................... 14

SPECIALE CASA “HABITAT”

In ricordo di Giovanni Lenzi ............................. 16 La petrografia di Ciro Andreatta ....................... 18 AGIRE: coordinamento nel mondo.................... 21 Gigliola Galvagni, tra poesia e racconti.............. 22 Le badanti: italiane SI...italiane NO .................. 24 Allarme vaccini SI…o… NO.............................. 26 Psicologia & salute_ i bambini e l’emotività ....... 28 La chirurgia estetica incontra il pentimento ....... 30 Elettrificazione della ferrovia valsugana............. 31 L’Antica Farmacia Romanese ............................ 40 Le cronache.................................................... 53 Il viaggiare condiviso....................................... 54 Le cronache.................................................... 56 Il personaggio: Elisabetta Wolf......................... 58 Una storia di vera amicizia ............................... 60 Le cronache.................................................... 61 Aiutiamo il WFP .............................................. 62 Chiarentana e il nuovo direttivo........................ 64 La scrittrice Margherita Manica......................... 65 Altroconsumo: comprare a rate ........................ 66 Parassiti e antiparassitari ................................. 69 Millepiedi: integrazione della disabilità .............. 70 Benessere & Salute: le lenti per bambini........... 71 Medicina & Salute: gestire le emozioni.............. 72 Tra storia e tradizioni: Castellalto...................... 74 Il Coro Calicantus............................................ 76 Viaggio attraverso il territorio........................... 78 Giocherellando................................................ 79

Dalla torre di Babele ai grattacieli ........................ 33 L’architettura preistorica ....... 36 Mondo palafitticolo................38 Le case sugli alberi .............. 42 Conosciamo le aziende: Peruzzi................................ 44 La sicurezza di casa propria .. 46 In aumento i furti in casa ..... 47 AGIRE: un’assicurazione per sentirsi sicuri ................. 49 Conosciamo le aziende: TRE ERRE Arredamenti ........ 50 Il Cohousing ........................ 51

ANNO 3 - APRILE 2017 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munao’ - 333 2815103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Franco Zadra COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser - Silvia Tarter COLLABORATORI Roberto Paccher - Luisa Bortolotti - Elisa Corni Erica Zanghellini - Francesco Cantarella Francesca Gottardi - Veronica Gianello Maurizio Cristini - Alice Rovati - Daniele Spena Alessandro Dalledonne - Mario Pacher - Franco Zadra Laura Fratini - Francesca Schraffl - Sabrina Mottes Chiara Paoli - Tiziana Margoni - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover Giampaolo Rizzonelli CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE Edizione Printed srl Viale Vicenza, 1 - Borgo Valsugana IMPAGINAZIONE, GRAFICA Grafiche Futura STAMPA Grafiche Futura PER LA PUBBLICITÀ SU VALSUGANA NEWS info@valsugananews.com www.valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright EDIZIONI PRINTED e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a EDIZIONI PRINTED, le loro pubblicità, le loro immagini i loro testi o articoli. Per quanto sopra EDIZIONI PRINTED si riserva il diritto di adire le vie legali per di tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.

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Gli italiani del Sud Tirolo, e non solo loro, ricordano Luis Durnwalder come il presidente della distensione, colui il quale si è impegnato per eliminare dalla quotidianità ogni tipo di contrasto di origine etnica. Nei suoi 25 anni di vita politica e grazie a “Lui” la pacificazione tra i vari gruppi linguistici ha fatto passi da gigante. E sin da subito la popolazione italiana residente in Alto Adige ha sempre apprezzato il pragmatismo di Luis Durnwalder. È stato un vero “decisionista” se paragonato ai comportamenti della stragrande maggioranza dei politici italiani, non di rado caratterizzati da indecisioni, confusioni e pochi fatti. E nel tempo e con il tempo ha veramente concretizzata una delle sue prime dichiarazioni, quel “sarò il presidente di tutti gli altoatesini.” che ha detto quando si è insediato e che ha etichettato il suo essere “amministratore” non politico, come lui ha sempre amato definirsi. Da ricordare tre principi ed elementi portanti del suo fare: un vero e concreto impegno per ampliare l'autonomia speciale; un continuo fare mirato ad eliminare i ritardi sul piano delle infrastrutture, potenziando lo sviluppo socio-economico. E infine la pacificazione e un maggior dialogo tra tutti i gruppi linguistici.

Luis Durnwalder  di Armando Munaò e Franco Zadra

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uis Durnwalder (classe 1941), è stato presidente della Provincia autonoma di Bolzano dal 1989 al 2014 e presidente di turno della Regione Autonoma del Trentino-Alto Adige/Südtirol dal 2004 al 2006 e dal 2008 al 2011. Dal 2011 al 2013 è stato eletto presidente di turno del GECT Tirolo-Alto Adige-Trentino. Quinto di undici fratelli, cresce in una famiglia di contadini di montagna pusteresi, domiciliata a Falzes. Frequenta la scuola elementare a Hofern, la scuola media ed il ginnasio presso il Convento di Novacella, consegue il diploma di maturità nel 1962 a Bolzano. Dal1962 al 1966 frequenta e consegue la laurea presso le facoltà di Agraria di Vienna ed in seguito di Firenze. Compie poi studi di giurisprudenza presso le facoltà di Vienna ed Innsbruck. In seguito insegna prima alla Scuola Media di Brunico, poi presso gli istituti professionale e commerciale di Bolzano. Dal 1968 al 1979 è Direttore del Consorzio dei Coltivatori Diretti "Südtiroler Bauernbund” altoatesino, vicedirettore della rivista specializzata “Der Landwirt (il contadino) nonché redattore responsabile della rivista “Freiwillige Feuerwehr (il vigile del fuoco volontario).

Inizia la carriera politica quando dal 1969 al 1973 viene eletto sindaco del suo paese natale. Nel 1973 entra in Consiglio provinciale (assessore dal 1973 al 1978 e dal 1979 al 1989. Vicepresidente dal 1976 al 1978. Il 17 marzo 1989 è eletto Presidente della Giunta provinciale della Provincia Autonoma di Bolzano. Carica riconfermata a larga maggioranza per altre quattro volte consecutive: nel 1994, nel 1999 e nel 2003 e nel 2008. Dal 2004 al 2006 e dal 2008 al 2011 viene eletto anche alla carica di Presidente di turno della Regione del Trentino-Alto Adige). Dal 1984 al 1994 Vicepresidente della SVP. Dal 1994 al 2014 membro del comitato delle Regioni presso l’Unione Europea a Bruxelles. Dal 14 giugno 2011 al 10 ottobre 2013 assume la carica di presidente di turno del GECT Tirolo-Alto Adige-Trentino, ruolo a mandato biennale che ricopre in alternanza con i presidenti di Trentino e Tirolo. Non si ricandida alle elezioni del 2013 e si concede il meritato riposo. A oggi, senza tema di smentita, è considerato il leader della Südtiroler Volkspartei (il partito più importante dell'Alto Adige) ed uno dei più significativi padri dell’Autonomia.

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Luis Durnwalder Inte rvista Esclusiva

il decisionista

Lo incontriamo nel salottino di rappresentanza dell’Hotel Laurin, a Bolzano. Arriva quasi puntuale all’appuntamento e subito, per scusarsi, ci offre un caffè. Si mostra con tutta la sua paciosa concretezza di contadino pusterese. Sapevamo che non era facile ottenere un’intervista con lui, ma sembra a suo agio e subito comincia a raccontare la sua vita e la sua storia politica.

Qual è il punto del suo carattere più apprezzato dalla gente? Non sono una persona facile, ho il mio carattere, ma quello che la gente ha sempre apprezzato in me è il mio decisionismo. Qualcuno ha detto che questo non è democrazia, ma per me democrazia non vuol dire parlare, parlare, parlare senza decidere. Democrazia è parlare con tutti, però poi assumersi la responsabilità di decidere. Oggi purtroppo in politica si parla troppo e non si ha il coraggio di decidere. È sempre un rischio. Io non sono mai stato politico nel senso vero, nel senso dell'ideologia. Ho sempre inteso la politica come uno strumento per risolvere i problemi quotidiani della gente. Il compito della politica è fissare dei paletti, ma lasciare poi che la gente all'interno di questa cornice possa muoversi, possa realizzare, possa fare. Se siamo ai primi posti come standard di vita e pil, lo dobbiamo alla gente che è molto più brava di quanto alle volte pensiamo. Occorre capire però che tutti debbono dare il loro contributo, se tutti lavorano allora possiamo goderci anche il benessere; l’impegno personale deve avere un cuore, ciò che facciamo dobbiamo farlo con convinzione, con gioia, con passione. Bisogna essere disposti però a sporcarsi le mani, se ci si aspetta solo che la Provincia faccia, che il Comune faccia, allora è finita. In Sicilia hanno l'Autonomia, forse anche più perfetta della nostra, almeno sulla carta, ma noi prendiamo il 90% di ciò che produciamo,

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in Sicilia prendono il 130%, trattengono tutte le tasse ma percepiscono anche dai fondi nazionali. Mi permetto di pensare che forse là manca una vera passione per l’Autonomia, e forse c’è meno libertà che da noi, hanno un'altra tradizione, qui invece la gente sa che se non fa niente non deve meravigliarsi che non succede niente.

perché altrimenti prima o poi se ne va. Ma questo è possibile se le piccolemedie aziende sono disposte ad andare fuori. Serve una politica che dia certe agevolazioni così che abbiano qualche vantaggio nell’andare in periferia. Poi quando vedono che queste persone semplici sono anche molto più affidabili, molto più attaccate alla loro azienda, allora non vogliono più andar via e abbiamo ancora paesi vivi.

Un merito della politica autonomista? Lo sviluppo non ha riguardato solo i Le manca la politica? centri più grandi, abbiamo sempre pen- Più che definirmi politico, mi definirei sato anche alla periferia, all'ultima fra- pragmatico, più un amministratore che zione, l'ultimo paese, l'ultimo comune. non badava molto alla distinzione tra Se in periferia manca la vita, i servizi, le un partito e l'altro. Ho lasciato al partito strutture, allora un pezzo della nostra la preoccupazione per l’ideologia, ho provincia è come morto, per questo ab- chiesto solo di lasciarmi governare. Con il decreto di nomina del nuovo presibiamo decentrato i posti di lavoro per gli operai, ma anche per i contadini, perché il 74% dei nostri contadini non può vivere solo di agricoltura, c’è bisogno di un altro reddito, e se non creiamo questo secondo reddito al maso con una pensione, un ristorante, un affittacamere, allora dobbiamo dare la possibilità di trovare un posto di lavoro nelle vicinanze. Nessuno dovrebbe fare il pendolare in un raggio superiore ai 25 chilometri, Con Sua Santità Giovanni Paolo II e il Vescovo Egger


dove la domanda era "come avete risolto questi problemi?". A Salisburgo ho tenuto una relazione sull'Europa delle regioni. Poi a Passau, e a Hildesheim, in Germania. Mi hanno invitato a parlare della mia esperienza, perché ci sono molti “però” riguardo all’idea di Europa... io cerco di illustrare i punti essenziali dello Con il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano stare in Europa. Dico che ci ha dato tantissimo, ma su certi punti va ripensata dente della Provincia, avevo capito subito perché non deve immischiarsi troppo che la mia carriera di amministratore con gli Stati. Il 22 aprile sono stato inviera finita, ma lasciare tutto questo con tato a tenere una relazione in Crimea. il cuore mi è costato un po’, una sorta La Russia vorrebbe dare loro una certa di inerzia nel fermare il carro. Ancora libertà e una certa Autonomia e sono mi capita di leggere il giornale e pensare: interessati a conoscere come il Sud Tirolo "io questo lo avrei fatto in modo diver- ha fatto. Sono un assertore del principio so". Mi manca il poter intervenire, anche di sussidiarietà dove Stati e Regioni se credo sia giusto che ora me ne stia danno il proprio contributo in libertà. zitto. Quando vado nei paesi a fare un discorso, come ancora mi capita, tre o Che cosa le faceva più paura alquattro volte la settimana, mi accorgo l’inizio della sua presidenza? che sono ancora molto amato dalla Soprattutto tre cose: la differenza tra i gente e ora mi sto godendo il prestigio ceti sociali, l’armonia tra i gruppi linguidi essere stato 25 anni presidente della stici, e Roma con i suoi apparati. ProveProvincia. In quegli incontri cerco di co- nivo dalla Unione Contadini, ero assesmunicare il modello di valorizzazione sore all'agricoltura e pensavo che gli delle minoranze e la nostra idea di Au- operai avessero difficoltà tonomia. Una cosa che interessa molto ad accettarmi. Poi, non ho anche all'estero. In questi ultimi due ne la faccia e né la lingua anni sono stato in Ucraina, in Sud Africa, di un tipico italiano, parlo in Slovenia, in Belgio, in varie Università

con un accento pusterese, e sono troppo contadino quando entro in città. Riguardo Roma, mi chiedevo come mi avrebbero accolto, io che provenivo da un paesino della val Pusteria e da una famiglia con sette vacche e undici figli, che avevo frequentato una scuola dentro a un maso con un vano unico dove stavano cinque classi assieme. Praticamente venivo dal Medio Evo, e pensavo come sarebbe stato andare a Roma. Il mio timore derivava anche dal confronto con Silvius Magnago, tutto un altro tipo. La sua invalidità agli italiani incuteva rispetto, e poi parlava bene italiano, era un uomo di città. Ma queste paure sono poi passate, addirittura presi più preferenze dal mondo operaio che dal mondo contadino, 115mila nei tempi migliori. A Roma sono stato apprezzato per la mia preparazione e il mio discorso, non la lingua, ma il discorso nel senso che io le cose le dicevo così come le sentivo senza troppi fronzoli. Mi ricordo un incontro con Berlusconi presidente del Consiglio che venne a prendermi personalmente in anticamera e fattomi sedere vicino a lui e mi disse: "adesso la parola a lei". Dovevo illustrare il contenuto della norma di attuazione dell'Alto Adige. Berlusconi invitò i ministri presenti a farmi un applauso perché con tre frasi avevo saputo spiegare quella norma così difficile, riuscendo a dire le cose essenziali. Con il gruppo linguistico italiano ho incontrato

Con Angela Merkel a Berlino

Brugger, Thaler Ausserhofer, Durnwalder, Spindelegger Theiner

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all'inizio un certo sospetto. Ma al tempo del rischio di chiusura delle acciaierie Falk, quando il vecchio proprietario se ne stava andando, mettendo in forse 800 posti di lavoro, quasi tutti di lingua italiana, hanno visto che mi sono dato da fare come se fossi in val Sarentino. Andai a Bruxelles due o tre volte a incontrare il commissario Wolkenstein, cercando di spiegare che non chiedevo contributi per l'acciaio, ma per settecento famiglie. Ricevetti il placet di Bruxelles per attuare il mio programma di acquistare come provincia il terreno per poi darlo in affitto al successore di Falk e salvammo i posti di lavoro. Dai quasi fischi della prima volta che mi ero presentato, mi ricevettero poi come un santo. Fin dalle sei del mattino, tutti i giorni avevo in attesa fuori dalla mia porta dalle 25 alle 35 persone, e una su tre era di lingua italiana.

Ritornando a Silvius Magnago, perché Durnwalder non è stato anche presidente della SVP? Mi hanno offerto tante volte la presidenza del partito, ma ho sempre rifiutato perché non sentivo mia quella filosofia partitica, e non mi sento di far discorsi per dire niente. Silvius Magnago e io eravamo molto diversi, già come persona. Lui era distante, non si avvicinava alla gente, e la gente aveva quasi paura di lui. Invece, nessuno ha paura di avvicinarsi a me. Abbiamo avuto poi compiti diversi. Lui era l'uomo della generazione della guerra. Era ufficiale, è stato ferito, era in Russia, ecc... Io, pur essendo ancora

della generazione della guerra, non vi ho partecipato attivamente. Lui nel 1945 era presente e protagonista nella battaglia Los von Trient!, doveva conquistare i diritti contenuti nell'accordo di Parigi. Accordo interpretato male da Degasperi, molto più furbo di Gruber, che trovò il modo per inserirvi anche il Trentino, rivalutando in qualche modo la regione. Magnago, Benedicter, Berloffa, Ritz, ecc., dovevano fare la lotta contro Roma per le 137 competenze da passare alla Provincia. Magnago non ha avuto la gioia di vedere con i propri occhi i risultati positivi di questa autonomia. Io invece non ho dovuto fare quella lotta, dovevo trasformare, applicare, rendere visibili quelle competenze. In questo riuscii perché ero un amministratore, mentre Magnago era stato piuttosto un politico. Erano altri tempi. Negli ultimi 50 anni l'Alto Adige è stato trasformato più che nei 300 anni precedenti. Negli anni '40 in Alto Adige eravamo come nel Medio Evo, per gli usi, i costumi, i diritti locali, la Chiesa aveva un grande potere e nei paesi comandavano tre persone: il parroco, il maestro e il sindaco, ma sopra tutti il parroco. Era il mio mondo, il mondo rurale, Magnago era del mondo cittadino.

E gli Schützen fanno politica o sono un fenomeno di folklore? Gli Schützen non sono un partito e non dovrebbero fare politica quotidiana, perché non sono stati eletti dalla popolazione. Hanno diritto di avere la loro opinione politica, di interessarsi della storia, ma non deDuenwalder con Papa Benedetto XVI

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Luis Durnwalder accoglie il Dalai Lama all' a eroporto di Bolzano (Foto SerComPertl) vono fare politica, sono una rappresentanza culturale del passato. Rappresentano il vecchio Tirolo, da quando l'imperatore Massimiliano I d'Asburgo nel Landlibell del 1511 disse loro che dovevano difendersi da soli. Allora i contadini avevano i loro masi, i loro diritti di caccia, una rappresentanza politica alla quale anche la gente “bassa” poteva partecipare. Avevano i loro fucili, i loro poligoni, potevano addestrarsi, ecc., per poter essere pronti in caso di invasione, e i poligoni tradizionali che abbiamo un po' dappertutto appartengono ancora a questa idea. Quando gli Schützen si ergono a paladini della difesa della cultura locale mi trovano perfettamente d'accordo, ma certe volte con le loro marce sembrano dire di sentirsi ancora padroni e questo non va bene, non devono essere una forza politica. Sono Schützen onorario, ma appartengo agli Schützen che non fanno politica. Il loro impegno sociale dovrebbe tradursi non in senso politico, come Schützen, ma come persone singole, come cittadini che si impegnano per la società.

Nella vita di coppia avete mai parlato di politica? Se un uomo sposato dice di non aver mai subito l'influsso da parte di sua moglie, mente. Ma non ho mai chiesto a mia moglie consigli su che cosa fare in politica. Il nostro era un dialogare come tra amici più stretti, ma la politica rimaneva fuori dai nostri discorsi. Lei


d'altronde non si interessava di politica. Le dicevo: la famiglia sei tu e i bambini, e mi dovete accettare come sono perché non ho il tempo di seguire tutto. Ho sempre voluto che mia moglie si interessasse prima di tutto della famiglia, della Heimat, perché quando torni a casa sei contento quando vieni accettato così come sei. Ho sempre parlato con le mogli, ma una volta a casa per me la politica era chiusa. A casa mia è l'unico posto dove non devo parlare da politico e posso comportarmi così come sono.

Come l’Autonomia ha potuto recuperare i valori del mondo rurale? Il principio unificante che si viveva nel Medio Evo è andato purtroppo perduto. Non siamo riusciti ad adattare i principi sani di quel mondo, trasformandoli per il mondo moderno. Abbiamo avuto la sfortuna e insieme la fortuna di aver vissuto molto tempo fuori in periferia, così da poter sperimentare quei valori tradizionali anche interpretati nelle forme del passato e ci facevano bene anche perché non avevamo altro. Eravamo contenti allora. Ma il passaggio al mondo moderno è stato troppo brusco e molti non sono riusciti a sopportare questo cambiamento. Ancora oggi molti non capiscono più la nostra politica, il nostro territorio, la nostra vita, il nostro ambiente, perché non si sentono più a

In Africa - Collaborazione internazionale di solidarietà

Le onoreficienze

Con Silvius Magnago casa. La mia generazione ha subito questo passaggio che non tutti hanno digerito, perché è stato troppo breve il tempo. Dopo la seconda guerra mondiale per un po' era rimasta ancora la vecchia visione, per partire subito in quarta negli anni '60, '70, '80. Quante persone abbiamo perso negli anni '50, '60 perché chi non voleva fare il contadino o l'artigiano, doveva andare all'estero. Moltissimi, anche della mia famiglia, sono andati all'estero. La mancanza di una formazione professionale ci ha fatto perdere moltissimi talenti. Non avevamo la possibilità di riconoscere e sviluppare i talenti della gente. Noi eravamo 11 figli a casa e più della metà volevano andare a studiare, ma mio padre ci ha detto: cari bambini io non ce la faccio, non posso pagarvi il convitto a Bolzano o a Merano, e il pendolarismo era improponibile dal maso alla città. Con l'autonomia abbiamo fatto una rete di distribuzione delle varie scuole in tutta la provincia così che ciascuno poteva scegliere la propria scuola, abbiamo sviluppato i mezzi di trasporto, borse di studio per l'Università... Ma negli anni '50 questo non era possibile. Nel Trentino si parlava italiano ed era un po' diverso. Noi in Italia non potevamo andare perché nessuno parlava italiano, all'estero non potevamo andare perché mancavano i soldi e così si doveva restare a casa... Quando parlo di questa autonomia parlo anche dei vantaggi del singolo, l'autonomia deve portare dei vantaggi a tutti e tre i gruppi linguistici e al singolo cittadino.

1990 Riceve la Croce d’onore del Tirolo e viene insignito con l’Ordine al merito dello Stato libero di Baviera e diventa membro onorario del Consorzio dei Coltivatori Diretti dell’Alto Adige e del Tirolo. 1994 Insignito con la Croce d’Onore della Croce nera austriaca. 1995 Insignito con il Grande diploma d’Oro onorario per meriti da parte della Repubblica Federale Austriaca. 1999 Riceve il “Karlspreis” della Sudetendeutschen Landmannschaft. 2000 Viene insignito della Gran Croce al merito con Stella del Verdienstorden della Repubblica Federale di Germania. 2005 Viene insignito con l’Ordine della Libertà in Argento della Repubblica Slovena. 2005 Viene insignito della Gran Croce al Merito dell’Ordine di Malta. 2006 Conferimento del premio “European Taxpayers’ Award” dall’Associazione europea dei contribuenti. 2008 Conferimento del titolo di senatore onorario della Università “Leopold Franzens” di Innsbruck. 2010 Conferimento del titolo di senatore onorario della Università di Medicina di InnsbrucK. 2011 Conferimento dell’Ordine d’Oro della Carinzia. 2012 Conferimento dell’ Ordine d’Oro al merito della Camera dell’Economia dell’Austria. 2012 Conferimento del Grand’Ordine al merito con Stella della Stiria. 2012 Conferimento del Grand’Ordine al merito con Stella dell’Alta Austria. 2012 Conferimento del Grand’Ordine al merito con Stella della Bassa Austria. 2013 Conferimento del Grand’Ordine al merito con Stella della Città di Vienna. 2014 Conferimento dell’Anello d’Oro del Tirolo.

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EDUCARE

all’imprenditorialità

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er stimolare lo spirito imprenditoriale e fornire qualche strumento per sapersi muovere al meglio nel pianificare e sviluppare un progetto valido, nell’ambito della sostenibilità ambientale, l’associazione H2O di Pergine, in collaborazione con il BIM Brenta, il consorzio dei comuni del bacino imbrifero montano dell’omonimo fiume, ha ideato un progetto sperimentale rivolto agli studenti dell’istituto Tecnico, Economico e Tecnologico di Fiera di Primiero. Il progetto si è svolto nelle classi quinte dell’istituto in 2 momenti di 4 ore ciascuno, il primo il 23 febbraio e il secondo il 2 marzo, durante i quali i ragazzi hanno potuto incontrare l’im-

Dato che oggi il lavoro scarseggia, pensare di mettersi in proprio e sviluppare un’idea personale, nonostante le difficoltà che questo naturalmente comporta, appare una prospettiva alternativa sempre più attraente e dibatutta, da promuovere già nelle scuole superiori.

prenditore Davide Ceccarelli, titolare della Technowrapp -azienda bellunese che produce fasciapellet automatici e si occupa di sistemi per la movimentazione dei pellet- e il Responsabile dell’ufficio crediti della Cassa Rurale del Primiero, Roberto Lucian. Il progetto si è articolato in questo modo: dopo un primo momento introduttivo con i rappresentanti del BIM Brenta, il presidente Giorgio

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Scalet e l’Assessore Giampiero Zugliani, e con la vicepresidente di H2O Marianna Moser, i ragazzi hanno potuto ascoltare da Ceccarelli come nasce un’impresa. Hanno riflettuto su quanto sia importante seguire le proprie passioni per lo sviluppo di un progetto, ma anche quali siano le competenze necessarie per portarlo avanti, come le strategie di marketing per promuoverlo, l’analisi di mercato, e poi la scelta, fondamentale, delle persone con cui collaborare, soci o dipendenti, in grado di lavorare con professionalità e di condividere la mission dell’azienda, riuscendo a sentirsi parte di essa. Oltre a questo, i ragazzi hanno potuto apprendere quanto sia indispensabile il confronto con altre realtà aziendali, da visitare e conoscere, così come il contatto con i propri clienti, per capire se siano o meno soddisfatti del prodotto o servizio loro offerto. Insieme al responsabile dell’ufficio crediti, hanno poi imparato come calcolare e stimare il budget necessario a creare e sostenere la propria impresa, e a capire come e dove sia possibile richiedere dei finanziamenti. E dopo la parte di teoria, la pratica: divisi in gruppi gli studenti si sono messi al lavoro, per progettare la propria impresa supportati dai docenti e dagli esperti. Si sono quindi cimentati con la stesura del piano di business, calcolando costi, risorse, strumenti, offerta, concorrenti, punti di forza e debolezza, per poi presentare, una volta ultimato, il proprio progetto davanti all’imprenditore Davide Ceccarelli. Da queste due intense giornate sono emerse idee piuttosto creative, racconta la vicepresidente di H2O Maraianna Moser, c’è stato chi ha ideato un bed & breakfast innovativo, dotato di fattoria didattica, chi una discoteca con posti letto per fermarsi a dormire dopo il ballo, chi un locale che unisce musica, letteratura, oltre ad un orto gestito dagli stessi clienti e infine un gruppo che ha progettato l’idea di una fabbrica che produce birra artigianale utilizzando ingredienti coltivati in loco. “Ai ragazzi l’idea è piaciuta, continua Marianna, poiché si è trattato di un progetto molto pratico e penso che lo riproporremo anche ad altre scuole in Valsugana in autunno”. (S. T.)

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2016: ISTAT fotografa l’Italia

L’Istituto Nazionale di Statistica ha un compito importante: raccogliere informazioni numeriche sul nostro Paese. Ai primi di marzo sono usciti i dati relativi alla popolazione nel 2016, e sono emersi dati che, secondo alcuni, sembrano tutt’altro che incoraggianti. Tra nascite al minimo storico e valori per alcuni indicatori inferiori al 1918, viene spontaneo domandarsi in che direzione stia andando il nostro paese.

CITTADINI RESIDENTI Già nell’estate del 2016 l’ISTAT aveva evidenziato il primo calo dei residenti negli ultimi 90 anni. Ma se allora riguardava solo i residenti di cittadinanza italiana (-142 mila circa rispetto all’anno precedente), questo 2017 inizia con la constatazione che anche gli stranieri sembrino meno interessati al Bel Paese. Infatti, l’incremento della popolazione proveniente da altri paesi è stato di appena 2.000 unità (lo 0,5 per mille) contro cifre nettamente più alte negli anni precedenti. Al primo gennaio 2017, in Italia risiedevano 60 milioni e 579 mila persone,

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quasi 90 mila unità in meno rispetto all’anno precedente. Ma a cosa è dovuto questo calo?

SALDO NATURALE Che l’Italia stia invecchiando non è una novità. Ma se, oltre all’innalzamento dell’età media, calano le nascite, il “saldo naturale” non può che essere in picchiata. Il numero che emerge dalla differenza tra nascite e decessi è il secondo peggiore della nostra storia moderna: con -134 mila unità per questo indicatore, il 2016 si piazza subito dietro al 2015, quando le morti superarono le nascite per 162 mila unità.

 di Elisa Corni

NASCITE IN CALO Il “problema” risiede prevalentemente nel fatto che nel nostro paese non si fanno più molti figli. Dimentichiamoci il baby boom degli anni Cinquanta e Sessanta quando la soglia dei 2,1 figli per donna (necessaria al ricambio generazionale) era sempre superata; a partire dagli anni Novanta la fecondità del nostro paese è stata un fattore in decrescita, con il minimo raggiunto nel 1995 (solo 1,19 figli per donna). Nel 2016 questo valore si attesta a 1,34 figli per donna, in leggero calo rispetto all’anno precedente, quando la media


era di 1,35. Tutto ciò si traduce in solo 474 mila nascite.

MAMME STRANIERE E ringraziare che ci sono gli stranieri, perché, se si facesse affidamento solo alle italiane, i nuovi nati sarebbero ancora meno. Secondo l’ISTAT, infatti, il numero di figli per donna italiana è di 1,27, mentre le straniere ne fanno quasi due (1,95). Ma non possiamo certo adagiarci sugli allori: anche le non italiane sono sempre meno feconde. Infatti i dati assoluti sulle nascite sono in negativo per entrambe le categorie di mamme. Per le italiane, il calo registrato è stato del 2,4% sul valore assoluto dei bambini nati, mentre per le straniere è stato del 2,2%. MAMME (E PAPÀ) SEMPRE PIÙ VECCHI Non è un tormentone, ma un dato di fatto: nel nostro paese i figli si fanno in età piuttosto avanzata. Mediamente, infatti, nel 2016, le donne sono diventate madri a 31,7 anni d’età, contro i 25,8 della Bulgaria o il 26,1 della Romania. In generale, comunque, il nostro è un paese vecchio: i residenti in Italia

hanno infatti quasi 45 anni di età: con 44,9 superiamo di due mesi la media dell’anno precedente (il 2015).

85,6, nel Mezzogiorno i due dati si abbassano rispettivamente a 79,7 e a 84,4.

GLI OVER… Sono 13,5 milioni gli abitanti dello stivale con più di 65 anni d’età. È il 22,3% dell’intera popolazione. Gli over 80 sono 4,1 milioni (il 6,8%della popolazione) e gli ultranovantenni sono 727 mila. 17 mila sono invece i residenti ultracentenari: insomma, si vive decisamente a lungo nel nostro Paese. Nel 2015, ogni cento giovani c’erano 157,7 anziani. Una sproporzione che potrebbe costarci caro.

IN FUGA Come se non bastasse, a queste cifre di per sé poco incoraggianti si aggiunge il carico da novanta dei giovani che lasciano il Bel Paese. Nel 2016 hanno lasciato l’Italia 157 mila persone, di cui 115 mila italiani, il 12,5% in più rispetto all’anno precedente. Ma soprattutto, quattro volte il numero di cervelli in fuga del 2010.

SPERANZA DI VITA IN AUMENTO Grazie a numerosi fattori, la speranza di vita nel nostro paese è in costante aumento. Dopo il calo del 2015, si è tornati a un aumento della speranza di vita. Si è infatti passati dagli 80,1 agli 80,6 anni di età per gli uomini, e dagli 84,7 agli 85,1 per le donne, con importanti differenze di regione in regione. Se infatti al Nord gli uomini hanno una speranza di vita che raggiunge gli 81,1 anni e le donne gli

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In ricordo di un caro amico

Ciao Giovanni,

sarai per sempre con noi

«Salutare Giovanni, in questo momento di distacco estremo, è per noi che lo avevamo tra gli amici più cari, per la sua famiglia e i parenti che hanno goduto della sua presenza, e della generosità con la quale si spendeva nei rapporti interpersonali, un gesto carico di dolore e commozione».

 di Armando Munaò

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uesto il sentimento che ha accomunato, il primo sabato di aprile, la folla di amici raccoltasi nella parrocchiale di Borgo Valsugana per salutare un’ultima volta Giovanni Lenzi, nostro carissimo amico, rimasto vittima di un incidente stradale mentre percorreva la statale 47 verso Trento. Un sentimento che ha riempito il vuoto di parole e lo smarrimento per questa morte improvvisa abbattutasi su i famigliari, ma anche su tutto il paese che si è stretto attorno a loro, sgomenti e increduli. “L’onestà fu il suo ideale, il lavoro la sua vita, la famiglia il suo affetto”, è la frase che i famigliari hanno voluto per lui sulla “memoria” che riporta il suo volto nell’espressione di sempre, quella che gli era più comune, di uomo di pace che andava incontro a tutti con fare fraterno e amicale. Un “vero amico” apprezzato non solo per le sue indubbie capacità imprenditoriali, per la sua umiltà, ma anche e soprattutto per il suo essere “uomo” sempre pronto e sempre disponibile ad aiutare, con qualsiasi gesto e attenzione, gli altri. Un “vero amico” il cui ricordo, ne siamo certi, rimarrà indelebile nel nostro domani come indelebile sarà la visione del suo volto sempre sorridente. Un picchetto d’onore dell’ANPd’I, i pa-

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racadutisti d’Italia, faceva corona al feretro che ha accolto le benedizioni con l’acqua benedetta, di una fila continua di persone, cominciata ben prima dell’inizio della messa e che non si è interrotta se non alla lettura del Vangelo, proprio quando il diacono pronunciava le parole di Gesù, «Io sono la resurrezione e la vita!». «Giovanni conosceva la morte - ha detto il parroco, don Daniele, nell’omelia - e non mancava mai ai funerali che si tenevano in paese, perché varie volte era stato toccato personalmente da eventi luttuosi. La morte di suo figlio in un incidente stradale, un altro incidente che gli era occorso nel quale ha rischiato la vita. Sapeva che la vita è un dono prezioso e non va sprecata, e da questo dipendeva il suo attivismo, la sua voglia di fare. In questo aveva un rapporto con

gli altri che lo portava a essere amico, ad accogliere, a coinvolgere chi più poteva nel suo fare». «Giovanni continuerà a esserci presente - è stato letto da parte di amici e parenti -, pur non potendolo più vedere o abbracciare, sentiamo ancora la sua voce dentro al cuore, e se gli occhi colmi di dolorose lacrime ancora non sanno vedere una speranza, già cresce piano piano un “grazie” per averlo avuto con noi, e la forza per imitarne l’esempio di vita che ha lasciato». «Quando sono entrata a far parte di questa famiglia - ha detto la nuora di Lenzi - l’ho subito sentita come la mia seconda famiglia. Ringrazio dal profondo del cuore di aver incontrato Giovanni, nonno Nanni per i miei figli che educherò secondo i suoi principi. Ciao Giovanni, non ti dimenticherò mai e ti vorrò bene per sempre». Un momento d’intensa commozione è stato anche l’ascoltare la preghiera del paracadutista declamata da un associato dell’ANPd’I di cui Egli faceva parte. Giovanni non c’è più, ma in noi e nei suoi cari, vive la certezza e la consapevolezza che dopo la vita terrena ci sarà per “Lui” un cielo sempre sereno con un sole splendente che illuminerà le sue giornate e il cui riflesso si irradierà a tutti noi che gli abbiamo voluto bene.


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La petrografia di

 di Chiara Paoli

Ciro Andreatta C

iro Andreatta nasce nel quartiere detto del “Marcadel” a Pergine Valsugana il 23 gennaio del 1906. A soli ventidue anni, dopo aver effettuato a Rovereto gli studi tecnici e raggiunto la maturità scientifica, ottiene a Padova il titolo di dottore in Scienze naturali. La sua tesi ha preso in esame una particolare vena di porfirite del Lagorai e le arsenopiriti delle miniere della zona di Nogaré, Calceranica, e Caldonazzo, la sua ricerca è stata successivamente divulgata tramite la rivista “Studi trentini di scienze naturali”, costituendo il primo di ben 129 articoli pubblicati dallo studioso. Nel 1929 si perfeziona in Mineralogia presso l’Università di Padova, sotto la guida del professor Angelo Bianchi, e a Trento viene nominato conservatore di petrografia del Museo di storia naturale della Venezia tridentina. L’anno seguente individua il solfato esaidrato di ferro e zinco, un nuovo minerale che Ciro chiama “bianchite”, in omaggio al suo professore. Tra il 1930 e il 1936 è all’Università di Padova in qualità di assistente del professor Angelo Bianchi. Nel 1932 ha la possibilità di perfezionarsi a Innsbruck

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in petrografia strutturale e petrotettonica, grazie all’ottenimento di una borsa di studio da parte della Regia Accademia d’Italia, e ottiene l’abilitazione alla libera docenza in mineralogia. Nel 1935, alla soglia dei trent’anni supera il concorso per la Cattedra di mineralogia dell’Università di Messina, dove dall’anno seguente è impegnato come docente, sino al novembre del ’38 che lo vede trasferirsi verso Bologna, dove oltre alla cattedra di mineralogia è invitato a dirigere la Facoltà di Scienze. A partire dal 1948 sono moltissime le cariche che Ciro Andreatta ricopre, a partire dalla nomina a socio corrispondente per l’Accademia Nazionale dei Lincei e per l’Accademia delle Scienze di Vienna; ma è anche socio della Geological Society of America, della Società di Mineralogia e Petrografia, svizzera e londinese, e della Deutsche Mineralogische Gesellschaft, solo per ricordarne alcune. Frutto della sua passione e della sua dedizione è la rivi-

sta “Acta Geologica Alpina”, da lui fondata e diretta a Bologna; dopo la sua dipartita il suo progetto prosegue sotto il nome di “Mineralogica et Petrographica Acta”. Questa figura d’illustre studioso ottiene nel 1951 il Premio nazionale per le scienze geologiche e mineralogiche promosso dall’Accademia Nazionale dei Lincei. Il Consiglio Nazionale delle Ricerche nell’anno 1955, realizza presso l’Università di Bologna, per il petrografo perginese, il “Centro di Studi per la Petrotettonica”. Gli anni che vanno dal 1955 al 1957 lo vedono presiedere la Società Mineralogica Italiana, e organizzare diversi congressi. Nel frattempo nel ’56 è anche direttore del “Centro di Studio dell’Università di Bologna in Trento”, che mira a promuovere attività culturali con finalità legate all’ambito naturalistico, storico, e regionale. Tra il 1956 e il 1959 per la Regione Autonoma Sardegna, conduce un gruppo di lavoro che si dedica al rilevamento geologico-petrografico dei graniti ercinici e del basamento metamorfico di un’ampia zona centro-settentrionale dell’isola.


Nel 1958 dirige presso la Facoltà di Ingegneria di Bologna la Scuola di Specializzazione in discipline geologiche-minerarie e l’anno seguente ottiene la carica di Preside della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche, e Naturali di Bologna. Il 6 febbraio del 1960 Ciro Andreatta

muore nella città di Bologna, viene riportato nella sua città natale e sepolto nel cimitero di Pergine Valsugana. Allo studioso è intitolata una delle scuole medie del perginese e alla sua memoria sono dedicate diverse pagine, in primis quelle a cura di Giuliana Campestrin, che intitola la sua opera del 2004: “Ciro Andreatta geologo (1906-1960)”. Anche l’Università di Bologna, attraverso l’istituto di mineralogia e petrografia, ha voluto commemorare il professore Ciro Andreatta con una piccola pubblicazione in lingua italiana e tedesca. Entrambi i volumi sono ricchi di fotografie che ritraggono lo studioso tra montagne e ghiacciai, assieme ai colleghi o ai suoi studenti, immagini di lavoro, ma anche ritratti dei famigliari, della moglie e delle figlie. A completamento della pubblicazione a cura di Giuliana Campestrin troviamo anche alcuni dipinti che propongono sfondi paesaggistici realizzati dallo studioso. Una figura

importante per la petrografia, un uomo legato alla sua terra che spende gran parte della sua vita nello studio delle montagne trentine, per approfondire la loro conformazione e struttura, ma anche un insegnante che ha saputo trasmettere passione per la materia. Le foto sono tratte da “Ciro Andreatta Pergine 23.1.1906 Bologna 6.2.1960” a cura di K. H. Scheumann, Istituto di mineralogia e petrografia, Università di Bologna, 2002.

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Nasce il coordinamento dei

Trentini dal Mondo Alla presenza di oltre cento persone è stato presentato il “Coordinamento Trentini dal mondo”, una nuova iniziativa politica del Movimento AGIRE per il TRENTINO fondato da Claudio Cia, consigliere provinciale. Un insieme di persone di origine straniera oramai radicati nel Trentino che hanno aderito al movimento di Cia e che bene si sono integrati in ambito familiare, lavorativo e socio-economico. “Anni fa quando sono diventata cittadina italiana, una mia carissima amica mi fece questa domanda: adesso che sei diventata cittadina italiana, che nazione ami di più? Ami di più il Perù o ami di più l’Italia? Non risposi subito, ma le chiesi, anche se non bisognerebbe rispondere a una domanda con un’altra domanda, tu ami di più il tuo papà o la tua mamma? Non seppe darmi una risposta.“ Inizia così Nancy Tarazona, coadiuvata da Roberto Pergher e Sandro Bordignon, davanti a una sala piena, in occasione della presentazione della nuova “creatura” di AGIRE per il TRENTINO : il coordinamento dei Trentini dal Mondo. Viviamo in un’epoca in cui siamo sommersi dalle parole e dalle immagini a scapito della valorizzazione della persona

nella sua integrità. Pare che persino dire GRAZIE sia stato sostituito dal “voglio, pretendo ed è un mio diritto” Consapevole di queste circostanze storiche e delle difficoltà del nostro tempo, come portavoce di tutte le persone approdate in Italia regolarmente rivolgo un grande “grazie” innanzitutto al Movimento Politico AGIRE per il TRENTINO che ci ha accolti con entusiasmo e amicizia, al Trentino ed all’Italia per averci aperto generosamente le porte di casa, per darci la possibilità di crescere giorno dopo giorno e far parte di questa grande Nazione. Ogni singolo Trentino dal mondo è portatore di due identità nella propria esistenza, ama la propria terra d’origine, ma allo stesso tempo ama anche la terra di approdo e di vita quotidiana. Dunque ci riteniamo fortunati perché abbiamo la possibilità di percorrere un cammino di sincretismo, inculturazione ed integrazione, possiamo unire i valori positivi di entrambe le nostre terre d’appartenenza. Un proverbio peruviano recita che “un unico ramoscello di bambù può essere spezzato dal primo

Claudio Cia soffio di vento autunnale, ma milioni di essi messi assieme possono sorreggere un edifico o far galleggiare un bastione”. Noi tutti facciamo parte di quei milioni di ramoscelli ed agendo assieme cercheremo di rendere il nostro territorio competitivo, e mantenere quella realtà a sé che ci ha sempre contraddistinti. Il coordinamento Trentini dal mondo nasce con degli scopi specifici: lavorare assieme agli immigrati e non, per contraccambiare alla generosità di questa nazione, di questo territorio. Dimostrare che esiste il volto positivo dell’immigrazione, di quella che arriva in Italia regolarmente, che è accolta, fa di tutto per integrarsi, rispetta le leggi, le tradizioni, impara la lingua, ma soprattutto sa dire un grande grazie a tutti gli italiani, a tutti i trentini, non soltanto tramite parole, ma anche nella quotidianità, nelle rispettive famiglie, nei rispettivi posti di lavori, riuscendo a diventare parte del tessuto socio-economico della sua nuova residenza. Il nuovo progetto di Claudio Cia ha nella sua essenza anche quello di appresentare un punto di riferimento per quanti, provenienti da mondi diversi, intendono dare il loro contributo anche impegnandosi in politica.

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G iliola Gtraalvagni poesie e racconti

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etti una mattina di marzo e aggiungici un caffè in buona compagnia; qual è il risultato? Una bellissima intervista a una scrittrice perginese, il racconto di una persona immersa nell’universo della poesia, dei racconti e del teatro. Una persona impegnata nel sociale che attraverso i suoi scritti vuole farci riflettere su tematiche fondamentali della vita, perché anche il dolore fa parte del nostro essere e per quanto faccia male, è quel pizzico di sale che nell’immediato brucia, ma che ci aiuta poi a crescere, maturare, migliorarci e guardare agli altri con occhi diversi. Quando chiedo a Giliola Galvagni se è originaria di Pergine, mi risponde che è nata nel 1950 a Folgaria, ma vive nella cittadina valsuganotta da quando aveva dieci anni e il padre insegnante si era

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 di Chiara Paoli

trasferito qui per motivi di lavoro. Una volta adulta lavora come impiegata e nasce artisticamente come musicista, studiando flauto a Riva del Garda con il professor Tiziano Tarolli. La vita poi la induce a cambiare, a mutare per seguire l’istinto e quella voce interiore che fa scoppiare il lei la passione per la scrittura, quella immensa voglia di comunicare che prevale su tutto il resto. È così che nel 2000 viene pubblicato “Ali di carta”, un libro di poesie realizzato per sostenere un progetto umanitario rivolto ai bambini della Romania. «E poi?», dico io. «Poi non mi sono più fermata». È la risposta di Giliola che mi parla dei suoi libri con un entusiasmo contagioso. Nel 2006 edizioni Nord Sud pubblica la sua raccolta di poesie “Antologia Soffi di umanità”. La nostra scrittrice, oltre a dedicarsi alla

sua più grande passione, è una persona impegnata attivamente nel volontariato e i suoi viaggi e il suo vissuto confluiscono nelle sue opere. Così nel 2007 esce “La vita ai Bordi: Storie d’amore e di sofferenza”, edizioni Arca. La vita dei perginesi è sempre stata intrisa di quel sostrato lasciato dalla ingombrante presenza del manicomio; un luogo che ha sempre incuriosito Giliola, che ha voluto affrontare questo spauracchio. È così che hanno preso forma i racconti dei pazienti dell’ospedale psichiatrico, che vengono osservati non con occhio clinico, ma attraverso il filtro dell’umanità che la guida a riscoprire le loro sensazioni ed emozioni, ma anche la loro capacità di sognare, amare e interagire con gli altri. Tra il 2009 e il 2010 vengono pubblicati sulla rivista Bollettino Sat, due diari di viaggio compiuti con il gruppo Stella


Polare del Centro di Salute Mentale di Trento. Un altro diario di bordo è quello intitolato “Andata e ritorno, otto giorni in Kossovo”, che nel 2010 appare su carta stampata per la rivista Ecumenici. Nel 2011 prendono forma anche i “Racconti inventati di storie vere”, un mix di storie che si mescolano per creare nuove narrazioni, che forniscono però sempre uno spezzato di vita vera e vissuta. “Sotto la neve pane” vede la luce nel 2013, un lavoro difficile da portare avanti; quando si scrive una storia si finisce un po’ con l’immedesimarsi con i personaggi, vivendo le loro stesse sofferenze. Nonostante le difficoltà, la narrazione viene completata e il risultato è un volume che narra di quelle violenze che si celano tra le pareti domestiche, atrocità consumate su quei figli che i genitori dovrebbero proteggere, sostenere e amare in maniera incondizionata, ma mai malata. In queste pagine prende vita anche il tabù della sessualità e la tematica dell’Aids, nell’intento di superare i pregiudizi lasciando che prevalgano sulle paure, la

ragione del cuore. Ma non è tutto qui, c’è anche la passione per il teatro che Giliola condivide con il cantautore trentino Andrea Lorusso, con il quale ha dato vita a due spettacoli teatrali multimediali. Il primo pezzo dal titolo “Quinto non ammazzare - La piccola pace nella Grande Guerra”, è datato 2014 e prende spunto dalla tregua di Natale del 1914. Dell’anno seguente è lo spettacolo per bambini “Ti accompagno io...”, con disegni dal vivo proiettati su schermo per narrare la storia di un piccolo essere che giunge sulla terra da un altro pianeta; girando il mondo imparerà a conoscerlo grazie alle narrazioni dei bambini che incontrerà nei diversi paesi. L’ultima fatica è qualcosa di diverso; non mette al centro il dolore o problematiche che stanno a cuore all’autrice, ma parla della sua passione per la Sicilia, regione ricca di storia e culture. “Il mio cuore batte a Sud” è stato pubblicato nel 2016, dopo essere stato pre-

Giliola Galvagni miato nel 2015 alla II edizione del Concorso Internazionale Thrinakia di Catania, sezione racconti autobiografici. Si tratta di un diario di viaggio intervallato da 3 racconti che narrano altrettanti eventi, legati alla religiosità dell’isola. I libri ci aiutano a viaggiare con l’immaginazione e arricchiscono la mente e il cuore, perciò vi auguro una buona lettura.

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le BADANTI

ITALIANE Sì... ITALIANE NO N

ell'infografica pubblicata nella pagina accanto abbiamo sintetizzato i dati dell'attuale situazione riferita alle badanti in Italia. Derivano da una recentissima statistica che mette in evidenza gli elementi che fanno parte di questo grande universo. Numeri che sottolineano non solo come le badanti italiane, rispetto a quelle straniere, siano aumentate di quasi il 240%, ma evidenziano, in maniera inconfutabile, che le famiglie, sempre di più, preferiscono assumere le nostre connazionali. Nel nostro paese la presenza di “assistenti familiari” provenienti da tutta Europa e maggiormente dai paesi dell'Est è ancora forte e cospicua. Sono infatti loro, le straniere, a occuparsi per la maggior parte dei circa due milioni e mezzo di over 65/70, siano essi di sesso maschile o femminile. Secondo il parere di numerose associazioni, sono preparate, brave, affidabili, e non di rado hanno maggiore esperienza perchè da anni fanno questo mestiere e, fattore da non tralasciare, il più delle volte si accontentano di una paga mensile inferiore a quella prevista dallo statuto per queste lavoratrici.

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A dispetto però di questi non trascurabili elementi, e vuoi anche per effetto della crisi economica, o per la crescente disoccupazione, il grande universo badanti sta, di fatto, concretizzando un’inversione di tendenza. Secondo i numeri dell'INPS riferiti al 2015, le italiane occupate con la qualifica di badanti sono aumentate del 13%. Se questo dato, però, viene rapportato agli ultimi sette anni ecco che la quantificazione sale infatti al + 239%. Un’inversione dovuta a moltissimi fattori. In primis il fatto che gli anziani di casa nostra nel tempo si sono accorti di avere un migliore dialogo con le italiane, sia per via della lingua e sia per i molti punti in comune determinati dal fatto di appartenere alla stessa nazionalità; secondo, perché le persone si sentono più coccolate e più tranquille con donne che comprendono i loro standard di vita quotidiana; infine, ma non di minore importanza, le badanti italiane sono in grado di soddisfare maggiormente i desideri culinari dei loro assistiti perché

sin da piccole hanno appreso le abitudini di casa nostra e i segreti della cucina italiana che è indiscutibilmente diversa da quella straniera e certamente più “gradita”. A tutto questo si aggiunge un dato significativo emergente dalle statistiche: le italiane hanno un'età compresa tra i trenta e i cinquanta anni e moltissime di esse, oltre a essere diplomate, sono anche in possesso di un attestato di OSS (Operatore Socio-Sanitario), sinonimo e garanzia di competenza professionale. (A.M.)


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Preoccupante aumento dei casi di morbillo: +230% in un anno. È colpa del rifiuto dei vaccini. Lo afferma il Ministero della Salute. «È una situazione allarmante».

 di Armando Munao’

In questi ultimi tempi il tema della vaccinazione è sempre più presente nelle cronache quotidiane. Da una parte moltissimi genitori che sono convinti, forse per informazioni e “dicerie” non veritiere, e nonostante le evidenze scientifiche consolidate e i pareri di quasi tutti i virologi ed esperti, che la vaccinazione sia portatrice di complicazioni anche gravi. Dall’altra invece chi afferma che è necessario vaccinarsi non solo per prevenire moltissime malattie infettive, ma anche per evitare il ritorno di ciò che negli anni passati ha causato gravi patologie se non addirittura morte. Nel mondo ogni anno il morbillo colpisce circa venti milioni di persone e nei bambini sotto i cinque anni rappresenta una delle cause più frequenti di morte. Il morbillo, secondo i dati Unicef, uccide ogni anno circa 132mila bambini: quindici l’ora, ogni ora di ogni giorno dell’anno.

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VACCINI SÌ VACCINI NO

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econdo gli ultimi dati diffusi dal Ministero della Salute e riferiti al morbillo - una delle malattie che è causa più frequente di morte anche nei bambini sotto i cinque anni, e per la quale non esiste una funzionale terapia specifica, ma solo la vaccinazione - la situazione della “non vaccinazione”è decisamente allarmante. Nel nostro paese, a fronte degli 844 casi segnalati nel 2016, dall’inizio dell’anno sono già stati registrati più di 700 casi, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, in cui se ne erano verificati 220. Le regioni più colpite sono il Piemonte, il Lazio, la Lombardia e la Toscana. Per la cronaca deve essere sottolineato che l’Italia ha già subìto un richiamo dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per essere il paese europeo con la minore copertura vaccinale contro il morbillo. Una patologia che cresce del 230% perché moltissimi genitori non vaccinano più i loro figli. Purtroppo, lo fanno anche perché nel 1998 il dr. Andrew Wakefield pubblicò una ricerca, rivelatasi poi falsa per sua stessa ammissione, secondo la quale c’era una correlazione tra vaccinazione trivalente (che comprendeva anche il morbillo) e autismo. Dichiarazioni poi ritrattate dalla rivista scientifica che le aveva pubblicate e per le quali Wakefield è stato espulso dall’albo dei medici statunitensi nel 2011. A oggi non esistono al mondo studi riconosciuti dalla comunità scientifica che dimostrino

una correlazione tra questo vaccino e l’autismo. Il danno, però, era stato fatto perché, seguendo e facendo proprie le dichiarazioni del dr. Wakefield, moltissimi hanno continuato ad animare il dibattito tra favorevoli e contrari ai vaccini. Il risultato è stato che moltissimi genitori, convinti della pericolosità dei vaccini, hanno rinunciato a vaccinare i loro figli facendo si che nel campo dei numeri, riferiti alla vaccinazione in Italia, siamo scesi alla copertura pari all’84% con punti al di sotto del 68% rispetto alla percentuale ottimale che deve essere di almeno il 95% raccomandata dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Per la cronaca e per una corretta informazione si deve precisare e sottolineare che se non si raggiunge la soglia del 95% di persone vaccinate, non solo il bambino è sottoposto a rischi gravi, ma al di sotto di questa soglia non s’interrompe il contagio interpersonale e quindi la trasmissione


per cui il morbillo resta sempre in agguato con delle certo non auspicabili conseguenze. «Quello che si è sempre temuto si sta purtroppo verificando – ha commentato Alberto Villani, direttore del reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma e Presidente della Società italiana di pediatria - perché con questo atteggiamento “negativo” nei confronti delle vaccinazioni mettiamo a rischio soprattutto i più piccoli». Il morbillo che si credeva ormai debellato grazie alle vaccinazioni, torna a destare preoccupazione in Italia. A tale proposito, bene si riferiscono le parole del Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, quando afferma che «questa della vaccinazione è una situazione che deve essere sempre di più controllata perché, nonostante il piano di eliminazione del morbillo sia partito nel 2005 e la vaccinazione contro

il morbillo sia tra quelle fortemente raccomandate e gratuite, è ora indispensabile intervenire rapidamente con un impegno e una maggiore responsabilità a tutti i livelli, da parte di tutte le istituzioni e degli operatori sanitari, per rendere questa vaccinazione fruibile, aumentandone l'accettazione e la richiesta da parte della popolazione». «Il ministero - ha concluso Lorenzin - attiverà ogni possibile procedura per garantire la piena realizzazione degli obiettivi del recente Piano nazionale di prevenzione vaccinale e per riguadagnare rapidamente le coperture vaccinali che si sono abbassate pericolosamente nel corso degli ultimi anni». Grande preoccupazione la esprimono i più accreditati studiosi ed esperti tra cui Giovanni Maga, virologo del Consiglio

Andrew Wakefield Nazionale delle Ricerche (Cnr) - il quale afferma che «dopo i dati che indicavano il calo delle vaccinazioni sotto la soglia di sicurezza dovevamo aspettarci presto o tardi una nuova fiammata epidemica. Il morbillo ha un tasso di contagiosità quattro volte più elevato di quello dell'influenza - spiega Maga - è quindi normale vedere tassi di incremento così rapidi, anche perché in questi ultimi anni si è diffusa, da parte dei genitori, una certa resistenza contro la vaccinazione in età scolare, e a loro volta sono scoperti dalla vaccinazione. Così il virus passa, attraverso le famiglie dalle scuole ai luoghi di lavoro». «A non funzionare evidenzia Maga - il sistema attuale della vaccinazione che, purtroppo, è consigliata e gratuita. A mio modesto parere è arrivato il momento di avviare sul punto una discussione molto seria perché serve, anzi, è indispensabile la vaccinazione obbligatoria».

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PSICOLOGIA&SALUTE

Guida pratica per i genitori

I BAMBINI e L'EMOTIVITÀ

 di Erica Zanghellini

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onoscere la varie fasi dello sviluppo evolutivo dei bambini può essere molto vantaggioso in quanto, avere una previsione di cosa succede ai propri figli ci permetterebbe di pianificare come agire e affrontare al meglio la situazione. Premesso come prima cosa che non esiste la ricetta magica per essere genitori perfetti, possono però esserci diversi modi per crescere bambini felici e sani. Gli errori li facciamo tutti ed è importante concepirli come opportunità di crescita e miglioramento di sé. Ricordiamoci che i bambini non sono adulti in miniatura, hanno bisogni, modi di apprendere e di manifestare le proprie esigenze diverse da noi. Una delle difficoltà sta proprio nel mettersi nei loro panni e capire di cosa hanno bisogno essendo così diversi. Conoscere le tappe dello sviluppo ci può aiutare in questa sfida. Possiamo “tradurre”, ma soprattutto rispondere nel modo più efficiente possibile a quello di cui hanno bisogno, interagendo con loro nel rispetto delle proprie potenzialità. Questo vuol dire che è importante dare riscontro alle esigenze del minore in un linguaggio adeguato alla sua età. Per i bambini piccoli la risposta dovrà essere tendenzialmente pragmatica e solo successivamente col passare del tempo sfruttare il canale verbale. Attenzione però che, anche in quest'ultimo caso, le parole scelte dovranno essere calibrate all'età, non possiamo parlare per esempio a un bambino di cinque anni come parleremmo a uno di undici o a un adulto. Buona parte dei genitori conosce come vengono acquisite determinate abilità, per esempio è facile che attenda le prime parole del figlio o i suoi primi passi in un determinato periodo d'età, ma per altre manifestazioni non è così

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semplice avere delle aspettative precise. Un esempio emblematico è lo sviluppo emotivo. Sapere però come si caratterizza questa sfera e appurare se è presente oppure no, è importante tanto quanto riscontrare che lo sviluppo del linguaggio segua il suo corso. Proviamo a vedere quindi che percorso intraprende l'emotività nel bambino. Tutto inizia con la totale incapacità nel capire che tipo di emozione si manifesta dentro di loro. Lo studioso Sroufe (2000) sostiene che addirittura in principio ci sia, come precursore delle emozioni, uno stato di eccitazione indifferenziata che solo col tempo acquisirà delle caratteristiche specifiche a seconda di quello che il bambino sperimenta. La prima cosa che mi viene da suggerire ai genitori, anche se forse banale, è di monitorare l'evoluzione di tale capacità durante la crescita. Sono tre le componenti da verificare: la comprensione delle emozioni, la loro manifestazione e la regolazione di quest'ultime. L'espressione delle emozioni che il bambino acquisirà dipenderà da: • caratteristiche personali

• fattori ambientali/famigliari in cui si cresce; • fattori culturali. Possiamo quindi sostenere uno sviluppo sano di questa sfera con l'utilizzo di una serie di accorgimenti: • leggere storie ricche di vissuti emotivi e nominarli, nonché riflettervi assieme ai bambini, può aiutare molto. I minori possono “sfruttare” l'esperienza dell'adulto e quest'ultimo può supportare il ragazzino nel caso in cui non riesca a individuare da solo l'emozione, permettendone così l'apprendimento. Insegnare un alfabeto emotivo ai bambini è paragonabile all'acquisizione della lettura. Comporta infatti, la promozione della capacità di leggere, ma anche di comprendere sia le proprie emozioni che quelle dell'altro. Saper svolgere questo compito può aiutare successivamente a padroneggiare in modo adeguato l'emotività e quindi esprimerla nei migliore dei modi. • Cerchiamo di accettare le emozioni dei nostri figli, anche se sono lontane dalle nostre. Il genitore che riesce a


provare empatia (cioè riesce a mettersi nei panni del bambino) sarà in grado di capire profondamente il proprio figlio e lo potrà aiutare meglio se necessita aiuto nella loro gestione. Questo non vuol dire essere un genitore permissivo, ma solo accettare qualsiasi tipo di emozione del figlio, che a sua volta non va confusa con l'accettazione di qualsiasi tipo di estrinsecazione di essa. Se l’emozione è sbagliata o dirompente va corretta, anche nel più breve tempo possibile, per evitare che si rinforzino i collegamenti emozionereazione comportamentale e diventi la normale risposta del bambino. Lasciare che vivano pienamente le loro emozioni, anche se spiacevoli, è una cosa che spesso va imparata. Molti genitori farebbero di tutto per evitare ai propri figli le sofferenze, invece un'esperienza, anche se sgradevole, è un'opportunità di crescita che dev’essere vissuta per raggiungere un buon funzionamento da adulti. Rassicuriamoli piuttosto rispetto alle loro paure, accogliendole senza giudicare. • Essere d’esempio. Ricordiamoci che non servono mille parole, anzi, spesso è più incisivo essere il modello nella quotidianità che altro. Riflettiamoci, se noi non siamo bravi a gestire la rabbia, nostro figlio apprenderà con molta facilità il nostro comportamento e quindi anche lui non sarà capace di gestirla efficacemente. Pertanto, cercare come prima cosa di migliorare noi stessi nell'amministrare le emozioni con cui facciamo fatica è il primo passo per poi insegnare a padroneggiarle efficacemente. • E, infine, fondamentale è capire cosa si cela dietro una regolazione emotiva disadattiva. Questa è la fase più delicata e difficile e alcune volte necessita dell'aiuto esterno di un professionista del settore. Lo specialista a quel punto, assieme ai genitori, cercherà di mettere a fuoco il problema e pianificare delle strategie efficaci per aiutare il bambino a superare le sue difficoltà e cambiare.

Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento - Tel. 3884828675

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La Società dell’immagine:

La chirurgia estetica incontra il pentimento "Tutto il mondo è un palcoscenico e gli uomini sono soltanto degli attori che hanno le loro uscite e le loro entrate. E ognuno, nel tempo che gli è dato recita molte parti". (William Shakespeare)

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ella nostra società esistere vuol dire essere percepiti e per farlo l’immagine di sé deve adattarsi alla figura voluta dalla stessa. La chirurgia estetica diviene quindi la via più gettonata, in particolare tra i vip, per la rielaborazione del proprio aspetto. La dimensione dell’apparenza è parte di questa realtà occidentale che a partire dal mondo mediale detta mode e modelli stigmatizzati di donne dalla bellezza costruita. Così l’industria del gossip si presenta come regno e pollaio di una discussione collettiva incentrata sulla “fiera delle vanità”, dove la figura femminile denaturalizzata, a patto con una maschera, ricerca prestigio e fama nel teatro della “società dell’immagine”. I media impongono un determinato immaginario estetico che diventa assoluto e nel tempo annulla il punto di vista individuale per modellare i desideri a sua volontà. Un’esplosione di addominali e silicone, come dice Lorella Zanardo, ci sorride ammiccante dagli schermi televisivi e dalle pagine internet, offrendo corpi idealizzati e poco reali di donne che per emergere o per nascondere il loro reale io si sono velate

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dietro ad un’apparenza. L’intervento maggiormente richiesto risulta essere la mastoplastica additiva, ossia l’aumento del volume del seno, con il conseguente pentimento dell’operazione; infatti in particolare in questo ultimo anno osserviamo un vertiginoso aumento di mastoplastiche riduttive, oltre testimonianze che vedono nel ricorso alla chirurgia estetica un grave errore. Significativa è l’età delle giovani donne che non accettandosi sono pronte a ricorrere alle pratiche chirurgiche per adempiere ad una ricerca di bellezza finta imposta dall’esterno; l’insicurezza di non essere come gli altri vorrebbero sembra scontrarsi con un carattere vulnerabile e poco personale della generazione degli anni Novanta ad oggi. La rielaborazione della propria immagine nella società dell’apparire incide efficacemente sull’aspetto interazionale e sociale, vediamo la propria forma divenire mezzo comunicativo rapido e diretto, consapevoli che “il bello” è veicolo di successo. Così le over cinquanta richiedono sempre più ritocchini contro l’invecchiamento e le primissime adulte cambiano se stesse per com-

 di Patrizia Rapposelli

piacere; in realtà la chirurgia estetica e spettacolo vanno di pari passo, sono due mondi che nel corso del tempo hanno avuto modo di procedere congiunti e spediti: il voler apparire secondo canoni di bellezza condivisi ha indotto molti vip a sottoporsi a correzioni che nei casi maggiori hanno snaturato la reale femminilità della persona. Ad oggi invece la pratica chirurgica viene associata al pentimento, rilegando il voler essere qualcun altro all’insicurezza e ad un ideale irraggiungibile, il quale cancella l’unicità di ognuno. In materia antropologica il corpo, nella sua versione naturale, appare come una pagina bianca su cui poter scrivere; il corpo “culturale”, elaborato, dipinto, segnato dal tempo, diventa un testo, scritto in una lingua particolare, che solo la rispettiva cultura è in grado di decifrare e che rende la persona “tale in quanto tale”; mi soffermerei a riflettere su questo pensiero. Nella società odierna, dove il mascherare se stessi inizia ad incontrare un pentimento generale, non abbiamo nulla da decifrare, se non un’immagine finta che cancella ogni traccia di unicità.


Elettrificazione ferrovia Valsugana Il consigliere Walter Kaswalder

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l Consiglio Provinciale ha di recente impegnato la Giunta Rossi, con un Odg proposto dai consiglieri Walter Kaswalder, Manuela Bottamedi, e Luca Giuliani, ad attivare tutte le misure nei confronti del Ministero e di RFI per addivenire in tempi rapidi a un’analisi costi-benefici e conseguente progettazione e realizzazione degli interventi di elettrificazione della Valsugana a partire dall'accordo quadro in corso di rinnovo con RFI. Di seguito un estratto del testo dell’Odg: «Sin dalla introduzione del modello di esercizio cadenzato che implica la effettuazione di corse ogni ora tra Trento e Borgo e biorarie tra Trento e Bassano, con alcune intensificazioni nelle fasce di punta, si è prestata grande attenzione alla razionalizzazione del sistema del trasporto pubblico lungo la linea (Bassano) Borgo - Trento. Sin dal 2006, dunque, sia quando il servizio ferroviario era in capo alla sola Trenitalia, che ora (nell'assetto di produzione per metà in capo a Trentino trasporti esercizio, 530.000 treni km/anno, e metà a Trenitalia, 670.000 treni km/anno), più di 40 corse ferroviarie effettuano servizio

giornaliero, per circa 5.200 passeggeri (considerando la sola tratta Trento Borgo). Premesso quanto sopra, e limitandosi ai dati di bilancio di Trentino trasporti esercizio, le stime di budget 2015 per l'esercizio Valsugana indicano un costo complessivo di esercizio di 7,3 mln di euro, e i costi variabili legati alla trazione diesel appresentano (circa 1 mln di euro) il 14%. Si stima che la spesa annua per gasolio si aggiri su poco meno di 2 mln di euro annui, quando invece la spesa annua per la trazione elettrica della Ferrovia Trento Malè (che effettua circa 1 mln di treni/km anno, a fronte di 1,2 mln di treni km della Valsugana) si attesta su circa 500.000 euro. La elettrificazione della Valsugana avrebbe dunque, accanto agli evidenti benefici ambientali legati al venir meno della trazione diesel, anche rilevanti benefici economici di risparmio che, nell'arco di pochi decenni, compenserebbero ampiamente il costo di ammortamento dell'investimento: quest'ultimo, pur in capo allo Stato (proprietario attraverso il gestore RFI della rete), vedrebbe quindi giustificato (considerato il risparmio econo-

mico per Trentino trasporti esercizio) un concorso alla spesa da parte della Provincia (come già avvenuto con altri interventi cospicui lungo la linea - si pensi da ultimo alle fermate di Santa Chiara e Villazzano, o Povo, e al Centro Intermodale di Pergine). La elettrificazione della Trento Bassano consentirebbe poi una migliore funzionalità del Parco rotabile, con sinergie ed economie di scala derivanti dall'avere (anche in termini manutentivi) un parco rotabile omogeneo e utilizzabile su tutta la rete provinciale, e altresì la possibilità di creare un modello di esercizio con relazioni anche dirette tra la linea del Brennero e Venezia (in ipotesi relazioni Monaco Venezia via Valsugana senza cambio treno). Tutto questo considerato, e viste le disposizioni della legge collegata alla manovra di bilancio in materia di opere pubbliche, nonché le risorse già stanziate in bilancio in materia di trasporti, eventualmente da distribuire in maniera diversa nelle poste nel documento tecnico di accompagnamento e nel bilancio finanziario gestionale, in modo che sia garantita la copertura finanziaria di quanto qui auspicato».

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Pieter Bruegel - The Tower of Babel (Vienna)

Dallatorre diBABELE aigrattacieli diDUBAI S e già nell’antichità, come si narra nella Genesi, l’uomo aveva “sfidato” Dio avviando la costruzione di quella che divenne leggendaria con il nome di Torre di Babele, oggi l’uomo tocca il cielo con le dita, senso di vertigini permettendo. La torre mesopotamica appare al Signore quale atto di superbia degli uomini ed è così che, narra la leggenda, le genti vennero disperse e iniziarono a parlare lingue diverse, scatenando il caos. Ma al giorno d’oggi le torri che colonizzano il nostro pianeta sono moltissime e raggiungono altezze da record! Vediamo assieme la “Top Ten” dei grattacieli più alti del mondo. Al decimo posto troviamo il Greenland Square Zifeng Tower che si trova a Nanchino in Cina e che svetta con un altezza di ben 450 m e 89 piani. L’edificio, costruito nel 2010, è frutto del lavoro degli architetti Adrian Smith e

Gordon Gill. Al nono e ottavo posto si trovano le due torri Petronas di Kuala Lumpur in Malesia con un paio di metri in più rispetto al decimo classificato. Unite all'altezza del 41° 42° piano dall’emblematico skybridge (ponte nel cielo), sono state completate nel 1998. Il settimo posto spetta a Hong Kong in Cina con l’International Commerce Centre, costruzione del 2010, che con i suoi 118 piani raggiunge un’altezza di 484 metri. Ci innalziamo di altri 8 metri per raggiungere la sesta posizione che spetta sempre alla Cina, questa volta si tratta della città di Shanghai che nel 2008 con il World Financial Center raggiunge

 di Chiara Paoli

Skyline Dubai - Il più alto grattacielo del mondo

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Chrysler Building - New York - 1932

Rotterdam Skyline

Kuala Lumpur - Twin Towers

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i 101 piani e 492 metri di altezza. Il foro rettangolare che si trova sulla cima di questo skyline ci ricorda inevitabilmente un cavatappi e, infatti, il souvenir più venduto è quello che ripropone il grattacielo in scala con funzione di apribottiglie. A metà della nostra classifica troviamo il Taipei realizzato nel 2004 nell’omonima località a Taiwan, con 101 piani e ben 509 metri di altezza. Ma ecco, al quarto posto, anche un grattacielo newyorkese, il One World Trade Center, completato nel 2012 con 104 piani e 541 metri e 33 centimetri di sopraelevazione. Questa costruzione, nota anche con il nome di Freedom Tower, ha preso il posto delle Torri Gemelle abbattute nell’attentato dell’11 settembre 2001. Medaglia di bronzo, al terzo posto, si classifica lo skyline Abraj Al Bait, che svetta nel cielo dell’Arabia Saudita a La Mecca; in questo caso abbiamo un numero inferiore di piani, che scendono a 95, mentre l’altezza arriva a toccare i 601 metri, comprendendo la guglia. Ma questa costruzione vanta altri tre primati: si tratta infatti dell’albergo più alto del mondo, che è dotato dell’orologio da facciata più grande mai esistito e la torre dell’orologio risulta la più elevata del globo terrestre. Lo Shanghai Tower (Cina) con i suoi 632 metri si aggiudica la medaglia d’argento con 121 piani sovrapposti. Su tutti, vince l’oro Dubai negli Emirati Arabi con gli 828 metri del Burj Khalifa, costruito nel 2010 e suddiviso in 163 piani, di cui 11 occupati dall’hotel 5 stelle firmato Giorgio Armani. Una costruzione potrebbe battere però anche questo record, lo Sky City 1000, progettato per Tokyo in Giappone, promette infatti di raggiungere i 1000 metri di elevazione. Il progetto, realizzato dalla Takenaka Corporation, prevede 14 livelli che si restringono man mano che salgono verso l'alto, mantenendo al suo centro delle zone verdi per il relax. Si tratta di una costruzione che si presenta come vera e propria città sviluppata in altezza, con al suo interno alloggi, uffici, negozi, istituzioni scolastiche, teatri e cinema.


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L’architettura preistorica N

el paleolitico e nel mesolitico gli uomini erano cacciatori che migravano e si spostavano continuamente per sopravvivere, adottando come riparo grotte naturali già esistenti o realizzando delle capanne di legno. All’età del bronzo risalgono invece i primi esempi di architettura megalitica, che a distanza di millenni possiamo ancora ammirare. Si tratta di costruzioni realizzate con enormi blocchi di pietra, diffuse per lo più nelle isole britanniche, in Bretagna, nelle Alpi Centro-orientali, in Sardegna, Puglia, e Sicilia. Queste architetture si dividono per tipologia in: dolmen, menhir, cromlech, e nuraghi. Dolmen in lingua bretone vuol dire proprio tavole di pietra, si tratta di costruzioni formate da due pietre che vengono collocate in posizione verticale, mentre una terza viene disposta orizzontalmente, in modo da sormontarle. Questo sistema può essere definito trilitico (cioè formato da 3 pietre), ma in realtà si possono aggiungere anche elementi laterali, uno di chiusura e uno munito di apertura - porta d’ingresso. Originariamente erano ricoperti da cumuli di terra o pietrisco e venivano usati come tomba individuale o riservata alla collettività. Poteva essere utilizzato anche come luogo di culto e su alcune pietre che compongono

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l’architettura appaiono rappresentazioni incise, come curve concentriche, spirali, figure umane schematizzate, e in alcuni casi tracce di banchetti funebri. Menhir è ancora una volta una parola di lingua bretone che può essere interpretata come pietra lunga. Si tratta infatti di un unico blocco di pietra posto verticalmente nel suolo. Spesso li ritroviamo disposti in lunghissimi allineamenti che hanno la funzione di lastra tombale. I menhir si trasformano in alcuni casi in statue dalla forma antropomorfa che si completa per la figurazione maschile con la presenza di un’arma, mentre quella femminile è connotata da piccoli seni. I cromlech sono invece dei circoli di pietra, si tratta di costruzioni realizzate con ogni probabilità per il culto del Sole, data la loro orientazione in base ai fenomeni astrologici. In questo caso le lastre vengono fissate nel terreno in verticale secondo una disposizione circolare, per poi

 di Chiara Paoli

essere sormontati da pietre in orizzontale che architettonicamente parlando potremmo definire trabeazioni. Il più famoso e suggestivo cromlech del pianeta è il complesso di Stonehenge, "antico osservatorio astronomico", che dista circa 13 km da Salisbury nello Wiltshire in Inghilterra. Nella prima metà del ‘900 le pietre di Stonehenge sono state erette nuovamente, raddrizzate e rinforzate per rendere il sito, che nel 1986 è entrato a far parte dell’Unesco ed è quindi considerato patrimonio dell'umanità, più sicuro. A Stonehenge giungono migliaia di turisti, ma anche moltissimi pellegrini, seguaci del Celtismo e di altre religioni neopagane. Le tre tipo-


logie appena descritte si possono considerare quali luoghi di culto o costruzioni tombali, per conservare i corpi dei defunti durante il sonno eterno e alcune di esse si collocano anche in Italia, come il cromlech che si trova sul colle del Piccolo San Bernardo, al confine tra l’Italia e la Francia. Vi è poi ad Aosta un’importante zona archeologica che conserva testimonianze di architetture preistoriche, si tratta dell’Area megalitica di Saint-Martin-de-Corléans, qui si trovano steli incise antropomorfe e un grande Dolmen. Ma la regione italiana con il maggior numero di costruzioni megalitiche è la Sardegna, dove possiamo trovare le cosiddette tombe dei giganti, ma dove sono presenti anche costruzioni in muratura utilizzate per la quotidianità. Le tombe megalitiche sono costruzioni edificate nel secondo millennio avanti Cristo, utilizzando dei monoliti di pietra fissati a terra, secondo disposi-

zione rettangolare lunga fino a 30 metri e alta fino a 3. La struttura appariva un tempo ricoperta da un tumulo che la rendeva simile a una nave rovesciata. La facciata a semicerchio pare richiamasse alla mente le corna di un toro e al suo centro si collocava un megalite che poteva raggiungere i 4 metri di altezza, e nel mezzo del quale era posta un’apertura (porta) di accesso che poteva essere chiusa con un masso. Vicino all’ingresso era inoltre posto un betilo (o betile), pietra sacra volta a simboleggiare gli antenati o le divinità che vegliano sui morti. I più famosi betili al mondo sono costituiti dai monoliti che troneggiano sull’Isola

di Pasqua. Vi sono poi in Sardegna, tipi particolari di costruzioni megalitiche realizzate nel secondo millennio: i nuraghi, costruzioni realizzate in pietra, dalla forma cilindrica, che appaiono come torri. Sull’isola si contano circa 7000 case-fortezza costruite dai pastori sardi, un immenso capitale architettonico che nel 1997 è entrato a far parte del Patrimonio mondiale dell'Unesco.

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Mondo palafitticolo L

e palafitte sono case costruite sull’acqua, si collocano sopra paludi, fiumi, laghi, o nelle lagune, anche se talvolta vengono realizzate anche su terreni asciutti. Queste costruzioni, che erano diffuse in Italia nel Mesolitico e fino all’Età del Bronzo, esistono tutt’ora e si possono ammirare in Africa, in Asia e in Sudamerica, ma qualche traccia è rimasta anche nel nostro Trentino. Queste case, venivano realizzate come strutture di difesa da parassiti, animali, e nemici; costruite su una piattaforma lignea sostenuta da pali infissi nel fondo limaccioso dello specchio d’acqua che rappresentava un ostacolo naturale. Le capanne, realizzate in legno, paglia, e

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con uso di canne, erano collegate alla terraferma attraverso delle passerelle che, durante la notte, potevano essere rimosse, in modo tale da isolarle da qualsiasi minaccia. Per questa loro particolarità di essere difficilmente raggiungibili, potevano venire utilizzate anche per immagazzinare provviste e beni di consumo. Delle specie di palafitte, note con il nome di rascard, o raccard, si trovano nelle Alpi occidentali, in particolar modo in Valle d’Aosta; sono costruzioni in legno sopraelevate rispetto al terreno, utilizzate come abitazioni e granai, sospese su sostegni di pietra e legno, che prendono la caratteristica forma di un fungo. Nel giugno del 2011, le palafitte preistoriche di sei stati alpini sono entrate a far parte del patrimonio mondiale dell'Unesco e insieme a quelle anche le palafitte trentine. Nella nostra provincia vi sono due siti palafitticoli di particolare interesse che si sono tramutati in musei. Il primo in ordine temporale è il Museo

 di Chiara Paoli

delle palafitte del lago di Ledro, che costituisce una sezione distaccata del Muse. La sede museale si trova sulla sponda ovest del Lago di Ledro, nell’abitato di Molina dove nel 1929 furono scoperte le palafitte risalenti all’età del bronzo, grazie al temporaneo abbassamento del livello dell’acqua utilizzata per la messa in funzione della nuova centrale idroelettrica di Riva del Garda. Vennero effettuati degli scavi, sospesi in conseguenza dell’innalzarsi del livello dell’acqua e poi ripresi dalla soprintendenza competente e dall'Università degli Studi di Padova, nel periodo di secca compreso tra il 1936 e il 1937. Dopo questa prima fase di studio il testimone passa al Museo tridentino di scienze naturali che si


occupa dei lavori, e negli anni ’70 inaugura il museo che raccoglie numerosi reperti archeologici a testimonianza della quotidianità dei nostri antenati che 4000 anni fa abitavano queste case galleggianti. Nel prato dirimpetto al museo, nel 2006 è stata inaugurata la ricostruzione in scala 1 a 1 di un vero e proprio villaggio palafitticolo che i visitatori possono esplorare e sperimentare in prima persona. L’estate viene proposto un ricco programma di attività dal titolo “Palafittando”, alla scoperta delle diverse capanne: quella dello sciamano, luogo in cui si narrano leggende, quella dell’artigiano, dove si realizzano asce, archi e frecce, dell’agricoltore e del pescatore che custodiscono gli strumenti del lavoro, aratro e reti da pesca. Vi è poi la capanna del capo villaggio, abitazione dove si cucina e luogo di incontro

per le decisioni più importanti per la collettività. Il Museo delle palafitte di Fiavè è stato inaugurato più recentemente, il 14 aprile del 2012; al suo interno trovano collocazione i ritrovamenti archeologici rinvenuti nel Biotopo di Fiavè. I resti dell’abitato preistorico sono stati riportati in luce nel 1969 dall’archeologo Renato Perini che con i suoi scavi ha individuato, in quello che un tempo era il lago Carera, diversi nuclei palafitticoli, appartenenti a epoche diverse. Il più antico insediamento risale al quarto millennio a.C., e sull’isoletta, artificialmente prolungata con tronchi, sassi, cortecce, e ghiaia, sono rimaste le tracce del piano pavimentale. Vi sono poi nuclei che rispecchiano il classico modello della palafitta sospesa sull'acqua e che risalgono al periodo compreso tra il 1800 e il 1500 a.C. circa, e che danno vita successivamente, tra 1500 e 1300 a.C., a insediamenti

sostenuti da un’articolata struttura reticolare su pali ancorati sul fondo lungo la sponda del lago. L’abitato si sposta poi, nell’ultima fase del III millennio, verso il Dos Giustinaci, dove le abitazioni sono costruite con fondazioni di pietra. Dalla torba sono stati estratti numerosi reperti archeologici che sono confluiti nelle collezioni della sede museale, nell'antica Casa Carli che ci riporta indietro nel tempo per farci scoprire come vivevano i palafitticoli. Curioso che tra oggetti in legno, ceramica, preziosi monili in bronzo, oro, e ambra baltica, siano stati rinvenuti anche reperti alimentari, come nocciole, corniole, mele, pere, e spighe di grano.

Per le referenze fotografiche si ringrazia: Museo delle Palafitte del Lago di Ledro, sede territoriale del MUSE - Museo delle Scienze e Provincia autonoma di Trento, Soprintendenza per i beni culturali, Ufficio beni archeologici, Museo delle Palafitte di Fiavé.

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A Levico Terme trecento anni di storia con…

L’ ANTICA FARMACIA ROMANESE

La storia della Farmacia Romanese è strettamente legata allo sviluppo della cittadina di Levico Terme come centro termale e Pieve Tesino hasecolo. sede il Museo turistico nel XIX Casa De Gasperi Laevus Vicus, così fu che ha restituito vitalità e riempito di signibattezzata l'antica Levico ficati quella che era la casa natale dai conquistatori Romani, è dello statista trentino. Questo luogo acque termali vuolefamosa essereper un le incubatore di idee e arsenicali ferruginose che messaggi, trasmessi attraverso instalscaturiscono dalla fonte di del lazioni multimediali, portatori messaggio politico e spiriVetrioloumano, che si trova in una tuale,grotta di undiuomo che ha vissuto in montagna a 1500 primametri persona un periodo di quota. Acque storico di grandi cambiamenti. uniche in Europa per la Alcide è il primogenito di Amedeo di singolare composizione Sardagna, maresciallo maggiore della armonicalocale dei suoi gendarmeria tirolese, e di Maria componenti ferro, rame, Morandini, che avrebbe dato alla luce arsenico e che da quasi due femaltri tre figli, due maschi e una mina.secoli vengono prescritte Lo statista, di madrelingua quale prezioso strumentoitaliana, conosceva perfettamente la lingua teterapeutico per i disturbi descadel e dopo la formazione sistema nervoso, dellaall'Imperial Regio Ginnasio superiore di tiroide, della pelle come balneoterapia ed in forma di areosol per le patologie otorinolaringoiatriche.

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Da sinistra: il dr. Tognoli, il dr. Recchia, la dott.ssa Fontana, la dott.ssa Notte, la sig.ra Fiorentini, la dott.ssa Pierotti, la sig.ra Bortolotti.

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Trento, si laurea in Filologia presso 'ANTICA FARMACIA ROMAl'Università di Vienna. NESE, fondata Fin da giovane prendedopo parte laadmetà attidel 1700, ha sviluppato la sua vità politiche d'ispirazione cristianoattività neiterminati locali digliunstudi, palazzo sociale e, entradel a XVII secolodella prospicente la centralissima far parte redazione del quotivia Regia centrodivenendone storico del paese diano Il nel Trentino in ebreve avevatempo addirittura il deposito di acque il direttore. minerali di tutta Europa. I suoi articoli sono un manifesto a diCaso raro, laculturale famiglia ROfesa abbastanza dell'autonomia del MANESE si è tramandata la gestione Trentino, pur sotto l’egida dell'Impero della farmacia di In padre in figlio fin austro-ungarico. seguito alla redall'epoca della sua apertura al pubpressione messa in atto dalle autorità blico. asburgiche, muta il suo pensiero che Si ha memoria un capostipite Gasi orienta verso ildidiritto albriele (1644) e di suo figlio l'autodeterminazione dei Baldessarre (1667) a cui popoli; con l’annessione seguì sposato del Giacomo Trentino cheall'Italia, con Cecilia Sella, generò prende la cittadinanza itaun Baldessarre. Da lianaaltro ed entra a far parte antiche etichette si evince del Partito Popolare Itache farmacisti lianoquesti promosso da opedon ravano dalla seconda metà del Settecento, ma è il figlio Gerolamo Romanese, coniugato con Angela Auchentaler, che ebbe assegnata la titolarità della far-

Luigi Sturzo. Nel 1922 sposa a Borgo macia dal Circolo di Rovereto essendosi Valsugana Francesca Romani, dalla laureato a Pavia nel 1790. cui unione nasceranno quattro figlie: La discendenza ROMANESE conMaria Romana, dei Lucia, Cecilia e Paola. tinua con Giovanni Giuseppe, il cui Il 16 novembre 1922 vota per la fidufiglio (1846 - 1931), spocia al Giustiniano governo Mussolini, ma l’anno sato con Maria Valdagni, ebbe successivo assieme al PPI cerca di due trofigli, quali Gualtiero vare uno un dei compromesso alla(1881 legge1929 ), voluta sposato Anna Costa, si Acerbo, dalcon duce per assicurare trovò ad esercitare professione di al Partito Nazionale laFascista una sofarmacista lida magin g i oun r a npeza riodo parparlamenticolarmentare. Il 20 te difficile

Anna Maria

Gualtiero


durante la prima guerra mondiale e fu mandato al confino in Moravia per gestire la farmacia di Olmutz. Tornato finalmente a casa nel 1919 Gualtiero, riunitosi con la famiglia, potè rimettere in sesto la Farmacia recuperando l'antico bancone, recentemente restaurato, una stupenda bilancia in ottone stile impero, numerosi vasi della Vecchia Ginori e qualche antica farmacopea. La linea maschile dei ROMANESE si estingueva con il figlio Pietro, per cui la farmacia passava alla sorella Anna Maria sposata Tognoli che poi la cedeva al nipote di Pietro, dr. Giancarlo Tognoli che è l’attuale titolare. Negli anni Ottanta del secolo scorso la Farmacia ROMANESE ha subito una radicale ristrutturazione per adeguarla alle mutate esigenze della clientela, mantenendo intatto, però, l'arredamento della parte storica per salvare il valore della tradizione degli antichi speziali. E cambiamenti ha avuto anche la sistemazione dei vari reparti: la parte prescrizione è rimasta nei locali della vecchia farmacia; l’erboristeria si trova adiacente nel vecchio portico carraio mentre un ampio spazio con l'ingresso

attuale della farmacia è dedicato alla profumeria, sanitari, articoli per la prima infanzia e dietetici. Infine, in una cabina riservata, possono essere effettuate autoanalisi di prima istanza, consulenze a vari livelli in base alle richieste e controlli gratuiti dell'udito fatti da personale specializzato. Come si può constatare da allora sono passati tanti anni e tanti sono stati i cambiamenti e le trasformazioni strutturali che hanno interessato la FARMACIA ROMANESE perché, come ci sottolinea il titolare Giancarlo, “la nostra mission è, come sempre è stato, continuare ad essere al servizio dei clienti e pazienti, cercando di dare il meglio non solo come

disponibilità al dialogo, ma anche suggerendo appropriati, puntuali ed esaurienti consigli”. A tal proposito un particolare riferimento deve essere indirizzato a tutto il personale che all’interno della farmacia opera: uno staff di collaboratori competenti, preparati, disponibili e sempre pronti, attraverso una continua attenzione e conoscenza, alla ricerca della ottimale soluzione per meglio risolvere le problematiche e le specifiche richieste che quotidianamente vengono presentate. (P.R.)

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CASE sugli ALBERI

TRA FANTASIA, STORIA, ABITAZIONE E TURISMO

 di Sabrina Mottes lzi la mano chi non si è arrampicato almeno una volta su di un albero durante l’infanzia, sentendo addosso tutta l’adrenalina per la scalata, l’emozione per il contatto con il tronco, il senso di onnipotenza per l’altezza, la pace e il piacere per il contatto diretto con la natura. Le scalate tra i rami e le case costruite sulle piante rimangono però per alcuni legate solo ai ricordi di un’infanzia lontana, selvaggia e un poco indisciplinata. E ad alimentare l’idea favolistica del vivere sugli e negli alberi è stata nel tempo anche la letteratura fantastica. Nelle fiabe, infatti, gnomi ed elfi abitano le foreste, e le loro case si trovano all’interno delle piante. Anche nella letteratura classica sono molti i personaggi che abitano gli alberi. Tarzan, il Barone Rampante, Robin Hood vivono sulle piante per motivi diversi come conservare il proprio spazio vitale, sfuggire alla vita reale, o ancora per coltivare il loro personale concetto di esistenza.

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Ma le case sugli alberi, fortunatamente, non fanno parte solo del mondo fantastico. Nella storia, molti sono gli esempi di edifici costruiti sulle piante. Già i Romani e i Persiani erano usi erigere piccole abitazioni sugli alberi per abbellire i loro parchi e per riunirsi con gli amici. E così anche i Medici, signori di Firenze nel ‘500, fecero costruire nei giardini delle loro ville alcune case-albero dove passare momenti conviviali. Dopo un periodo di relativo sviluppo, le case sugli alberi persero via via importanza ed è solo in epoca romantica che la nuova ricerca di contatto con la natura incontaminata riportò in auge questa singolare abitazione. In Francia, nel 1800, nei pressi di Parigi, venne costruito addirittura un ristorante in un enorme castagno. In alcune zone della terra, vivere sugli alberi è stata da sempre una necessità

per sfuggire agli animali feroci o come strumento di difesa e controllo del territorio circostante. È questo, ancora oggi, il caso dei Korowai, una tribù indonesiana che vive sulle piante. Essi costruiscono le proprie case a una considerevole altezza per ragioni di sicurezza, ma anche per questioni mistiche, pensando che l’altezza possa mantenere lontani gli spiriti maligni. Negli ultimi due secoli, la sempre maggiore attenzione verso la salvaguardia del pianeta, la ricerca di un più stretto contatto con la natura e di stili di vita sostenibili, hanno favorito l’aumento della costruzione di case o ambienti sugli alberi. Alcuni architetti e designer particolarmente innovativi e attenti all’ecologia hanno iniziato a

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occuparsi su larga scala di questo singolare settore abitativo, proponendo splendidi progetti attorno all’idea di casa-albero. Questo tipo di abitazioni è infatti perfettamente integrata nello spazio circostante e i materiali impiegati per la loro realizzazione sono in gran parte naturali o comunque di scarso impatto ambientale. Il legno, leggero, resistente e a basso costo, è il più utilizzato per creare la piattaforma di appoggio e le pareti esterne e interne. L’acciaio serve invece per sostenere le strutture mediante pali, staffe, cavi e bulloni. Infine il vetro completa queste bellissime abitazioni aeree, conferendo leggerezza e vicinanza visiva con l’ambiente circostante. La curiosità verso questo tipo di abitazione ha stimolato anche il mercato del turismo che si sta pian piano avvicinando a questo tipo di offerta. Per questo, ultimamente, sono nate diverse strutture alberghiere composte da piccole stanze-albero immerse nel verde dove sperimentare una vacanza particolare ed ecologica. Qui l’uomo

moderno che passa gran parte della sua vita in ambienti saturi di tecnologia, in città dove gli ambienti naturali sono ormai un’ipotesi e in case sempre

più piccole e impersonali, ha la possibilità di vivere almeno per qualche giorno in comunione con la natura, tra le fronde di accoglienti alberi.

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Come aumentare

LA SICUREZZA di casa propria

 di Silvia Tarter

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furti in appartamento, ma anche a danno di negozi o aziende, sono una notizia che compare di frequente sulle pagine dei quotidiani. Per chi li subisce, oltre a veder sottratti i propri beni e a trovare spesso e volentieri l’abitazione danneggiata, comportano un grave disagio per la violazione della proprietà, che può anche avere conseguenze psicologiche. Secondo i dati Istat negli ultimi dieci anni i furti in appartamento sono addirittura raddoppiati, passando da 8,5 su mille nel 2004 a 17,9 su mille nel 2013. Prevenirli è certamente difficile, ma cercare di rendere più sicure le nostre vie d’entrata può essere una misura utile a scoraggiare, o perlomeno a rallentare, l’azione di visitatori non graditi. Fortunatamente non manca la possibilità di informarsi sui vari sistemi di sicurezza e accorgimenti, tramite internet o partecipando a serate pubbliche cittadine sul tema. Un primo e semplice accorgimento, banalmente, può essere quello di non limitarsi a chiudere a chiave la porta o i portoni di casa con un solo giro, ma preferire due o tre giri. Le chiavi inoltre non sono tutte uguali,

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esistono quelle europee, quelle di tipo Yale oppure le più tradizionali a singola e a doppia mappa. Le serrature di queste ultime sono le meno sicure, riescono infatti facilmente ad essere aperte mediante l’utilizzo del grimandello bulgaro, uno strumento che arriva dall’Est Europa in grado di ricostruire il profilo di una chiave di questo tipo, che permette così di aprire la serratura senza forzare la porta. Sebbene non siano infallibili, le serrature dotate di un cilindro a profilo europeo possono essere invece piuttosto valide a prevenire intrusioni; presentano infatti una fessura più stretta, che impedisce alcune manovre di scasso, sono più resistenti e compatte e le chiavi più piccole, pratiche e difficili da duplicare. Neppure questo sistema è però del tutto infallibile, visto che queste serrature possono essere aperte con il metodo del Keybumping, che permette di aprire una serratura con una chiave sagomata, molto grezza. In nostro aiuto esistono però anche i defender, dei dispositivi a forma di dischetto che possono essere anche magnetici, installati per proteggere i cilindri delle serrature,

ai quali sono fissati dall’interno, che ostacolano le aperture per mezzo di trapano, frese o altro. Stesso discorso vale per i portoni, dove oltre a far installare delle buone serrature è possibile scegliere dei pannelli antieffrazione, anche per quelli basculanti. Naturalmente, oltre alla serratura, è importante anche la robustezza della stessa porta. Anche per chi non avesse una porta blindata, per aumentarne la sicurezza potrebbe bastare una semplice spranga orizzontale universale. Oltre alle porte, occorre poi prestare attenzione all’altra via di ingresso: le finestre. Per prima cosa, e non è un avvertimento scontato, bisogna assicurarsi di chiuderle prima di uscire di casa. L’ideale per proteggersi poi sarebbe installare dei vetri antisfondamento, oltre ad avere punti di chiusura e infissi solidi e di qualità. Un altro accorgimento che solitamente contribuisce a far desistere i ladri è mettere le inferriate, che possono essere anche apribili per evitare di sentirsi in prigione. Per chi possiede le imposte può inoltre essere utile installare una spranga, altrimenti si trovano anche le tapparelle blindate.


IN AUMENTO I FURTI IN CASA

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econdo i dati dell’Istat riferiti al 2015, i furti in casa sono stati più di 230 mila, 234.726 per l’esattezza. Una buona fetta si registra nelle regioni del Nord Italia, in particolare la Lombardia che si piazza al primo posto tra le zone più colpite dai topi d’appartamento, con ben 52.249 furti denunciati, che in buona parte si verificano nella provincia di Milano, dove nel 2015 sono stati ben 18.101, quasi quanti quelli dell’intero Lazio e più del totale dei furti che avvengono in Sicilia e Sardegna. A seguire, tra le regioni più frequentate dai ladri, c’è l’Emilia Romagna, dove i furti nel 2015 sono stati 26.052. In generale, la parte più colpita della nostra penisola risulta essere la zona Nord Ovest (85mila furti), a cui segue il Nord Est (47.585), mentre il numero di furti denunciati scende vertiginosamente se ci spostiamo nel centro Italia, dove ammontano a circa 33mila episodi, e ancor meno al Sud e nelle isole dove sono stati appena 17.433. Numeri

questi che mostrano una preoccupante crescita progressiva del fenomeno negli ultimi anni, un vero e proprio raddoppio, basti pensare che una decina di anni fa, nel 2006, i furti erano appena 141.601. In dieci anni quindi, i furti in Italia sono stati quasi 2 milioni, e teniamo presente che stiamo parlando solamente di furti denunciati, escludendo tutti i tentativi di furto. Secondo la graduatoria pubblicata dall’Eurostat Undoc che analizza il tasso di crescita dei furti nel periodo compreso tra il 2008 e il 2014, il nostro paese è al 6° posto in Europa per numero di furti subiti ogni 100 mila abitanti. Prima di noi ci sono solamente Belgio, Danimarca, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svezia, mentre molto più “al sicuro” rispetto a noi appaiono le case in Francia, Spagna, Ungheria, Germania, e ancora di più quelle di polacchi, slovacchi e lettoni, in assoluto gli abitanti meno colpiti da intrusioni indesiderate.

Una crescita negativa la nostra che contribuisce, naturalmente, ad aumentare la percezione di insicurezza degli italiani, che sempre più frequentemente decidono dunque di affidarsi a sistemi di allarme e di videosorveglianza (così come aumenta il numero di chi ricorre al porto d’armi, con 400.000 licenze rilasciate nel 2015), arrivando a spendere anche più di 1000 euro (dati Ipsos 2015), rinunciando così anche a un po’ della loro privacy, pur di sentirsi più sicuri.

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Agire,

«un’assicurazione per sentirsi più sicuri»  di Franco Zadra

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uando si parla di Habitat, convivenza civile, senso di sicurezza, magari dentro il proprio “nido” domestico, niente più del tema “ladri d’appartamento” ha una sicura presa sull’elettorato, ed è capace di trasformare radicalmente una cultura, una socialità, vissuta magari in anni anche più difficili, all’insegna dell’accoglienza, delle porte aperte, dell’ignoranza totale per sistemi di allarme e serrature di sicurezza. Un’idea originale, già sperimentata da alcune Amministrazioni trentine, con il proposito di innalzare il sentimento di sicurezza della popolazione, e ancora in tempi non sospettabili di caccie a consensi e campagne elettorali, ci viene da un piccolo gruppo politico, quasi appena nato, ed extra-consigliare di Levico Terme. Un gruppo che ha già fatto parlare di sè, dimostrando sempre un “aplomb” non comune in varie situazioni, come per la chiavetta elettronica per la raccolta della plastica, una proposta per la Casa Cantoniera, o lo studio sull’impianto a Biogas di Villa Agnedo. Si tratta del coordinamento di Agire per il Trentino, il nuovo movimento politico che fa riferimento al consigliere Claudio

Cia, che ha di recente formulato dalla sua pagina Facebook “Agire per Levico Terme”, la seguente proposta che volentieri rilanciamo e sottoponiamo a chi di dovere: «Per la sicurezza dei levicensi siamo sicuri che non si possa fare di più? Il Comune di Avio, per esempio, offre gratis ai propri cittadini un’assicurazione di prima assistenza in caso di furti! Nel 2014 l'amministrazione comunale di Avio ha pensato bene di stipulare, a favore dei propri cittadini, un’assicurazione di assistenza all'abitazione e alla persona in caso di furto, tentato furto con scasso, scippo, o rapina. Nel caso di furto o tentato furto con scasso, per una spesa massima di 300 euro, viene garantito l'invio di un tecnico per la riparazione del danno subito ai serramenti, vetri e serrature. Sono garantite anche altre prestazioni che tralasciamo. Il costo dell'assicurazione per l'anno 2017 è fissato pari a 2,20 euro per nucleo familiare. Applicando tale parametro a Levico, considerato che le famiglie sono 2703, si tratterebbe di un costo annuo a carico del Comune pari a 5.947 euro. Non male come idea. Tale iniziativa ovvia-

mente non si sostituisce ma, si aggiunge al sistema di videosorveglianza e alle normali attività di vigilanza sul territorio. Nel Marketing, prendersi cura del cliente si dice Customer Care; l'iniziativa del Comune di Avio ci richiama tale pratica. Non è forse vero che il cittadino è cliente dell'Amministrazione comunale? Giudica l'operato e alle prossime elezioni decide...». Considerazioni politiche a parte, la proposta di cui sopra ci pare molto interessante e degna di un rapido confronto a livello di Consiglio comunale, tenendo presente che, magari, due euro e venti all’anno li potrebbero pagare tranquillamente tutti, anche quelli che pensano di non aver nulla da perdere in caso di furto in casa, poiché, si sa, i danni maggiori sono spesso quelli alla porta d’ingresso.

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A CISMON DEL GRAPPA

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COHOUSING QUANDO I GIOVANI CONDIVIDONO LA CASA

 di Silvia Tarter

Nell’era della condivisione, la cosiddetta sharing economy, persino il nostro bene materiale più personale, la casa, può essere condiviso. Il cohousing, letteralmente co-abitare, nasce dall’idea di un architetto danese a metà degli anni ’60 e da allora si è molto diffuso, per lo più in Nord Europa, come soluzione abitativa. In pratica alcuni spazi delle case, ad esempio cucine, lavanderie, aree di gioco, vengono messi in comune per renderli fruibili da più persone. In questo modo si incoraggiano spirito di collaborazione e condivisione, oltre a uno stile di vita più sostenibile per l’ambiente.

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a qualche anno anche in Trentino è approdato un diverso modo di abitare, che punta più che altro, rispetto alla coabitazione di stile nordeuropeo, sulla coabitazione di inquilini giovani, esclusi da un percorso di studio o lavoro, che possono quindi trovare aiuto grazie a un progetto strutturato. Condividendo un appartamento a tariffe agevolate possono infatti soddisfare il proprio desiderio di emancipazione dalla famiglia di origine e allo stesso tempo rendersi utili tramite attività di volontariato, diventando un punto di riferimento per la comunità. Questo progetto denominato “Co-housing - io cambio status” è stato promosso in via sperimentale nel 2013 dall’Agenzia provinciale per la famiglia,

natalità e politiche giovanili e visto il successo della prima edizione è stato attivato un secondo percorso, tuttora in corso, valido per il biennio 2016-2018. Attraverso un bando provinciale una trentina di ragazzi tra i 18 e i 29 anni di varia provenienza ma residenti in Trentino, accomunati dalla condizione di precariato o disoccupazione, sono stati selezionati e coinvolti in questo progetto di coabitazione che riguarda per ora appartamenti messi a disposizione a Trento, Rovereto e Pergine. Da febbraio di quest’anno hanno iniziato così l’avventura della convivenza con dei perfetti sconosciuti, selezionati in base ad affinità e interessi comuni dallo staff dell’Agenzia. I ragazzi possono godere di un affitto molto vantaggioso,

100 euro al mese, un terzo del totale (i restanti due terzi sono sostenuti dal fondo Regionale per il sostegno della famiglia e dell’occupazione), ma in cambio sono tenuti a prestare il loro impegno in attività di volontariato per una decina di ore a settimana. “Questo aspetto genera un duplice valorespiega l’assessore Marina Eccher di Caldonazzo, tra i curatori del progettosoggettivo per il ragazzo, collettivo per la comunità.” A Pergine ad esempio i cohouser sono attivi presso un centro giovani, mentre a Rovereto si occupano di animare i pomeriggi dei bambini all’oratorio, ma innumerevoli nuove occasioni di volontariato possono nascere strada facendo, anche l’aiutare abitualmente una signora del proprio condominio a portare la spesa. Unire alla crescita della propria autonomia la crescita della consapevolezza di sè e delle proprie capacità rendendosi utili permette di aumentare anche la propria sicurezza, cosa che contribuisce ad aiutarli ad inserirsi progressivamente nel mondo del lavoro, scopo portante del progetto. Durante tutto l’iter biennale infatti i ragazzi vengono seguiti da tutor coordinati da 3 coach sociologi, che si occupano della loro formazione, cercando di orientarli verso un contesto lavorativo tramite attività e laboratori. “Il percorso punta a far acquisire ai ragazzi un’autonomia dal punto di vista lavorativo, individuando le proprie capacità e competenze; abitativo, facendo sì che

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imparino a stare da soli, ed affettivo, infatti sono già nate delle amicizie tra i coinquilini.” Continua Eccher. Ovviamente, è sempre possibile uscire dalla condizione di coabitazione per motivi lavorativi o affettivi come l’inizio di una convivenza o un matrimonio. I 30 ragazzi attualmente coinvolti si trovano a Trento in via Endrici (5 ragazzi e 6 ragazze); in via della Saluga nell’ex casa

del Clero (1 ragazzo e 2 ragazze) e a Villa S. Ignazio (2 ragazze); a Rovereto in via Paganini sopra l’oratorio (4 ragazzi e 5 ragazze) e infine a Pergine in via Zandonai (3 ragazzi e 2 ragazze). È appena uscito però un nuovo bando per attrarre altri 24 giovani cohouser (iscrizioni aperte fino al 28 aprile). “Vorrei ampliare la possibilità di partecipare al progetto ad altre realtà del Trentino,

continua Eccher, valutando le opportunità di volontariato in loco. Questi ragazzi infatti si sono rivelati davvero motivati, afferma, persone attive, piene di voglia di fare, tutti con precedenti esperienze di volontariato”. Un motivo in più quindi per sostenerli a valorizzare se stessi, al fine di trovare uno sbocco professionale dove spendere le loro energie e ambizioni.

I PRIMI CO-HOUSER A PERGINE

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Pergine, da metà di febbraio, 5 ragazzi (a cui a breve se ne aggiungerà un 6°) convivono in 80 m2, al secondo piano di una palazzina Itea in via Zandonai. Due di loro si chiamano Michele, uno Giuseppe e le due ragazze entrambe Nicole (una delle quali era assente per lavoro al momento del nostro incontro). Nicole, 22 anni, di Pressano, lavora a tempo determinato come oss a Villa Rosa, e vorrebbe continuare su questa strada: “Prima di iniziare ero spaventata all’idea di condividere la mia quotidianità con persone mai viste. Ho ancora vissuto lontano dai genitori ma da sola, ed è molto diverso”, racconta. In realtà, anche se in casa la maggior parte degli abitanti sono ragazzi, e quindi, solitamente meno ordinati, non si può lamentare: “Mi trattano come una principessa, alla mattina mi portano il caffé, Michele cucina...sono bravi.” Quasi tutti i suoi nuovi coinquilini infatti hanno già avuto esperienza di convivenza fuori casa. Michele ad esempio, 20 anni, levicense, dopo gli studi in elettrotecnica ha vissuto e lavorato per un periodo a Milano, e una volta rientrato ha trovato difficile tornare a vivere coi suoi genitori: “Avevo bisogno della mia indipendenza, ammette, “all’inizio mi sono stupito di come persone con interessi diversi come noi siano riuscite ad andare d’accordo.” Infatti in casa si respira davvero un clima d’armonia, l’ambiente è pulito e ordinato, e i ragazzi hanno iniziato a

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personalizzarlo. Al momento Michele non lavora, ma vorrebbe dedicarsi all’informatica, specializzandosi nella gestione dell’harware. Il secondo Michele, che condivide con il compagno il nome ma ha gusti e carattere completamente diversi, è invece un 23enne di Trento, diploma alberghiero, anche lui desideroso di avere autonomia e indipendenza economica. Per questo è alla ricerca di un lavoro, anche generico, da conciliare con la cura dell’orto, la sua vera passione. “Mi piacerebbe vivere di quello che produco nell’orto”, afferma. La casa, messa a disposizione dalla Provincia, in collaborazione con Comunità di Valle e ASIF Chimelli, dispone infatti anche di un piccolo giardino, dove il giovane orticoltore si potrà sbizzarrire in attesa di utilizzare più terreno. E poi c’è Giuseppe, 26 anni, di Pergine, laureato in lettere e amante dei libri: “Il mio sogno sarebbe lavorare in biblioteca” confessa. Nel frattempo, da anni è attivo come volontario al centro Kairos di Pergine, dove aiuta i ragazzini

a svolgere i compiti, insegnando l’italiano a quelli di origine straniera. Il progetto prevede infatti, come dicevamo, la partecipazione obbligatoria ad attività di volontariato, che al momento, per il gruppetto di Pergine sono ancora in via di definizione. Tommaso, il loro tutor, ci spiega che per loro sono previste 3 aree di volontariato: la prima presso il centro Kairos, dove già lavora Giovanni; la seconda nell’ambito del Pedibus, dove avranno il compito di accompagnare i bambini a scuola a piedi sia all’andata che al ritorno; la terza a servizio della comunità, aiutando i vicini. Naturalmente se i ragazzi trovassero un lavoro potrebbero in qualunque momento uscire dal percorso. “Questo progetto è unico in Italia, afferma Tommaso, tanto che ha suscitato interesse anche fuori regione. La prima edizione ha avuto un buon successo, ed ha raggiunto l’obiettivo di portare i ragazzi ad acquisire autonomia; tutti quelli che vi hanno partecipato infatti hanno continuato a vivere da soli.”

Michele, Giuseppe, Tommaso, Nicole e Michele


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ecentemente si è svolta l’assemblea ordinaria dei soci dell’AVIS di Levico Terme. Il presidente Antonio Casagranda, dopo aver salutato i numerosi intervenuti, ha sottolineato l’importanza di questa realtà esprimendo compiacimento per l’attaccamento e l’impegno dimostrato dai propri iscritti. Poi ha ricordato l’attività svolta nel 2016, in particolare: la collaborazione con le associazioni sportive, con le scuole medie ed elementari dialogando e portando lo “spirito del dono” a circa 450 bambini e ragazzi. L’Avis di Levico, ha continuato, ha adottato il Codice Etico attraverso il quale vengono evidenziati i valori e la condotta dell’associazione. Molto positiva è stata anche nell’anno 2016 la collaborazione con l’Avis di Caldonazzo e con quella della Bassa Valsugana e Tesino, che continuerà anche per il futuro. E’ quindi passato ai numeri: i soci, fra donatori e collaboratori, al 31 dicembre dello scorso anno erano 209 e le donazioni nel 2016 sono state 270. In rappresentanza dell’amministrazione comunale era presente il vicesindaco Laura Fraizingher che ha espresso grandi lodi verso questa associazione umanitaria. Si è quindi proceduto alla nomina del nuovo direttivo che resterà in carica per i prossimi anni. Questi gli eletti: Antonio Casagranda, Andrea Dallago, Moschen Alessio, Marcello Martinelli, Claudio Palaoro, Loredana Tavernini, Carlo Vettorazzi, Patrizia Giacomini, Francesco Andreatta, Stefano Quiri, Sonia Valentini. Revisore dei conti Michela Molino. La serata si è conclusa con un momento conviviale. (M.P.)

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Dal possesso all’utilizzo, il viaggiare si fa condiviso

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’enorme diffusione dei canali social degli ultimi anni ha permesso lo sviluppo di idee innovative che in poco tempo hanno potuto raggiungere moltissime persone. Una di queste è la condivisione del viaggio, che consente di far viaggiare più persone, messe in contatto da piattaforme online, utilizzando un unico veicolo, condiviso. In realtà non c’è nulla di nuovo, quest’idea recupera nientemeno che la maniera dei cari vecchi passaggi, i romantici viaggi in autostop che da quando esiste l’automobile sono sempre esistiti. Il riproporsi, oggi, con enorme successo, di questa modalità di viaggiare, si inserisce però in una più generale tendenza, un vero e proprio cambio epocale da non sottovalutare, che mostra un passaggio da una fase caratterizzata dall’importanza di possedere qualcosa anche per dimostrare uno status, e quindi case, automobili, spazio- ad una nuova epoca, vuoi anche per la contrazione delle possibilità economiche, improntata invece sull’utilizzo all’occorrenza e sulla condivisione. Viene quindi ridimensionata la portata dei nostri bisogni quotidiani rendendola più aderente alla loro effettiva necessità. Uno di questi fenomeni, negli anni letteralmente esploso, è Bla Bla car (www.blablacar.it), piattaforma francese nata in origine per mettere in contatto

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persone bisognose di un passaggio e persone che dovevano percorrere un determinato tragitto. Questa semplice intuizione nel giro di una decina d’anni ha finito col diffondersi in 22 paesi in tutto il mondo e servire a oltre 25 milioni di utenti, dando così vita ad un business, dopo l’iniziale gratuità del servizio, che si fonda sulla commissione che gli utenti pagano on line, tramite la prenotazione del passaggio con carta di credito, alla piattaforma. Gli ideatori del progetto dunque non possiedono nulla, ma guadagnano offrendo un servizio che faccia solo da tramite ai bisogni di spostamento delle persone. Il valore aggiunto di un’esperienza come questa, dove vincono tutte e due le parti, sia chi guida, perché ammortizza i costi del carburante venendo pagato dal passaggero, sia chi gode del passaggio, che comunque risparmia, è la creazione di un momento di socializzazione durante il viaggio. Non ci sono solitamente brutte sorprese, poiché la piattaforma tramite cui ci si iscrive garantisce un filtro e attraverso le valutazioni di volta in volta di passeggeri e autisti, un controllo e un profilo delle persone coinvolte,

ma anzi può portare a fare incontri interessanti (altri meno (soprattutto se il guidatore è poco socievole o ha gusti musicali discutibili), sempre preferibili a un noioso tragitto in solitaria. Infine, cosa affatto scontata, ha ripercussioni positive sull’ambiente, contribuiendo a ridurre le emissioni di anidride carbonica. Ci sono altre formule simili a questa, come


Flixbus, l’autobus tedesco che permette di raggiungere diversi luoghi a basso costo, oppure il tanto discusso Uber, il trasporto urbano che consente di ottenere un passaggio in auto a prezzi modici. Certo non vanno sottovalutate le problematiche che simili servizi comportano, come il grande impatto a livello di concorrenza che possono causare rispetto ad altre forme di trasporto, vedi appunto i taxi. Sono però situazioni interessanti, perché mostrano quest’esigenza di progressiva liberazione dai beni materiali, dimostrandoci come sia possibile, davvero, fare a meno di molte cose, comportando quindi, di conseguenza una diminuzione delle risorse economiche necessarie a mantenere tutti i beni di cui pensiamo di avere bisogno (per mantenere un’auto in un anno occorrono almeno 3 mesi di stipendio). Anche in Trentino esistono simili realtà: mi riferisco al consolidato servizio di car sharing dell’omonima cooperativa, attivo a Trento, Rovereto e Riva (www.carsharing.tn.it), dove è possible noleggiare un’auto all’occorrenza e ad una piattaforma più recente chiamata PickMeUp (letteralmente “caricami”), sviluppata dalla Fondazione Bruno Kessler. Quest’ultima consente di usufruire o prestare un passaggio in città, in modo però completamente gratuito, riducendo traffico, inquinamento, conoscendo nuove persone, con la possibilità per chi offre il passaggio di godere di premi come abbonamenti, buoni parcheggio e così via. (http://pickmeup.trentino.it). Per ora questo sistema è attivo a Trento, Arco, Riva del Garda e Rovereto, ma potrebbe estendersi ulteriormente ad altre zone, a testimonianza di come il nostro modo di muoverci e viaggiare stia davvero cambiando e cerchi di coniugarsi al risparmio – esigenza sempre più stringente- ma anche, a un livello più profondo, a una riflessione e un ripensamento delle nostre priorità, e a soddisfare il nostro bisogno di socializzazione e di comunità che è andato indebolendosi negli ultimi decenni, segnati dalla crescita economica, dalla corsa al profitto e al possesso, seguita poi, inevitabilmente, da una crisi. E appare quasi paradossale che a dar vita a nuovi rapporti e contatti possano essere le piattaforme digitali, che spesso da contatti e relazioni sono accusate di allontanarci. Insomma, viviamo in un’epoca complicata, già, ma in continuo cambiamento e fermento creativo, e di certo questo, da un lato, può essere anche molto affascinante e dar luogo all’evolversi di nuove dinamiche umane psicologiche e sociali.

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OLLE DI BORGO

GLI ALPINI

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el corso della recente assemblea del Gruppo Alpini di Olle Valsugana, è stato riconfermato alla carica di capogruppo Danilo Ferronato. Guiderà questo attivo gruppo accanto al suo vice Remo Moratelli, al segretario Rudy Dandrea e al cassiere Emilio Rizzon. Questi gli altri componenti il direttivo: Mario Armellini, Claudio Capraro, Savio Cappello, Angelo Tomio, Mirko Tomio e Giuliano Ferronato. (m.p.)

IGOLANA V A L L DE NO IA OP T AL

IL CORO VIGOLANA

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el 2016 il Coro Vigolana ha festeggiato i suoi 25 anni di attività ed ha pure rinnovato il proprio direttivo. Alla carica di presidente è stato eletto Michele Brunazzo, mentre vice è risultata Marina Ballarini. Segretaria è ora Eleonora Monte e cassiere Pierino Michelino. Consiglieri anche Maria Furlani e Lorenzo Caresia. Il neo eletto presidente ha illustrato il programma del Coro per il 2017, significando la necessità di trovare anche nuovi coristi, al maschile in particolare. Nel programma ha ricordato, fra le altre, la rassegna estiva "Eco dai Portici" e quella natalizia nelle chiese del paese. (M.P.)


CALDONAZZO

L’AVIS IN ASSEMBLEA

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resso l’Albergo Ristorante Monte Cimone si è tenuta l’assemblea ordinaria degli iscritti all’AVIS di Caldonazzo. Il presidente Giorgio Antoniolli ha illustrato l’attività svolta nel corso del 2016, mettendo in evidenza le principali iniziative e i dati più significativi. I soci donatori al 31 dicembre 2016 erano 193, di cui 13 non donatori. Le donazioni sono state 213, di cui 203 intero e 10 plasma. Un ringraziamento per il sostegno ha rivolto poi all’intero consiglio di amministrazione ed ha rinnovato l’impegno della collaborazione con l’Avis di Levico Terme. Quindi ha ricordato i principali appuntamenti per il 2017, in particolare la presenza a San Donato Milanese dal 19 al 21 maggio 2017 per l’81^ assemblea generale dell’Avis nazionale e, in sede locale, la partecipazione alla Festa dei meli in fiore e dei sapori d’autunno in collaborazione con altre associazioni locali di volontariato. Sono state quindi consegnate diverse benemerenze: 15 in rame, 10 in argento e 5 in argento dorato. In esito alla nomina del nuovo consiglio direttivo, sono risultati eletti: Giorgio Antoniolli guiderà ancora questa Associa-

zione a fianco di Giampaolo Antoniolli, Elena Bort, Michela Bortolini, Roberto Ciola, Michele Di Turi, Marco Lucchi, Teresa Marostica, Christian Pizzimenti, Leonardo Vinciguerra, Michela Berlanda, Luciana Bort. Revisore dei conti Renzo Ciola. In rappresentanza del Comune di Caldonazzo era presente l’assessore Marina Eccher e per il comune di Calceranica al Lago gli assessori Luca Faes e Alessandro Ferrari. Una cena collettiva ha concluso i lavori. (M.P.)

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il Personaggio  di Adelina Valcanover Elisabetta Wolf è una insegnante di violino in una scuola musicale ed è anche impegnata politicamente nel comune di Caldonazzo dove ricopre la carica di Vicesindaco. In questo momento, come lei stessa sottolinea, la sua attenzione non solo è rivolta alla grande passione per la musica, ma è quotidianamente al servizio della sua comunità che l’ha eletta a rappresentarla.

Cosa l’ha spinta a entrare in politica? Il mio primo approccio con la politica è nato quasi per caso una quindicina di anni fa. All’epoca mi era stata chiesta la disponibilità a candidarmi alle elezioni comunali ed accettai per sostenere le donne in politica. Ciò che mi ha spinto a proseguire è l’aver scoperto nella politica una vera e propria passione: ascoltare i bisogni della mia comunità e cercare di contribuire a migliorare il mio paese sono validi incentivi per continuare. Da donna, come riveste il suo ruolo politico? Per le donne penso sia più difficile affacciarsi al mondo della politica. In Italia in-

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ELISABETTA WOLF

fatti, pur essendoci un trend positivo, le donne sono in minoranza rispetto agli uomini. Nel mio percorso di amministratrice cerco di portare la mia specificità femminile rendendola un punto di forza. Credo che la donna, proprio per la sua sensibilità sa cogliere molte sfumature. Nel mio percorso di assessore ho notato che i cittadini, superato il primo approccio, sanno valorizzare queste doti e questo riconoscimento mi gratifica ogni giorno nel mio ruolo. Quali sono le difficoltà che incontra? Le difficoltà sono molte. Attualmente i fondi disponibili sono sempre meno e ne risente in primo luogo la cultura. La sfida del futuro è garantire buoni servizi con minori risorse. Altre difficoltà riguardano la burocrazia, presente in modo massiccio nel nostro Paese. A causa di questo, i tempi per completare un’opera o svolgere un programma amministrativo sono molto lunghi e penalizzanti.

Lei è Vicesindaco e assessore alle politiche sociali e alla cultura del comune di Caldonazzo, quali compiti svolge nello specifico? Lo scopo delle politiche sociali è quello di sostenere le categorie più “deboli” ed in difficoltà. Negli ultimi anni è stato ultimato un asilo nido e sono stati istituiti dei pomeriggi per bambini e ragazzi al fine di facilitare le donne lavoratrici. Ora ci stiamo dedicando alla fascia delle persone anziane e grazie ad un contributo della Comunità di Valle Alta Valsugana e Bernstol, stiamo ultimando i lavori per un centro servizi. L’ambito delle politiche sociali però non si limita solo a questi due settori. Sul territorio possono essere presenti delle situazioni drammatiche di singoli cittadini e si cerca di risolverle. Riguardo alla cultura, Caldonazzo è un paese fortunato; sono presenti numerose associazioni che propongono alla comunità incontri e manifestazioni di


alto livello. Come assessore alla cultura mi impegno a valorizzare quella locale e a dar voce alle persone sul territorio organizzando al meglio questi eventi. Nel ruolo di musicista e insegnante di violino, come pensa di evidenziare l’importanza della musica? Credo che la musica sia uno degli aspetti più belli della vita. Mi ritengo fortunata per aver avuto la possibilità di intraprendere una carriera nell’ambito musicale. Resto un po’ amareggiata nel vedere oggi tanti giovani talentuosi, che dopo un lungo percorso formativo musicale non riescono a trovare sbocchi lavorativi in quest’ambito. Penso sia necessario promuovere questi giovani e la loro passione, perché non vada persa. Il suo comune che si affaccia sul lago omonimo è ad alta vocazione turistica. Come arricchire le occasioni culturali, anche sotto questo aspetto?

Il territorio caldonazzese, ma anche tutto il Trentino, ha delle potenzialità enormi. Il Trentino è ricco di eventi culturali rivolti ai turisti, il problema è “fare rete”; è necessario attuare una stretta collaborazione tra le associazioni promotrici di eventi culturali, la politica presente sul territorio e gli operatori turistici. Solo in questo modo verranno sfruttate appieno le varie opportunità culturali presenti. L’informazione svolge un ruolo fondamentale per promuovere le varie attività ed è necessario informare non solo i turisti, ma anche gli stessi cittadini per portarli a conoscenza delle diverse proposte. Ritiene possibile e costruttivo collaborare con altri comuni lacustri e trentini in generale nei settori che lei riveste con tanto entusiasmo? Certo, la chiusura verso l’esterno non può che danneggiare il comune in cui opero. Credo infatti nella collaborazione e nel dialogo come aspetti utili per ar-

ricchire l'intera comunità. In conclusione sono solita chiedere una frase, una riflessione per i lettori di Valsugana news. Abbiamo bisogno della presenza delle persone per sostenere la cultura, l’arte e la musica, per far sì che queste non vengano disperse. Cercate di sfruttare tutte le opportunità presenti sul territorio, sostenendo gli eventi con la partecipazione, perché è attraverso questo che si rende “viva” la cultura.

CALDONAZZO STORY

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ubblico delle grandi occasioni alla serata sulla Storia per immagini di Caldonazzo presso la Casa della Cultura. Erano presenti tanti abitanti di Caldonazzo, diversi referenti delle associazioni locali, il sindaco, assessori e consiglieri comunali. La serata è stata promossa dalla Biblioteca intercomunale di Caldonazzo, dal Centro d’Arte “La Fonte”, che ha donato alla Biblioteca i suoi cataloghi d'arte, e dal Gruppo Tradizionale Folkloristico locale che ha accolto i partecipanti mostrando gli antichi lavori e ha arredato la sala con attrezzi del passato. È stata anche l'occasione per ricordare la figura di Luciano Brida, importante storico locale, recentemente scomparso . Caldonazzo 1890 post Pierluigi Pizzitola, promotore dell'incontro, ha evidenziato i principali snodi storici della storia di Caldonazzo e alcune sue peculiarità, dalla metà dell’800 all’inizio del ‘900. Massimo Ciola, presidente del Gruppo folkloristico, ha poi presentato il costume tradizionale del Gruppo ed efficace-

mente moderato le varie fasi della serata. Estremamente interessanti e avvincenti sono stati i commenti e le spiegazioni di Beppi Toller sulla storia di Caldonazzo, sulle immagini e i documenti che sono stati proiettati. Si è ragionato sulle origini e sul significato del nome di Caldonazzo; si sono viste le immagini degli edifici più vecchi di Caldonazzo, dalla Corte Trapp, alla Chiesa di San Sisto; sono state proiettate le immagini dell’Hotel Caldonazzo con la lettura di un estratto della prima guida del paese da parte della bibliotecaria, Rosaria Fedel. Ha incuriosito particolarmente i presenti la visione inedita di una mappa catastale di Caldonazzo del 1856 e quella del 1919 da cui si è capita l’origine della - 1910 ante struttura urbanistica dell’attuale paese . Si sono poi viste tante immagini del paese durante e dopo la Grande Guerra, dalle foto recenti di Jiri Ponca, al primo concerto della Banda del 1920, dalla visita del re d’Italia Vittorio Emanuele del 1921, al carnevale panizaro del 1927. La serata si è conclusa con la visione del progetto del Municipio del 1920 e di una serie di foto che ne hanno descritto l’evoluzione. Conoscere il passato del paese in cui si vive, aiuta a comprenderne il presente e a pensare il futuro. (M. P.)

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Una storia di vera amicizia

LEVICO TERME

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uella che vi raccontiamo è una storia vera, di come accadde che tra il capitano della Wehrmacht Hermann Bais e l’alpino Riccardo Negriolli, suo prigioniero di guerra, si stabilirono un patto di pace ed una profonda amicizia. Una vicenda intessuta di angoscia, di speranza, di gioia inaspettata, di fede nella Divina Provvidenza e nel senso di umanità che riescono talvolta a farsi strada anche durante una guerra. A raccontare questo toccante episodio della seconda guerra mondiale sono sia i diari scritti da Maria Deipradi sposata Negriolli, sia le testimonianze dei figli più grandi, che gentilmente ci hanno permesso di vivere l’emozione di una vicenda avvincente. All’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943 tra Italia ed Alleati, anche l’alpino Riccardo Negriolli, nella caserma del suo reggimento in Francia meridionale, fu svegliato dai Tedeschi che ottennero la resa della guarnigione alpina italiana. Riccardo fu assegnato allo smistamento

Novaledo - 1941

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di vettovagliamenti in un magazzino militare, in Provenza. Lì, come scrisse in una lettera del 15 febbraio 1944 alla moglie Maria che viveva a Selva di Levico, si trovava abbastanza bene. Scrive Maria nel suo diario: “Per fortuna Riccardo non mi chiedeva di spedirgli dei viveri, come a molti altri accadeva; per me sarebbe stata una pena non poterlo aiutare, con le modeste 17 lire al giorno del sussidio per me e per i 3 bambini. Un giorno, verso sera, udii salire dalla strada delle voci concitate: “È arrivato il Riccardo della Maria!!” Sono corsa fuori, ho guardato verso la piazza, da prima si è visto spuntare un cappello di alpino e, sotto, la sua faccia ridente e la figura imponente. In casa, abbracci e lacrime di gioia! Poi, una domanda: come aveva fatto a fuggire dalla prigionia? E qui Maria ed i suoi due bambini maggiori (Sofia ed Enrico, mentre Romano era ancora troppo piccolo per capire) ascoltarono stupiti e affascinati il papà che raccontava un fatto quasi incredibile per un tempo di guerra. Il comandante del campo, capitano Bais, era diventato suo amico, si stimavano molto, parlavano con nostalgia delle loro famiglie lontane e detestavano chi aveva voluto quella guerra. Finchè un giorno il capitano gli disse: “quando il treno ci trasferirà dalla Francia a Roma, tu scenderai e andrai a casa, dalla tua famiglia, per tre settimane. Ma mi devi promettere che poi ritornerai al campo di prigionia-lavoro a Roma, dove sei destinato e dove io ti aspetterò. ”Riccardo lo aveva ringraziato commosso e felice. Sapeva che quel capitano rischiava

 di Mario Pacher

Il capitano Bais la fucilazione, per quel gesto di umanità e generosità. Si avvicinava inesorabile la data entro la quale Riccardo, per mantenere fede alla parola data al capitano tedesco, doveva rientrare in prigionia. Scriveva Maria: “Da Trento, un treno merci l’avrebbe portato a Firenze e poi Roma. Alla stazione, ci abbracciammo muti, angosciati, pieni di dubbi. Io dovevo tornare subito dai bambini, risalivo con malavoglia, lentamente, il viale della stazione, mi sentivo triste ed impaurita. Ma ecco che, giunta davanti alla chiesetta della Madonna del Pezzo, ebbi come un’illuminazione, una forte emozione ed una voce interiore mi disse “Dio te lo ha mandato a casa e tu lo lasci andare via a morire?.. ”Corsi ansante in stazione, tutto era buio, chiamai; lui mi rispose, vidi avanzare la sua grande sagoma, mi buttai tra le sue braccia e con un soffio gli dissi: ”sono venuta a prenderti, andiamo a casa. Ci avviammo verso casa, convinti che era stata la Madonna ad indicarci la scelta giusta.”Dalla testimonianza che ci ha detto Sofia, la figlia più grande, sap-


piamo che da quel momento Riccardo preferiva nascondersi sia dai Tedeschi che dai Fascisti ed infatti si rifugiò da certi amici in Val di Non, a lavorare e guadagnare qualche lira. La mattina successiva alla prevista partenza di Riccardo, Maria era entrata nella farmacia Romanese e aveva udito la radio trasmettere questa notizia: “la notte scorsa, in un bombardamento alla stazione di Firenze, molti treni sono stati distrutti, con numerosi morti e feriti. ”Tra quei treni era citato anche il treno che Riccardo avrebbe dovuto prendere con destinazione Roma. Il secondo figlio, Enrico, ricorda ancora: “Era un pomeriggio del giugno 1944, quando una camionetta con un ufficiale tedesco e due soldati arrivarono a Selva e chiesero in giro della famiglia di Riccardo Negriolli, mostrando una sua foto. Bussarono quindi alla porta di Maria, l’ufficiale si presentò come capitano Bais e le chiese

se Riccardo era suo marito e dove era; lei disse che era nei campi a lavorare. Allora il capitano ordinò che tutti, compresi i bambini - Sofia, Enrico e Romano - salissero sulla camionetta per raggiungere Riccardo. Le donne presenti in piazza ed alle finestre temettero il peggio: “Oh mio Dio, li portano tutti in Germania! ”E qui Enrico ricorda con lucida precisione la scena delle sbarre della ferrovia che erano abbassate, il capitano, impaziente ordinò ai soldati di sollevarle con la forza e di far passare la camionetta subito. Quando Riccardo vide la camionetta ebbe l’impulso di fuggire, ma poi vide anche la moglie ed i bambini ed uscì dalle “piantae”, incontro a loro. Riconobbe il suo amico capitano Bais, il quale di slancio lo abbracciò, commosso. Riccardo gli raccontò dei dubbi, dell’angosciante scelta, del bom-

Riccardo Negriolli e Maria

Levico - Via Dante Alighieri bardamento di Firenze dal quale si era salvato miracolosamente e si dichiarò pronto a ritornare nel campo di prigionia tedesco. Ma il capitano scosse la testa e gli spiegò che lui doveva restare con la sua famiglia che aveva bisogno di lui; la Germania invece, disse, era finita “alles kaputt”, ricorda Enrico. Il capitano aveva saputo che quasi tutta la sua famiglia era morta nel bombardamento di Amburgo. Enrico ricorda che furono riaccompagnati a casa e che, prima di andarsene, mentre tutti cercavano di nascondere la commozione, il capitano fece scaricare diverse casse e scatoloni pieni di viveri dalla camionetta perchè, disse: “questi bambini hanno bisogno di nutrirsi meglio”. Dopo la fine della guerra e per molti anni, sia Riccardo che i suoi figli tentarono l’impossibile per rintracciare quel buon capitano Bais, ma invano. Le ricerche però continuano e i Negriolli ancora non disperano di trovare un giorno i suoi eventuali famigliari discendenti.

PERGINE

AUGURI AGLI SPOSI

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ella ancor piena forma fisica e lucidità mentale, gli sposi Marco Devigili e Luciana Casagrande hanno festeggiato recentemente il 55^ anniversario del loro matrimonio. A far festa con loro c’era la figlia Lorena, nipoti, pronipoti, altri parenti ed amici. Marco e Luciana si erano conosciuti in giovane età in Svizzera, dove hanno lavorato per diversi decenni. Poi ritornarono in Trentino ed ora abitano a Pergine in via Regensburgher. Durante la festa per questa ambiziosa ricorrenza, sono giunti agli sposi, da tutti benvoluti, mazzi di fiori e tanti auguri di una ancor lunga e felice vita assieme. (M.P.)

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Aiutiamo il World Food Programme a contrastare la Carestia in Sud Sudan

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Ci dai una mano anche tu

“Stiamo affrontando la più grave crisi umanitaria dalla fine della Seconda guerra mondiale” In quattro paesi del mondo più di 20 milioni di persone stanno morendo di fame. La scorsa settimana Stephen O’Brien, sottosegretario generale per le questioni umanitarie dell’ONU, ha fatto un intervento considerato molto importante al Consiglio di sicurezza dell’ONU. O’Brien ha detto che il mondo sta attraversando la più grave crisi umanitaria dalla fine della Seconda guerra mondiale e che più di 20 milioni di persone stanno morendo di fame in Yemen, Somalia, Sud Sudan e Nigeria: «Senza aumentare e coordinare gli sforzi globali, queste persone semplicemente moriranno di fame. E molte altre si ammaleranno, e moriranno». Simili dichiarazioni erano già state fatte la settimana precedente dal segretario generale dell’ONU, António Guterres, il quale aveva anche sottolineato quanti pochi aiuti umanitari l’ONU aveva ricevuto dal gennaio 2017 fino a quel momento. I motivi di questa enorme crisi umanitaria sono diversi e variano da paese a paese. In Sud Sudan, come ha scritto il Financial Times il 20 marzo del 2017, la situazione è catastrofica dal 2013, cioè due anni dopo il raggiungimento dell’indipendenza del paese dal Sudan. La guerra tra la fazione guidata dal presidente Salva Kiir e l’ex vicepresidente Riek Machar è cominciata subito dopo

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l’indipendenza e non si è mai fermata. Nel corso dei mesi è diventata sempre più violenta per il sovrapporsi di rivalità etniche e per la formazione di molte milizie armate, ciascuna con i propri obiettivi. Il 20 febbraio 2017 la Carestia è stata dichiarata nelle contee di Leer e di Mayendit dello Stato del Sud Sudan. L’ONU ha dichiarato che 100mila sud-sudanesi sono già stati colpiti da una grave carestia, mentre il 40 per cento dell’intera popolazione ha bisogno urgente di cibo e assistenza. Lo stato di Carestia si dichiara quando si determinano 3 condizioni: il 20% della popolazione non ha abbastanza cibo, il 30% dei bimbi soffre di malnutrizione acuta, il tasso di morta-

lità è raddoppiato (il che significa che muoiono 2 persone al giorno ogni 10.000 abitanti).

IL RUOLO DEL WFP PER CONTRASTARE LA CARESTIA IN SUD SUDAN Nel 2016 il World Food Programme - la più grande agenzia umanitaria del mondo la cui missione fondamentale è di contrastare la fame a livello globale - ha fornito assistenza alimentare in Sud Sudan raggiungendo la cifra record di 4 milioni di persone - inclusa assistenza in denaro pari a 13,8 milioni di dollari, e la fornitura di più di 265.000 tonnellate di sostegno alimentare e nutrizionale. Si tratta del più grande numero di persone assistite dal WFP in Sud Sudan dopo

WFP - Jonathan Dumont


l'indipendenza, nonostante i problemi derivanti dal difficile contesto in cui si interviene. Nelle ultime settimane in Sud Sudan si è abbattuta una catastrofe spaventosa che cresce esponenzialmente: a causa della guerra e di un'economia al collasso in alcune parti del Sud Sudan già da un mese è stata dichiarata la carestia. Secondo l'ultimo aggiornamento del Governo, delle tre agenzie ONU e di altri partner umanitari, 4,9 milioni di persone - vale a dire oltre il 40% della popolazione del Sud Sudan - hanno bisogno di urgente assistenza alimentare, agricola e nutrizionale. Uomini, donne e bambini stanno già morendo per mancanza di cibo, e si stima che 1 milione di bambini siano acutamente malnutriti. Se non si raggiungeranno questi bambini, queste persone, con aiuti alimentari urgenti a breve, molti di loro moriranno. Se non si interverrà per frenare la gravità e la diffusione della crisi alimentare mobilitando numerosissime risorse per portare cibo e aiuti umanitari nel minor tempo possibile, il numero di coloro che sono a rischio salirà fino a 5,5 milioni al culmine della stagione magra, nel mese di luglio. Conflitto e insicurezza alimentare continuano a spingere la gente a fuggire dal Sud Sudan nei paesi vicini ad un ritmo allarmante (mediamente 2.800 persone per giorno in fuga soltanto in Uganda): il numero totale di sud sudanesi sfollati nella regione circostante raggiunge i 1,6 milioni. In situazioni di emergenza come questa, il World Food Programme sa bene che è prioritario fornire cibo tempestivamente. Per questo il WFP ha risposto immediatamente organizzando la distribuzione di cibo ‘salvavita’ a 66.000 persone nella contea di Leer, ha raggiunto con gli aerei le zone più colpite lanciando 1074 tonnellate di cibo, ha distribuito 291 tonnellate di cibo a circa 16.000 sfollati (molti dei quali donne e bambine), ma il WFP ha urgente bisogno di raggiungere in fretta più persone ancora. Il WFP continua in queste ore e continuerà nei prossimi mesi ad incrementare il suo sostegno in Sud Sudan via via che aumentano i bisogni umanitari, e prevede di fornire quest’anno assistenza alimentare e nutrizionale a 4,1 milioni di persone per l’intera stagione della fame. Questo include cibo di emergenza salvavita, aiuti in denaro e assistenza nutrizionale per gli sfollati e per tutti coloro che sono stati colpiti dal conflitto, insieme a programmi di recupero o resilienza incentrati sulle comunità e pasti scolastici. Il WFP lotta per contrastare la Carestia in Sud Sudan. Ci dai una mano anche tu? Il WFP è finanziato al 100% su base volontaria: governi, aziende e singoli individui, tutti possono contribuire. Italiano WFP Italia - Comitato WFP (Onlus) 68/70 Via Cesare Giulio Viola, Roma 8 14 00 i Parco de' Medic 30 04 67 -65 Office: Tel +39 06 1 24 90 Private: Tel +39 06-65 46 Mob: Tel +39 33939036

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SE INTENDI SOSTENERE L’EMERGENZA IN SUD SUDAN PUOI DONARE IL TUO 5X1000 AL WFP ITALIA: • firma nell’apposito spazio "sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale e delle associazioni riconosciute"; • indica il nostro codice fiscale: 9 7 3 5 9 4 5 0 5 8 8. Ricordati che ogni donazione effettuata al WFP sia come azienda che come persona fisica gode dei benefici fiscali. Scopri di più al link: http://it.wfp.org/come-aiutare/aziende/ i-benefici-fiscali-delle-tue-donazioni-al-wfp-italia

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LEVICO TERME

CHIARENTANA DÀ IL BENVENUTO AL NUOVO DIRETTIVO C  di Elisa Corni

ambio di direttivo per una delle associazioni culturali più attive della zona laghi. L’Associazione Chiarentana ha, infatti, eletto la nuova squadra che sarà a capo di un’organizzazione culturale che da decenni anima Levico e i suoi dintorni. Fondata quasi tre decadi fa da un gruppo di pionieri della cultura, Chiarentana ha sempre avuto una forte identità locale, e dato voce e spazio a chi, in questi territori, crea, produce e diffonde cultura. Dalle conferenze a tema storico, agli incontri di lettura; dalle mostre alle poesie; dai concerti alle proiezioni; dal tradizionale concorso di presepi alle passeggiate culturali. Sono solo alcuni degli eventi che hanno visto protagonisti i membri di questa realtà associativa. Associazione che oggi dice arrivederci a un direttivo che, nei precedenti tre anni, ha coniugato l’attività tradizionale di Chiarentana con la gestione culturale del Forte Colle delle Benne. Negli ultimi tre anni, il bene storico è stato teatro di decine di manifestazioni di ogni genere; ora il coordinamento di queste iniziative passerà nelle mani della neonata Associazione Forte delle Benne, costola di Chiarentana. Altra innovazione portata dal precedente direttivo è stata l’attività su altri comuni. Sono state infatti realizzate manifestazioni, mostre, e incontri a Caldonazzo, Calceranica, e Tenna, ma anche a Lavarone e a Lavis. Una tradizione iniziata con la rassegna culturale sovracomunale “Il Viaggio”, promossa dal Comune di Tenna e realizzata lo scorso anno nei quattro comuni della zona laghi. Ma tra innovazione e tradizione, chi sono i nuovi membri del direttivo e che programmi hanno per questo 2016? Il presidente eletto, Lodovico Lazzeri,

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è di Levico, così come Renata Goio, che è stata incaricata del ruolo di segretaria. Quote rosa anche per la tesoreria, con la levicense Bianca Perina, e per la vice segreteria, nella persona di Nirvana Martinelli, da Caldonazzo. Chiudono l’ottetto i consiglieri Franco Frisanco, Umberto Uez, e Massimiliano Unterrichter, in compagnia del vice presidente Giovanni (Gianbeppe) Moschen, unico elemento di continuità con il passato direttivo. Il loro programma spazierà dalla musica di autori levicensi alle specie animali e vegetali “aliene”, dalla storia delle popolazioni della Mesoamerica alle biografie di grandi attori; dai diari di guerra alle pubblicazioni sul dialetto e l’economia locale; dalla cartografia alla storia degli ospiti illustri di Levico. Quelli che ci aspettano sembrano essere anni di intense attività e iniziative in collaborazione con le realtà culturali del territorio, come la libreria e la biblioteca di Levico,

o il Forte e le associazioni dei comuni limitrofi. La volontà è quindi quella di proseguire su una strada indicata da chi li ha preceduti, arricchendola con le esperienze di ognuno di loro. «Un ringraziamento va fatto al precedente direttivo: Grazia Campregher, Carolina Cattoni, Francesco Filippi, Elena Martinelli, Aurelio Micheloni e Leonardo Vinciguerra ci hanno lasciato un’importante eredità», affermano i membri del nuovo direttivo riuniti nella sede dell’associazione per programmare il futuro. Non resta che augurare loro un buon lavoro, per un 2017 ricco di avvenimenti, cultura e soddisfazioni.

Per avere informazioni sull’attività dell’Associazione Culturale, chiarentanalevico@gmail.com Per tesserarsi e sostenere l’associazione: Edicola Passerini, Edicola Eta Beta e Piccola Libreria (Levico terme)


Margherita Manica…

l’insegnante scrittrice

«

Dai raccontaci una storia». Una richiesta che i familiari di Margherita Manica, da tutti conosciuta come la Maestra Martinelli (ha infatti insegnato per oltre trentacinque anni a Borgo dove ha concluso la sua “dinamica” carriera di educatrice, le hanno presentato quando si sono accorti delle capacità nell'inventare storie, racconti, anche di fantasia, e poesie. E quel «Dai raccontaci una storia» dev’essere stato certamente la molla propulsiva che ha indirizzato e spinto la Margherita a diventare una vera scrittrice di fiabe per bambini, narrando anche esperienze quotidiane di vita vissuta. Nel suo scrivere, però, non solo i bambini e ragazzi sono stati gli attori e personaggi, ma anche altri sono stati i destinatari delle capacità di Margherita. Gli amici e le amiche, gli anziani, i carabinieri in congedo, le associazioni cui lei fa parte, e tante, tantissime persone che con la “nostra” scrittrice hanno provato e condiviso le esperienze della vita. A loro infatti ha dedicato parte del suo scrivere facendoli diventare elementi importanti e insostituibili della quotidianità. La sua storia di scrittrice e poetessa inizia appunto con «dai raccontaci una storia» che è stato il primo libro autobiografico di Margherita, richiesto a grande voce dai suoi figli. E lei li ha accontentati. E ne è nata una vera e autentica storia della sua vita e di tutti gli impegni e sacrifici che ha sostenuto. Un libro voluto, dai sentimenti unici, scritto e dedicato

ai parenti tutti. La nostra “maestra”, però, appassionata di lettura e dotata di fervida fantasia non si è fermata. Ha voluto continuare in questa sua esperienza personale, nella ricerca di soddisfazioni ed emozioni che sempre di più l'hanno avvicinata e coinvolta in questo percorso che nella nostra zona non ha eguali. Ha realizzato, in collaborazione con la Biblioteca Comunale di Borgo Valsugana, un altro libro per bambini dal titolo “di fiabe, filastrocche e poesie” , che ha riscosso unanimi consensi per la semplicità dei contenuti e del suo scrivere. Margherita, però, non paga e soddisfatta per i risultati ottenuti ha voluto scrivere un'altra sua opera letteraria i cui contenuti sono sintetizzati nel titolo: “Fantasia e Realtà... in prosa e in versi”, e che, nelle sue intenzioni è la prosecuzione del precedente edito, sempre con poesie dedicate (tutte in rime baciate). Il tutto integrato anche da alcune leggende popolari, forse poco note, specialmente ai giovani, ma che diventano di attualità. Un libro che, com’è evidenziato nel retro copertina, ancora una volta, caso mai ce ne fosse bisogno, evidenzia la predisposizione della scrittrice allo scrivere con la semplicità e la chiarezza del linguaggio accessibile a tutti e da tutti compreso e indiscutibilmente apprezzato. Per dovere d’informazione deve essere sottolineato che tutti i libri di Margherita sono distribuiti gratuitamente.

” … in prosa e poesia “FANTASIA E REALTÀ gherita Manica Il nuovo libro di Mar PRESENTAZIONE 17 - ore 17.00 Venerdì 21 aprile 20 ola Relatrice: Tiziana Ci ionati Sala del Circolo Pens lsugana Va o rg Piazza Degasperi, Bo

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tti sono invitati

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Comprare a rate conviene?

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n momenti di crisi economica e di scarsa liquidità fra i compratori sono sempre di più coloro che utilizzano lo strumento del credito al consumo al fine di poter usufruire immediatamente del bene o del servizio acquistato, approfittando della possibilità di dilazionare i pagamenti magari a condizioni vantaggiose. Secondo una fotografia scattata nei primi 5 mesi del 2016 da Crif sulla base dei dati Eurisc, il sistema che raccoglie oltre 78 milioni di posizioni creditizie, un terzo degli italiani ha un mutuo o un prestito (personale o finalizzato all’acquisto di un bene). Si affida quindi alle rate per andare avanti, per un esborso mensile medio di 362 euro. A fare la parte del leone (43%) è il credito al consumo, cioè l’acquisto a rate di beni e servizi quali auto, moto, elettronica ed elettrodomestici, mobili ma anche viaggi. Seguono i prestiti personali (34%) e i mutui (22%). Ma quanto ci costano le rate? Cosa succede nei negozi? I commessi ci danno le informazioni per scegliere in maniera consapevole il finanziamento? Un’inchiesta di Altroconsumo mostra

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purtroppo scarsa trasparenza e tanta confusione sui costi del prestito. Nonostante la legge sia chiara e imponga di consegnare ai clienti i documenti di trasparenza che riportano in modo chiaro i Taeg (il vero costo del prestito comprensivo di tutte le spese), l’inchiesta dimostra che ciò non succede in otto casi su dieci. Gli addetti alla vendita dicono a voce le condizioni o le scrivono su un fogliettino volante o sul depliant con la promozione. Non solo. Hanno dato spesso anche il Taeg sbagliato! Prima di acquistare un prodotto a rate è necessario insistere per avere il modulo europeo Secci dove si trova il Taeg. Ma non è sufficiente. Per non farsi prendere dalla frenesia dell’acquisto e per non rischiare di rimanere imbrigliati in un finanziamento senza conoscerne i costi e le condizioni, oltre al modulo europeo, è necessario farsi consegnare una copia del contratto di finanziamento e portarlo a casa senza firmare nulla in negozio. È un nostro diritto averlo

 di Alice Rovati

prima della firma per decidere in maniera consapevole se sottoscriverlo o meno! Controllare poi che la banca o società finanziaria sia stata autorizzata dalla Banca d’Italia. È possibile verificare l’autorizzazione consultando il sito ufficiale di Banca d’Italia. Prima di sottoscrivere il contratto è bene anche fare un po’ di conti: se si ha per esempio già un mutuo da pagare o un prestito personale, considerate la rata mensile e sommatela a quella che dovreste pagare per il com-


puter nuovo. Se così facendo scoprite che vi indebitate per oltre il 33% circa del vostro reddito mensile lasciate perdere. Il rischio di non riuscire a pagare una o più rate o di farlo in ritardo aumenta e significa anche avere poi difficoltà di accesso al credito in futuro, perché si viene segnalati come cattivi pagatori nelle Centrali rischi che vengono consultate dalle finanziarie e dalle banche prima di farci credito, per verificare il nostro passato di debitori. Se vi siete fatti prendere dall’eccitazione di avere in mano l’ultimo iPhone e avete firmato il contratto di finanziamento senza capire quanto vi costano le rate, avete ancora la possibilità di cambiare idea e recedere entro 14 giorni dalla firma senza spese. In caso di problemi, inviare reclamo scritto all’erogatore del prestito, e se non si riceve risposta entro trenta giorni, si può fare ricorso all’Arbitro bancario e finanziario. Attenzione infine che in molti negozi se compri a rate ti rifilano una polizza. Obbligatoria, altrimenti niente finanziamento. Secondo il Codice del con-

sumo, se la finanziaria obbliga il cliente a comprare la polizza, da lei stessa venduta, per erogare un prestito fa una pratica scorretta a cui ci si può opporre. Con una segnalazione all’Antitrust sul sito www.agcm.it.

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*La dott.ssa Alice Rovati è laureata in Giurisprudenza, percorso europeo e transnazionale, con master in Europrogettazione. Giurista esperta in diritto dei consumatori, docente di diritto. È Rappresentante di Altroconsumo per la Provincia di Trento.

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PARASSITI E ANTIPARASSITARI I

parassiti che colpiscono i nostri amici domestici sono piccoli organismi che possono attaccare l’animale o introdursi nel suo organismo e provocare non solo fastidio e stress, ma anche patologie che possono essere gravi se non addirittura letali. Normalmente questi parassiti vivono all’esterno delle abitazioni e sono proprio gli animali che giocando in giardino o nei luoghi aperti diventano facili prede. La veterinaria ci dice che le malattie parassitarie sono tante e di diverso genere, ma non di rado si possono trasmettere agli esseri umani, infettandoli e generando patologie decisamente preoccupanti. Molti di questi insetti possono essere facilmente individuabili a occhio nudo, a differenza di quelli che si sviluppano all’interno dell’organismo. Da qui la classificazione dei parassiti in esterni e interni. Tra i primi ci sono quelli che vivono e si soffermano all’interno dell’organismo quali l’Ascaride, il Tricocefalo, la tenia (conosciuto anche come verme

solitario), la Filaria (si trasmette con la puntura di una zanzara). Tra quelli esterni ci sono le pulci, i pidocchi, le zecche, zanzare e pappataci. E sono proprio questi i parassiti i più diffusi e quelli maggiormente più fastidiosi per i nostri piccoli amici. Le pulci sono particolarmente pericolose perché si nascondono anche in casa, tra i tessuti più caldi e negli angoli nascosti e bui, cioè proprio là dove l’animale domestico (cane o gatto) ama nascondersi e riposare. Le pulci rappresentano un rischio per l’animale durante tutto l’anno, ma sono particolarmente attive nei mesi primaverili, quando la temperatura è tiepida. I pidocchi colpiscono in particolare alcune razze di cane: quelli con le orecchie lunghe e piegate, i gatti a pelo lungo, specialmente se gli animali sono trasandati e sporchi. Da qui la necessità di fare il bagno all’animale e tenerlo sempre ben pulito e ben spazzolato, se si tratta di animale a pelo lungo.

Le zecche, parassiti che si nutrono di sangue sono oltremodo pericolosi perchè sono in grado di attaccare anche l’uomo. Si trova negli spazi aperti, nei prati, nei boschi, nei parchi e nei giardini. Zanzare e pappataci anche loro sono insetti che si nutrono di sangue e le loro punture possono essere dannose anche per l’essere umano. Per difendersi dai parassiti è necessaria dapprima la prevenzione agendo sia sull’ambiente frequentato dagli animali usando insetticidi appropriati, di poi un buon prodotto antiparassitario da usare sul corpo dell’animale quali gli Spot-on (le gocce), i collari, le compresse e gli spray. Cosa importante è non solo evitare il famoso “fai da te”, ma ricordarsi sempre che per avere un giusto e opportuno risultato è necessario rivolgersi a un negozio specializzato oppure al veterinario che sono i veri esperti in grado di consigliare il giusto trattamento e la giusta cura in caso di patologie diagnosticate.

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Millepiedi

Pergine

l’integrazione della disabilità L

’associazione perginese Millepiedi ha fatto sue le parole di Paul Valéry “arricchiamoci delle nostre reciproche differenze”. Si tratta di una realtà nata nell’aprile del 2012 da un gruppo di genitori ed educatori, che non vogliono sostituirsi alla scuola o ai centri socio-educativi, ma intendono proporre un modo diverso di usufruire del tempo libero, realizzando attività dedicate all’integrazione della disabilità. Con l’associazione Millepiedi è possibile cimentarsi in un laboratorio teatrale e musicale, in collaborazione con Multiversoteatro, apprendere le basi del disegno e della pittura, grazie a un insegnante di educazione artistica, ma anche l’arte della falegnameria e la pratica del karate con collaboratori esperti in materia. Qui la disabilità ha modo di confrontarsi con il mondo e con tutto ciò che la circonda, attraverso uscite sul territorio, ma anche per mezzo del contatto diretto con la natura, messo in pratica con un percorso laboratoriale dedicato all’orto e al giardinaggio in collaborazione con l’associazione Rastel.

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Millepiedi onlus propone attività laboratoriali pomeridiane dal lunedì al venerdì, e uscite volte all’integrazione sul territorio che vengono effettuate il sabato pomeriggio, o sera, oltre a un particolare programma dedicato al periodo delle vacanza natalizie. I ragazzi vengono accompagnati a teatro per poter così fruire degli spettacoli, ma le uscite prevedono anche pomeriggi o serate dedicate al cinema e allo stare insieme, anche semplicemente per una merenda o una pizza in compagnia. È questo lo spirito che anima gli educatori e i volontari che ruotano attorno a questa realtà, che vuole creare momenti di aggregazione e arricchimento esperienziale. Millepiedi è una realtà fatta di persone che mirano a sostenere le famiglie nel loro difficile compito e sanno instaurare con esse un rapporto basato sulla fiducia; l’associazione è presieduta da Valentina Donadi e il direttivo è formato da Francesca Tomasi, Chiara Offer, Tania Faes, Michela Chimetto, e Giorgio Fuoli. Tutto questo è possibile anche grazie alla collaborazione di un piccolo gruppo di giovani volontari, di età compresa tra i 17 ei 20 anni, che dedicano parte del loro tempo per affiancarsi alla disabilità, partecipando attivamente alle proposte dell’associazione. L’attività non si ferma neppure durante il periodo estivo e Mille-

piedi porta anche la disabilità al mare per un lungo fine settimana, consentendo ai ragazzi di vivere un piccolo momento di divertimento e di autogestione, in un contesto diverso, lontano da casa e dalla quotidianità. Dal 2016 l’associazione effettua anche interventi educativi mirati e individualizzati, accreditati dal Servizio Socio-assistenziale, un riconoscimento importante per una piccola realtà che sta facendo molti passi in avanti, proprio come un millepiedi. Una realtà associativa che sta dando lavoro a diverse persone, tra educatori e collaboratori, un servizio che va incontro a esigenze concrete e che mira a integrare, perché tutti nel nostro piccolo siamo diversi e il mondo non può che arricchirsi di questa immensa varietà. L’associazione attualmente utilizza per le attività la sala polivalente dello spazio giovani, nella frazione di Serso, corrispondendo una quota di affitto; ma è alla ricerca di nuovi e più adeguati spazi per poter portare avanti le proprie attività. Speriamo possano trovare presto il luogo adatto, dove poter esporre la propria insegna e dove mettere le radici di questo progetto in crescita. (C.P.)


BENESSERE&SALUTE

MONTATURE E LENTI PER BAMBINI

Rolando Zambelli è titolare dell’Ottica Valsugana con sede a Borgo Valsugana in Piazza Martiri della Resistenza. È Ottico, Optometrista e Contattologo.

 di Rolando Zambelli

Una scelta delicata

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nostri occhi, e in particolare quelli dei bambini sono preziosi e sensibili. È quindi necessario proteggerli (con occhiali da sole con protezione UV) e nel caso di difetti visivi correggerli nel miglior modo possibile. Il primo passo nella scelta dell'occhiale, è quello di ricercare una montatura che sia adatta all'anatomia del viso, non deve perciò essere troppo grande, in modo tale da assicurare il miglior centraggio delle lenti: il margine superiore deve superare di poco il sopracciglio in modo tale che il bambino non sbirci al di sopra, il bordo inferiore non deve toccare le guance. Sopratutto in età pediatrica è opportuna la scelta di una montatura in materiale plastico e anallergico, e che non presenti spigoli. La scelta poi del colore deve essere fatta insieme al bambino, più il colore piace al bimbo più lo indosserà volentieri. Il secondo passo è quello della scelta delle lenti. L’unico materiale consigliato è quello organico, ovvero plastica infrangibile, poiché offrono sicurezza e protezione, anche durante il gioco. Se

è possibile è bene orientarsi su materiali che abbiano una protezione UV che hanno anche la qualità di essere più resistente agli urti (es. lenti in materiale Trivex). Oltre alla scelta dei materiali delle lenti bisogna anche valutare il tipo di trattamento che queste devono avere. Un primo trattamento è quello indurente, che assicura una minor abrasione della superficie. Se il bambino è in età scolare è consigliabile utilizzare anche il trattamento antiriflesso, che diminuisce l'affaticamento del bambino durante lo studio, oltre ad aumentare il contrasto e a rendere la lente molto più trasparente. Sopratutto in età scolare è consigliabile tenere sotto controllo i bambini, con visite programmate annualmente, per esempio prima dell'inizio della scuola ed eventualmente durante l'attività scolastica, per controllare come il sistema visivo funzioni sia sotto sforzo che in momenti di riposo.

I bambini passano molto tempo all'aria aperta, sarebbe quindi consigliabile che indossino degli occhiali da sole protettivi così da diminuire l'influenza dannosa dei raggi UV per gli occhi.

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MEDICINA&SALUTE

Turismo e cultura

Mente e Somatizzazione

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Sappiamo gestire le nostre emozioni

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n psicologia, le emozioni sono spesso definite come uno stato complesso di sentimenti che si traducono in cambiamenti fisici e psicologici che influenzano il pensiero e il comportamento. Costantemente proviamo tante emozioni, una vasta gamma, che varia da quelle positive a quelle negative. L’emozione consiste in una serie di modificazioni che avvengono nel nostro corpo sia a livello fisiologico, alterazioni respiratorie e cardiache, sia di pensieri, ad esempio: “… che paura… ” o “… non c’è speranza…”, sia reazioni comportamentali, come il fuggire o gridare o alterazioni della mimica facciale, che il soggetto utilizza in risposta a un evento. I termini “emozione”, “emotivo”, “emotività” compaiono frequentemente nei nostri discorsi. Questo rispecchia il fatto che ciascuno di noi avverte le emozioni come facenti parte della nostra vita, determinando spesso il modo di vedere molte delle nostre esperienze. Ma a cosa facciamo riferimento quando nominiamo le emo-

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zioni? Per lo più pensiamo a delle sensazioni più o meno forti, degli stati soggettivi che possono avere una durata più o meno prolungata nel tempo, variare per intensità e per tipo. Una distinzione alla quale aderiscono numerosi autori è quella tra emozioni fondamentali, o di base, o primarie, ed emozioni complesse o sociali. Le prime appaiono connesse a scopi quali la sopravvivenza fisica, lo stabilirsi e il mantenersi di una relazione personale, la possibilità di portare a termine le azioni intraprese; risultano comuni all'uomo e agli animali superiori. Le seconde sono invece fortemente dipendenti da scopi e capacità cognitive resi disponibili dallo sviluppo cognitivo e sociale. Le emozioni primarie o di base sono: Tristezza, gioia, paura, rabbia e disgusto. Queste sono emozioni innate e sono riscontrabili in qualsiasi popolazione, per questo sono definite primarie ovvero universali. Le emozioni secondarie, invece, sono quelle che originano dalla combina-

 di Laura Fratini

zione delle emozioni primarie e si sviluppano con la crescita dell’individuo e con l’interazione sociale: invidia, vergogna, ansia, rassegnazione, gelosia, nostalgia, perdono. Succede spesso di non riuscire a gestire le proprie emozioni e di lasciarsi completamente invadere dalle sensazioni, rispondendo in maniera automatica senza aspettare: quante volte vi sarà capitato di arrabbiarvi con qualcuno in maniera spropositata o di riversare su chi non c’entrava niente la vostra aggressività? O magari di avere una paura esagerata di una situazione, oppure bere più del dovuto per dimenticare? È molto importante sviluppare la propria ''intelligenza emotiva'', ovvero l’abilità di essere consapevoli dei propri sentimenti e di saperli esprimere senza farsi prendere la mano. La consapevolezza emotiva implica la capacità di riconoscere come ci sentiamo, di dare il giusto nome alle emozioni. Non è possibile non provare emozioni e non è neanche utile scacciarne alcune dalla


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propria intelligenza emotiva: perchè non è mai troppo tardi per saper stare bene con se stessi e con gli altri! La dott.ssa Laura Fratini è psicologa-psicoterapeuta Riceve su appuntamento: tel. 339 2365808 (laurafratini.psicologa@gmail.com)

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prie emozioni, cioè dare loro dignità di esistenza e modalità di espressione, ci eviterà i danni dei due possibili estremi: da una parte la repressione, e dall'altra l'espressione incontrollata! Esistono esperti che aiutano le persone a conoscere meglio le proprie emozioni, dare un senso a ciò che proviamo in una determinata situazione, sviluppando la

FITOTERAPIA

nostra vita cosciente, perché non solo proviamo sia emozioni positive che negative, ma tutte queste emozioni, comprese quelle di natura sgradevole, sono utili e servono all’uomo. Dopo aver imparato a riconoscere le nostre emozioni possiamo cercare di controllarle. Quando un’emozione ci assale prima o poi bisognerà farci i conti, non possiamo far finta di niente. Ci sono invece emozioni che se ignorate e represse o, al contrario, espresse senza freno, possono fare male, a se stessi e agli altri. L’emozione che in genere è più difficile controllare è sicuramente la rabbia. Un'emozione va scaricata sempre e comunque, perchè la repressione non è mai funzionale, l'importante è imparare come possiamo scaricarla. Prendiamo come esempio la rabbia. La trasformazione dell'emozione in "forza lavoro" che può essere scaricata in tantissimi modi diversi: correndo, urlando, prendendo a pugni un cuscino, camminando all'aria aperta, parlando con un amico, ballando e così via. Imparare a costruire un buon rapporto con le pro-

ANALISI PER L’EMOGLOBINA GLICATA

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Fra storia e leggenda

Castellalto È arroccato sulle pendici meridionali del Monte Museira. Come nei tempi antichi, domina e osserva la vallata. Oggi, però, il suo controllo è silenzioso e indiscreto. Le sue antiche mura e il suo imponente mastio, in silenziosa armonia con la vegetazione e con il paesaggio, raccontano all'osservatore storie di antichi splendori facendo volare la fantasia di ognuno di noi verso un mondo antico fatto di valorosi cavalieri, fate, principesse, streghe, fantasmi e antiche ingiustizie.

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ggi, Castellalto (Telve Valsugana) è un rudere, raggiungibile con una passeggiata partendo dalla frazione Parise presso Telve. In linea d'aria con Castel San Pietro, ancora oggi ci mostra e racconta, in modo silenzioso, il suo antico ruolo di osservatore e di controllore dell'antica Via Claudia Augusta Altinate (l'antica arteria stradale che collegava Altino, nei pressi di Venezia, con la città di Augusta in Baviera). Come visto negli articoli precedenti, tutti i castelli della Valsugana hanno una cosa in comune: il controllo e il presidio, in età medioevale, dell'antico tracciato della Via Claudia Augusta. Ma Castellalto era qualcosa di più. L'antico guardiano di pietra, infatti, faceva parte di un imponente sistema difensivo in rete con Castel San Pietro e Castel Armana (quest'ultimo quasi scomparo del tutto edificato sulla sommità del dosso conosciuto

 di Andrea Casna

con il nome di Castelletto). Si narra, poi, di antichi cunicoli sotterranei che collegavano i tre castelli. Nell'oscurità di queste antiche gallerie sotterranee sarebbe ancora oggi nascosto il tesoro dei signori di Castellalto. Grazie alle informazioni provenienti da un inventario del Seicento, sappiamo che Castellalto era fra i castelli più grandi e forse più ricchi della Valsugana: l'intero complesso infatti copriva un'area di 2450 metri quadrati. Le sue origini risalgono al XII secolo. Costruito a supporto di Castel Arnana e Castel San Pietro, diventò, per la sua importante e indubbia posizione strategica, l'avamposto prescelto dai signori di Telve. Raggiunse il massimo splendore nel XVI secolo. Il castello, come altri manieri della Valsugana, visse vicende belliche molto turbolente: nel corso del Duecento venne occupato dalle milizie di Ezzelino da Romano e dagli Scaligeri. Successivamente si avviò sulla strada di un lento e costante declino fino al totale abbandono nel corso del XIX secolo. Numerose leggende fanno da cornice ai ruderi di questo antico castello. Sono storie popolari che hanno al centro la


malvagità dei nobili proprietari del castello e la sudditanza forzata della popolazione locale costretta a pagare, in soldi e in derrate alimentari, più del dovuto anche durante i periodi di carestia e di siccità. Sono storie, queste, che in un certo senso ci aiutano a ricostruire, solo in parte, il rapporto fra contadini e autorità locale: rapporti spesso dominati da sentimenti di odio e di frustrazione che spesso, nel corso del medioevo, si manifestavano in modo violento nelle conosciute e “romantiche” rivolte contadine. Una condizione di sudditanza, stando anche alle leggende, che costringeva la popolazione locale a vivere nella miseria. Una leggenda parla del diritto di prima notte: il diritto del signore locale di consumare la prima notte di nozze con le mogli dei propri sudditi. Un dato, questo, che la storiografia moderna ha smentito e ridimensionato, ma che è rimasto vivo nella cultura popolare. Secondo i racconti popolari, quando una fanciulla vergine era in procinto di sposarsi, le guardie del castello scen-

devano in paese per rapire la malcapitata. Portata a forza nel castello, i signori di Castellalto rimanevano in compagnia della giovane fanciulla solo per una notte. Si narra, inoltre, di un antico coro recitato dai fantasmi dei vecchi contadini morti per sfamare e arricchire i signori locali. Un giorno, infatti, mentre un gruppo di contadini stava salendo al

castello per consegnare la parte dovuta, un coro si levò fra il fruscio degli alberi: «Ma dove andate, poveri contadini, con quei sacchi di farina rubati alla bocca dei vostri figli? Portate le forche, imbracciate i tridenti, uccidete il signore e cantate di gioia per la vostra libertà! Siamo anime fantasme di vecchi contadini, morti di fatica e di dolore per arricchire il nostro signore!».

BARCO DI LEVICO

PENSIONATI E ANZIANI

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iù di cinquanta dei 160 iscritti sono intervenuti all’assemblea ordinaria del Gruppo Pensionati e Anziani di Barco di Levico. Dopo aver fatto osservare un minuto di silenzio in memoria di quei soci che nel 2016 hanno lasciato questo mondo, la presidente Elda Gina Moser ha relazionato sull’attività svolta lo scorso anno. In particolare ha ricordato le varie feste, la gita in val Pusteria, la festa del patrono, le feste per i compleanni e tanto altro. Ha poi ringraziato i tanti soci che hanno collaborato nella ricostruzione del tetto della malga Sassi sull’altopiano delle Vezzene, di proprietà del Comune ma data in concessione gratuita al Gruppo in cambio di lavori. Grazie alla manodopera prestata dai nostri soci, ha continuato, gli impegni verso le ditte che hanno fornito i materiali si è notevolmente ridotto. Anche il programma di attività per il 2017 prevede una serie di iniziative in favore degli iscritti che sostanzialmente ricalca quello dell’anno precedente. Poi la tesoriera Ester Thomann ha illustrato il conto economico che chiude con un consistente disavanzo che sarà ripianato con un contributo straordinario da parte del Comune. Presenti ai lavori il primo cittadino di Levico Michele Sartori e l’assessore Werner Acler che hanno lodato l’operato di questo Gruppo. (M.P.)

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Calicantus

 di Chiara Paoli

al cuore della musica

In una serata primaverile, incontro in un bar del perginese, per un’intervista, la presidente del coro Calicantus, Sandra Vicentini, accompagnata dal corista Alessandro, cassiere dell’Associazione. Quello che m’interessa sapere è come è nata, ma soprattutto come si è evoluta questa realtà, sorta all’interno della scuola musicale di Pergine nel 1992, divenendo, sette anni dopo, Associazione culturale autonoma. La grande novità di questo ultimo biennio è Miriam Comito, giovane maestra che con grande passione dirige il coro.

I

l nostro incontro avviene a conclusione di un fine settimana importante per il coro, come mi racconta Sandra si è appena conclusa la XIIa rassegna di musica sacra, tenutasi il 18 e 19 marzo nella chiesa dei Francescani di Pergine. La rassegna nasce nel 2005 in memoria di Finn Murray, un ragazzo inglese che durante la sua permanenza in Trentino, dove lavorava come insegnante a Civezzano, ha preso parte alle attività del coro, aiutando tutti ad affinare la pronuncia inglese. Purtroppo, rientrato in Inghilterra il giovane cantante si è ammalato ed è morto, nonostante l’ancora giovane età. Per ricordarlo il coro ha voluto dedicare a lui la rassegna e ha invitato per un gemellaggio il coro St. John Singers di Salisbury di cui Finn faceva parte. La multiculturalità è parte integrante di

questa realtà associativa che vede la musica come mezzo di comunicazione fra realtà e culture diverse; in questi anni si sono avvicendati tra i coristi l’austriaca Nina, la spagnola Ana, la colombiana Juliana, e ora a cantare c’è Maxim, un ragazzo russo, a testimonianza di come la musica possa essere una lingua che unisce tutti i popoli sotto un’unica bandiera. Le novità importanti di questa edizione della rassegna di Musica Sacra è l’attenzione particolare riservata ai giovani: ospite delle serate è stato Samuele Broseghini, compositore, al quale è stata commissionata la stesura di un brano di musica sacra per la liturgia. Inoltre, per la “vetrina giovani musicisti”, si sono esibiti gli allievi della classe di chitarra della prof.ssa Lutzemberger del Conservatorio Bonporti di Trento e due splendidi cori giovanili che hanno af-

LE NOZZE D’ORO IN FESTA

L

fiancato i tre cori più “maturi” presenti nella rassegna. I giovani talenti sono stati coltivati egregiamente dal coro Calicantus, e sono cresciuti rigogliosi, tanto da dare vita sul finire del 2016 a una nuova realtà che si dedica al musical, e ha scelto il nome di “Highlight”. Come mi raccontano Sandra e Alessandro, il coro Calicantus è anche promotore di collaborazioni con i molti cori del Trentino, ma anche con realtà fuori regione e oltre i confini nazionali. Far parte del coro significa anche vivere queste esperienze che a volte portano a cantare lontano da casa; è una scuola di vita e a volte fonte di avventure. Il gemellaggio con l’Inghilterra non è stato inizialmente semplice per coloro che non conoscevano la lingua, ma quelle giornate vissute assieme hanno costruito

RONCEGNO

a comunità parrocchiale di Roncegno ha ricordato le coppie di sposi che hanno raggiunto o superato il traguardo dei 50 anni di vita coniugale. Dopo la solenne celebrazione, sono state premiate con un piccolo dono presso l’Oratorio Parrocchiale. Queste le coppie che hanno festeggiato 50 o più anni di matrimonio: Giancarlo Bardi e Liliana Nones; Aldo Bernardi e Maria Menegol; Tullio Boschele e Teresa Froner; Renzo Campestrini e Elda Andreatta; Giulio Candotti e Maria Teresa Vettorazzi; Giuliano Colleoni e Rosanna Tolfo; Mario Dalsasso Mario e Adele Groff; Luciano Divina e Ada Gina Serafini; Benito Fassan e Emilia Valentini; Clemente Ferrai e Tommasina Ropelato; Gino Fiorentini e Argentina Pittana; Luigi Giovannini e Clelia Jobstraibizer; Romano Groff e Liliana Dallebaste; Sergio Hueller e Piera Maria Attilia Ronchi; Mario Menegol e Giovanna Colleoni; Carmelo Montibeller e Daria Gozzer; Vittorio Montibeller e Elsa Hueller; Giovanni Oberosler e Maria Dalsasso; Florindo Quaiatto e Gabriella Eccher; Bruno Sandonà e Anna Andreatta; Leopoldo Voltolini e Anna Antonia Ticcò; Mario Zanetello e Laura Moser; Valerio Zottele e Maria Luigia Fiorentini. (M.P.)

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rapporti e connessioni che hanno portato a uno scambio di ricette, di consigli, e di opinioni in una lingua nuova, un mix di italiano e inglese. Ma è capitato anche di trovarsi in un aeroporto deserto, in attesa delle valigie, mentre l’Italia vinceva il mondiale di calcio e nessuno all’aeroporto sembrava essere intenzionato a svolgere regolarmente il proprio lavoro. Tra le grandi soddisfazioni e conferme vi è la partecipazione al concorso per cori polifonici di “Settimio Zimarino” a Vasto Marina che ha visto il coro aggiudicarsi il 1° premio assoluto. Un’associazione che collabora volentieri con le realtà e personalità del territorio, realizzando manifestazioni che vedono il canto accompagnare l’arte, come nel caso della collaborazione con il Fai o la natura, per la rassegna “Natura(L)Mente Not(t)e” con la partecipazione di una guida della Rete trentina di educazione ambientale per lo sviluppo sostenibile; e potremmo citare anche l’intervento per Carnevalestate con Pergine Spettacolo Aperto. I progetti che bollono in pentola sono ancora molti: il primo giugno Calicantus

sarà coro laboratorio in occasione della maratona corale organizzata dal Conservatorio F. A. Bonporti di Trento, mentre il 6 giugno sarà a Villa Raphael a Roncegno, e il 16, 17 e 18 sarà al Festival della Voce di Arezzo per prendere parte a uno stage di musica contemporanea, con il maestro Gary Graden. Se lo scorso anno il workshop Ritmo y color, conclusosi con uno splendido concerto al Teatro comunale di Pergine, ha voluto avvicinare i partecipanti allo stile etnico ispanoamericano, con la collaborazione del maestro Juan David Zuleta; quest’anno la musica invaderà i

parchi del territorio, con un programma coinvolgente in via di definizione. L’associazione è sempre alla ricerca di nuove voci che vadano ad alimentare il coro, attualmente formato da 22 elementi; le prove si tengono ogni lunedì e mercoledì sera dalle 21 alle 23 presso la sede, al secondo piano di palazzo Montel in via Filzi 2. Se vi è venuta voglia di provare, non sono necessari prerequisiti, salvo la passione per la musica e la voglia di mettersi in gioco.

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Terramare: dal Trentino a Venezia sulle tracce degli ambienti naturali

CAPITOLO III: In Valsugana

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opo aver attraversato il Trentino assieme al team di scienziati a pedali nelle due precedenti uscite, finalmente in questa puntata raggiungiamo la Valsugana, dove tra laghi e zone umide protette, la scienza si fa sempre più interessante. “Uno degli obiettivi di questo progetto -spiega Gerri Stefani, uno dei ricercatori che ha accompagnato il progetto fin dalle sue origini- è quello di divulgare le informazioni attorno alle aree protette, ai siti LTER e agli ecosistemi e siti importanti”. Uno di questi è il Lago i Levico, dove, dopo lungo pedalare, i nostri ciclisti sono arrivati in una bella serata. Qui ad accoglierli esperti e sperimentatori di una scienza diversa: quella della fermentazione delle uve. I fratelli Romanese, infatti, offrono ai nostri ciclisti un bicchiere di vino invecchiato in bottiglia sul fondo del lago, le cui acque sono lo spunto per una bella serata in compagnia della scienza pura: la chimica. Assieme ad alcuni esperti, in piazza, curiosi e passanti di ogni età si sono cimentati con microscopi e molecole, e hanno letteralmente montato e composto molecole e reazioni chimiche grazie ai modellini di

atomi e legami che tutti avevamo a scuola ma che non abbiamo mai usato. Il giorno successivo a fare compagnia ai nostri eroici scienziati non è solo il fiume Brenta, ma anche “una leggera pioggia che -come racconta D’Alelio nel suo resoconto del viaggio- rende questa valle ancora più bella”. I chilometri da percorrere fino alla prossima meta non sono moltissimi: lungo la ciclovia dovranno raggiungere Grigno con la sua bellissima e suggestiva riserva del Fontanazzo. Un luogo particolare, dove la biodiversità di flora e fauna è elevata: ruscelli, acque mosse, boschetti, campi, prati, stagni e foreste alluvionali si alternano, offrendo dimora a specie animali differenti: uccelli acquatici come il martin pescatore o l’airone cinerino; piccoli mammiferi di diverse specie; uccelli di bosco come il picchio verde o la tortora; anfibi come la rana di montagna, l’ululone o la raganella. A fare da guida alle attività in quest’occasione è proprio Gerri Stefani, che del Fontanazzo ha fatto la sua seconda casa. Oltre a condurre i suoi compagni di viaggio attraverso questi ambienti così variegati, Stefani ha fatto loro costruire un tipico

 di Elisa Corni

ambiente di riproduzione degli anifibi. “Abbiamo scavato una buca nel terreno e vi abbiamo incastrato una vasca -racconta il naturalista- che simulerà la pozza effimera dove gli anfibi depongono le uova che diventeranno in poco tempo girini”. Ma la sosta al Fontanazzo non è stata solo un momento dedicato alla scienza ma anche agli aspetti sociali. Infatti Alpini e i membri del gruppo speleologico Grotte di Selva hanno riempito le pance dei ciclisti di passaggio con un abbondante e gustoso piatto di pasta. Tra una forchettata e l’altra, ci si scambiano i racconti delle imprese speleologiche e campioni di acque raccolte al Fontanazzo da esaminare con il microscopio, in un momento conviviale più unico che raro, purtroppo. “Le tre parole chiave di questo progetto -spiega Stefani- sono coinvolgimento partecipazione e divulgazione. E questo momento in cui c’è stato uno scambio reciproco di informazioni ed esperienze è stato in grado di racchiuderle tutte assieme”. Appuntamento sul prossimo numero per l’ultima parte di questo viaggio!

RONCHI VALSUGANA

I

n occasione della ricorrenza di Sant’Antonio Abate, conosciuto come il protettore degli animali, gli allevatori e le allevatrici di Ronchi Valsugana si sono riuniti ed hanno assistito ad una S. Messa nella parrocchiale del paese nel corso della quale è stata ricordata la figura di questo Santo. All’omelia il parroco don Paolo Ferrari ha sottolineato come l’agricoltura e l’allevamento degli animali costituiscano fin dall’antichità la base della nostra vita economica. Al termine è stato benedetto, secondo un’antica usanza, il sale e consegnato agli allevatori un’immagine di Sant’Antonio Abate circondato dagli animali, perché venga appesa per tutto l’anno alla porta delle loro stalle. Un brindisi augurale e una foto ricordo, hanno concluso le simpatica giornata.(m.p.)

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o d n a l l e r e h c o i G

ini rizio Crist u a M i d a cura

? A V O R E T L I H C

ANACONDA ANDORRA APOTEOSI BARRICATA BOCCA BOTTE CAOLINO CARABINA CILIEGIO DESOLATO DOPOSCI FOLGORI FRAGOLINA GREPPIA IALINA INSONNOLITO ITTICA LAGORAI MATTARELLO NUCLEO PEDATA PERGAMENA PLATANO PONDERATO RETTILE SCARPONI SCISMA SCORFANO SCOTTE SELLINO SFAMARE SFORZO

Cercate e cancellate nello schema tutte le parole elencate qui di seguito, scritte anche in diagonale, da sinistra a destra (o viceversa) o dall'alto verso il basso (o viceversa). Le lettere possono essere in comune a più parole. Quelle restanti, lette nell'ordine, daranno il nome di un locale Sponsor di questa rivista.

ALLA RICERCA ! In ognuna delle frasi sotto elencate è celato il nome di una pianta: riuscite ad individuarla? Le quarte lettere di tali parole, lette nell'ordine, daranno il nome di una Nazione.

A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il nome di una frazione di Pergine già sede di attive miniere dalle quali si estraevano argento, ferro e rame in epoca medievale. ORIZZONTALI: 1. Scostumatezza, licenziosità - 9. Cinquantacinque... romani - 10. La Martini di Almeno tu nell'universo - 11. Il suo buco desta preoccupazioni - 12. Targa di Caserta - 13. Carta di briscola nel bridge - 14. Fa binomio con Mercedes - 16. Il suo istinto spesso ci salva la vita - 18. Disciplina sportiva motociclistica volta a superare ogni ostacolo - 19. Il Top con Tom Cruise - 20. Regio Decreto - 21. Una tassa anteriore all'IVA - 24. Leone... senza testa ne' coda! - 25. Sono diversi nel sasso - 26. Cavalli dal manto rossastro con caviglie, criniera e coda nere - 27. Una provincia piemontese - 29. Il Giorgio, comico toscano - 31. Articolo per bambino - 33. La Ida di Sopramonte di Trento che diede un figlio a Mussolini - 35. Cuore di croato - 36. A Pergine ha sempre a che fare con rifiuti (sigla)! - 37. Sono uguali in Imola e Ivrea - 38. Polizia militare americana (sigla) - 39. Tutt'altro che VIP! - 41. Si dice del tempo attuale - 44. Area palustre come l'Inghiaie di Santa Giuliana di Levico Terme - 47. Vaso panciuto di terracotta destinato a contenere olio - 48. Una struttura come il San Lorenzo di Borgo Valsugana - 49. Unione Sportiva.

VERTICALI: 1. Un discusso ex sindaco di Roma (iniz.) - 2. Il nome comune della serpe denominata in Trentino Anza o Carbonazo - 3. Però - 4. La Piana trentina patria del Teroldego - 5. Mare dove sfocia il fiume Don - 6. Vi... risiede la Gioconda! - 7. Gli Illimani, storico gruppo musicale cileno - 8. Torino - 9. Si stende sul materasso - 12. La sua vetta domina la Val Campelle a 2439 m. di altezza - 13. Vale 100 mq. - 14. Le estremità delle barriere - 15. Lungo dente elefantino - 16. Precipizio, burrone - 17. Fu il primo comunista a capo della Camera dei deputati dal 1976 al 1979 (iniz.) - 22. Col genitivo sassone dà nome a una nota band, senza è un drastico purgante - 23. Il cagnolino della Sig.na Silvani che finisce cucinato in un film con Fantozzi! - 26. Attività assistenziale molto diffusa tra donne dell'Est Europa in Italia - 27. Località del Tesino fra Strigno e Pradellano - 28. Precede... Alamein - 30. Lo Stato sul Monte Titano (sigla) . 32. Ha una mina nel cuore! - 34. Pagliericcio... da I° Guerra mondiale - 37. I giorni di marzo legati a Giulio Cesare - 40. Sono dispari in Isolde - 42. La più alta del cantiere - 43. Lettera a forma di croce - 45. L'ossigeno e il fosforo del chimico - 46. Cambiano avare in ovale.

1. Arrivare sani e salvi alla meta. 2. Il mare di Fregene piace molto ai romani. 3. Chiave nascosta sotto un vaso. 4. L'imperatore Massenzio morì nella battaglia di Ponte Milvio.

5. Nota agenzia napoletana di viaggi. 6. Piccole superfici cutanee. 7. Alteri, bestiali energumeni. 8. Navi olandesi ormeggiate in porto. 9. Festosa gimcana patrocinata dal Comune.

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Il numero di febbraio di Valsugana News è stato chiuso il 3 aprile 2017.



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