Valsugana News n. 1/2018 Febbraio

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L’ingresso di Auschwitz - Birkenau

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Valsugana News La redazione ENRICO COSER editore

FRANCESCO CANNATELLA

ARMANDO MUNAÃ’ direttore responsabile

FRANCO ZADRA condirettore

ELISA CORNI vicedirettore

ALESSANDRO DALLEDONNE

CHIARA PAOLI vicedirettore

ANDREA CASNA

MAURIZIO CRISTINI

LAURA FEDEL

LAURA FRATINI

FRANCESCA GOTTARDI

SABRINA MOTTES

MARIO PACHER

ROBERTO PACCHER

WEIMER PERINELLI

ZENO PERINELLI

PATRIZIA RAPPOSELLI

GIAMPAOLO RIZZONELLI

ALICE ROVATI

www.valsugananews.com info@valsugananews.com SILVIA TARTER

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ALSUGANA NEWS

ADELINA VALCANOVER

ERICA ZANGHELLINI


E D I T O R I A L E

E SIAMO NEL 4° ANNO C

arissimi lettori, con questo numero inizia il quarto anno del nostro periodico. I primi tre, trascorsi all’insegna di una continua e costante crescita “giornalistica”, ci hanno dato enormi soddisfazioni, grazie e soprattutto all’attenzione, all’interesse, e all’apprezzamento che ci avete dedicato e che ci spingono a continuare sulla strada del miglioramento. Grazie, sinceramente grazie. Nel numero di febbraio segnaliamo le NOVITA' EDITORIALI che avevamo promesso in dicembre. Tra queste, la rubrica “Come Eravamo”, ovvero alcune pagine e spazi dedicate a fotografie degli anni compresi tra 1875 e il 1960 e che nello specifico riguardano i paesi della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana, i personaggi che hanno vissuto e caratterizzato il vivere quotidiano di quei tempi, foto d'epoca di varie aziende e realtà commerciali che hanno operato e alcune di esse ancora operano nelle nostre zone, foto di pubblici avvenimenti e quelle di maestre, alunne e alunni che hanno frequentato in quel periodo le nostre scuole. Per questo motivo chiediamo a tutti i nostri lettori di inviarci foto d'epoca in loro possesso – anche di familiari – che provvederemo a pubblicare indicandone la provenienza e i soggetti ritratti nelle foto. Tutto il materiale ricevuto sarà restituito ai legittimi proprietari insieme a un simpatico OMAGGIO quale ringraziamento per la loro disponibilità e collaborazione. Altra novità, prettamente dal sapore giornalistico, presenta le pagine “Curiosità nella storia” che nello specifico tratta ed evidenzia avvenimenti, fatti e curiosità particolari poco conosciuti che per la loro originalità sapranno attrarre l'attenzione dei nostri lettori poichè raramente hanno trovato spazio nell'informazione di oggi. Sempre all’interno di questo numero troverete moltissime pagine dedicate alla Shoah, a quel “Giorno della memoria” che deve essere sempre presente in noi per ricordarci le atrocità e le barbarie che sono state commesse in un tristissimo periodo della nostra storia.

 di Armando Munaò

Vi accorgerete poi che la redazione di Valsugana News è cambiata. Si è potenziata con l’arrivo di altri validi ed “eccezionali” collaboratori che aumentano e potenziano la qualità del giornale. Come cambiati sono gli incarichi “al comando”. Franco Zadra, Elisa Corni, e Chiara Paoli, sono infatti il condirettore e i due vicedirettori. Un riconoscimento a loro “dovuto” e non tanto per le loro personalità o per il loro essere valenti scrittori, ma anche e soprattutto per l’indiscutibile preparazione, competenza, e professionalità che in questi anni hanno dimostrato. In chiusura permettetemi di rivolgere a tutti i miei collaboratori, ai miei “fantastici giornalisti, ai grafici, agli stampatori e al distributore, la mia gratitudine, la mia stima, la mia riconoscenza e il mio sincero affetto, perché, senza di loro, poca, pochissima strada il giornale avrebbe fatto. E un sentito grazie agli inserzionisti per la loro fattiva collaborazione e ai titolari dei pubblici esercizi che, mensilmente, ci permettono il posizionamento di Valsugana News.



IL SOMMARIO La redazione................................................. 2 Editoriale..................................................... 3 Sommario.................................................... 5 Punto e a capo .......................................... 6 L’addio a un grande amico ............................ 7 Poveri e povertà........................................... 9 Uno sguardo diverso sulla demenza............. 11 La missione del Mart .................................. 12 I nidi di parole ........................................... 14 Complimenti Francesca............................... 16 Pietro Verdini ............................................. 18 Il testamento biologico ............................... 20 Lettera al direttore ..................................... 23 Le curiosità nei secoli ................................. 24 Le stragi in USA ......................................... 26 Come eravamo........................................... 45 Il fuori Pista in Brocon ................................ 51 Epilazione laser .......................................... 53 Nei secoli fedeli.......................................... 54 Medicina e salute: Bambini e Traumi............ 55 Una Robin Hood valsuganotta ..................... 56 Libera nos a malo....................................... 58 Cronache................................................... 59 Cronache................................................... 60 Da Bismark alla Merkel ............................... 61 Ludovico Fossali ......................................... 62 Cronache................................................... 63 Aluray ....................................................... 65 L’Istituto Alcide Degasperi........................... 66 Una medicina innovativa ............................. 67 Un personaggio speciale ............................. 68 In ricordo di Libardi .................................... 69 Il maso di Antraque.................................... 70 Arte e creatività ......................................... 71 Benessere e salute: ottica oggi.................... 72 Plastica quanto mi costi .............................. 73 Come eravamo........................................... 74 Gli alimenti per celiaci................................. 75 Che tempo che fa....................................... 76 Giocherellando ........................................... 78

ANNO 4 - FEBBRAIO 2018

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Giorno della

Memoria • Il giorno della memoria .................. 29 • La giornata della memoria .............. 30 • Alle radici dell’antisemitismo ........... 31 • Intervista impossibile...................... 32 • La notte dei cristalli........................ 34 • Il viaggio della memoria ................. 35 • La strage di Marzabotto .................. 36 • Liliana Segre.................................. 39 • Anne Frank, una ragazza, un simbolo.. 42 • La felicità di Anne Frank ................. 43 • La Shoah in Italia........................... 44 • L’arte predata ................................ 46 • Ricordare un dovere di memoria ..... 48 • Marina Poian.................................. 49

DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 2815103 direttore@valsugananews.com CONDIRETTORE Franco Zadra - franco.zadra@gmail.com VICEDIRETTORE Chiara Paoli - Elisa Corni COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser - Silvia Tarter COLLABORATORI Waimer Perinelli - Roberto Paccher - Erica Zanghellini Francesco Cantarella - Francesca Gottardi Maurizio Cristini - Alice Rovati - Mario Pacher Laura Fratini - Sabrina Mottes - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli Adelina Valcanover Giampaolo Rizzonelli - Laura Fedel Silvia Tarter - Andrea Casna CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE Enrico Coser IMPAGINAZIONE, GRAFICA Grafiche Futura STAMPA Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN) PER LA PUBBLICITÀ SU VALSUGANA NEWS info@valsugananews.com www.valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a GRAFICHE FUTURA srl, le loro pubblicità, le loro immagini i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per di tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.


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 di Waimer Perinelli

AL VOTO AL VOTO VOTARE È UN DOVERE CIVICO LO DICE LA COSTITUZIONE, NON VOTARE È CONSEGNARE AGLI ALTRI IL PROPRIO FUTURO.

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ebbraio 2018 è il mese della riflessione politica, quello in cui il dibattito e lo scontro elettorale in vista delle elezioni del 4 marzo si fa più intenso. La materia per riflettere non manca. In primo piano ci sono le liste, delle quali sono state depositate 103 e ne sono sopravvissute 75, alcune solo in difesa di un simbolo; poi ci sono i partiti nei quali scarseggiano programmi di medio e lungo periodo mentre prevalgono offerte immediate su problemi quali l'immigrazione, la moneta unica europea, il futuro dell'Europa unita, il lavoro, la pensione, la sanità ... con soluzioni tanto semplici da sembrare vere, così scontate da indurci a pensare all’incapacità di quanti fino ad oggi potevano risolverle

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con un clic. Troppo banali per non assomigliare alla bufala sul web. Nei partiti si muovono i candidati oppressi, quasi tutti, dall'incertezza del voto. Tremano anche quelli che, all'interno del proprio partito, hanno vinto la battaglia del collegio sicuro. Nella società dell'oggi tutto e subito, nulla è certo, niente scontato. Anzi, attenti agli sconti: spesso è merce avariata. I sondaggi ci dicono che il primo partito nazionale è quello degli astenuti. Il 33 per cento degli elettori dichiara che non andrà a votare, il 9 per cento non ha ancora deciso a chi andrà la propria preferenza. Sono in prevalenza giovani e anziani: i primi non hanno spesso memoria del passato; i secondi hanno visto dissolversi troppe promesse. Convincerli a votare richiede la consapevolezza che fatti importanti della nostra storia non interessano più i giovani ,perché li ricevono intrisi di retorica e strumentalizzazioni; per gli anziani serve un’iniezione di fiducia per concretizzare promesse scadute da decenni. Per avere il consenso di

molti sono fondamentali i programmi seri, chiari, e non le concessioni maggiori rispetto all’avversario: “se eletti vi daremo più pensione, meno tasse, più benessere, case e soldi”. E chi paga? Siamo pronti a versare lacrime e sangue, ma dateci un bersaglio! Potrebbe vincere le elezioni chi darà a tutti ragioni credibili per votare. Il voto non è solo un diritto, come dice la Costituzione che, all'articolo 48, recita: “il voto è un dovere civico” . Una legge del 1957 lo aveva reso obbligatorio con sanzioni per chi non avesse votato e l'iscrizione sulla scheda elettorale della dicitura: non ha votato. Nel paese delle “grida manzoniane”, la legge non ha avuto molta applicazione tanto che, giustamente, proprio per motivi civici, nel 1993, quando era già naufragata nell'indifferenza generale, venne abrogata. Le grandi affluenze al voto nei primi vent'anni della Repubblica erano dovute principalmente alla voglia di partecipare, essere finalmente protagonisti della politica del proprio paese e in parte anche alla forte ideologia che contrapponeva i due blocchi principali, cattolico e comunista, impegnati in primo luogo a portare gli elettori alle urne. Ne sono un chiaro esempio le divertenti, ma non banali schermaglie, fra Peppone, sindaco comunista di Brescello, e don Camillo, raccontate da Giovannino Guareschi, lo scrittore giornalista condannato nel 1954 a un anno di carcere per avere diffamato Alcide De Gasperi.


Le elezioni di marzo ci ripropongono in primo piano il grande statista trentino, della Valsugana, poiché egli perseguì con intelligenza e tenacia l'idea dell'Unione europea sulla quale l'Italia si gioca buona parte del futuro. Nel mercato globale, dove il protezionismo non può essere unilaterale, essere uniti rende più forti. Problemi innegabili come l'immigrazione, la comune difesa militare - che De Gasperi propose già nel 1953 - la collaborazione economica, non vanno svalutate. I giovani godono nell'Europa unita di occasioni di studio e lavoro uniche, irrinunciabili, che la Brexit ha reso più evidenti. Anche nell' Europa, come in ogni singolo paese, è la politica, con la P maiuscola, quella che deve trattare le regole e sintetizzarle, quella che ci è data dalla storia e che ci può rendere protagonisti e non vittime del domani . Il futuro dell'Europa è il paradigma nel quale si può sognare lo sviluppo di ogni singolo paese. Ma senza il voto – e questo dovrebbero comprenderlo soprattutto i giovani il cui futuro è in gioco - non si va da nessuna parte e si è strumento di altri.

L’addio a un grande amico Si sono celebrate a Levico Terme il 27 gennaio scorso le esequie di Luciano De Carli, nato nel maggio del 1940, spirato dopo una breve malattia, scoperta in seguito a delle analisi di routine durante le vacanze di Natale. «Nel sole di questo giorno è volato in cielo, libero, sereno, e circondato d’amore», annunciava il 24 gennaio la figlia Chiara su Facebook. Un decesso che rappresenta uno strappo lacerante anche per tutta la comunità di Levico dove Luciano, il maestro elementare per antonomasia, era ancora molto attivo con molteplici attività culturali. Un grande amico del direttore Armando Munaò, collaboratore per più di 20 anni de la Finestra e, da quando è nata, anche di Valsugana News dove fino all’uscita di dicembre scorso si incontrano suoi articoli. Oltre che essere stato primo cittadino di Levico Terme e assessore comprensoriale alle attività culturali dell’Alta Valsugana, ha dato il suo tempo e le sue competenze a molti sodalizi culturali, cenacoli sparsi in Provincia, Regione e nel territorio nazionale. Ha prodotto decine di concorsi nazionali di poesia e prosa ed è stato propulsore e animatore di diverse mostre di pittura negli alberghi di Levico ma anche a Verona, Bolzano, e in giro per il Trentino. Presidente dall’Associazione scrittori del Trentino Alto Adige è stato il fondatore e reggitore della Associazione Chiarentana per più di 30 anni. Una associazione che di recente ha figliato l’Associazione Forte delle Benne dalle stesse promettenti prospettive cultrali. «Conoscevo Luciano da molti anni – ha detto il poeta Renzo Francescotti – ed era un buon poeta in italiano e in dialetto. Dispiace molto per la sua morte, ma se la maggior parte dei morti tace, per i poeti non è così. I poeti continuano a parlare. Basta prendere in mano le loro poesie e leggerle e ci comunicano ancora qualcosa di personale che accompagna i diversi momenti della nostra vita, al di là del tempo e dello spazio. La poesia è così, povera ma bella, ha il potere di scendere fin dentro l’anima». Impossibile dimenticare la poesia di De Carli “Aisimpòneri” musicata da Angelo Mazza, “L‘è i Aisimpòneri che vanno via; ciao bela mora mia, me sento morir!” Così i cantava quando che i néva…

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POVERI e POVERTÀ

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Aumentano le diseguaglianze e l’Istat fotografa un paese sempre più diviso tra ricchi e poveri. Rifacendoci al report “ condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie” elaborato dall’Istat nel 2016, sono oltre 18 milioni gli italiani a rischio povertà o esclusione sociale.

 di Claudio Cia

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’altra sera, mentre osservavo un programma televisivo, sono rimasto veramente turbato nel vedere analizzati i dati delle statistiche Istat e Caritas relativi alla povertà degli italiani. Numeri decisamente preoccupanti che, ai miei occhi, hanno disegnato una situazione economica che dovrebbe veramente fare riflettere non solo tutto la politica, i politici e i sindacati, ma anche coloro i quali sono a capo di vere potenze industriali. Tutti noi (nel noi mi inserisco anche io) faremmo bene a imprimere nella nostra mente la quantificazione di queste cifre che raccontano in maniera chiara e precisa la quotidianità economica della stragrande maggioranze degli italiani, descrivendo a chiare lettere, quella che è la povertà nel nostro paese. Che, a parere degli esperti, è suddivisa in due tipi: quella assoluta e quelle relativa. La prima disegna un panorama dram-

matico poiché ad oggi, e secondo gli ultimi dati, sono oltre 1 milione e 700 mila famiglie residenti nel nostro paese (per oltre 4 milioni e 800mila individui) che vivono in condizioni di povertà assoluta. Quella relativa, sebbene meno preoccupante, ma sempre allarmante, interessa il 12,4% delle famiglie residenti (per un totale di circa 8milioni e 500mila individui). E questo tipo di povertà colpisce maggiormente le famiglie giovani i cui rappresentanti, non di rado, sono disoccupati o hanno un lavoro a tempo determinato. Oggi, secondo i dati del rapporto 2017 su povertà giovanili ed esclusione sociale in Italia realizzato dalla Caritas italiana, non solo un giovane su dieci vive in uno stato di povertà assoluta, ma negli ultimi dieci anni l’incidenza di questo tipo di povertà è passata dal 2% a oltre il 10% . Mons. Nunzio Galatino (Segretario della Cei), che è intervenuto alla presentazione del rapporto che a questa povertà è necessario aprire il nostro sguardo e il nostro cuore, specialmente quando coinvolge i giovani perché se perdura nel tempo a loro, ai giovani, è preclusa la possibilità di progettare il loro

futuro e creare una famiglia. E a concluso affermando che “ la situazione dei minori è allarmante”. Dal rapporto della Caritas emerge un panorama desolante se riferito ai minori. Oltre 1 milione e 300mila giovani versano in uno stato di povertà assoluta e dove nella famiglia esistono tre o più figli la situazione economica è particolarmente critica perché aumenta in maniera esponenziale. Ecco perché è necessario, da parte di tutti, un indispensabile e “inderogabile” per poter cambiare questa situazione. Per tutti noi “Fatti e non parole” per condividere insieme una responsabilità e un destino comuni rispetto ai valori che ci ispirano. E dobbiamo farlo specialmente per i giovani affinchè si possa garantire loro una serenità di vita perché, non dobbiamo dimenticarlo, oggi sono il nostro presente, ma domani saranno il nostro futuro.

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Uno sguardo

diverso sulla demenza Il libro “#lavitanonfinisceconladiagnosi”, della dott.ssa Letizia Espanoli, Assistente Sociale, formatrice e consulente per Enti pubblici e privati, con una trentennale esperienza nell’ambito della fragilità e della demenza, presentato alla Apsp “S. Lorenzo e S. Maria della Misericordia”, di Borgo Valsugana, è scaturito lungo un percorso che ha visto la nascita di Sente-Mente® Project. Un progetto che intende cambiare quel nefasto paradigma culturale che pone, invece, l’accento sulla “drammaturgia” delle conseguenze della diagnosi di demenza e si limita a proposte che hanno il solo scopo di rallentare la degenerazione, finendo per distruggere la speranza nel cuore dei malati e delle loro famiglie. Esistono per-corsi capaci di traghettare malati, famigliari, e operatori, fuori dall’impotenza, perché se è vero che c’è la malattia è vero altrettanto che lì nascono nuove opportunità, fino a realizzare che «l’Alzheimer è una degenerazione del mio cervello, ma non della mia personalità, di me stesso» come scrive Harry Urban, che convive da 13 anni con la malattia, e al quale Espanoli si è ispirata nella stesura del libro. «So che la mia vita è in bilico – scrive ancora

Susi Doriguzzi Urban - e so che sto perdendo memorie preziose, ma sono grato di aver sperimentato il Mondo della Demenza e i suoi splendori. Nel mio nuovo mondo si trovano amore puro e comprensione. Sono consapevole che sto perdendo la mia battaglia con l’Alzheimer, ma lo accolgo. Ho trovato amore nel mio cuore che non mi ero mai reso conto di avere, e ho avuto l’opportunità di aiutare così tante persone a tirarsi fuori dai propri orrori». È necessario imparare a capire e assistere in modo nuovo ed efficace, perché le persone che con-vivono con la demenza, non sono affatto perdute, ma anzi tengono intatta quella parte che gli permette di “sentire” fino all’ultimo respiro. Perché la vita non finisce con la diagnosi e nessuno può portarci via il diritto di amare e onorare l’altro fino all’ultimo respiro. Sente-Mente® forma in modo innovativo gli operatori che lavorano sia in ambito socio-sani-

tario che educativo, ma non solo, per fornire loro strumenti e strategie in grado di aiutarli concretamente nelle difficoltà quotidiane. Idee che possono essere trasmesse anche alle famiglie che decidono di prendersi cura in casa dei propri cari. Il Sente-Mente® modello è metodologia per creare opportunità quanto tutto attorno urlano solo parole d’impossibilità. Un modello che permette di stimolare le organizzazioni coinvolte verso la creazione di nuove azioni di assistenza e cura, unita a un miglioramento organizzativo continuo, e di sostenere le Amministrazioni comunali attraverso un Progetto Pilota che porterà il Comune a essere “Sente-Mente® amico delle persone che con-vivono con la demenza”. Sente-Mente® è togliere la malattia dalla frenesia del fare che consuma la vita. È avere cura dell’esistere. È generatore di Resilienza. Sente-Mente® Project offre al territorio anche percorsi per la comunità che si chiamano #giornifelici. Il dott. Mario Dalsasso, Presidente dell’Apsp, ha sottolineato, in occasione della presentazione del libro di Espanoli, come il pensiero che accomuna l’operare nella Casa di Riposo sia improntato a «quell’alzare ogni giorno l’asticella» per dare ai nostri Residenti una qualità di vita e di servizi sempre migliore. Susi Doriguzzi, Felicitatrice del SenteMente® Project, ha quindi presentato un progetto per la promozione nel territorio dei Laboratori per le famiglie e le persone che con-vivono con la demenza.

Susi Doriguzzi Felicitatrice del Sente-Mente® Project Cell. 348 0337241 - susidoriguzzi@gmail.com

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L' i nterno del MART A Rovereto due mostre consecutive propongono un viaggio nell’arte dei primi decenni del Novecento. Si avvia la collaborazione con i Musei civici di Venezia. Gianfranco Maraniello alla ricerca dei nostri contemporanei.

La missione del MART  di Waimer Perinelli

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nseguire l’eccedenza dell’arte è la logica del Mart, questa la missione indicata da Gianfranco Maraniello direttore del Mart, presidente di Amaci l’associazione dei musei di arte contemporanea italiani, promotore di alcune eccellenti mostre fra le quali le recenti “Un’eterna Bellezza” del luglio-novembre 2017 e “Il realismo magico” il cui allestimento, da non perdere, è visibile fino al 2 aprile a Rovereto. Eccedenza è un termine intrigante. L’immagine trasmessa è quella della sovrabbondanza, un contenuto che supera la capacità del contenitore. Potrebbe trattarsi in senso fisico di un’esondazione oppure filosoficamente di novità tanto grande da superare il mondo conosciuto o recuperare parte di quello che pensavamo perduto. A questa seconda considerazione ci porta la prima mostra “Un’eterna bellezza” purtroppo conclusa a novembre, ma sempre replicabile, in forma diversa, visto che molte opere appartengono alle collezioni del Mart. L’allestimento a cura di Beatrice Avanzi e Daniela Ferrari, in collaborazione con la spagnola Fondacion

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Mapfre, ci ha proposto un viaggio nel canone classico dell’arte italiana del primo Novecento attraverso le opere di grandi artisti quali Felice Casorati, Mario Sironi, Ubaldo Oppi, Cagnaccio di San Pietro, Carlo Carrà, Giorgio De Chirico, Antonio Donghi, Massimo Campigli, e altri, colti nella loro unicità e grandezza dal genio di Margherita Sarfatti, studiosa, amica di Mussolini, alla quale si deve anche la nascita del movimento Gruppo Novecento. Artisti in qualche caso compagni di viaggio per brevi periodi come Carrà e De Chirico, spesso lontani fra loro come pensiero e interpretazione, ma uniti nella comune ricerca della bellezza e attraverso essa dell’equilibrio che la classicità può dare. “L’arte nuova - scriveva la Sarfatti nel 1926 -, tanto sarà più classica quanto meno incapperà nel classicismo...” e Daniela Ferrari nel catalogo sottolinea come gli artisti siano “accomunati dall’esigenza di precisione, semplicità della composizione e rigore plastico... artisti che alla pittura dell’avanguardia avevano dato poca retta o che ne avevano condiviso la poetica per un tempo breve”.

Cagnaccio di San Pietro, Liliana

Molti di loro li ritroviamo nella mostra Realismo Magico che ha segnato il ritorno lampo al Mart di Gabriella Belli, che n’è stata direttrice fino al 2011 e ha curato assieme a Valerio Terraroli l’allestimento. «L’avere scoperto di lavorare a progetti simili - ha sottolineato la Belli, oggi direttrice dei Musei Civici di Venezia -, ci ha permesso una collaborazione che sottolinea e completa le due proposte».

Gianfranco Maraniello (da Ufficio Stampa - Provincia autonoma di Trento)


Realismo magico è un nome impossibile, la contraddizione di due stati della mente e dell’animo: il realismo non è il reale anzi, in certi momenti della storia ha significato la trasfigurazione enfatica della realtà; la magia è il contrario della ragione, il fallimento o l’esaltazione della fede. Seppure così distanti i due termini hanno trovato la sintesi in Massimo Bontempelli e uniscono senza giustificazione alcuna, artisti che non sono mai stati gruppo e hanno in comune “solo il

Gabriella Belli (da Museo Nazionale Radio3 - Ra)

desiderio - scrive Terraroli -, del ritorno all’ordine”. Ordine che necessita anche al Mart, secondo Gabriella Belli, che, salutata “trionfalmente” come fondatrice e ispiratrice del Museo, non ha perso l’occasione per sottolineare come vi sia stato nel tempo chi ha perseguito la politica secondo cui «per affermare se stessi bisogna azzerare ciò che ha fatto chi li ha preceduti». Tutto molto bello, ma resta una domanda: dov’è l’Eccedenza? Gianfranco Maraniello, 46 anni, figlio d’arte, forse non intende l’eccedenza come esclusione e dunque protezione e valorizzazione del celebrato di cui per abitudine e pigrizia si occupano più spesso i musei, bensì quanto di buono accade al di fuori di essi e va incluso. Un’operazione difficile che richiede intelligenza, preparazione, cul-

Severini, Giocatori di carte, 1924 tura e purezza d’animo. Fuori, attorno alle sacre, artistiche mura, si agita un mondo vasto popolato di dannati, come lo furono molti di quanti oggi sono celebrati, comprenderli e ammetterli significa in molti casi sconvolgere la cultura e il mercato. L’eccedenza sia chiaro, non ha confini, non ha Capitali culturali; l’arte fiorisce dovunque vi sia il terreno ben seminato e concimato. Anche a questo servono i musei.

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Progetto educativo per le scuole materne, elementari e medie sulla differenza di genere come risorsa e sul sessismo linguistico

I nidi delle parole… al tempo del “C’era una volta”

 di Franco Zadra Mario Bolognese, scrittore, formatore, studioso dei simboli e delle risorse immaginative e creative dei bambini e delle bambine, mette a disposizione dei nostri lettori una singolare proposta con indicazioni di materiale creativo e riflessioni di varia natura in modo da concordare, e proporre successivamente , un apposito itinerario laboratoriale.

'auspicio: «Auguri e figli maschi!» (che è il sottofondo ispiratore della fiaba composta da Bolognese, “I nidi delle parole”, disponibile assieme all’articolazione dell’intero progetto, una nota pedagogica e didattica sull'utilizzo della fiaba e sui ruoli sessuali e una riflessione antropologica e simbolica sulla bambina che non viene nominata e citata per il genere di appartenenza, rientrando automaticamente nel neutro “bambini”, e un pensiero di una antropologa sul senso identitario e sociale della bambina, a chiunque ne faccia richiesta scrivendo a canticocreature@gmail.com), non è, come potrebbe sembrare, solo un innocente modo di parlare, ma riflette una vera e propria visione della vita, discriminatoria e maschilista. Il falso neutro, “uomo” che comprende anche “donna”, esprime l'egemonia monoteista e sostanzialmente autoreferenziale del nostro pensiero maschile. La pericolosità di questo modo di esprimersi, purtroppo collettivo, consiste nel fatto che dicendo per esempio: «Bambini», che automaticamente comprende «Bambine», a livello educativo e dunque sociale si nega in qualche modo alla donna la sua stessa origine di genere… Insomma, si veicola così l'informazione che una donna proviene dal bambino? È questa l'informazione che in questo modo riceve una bambina anche a casa e a scuola?

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Se si pensa poi che ancora adesso, in qualche parte del mondo, la nascitura può non vedere la luce a causa del suo sesso... Bisognerebbe che a scuola si chiedesse alle bambine se sono veramente contente di essere chiamate “bambini” e nascesse una documentazione in tal senso, facendo parlare ovviamente anche i maschi. Nella mia esperienza, interrogate in tal senso, le bambine hanno decisamente risposto che non sono per niente contente di questo modo di parlare... Insomma, una bambina esce da una scuola che la chiama ancora “bambino”, e gira per una città dove la quasi totalità di vie e di piazze e di monumenti e di chiese si riferisce a figure maschili, che senso e anche stima di sé può avere

crescendo? La finalità della mia proposta è dunque quella di favorire, partendo da considerazioni linguistiche apparentemente innocenti, prima di tutto le famose, ma ancora in gran parte inespresse, pari opportunità, ma per poter poi arrivare alla differenza di genere, già dai banchi di scuola, come risorsa non solo educativa ma anche sociale e lavorativa. Una modalità concreta di iniziare questo lavoro con bambine e bambini, ma prima di tutto con noi stessi/e , è quello di rispondere e far rispondere, anche con disegni, allo stupore che nasce dicendo: «Dio è buona»... Un bel testo “Mamma, perché Dio è maschio? Educazione e differenza di genere”, di Rita


Torti (appare interessante che la prefazione sia a firma di don Marco Uriati, Direttore dell'Ufficio Scuola della Diocesi di Parma, nel cui ambito è avvenuta la relativa ricerca e sperimentazione di-

dattica da 0 a 8 anni: “Ma tu la pipì come la fai?”), è ricco di indicazioni sia bibliografiche che pedagogiche e culturali per questo aspetto religioso non certo secondario.

So che è anche più comodo dire “Bambini”, senza dovere ogni volta dire “Bambini e bambine”, ma se si pensa al significato profondo che ha il nostro modo di parlare, che non è solo suono ma anche senso, questa fatica è indubbiamente meritoria e ricca di frutti... Ricordo anche che c'è un libro di Alma Sabatini, edito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, “Il sessismo nella lingua italiana”, che anni fa proponeva il problema del sessismo linguistico. Praticamente non ce n'è traccia nelle scuole e nel parlare comune, a partire dalla più alte cariche dello Stato, e nel mondo televisivo, giornalistico e anche politico... Per cui, proprio come genitori e insegnanti e persone responsabili del bene comune, ritroviamo con le bambine, anche le ragazze, le figlie, per arrivare fino alle nonne, innominate anche loro… Perchè chi non viene nominata/o è come se non esistesse… Staremmo meglio tutti e tutte, ritrovando parole che non sono solo parole, ma anche deposito e sorgente di pace e giustizia.

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La nostra collaboratrice vince una borsa di studio

COMPLIMENTI FRANCESCA

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rancesca Gottardi, la nostra validissima collaboratrice e corrispondente dagli USA per Valsugana News, ha ricevuto una borsa di studio di 12mila euro dalla Fondazione Cassa Rurale di Trento, che annualmente mette a disposizione tre borse di studio per premiare l’impegno di giovani talenti. Quest’anno il terzo riconoscimento, area umanistica, non è stato assegnato. Grazie a questa “donazione” la “nostra Francesca”, perginese verace e laureata in giurisprudenza, potrà continuare ad approfondire gli studi sul sistema legale internazionale presso l’università di Cincinnati negli Stati Uniti che sta già frequentando. La cerimonia di consegna, presenti l’assessore alla cultura Andrea Robol, la presidente della Fondazione, Rossana Gramegna, e Giorgio Fracalossi, presidente della Cassa Rurale, si è tenuta nella sala stampa di Palazzo Geremia di via Belenzani a Trento. Il comitato scientifico era formato dal presidente Diego Schelfi, dal giornalista Fabrizio Franchi, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige, e da Tiziana Dal Lago, componente del direttivo dell’Ordine dei farmacisti. «Queste borse di studio - ha evidenziato Rossana Gramegna -, sono indirizzate ai nostri neolaureati che desiderano proseguire gli studi e le loro ricerche non solo in Italia, ma anche all’estero. Condizione importante, però, è che per la partecipazione e quindi per l’assegnazione della borsa di studio, i candidati abbiano dovuto dimostrare di possedere un progetto valido e originale, già attivo o in partenza, e che sia stato accettato da Istituti di alto livello. Quindi, a nostro avviso, le persone selezionate non sono solo bravi ricercatori, ma per-

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sone con una visione del mondo a 360 gradi”. Per la cronaca, Francesca Gottardi, che sta anche focalizzando la sua ricerca sul diritto internazionale e sui diritti umani, è stata selezionata per rappresentare l’Università di Cincinnati in una competizione internazionale che si svolgerà in primavera a Hong-Kong.

L’INTERVISTA A FRANCESCA Ti aspettavi questa borsa di studio? No, proprio non me la aspettavo. Quando ho ricevuto l’e-mail con la bella notizia non ci potevo credere, ho dovuto rileggerla due volte! E cosa significa essere riconosciuta come giovane “vero talento”? Per me significa in primo luogo responsabilità, non solo a continuare a fare del mio meglio, ma anche ad inspirare altri giovani a mettersi in gioco e credere nelle loro potenzialità. Credo infatti che i miei risultati siano il frutto di un impegno costante negli anni, non di una genialità innata. Tanti altri miei coetanei hanno il potenziale per ottenere ottimi risultati. Il punto è che

 di Armando Munaò

troppo spesso non ci sentiamo all’altezza, e ci lasciamo sfuggire importanti opportunità. Quale è stato l’ingrediente fondamentale dei traguardi raggiunti? Senza dubbio il supporto e l’amore della mia famiglia. Senza di loro non sarei mai diventata la persona che sono oggi. I miei genitori mi hanno trasmesso il valore per la cultura e mi hanno sempre incoraggiata a perseguire le mie ambizioni. A casa, grazie anche ai miei meravigliosi fratelli, ho sempre avuto una grande stabilità affettiva, che è stata la base da cui poter spiccare il volo. In questo momento ti trovi a Cincinnati dove frequenti la locale Università per la specializzazione e il conseguimento di un Master. Perché questa scelta di trasferirti negli USA. A Trento ho ricevuto un’educazione incentrata sullo studio del sistema giuridico italiano ed europeo, che sono sistemi di civil law. Dopo la laurea con una tesi in diritto internazionale e comparato ho sentito la necessità di approfondire la mia conoscenza dei sistemi di common law, basati sul precedente giudiziale più che sui codici. Tra questi, ho scelto gli Stati Uniti attirata dalle numerose opportunità accademiche e lavorative – tra cui la possibilità di proseguire con un dottorato e di diventare avvocato negli usa. Quali sono le cose che ti hanno colpito di più del sistema universitario Statunitense? Una delle cose che mi ha subito colpito è stata l’informalità del rapporto studente-professore. Che si tratti del preside della facoltà o del professore emerito, tutti sono molto approcciabili. In classe,


i docenti invitano gli studenti al confronto e a creare una discussione attorno a casi concreti. E sono rimasta colpita anche dal modo di vivere l’università degli americani. L’università è praticamente una cittadina, fornita di tutti i servizi, dallo stadio di football alla palestra ed al supermercato. E infine notare quanto la formazione universitaria costringa la maggior parte degli studenti a farsi un mutuo per pagarsi gli studi, tanto è costosa. Questo mi ha aperto gli occhi sulla fortuna che abbiamo noi italiani ed europei ad avere democraticamente accesso ad una formazione di altissimo livello. Sappiamo che sei stata selezionata per rappresentare l’università di Cincinnati in una competizione internazionale che si svolgerà in primavera a Hong-Kong. Le tue impressioni? Si, sono stata scelta come uno dei quattro studenti che rappresenteranno l'università di Cincinnati in occasione della Willem C. Vis International Commercial Arbitration Moot. che si terrà la prossima primavera ad Hong Kong. Ed è stata per me una grande soddisfazione! Il carico di lavoro per preparare il caso è notevole, però lavorare fianco a fianco con studenti così motivati e con professori ed avvocati di alto livello nel panorama internazionale, è un’esperienza impagabile! Collabori inoltre con il tribunale minorile della Contea di Hamilton… Si, dallo scorso ottobre ho intrapreso

minorile, dove offro il mio servizio in supporto alle attività amministrative e di cancelleria del tribunale. Ho anche avuto la possibilità di servire come ufficiale giudiziaLa premiazione. Da sinistra Giorgio Fracalossi, la nostra Francesca rio in un proGottardi, Rossana Gramegna, Andrea Rossetto e Andrea Robol. cesso, è stata un’esperienza incredibile! E da “grande” cosa desideri fare, Cosa apprezzi degli Stati Uniti e ovvero quali i tuoi obiettivi futuri? cosa invece ti manca dell’Italia? Mi trovo sempre in difficoltà a rispondere Degli Stati Uniti apprezzo la diversità, a questa domanda, perché al giorno la dinamicità e quel sogno americano

d’oggi è difficile programmare a lungo termine e sapere esattamente dove e cosa si andrà a fare. Tutto è così dinamico! Sto considerando di percorrere varie strade, tra cui quella della carriera diplomatica, accademica o forense. Certo di tenere la mente aperta per non limitare le mie possibilità! Più che un lavoro definito, ne ho chiare le caratteristiche. L’importante è che soddisfi la mia curiosità intellettuale, che abbia un respiro (giuridico) internazionale e che sia di relazione.

Francesca, con David Dornette e Kalisa Mora, altri due volontari al Tribunale e studenti di giurisprudenza un tribunale allapercorso Universitydi ofvolontariato Cincinnati - alCollege of Law.

che ti dà la sensazione che dandosi da fare tutto sia possibile! Mi mancano i miei affetti, gli amici con i quali sono cresciuta, la socialità e la cultura italiana in generale. Pensi ritornare un giorno in Italia o, purtroppo per noi, diventerai uno dei tantissimi “cervelli” che all'estero trovano le giuste opportunità di lavoro? L’Italia, ed il Trentino, sono e saranno sempre nel mio cuore. Mi piacerebbe tornare un giorno, per potere offrire al mio territorio ed alla mia comunità d’origine quello che ho appreso all’estero. Credo però che la mia formazione oltre confine continuerà ancora per qualche anno.

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L' Arte in cronaca

 di Waimer Perinelli Il pittore Pietro Verdini, originario della Lunigiana, Trentino di adozione, sarà in marzo a Palazzo Trentini.

PIETRO VERDINI:

storie in nero e blu

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n pomeriggio del 1978, in un bar di via Verdi a Trento, quello dove sostavano in pausa i redattori dell'Adige, il giornale che aveva sede all'angolo di via Rosmini dove oggi c'è la facoltà di Giurisprudenza, ho incontrato la prima volta Pietro Verdini. Era seduto a un tavolino in compagnia di Rinaldo Sandri, responsabile delle pagine culturali e critico d'arte. Rinaldo sorseggiava il consueto tè corretto rum e ascoltava il torrente di parole scandite da Verdini che gli stava di fronte. Era di corporatura compatta ma non grasso, di capelli chiari, leggermente stempiato, gli occhi dilatati e accesi. La sua parlata toscana, quella della Lunigiana, della provincia di Massa Carrara, con accenti liguri, s'interruppe alla presentazione solo il tempo per dire «Gli amici di Rino sono i miei amici» e lo disse alzandosi, come da anni non si usava più. Ma lui, nato nel 1936, ha vissuto con i nonni, a dodici anni è entrato nel convento dei francescani, a venti si è arruolato nella Guardia di Finanza. Ha avuto

un'educazione rigida, quella che si dice una buona educazione, ma tanto severa quanto inutile contro il suo carattere ribelle, l'odio per le costrizioni, il rifiuto dei soprusi. Raccontava la sua vita lasciando fluire le parole, narrando cose strabilianti, come la rinuncia a essere padre Ettore, l'amore per il nonno fabbro, le ragazzate, le burle, le liti, le leggende della sua terra. Le sue erano descrizioni fantastiche costruite con impeto e semplicità, degne di un grande romanziere, e sono state nel tempo ispirazione per chi ha saputo usarle. Pietro poteva essere uno scrittore ma nel 1963 a Bressanone ha conoScena di guerra, 2010, pastello su tavola, 150x120 cm sciuto l'artista tedesco

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Conrad Peter Bergmann ed è rimasto affascinato dall'arte pittorica. Rinaldo Sandri lo ascoltava in silenzio perchè, come ebbe a scrivere pochi anni prima di morire, “bisogna riuscire a fare silenzio, affinchè le cose mute risaltino in una nuova e crediamo, illuminante semplicità”. E se Verdini uomo è un fiume di parole, nulla è più muto e nel contempo più sonoro della sua pittura. I suoi boschi impenetrabili fatti di alberi addossati, fitti, senza rami; tronchi compatti a formare un'architettura dove la luce stenta a farsi largo, sorvolati qualche volta da un angelo, da una nuvola, unici segni di vita. I monti spogli, privi di asperità, le vette smussate, lisci e sinuosi come la pelle di una donna, interrotti spesso da un ruscello sul quale s'affaccia una casa elementare come di fata, illuminati dalla luna, tonda e scura come avesse ceduto il proprio chiarore alle forme della terra. Il mare


increspato da onde lunghe sulle quali galleggiano fragili imbarcazioni con a bordo un concertista di viola o contrabbasso. L'umanità fatta di prepotenti, di innamorati, donne e bimbi, contadini: un popolo afflitto ma non domo, ancora ricco di poesia. Il mondo di Verdini è questo ed egli lo traccia con poco disegno, lasciando che siano i contrasti della luce, per quanto tenue, a separarne i confini. Sulla sua tavolozza non mancano i colori fondamentali, ma sulla tela, tranne rare eccezioni, riporta solo il blu, un po' di bianco, e il nero che Sergio Dangelo afferma essere quello della felicità. La sua arte, mai banale, è immediatamente riconoscibile. “Il tratto inconfondibile richiama - scriveva Sandri -, la forma di Giotto e più in generale, nella semplicità e chiara esposizione, la pittura toscana del Trecento dove il punto focale era la narrazione”. A ben guardare, Verdini non ha tradito la vocazione del romanziere, solo, per raccontare le sue storie vere e fantastiche, non usa la penna, ma il pennello, non l'inchiostro, ma il colore. Ancora oggi mi piace ascoltarlo, perfino mentre si esercita al pianoforte nello studio della sua casa a Pergine e ti spiega perché ama Schubert e Bach. Pochi giorni fa incontrandolo casualmente in un bar di via Pennella a Pergine, sono stato io a presentarlo a un amico. La scena, dopo 39 anni si è ripetuta, egli l'ha accolto come fosse una vecchia conoscenza e tutto il suo mondo è esondato su di noi. Le storie non hanno età e come l'arte ci sopravvivono; raccontano di noi rendendoci immortali.

La mostruosa assurda ragione degli uomini (Dino_Campana), 2006, olio su tavola, 185x120 cm

Nota: le opere in fotografie saranno esposte a Palazzo Trentini nella mostra Guerre o Pace

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COSA PREVEDE LA LEGGE

TESTAMENTO BIOLOGICO Giovedì 14 dicembre 2017, in Italia, è stata approvata in via definitiva al Senato la cosiddetta legge sul testamento biologico, dopo mesi di ostruzionismo e decine, anzi, migliaia di emendamenti. Attraverso le DAT, le disposizioni anticipate di trattamento, decideremo a quali scelte terapeutiche dare o meno il consenso.

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a prima parte del testo riguarda il cosiddetto consenso informato, vale a dire tutte le disposizioni sulle cure, fornite dal paziente cosciente e nel pieno delle sue facoltà. La legge afferma che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito senza il consenso libero e informato del paziente. Viene promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico il cui atto fondante è il consenso informato: ogni persona deve conoscere le proprie condizioni di salute ed essere informata in modo completo e aggiornato. Il paziente deve inoltre essere informato in maniera comprensibile sulla diagnosi, sulla prognosi, sui rischi e sui benefici del trattamento, e sulle possibili alternative, oltre che anche delle possibili conseguenze in caso di rifiuto. Il consenso informato tra medico e paziente è espresso in forma scritta o, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Il consenso informato può essere revo-

cato anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento, incluse la nutrizione e l’idratazione artificiali che, viene specificato nel testo, sono trattamenti sanitari, in quanto somministrazione su prescrizione medica di nutrienti mediante dispositivi sanitari. Nel caso di pazienti minorenni, il consenso e la sua revoca possono essere espressi dal genitore o da chi ne fa le veci, tenendo conto della volontà del minore in relazione alla sua età e al suo grado di maturità. La novità introdotta dalla legge è dunque la possibilità di esprimere le proprie Dat. Ogni persona maggiorenne, capace di intendere e volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, può, attraverso «Disposizioni anticipate di trattamento», esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali. Chi indica le proprie Dat può farlo anche attraverso una persona di fiducia che faccia le sue veci

TANTISSIMI AUGURI PIERINA

È

stata festeggiata dalla dirigenza della Casa di Riposo “Redenta Floriani” di Strigno, Pierina Armellini che ha spento, tutto d’un fiato, le 105 candeline della sua torta. Una grande festa per nonna Pierina che a casa sua è stata circondata dall’affatto e dall’amore dei famigliari, parenti e amici. Nata a Borgo il 23 gennaio 1913, da mamma Angela Lorenzin e papà Candido Armellini, Pierina partì profuga a soli due anni assieme alla mamma Angela. Un momento che lei, nella sua ancora piena lucidità mentale, ancora ricorda con grande emozione. Nel 1937 si sposò con Augusto Bernardi e dalla loro unione nacquero tre figli: Sergio, Bruno e Franca, quest’ultima l’unica ancora in vita. Rimasta vedova nel 1955, dovette, da sola, provvedere alla crescita dei figli. Pierina gestì dal 1974 al 1982, il bar Sport in Corso Ausugum a Borgo Valsugana. Poi, nella stessa via, aprì l’edicola di giornali e tabacchi che oggi è gestita dalla figlia Franca, dove lavorò per lunghi decenni e dove ancora oggi Pierina vuole qualche volta ritornare per servire autonomamente dei clienti. (M.P.)

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 di Alice Rovati


e la rappresenti con il medico e con le strutture sanitarie. Il fiduciario può quindi accettare l'incarico sottoscrivendo a sua volta le Dat subito o con atto successivo, oppure può rifiutarlo. Le Dat, sempre revocabili, risultano inoltre vincolanti per il medico che in conseguenza di ciò è esente da responsabilità civile o penale. Devono essere redatte per atto pubblico, per scrittura privata autenticata, o per scrittura privata consegnata all'ufficio di stato civile del Comune di residenza. Il medico è tenuto a rispettare le volontà del paziente che, a sua volta, non può esigere trattamenti contrari alle norme di legge, alla deontologia pro-

fessionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali. Se un medico dovesse avvalersi dell'obiezione di coscienza per non dare attuazione alle Dat, la struttura sanitaria (sia pubblica che privata) deve garantire l'attuazione della legge e rispettare le disposizioni lasciate dal paziente. In accordo con il fiduciario, il medico può disattendere totalmente o parzialmente le Dat solo se queste risultano incongrue, se non corrispondono alla situazione clinica attuale del paziente o, ancora, se esistono terapie non prevedibili all'atto della sottoscrizione che offrono possibilità di miglioramento delle condizioni di vita. Nella relazione tra medico e paziente, rispetto all’evolversi delle conseguenze di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, può essere realizzata una pianificazione delle cure, condivisa tra il paziente e il medico, alla quale il medico è tenuto ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter espri-

mere il proprio consenso o in una condizione di incapacità. La legge garantisce un'appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l'erogazione delle cure palliative. Avvalendosi di mezzi adeguati allo stato del paziente, il medico deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico. Nel caso di prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili e sproporzionati. In particolare, in presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua associata alla terapia del dolore. *La dott.ssa Alice Rovati è laureata in Giurisprudenza, percorso europeo e transnazionale, con master in Europrogettazione. Giurista esperta in diritto dei consumatori, docente di diritto. È Rappresentante di Altroconsumo per la Provincia di Trento.

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Lettera al direttore

Anziani e sanità C

aro direttore, le cronache di questi giorni riportano all’attenzione dell’opinione pubblica quella che è ormai evidentemente una criticità della sanità italiana con una certa tendenza a cronicizzarsi: quella di non saper più adeguatamente tutelare i soggetti deboli e in particolare gli anziani. Le sempre più favorevoli condizioni di sopravvivenza hanno fatto registrare nel tempo un incremento delle persone di 65 anni e più, che rappresentano ormai il 20,2% della popolazione italiana e risultano essere i maggiori utilizzatori delle risorse sanitarie. Questa situazione dovrebbe indurre il Servizio Sanitario italiano a un’attenta riflessione circa la necessità di ripensare culturalmente e riconsiderare strutturalmente le prestazioni sanitarie e la loro modalità di erogazione, favorendo l’integrazione tra prevenzione e cura da una parte e risposta ai bisogni sociosanitari dall’altra, con la consapevolezza che per risultare efficace un intervento sanitario necessita di un’adeguata continuità di cura ospedale-territorio e di risposta multidisciplinare dell’assistenza territoriale. Il sistema sociosanitario deve predisporre adeguate modalità di intervento sia nei

confronti dell’anziano che vive una “sana” vecchiaia, sia nell’approccio all’anziano con patologia, generalmente di natura cronico-degenerativa, sia nell’approccio all’anziano con fragilità, con l’obiettivo di ridurre al minimo gli esiti negativi ottimizzando il funzionamento delle capacità residue. La ragione principale a giustificazione di un servizio sanitario, dovrebbe essere proprio quella che nei fatti, invece, meno rientra nella programmazione e nelle giustificazioni di spesa. La qualità del servizio sanitario offerto agli anziani dovrebbe divenire il fiore all’occhiello di una Sanità “sana”, poiché a cascata migliorerebbe tutto l’impianto di servizi. In questo senso, la ricetta per una Sanità migliore, che non possiede nessuno, dovrebbe quantomeno ispirarsi a una priorità irrinunciabile: prima i più deboli! Le risorse che vengono raccolte dalle tasse dovrebbero soggiacere a questa priorità perché il cittadino, e non il portafoglio, deve essere al centro del sistema sanitario, per lo meno si dovrebbe cercare di conciliare il più possibile i bisogni del cittadino con le reali disponibilità, ma sempre partendo da quelli per utilizzare al meglio queste. L’attenzione privilegiata agli anziani faciliterebbe poi una visione completamente differente da questa tendenza a centralizzare i ser-

 di Claudio Cia

vizi sanitari, evidente anche a Trento che attualmente ha circa 700 posti letto, per una distribuzione logistica più diffusa che incrementi la capacità di rispondere in modo adeguato all’utenza dislocata sul territorio e che patisce, soprattutto in età avanzata, maggiormente il carico di uno spostamento nel momento del bisogno. Aumentano invece i disservizi, le lunghe liste d’attesa, il carico di lavoro per gli operatori che influisce negativamente sulla qualità dei servizi stessi. Mi pare quindi di capire che in ambito dei Servizi Sanitari e a livello nazionale stiamo avanzando come i gamberi e le eccellenze si valutino oggi piuttosto su confronti con situazioni sanitarie decisamente al di sotto di uno standard qualitativo umanamente accettabile. Si dice, «da noi non è come a Cuba, al Nord non è come al Sud», ecc… ma raramente prestiamo ascolto alla nostra realtà, accontentandoci di aver risparmiato senza preoccuparci del benessere dei più deboli, mentre si investono milioni di fondi pubblici in strutture discutibili, o in nuove tecnologie fatte passare come fossero la panacea di tutti i mali, come la protonterapia o i robot, avendo ormai perso contatto con la realtà.

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Le cunerii osità

secoli

Il medico inglese

che rivoluzionò la Sanità

 di Laura Fedel

Fra i medici più famosi dell’impero britannico del XVIII secolo il dottor James Miranda Barry si distinse per aver effettuato uno dei primi tagli cesarei e aver migliorato le condizioni igienico-sanitarie dei soldati inglesi. Solo da pochi anni è stato svelato il suo segreto custodito dall’Esercito britannico per coprire quello che era considerato uno scandalo.

I

l dr. Barry morì la notte del 25 luglio 1865 di dissenteria e secondo quanto aveva disposto doveva essere sepolto così com’era, con i vestiti che indossava. Ciò però non avvenne e la donna che si occupò di lavare il suo corpo scoprì che in realtà il dr. Barry era una donna, Margaret Ann Bulkley, di origini irlandesi. Nel 1809, anno in cui si iscrisse alla facoltà di medicina, era infatti proibito alle donne frequentare l’università. L’anno di nascita pare sia il 1789, una data incerta in quanto il dr Barry tendeva ad abbassare la propria età per giustificare l’aspetto femmineo. Di famiglia modesta per motivi economici si trasferì con la madre a Londra a casa dello zio, James Barry, pittore e accademico reale. Nel 1806 il vero James Barry morì, ma lasciò a Margaret e a sua madre i mezzi economici per vivere e intraprendere gli studi all’università di Edimburgo. Aiutata da personaggi influenti e amici dello zio, Margaret abbandonò il nome da donna e assunse quello di James Barry. Cappotto, abiti maschili e scarpe

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rialzate per raggiungere i 152 cm di statura. Doveva sembrare un uomo a tutti gli effetti. Si laurea a 22 anni e si arruola nell’esercito come assistente chirurgo. Trascorre 10 anni in Sudafrica, a Città del Capo, dove stringe amicizia con il governatore Somerset che in una lettera Barry definisce “il mio più che padre – quasi il mio unico amico”. Verranno processati entrambi per omosessualità che all’epoca era considerata un reato. Vegetariano e astemio il dr Barry si fa conoscere tra i soldati per gli stivali dal tacco rosso, le camice ricamate e la sua eccentricità. Dal carattere difficile e con frequenti scatti d’ira non tollera che le sue opinioni vengano discusse né tantomeno la sua mascolinità. Addirittura sfida a duello un capitano dei dragoni che si salva grazie al distintivo del suo cappello Shako che attutisce il colpo di proiettile esploso da Barry. Essere il medico del governatore fu la sua salvezza. Diventa ispettore medico di tutta la

colonia del Capo, incarico di grande rilievo ottenuto grazie al suo impegno maniacale. James Barry Munnik è il nome dato al bambino nato dal taglio cesareo, intervento all’epoca particolarmente rischioso, praticato dal dr Barry nel 1826 in cui sopravvisse anche la madre. In suo onore il nome è stato portato avanti dalla famiglia e dato a J.B.M. Herzog, primo ministro sudafricano fino al 1939. Il dr Barry si distinse per aver istituito un santuario per i lebbrosi e ampliato le cure mediche a schiavi, galeotti e malati di mente oltre ad aver migliorato in modo rilevante le procedure sanitarie, il rifornimento d’acqua e le fognature degli ospedali. Da Città del Capo si sposta alle Mauritius, poi a Trinidad e Tobago per partecipare alla guerra di Crimea nel 1931, dove ebbe uno scontro con Florence Nightingale, fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna. Decorato e promosso Ispettore degli ospedali militari dei Caraibi modernizza


Quale che sia la verità su Margaret Ann Bulkley, rimane sepolta con lei nel cimitero di Kansel Green a Londra. Ciò che resta è la passione per la medicina e l’ardore con cui si batté per migliorare le condizioni di vita di schiavi, coloni e soldati.

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Dopo il funerale sono in molti a sostenere di aver sempre saputo il suo segreto ricordandone l’effeminatezza e la voce acuta, ma il dr Barry era persona troppo riservata e schiva per farsi scoprire. Molte le storie che lo riguardano fra cui un possibile ermafroditismo per la presenza di ernie femorali che potevano far pensare a testicoli scesi. L’ernia femorale (detta crurale), più frequente fra le donne, è stato l’oggetto della sua tesi di laurea e causata secondo Barry dai corpetti troppo stretti o dalle lunghe cavalcate portatrici di tensioni a livello femorale. La storia del dr Barry, tenuta segreta dall’Esercito britannico, viene a galla solo negli anni ’50 quando la storica Isobel Rea ha il permesso di accedere ai documenti proibiti.

FITOTERAPIA

la sanità, ma rientra a Londra per farsi curare dalla febbre gialla non accettando di farsi visitare. Nel 1857 è ispettore generale degli ospedali militari in Canada, dove ancora è ricordato come modello di compassione, onestà e rigore per l’impegno a migliorare la vita di soldati semplici e prigionieri. Nel 1864 rientra a Londra per limiti d’età. Morirà l’anno successivo.

ANALISI PER L’EMOGLOBINA GLICATA

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Il controverso fenomeno delle armi negli Stati Uniti

Le stragi in USA A

lla fine del 2017 si è consumata in Texas l’ennesima strage da arma da fuoco. 26 le persone uccise da Devin Kelley, 26 anni, che ha aperto il fuoco in una Chiesa di Sutherland Spring, Texas. L’uomo, dopo aver sparato con un fucile d’assalto su un gruppo di civili riuniti in preghiera, si è tolto la vita. Si tratta dell’ultima di una lunga serie di stragi. Recente è il massacro di Las Vegas del 1 ottobre scorso, in cui Stephen Paddock ha ucciso 58 persone e ne ha ferite 500 con un fucile d’assalto. Il 64enne ha sparato svariati colpi di fucile dal 32° piano di un hotel su una

piazza dove migliaia di persone stavano assistendo a un concerto di musica country. Paddock si è suicidato prima che la polizia potesse arrestarlo. Il movente non è ancora del tutto chiaro. Si ricorda anche della strage avvenuta a Orlando il 12 giugno 2016, che è costata la vita a 49 persone. Queste tre sparatorie, avvenute nel corso degli ultimi 18 mesi, sono le più sanguinose nella storia degli USA. Il dato fa riflettere. Quel che più sorprende è che la società americana continua a far fatica a mettere in discussione il diritto a essere armati.

 di Francesca Gottardi

Un diritto garantito a livello costituzionale il diritto di possedere armi è garantito dal secondo emendamento della costituzione americana. L’emendamento sancisce che “Poiché per la sicurezza di uno stato libero è necessaria una milizia regolamentata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto”. Questo emendamento affonda le sue radici nei tempi dell’occupazione europea. Per difendersi dall’attacco britannico, le colonie americane avevano basato la propria azione su cittadini armati che si organizzavano in milizie civili. Per le milizie cittadine possedere un’arma significava avere uno strumento per difendere il proprio territorio e la propria famiglia. Sebbene le cose siano molto cambiate da allora, questo diritto è parte integrante della mentalità americana. La convinzione dell’inviolabilità del diritto di possedere armi è piuttosto diffusa negli USA. Si stima che vi sia almeno un’arma per abitante – più di 300 milioni in totale. Le ragioni degli americani Le ragioni dietro al possesso di un’arma

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da fuoco sono in genere riconducibili a due categorie: difesa personale e tempo libero. «Voglio essere preparato se qualcuno entra in casa mia senza il mio consenso», «ho un’arma da fuoco per cacciare» e «mi piace andare al poligono» sono risposte comuni quando si investigano le motivazioni dietro al possesso di un’arma. Secondo le stime dell’FBI, ogni anno sono più di 35mila le persone che muoiono in USA per via di un’arma da fuoco. La media giornaliera è superiore alle 95 vittime. I due terzi sono morti per suicidio.

Le sfide che pone il fenomeno Uno degli aspetti più problematici del fenomeno è la difficoltà nella regolamentazione di tale diritto. Oggi ottenere un’arma negli Stati Uniti è piuttosto semplice. L’acquirente deve presentare il suo documento di identità e dopo un blando controllo dei precedenti penali l’acquisto può essere finalizzato. A complicare il quadro però entrano in gioco le leggi dei singoli Stati che spesso si differenziano in modo significativo. Per esempio, in Vermont l’età minima per acquistare e possedere un’arma è 16 anni. A pochi chilometri di distanza, in Connecticut, l’età minima è 21 anni. Ma non solo. Un grosso problema è rappresentato dall’influenza che la National Rifle Association, la potente lobby americana a sostegno delle armi, ha sulla politica di Washington. Vi è poi una certa riluttanza da parte degli americani a rinunciare al diritto di possedere armi. I recenti avvenimenti hanno evidenziato come il fenomeno vada al più presto regolato. In particolare, il sistema dei controlli deve essere più efficace di quanto sia ora. In molti vedono la necessità di imporre controlli sui precedenti penali anche alle vendite tra privati, dove ora tali controlli sono completamente assenti. La questione forse più complicata da trattare però non è unicamente giuridica, ma sociale. Secondo Maged Srour, esperto dell'Archivio Disarmo, «ciò su cui bisognerebbe agire è l’idea stessa della necessità di avere armi». Srour aggiunge che la sfida più grande per gli USA è quella di «capire che il possesso di armi non garantisce maggiore sicurezza, anzi esso stesso aumenterà i rischi e il numero di vittime».

Francesca Gottardi è nostra corrispondente dagli USA

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L’Olocausto e la Shoah IL

27 gennaio

Memoria

Giorno della

 di Armando Munaò

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osì è stata chiamato dall’Assemblea delle Nazioni Unite per ricordare e commemorare, ogni anno, le vittime dell’Olocausto e lo sterminio del popolo ebraico. La delibera dell’Onu, data 1° novembre 2005, fu fatta in occasione del 60° anniversario della liberazione dei campi di concentramento e di sterminio a opera dei nazisti. Tristissime strutture create apposta per attuare “la soluzione finale della questione ebraica”, ovvero il totale annientamento degli ebrei. I documenti storici ci dicono che tra il 1939 e il 1945 circa 6 milioni di ebrei furono sistematicamente uccisi dal Terzo Reich di Hitler con lo scopo di creare una razza pura in un mondo più puro e pulito e dare vita alla razza ritenuta superiore, quella “ariana”. Per il “Giorno della Memoria” fu scelto il 27 gennaio perché fu proprio in quel giorno del 1945 che le truppe del-

l’esercito russo della 60esima armata del Maresciallo Ivan Konev arrivano nei pressi della città polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz, divenuto il simbolo universale delle tragedia ebraica durante la seconda guerra mondiale) e liberarono i superstiti, rivelando al mondo intero non solo l’orrore del genocidio voluto da Hitler, ma anche tutti gli strumenti di tortura e di annientamento usati in quel lager nazista. In Italia, con gli articoli 1 e 2 della legge 211 del 20 luglio 2000, sono state istituite le finalità e le celebrazioni del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti. Testualmente è scritto: «La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare

la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all'articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere»

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Giornata della

la

 di Elisa Corni

Memoria La Giornata della Memoria è stata istituita dalle Nazioni Unite nel novembre del 2005 e il suo obiettivo è quello di commemorare le vittime dell’Olocausto. È stata stabilita la data del 27 gennaio, ricorrenza dell’ingresso dell’Armata Rossa nel campo di concentramento e sterminio di Auschwitz, quando per la prima volta l’orrore del genocidio nazista fu rivelato al mondo dalle testimonianze dei sopravvissuti e da ciò che i soldati sovietici trovarono tra il filo spinato e i forni del campo. In Italia questa ricorrenza era già stata stabilita cinque anni prima, per ricordare gli ebrei, ma anche i dissidenti politici, i militari, gli innocenti, gli zingari, i disabili, gli intellettuali vittime della tristemente nota “soluzione finale”.

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el panorama del conflitto più cruento della storia umana (quasi 70 milioni di caduti tra soldati e civili contro i “soli” 17 milioni circa stimati per la prima guerra mondiale, epidemia di spagnola esclusa) fanno impressione i 5-6 milioni di ebrei uccisi durante il periodo più buio dell’Europa del XX secolo. Più buio, ma purtroppo non il solo. Altre stragi e genocidi furono consumate nel corso di quei cento anni. Nel nostro continente e in Asia Minore dal 1900 al 2000 gli spostamenti forzati di popolazioni coinvolsero all’incirca 30 milioni di persone e gli storici stimano milioni di vittime. Secondo il discusso “Libro nero del comunismo”, curato dallo storico francese Stephane Courtois che nel 1997 trattò in maniera approfondita il tema dei crimini e delle violenze perpetrate dai regimi comunisti, le vittime di quell’ideologia si possono stimare tra i 90 e i 100 milioni di persone, perlopiù concentrate in Cina e in Unione Sovietica. Nei Gulag, i campi di concentramento per prigionieri politici dei quali era disseminata l’URSS, milioni di persone furono imprigionate e morirono di fame

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e stenti. Ma questo non è l’unico crimine perpetrato nella “madre Russia” lo scorso secolo; ad esempio nel 1932 una grossa fetta della popolazione ucraina (cifre incerte: da 1,5 a 10 milioni di persone) morì a seguito di una carestia, forse artificialmente provocata o “gonfiata” dal regime. La Cina, invece, fu vittima negli anni Trenta dell’occupazione giapponese, durante la quale, stime credibili indicano le perdite umane connesse alla repressione politica del paese occupante attorno ai 10 milioni di individui, accompagnati nella triste sorte da circa due milioni di coreani. Senza allontanarci da casa nostra, il suolo italiano si macchiò più volte con il sangue delle vittime di crimini contro le popolazioni locali: la pulizia etnica di Mussolini prima e le foibe poi. Antecedente a questo è sicuramente il genocidio degli armeni, perpetrato tra il 1915 e il

1916. Il governo turco deportò ed eliminò sistematicamente la minoranza armena che si trovava all’interno del suo territorio. Un milione e mezzo di persone fu massacrato o ridotto alla fame. Se il XX secolo è considerato, a conti fatti, il secolo dei totalitarismi e dei genocidi, anche guardando indietro nel tempo non si può non notare come il massacro di minoranze etniche abbia

Recupero di resti umani dalla foiba di Vines, località Faraguni, presso Albona d'Istria negli ultimi mesi del 1943


sempre caratterizzato la storia dell’Homo Sapiens. Come ad esempio durante il periodo coloniale (XVI e XIX secolo). Si suppone che nelle Americhe prima dell’arrivo degli europei ci fossero circa 80 milioni di indigeni. Tra eliminazioni sistematiche e malattie importate, questo numero crollò del 90%. In un territorio vastissimo, secondo le stime più negative, 114 milioni di persone furono massacrate in circa 5 secoli. Tutto quello spazio però non rimase mai vuoto: eu-

ropei e schiavi neri provenienti dall’Africa colonizzarono le terre un tempo dei popoli nativi. La lista potrebbe proseguire, parlando del 60% della popolazione Maori o del 90% di quella tahitiana scomparse durante il colonialismo; ma anche dei genocidi perpetrati fino agli anni Novanta nei paesi africani, come il tristemente noto Ruanda con il suo milione accertato di vittime. Vittime che vanno ricordate per cercare di dare vita a una memoria collettiva e sociale, processo nel quale molte nazioni sono impegnate a livello istituzionale, accademico e pubblico. Così, negli ultimi anni, il tema della memoria pubblica

Genocidio degli armeni sta conquistando il suo posto. Ci si appoggia agli studi di sociologi, storici, politologi, ma anche di antropologi ed etnologi per una migliore comprensione ed elaborazione della storia. Il leitmotiv del ricordo, della narrazione, della consapevolezza acquisiscono un peso maggiore quando contestualizzati, e così ecco sorgere i “luoghi della memoria”, i “viaggi della memoria”, i “discorsi pubblici sulla memoria”. Per non dimenticare, nella speranza di non ripetere.

Alle radici dell’antisemitismo*

o nel 1879, proprio a he se il termine è stato coniato soltant anc po, tem nel ane lont lto mo ini di Wilhelm Marr, L’antisemitismo ha orig atto la soluzione finale. È nell’opera in à tter me sivo ces suc olo sec nel pare per la Berlino, nella Germania che prospettiva aconfessionale”, che com una da , mo dais Giu sul o nism ma “La strada verso la vittoria del Ger ass, inteso come “odio per gli ebrei”. Gesù veniva messo in croce, prima volta questo vocabolo Judenh della Cristianità, era il 33 d.C. quando ne rigi all’o è odio nde gra sto que di del Cristianesimo, per Il fatto scatenante unità ebraica, Caifa e Anna. La nascita com a dell oti erd sac mi som dai to ’attesa della sua denunciato e disconosciu olo ebraico, per lungo tempo unito nell pop il so divi ha sia, Mes il e com ù Ges coloro che hanno riconosciuto sto odio è stato continuamente o il Cristo Redentore, e nei secoli que nat dan con ha chi per tio l’as ì cos ce venuta. Nas alimentato. a invisa agli ebrei che divennero Il Trentino in particolare è stato terr olo Simonino da Trento. capro espiatorio nella vicenda del picc ena 28 mesi, il 23 marzo del Dopo la sparizione del bambino di app , venne subito alzato il dito 1475, nel giovedì precedente la Pasqua contro la piccola comunità ebraica. r compiuto un omicidio rituale e I capi famiglia furono accusati di ave impastare il pane azzimo per la utilizzato il sangue dell’innocente per cena pasquale. nazista, i beni mobili e immobili Così come avvenne durante il periodo e donne e bambini si degli usurai ebrei, vennero confiscati, o fu venerato come beato sino al ritrovarono senza più nulla. Simonin ica di mons. Iginio Rogger 1965, quando un’accurata indagine stor o gli ebrei. (C.P.) ristabilì la verità scagionando del tutt

iudaismo, antiebraismo. o altre definizioni quali giudeofobia, antig *Alcuni rifiutano il termine, utilizzand

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l’intervista impossibile MARIE CLAUDE VAILLANT

 di Adelina Valcanover

Marie-Claude Vaillant-Couturier nata Vogel (Parigi 19121996), giornalista e corrispondente dall’estero, durante la guerra entrò nella Resistenza. Nel 1943 fu deportata ad Auschwitz- Birkenau con altre 229 donne francesi; nel 1944 fu trasferita a Ravensbrück e infine a Mauthausen. Venne liberata dall’Armata rossa nel 1945. Testimoniò nel 1946 al processo di Norimberga e nel 1964 difese davanti all’Assemblea nazionale l’imprescrittibilità dei crimini contro l’umanità e nel 1968 lo fece anche all’Onu. Creò la “Fondazione per la memoria della deportazione”.

Bonjour madame Adelina. Je suis Marie Claude Vaillant. Fui una testimone al processo di Norimberga. Vorrei un’intervista. Diamoci pure del tu come tua abitudine. Cominciamo subito. Come fu che finisti in campo di concentramento? Dopo la laurea sono diventata giornalista e fotografa. Dato che conoscevo bene il tedesco, ho partecipato a un’inchiesta sull’ascesa al potere di Hitler, portando in Francia vari documenti. Comunista, ho partecipato alla fondazione nel 1936 dell’Unione delle giovani ragazze di Francia. L’anno dopo mi sono sposata con Paul Vaillant che avevo incontrato già nel ’32. Ma veniamo alla tua domanda. Sono entrata nella Resitenza nel 1941. Racconta come andò. Sono stata arrestata dalla polizia del governo collaborazionista di Pétain il 9 febbraio 1942. Interrogata volevano farmi firmare una dichiarazione che non corrispondeva a quanto avevo detto. Io rifiutai. Un ufficiale tedesco mi minacciò. Io risposi che non avevo paura di morire e lui, maligno disse: “Abbiamo mezzi a nostra disposizione che sono peggio della morte vera!”. Dopo alcuni mesi cominciò la deportazione. Eravamo 230 donne, comuniste,

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partigiane o mogli di partigiani, golliste. Fummo caricate su un treno con vagoni sigillati, dirette ad Auschwitz. Il viaggio deve essere stato tremendo. Oh sì, molto penoso. Praticamente senza mangiare e bere. Alle fermate chiedevamo ai soldati della Lorena arruolati nella Wermacht, che ci sorvegliavano, quanto mancasse ancora alla meta e loro ci rispondevano: “Se sapeste dove andate, non avreste tanta fretta d’arrivare”. Arrivammo ad Auschwitz il 24 gennaio del ’43. Ricordo che, tolti i piombi dai vagoni, ci hanno fatte scenMarie dere a bastonate per condurci al campo di Birkenau, una dependance che si trova in una immensa pianura. E lì che cosa vi hanno fatto? Con le altre mi hanno condotto a una grande baracca e alla disinfezione, rasata la testa e tatuato un numero sull’avambraccio sinistro, il mio era 3168511! Poi ci

hanno fatto un bagno di vapore e una doccia ghiacciata, e in presenza di uomini e donne delle SS, fatto indossare abiti sudici e stracciati, una sottana di cotone e una giacca dello stesso tipo. Rammento l’orchestrina che accompagnava i prigionieri e il blocco dove dormivamo stipati all’inverosimile. Come veniva fatto l’appello? Quello cominciava alle tre e mezza del mattino, eravamo messe in fila per cinque, poi dovevamo aspettare immobili fino le sette o le otto del mattino e se

Claude Vaillant, testimone al processo di Norimberga


Alcuni nazisti a Norimberga. In alto a sinistra: Goering c’era nebbia anche fino a mezzogiorno. Tutte dovevamo presentarci, anche le malate o le morenti, e le sorveglianti tedesche in uniforme venivano a contarci. Erano armate di manganelli con i quali ci picchiavano a caso. A una mia compagna, spaccarono la testa davanti ai miei occhi. Che tipo di lavoro dovevate svolgere? Per quello che mi riguarda, costruzione di strade e bonifiche di paludi. Quest’ultimo era il lavoro più duro perché si stava tutto il giorno con i piedi nell’acqua e c’era anche il pericolo delle sabbie mobili. Durante il lavoro ci bastonavano e ci aizzavano contro i cani. Ho visto una donna sbranata dal cane dell’SS Tauber che incitava contro di lei divertito dallo spettacolo. Quanta efferatezza. Che mi dici del blocco 25 di Auschwitz? Era semplicemente l’anticamera della camera a gas. Lo conosco perché all’epoca mi trovavo al 26 e le finestre davano sul cortile del 25, dove si vedevano i cadaveri ammonticchiati nello spiazzo e ogni tanto vedevi una mano o una testa muoversi là in mezzo cercando di liberarsi. In quel blocco davano da mangiare e bere quando capitava e potevano capitare giorni interi senza nemmeno un goccio d’acqua. Una volta Annette Epaux, una nostra compagna, sentendo grida disperate, portò da

conoscenza del tedesco che mi ha permesso di venire impiegata in una specie di laboratorio medico. Sai, ci sarebbero ancora tante cose da raccontarti, e t’invito, se sei interessata, a cercare i documenti della mia testimonianza. Vuoi aggiungere ancora qualcosa? Il processo di Norimberga era pieno di difetti, se mi passi il termine, ma ha aperto una possibilità. Quella di creare un precedente e di far pagare i crimini contro l’umanità. Mi sono battuta tanto perché non potessero cadere in prescrizione. È solo ricordando che si possono evitare il ripetersi di simili atrocità. Con questo mi congedo. Lottate sempre per la giustizia e la dignità umana.

bere, ma fu vista da una Kapò e quindi presa e gettata nel blocco 25. Poi cosa successe? Due giorni dopo, mentre saliva sul camion che la portava alla camera a gas e teneva stretta la vecchia signora Line Porcher, gridò: “Pensate a mio figlio se ritornerete in Francia!”. E poi con le altre ha intonato la Marsigliese! Ho assistito a cose Alcuni nazisti a Norimberga. spaventose. Ne ho dato testimonianza al processo di Norimberga. Sono cose note. Delle 230 che eravamo partite, siamo tornate in 43! Rimanesti sempre a Birkenau? No, fui trasferita prima a Ravensbrück poi a Mauthausen, dove nell’aprile del 1945 venni liberata dai russi. Credo di essermi salvata anche grazie alla perfetta

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La notte dei cristalli D

opo che nel marzo 1938 le truppe naziste occupano l’Austria, un referendum si pronuncia a stragrande maggiornanza a favore dell’annessione (Anschluss) accolta favorevolmente anche dall’episcopato austiaco e tedesco. Lo strapotere di Hitler è al suo punto massimo di auge; la sua tattica propagandistica mira soprattutto a una completa mobilitazione psicologica dell’opinione pubblica visto che lo stesso Hitler si rendeva conto che l’entusiasmo dei tedeschi, come scrive Joachim Fest nella sua biografia del dittatore, in quel momento «riposava, in misura cospicua, sul senso di sollievo per la guerra evitata di stretta misura», riferendosi all’esito della conferenza di Monaco del settembre 1938 fra Regno Unito, Fran-

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cia, Germania, e Italia nella quale prevalsero le rivendicazioni tedesche sulla porzione di territorio cecoslovacco abitato dai Sudeti. In Germania la popolarità di Hitler era cresciuta a vista d’occhio e vi era un generale entusiasmo che però andava, secondo il pensiero nazista, continuamente alimentato. Per questo l’assassinio del segretario di legazione, Ernst von Rath, presso l’ambasciata tedesca di Parigi, per mano di un profugo ebreo, per motivi che alcuni storici identificarono come “passionali” ipotizzando una relazione omosessuale tra i due, fu l’occasione per lanciare una vasta operazione propagandistica incentrata sulla favola di una di quelle «azioni proditorie del giudaismo internazionale». Ai primi di novembre si tennero, anche nelle scuole e nelle aziende, celebrazioni e commemorazioni, infarcite di discorsi demagogici e «per l’ultima volta – scrive Fest – alle SA spettò il compito, che un tempo era loro così famigliare ma cui da un pezzo avevano dovuto rinunciare, di interpreti della cieca collera popolare: la sera del 9 novembre, da un capo all’altro della Germania le sinagoghe andarono in fiamme, abitazioni di ebrei furono devastate, negozi saccheggiati, quasi cento tra uomini e donne, uccisi, e circa ventimila tratti in arresto; il giornale delle SS, Das Schwarze Korps, propose già allora uno sterminio “col ferro e il fuoco”, per “l’effettiva e de-

 di Franco Zadra finitiva liquidazione del giudaismo in Germania”». Per questo alcuni ricordano la “notte dei cristalli” come l’inizio delle persecuzioni, ma in realtà le leggi razziali sono del ‘35 e vi sono stati molti altri episodi che evidenziarono l’odio nazista per gli ebrei. Fu però la manifestazione pubblica che stabilizzò quel clima di insofferenza per la presenza ebraica, instillando anche nel popolino qualche stilla di quella «implacabile ossessione antigiudaica» di Hitler. Un clima che ritroviamo stabilizzato già nel 1940-42 secondo la testimonianza di un romanzo unico nel suo genere, di Hans Fallada, “Ognuno muore solo”, uscito nel 1947 e poi praticamente dimenticato dall’opinione pubblica europea, ma ravvivato recentemente da una trionfale scoperta e pubblicazione in America, che è la rielaborazione letteraria di una inchiesta della Gestapo che portò alla decapitazione due coniugi berlinesi di mezza età. Un ritratto raggelante della Germania sotto la doppia angoscia del nazismo e della guerra che ebbe comunque qualche significativo bagliore di resistenza al nazismo. Nella prefazione l’autore avverte: «Qualche lettore troverà forse che in questo libro si muore e si tormenta un po’ troppo… sono rammaricato di dover tracciare un quadro così fosco – scrive Fallada che terminò il suo romanzo in 24 giorni nel ‘46, poco prima di morire – ma una maggior luce sarebbe stata una menzogna».


Il viaggio della

memoria  di Chiara Paoli

Deina Trentino Alto Adige è un'associazione di promozione sociale nata nell’agosto del 2013 grazie all’incontro di alcuni ragazzi che operano tra Trento e Bolzano, in ambito di politiche giovanili e nel sociale per promuovere la cittadinanza attiva. Il nome Deina (dal greco deinós),indica la sorprendente capacità degli uomini di essere straordinari che si pregiano di grandi atti di generosità e coraggio, ma allo stesso tempo anche distruttori, capaci delle più spaventose atrocità.

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olti i progetti che Deina propone, prima fra tutti “Promemoria_Auschwitz.eu”, noto ai trentini come “Il viaggio della memoria”, progetto realizzato con il Patrocinio del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati ed in partenariato con Arci del Trentino, Arbeitsgemeinschaft der Jugenddienste e Arciragazzi BZ. “Un viaggio per non dimenticare” inizia prima in classe ed accompagna i ragazzi in visita ai luoghi della Shoah, ed in particolare nell’ex ghetto ebraico di Cracovia, al Museo “Fabbrica di Schindler” e nell’ex lager di Auschwitz e Birkenau, dove sono stati sterminati oltre un milione di individui. Il progetto va declinandosi in un laboratorio fotografico, per catturare attraverso immagini, quella commozione che a volte risulta difficile da esprimere a parole. Questi sono luoghi che gridano il silenzio, pagine di storia difficili da affrontare e che necessitano di una riflessione successiva. La rielaborazione narrativa, grafica o audiovisiva dei ricordi e del

vissuto viene abbozzata durante il viaggio e completata al rientro per ricostruire il vissuto. Il progetto prevede anche la visita a luoghi della memoria trentini, perché la storia ha dei risvolti amari anche ad un passo da casa nostra. “Nel cuore dell’Europa”, è un progetto che propone attraverso l’approfondimento della storia della Seconda Guerra Mondiale e della Deportazione, una riflessione attuale, per comprendere il ruolo dei giovani cittadini d’Europa. Il progetto, arricchito da laboratori, incontri formativi e partecipativi, prevede un viaggio-studio a Praga e a Theresienstadt, sede del ghetto modello nazista. Deina Trentino non è solo Olocausto, propone infatti anche percorsi legati alla Grande Guerra, che prendono il titolo “1914. Dal confine al fronte”, per approfondire un periodo storico di fondamentale importanza per il Trentino Alto Adige e non solo. Con il progetto Yanez, l’associazione propone inoltre viaggi studio, che siano allo stesso tempo appassionanti

e costruttivi. Gli operatori di Deina si pongono quali intermediari fra docenti e studenti, per esplorare diverse destinazioni europee come Berlino, Budapest, Cracovia, Monaco, Praga e Vienna. Questa realtà, si occupa inoltre della formazione degli insegnanti, trattando 5 diverse tematiche, come “Fare memoria oggi, a partire dall'immaginario comune” o “Quale storia: le vittime, i carnefici o gli spettatori?”, per citarne alcuni. L’obbiettivo di questi giovani è quello di costruire una cultura del ricordo, della condivisione delle esperienze e della riflessione, che possa essere un antidoto alle atrocità commesse nel passato. Perché tutto non si risolva nella celebrazione della Giornata della Memoria, ma divenga spunto per una riflessione ricorrente, che possa accompagnare le nuove generazioni verso una più grande umanità. Foto di Simone Cargnoni - Deina CONTATTI: Deina Trentino Alto Adige https://www.deina.it/deina-trentino-alto-adige +39 3245873813, Via Bepi Mor, 10, 38121- Trento

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 di Franco Zadra

La grande strage di

Marzabotto L

'esecutore si chiamava Walter Reder, un maggiore delle SS soprannominato “il monco” perché aveva lasciato l'avambraccio sinistro a Charkov, sul fronte orientale. Al comando del 16° Panzergrenadier “Reichsfuhrer”, il «monco» iniziò il 12 agosto una marcia che lo porterà dalla Versilia alla Lunigiana e al Bolognese lasciando dietro di sé una scia insanguinata di tremila corpi straziati: uomini, donne, vecchi, e bambini. In Lunigiana si erano uniti alle SS anche elementi delle Brigate nere di Carrara e, con l'aiuto dei collaborazionisti in camicia nera, Reder continuò a seminare morte. Gragnola, Monzone, Santa Lucia, Vinca: fu un susseguirsi di stragi immotivate. Nella zona non c'erano partigiani. A fine settembre il «monco» si spinse in Emilia ai piedi del monte Sole dove si trovava la brigata partigiana

“Stella Rossa”. Per tre giorni, a Marzabotto, Grizzana, e Vado di Monzuno, Reder compì la più tremenda delle sue rappresaglie. In località Caviglia i nazisti irruppero nella chiesa dove don Ubaldo Marchioni aveva radunato i fedeli per recitare il rosario. Furono tutti sterminati a colpi di mitraglia e bombe a mano. Nella frazione di Castellano fu uccisa una donna coi suoi sette figli, a Tagliadazza furono fucilati undici donne e otto bambini, a Caprara vennero rastrellati e uccisi 108 abitanti, compresa l'intera famiglia di Antonio Tonelli (15 componenti di cui 10 bambini). A Marzabotto furono anche distrutti 800 appartamenti, una cartiera, un risificio, quindici strade, sette ponti, cinque scuole, undici cimiteri, nove chiese, e cinque oratori. Infine, la morte nascosta: prima di andarsene Reder fece disseminare il territorio di mine

Il 29 settembre 1944 una strage insuperata per dimensioni e per ferocia, i cui unici sopravvissuti furono due bambini, Fernando Piretti, di otto anni, e Paolo Rossi di sei, e una donna, Antonietta Benni, maestra d'asilo, assunse simbolicamente il nome di Marzabotto anche se i paesi colpiti furono molti di più. che continuarono a uccidere, fino al 1966, altre 55 persone. Complessivamente, le vittime di Marzabotto, Grizzano, e Vado di Monzuno, furono 1.830. Fra i caduti, 95 avevano meno di sedici anni, 110 ne avevano meno di dieci, 22 meno di due anni, 8 di un anno, e 15 meno di un anno. Il più giovane si chiamava Walter Cardi: era nato da due settimane. Dopo la liberazione Reder – come scrive il Resto del Carlino, 12 aprile 2002 -, che era riuscito a raggiungere la Baviera, fu catturato dagli americani. Estradato in Italia fu processato dal Tribunale militare di Bologna nel 1951 e condannato all'ergastolo. Dopo molti anni trascorsi nel penitenziario di Gaeta fu graziato per intercessione del governo austriaco. Morì pochi anni dopo in Austria senza mai essere sfiorato dall'ombra del rimorso.

MARZABOTTO - da Il Quotidiano Italiano

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Il 19 gennaio scorso, nell'anno del 80° anniversario delle leggi razziali fasciste, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in base all'articolo 59 della Costituzione, ha nominato Liliana Segre senatrice a vita per altissimi meriti in ambito sociale. È la quarta donna, dopo Camilla Ravera, Rita Levi-Montalcini ed Elena Cattaneo, a ricoprire la carica. Il 29 novembre del 2004, su iniziativa dell'allora Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, fu nominata commendatore dell'Ordine al Merito della Repubblica italiana.

N

ata a Milano il 10 settembre 1930 in una famiglia ebraica, è una reduce dell'olocausto, sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti dove venne internata all'età di 13 anni. L’infanzia la trascorse insieme a suo padre, Alberto, e ai nonni paterni, Giuseppe Segre e Olga Loevvy. La madre, Lucia Foligno, morí quando Liliana non aveva ancora compiuto un anno. Di famiglia laica, prende consapevolezza di essere ebrea a causa della introduzione delle leggi razziali fasciste del 1938, in seguito alle quali viene espulsa dalla scuola. Dopo l'intensificazione della persecuzione degli ebrei italiani, suo padre la

Liliana Segre da Auschwitz al Senato italiano  di Armando Munaò

nascose presso amici, utilizzando documenti falsi. Il 10 dicembre 1943 cercò, assieme al padre e due cugini, di fuggire in Svizzera: i quattro furono però respinti dalle autorità del paese elvetico. Il giorno dopo, venne arrestata a Selvetta di Viggiù, in provincia di Varese, all'età di tredici anni. Dopo sei giorni in carcere a Varese, fu trasferita a Como e alla fine a Milano, dove fu detenuta per quaranta giorni. Il 30 gennaio 1944 venne deportata dal Binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, che raggiunse sette giorni dopo. Fu subito separata dal padre, che non rivide mai più e che sarebbe morto il successivo 27 aprile. Il 18 maggio 1944 anche i Bambini nel campo di Auschwitz suoi nonni paterni, arrestati a Inverigo, in provincia di Como, e deportati dopo qualche settimana ad Auschwitz, furono uccisi al loro arrivo, il 30 giugno. Alla selezione, ricevette il numero di matricola 75190, che le venne tatuato sull'avambraccio. Fu impiegata nel lavoro forzato nella fabbrica di munizioni Union, che apparteneva alla Siemens, lavoro

che svolse per circa un anno. Durante la sua prigionia subì altre tre selezioni. Alla fine di gennaio del 1945, dopo l'evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania. Venne liberata dall'Armata Rossa il primo maggio 1945 dal campo di Malchow, un sottocampo del campo di concentramento di Ravensbrück. Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati al Campo di concentramento di Auschwitz, Liliana fu tra i venticinque sopravvissuti. Dopo lo sterminio nazista, visse con i nonni materni, di origini marchigiane, unici superstiti della sua famiglia. Nel 1948 conobbe Alfredo Belli Paci, cattolico, anch'egli reduce dai campi di concentramento nazisti per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica Sociale. I due si sposarono nel 1951 ed ebbero tre figli. Per molto tempo, non ha mai voluto parlare pubblicamente della sua esperienza nei campi di concentramento. Solo nei primi anni novanta ha deciso di interrompere questo silenzio; da allora si è resa disponibile a partecipare ad assemblee scolastiche e convegni di ogni tipo per raccontare ai giovani la propria storia, anche a nome dei milioni di altri che l'hanno con lei condivisa e che non sono mai stati in grado di comunicarla.

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ANNE FRANK P

ensando ad Anne Frank, nella mente si affaccia l’immagine di una foto in bianco e nero. Ritrae una ragazzina con occhi e capelli scuri, il volto sorridente e l’espressione curiosa e felice. Nata nel giugno del 1929 a Francoforte, è secondogenita di Otto ed Edith che vivono in un quartiere di fede mista tra cattolici, protestanti ed ebrei. Molto più vivace, impulsiva e allegra della sorella maggiore Margot, ama leggere e scrivere. Con l’ascesa di Hitler al potere nel 1933 e le prime dimostrazioni antisemite, la famiglia Frank accetta di buon grado il trasferimento ad Amsterdam per il lavoro del padre. Là ricominciano una nuova vita, sogno che si infrange con lo scoppio della Seconda guerra mondiale e l’occupazione tedesca dell’Olanda nel maggio del 1940. Gli ebrei vengono progressivamente esclusi dalla vita sociale e pubblica in un crescendo di umiliazioni, ma molti olandesi, a differenza di altri popoli, sostengono e cercano di aiutare la popolazione ebraica, anche rischiando la propria vita. Ecco il clima in cui cresce Anne fino al suo tredicesimo compleanno quando, nel 1942, le viene regalato un quadernetto bianco e rosso a quadretti che diverrà famoso in tutto il mondo. È un diario, dove Anne inizia ad annotare, in olandese, le sue impressioni. Suo padre Otto, sotto la pressione del pericolo nazista, crea con alcuni collaboratori un nascondiglio nella casa retrostante la sua ditta, al quale si accede attraverso una libreria girevole. In quella casa di circa 50 mq disposti su 3 piani, per poco più di due anni, si nascondono 8 persone: i Frank, i van Pels, e il dentista Fritz Pferrer. I collaboratori supportano i clandestini e costituiranno per loro l’unico contatto con l’esterno, a parte le notizie della radio. Anne trova sfogo nel Diario,

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 di Sabrina Mottes

UNA RAGAZZA, UN SIMBOLO.

che considera come un’amica e al quale confida i passi verso l’età adulta, il rapporto con la famiglia, l’infatuazione per Peter van Pels, le tensioni tra i clandestini, la condiIl Borgomastro Samkalden e Otto_Frank davanti alla statua di Anne Frank zione dì costante pericolo, la consapevolezza, il coraggio settembre 1944 i clandestini del nadi sperare, nonostante tutto. Ne esce il scondiglio partono per Auschwitz e là, quadro di una giovane donna che, at- o in altri campi, troveranno la morte. traverso riflessioni a volte infantili a volte Anne, nel febbraio 1945 a Bergenincredibilmente profonde, trasmette a Belsen, viene stroncata da tifo esantechi legge la misura della situazione in matico come sua sorella, solo tre setticui i clandestini si trovano. Proprio alla mane prima della liberazione del campo. radio, la ragazza apprende che il governo La madre muore di inedia ad Auschwitz olandese vuole raccogliere a fine guerra dopo la separazione dalle figlie. Unico le testimonianze sul conflitto. Anne, che sopravvissuto è Otto che al ritorno riceve desidera diventare scrittrice, inizia a rie- da Miep Gies il Diario di Anne e decide laborare il Diario con l’intenzione di di farne un libro, come avrebbe voluto farne un libro. Ma il 4 agosto 1944 il sua figlia. Il diario viene pubblicato nel nascondiglio viene scoperto in seguito 1947 e a oggi ha venduto quasi 30 mialla segnalazione di un delatore mai lioni di copie. La casa dove Anne e la identificato, e tutti vengono arrestati. sua famiglia si nascosero è diventata un Alcuni aiutanti vengono catturati, ma museo, testimonianza della necessità di una di loro, Miep Gies, fugge e salva non dimenticare, di non chiudere gli gran parte dei fogli del Diario di Anne occhi come tanti fecero, occupati da per custodirli fino al suo ritorno. Il 3 altro o dalle loro paure.

Il diario di Anne Frank - settembre 1942


 di Franco Zadra

La felicità di Anne Frank A

nne Frank, nella primavera del 1944 ascoltò alla radio il discorso del ministro dell’Educazione olandese in esilio, Gerrit Bolkestein, il quale esortava la popolazione a non disperdere le testimonianze e i documenti della sofferenza subita durante l’occupazione nazista, perché solo in questo modo la verità dei fatti sarebbe potuta emergere, vincendo l’oblio che come una polvere grigia ricopre fatalmente tutto ciò che è vissuto. Il diario di Anne Frank è un’opera per tutti i tempi, che ha permesso di dare un nome rinomato alle vittime, rendendolo più memorabile del nome dei carnefici. Quando il sottoufficiale delle SS Karl Josef Silberbauer scoprì, il 4 agosto 1944, il nascondiglio di Anne, in Prinsengracht 263 ad Amsterdam, non si accorse di quei diari che poi suo padre, il signor Otto Frank, scampato al lager, pubblicò quasi inte-

gralmente, omettendone solo qualche pagina più strettamente privata, in difesa di quel minimo di intimità di una famiglia ormai dissolta dalla Shoah. Una memoria militante, quella di Anne, che scaturisce da una gioia di fondo recuperata in modo semplice e straordinario, guardando il cielo limpido, ogni qual volta lo era, tolto l’oscuramento e iniziata una nuova giornata, dalle finestre dell’alloggio segreto. Una lotta contro l’oblio risultata vincente sopra i suoi carnefici di settant’anni fa, ma anche su i ricorrenti e miserabili tentativi negazionisti, alleati di quell’oblio che mescola e confonde, appiattendoli in un indistinto senza valore, e senza effetti sul quotidiano, vittime e carnefici. Leggere quelle pagine è sedersi in compagnia di una figlia, o una sorella che ci contagia con la sua voglia di vivere, abilitandoci a cogliere il meraviglioso anche nel particolare più insignificante, nel fatterello più ordinario di un quotidiano vissuto e rivissuto, pensato e ripensato, cresciuto e forte monito di una «fanciulla d’Olanda – come la ricordava Primo Levi in una poesia a lei dedicata – murata fra quattro mura, che pure scrisse la giovinezza senza domani». Oggi, credo, non possiamo neppure guardare il Grande Fra-

tello e capirci qualcosa, senza aver letto prima il Diario di Anne Frank, anche se la prospettiva del Diario è un’altra. Riguarda certamente la vita degli otto nell’alloggio, ma è sostanzialmente orientata al di fuori le finestre di quello, alla vita del quartiere e ai fatti internazionali appresi dalla radio. È una memoria, quella di Anne, che ci sovrasta e osserva anche noi, oggi, qui, forse non così preparati come lei a cogliere quel destino da perseguire necessariamente, gettare uno sguardo nella storia del mondo, condividendolo con un amico perché è la strada per la felicità. Un Diario, dunque, che è un grande tesoro per chi avrà l’accortezza di accoglierlo e magari ritrovare in se le parole del giovane Jacques allo scoccare dell’amicizia con Anne: «Io non ho ancora trovato la Felicità, ma ho trovato un’altra cosa, vale a dire qualcuno che mi comprenderà!». “Compresi quel che voleva dire – annota Anne nel suo Diario – e da allora non sono mai più stata sola”.

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LA SHOAH IN ITALIA

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’ebraismo è la religione più antica praticata in Italia. Antecedente il cristianesimo, risale al II secolo a.C.. Come nel resto d’Europa, fino agli inizi degli anni ’30 del Novecento, gli ebrei italiani furono considerati cittadini come gli altri e una parte di essi sostenne inizialmente il fascismo e Mussolini. Anche quest’ultimo, nel primo periodo della sua ascesa politica, non si dimostrò apertamente ostile nei loro confronti, affermando che il concetto di razza non apparteneva al popolo italiano e che, anzi, il popolo ebraico era ben inserito in Italia. E infatti, durante i primi anni del terzo Reich di Hitler, molti ebrei tedeschi passarono attraverso l’Italia verso la Palestina e alcuni di essi decisero anche di fermarsi nel nostro paese. Ma Mussolini spesso utilizzò tattiche ambigue per raggiungere i suoi scopi. Qualche anno più tardi, infatti, quando la politica fascista italiana si avvicinò a quella nazista, iniziò una campagna denigratoria nei confronti degli ebrei, tesa a farli disprezzare. In quegli anni, il termine “ebreo” fu sostituito dai fascisti con il dispregiativo di “giudeo”, con chiaro riferimento a Giuda, traditore di Cristo. Il 5 settembre 1938 venne approvata la

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prima legge razziale, alla quale seguirono una serie di misure restrittive nei confronti degli ebrei: i bambini non potevano frequentare la scuola pubblica, gli adulti lavorare nella pubblica amministrazione e nell’esercito né svolgere attività imprenditoriali, i matrimoni misti vennero proibiti e si arrivò persino a impedire loro di pubblicare annunci funebri. Molti ebrei, tra cui alcuni personaggi noti come Enrico Fermi, la cui moglie aveva origini ebraiche, lasciarono l’Italia in un crescendo di umiliazioni che culminò con una legge del 1940 che prevedeva l’espulsione di tutti gli ebrei entro i successivi 10 anni. Nel giugno del ‘40 venne aperto il campo di Ferramonti di Tarsia,

 di Sabrina Mottes

senza però la volontà di sterminare gli ebrei ma al solo scopo di rinchiuderli, insieme agli italiani contrari al regime e altre categorie considerate scomode. Tutto parve terminare con la caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943 e con l’arrivo degli alleati. Gli ebrei del Sud Italia beneficiarono dell’abolizione delle leggi razziali. Ma dall’8 settembre dello stesso anno, al Centro e Nord Italia, con l’occupazione tedesca e la Repubblica Sociale Italiana (Rsi), i nazisti trasferirono anche in Italia la loro strategia di guerra e di sterminio. Già nei primi giorni di settembre vennero deportati alcuni ebrei da Merano, poi dal Cuneese e dal Lago


Himmler ispeziona un campo di concentramento Maggiore. Molti cercarono di fuggire o cambiare identità. A Roma, il maggiore delle SS Herbert Kappler, ingannò gli ebrei evidenziando così uno dei motivi dello sterminio. Promise loro la salvezza se avessero consegnato 50 Kg di oro. L’oro venne consegnato, ma il 16 ottobre 1943 le SS diedero comunque il via alla razzia del ghetto, deportando circa 1200 ebrei, tra i quali 600 donne e 288 bambini. Solo 17 fecero ritorno. Venne approvata dalla Rsi la Carta di Verona nella quale si evidenziava che gli ebrei erano considerati stranieri e dunque nemici. Questo da un lato legittimava la persecuzione tedesca e dall’altro coinvolgeva la polizia italiana nel fornire mezzi e sostegno alla prigionia e alla deportazione.

Vennero così istituiti campi finalizzati all’Olocausto. A Trieste-Risiera di San Sabba prestarono servizio tra le SS più violente. Nel febbraio ‘44 il campo di Fossoli, vicino a Carpi, creato da Mussolini per ospitare i prigionieri alleati, venne ceduto ai nazisti e là si concentrarono tanti ebrei in attesa di deportazione. Tra questi Primo Levi, arrestato nel dicembre ’43. Da Fossoli partirono 6 convogli per i principali lager di sterminio, per un totale di circa 2500 persone. Con l’avvicinarsi degli alleati alla zona di Modena, nel luglio 1944, la Gestapo decise di evacuare Fossoli e creò il campo di Bolzano-Gries. Proprio da qui partì l’ultimo convoglio italiano verso Auschwitz, il 24 ottobre 1944. Il bilancio totale degli ebrei arrestati e deportati in Centro e Nord Italia è di circa 6700, dei quali sono sopravvissuti poco più

Come Eravamo

di 600. A questi vanno aggiunti quelli fucilati in Italia. L’episodio più eclatante è quello delle Fosse Ardeatine a Roma (23 marzo 1944) dove, dopo un attentato partigiano costato la vita a 33 tedeschi, vennero uccise 335 persone tra cui circa 70 ebrei. Gli italiani non rimasero indifferenti alla Shoah. In molti aiutarono e nascosero ebrei durante la repubblica di Salò, a rischio della propria vita. Tanti furono anche gli ebrei che scelsero di unirsi alla Resistenza, anziché cercare di fuggire. Essi contribuirono, accolti e supportati dai partigiani, a liberare l’Italia dal nemico.

Mausoleo delle Fosse Ardeatine


L’arte depredata

Soldati tedeschi con un'opera rubata

 di Chiara Paoli

È

il 14 giugno del 1940 quando Parigi viene occupata dalle truppe tedesche, 8 giorni dopo veniva firmato l’armistizio nello stesso vagone ferroviario utilizzato nel 1918, in occasione della resa tedesca, per vendicare l’umiliazione subita nel precedente conflitto mondiale. Il 30 giugno seguente il comandante Wilhelm Keitel indirizza al generale von Bockelberg, comandante di Parigi, questo messaggio: “Il Führer, a seguito del rapporto del ministro degli esteri, ha ordinato di mettere al sicuro, oltre agli oggetti d’arte appartenenti allo Stato Francese, le opere d’arte e i documenti storici appartenenti a privati, e precisamente agli ebrei. Questo non deve costituire una espropriazione, ma un trasferimento sotto la nostra tutela da usarsi, come pegno, in vista delle negoziazioni di pace. L’ambasciatore Abetz

Hermann Goering

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ne è stato egualmente informato”. (da Rose Valland “Le front de l’art. Defense de Collections Françaises” R.M.N. 2016). Comincia così il più grande furto di opere d’arte della storia, anche se in parte si tratta della razzia di opere rubate a sua volta durante le spoliazioni napoleoniche. Il 17 luglio Alfred Rosenberg, ideologo del partito nazista, aveva creato l’Err, una squadra speciale il cui compito, consisteva nel requisire all’interno dei paesi occupati dalle truppe tedesche, tutti i beni di rilevanza culturale. Adolf Hitler già nel 1939 aveva concepito il Führermuseum con sede a Linz, come il più imponente e straordinario museo a livello mondiale, dove avrebbe radunato tutte le opere d’arte e le antichità defraudate. Nell’ottobre dello stesso anno, su indicazione del feldmaresciallo Göring, l’Err estende il trafugamento anche a mobili d’epoca, tappezzerie, tappeti, oggetti d’arte e antichità. Hermann Göring, braccio destro di Hitler, con una grande passione per l’arte, operava nell’intento di ampliare la sua personale collezione d’arte e fece tutto ciò che era in suo potere per agevolare le operazioni dell’Err. 1376 sono i capolavori depredati e finiti a Carinhall, nella residenza di Hermann Goering, come desunto dal catalogo ritrovato a Parigi. Le catalogue Goering, è la pubblicazione di Jean-Marc Dreyfus e di Les

Archives Diplomatiques, pubblicata nel 2015 da Flammarion, che ci permette di conoscere nel dettaglio le requisizioni effettuate dal gerarca in Europa. Il testo, a lungo dimenticato, è stato ritrovato negli archivi diplomatici del mi-

Cecil Howard, Jacques Jaujard, direttore generale di Arti e lettere e David Bruce, ambasciatore americano di Parigi.

nistero degli Esteri francese, e il primo ministro Laurent Fabius ha voluto che il testo fosse pubblicato e ne ha curato la prefazione. La stessa famiglia di Fabius si costituiva di mercanti d’arte di origine ebrea che hanno subito a loro volta l’oppressione e la spoliazione nazista. A fine ottobre l’Err inizia a radunare tutte le opere confiscate presso la Gal-


leria Nazionale del Jeu de Paume, come in una sorta di deposito o “campo di concentramento” dove le opere venivano catalogate per poi essere spedite in Germania. Qui entra in gioco Rose Valland, storica e spia per amore dell’arte che dal 1932 svolgeva mansioni di assistente volontaria all’interno del museo alle Tuileries, è lo stesso direttore dei Musei Nazionali, Jacques Jaujard, che chiede a Rose di rimanere a lavorare all’interno della galleria per spiare i tedeschi. Dietro l’apparente prosecuzione delle sue mansioni impiegatizie, Rose si occupa di nascosto della redazione di uno scrupoloso inventario di tutto ciò che viene rubato, grazie anche alla sua conoscenza della lingua tedesca, mai rivelata al nemico. Grazie al suo operato, nel dopoguerra ben 4500 opere d’arte riescono a far ritorno in Francia. La Francia si era in realtà organizzata in maniera preventiva per salvaguardare

le opere d’arte in caso di guerra, e il ministro dell’Educazione Nazionale e delle Belle arti aveva affidato l’incarico del salvataggio dei tesori a Jacques Jaujard che si era occupato del salvataggio dei capolavori dei musei iberici nell’occorrere della guerra civile spagnola. Il 27 settembre del 1938 ha inizio il piano di occultamento delle opere che vengono inviate al castello di Chambord

Rose Valland nel museo di opere recuperate e in altri castelli a Nord della Loira, Rose Valland prende parte alle operazioni di salvataggio, e nella sua opera già citata scrive, “il santuario dell’arte, il Louvre, era diventato in pochi giorni uno sterminato cantiere di imballaggio”. Spionaggio e polizia segreta tedesca lavorano attraverso una grande rete di informatori e grazie a collaborazionisti riescono a trovare i nascondigli dove le opere sono state trasferite. L’8 febbraio 1941 il primo convoglio parte alla volta della Germania: le casse destinate a Hitler sono marcate con H e numerate da 1 a 19, tra loro dipinti di Frans Hals, due ritratti di Goya, e “L’astronomo” di Jean Vermeer; quelle per Göring con G e contrassegnate con i numeri da 1 a 23. Presso le Gallerie Jeu de Paume si accumulavano numerosi quadri moderni, ritenuti dal Führer “arte degenerata” e perciò collocate in disparte, in una sala poco accessibile. Verso la fine del 1942 Göring, a dispetto delle indicazioni di Hitler, si era impadronito di numerose opere impressioniste tra cui 10 Renoir, 10 Degas, 2 Monet, 3 Sisley, 4 Cézanne, e 5 Van Gogh, per citarne solo i massimi esponenti. Il 23 luglio 1943, la terrazza delle Tuileries sarà teatro del rogo che distrusse tra le 500 e 600 opere, ritenute “arte degenerata”, in questa occasione Rose sarà la sola impotente e disperata spettatrice. Sono circa 29 i treni, per un totale di

centinaia di vagoni, che durante l’occupazione si dirigono in Germania con all’interno migliaia di casse ripiene di beni culturali, cui si aggiungono oltre 427 tonnellate di materiali trasportati via nave. Nel 1945, mentre i russi avanzano, Hermann Goering, in un disperato tentativo di portare via tutto il possibile, caricò opere d’arte, tappezzerie e mobilio su 8 treni diretti a Sud, facendo saltare in aria la magione. Il convoglio viene assaltato dagli stessi tedeschi che depredano numerosi pezzi, mentre una parte rimane vittima delle bombe degli Alleati, e di molte opere si è così persa ogni traccia.

La Statua di Rose Valland

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Un volume sui caduti e i dispersi di Caldonazzo e Calceranica

 di Elisa Corni

Ricordare Un dovere di giusta memoria M

emoria, ricordo: due parole che con le celebrazioni per il Centenario della Grande Guerra non possono mancare all’appello. In questa direzione va la pubblicazione di un ricco volume, “Soldati di Caldonazzo e Calceranica al Lago - I caduti, i dispersi”, a opera di Nirvana Martinelli ed edito nella collana “I Quaderni del Forte” a cura delle associazioni culturali Forte delle Benne e Chiarentana. In quasi 200 pagine l’autrice, di formazione scientifica ma da anni impegnata in ricerche d’archivio sulle vicende dei paesi che sorgono attorno al Lago di Caldonazzo, raccoglie l’elenco più completo fino a ora pubblicato di tutti i caduti e i dispersi del primo conflitto mondiale, originari dei due centri lacustri. Il suo è stato un lavoro certosino, svolto tra gli archivi comunali e parrocchiali, ma anche presso l’Archivio Diocesano di Trento, ove sono raccolti e digitalizzati i registri parrocchiali.

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Gli archivi, pubblici e privati, grandi e piccoli, sono fondamentali per raccogliere e conservare la memoria delle comunità, e grande attenzione dovrebbe essere loro rivolta dagli amministratori pubblici. Così, con impegno e dedizione, Nirvana ha ricostruito le vicende dei caduti, scovando nuovi nominativi e sciogliendo i dubbi collegati ad alcuni casi di omonimia. La lista dei caduti, infatti, si è arricchita di una quindicina di nuovi nomi. L’elenco, cui si trova davanti il lettore, non è però una semplice carrellata di nomi con luoghi e date di morte. L’autrice è riuscita ad accompagnare il singolo soldato con una descrizione, a volte breve o più articolata, della sua vita da civile, delle sue esperienze militari, e dove possibile, delle cause del decesso. Stupirà, nello scorrere il bel volume ricco di fotografie e materiali inediti, vedere che alcune date di morte sono successive a quel fatidico 4 no-

vembre 1918. Molti infatti sono deceduti negli anni immediatamente successivi per le conseguenze dirette e indirette della difficile vita al fronte o in prigionia. E così i morti di spagnola o per “strapazzi” e traumi subiti durante la guerra sono vicini a chi è effettivamente perito sul campo di battaglia. Non solo di proiettili si moriva: le conseguenze della guerra furono devastanti e durarono anni. Di alcuni soldati non si conosce purtroppo molto. Spulciando gli archivi e i documenti, Nirvana si è imbattuta in numerosi casi in cui le famiglie, anni dopo la fine del conflitto, hanno richiesto l’ufficializzazione della morte. Non ricevevano notizie dei loro cari da mesi o addirittura anni e, a oggi, di molti di loro non si conosce il luogo di sepoltura. Ma non solo dai dati raccolti negli archivi proviene il ricco corpus di informazioni contenute nel volume, presen-

Fotografia che ritrae un gruppo di soldati in partenza dalla stazione di Calceranica, Collezione R. Pasqualini


tato a Caldonazzo lo scorso 28 novembre di fronte a una ricca platea di interessati. Sì, perché l’autrice ha potuto visionare e pubblicare materiali, come fotografie, lettere, diari, taccuini, e storie personali inedite di alcune famiglie caldonazzesi. Storie intrise d’affetti e di dolore, di piccoli vissuti quotidiani, di tenerezze e condivisioni. È questo l’esempio della vicenda familiare di Gioacchino Pasqualini, giovane soldato austro-ungarico caduto sul Fronte Orientale. Per oltre un secolo la famiglia ha custodito il carteggio occorso tra Gioacchino e la famiglia, sparsa in tutto il territorio asburgico. Lui si trovava per l’appunto sul fronte orientale, mentre la madre e i fratelli erano profughi in Moravia; il padre, invece, sui monti Carpazi. A Maria Giovanna Gremes va la riconoscenza di tutti per aver messo a disposizione questi preziosi ricordi familiari. La vicenda di Gioacchino non è però l’unica a trovare ampio spazio nel volume. Rosa Maria Campregher ha fatto avere all’autrice le memorie da soldato

di leva del nonno Francesco Tecilla, poi morto in Galizia, nei pressi dell’importante piazzaforte austriaca di Przemysl. Il ricordo del nonno è ancora vivo nelle poesie di Rosa e del fratello Giuseppe. Le lettere e le cartoline che scambiò con la moglie Rosina sono indelebile memoria dell’asprezza del conflitto, ma anche dell’amore che teneva uniti i soldati e le loro famiglie. Il volume contiene infine le riproduzioni delle pagine di un taccuino tenuto da Eugenio Tais, soldato trentino fatto prigioniero nel gennaio del 1915 e messo a disposizione dai nipoti Graziella e Flavio Conci. Parole asciutte, frasi brevi che possono solo lontanamente farci capire la durezza della vita da prigioniero di

guerra, scambiato e venduto come un oggetto dai proprietari terrieri russi. Eugenio fu uno dei fortunati a tornare a casa, ma molti altri non lo furono; il volume di Nirvana Martinelli si propone come tassello per costruire la loro giusta memoria.

Marina Poian, «la memoria è fallace, ma necessaria per combattere l’indifferenza!» La “Giornata della memoria” è stata a Levico Terme, non solo celebrata ma, grazie all’iniziativa della Biblioteca comunale con una serie di appuntamenti sul tema, quasi rivissuta, arrivando a toccare le corde emozionali più intime di un grande pubblico. Nell’ultimo appuntamento tenutosi in sala consigliare, la dottoressa Marina Poian, storica e dirigente scolastica dell’Istituto tecnico economico Tambosi di Trento, ha offerto ai suoi concittadini levicens i una serata di “Testimonianze sulla Shoah” dal titolo “Possa il tuo ricordo essere amore”, dove in particolare nella proiezione di un filmato, fornito direttamente dalla Scuola Internazionale di Studi sulla Shoah dello Yad Vashem e il Centro Multimediale dell'Università Ebraica di Gerusalemme, pervenuto tramite la sorella di Marina, Giulia Poian, impegn ata nel progetto internazionale “Testimoni ed Educazione”, Ovadia Baruch racconta in prima persona durante un viaggio in treno da Salonicco ai luoghi di detenzione, in ebraico con i sottotitoli in italiano, come nel marzo del 1943, a vent'ann i, venne deportato con la sua famiglia dalla Grecia ad Auschwitz-Birkenau; l’incontro con Aliza Tzarfati, una giovane donna ebrea della sua città natale della quale si innamora, nonostante le condizioni disumane in cui si trovavano; la sua lotta per sopravvivere, unico superstite della sua grande famiglia, fino alla liberazione dal campo di concentrament o di Mauthausen, nel maggio del 1945; il miracoloso ritrovarsi con Aliza dopo la Shoah; la costruzione della loro casa insieme in Israele; e la «vittoria sui nazisti» con la nascita dei suoi due figli e dei numerosi nipoti. Marina Poian ha fatto precedere la proiezione del film con un excursus storico dei fatti che gradualmente, ma immediatamente dopo l’ascesa al potere di Hitler, hanno prodotto l’Olocausto. «Il cammino dell'umanità – ha ricordato Poian riportando un recente discorso del presidente Mattarella - è purtroppo costellato da stragi, uccisioni, genocidi. Tutte le vittime dell'odio sono uguali e meritano uguale rispetto. Ma la Shoah per la sua micidiale combinazione di delirio razzista, volontà di sterminio, pianifica zione burocratica, ed efficienza criminale, resta unica nella storia d'Europa». (F.Z.)

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IL FUORI PISTA

IN TUTTA SICUREZZA

Il Gruppo Paterno, proprietario degli impianti, risponde ai bisogni degli appassionati offrendo proposte e numerosi servizi per un settore decisamente in crescita.

Con le Funivie Lagorai in Brocon

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ciare è bello! Più ci si va e più ci si andrebbe, ma cresce la voglia di fare altro, di coniugare lo sci con un andare in montagna per scoprirla sotto diversi aspetti, quelli che solo l’alpinismo può far scoprire. Per questo lo sci d’alpinismo diventa sempre più appetibile, ed è ormai un forte richiamo turistico per gli amanti degli sport invernali. “Da quest’anno le Funivie Lagorai del Gruppo Paterno, ci dichiara Eliana Carlin responsabile marketing, si sono mobilitate per venire incontro alle crescenti richieste dei molti appassionati che arrivano al passo non solo d’estate, ma anche d’inverno. E lo hanno fatto investendo prima e potenziando dopo questo grande universo sportivo, offrendo proposte decisamente appetibili. Non solo, ma le Funivie Lagorai, con le varie offerte del Brocon, si confermano come punto di riferimento sia per gli amanti dello sci e sia per le famiglie che trovano il luogo ideale per trascorrere veri momenti di quotidianità all’insegna del divertimento e del relax”. E’ stato realizzato un tracciato, dedicato allo sci alpinismo, che partendo dallo chalet Heidi e affiancando la pista Piloni, permette di arrivare fino alla vetta del monte Agaro. I servizi offerti sono puntuali e diversificati, con la possibilità di

noleggiare le attrezzature a prezzi molto convenienti ed effettuare uscite sul territorio organizzate dalle guide alpine.La pista Monterosso non è stata battuta ed è, così com’è allo stato naturale, un bocconcino prelibato per i praticanti della nuova attività sportiva nota come Freeride, che possono provare l’ebbrezza del fuori pista in tutta sicurezza e con il supporto, anche qui, di corsi abilitanti ad affrontare quel tipo di “terreno”. “La più importante novità offerta nel pacchetto messo a disposizione da Funivie Lagorai, sottolinea ancora Carlin, è il Safety Camp, per imparare a muoversi in montagna in piena sicurezza utilizzando Arva, sonde, e pale. Basta prenotare l’accesso e il materiale necessario allo 0461/1866050 o tramite la mail info@skilagorai.it.” Safety Camp ha già ospitato esercitazioni dei volontari del Soccorso Alpino del Tesino. Sono in programma, a breve, dei corsi di sopravvivenza dove si imparerà anche a costruirsi degli igloo per ripararsi dal freddo.

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I peli cutanei sono antiestetici, e sbarazzarsene definitivamente non sempre è facile. Oggi, è finalmente possibile farlo, grazie alla epilazione laser, una delle tecniche più efficaci e indolore per eliminare definitivamente i peli superflui.

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no dei problemi che non di rado coinvolgono e interessano le donne, è la presenza sul loro corpo della fastidiosissima peluria. Piccola o grande che sia, crea quegli inestetismi che non sono graditi. Oggi l’estetica, per eliminare parzialmente o totalmente la presenza dei peli cutanei fa riferimento a due specifiche pratiche: la depilazione e l’epilazione. La prima consiste nella rimozione parziale del pelo mediante l’utilizzo di rasoi di ogni genere e tipo, di creme depilatorie o altre soluzioni atte a rimuovere solo la parte visibile del pelo stesso. Purtroppo questa particolare metodologia è modesta e poco funzionale perché, non solo dopo qualche giorno i peli crescendo creano quell’antipatico effetto al tatto, pungente, ma possono addirittura peggiorare il problema dei peli aumentandone la crescita. La seconda, l’epilazione, è un procedimento che prevede la rimozione dell’intero pelo. Negli anni scorsi, come tecniche di epilazione, venivano utilizzati strumenti come ceretta, pinzetta o epilatori elettrici, ma i risultati ottenuti non sempre erano ottimali perché i tempi di ricrescita dipendevano dall’area che si trattava, da pochi giorni

fino a qualche settimana. Vi è però un altro aspetto relativo all’epilazione permanente che si identifica con l’utilizzo della luce pulsata e con il laser, entrambe atte a risolvere i problemi relativi all’epilazione permanente. E riferendoci all’uso del laser è necessario evidenziare che questo è un trattamento progressivamente definitivo che si svolge in varie sedute in base alla quantità di peli da eliminare e che permette la rimozione “sicura” dei peli superflui su viso e corpo. Non è affatto doloroso e già dalla prima seduta si notano enormi passi in avanti. Lo scopo finale è quello di provocare, seduta dopo seduta, un progressivo assottigliamento e diradamento del pelo, rallentandone fortemente la ricrescita e rendendola non visibile a occhio nudo. L'epilazione laser può essere eseguita nei saloni estetici certificati o negli studi medici e in base alla zona da trattare, sono necessarie diverse sedute, pianificate con cadenza mensile o bimestrale. Via via che si eseguono i trattamenti, infatti, i peli ricrescono meno velocemente (da 4 settimane all'inizio, a diversi mesi in seguito) e sempre più sottili. L'autorità statunitense FDA e i maggiori esperti del settore definiscono l'epi-

lazione laser come un metodo “progressivamente definitivo”. Riferendoci ai centri estetici presenti nella nostra zona crediamo sia doveroso citare l’Estetica Beauty Line, uno degli istituti che da anni è vero e concreto punto di riferimento nell’epilazione laser. Da anni la titolare, Nadia Lira e il suo staff, dimostrano un perfetta competenza e professionalità in questo grande universo. Sono le numerosissime testimonianze delle “sue” clienti che supportano le nostre affermazioni.

Nadia Lira

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Nei secoli fedeli È

questo il motto che unisce e accomuna tutti coloro i quali hanno indossato e indossano, con vero orgoglio, la divisa dei carabinieri. Una istituzione voluta da Vittorio Emanuele I di Savoia che il 13 luglio 1814 emanò la legge reale con la quale fu istituì il Corpo dei Carabinieri Reali, unità militare con compiti di polizia. Da allora tanta acqua è passata sotto i tradizionali ponti, ma la presenza della “ Benemerita” e dei suoi uomini non è mai mancata perchè è sempre stata presente nella vita degli italiani. Fino al 2000 l'Arma dei carabinieri è stata parte integrante dell'Esercito Italiano, ma poi con la legge delega del 31 marzi 2000 i carabinieri vennero elevati al rango di forza armata e forza militare di polizia con compiti specifici. In questo nostro scrivere, però non vogliamo parlare dell'Arma dei Carabinieri, ma dei Carabinieri in congedo, a questa grande fratellanza legata da saldi vincoli di stima, rispetto, ma soprattutto di amicizia. La prima Associazione nazionale carabinieri (ANC) fu costituita a Milano nel 1886 quale Associazione di mutuo soccorso tra carabinieri in congedo e con le linee guida della solidarietà, assistenza morale e operativa, servizi di vigilanza, ricreativa e di aiuto alla comunità. Negli ultimi anni, infatti, molte sezioni hanno costituito nuclei di volontariato che operano nell'ambito della protezione civile. Negli anni successivi altre associazioni furono istituite fino a coprire quasi tutto

territorio nazionale. Nel 1918 tutte le associazioni locali si unificarono in una sola a livello nazionale e nel 1925 si tenne a Il nucleo Roma il primo convegno della Federazione nazionale del Carabiniere Reale in congedo. E infine nel 1935 la struttura divenne territoriale con il nome di Associazione nazionale carabinieri in congedo. E tra le Associazioni nazionali dei carabinieri in congedo esistenti oggi in Valsugana, particolare menzione merita quella di Pergine, nata nel 1949. Attuale presidente è il M.G "A"SUPS Galastri Renato che nel corso del suo mandato, e grazie soprattutto alla collaborazione del direttivo e di tutti i soci, è riuscito a concretizzare un'intensa e dinamica attività sociale. Cerimonie ufficiali, collaborazioni e momenti conviviali e di solidarietà, partecipazione a eventi religiosi e ricorrenze varie, le numerosi voci che fanno parte del diario dell'associazione di Pergine. E citazione meritano non solo i soci effettivi, ma anche i familiari e simpatizzanti che quotidianamente e con indefesso impegno partecipano alle varie attività. A tal proposito è bene sottolineare che per fare parte di questa associazione non è necessario essere stati carabinieri perchè chiunque può essere elemento attivo e vivere, nel contempo, i più significativi aspetti del quotidiano che caratterizzano l'Associazione Carabinieri in congedo di Pergine Valsugana. E par-

Con gli studenti di una classe del Marie Curie in visita al gruppo elicotteri di Bolzano

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volontari con al centro il Colonnello Francesco Volpi (102 anni)

Frau Antonietta - la sodale piu’ longeva

A sinistra il presidente Galastri con il nuovo comandante, il Luogotenente Antonio Ferrandino ticolare citazione si deve a due sodali: la signora Antonietta Frau, la più longeva, e Elio Favrin, il più anziano. (A.M.) IL DIRETTIVO Presidente:M.G "A"SUPS Renato Galastri Vicepresidente: Giuliano Meneghello Segretario:Corrado Meneghello Cons:Vincenzo Scarano (portabandiera), Guido Zortea,Giorgio Bertoldi, Diego Pallaoro.

Il gruppo delle -Benemerite-


MEDICINA&SALUTE

BAMBINI e TRAUMI D

i solito si parla di traumi nella prima infanzia quando sono coinvolti bambini che hanno meno di 6 anni. Spesso e volentieri c’è la credenza “popolare” da parte di noi adulti che se un bambino così piccolo venisse coinvolto in una situazione traumatica ne sarebbe immune, perché vista la sua tenere età non riuscirebbe a capire quello che gli sta succedendo. In realtà questo è assolutamente falso, la ricerca scientifica sta sempre di più evidenziando che addirittura i neonati possono essere influenzati da questi tipi di eventi. Ricerche condotte dal settore di riferimento della National Child Traumatic Stress Network, hanno perfino proposto e identificato un costrutto diagnostico specifico. Il gruppo ha cercato di categorizzare tutti quei sintomi ricorrenti che di solito avvengono nei bambini con storie traumatiche. Il disturbo traumatico dello sviluppo, questo sarebbe il suo nome, causerebbe principalmente lo scorretto funzionamento delle capacità integrative a livello della memoria e della coscienza (Liotti e Farina, 2011). Sarebbero inoltre alterate le proprie capacità relazionali e introspettive. E ancora secondo alcuni autori le memorie traumatiche resterebbero congelate e inaccessibili ai processi di elaborazione che ognuno normalmente fa. Riemergerebbero però a livello del corpo,

sotto forma di sensazioni corporee oppure come immagini intrusive quando il nostro arousal (stato attentivo-cognitivo di vigilanza che ci prepara a reagire a stimoli esterni) si altera al di fuori della nostra soglia di tolleranza causando così diverse sintomatologie. La persona si ritroverebbe scissa in due parti, quella che comprende tali ricordi minacciosi e dolorosi, e l’altra parte di sé che nonostante le difficoltà cercherebbe di vivere la quotidianità. I tipi di traumi che possono causare queste conseguenze possono essere i più disparati, si passa da incidenti, violenze fisiche, psicologiche, famigliari, abusi, calamità naturali o ancora guerre e sarebbero quindi delle esperienze che disorganizzerebbero la nostra mente. Le conseguenze che si possono sviluppare dipendono dal proprio vissuto, dalla propria percezione di far fronte a quanto subito e anche da come siamo fatti cioè dalla nostra personalità. Di solito se colpisce i bambini è il livello comportamentale che nel breve termine è compromesso, visto la loro giovane età. Le caratterizzazioni tipiche in questo senso sono le regressioni; così un minore che prima parlava tranquillamente non lo fa più, oppure prima controllava lo sfintere e poi non lo gestisce più. Problemi a livello psicosomatico come attacchi di asma che appaiono e scompaiono a seconda della situazione, malesseri di vario tipo ricorrenti e situazionali. O ancora, il livello sensoriale si altera e presenta una maggior reattività: rumori improvvisi anche se innocui, oppure forti, fanno emergere reazioni scattose e in alcuni casi esagerate e così in generale tutto quello che può ricordare l’evento. Logicamente i bambini non hanno coscienza

 di Erica Zanghellini

di questa associazione. Infine a livello emotivo si osservano frequentemente paure generalizzate (la più importante l’ansia da separazione dalle persone di riferimento), paura degli estranei ed evitamenti rivolti a tutte le situazioni che possono essere collegate alla situazione traumatica. Non mancheranno preoccupazioni di vario genere, disturbi dell’umore e disturbi del sonno. Come si può facilmente intuire non sono situazioni da sottovalutare, i bambini come noi hanno bisogno di elaborare per superare quanto successo. Il silenzio, il far finta di niente non è la soluzione, anzi potrebbe causare danni. Anche se non tutti i bambini che sperimentano eventi traumatici sono destinati a sviluppare qualche disturbo psicopatologico nell’immediato o nelle età successive, proprio perché come detto sopra la risposta ad essi è soggettiva e dipenda da molti altri fattori, di certo è importante creare uno spazio d’ascolto che gli permetta di riflettere e affrontare quanto subito per ridurre al minimo possibile tale possibilità, ma soprattutto per garantire loro una buona qualità di vita. Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento - Tel. 3884828675

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 di Elisa Corni

Una Robin Hood valsuganotta E

leonora Strobbe classe 1992, dal 2005 tira con l’arco e a quanto pare è anche brava! La raggiungo al telefono mentre sta andando ad allenarsi «Entro ora in palestra» mi dice la plurimedagliata valsuganotta dal sorriso gioviale e dalla mora infallibile. Tra campionati nazionali, europei e World Games ha alle spalle una lunga serie di successi. Il 2017 è stato un buon anno per lei. Ad agosto si è portata a casa l’oro a squadre e l’argento individuale agli europei in Slovenia. Eleonora è una tiratrice di ‘arco nudo’, un arco semplice, senza bilancieri o mirini. Le chiedo scherzando se è come quello di Robin Hood, e lei forse sorride dall’altro capo della cornetta. «Più o meno. I materiali ovviamente sono diversi come la forma, ma dal mio arco spunta solo la freccia» chiarisce «È uno strumento completamente diverso da quello olimpionico. Io lo preferisco, è quello che fa per me.» Le chiedo di spiegarmi meglio. «Secondo me ognuno ha il suo tipo di arco. Quello che uso è dello

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stesso tipo che mi accompagna da quando ho iniziato a dodici anni; è un arco più istintivo rispetto a quelli precisi e potenti degli arcieri che partecipano alle Olimpiadi». Cosa che Eleonora per il momento non può fare, perché la sua disciplina, come molte altre, non è riconosciuto dal CIO. Ma non mancano le soddisfazioni. Più volte campionessa italiana, europea e anche mondiale, Eleonora grazie a questa passione ha viaggiato per il mondo. «La maggior parte delle gare è qui in Europa. Però nel 2017 con i World Games -una manifestazione sportiva internazionale dove si gareggia nelle discipline non olimpiche, come ad esempio il sumo- sono andata a Cali, in Colombia». E si è portata a casa un bel bronzo! Eleonora fa parte fin dall’inizio della squadra degli Arcieri Altopiano Pinè ed è allenata da Aldo Maccarinelli. Ma come hai cominciato, le chiedo. «Una mia amica tirava ogni tanto e mi ha invitata a provare. Non c’è stato un vero e proprio momento in cui mi sono resa conto che fosse lo sport per me. Semplicemente ho iniziato a tirare e poi ho continuato». Prima di cominciare a lavorare presso l’Azienda di Promozione Turistica della Valsugana, Eleonora si esercitava quasi ogni giorno. Ora col lavoro è più difficile e ha dovuto ridurre il ritmo. «Cerco comunque di andare a tirare almeno due o tre volte la settimana. In inverno è più semplice perché

possiamo allenarci in palestra, ma in estate devo accontentarmi delle sveglie antelucane o delle pause pranzo.» dice quasi ridendo. Purtroppo con l’arco nudo non si vive. «Quelli che vanno alle Olimpiadi possono avere l’occasione di ricevere uno stipendio per tirare, ma noi no. I premi in denaro sono piuttosto bassi, e i costi invece alti. Tieni presente che una freccia decente costa venti Euro…» spiega Eleonora; «per fortuna la federazione ci viene incontro: a noi iscritti rimborsa le trasferte all’estero e ci offre le aste delle frecce». Prima di salutarla le chiedo scherzosamente se sarebbe in grado di cacciare con l’arco e sopravvivere in un mondo post-apocalittico. «Non con uno come il mio - è troppo poco preciso. Ma si può fare con altri tipi di archi».Ringrazio Eleonora per avermi fatto scoprire qualcosa di nuovo su uno sport che fa parte dell’immaginario collettivo: quello del benefattore armato di arco e frecce. Ma soprattutto le auguro buona fortuna per i nazionali indoor di fine febbraio e per le competizioni internazionali dell’estate!



Una collettiva da ricordare

 di Alessandro Dalledonne

o l a m a s o L ibera n La devozione popolare, quella pubblica, dove il dialogo con il divino da personale diventa collettivo è il tema della mostra itinerante “Libera nos a malo” allestita dall’Associazione Ecomuseo Valsugana - Dalle sorgenti di Rava al Brenta in collaborazione con il comune di Castel Ivano. Fino al 31 dicembre le vecchie immagini, tutte in bianco e nero, sono state esposte a Samone, dal 3 al 17 gennaio hanno fatto tappa in piazza Municipio a Strigno per poi passare, fino al 29 gennaio, in piazzale Felice Fabbro e nelle piazze di Ivano Fracena

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n viaggio a ritroso nel tempo, immagini che hanno dato vita anche a un volume di 132 pagine che racconta di una religiosità che pesca a piene mani dalla semplice vita dei campi, si nutre di simboli e di riti, cerca nel pastore la guida per piegare una natura più matrigna che madre. Sfogliandolo si possono leggere notizie e aneddoti legati alle antiche pievi della zona, ma anche di fedeli zelanti, riti e tradizioni. «Quello che vogliamo raccontare – ricorda il presidente dell’Ecomuseo, Andrea Tomaselli – è un viaggio volutamente non cronologico in cui la devozione è raccontata nei suoi segni, nelle sue presenze, nei suoi rituali, quasi ad amplificare la richiesta di sempre: libera nos a malo». Non solo foto, davvero belle da vedere e da ricordare. Sfogliando il volume si riesce a trovare anche una curiosa storia di un pestaggio. “Negli

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anni 1655-1657 era curato a Bieno don Romano de Romani di Pieve Tesino. Il suo comportamento deluse la fiducia che era stata posta in lui. Alcuni uomini di Bieno, ritenendo il suo modo di agire intollerabile, lo aspettarono in località Madonna di Loreto presso Strigno e lo bastonarono, incorrendo così nella scomunica”. Spazio anche alla storia della Chiesa di San Biagio, costruita in una zona tranquilla, un po’ discosta dal centro abitato, su una modesta altura. La chiesa è nominata negli Atti visitali del 1531. Fu ampliata nel 1533. Il 26 agosto di quell’anno il vescovo di Feltre, Tomaso Campeggio, accompagnato dal Vicario Giovanni Battista Romagno, fece la sua prima visita pastorale alla chiesa e alla comunità di Bieno. Era sindaco del paese Pietro Busarello. In quell’occasione il vescovo, alla presenza del popolo in festa, consacrò l’altare maggiore dedicato a S. Biagio, che era stato rimosso a causa dell’ampliamento. Il 28 aprile 1576 il vescovo Filippo Maria Campeggio concesse alla chiesa di Bieno il fonte battesimale. Durante la grande guerra 1914-1918 la chiesa non fu seriamente danneggiata. Bieno è l’unico paese dell’ex-Pievado di Strigno,

la cui chiesa parrocchiale è ancora l’antica chiesa, anche se ampliata e restaurata più volte. “Libera nos a malo” per raccontare del voto di San Vendemmiano, della sagra di Primalunetta, delle diverse feste patronali (S. Agnese a Villa, Santa Apollonia a Spera, Agnedo, e della festa di San Giuseppe a Samone) così come del voto del 1916 a Villa, del Corpus Domini a Spera, del colera, e della Madonna del Rosario di Samone. Ma anche della stria dei protestanti di Villa. L’antefatto è presto detto. Nei primi decenni del ‘900, tra la comunità e il decano di Strigno, si stava trascinando un contenzioso circa un beneficio istituito un secolo prima a favore della chiesa di Villa: mentre i “villesi” si facevano forti della tradizione, il decano aveva invocato l’autorità vescovile per disporre altrimenti


del beneficio. La crisi si acuisce proprio nel marzo del 1903 e il 22, festa di San Giuseppe, il paese inscena una clamorosa protesta. Ecco come la descrive “Il Popolo”, il quotidiano socialista di Cesare Battisti: “I villesi mal sopportando questa nera ingerenza, decisero, qualora non fossero riconosciuti i loro diritti, di passare al protestantesimo, convinti di trovare in questa religione ministri che non calpestano i diritti dei credenti. Difatti nel pomeriggio di giovedì, dopo un’infruttuosa intervista di due delegati villesi col molto reverendo Decano di Strigno, dal quale furono respinti con superbia ed arroganza, un drappello di 40 persone, le quali costituiscono tutta la Comunità di Villa, precedute da una bandiera rossa portante la scritta I protestanti di Villa passarono per Strigno diretti per Samone, dove abita un pastore protestante. Recatisi da lui ebbero le prime istruzioni

della dottrina Evangelica: quindi tutti provvisti chi di Bibbia e chi di opuscoli, ritornarono alle loro case pieni di entusiasmo per la buona religione e per il buon pastore, che accolse cortesemente i neofiti”. Sappiamo che ben pochi tra i villesi passeranno alla nuova religione e che l’invocazione al protestantesimo (ma quanto avrà giocato la confusione semantica protestare/protestanti, accompagnata per di più da una ben troppo simbolica bandiera rossa?) aveva più il senso di un “ricatto”. Eppure qualcosa, nell’indiscutibile unanimismo cattolico, si era incrinato e nella terra della Controriforma forse si era infranto un “tabù”. Le autorità religiose avvertono immediatamente il pericolo. Così non è un caso che pochi giorni dopo si presenti a Strigno don Emmanuele Bazzanella, il deputato cattolico eletto in Valsugana, apparentemente per presentare la nuova legge sul commercio ambulante. Dopo aver rassicurato i quattrocento e passa girovaghi presenti sugli antichi diritti e sui vecchi privilegi e sul proprio impegno di deputato, ecco che passa a deplorare quegli emigranti che portano in casa “il male” raccattato altrove. “Perciò nella Valsugana succedono certe brutte cose, che finora non sono successe in nessuna

La festa dell’anziano

altra delle nostre Valli trentine, come per esempio nel giorno di San Giuseppe di quest’anno abbiamo veduto la dimostrazione sacrilega e insieme stupida di quei di Villa contro la nostra santa Religione, con evviva ai protestanti, e colla visita al protestante scomunicato di Samone. Bell’onore, che si sono fatti, e che hanno fatto alla Valle intiera, bollandola con una macchia infame!”, per poi aggiungere, riscaldandosi: “Io maledirei il commercio girovago, lo maledirei non solo come prete, ma anche come patriota quando esso dovesse fare di voi dei rinnegati, e allontanarvi dalla Religione dei vostri buoni vecchi, che era il primo vanto della nostra Valle, per aprire le porte alle eresie e ad ogni sorta di errori contro la Chiesa cattolica; maledirei anche quanto ho fatto per sostenere il commercio girovago in questi dieci o dodici ultimi anni”. Un discorso abile, in grado di colpire e ricattare moralmente gli emigranti presenti. E per battere e ribattere principi e preoccupazioni, don Bazzanella si presenta anche la domenica successiva a dar man forte al maestro di Strigno, Adone Tomaselli, impegnato a istituire una società professionale dei mercanti girovaghi della Valsugana. Un ringraziamento particolare al Circolo Croxarie per la gentile concessione delle foto

NOVALEDO

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a “festa dell’Anziano” svoltasi recentemente a Novaledo, ha visto la partecipazione di oltre settanta iscritti che, dopo aver assistito alla Messa celebrata dal parroco don Paolo Ferrari, hanno raggiunto la vicina sala don Evaristo per il proseguo della festa. Qui, dopo le parole di benvenuto da parte della presidente Bruna Gozzer e del segretario Grazioso Alzetta, a tutti i presenti è stato offerto un pranzo preparato dal direttivo del Gruppo con l’aiuto anche di altri volontari. Parole di lode verso questo piccolo ente sono venute poi dal sindaco Diego Margon, che era accompagnato dalla sua vice Barbara Cestele. Alle appartenenti al gentil sesso è stato fatto un omaggio floreale. E’ arrivato poi il coro “Carro della musica” di Borgo Valsugana che ha intonato diverse canzoni del passato. E per l’occasione è stata festeggiata anche la socia Valeria Zen che proprio in quel giorno festeggiava i suoi 66 anni di vita e che aveva portato una grande torta da condividere con tutti i presenti. Attorno a lei, nel momento del taglio del dolce, si sono strette le “meno giovani” presenti alla festa e che vediamo nella foto: Liliana Giandon e Anna Casagranda di 89 anni, e Maria Menegol di 85 anni. (M.P.)

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NICA A R E C L A C

I MINATORI IN FESTA

ERME T O IC V E L

Un vero reperto storico

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l Gruppo Culturale Miniera di Calceranica al Lago, ha festeggiato anche quest’anno la propria Patrona Santa Barbara. Una festa organizzata dal Gruppo in collaborazione con l’amministrazione comunale, che è iniziata con una Messa celebrata da padre Sergio seguita dalla deposizione di una corona d’alloro al vicino “Monumento al Minatore”. Sono seguiti gli interventi del presidente del Gruppo Carlo Martinelli e del primo cittadino Cristian Uez, ( che aveva al suo fianco il vicesindaco Cinzia Tartarotti ), che hanno ricordato la lunga pagina di storia di un paese che nei trascorsi decenni era conosciuto soprattutto per la sua miniera, per quel giacimento della Montecatini all’interno del quale trovarono sostentamento di vita diverse centinaia di persone di Calceranica in particolare, ma anche di diversi altri paesi della Valle. Lì dentro infatti, in quelle gallerie lunghe ben 22 chilometri ad una profondità che raggiungeva anche i 550 metri, lavorarono, fino alla chiusura avvenuta nel 1964 a causa dell’esaurimento del giacimento di pirite solforosa, ben 580 operai. Molti di loro però, a causa del contatto, si ammalarono e morirono anzitempo. Come ci ha testimoniato il presidente Martinelli, il Gruppo Minerario conta oggi ben 75 iscritti e alla festa, aperta anche ai famigliari, vi hanno partecipato più di 70 persone. Durante il momento conviviale presso il ristorante Alpenrose di Vattaro, a sorpresa lo storico Benito Giacomini ha presentato un filmato sull’attività del gruppo di questi ultimi cinque anni. La festa si è conclusa con una foto ricordo degli ex minatori presenti alla festa, che vediamo accanto al presidente. Questi i loro nomi: Mario Stelzer, Cesare Carlin, Vittorio Faes, Giuseppe Monte, Serafino Micheloni, Livio Ferrari e Armando Bassi. (M.P.)

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el corso di alcuni lavori di restauro in una vecchia casa in via Miserere a Levico Terme, è venuta alla luce fra le altre cose abbandonate in soffitta, una cassa in legno che porta la data 1865. Lo storico Ferruccio Galler, che abita a poca distanza, ha esaminato la cassettina nel tentativo di ricostruire la sua storia. “Dal momento che porta quella data storica, lui dice, è da ritenere che quella potrebbe essere stata usata nell’epoca della terza guerra di indipendenza (1866) quando il generale italiano Giacomo Medici, alla guida della sua Divisione e proveniente dalla Valsugana, diede ordine di puntare verso Levico, percorrendo lo ”stradone” centrale. E Ferruccio continua ricordandoci anche la pagina di storia: “Alle 21,30 di quella giornata di fitta nebbia del 23 luglio 1866, le avanguardie italiane iniziarono l’attacco nei pressi della chiesetta “Madonna del Pézo”. Immediata sarebbe stata la fuciliera austriaca del maggiore Franz Pichler con circa mille uomini, che tentavano di rallentare l’avanzata degli italiani e che, dopo due ore di furiosi scontri con fucili e baionette, anche nel centro di Levico, il maggiore Pichler avrebbe ordinato la ritirata in direzione di Pergine, favorita anche dal calare della notte. Il 23 luglio 2016 un plotone di soldati italiani ha reso omaggio ai Caduti austriaci nel cimitero militare di Levico, posando una corona e successivamente scoprendo, come vediamo nella foto, una targa in ricordo del 150^ anno dall’evento. Dopo la guerra, il generale Medici avrebbe abbandonato l’esercito e sarebbe morto a Roma il 9 marzo 1882, pochi mesi prima del suo amico d’armi Giuseppe Garibaldi. Si ha quindi motivo di ritenere che la cassa sia legata a quella guerra e che sia stata costruita per contenere indumenti od altre cose personali di qualche soldato”. (M.P.)


Da Bismarck

alla Merkel o scorso 10 gennaio in quel di Levico Terme una Sala Consiliare gremita ha accolto lo storico Gustavo Corni per la presentazione della sua ultima pubblicazione. Il saggio “Storia della Germania - da Bismarck a Merkel”, edito dal Saggiatore lo scorso anno è la riedizione di un saggio che lo storico scrisse nel 1995 “Storia della Germania - da Bismarck alla Riunificazione”. Una riedizione riveduta e attualizzata, con un ultimo capitolo completamente nuovo. Ad accompagnare l’autore, Gabriele D’Ottavio, ricercatore presso il Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell'Università di Trento e autore di alcune pubblicazioni attorno al tema della Germana, dell’Italia e dell’Europa dopo la seconda Guerra Mondiale. La serata, organizzata dalla Biblioteca Comunale in collaborazione con l’Associazione Forte Colle delle Benne e la Piccola Libreria, si inserisce in quel fortunato filone di presentazione di libri con gli autori che ormai da un paio

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d’anni anima la cittadina valsuganotta in tutte le stagioni. E a quanto pare la risposta del pubblico è positiva, dato che gli organizzatori hanno dovuto improvvisare nuovi posti a sedere per il pubblico in sala; purtroppo alcuni si sono dovuti accontentare dei gradini della sala. I presenti hanno assistito a un dialogo vivace tra i due storici e hanno poi potuto prendere parte al dibattito a fine serata. Ma di cosa tratta questo saggio che tanto successo ha riscosso anche nel pubblico locale? Certamente non è la provenienza dell’autore, che in Trentino abita da solo vent’anni, ad aver attirato tante persone. Il tema è interessante, anche perché nel saggio l’autore non si limita alla storia, ma arriva all’Oggi. Undici capitoli e più di quattrocento pagine per affrontare la storia della Germania a partire dal suo cancelliere più famoso, Otto von Bismarck, uno degli autori dell’unificazione ottocentesca, per arrivare fino alla Germania della Merkel. Una Germania che è passata dall’Imperatore Guglielmo all’Unio-

ne Europea, attraverso il Nazionalsocialismo, le leggi razziali, il Muro. Proprio attorno al muro, alle differenze macroscopiche che c’erano tra l’Italia unita e la Germania divisa che si è snodata la prima parte del dialogo tra D’Ottavio e Corni. Quest’ultimo ha raccontato le proprie esperienze personali di giovane ricercatore che, con il Muro ancora saldamente in piedi, muoveva i primi passi in Germania e scopriva le differenze tra e due Germanie. Molto spazio è stato, ovviamente, dedicato ad uno dei temi cari allo storico di adozione trentina: il Nazionalsocialismo. Autore tra le altre cose di saggi come “Hitler” (2007, Il Mulino) e “Breve storia del Nazismo” (il Mulino 2015), Corni ha, nel suo testo come durante la serata, parlato di una Germania che non deve più fare paura, nella quale il discorso pubblico attorno al Nazismo e ai crimini perpetrati è stato e continua ad essere fatto a tutti i livelli. “Oggi la Germania, con il suo quinto posto mondiale per PIL e le sue politiche europeiste e di accoglienza, è una delle democrazie più stabili” ha affermato in diverse occasioni Corni. Un saggio, quello scritto dallo storico di origini modenesi, che offre un’ottica di ampio respiro per capire, comprendere, investigare la storia di uno dei paesi più importanti d’Europa.

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Il nonno, Claudio Brandalise, sarebbe davvero orgoglioso di lui. Lo sarebbe ancor più se a Ludovico Fossali riuscisse l’obiettivo di classificarsi per le Olimpiadi di Tokyo. Quelle del 2020, quando l’arrampicata sportiva sarà di diritto una delle discipline sportive riconosciute.

Uno degli atleti di punta della nazionale italiana

Ludovico Fossali atleta olimpico U

na passione, quella di Ludovico Fossali, ereditata dal nonno, e ogni estate, da tre anni, gare permettendo, si allena nel giardino di casa a Bieno, nel parco giochi del paese. Vent’anni, nato a Trento, Ludovico ha vissuto a Bieno fino all’età di cinque anni. Poi la famiglia si è trasferita a Vignola (Modena) dove vive ancora oggi. Ma Bieno e la Valsugana gli sono rimasti nel  di Alessandro Dalledonne cuore. «Ci torno tutti gli anni, almeno durante le vacanze estive e natalizie, ma quando c’era il nonno ci venivo sempre la prima settimana di settembre per festeggiare il suo compleanno». Al nonno e alla mamma Maurizia deve l’amore per la montagna e lo sport. Suo grande sostenitore, nonno Claudio lo esortava sempre a mettersi alla prova e si faceva raccontare tutto ciò che aveva appreso. Ludovico Fossali è uno degli atleti di punta della nazionale italiana. Ci è arrivato, per la prima volta, nel 2011, grazie ai numerosi titoli e premi conquistati nelle competizioni regionali e campionati italiani giovanili. L’anno dopo i primi tre podi (secondo a Chamonix, primo a Pieve di Cadore, terzo a Gèmozac in Francia) e nel 2013 conquista i gradini più alti del podio, sia in coppa Europa giovaLudovico Fossali alla coppa del mondo a Edimburg 2017 nile che nei campionati europei giovanili. Una costante crescita sportiva fino al 2016, anno della maturità,

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quando ai campionati del mondo conquista il gradino più alto del podio, partecipando anche alla combinata (gara che prevede la competizioni in tutte e tre le specialità: lead, boulder, e speed) a coronamento di un percorso giovanile dove ha vinto praticamente tutto. «Da giovane ho frequentato anche le falesie di Grigno, Sella e del Monte Lefre, su quelle pareti – ci racconta Fos-

Ludovico Fossali vincitore a Guangzhou sali - ho iniziato ad amare profondamente questo sport». Il legame con il Trentino è sicuramente forte, non solo per gli affetti familiari, ma perché è sinonimo di libertà e soddisfazioni dovute ai numerosi successi ottenuti, in particolare ad Arco. Quando è in Trentino frequenta la struttura di Bolzano (Salewa Cube), il climbing Stadium di Arco e, quando apre, anche la palestra Sanbapolis a Trento. «Non vedo l’ora – aggiunge – che venga inaugurata la palestra di Villa Agnedo, in questo modo potrei allenarmi praticamente sotto casa». Dal 2014 ha iniziato a seguirlo il preparatore atletico (Donato Lella inventore del tracciato speed) che


si occupa anche della sorella Giulia, appena entrata in nazionale. Con lei condivide molte trasferte, anche numerosi podi nelle competizioni giovanili internazioni di Coppa Europa e campionati europei. Dal 2015 si affida al nuovo preparatore, Daniele Bosio di Bergamo del centro Smuoviti. Oltre al titolo mondiale junior del 2016 e svariati titoli italiani, dal 2015 è regolarmente primo in Coppa Italia Speed e quest’anno è anche Campione italiano Assoluto. Detiene il record italiano fermando il cronometro a 5’’79, a Edimburgo dove ha colto la sua prima vittoria in Coppa del mondo a meno di 4 decimi dal record mondiale. Quest’anno ha regalato alla nazionale italiana senior un oro conquistato nella Climbing Wordcup (S) Edinburgh (GRB) il 29 settembre, un bronzo il 28 agosto ad Arco e tre quarti posti: all’European Championship Speed 2017 svoltisi a Campitello di Fassa, alla Climbing Worldcup (S) Villars (SUI) e nell’ultima, disputatasi a Xiammen (Cina) il 14 ottobre. Risultati che gli hanno permesso di chiudere la stagione al terzo posto nella classifica ge-

nerale di Coppa del Mondo Speed, a soli 5 punti di distanza dall’iraniano Reza Reza Alipourshenazandifar, detentore del record mondiale, e dall’attuale campione, il russo Vladislav Deulin. Oggi Ludovico Fossali è il primo della lista tra i nominativi dei probabili olimpici, l’arrampicata sportiva, infatti, il prossimo anno esordirà a Buenos Aires nelle Olimpiadi giovanili, e nel 2020 sarà di diritto disciplina sportiva delle Olimpiadi di Tokyo. Non fa l’atleta di professione. Si è diplomato un anno fa, per mantenersi e pagarsi i numerosi viaggi ha iniziato a lavorare. Un ragazzo con i piedi per terra, semplice, disponibile, con sani principi. Con le radici a Bieno, in Valsugana. «Al termine

AUGURI GIOSEFFA

di ogni gara – racconta – dato che il nonno non c’è più, trovo sempre il tempo per un messaggio o una telefonata a zia Clelia. Guai se non lo faccio, lei ha la collezione di tutti i miei articoli». In casa Brandalise, infatti, il giornale sulla tavola non manca mai. Era la grande passione di nonno Claudio, maestro elementare e giornalista per diversi decenni dell’Alto Adige e del Trentino.

LEVICO TERM E

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a festeggiato recentemente presso l’APSP di Levico Terme, i 102 anni di vita Gioseffa Irma Curzel. Un allegro momento al quale hanno partecipato in segno di affetto i famigliari con altri parenti ed amici. Nata in Moravia da genitori profughi della prima guerra mondiale, in quella lontana terra papà e mamma furono accolti con generosità da una coppia di nome Giuseppe ed Irma. E per ricordare il reciproco affetto nato fra le due famiglie, quando nacque la bimbetta venne dato il nome di Joseffa (Giuseppe) e Irma. Ritornati in Trentino, Irma, come tutti la chiamano, nel 1948 si sposò con Carlo Agostini di Caldonazzo dove poi abitò per tanti anni. Rimasta vedova nel 1998, andò a vivere a Bosentino presso la figlia Aurora, dove risulta ancora residente. Ma con il passare del tempo si vide costretta a raggiungere la Casa di Riposo San Valentino di Levico Terme, che la ospita ormai da più di sei anni. Nel giorno del compleanno, al suo indirizzo sono giunti tanti mazzi di fiori. Omaggi floreali anche da parte dei sindaci di Caldonazzo Giorgio Schmidt e dell’altopiano della Vigolana David Perazzoli, pure loro presenti alla festa. (M.P.)

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LA GRANDE NOVITÃ

DISPONIBILE NELLE COLORAZIONI EFFETTO LEGNO, RAL E FINITURE SPECIALI

Esposizione Shop Center Valsugana


L’estetica del legno, la forza dell’alluminio, l’energia del sole

«Vulcano»

Aluray presenta il nuovo parapetto fotovoltaico Un innovativo e funzionale prodotto che di fatto si identifica come la concreta alternativa ai pannelli fotovoltaici installati sui tetti

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e da una parte è vero che i pannelli fotovoltaici installati sui tetti necessitano di particolari interventi per una buona manutenzione, dall'altra è anche accertato che per ottenere una buona produzione di energia devono essere sempre e costantemente puliti. E molte sono le cause che ne possono menomare la funzionalità: gli escrementi di volatili, polvere o polline, neve e soprattutto la presenza di foglie cadute sulla superficie, il fattore principale dell'offuscamento delle celle fotovoltaiche. Oggi, grazie alla nuova tecnica e tecnologia applicata a questo grande universo, ma soprattutto grazie alle capacità intuitive di Gianenrico Sordo, titolare di ALURAY, azienda leader nella produzione di ancoraggi per fotovoltaico, di parapetti e ringhiere in alluminio color legno e finiture speciali, arriva sul mercato un nuovo e innovativo pro-

dotto che di fatto si identifica come la concreta alternativa ai pannelli fotovoltaici installati sui tetti. “VULCANO”, è questo il nome del prodotto ideato integralmente da ALURAY, è un parapetto con moduli fotovoltaici mono cristallini totalmente integrati in un profilo in alluminio, installato nelle costruzioni civili, in grado di produrre energia elettrica risolvendo, nel contempo, problemi di manutenzione e malfunzionamenti causati da eventi esterni tipici degli impianti su tetto. Una novità tecnologica che non solo aggrega la creatività all’efficienza e l’innovazione alla concretezza, ma soprattutto è il vero e concreto lancio di un prodotto, a livello nazionale ed europeo, prettamente legato al «Made in Trentino». Tornando ad ALURAY e al suo dinamico

Il titolare Aluray - Gianenrico Sordo titolare, riteniamo sia doveroso sottolineare che Gianenrico Sordo non è nuovo all’esperienze innovative e funzionali perché si deve anche a lui, alla sua preparazione e competenza specifica, l’ideazione di MEGAFIX, ovvero il triangolo di riferimento per istallazioni fotovoltaiche su tetti piani che sta riscuotendo unanimi consensi. Oggi ALURAY, che ha sede a Ospedaletto con la sede operativa a Calceranica al Lago e Show-Room a Pergine Valsugana, è un’azienda Trentina giovane e dinamica fondata, con investimenti propri, a luglio 2012 dal “nostro” Gianenrico, originario di Castello Tesino, sempre più dimostra non solo una specifica competenza e professionalità in questo grande universo, non solo di essere in continua e progressiva crescita, ma anche e principalmente un vero e concreto punto di riferimento nel campo del fotovoltaico. (P.R.)

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L’istituto Alcide Degasperi di Borgo Valsugana si colloca tra le scuole maggiormente innovative sul suolo italiano. Al suo interno un’equipe di professori, tra cui il referente-ideatore Costantino Tomasi, il collaboratore responsabile di modellazione Stampa 3D Andrea Rapposelli e la referente Cinzia Casna per la parte umanistica, con l’appoggio del dirigente Paolo Pendenza, rendono possibile un laboratorio unico per come si lavora e struttura la parte didattica: Creativity Lab. Un’area laboratoriale rivolta agli studenti che attivando diversi progetti dà loro la possibilità di interfacciarsi con la tecnica e la teoria, con la tecnologia e l’area umanistica. Nello specifico ci siamo interessati all’idea dell’istituto di espandere e diffondere tale laboratorio all’estero. Il referente, il dirigente, e i ragazzi ci raccontano l’esperienza del progetto Erasmus +.

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L’ISTITUTO ALCIDE DEGASPERI E IL PROGETTO  di Patrizia Rapposelli

Erasmus +

«Creativity Lab ha funzionato nella scuola, vediamo se può andare anche in Europa».

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ostantino nella naturalezza della sua affermazione spiega da dove nasce l’idea di andare fuori dal nostro territorio; semplicità che vede muovere attorno a sé un gruppo di collaboratori competenti, risorse tecniche ed economiche, oltre un team di studenti aperti all’innovativo e capace di cooperare con i docenti. La scuola partecipa al bando europeo Erasmus +, dove INDIRE, istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa, esamina la proposta dell’istituto Degasperi ritenendola valida. «Il progetto prevede un partenariato pluriennale con l’istituto Patreskolan di Hofors, Svezia, e della I. Osnovna Skola di Varazdin Croazia. INDIRE ha finanziato lo scambio e gli spostamenti». Costantino mi chiarisce che sia Croazia che Svezia hanno dei laboratori similari al Creativity Lab per tale motivo la scelta è ricaduta su questi Paesi. Sull’esempio del programma universitario Erasmus è avvenuto uno scambio di studenti e docenti per un’attività in comune, dei workshop nei rispettivi Paesi e la creazione di un team internazionale per competere a delle gare di robotica. Mi viene detto: «Uno scambio di buone pratiche. Questo per far conoscere il nostro metodo didattico che unisce la disciplina scientifica a quella umanistica, gli strumenti di supporto utilizzati al C.L. e le strategie didattiche messe in atto per raggiungere gli obiettivi, il tutto in un lavoro di team». Una si-

Il dirigente Paolo Pendenza nergia di risorse ha reso possibile lo sviluppo e l’espansione dell’attività laboratoriale di Borgo, tra cui la vittoria dell’Istituto al Bando Caritro che ha permesso di acquisire strumentazioni e materiali necessari per la realizzazione dei progetti. Il dirigente Paolo Pendenza vede l’esperienza europea come uno stimolo interessante per lui in prima persona, i docenti e i ragazzi coinvolti: «Un’opportunità di scambio personale e culturale a partire dall’uso dell’inglese sino alla tecnica- robotica. Conoscere e capire le abitudini, l’organizzazione e il funzionamento di scuole diverse dalle nostre». Mi parla di «un’esperienza importante dall’interno»; la scuola svedese si caratterizza per una diversità nella tipologia di aula, di rapporto studente-docente, per modo di lavorare, e questa differenza non può che essere punto di curiosità e motivazione. L’istituto Degasperi definisce il suo progetto internazionale


Human Steam Lab. Costantino dice che in Europa va già di moda la STEAM, ma all’insegnamento il gruppo italiano ha voluto aggiungere la parte umanistica. «Le scuole partner hanno ideato progetti tecnici e con il nostro aiuto gli abbiamo affiancato una parte umanistica. I ragazzi italiani sono stati i tutor in prima linea». La lingua comune alle scuole dei Paesi coinvolti era la robotica, così che lo scambio culturale, interdisciplinare, e l’unione della scienza con l’area umanistica è avvenuta intorno a questa materia. Una settimana in Croazia e il team italiano ha dato vita a un rapporto collaborativo che li ha condotti a spiegare robotlavoro, dall’elemento del robot alla riflessione letteraria-filosofica dello stesso, a un vero workshop per l’area di modellazione; lo scambio informativo li ha poi portati a partecipare a una gara di robotica che ha visto qualificare secondo l’Istituto Degasperi, alle spalle dei campioni del mondo 2017, qualificandosi per i campionati europei a Pescara nel 2018. In egual modo in Svezia i nostri ragazzi hanno coordinato le attività didattiche-laboratoriali e Lorenzo, uno degli studenti partecipanti, ci racconta il suo punto di vista: «Abbiamo vissuto questi incontri con uno spirito di collaborazione e una mentalità aperta, ogni giorno è stato un’occasione per imparare e condividere ciò che già sappiamo, non solo in ambito scolastico, ma anche in ambito personale. Un’opportunità per potersi interfacciare con culture diverse che ci hanno aperto a nuovi punti di vista e metodologie di lavoro riguardo argomenti che trattiamo giornalmente e che non abbiamo mai pensato in modo diverso dal quale siamo abituati a fare. Per ognuno di noi è stata un'occasione di crescita, ne siamo usciti più consapevoli del fatto che la collaborazione internazionale tra studenti permette agli stessi di scambiare le loro idee e di affrontare gli stessi problemi con soluzioni più ingegnose e creative».

UNA MEDICINA INNOVATIVA, SPECIFICA E DIVERSA PER UOMINI E DONNE, GARANTIRà UNA CURA PIù APPROPRIATA E MIGLIOR BENESSERE  di Sabrina Mottes

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a sera del 26 gennaio scorso si è svolto, presso l’Associazione Artigiani di Trento, un interessante incontro attorno al tema della salute di genere. La serata, organizzata da Confartigianato Donne Impresa e da ANAP, ha affrontato questo argomento assolutamente innovativo assieme ad alcuni politici che si occupano nello specifico di salute e pari opportunità e al dottor Maurizio Del Greco, Primario di cardiologia all’Ospedale Santa Maria del Carmine di Rovereto. Sempre più ampio, negli ultimi anni, il dibattito attorno alla cultura di genere che si riferisce non solo alla Il dott. Maurizio Del Greco differenza di sesso ma anche ad un’impostazione culturale che, nei secoli, ha messo al centro della società l’uomo in quanto maschio, occupandosi delle donne solo in riferimento a criteri maschili di riferimento. Anche la medicina, ultimamente, partendo da questo concetto, si è dedicata allo studio delle diversità di genere, in relazione alla reazione fisica differenziata alla malattia e alla cura in uomini e donne e alle conseguenti necessità di controlli e terapie diversificati. E non poche sono state le scoperte che stanno rivoluzionando l’approccio stesso dei medici ai pazienti maschi e femmine. Il dottor Del Greco, nel suo interessantissimo e a tratti sorprendente intervento, ha spiegato come le patologie cardiache siano state sinora studiate quasi esclusivamente sugli uomini e conseguentemente tarate al maschile nella sintomatologia, diagnosi e terapia. E questo nonostante la principale causa di morte femminile sia riconducibile a problemi cardiaci. Infatti, nell’età fertile, le donne vengono protette dagli estrogeni, che però calano nella menopausa esponendole a maggiori problemi cardiovascolari. Gli studi evidenziano, inoltre, che la donna ha sintomi diversi che preannunciano l’infarto e che la coronarografia, concepita per scoprire i problemi ai vasi sanguigni più grossi, non è in grado di rilevare disturbi ai vasi più piccoli, che sono proprio quelli ai quali, nella maggior parte dei casi, vengono colpite le donne. E dunque il problema spesso non viene rilevato, e nemmeno curato. Una serata davvero istruttiva, grazie al Movimento Donne Impresa dell’Associazione Artigiani che, oltre che occuparsi di promuovere l’imprenditoria femminile, si dimostra attento alla formazione e alle problematiche femminili in generale.

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RONCEGNO TERME:

Un personaggio un po’ speciale L

a storia che vogliamo raccontarvi è quella di un personaggio che da oltre dieci anni non è più fra noi, ma che molti ancora ricordano per la sua simpatia ed originalità. Si chiamava Erminio Nicoletti, da tutti conosciuto con l’appellativo di “Gatto”, che ha battuto ogni record: ospite della Casa di Riposo San Giuseppe di Roncegno per ben 86 anni. Era nato a Roncegno il 4 novembre 1920 e la sua vita si è conclusa il 20 aprile 2007. Ora riposa nel cimitero della cittadina termale. Erminio era un personaggio particolare ma tanto gentile che in tutti sapeva suscitare grande simpatia. In quell’Istituto vi era entrato quando aveva poco più di un anno, portato dalla mamma Adele Berlanda che lì dentro lavorava come inserviente. Con quel suo lavoro lei doveva mantenere tutta la famiglia dato che il marito Giuseppe Nicoletti lavorava saltuariamente

e non guadagnava a sufficienza per poter sfamare l’intera famiglia che, all’epoca, si componeva anche di altri due figlioletti Mario e Ada, quest’ultima morta giovanissima di meningite. E venne poi il dramma: Adele fu colpita da una grave malattia che comportò la perdita di una gamba, diventando così inabile ad ogni lavoro. La famiglia, che abitava in via Grassi a Roncegno, era poverissima e così mamma Adele, spinta dalla necessità estrema, prese la decisione di chiedere ospitalità per il suo piccolo Erminio alle Suore della Provvidenza di quell’Ospizio, che all’epoca era anche ospedale dove si portavano molte donne di Roncegno per partorire. Erminio, ragazzino vivace, fu accolto generosamente in quella grande famiglia accanto alla madre invalida che pur continuò, ancora per alcuni anni, a lavorare per quel poco che poteva. Man mano che il ragazzo cresceva, in cambio dell’ospitalità le suore gli affidavano piccoli lavoretti compatibili con la sua età. Erminio, ragazzo sensibile anche se un po’ bizzarro, aiutava volentieri il personale dipendente a fare le piccole pulizie ed era premuroso anche verso l’esterno. Aiutava soprattutto l’allora parroco

Nicoletti Erminio

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 di Mario Pacher

don Fortunato Andreatta a fare lavoretti nella vicina chiesa. Era felice, come ci aveva testimoniato quando l’avevamo intervistato tanti anni fa, quando poteva suonare le campane che all’epoca venivano azionate a mano mediante il tiro di una corda. Gli piaceva farlo soprattutto nelle domeniche e nelle altre giornate di festa quando il loro rintocco sembrava essere più gioioso. Ma un brutto giorno, come all’epoca ci aveva raccontato con emozione, lo spago gli si attorcigliò intorno al collo e stava ormai per soffocare quando fu salvato in extremis da Giovanni Manzin che, accanto a lui, stava tirando la corda di un’altra campana perché in quel giorno si “suonava doppio”. Poi venne la guerra ed Erminio andò a combattere in Grecia dove però, pochi mesi dopo, fu ferito e così potè ritornare nella sua Casa S. Giuseppe a Roncegno. Negli anni ’50 e ’60 lavorò per lunghi periodi nei cantieri scuola istituiti dallo Stato ed affidati in gestione ai singoli comuni per realizzare e sistemare strade comunali ed interpoderali. Amante della musica, fin da giovane si specializzò, per così dire, nell’esecuzione di brani musicali con la semplice vibrazione delle labbra. Il suo pezzo preferito era il “silenzio fuori ordinanza” dal sapore prettamente militare, che sapeva eseguire tanto bene da imitare quasi il suono della tromba. Tutti lo chiamavano “Erminio Gatto”, e lui era contento di questo appellativo. Non mancava mai alle feste organizzate dalle varie associazioni di volontariato sia a Roncegno che nei paesi vicini. Qualche volta però rientrava un po’ brillo per aver alzato troppo il gomito. E fu così che la direzione dell’Istituto, nei primissimi anni


’80, escogitò un sistema originale ma efficace per evitare che questo suo ospite vada alle feste e ritorni a casa sbronzo. In queste ricorrenze non gli era concesso di indossare il vestito ma doveva restare tutto il giorno in pigiama. Un modo questo per scoraggiarlo nel profondo perchè Erminio, con quelli indumenti, non aveva il coraggio di farsi vedere dalla gente e così rimaneva in Istituto. E fra le varie cose che ci aveva raccontato, ricordava sempre con

nostalgia e riconoscenza quando nel giorno in cui raggiungeva il centro paese per riscuotere la pensione presso l’ufficio postale, andava nella macelleria di “Berto Beccaro” che gli donava sempre una salsiccia, mentre presso il vicino bar si beveva due buone caraffe di ottimo vino. Tanti anni fa era rimasto anche vittima di un incidente stradale per fortuna senza gravi conseguenze. Si racconta che il suo investitore, spaven-

tato, era entrato poco dopo nel bar del centro confessando all’oste di aver investito, con la macchina, il “Gatto”. Il barista lo avrebbe subito incoraggiato con queste parole “cossa votu mai che sia, no ghè altro che gatti ‘n giro, no sta tortela per sta roba qua ”. Ma poi, chiarito che il “Gatto” era l’Erminio, la cosa avrebbe assunto un aspetto tutto diverso. Fra la popolazione di Roncegno, Erminio è stata forse una delle persone che più volentieri si amava incontrare per la sua semplicità, originalità e anche simpatia. Lui era tanto felice di vivere presso la Casa di Riposo S. Giuseppe dove, ci diceva, le suore sono tanto brave così come il direttore Corradini, il presidente Quaiatto, l’animatrice Monica, le volontarie e tutto il personale. Insomma, in quella grande famiglia lui aveva trascorso serenamente quasi 86 anni della sua vita, quando all’improvviso, anche per lui, è giunto il momento di udire quell’ordine senza appello: “devi andare!”.

Casa di Riposo di Roncegno

Un mese dalla scomparsa di Libardi A un mese dalla morte di Luca Libardi, presidente dell’ASAT, spirato l’8 gennaio all’età di soli 56 anni, ci onora ricordare che «coloro che amiamo e che abbiamo perduto, non sono più dove erano, ma sono ovunque noi siamo», come recitava la “memoria” che i familiari avevano predisposto per i partecipanti alle esequie. Riportiamo altresì il comunicato espresso in quella occasione dal Gruppo consiliare provinciale dell’UpT (Unione per il Trentino) che esprimeva un profondo cordoglio per quella prematura scomparsa. «Negli anni abbiamo avuto la fortuna di poter conoscere molto bene Luca e di poter apprezzare le sue doti e la sua elevata professionalità. Egli è stato un protagonista del turismo del Trentino, un albergatore capace di andare oltre la già importante tradizione familiare dell’ospitalità alla ricerca di soluzioni innovative per il turismo provinciale. Molte volte ci siamo incontrati e alcune scontrati – la sua forza e la sua convinzione lo portavano anche a prendere decisioni nette e non “di comodo” e per questo lo abbiamo apprezzato ancora di più, perché su tutto è stato un uomo capace e guidato da un’enorme passione per quello che faceva e sempre in grado di giungere a trovare soluzioni concrete ed efficaci. Oggi, in questo giorno in cui ogni parola è comunque superflua, vogliamo stringerci attorno ai suoi cari e a quanti gli hanno voluto bene. Ciao Luca, grazie per tutto quello che hai realizzato, e che la terra ti sia lieve».

Il Gruppo consiliare dell’Unione per il Trentino - Gianpiero, Piero, Mario, Mauro, Tiziano

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MASOdi ANTRAQUE Il

’era una volta un maso sulla montagna. Quanti libri, quanti racconti, quante favole abbiamo letto che iniziavano così! Ma la storia che vogliamo raccontarvi inizia in maniera diversa. Da quando, un giorno, nella metà degli anni ’90, il maestro Vitaliano Modena e suo nipote Emanuele Curzel si recarono a Innsbruck per cercare del materiale storico sul paese di Roncegno Terme. Un viaggio a vuoto, o quasi, tra le pergamene dell’Unkurden-Regesten. Infatti, nei fondi dell’Archivio Provinciale del Tirolo qualcosa c’era. Documenti che, per anni, rimasero nel cassetto della memoria per poi, nel 2001, riprese da Sandra Boccher impegnata nella sua formazione per la laurea in Lettere. Notizie frammentarie, antiche pergamene che raccontano la vita di una famiglia, tra il 1200 e il 1300, vissuta in un maso sui monti di Roncegno. Protagonista della storia una famiglia di roncatores che abitava nel maso di Antraque. Attingendo al Landersarchiv, all’Archivio capitolare di Trento e dalle raccolte di

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padre Maurizio Morizzo si arriva alla laurea. Alcuni anni più tardi si passa a una monografia e, quest’anno, dopo un lungo percorso di ricerca, alla pubblicazione del libro. Vecchie pergamene che parlavano non solo dei contratti di affitto ma anche delle liti di confine, delle divisioni patrimoniali, dei debiti e delle carte di dote della famiglia Antraque. Un antichissimo esempio di archivio familiare non nobile da far conoscere e non far cadere nell’oblio. Antraque è un toponimo assegnato a un posto “fra le acque”. Circa 750 anni fa la famiglia che viveva nell’omonimo maso aveva a che fare con i Castelnuovo, i signori di Castel Tesobo, proprietari dei beni oggetti dei contratti di locazione. “Nel 1322 – si legge – questi livellarono metà di un maso sul monte di Roncegno a Odorico, figli della fu Gesa da Antraque, l’anno dopo gli stessi livellarono a Moro, figlio di Fisa, a Rovre, un maso delle

 di Alessandro Dalledonne

pertinenze del villaggio di Roncegno”. Protagonisti della storia – ora diventato un volume edito dalla Società di Studi Trentini di Scienze Storiche – Abriano fu Corrado de Antrayque, i podestà di Roncegno Biagio e Arpolino. Siamo nei primi anni del ‘300. Si parla anche di una certa Adeleta, della madre Gesa ma anche del notaio Bartolomeo da Borgo, del collega Oliviero da Levico, di Odorico e Ancio de Antrayque. Ma c’è dell’altro. Come i contratti di locazione e di proprietà a Nicolò da Castelnuovo, signore di Castel Tesobo, e ai suoi fratelli Siccone e Rambaldo. Un “mansu de Antraquis” che nel 1350 veniva così descritto: superficie arativa di 6 campi e un terzo, una “terciana” e prato di 6 opere. Non mancano gli atti di dote e matrimonio delle donne di famiglia: Menega de Ancio, la stessa Adeleta, Angeneaza, e Almengarda. La storia dei mansatores Antraque a Roncegno prosegue, anche se labilmente, fino ai primi del ‘400 per poi scomparire del tutto nel ‘600. Un archivio di famiglia che arriva a Innsbruck.


Tullia Fontana e Liliana Pierotto

ARTE E CREATIVITÀ IN MOSTRA

Nel modo che lo raccontano gli autori, una storia nella storia messa nero su bianco da Sandra Boccher, Emanuele Curzel, Italo Franceschini, con la collaborazione di Marco Stenico, Marco Berlanda, e Matteo Rapanà. Ma dove si trovava il maso di Antraque? Secondo gli autori «su una costa del monte, dove si potevano coltivare cereali, a ovest del torrente Chiavona». In poche parole nella zona sulla quale oggi vi sono il maso Rozza e il maso Colleoni. Un maso “tra le acque” e un maso della “roggia”. Ma un dubbio resta. In una mappa catastale ottocentesca viene indicata l’esistenza di un affluente di destra del Chiavona, a metà strada tra i masi Rozza-Colleoni e l’allineamento Smideri-Vestri-Postai. “Scrivere la storia – si legge nella prefazione del libro – è uno sport di squadra dove la realizzazione più bella non è quella che porta il tuo nome, è l’assist sulla fiducia. Ma a monte di ogni ricerca c’è sempre un maestro”. E quel maestro, in questo caso, è Vitaliano Modena, scomparso il 16 febbraio di tre anni fa, appassionato studioso della storia del suo paese, dei suoi uomini, delle sue donne e del suo lavoro. Alla sua memoria gli autori hanno dedicato il libro “pagine che raccontano di uomini, di donne e di lavoro sulla montagna”. Un mondo in salita, nel maso Antraque, sui monti di Roncegno.

Grande affluenza di visitatori e unanimi consensi ha ottenuto la mostra che si è tenuta a Borgo Valsugana dal 22 dicembre al 7 gennaio 2018 e che ha visto in esposizione le opere di Tullia Fontana (Lula per gli amici) e di Liliana Pierotto. Una mostra significativa e molto apprezzata che nella sua essenza ha evidenziato non solo la particolare e importante maturazione artistica della “nostra” Tullia, ma anche e soprattutto le capacità artistiche delle due pittrici. La prima, Lula, una artista di casa nostra da sempre conosciuta come la pittrice delle “icone”, ha saputo incantare i visitatori con i suoi ”nuovi” quadri frutto, questi, della sua crescente creatività, e grazie ai quali oggi, senza ombra di dubbio, si merita l'appellativo di artista completa e dalla spiccata personalità. Tullia Fontana negli anni ha saputo meravigliarci con i suoi colori e le sue cromie, con i tratti precisi e inconfondibili della sua mano e con i dinamici soggetti, frutto del suo modo di concepire l'arte iconografica. E oggi “Lula” continua a stupirci con i variopinti fiori e con i paesaggi che sprizzano una forma, che seppur atipica, è piacevole a vedersi. La seconda, Liliana, ha esposto un qualcosa che non è facile a vedersi nelle mostre di casa nostra. I suoi, infatti, sono quadri che rappresentano gli animali, elementi e soggetti unici della nostra realtà e del nostro mondo. Animali che sembrano vivi, in continuo movimento che bene si sposano e si fondono con l'armonia di una particolare natura che la nostra artista, dapprima vede nella sua mente e poi, con una indiscutibile manualità disegna e interpreta sulla tela. Tullia e Liliana, un binomio indiscutibilmente vincente che i borghesani e i valsuganotti tutti, certamente avranno ancora modo di apprezzare e di applaudire.

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BENESSERE&SALUTE Rolando Zambelli è titolare dell’Ottica Valsugana con sede a Borgo Valsugana in Piazza Martiri della Resistenza. È Ottico, Optometrista e Contattologo.

 di Rolando Zambelli

CORRETTO UTILIZZO delle LENTI a CONTATTO MORBIDE Le lenti a contatto (LaC), in base ai materiali con cui vengono prodotte, si possono suddividere in due categorie: lenti a contatto rigide gaspermeabili e lenti a contatto morbide. Le LaC morbide si dividono in due grandi famiglie a seconda dei materiali (polimeri) con cui vengono costruite, LaC in Idrogel e LaC in Silicone Idrogel. Si possono suddividere anche in base alla tipologia di porto: monouso o a ricambio frequente (settimanali, quindicinali, mensili, trimestrali, semestrali e annuali). È importante seguire le indicazioni che il contattologo in sede di applicazione spiega, il portatore deve attenersi a queste regole di igiene e manutenzione per ottenere il meglio dalle LaC usandole in modo efficace e sicuro. Metodologia per un utilizzo efficace e sicuro delle LaC morbide: • Prima di applicare la LaC DEVI lavarti ed asciugarti accuratamente le mani • NON usare l’acqua per pulire le LaC • Per le LaC a ricambio frequente, dopo ogni utilizzo, pulisci (strofinando la lente con la soluzione unica consigliata dal contattologo

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sul palmo della mano), disinfetta, risciacqua e conserva nella soluzione consigliata Le LaC monouso (o giornaliera) dopo ogni utilizzo DEVONO essere gettate. Richiudere sempre il flacone della soluzione conservante Dopo ogni utilizzo il portalenti deve essere svuotato (non lasciare la soluzione e riutilizzarla), dev’essere pulito (NON con l’acqua, ma con la soluzione di manutenzione delle LaC) e poi asciugato. Il contenitore DEVE essere sostituito una volta al mese Utilizza le LaC per il tempo per cui sono indicate (una settimana, 15 giorni, un mese, . . . ) e per il tempo che il contattologo consiglia (es: solo qualche ora al giorno) Applica le LaC prima di truccarti e rimuovile prima di struccarti NON usare le LaC nel mare o in piscina (oppure indossa gli occhialini da nuoto e poi getta via le lenti) NON dormire con le LaC, a meno che non siano lenti apposite Le LaC e le soluzione di manutenzioni sono state scelte apposita-

mente per te: non cambiare tipo senza aver prima consultato il tuo applicatore. • In caso di fastidio, arrossamento o altri disturbi NON applicare le LaC, contatta immediatamente il tuo contattologo e/o rivolgiti al medico oculista. È importante che il portatore verifichi periodicamente con il contattologo che la soluzione di manutenzione e le lenti stesse continuino ad essere le più idonee, vanno quindi effettuate visite di controllo periodiche per evitare qualunque possibile complicanza.

Fonti: SOPTI (Società Optometrica Italiana) Assottica


LE INIZIATIVE NORMATIVE PER LA SUA RIDUZIONE

Plastica

quanto mi costi  di Silvia Tarter

I

l 2018 si è aperto con l’introduzione obbligatoria dei sacchetti biodegradabili e compostabili nel reparto ortofrutticolo dei supermercati (estesa poi anche alle farmacie). Novità normativa che ha suscitato da più parti reazioni più o meno contrarie, sia per motivi più o meno maliziosi legati all’azienda produttrice di questi sacchetti, ma sopratutto per via del fatto che i famosi sacchetti sono a pagamento (tra l’1 e i 3 centesimi di euro l’uno per un costo totale di una decina o poco più di euro l’anno), il cui costo va riportato sullo scontrino. Cosa questa ritenuta fastidiosa al punto che in molti hanno cercato alternative, come pesare singolarmente i pezzi di frutta e verdura o, addirittura orientarsi verso l’acquisto di prodotti ortofrutticoli già confezionati (che poi smaltiamo comunque nei nostri rifiuti domestici), o ancora preferire il fruttivendolo, dove i prodotti vengono solitamente confezionati in sacchetti di carta. Questa norma, magari non perfetta (andrebbe considerato ad esempio anche un discorso di smal-

timento delle etichette applicate sui sacchetti, ad ora non biodegradabili) è nata comunque con l’intento di contrastare l’enorme diffusione di rifiuti in plastica, che rappresenta un problema fortemente impattante soprattutto per i nostri mari dove finisce la maggior parte del rifiuto in plastica; si pensi a tal proposito che se la tendenza di dispersione del rifiuto in plastica continuerà allo stesso ritmo odierno, nel 2050 avremo più plastica che pesci a popolare i nostri mari ed oceani! A questo provvedimento si accompagnano altri risultati, che hanno inaugurato questo 2018, come un anno, si potrebbe dire, all’insegna della battaglia alla plastica. Nel dicembre scorso infatti, è stato approvato un emendamento nella finanziaria dove dal 2019 si mette a bando la commercializzazione di cotton fioc non biodegradabili (e si provvederà a sensibilizzare su un loro corretto smaltimento, evitando la dispersione nello scarico del water) e dal 2020 si introduce il divieto di utilizzo di microplastiche nei cosmetici. I cotton fioc infatti sono tra i rifiuti più impattanti che affliggono le nostre spiagge e i nostri mari, basti pensare che, stando ai dati diffusi da Legambiente, il 91% dei rifiuti trovati su un campione di spiagge analizzate sarebbe rappresentato proprio da cotton fioc. L’altra misura riguarda invece appunto l’eliminazione delle microplastiche, le minuscole particelle di plastica contenute in dentifrici, cosmetici..., tanto piccole quanto difficili da individuare anche nei sistemi di filtraggio degli impianti di de-

purazione. Se ne trovano, infatti, anche nel corpo dei pesci, quegli stessi pesci che poi finiscono sulle nostre tavole all’insegna della tanto decantata dieta mediterranea. Si sono mossi quindi dei passi importanti con l’approvazione di queste leggi, ma di certo non ci si può fermare qui: vi sono molte altre aree di intervento su cui operare, per non lasciare cadere l’attenzione su questo tema urgente qual è l’inquinamento causato dalla plastica. L’Associazione Marevivo, che ha condotto per anni la battaglia alle microplastiche, porta alla luce ad esempio anche il problema dell’inquinamento causato dalle fibre dei nostri abiti, che ad ogni lavaggo in lavatrice espellono dai tessuti sintetici circa 700.00 microfibre di plastica che inevitabilmente finiscono in mare. Insomma, il 2018 ha visto un buon inizio, ma ripeto, è solo un inizio, per poter compiere altri passi in tal senso senza lasciarsi intimorire da questioni come i costi minimi, quando si hanno di fronte problemi di costi, in termini di salute umana e ambientale, decisamente più voluminosi.

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Come Eravamo

50esimo di Fondazione del Corpo Pompieri di Scurelle

Il vecchio Hotel Legno

Entrata a Borgo Vecchio

Inaugurazione Capitello di Don Cesare


Gli alimenti per celiaci D

a sempre si afferma che una dieta equilibrata e sana è il vero punto di partenza per il benessere fisico e mentale. Principio questo che indubbiamente vale anche per coloro i quali sono affetti da celiachia, una particolare intolleranza alimentare che proibisce la nutrizione con tutti i cibi che contengono glutine.

Secondo recentissimi studi tutti gli alimenti che sono usati nella dieta di un celiaco sono, normalmente, più sani e più controllati rispetto a quelli che di solito consuma una persona che non presenta questi problemi .Ed è ormai documentato che gli alimenti senza glutine sono in grado di fornire tutte le energie che il corpo necessita, anche in quelle persone che praticano un lavoro faticoso. Condizione essenziale, però, è e deve essere la metodologia di preparazione. Ecco perché tutti i produttori di alimenti per celiaci si attengono scrupolosamente a fasi di lavorazione molto più accurate rispetto quelle richieste nella pre-

parazione dei classici prodotti. In più tutti gli alimenti devono sempre elencare, nelle varie etichette, gli ingredienti presenti in modo da permettere al consumatore di operare una scelta certa e sicura. Anni fa i prodotti per celiaci esposti nei vari scaffali non presentavano un vasto e completo assortimento, ma oggi, grazie alla nuova ricerca e applicazione tecnica, anche il celiaco può utilizzare un’infinità di alimenti “per tutti i gusti e palati”. In questi ultimi tempi nei vari negozi si trovano infatti prodotti freschi, surgelati, da frigo, pizze, piatti pronti e altre specialità in grado di soddisfare ogni particolare esigenza E’ utile anche ricordare che tutti gli alimenti per celiaci sono erogabili dall’Azienda Sanitaria secondo le vigenti normative.

ALIMENTI PER CELIACHIA

SENZA GLUTINE

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Vendita al dettaglio di prodotti senza glutine erogabili dal SSN (Servizio Sanitario Nazionale) confezionati, secco, surgelato... e pasta fresca stabilizzata Farabella con cottura 2/3 minuti

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Che tempo che fa  a cura di Giampaolo Rizzonelli

LE NEVICATE DELL’AUTUNNO INVERNO 2017/2018 Il raro episodio di gelicidio dell’11 dicembre 2017. Perché a Trento era rimasta la neve al suolo e a Levico si erano sciolti 20 cm in poche ore?

I

niziamo col dire che dal punto di vista meteorologico l’autunno 2017 e l’inverno 2017/2018 (il primo termina il 30 novembre, il secondo inizia il 1° dicembre) si sono rispettivamente chiusi e aperti in maniera diametralmente opposta a quelli del 2016/2017, caratterizzati dalla quasi totale assenza di precipitazioni, in particolare finalmente si è rivista la neve non solo in montagna ma anche in fondovalle. Per quanto riguarda Levico Terme si sono rilevati 7 giorni nevosi, ovvero, il 29 novembre con 3 cm di neve caduti, il 30 novembre con 4 cm, in dicembre, il 10 con 10 cm, l’11 con 15 cm, il 27 con 1 cm, il 28 con 2 cm, e il 1 gennaio con 8 cm. Il peggioramento avvenuto tra il 10 e l’11 dicembre è stato dal punto di vista meteorologico “didatticamente” molto interessante e alquanto raro. I giorni precedenti alla perturbazione, arrivata domenica 10 dicembre sulla nostra Provincia, sono stati caratterizzati da temperature molto basse, inferiori alla media a tutte le quote, quel giorno è stata una ormai rara giornata di “ghiaccio” (giorno in cui la temperatura non sale sopra gli 0 °C nelle 24 ore) in gran parte della Provincia, anche a Levico Terme dove gli estremi (minima e massima) sono stati rispettivamente di -6,4 °C e -1,9 °C. Con l’arrivo della perturbazione le correnti in quota hanno iniziato a disporsi da Ovest, cariche di umidità ma anche

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di calore. In montagna ha iniziato a spirare il libeccio, le temperature hanno iniziato inesorabilmente a salire dapprima in montagna e poi anche nei fondovalle, ma la Val d’Adige rispetto alla Valsugana ha tenuto molto bene grazie ad un consistente “cuscino di aria fredda”.

tino, abbiano guardato il termometro e si siano stupiti di veder piovere con 2°C. In quota la neve si trasformava in acqua e scendendo verso il basso andava a incontrare aria più fredda e si ricongelava sia in aria o a contatto con il terreno o la neve (gelicidio/pioggia congelantesi).

AUMENTO DELLA TEMPERATURA Qui di seguito sono riportati alcuni grafici che analizzano l’andamento della temperatura tra le ore 00 del 10 dicembre e le 24 dell’11 dicembre. L’aumento è stato repentino e più marcato soprattutto nelle stazioni di montagna. Per esempio al Compet/Panarotta l’aumento è stato di 13 °C. Se poi si considerano i valori minimi registrati il giorno 10 dicembre confrontati con quelli massimi rilevati l’11 dicembre, in molte stazioni le variazioni sono ancora più marcate

SCIOGLIMENTO DELLA NEVE La sorpresa, in Valsugana e non solo, martedì 12 dicembre è stata forte, in pratica la neve caduta (in totale a Levico erano caduti 25 cm di neve e domenica sera al suolo c’erano ancora 20 cm di neve) è stata sciolta in una notte, perché? La colpa è ovviamente della pioggia e delle temperature elevate, ma perché a Trento ha resistito di più e la neve al suolo è rimasta per diverse settimane? (vedi foto a confronto tra Val d’Adige e Valsugana), semplicemente perché a Trento nella giornata di lunedì 11 dicembre e nella notte di martedì 12 dicembe è piovuto con temperature anche di 6 °C inferiori a quelle registrate a Levico Terme (come evidenziato nella fig. 1 ), a Levico alle ore 24.00 dell’11/12 pioveva con +7,1°C a Trento con +0,5°C al Compet sopra Levico con +4,6°C.

GELICIDIO Per dimostrare quanto sia stato repentino l’aumento della temperatura in montagna, qui di seguito riportiamo l’ora in cui le stazioni sono passate in temperatura positiva il giorno 11 dicembre In pratica in montagna a quote comprese tra i 1400 e i 1500 metri la temperatura già prima dell’alba era positiva mentre in fondovalle le temperature erano ancora intorno ai 2°C. Questo spiega perché al risveglio molti abitanti di Levico Terme, della Valsugana e di gran parte del Tren-


Fig. 1: Temperature alle ore 00 del 10/12 e alle ore 24.00 dell’11/12

ALTITUDINE

TEMPERATURA ORE 00 DEL 10/12

TEMPERATURA ORE 24 DEL 11/12

AUMENTO DI TEMPERATURA

TRENTO*

194 m.

-3,4°C

+0,5°C

+3,9°C

LEVICO TERME

490 m.

-3,0°C

+7,1°C

+10,1°C

COMPET (VETRIOLO)

1390 m.

-8,5°C

+4,6°C

+13,1°C

VIOTE MONTE BONDONE*

1490 m.

-11,7°C

+4,2°C

+15,9°C

PASSO MANGHEN*

2035 m.

-10,1°C

+0,1°C

+10,2°C

PAGANELLA*

2125 m.

-12,6°C

-0,1°C

+12,7°C

CIMA PRESENA

3015 m.

-18,6°C

-4,7°C

+13,9°C

STAZIONI METEO

Fig. 2: Temperature minime del 10/12 e massime dell’11/12

TRENTO*

194 m.

TEMPERATURA MIN 10/12 -6,8°C

LEVICO TERME

490 m.

-6,0°C

+7,5°C

+13,5°C

COMPET (VETRIOLO)

1390 m.

-8,95°C

+4,6°C

+13,5°C

VIOTE MONTE BONDONE*

1490 m.

-12,3°C

+4,3°C

+16,6°C

PASSO MANGHEN*

2035 m.

-11,2°C

+0,1°C

+11,3°C

PAGANELLA*

2125 m.

-13,4°C

-0,1°C

+13,5°C

CIMA PRESENA

3015 m.

-18,6°C

-4,7°C

+13,9°C

STAZIONI METEO

ALTITUDINE

TEMPERATURA MAX 11/12 +0,5°C

AUMENTO DI TEMPERATURA +7,3°C

Fig. 3 Andamento temperatura 10/11 dicembre, confronto Levico Terme Trento

Fig. 4: Orario in cui la temperatura è salita sopra 0°C

TRENTO*

194 m.

ORA IN CUI LA TEMPERATURA È SALITA SOPRA 0°C 13.30

LEVICO TERME

490 m.

09.30

COMPET (VETRIOLO)

1390 m.

05.30

VIOTE MONTE BONDONE*

1490 m.

04.45

STAZIONI METEO

ALTITUDINE

Elaborazioni di Giampaolo Rizzonelli con dati delle proprie stazioni meteo di Levico Terme e Compet e con stazioni meteo della Provincia Autonoma di Trento – Meteotrentino per le stazioni di Trento, Viote, Passo del Manghen, Paganella e Cima Presena.

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o d n a l l e r e h c o i G FATTO?

Cristini io iz r u a M a cura di

NO N A H NE I F E H C

Ognuno dei famosi personaggi sotto elencati, ha terminato la sua esistenza in uno dei modi che viene proposto: riportate la lettera che lo individua nella colonna a destra, dove, se le risposte saranno esatte, potrete leggere il nome di un altro famoso personaggio passato alla storia dopo il suo assassinio. RISPOSTE 1) … la spia Mata Hari? Impiccata (V) ; Fucilata (R) ; Avvelenata (T) 2) … il personaggio letterario Bertoldo? Di duoli per non poter mangiar rape e fagiuoli (A); Bastonato all'osteria (E); Annegato nella minestra (I) 3) … Alberto Sordi nel Film “Il vedovo”? Per una mangiata a crepapelle (D); Precipitando nella tromba dell'ascensore (S); Cadendo da un tetto (R) 4) … il patriota Nino Bixio? Cadendo da cavallo (E); In un incendio (T); Di colera (P) 5) … la danzatrice americana Isadora Duncan? Di tubercolosi (O); Strangolata (U); Cadendo in mare (E) 6) … il leggendario Lawrence d'Arabia? In un incidente motociclistico (T); Preso nelle sabbie mobili (N); Giustiziato dai Turchi (C) 7) … il calciatore della Lazio Luciano Re Cecconi? Per la puntura di un insetto esotico (A); Durante una finta rapina (I); In un disastro aereo (U) 8) … Tosca, nell'omonima opera di Puccini? Giustiziata dalle guardie papali (F); Annegata nel Tevere (G); Buttandosi da Castel Sant'Angelo (N)

......

...... A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il nome del Patrono che si festeggia ad Ospedaletto, in Valsugana, a settembre.

......

ORIZZONTALI: 1. Ornata da due cavalli, sorge al centro di Piazza Venezia a Trento - 8. La città russa sul Mar Nero che ha ospitato le Olimpiadi Invernali nel 2014 - 12. Precise, corrette - 13. A volte, passano nell'attesa - 15. Urti... senza fine! - 16. La Valle trentina percorsa dal Noce - 18. La provincia con l'Aspromonte (sigla) - 20. Una famosa trasmissione di cabaret trasmessa in TV - 23. La sigla della mountain bike - 25. Il musicista di Salisburgo - 27. Il verbo più breve! - 29. Le vocali nei belati - 31. Cani di grossa taglia - 32. Gigantesco struzzo estinto da meno di due secoli - 33. L'emisfero australe - 34. Varietà di aironi presenti in Italia - 36. La raccolta che permette al Trentino di essere ai primi posti in Italia nel recupero dei rifiuti - 40. Avere astio e rancore verso qualcuno 41. La fine dei guai - 42. Il più famoso De' Tali! - 43. Fare venire la pelle d'oca - 46. Noia senza fine! - 47. Un famoso esploratore polare americano - 48. Gruppo Sportivo - 49. Io... in altro modo - 50. Romano Prodi ne fu Presidente dal 1982 al 1989 - 52. La sigla che identifica l'Associazione degli Albergatori Trentini - 54. Un oggetto da tempo scomparso dalle aule scolastiche - 55. La sigla dell'Agenzia responsabile del Programma spaziale negli USA.

...... ...... ......

......

VERTICALI: 1. Sono opposti sulla bussola - 3. Casa automobilistica produttrice della Prinz e della Ro 80 - 4. Era detto l'uomo scimmia - 5. Lo sono gli insetti privi di ali - 6. Non Trasferibile - 7. Antichi cantori greci - 8. In Giappone significa “signore” - 9. Messe in dubbio, avversate - 10. La targa internazionale della Croazia - 11. Famosa Scuola milanese di design (sigla) - 14. Il nome del famoso generale Diaz - 17. Marca di piccoli camion degli anni '50 - 19. C'è quel di Nava e quel di Tenda 21. In mezzo alle coltri - 22. Lavora all'edicola - 24. Tipica maschera veneziana, bianca o nera 26. Pietra preziosa di elevata durezza - 28. Depredar, far man bassa - 30. Sogna utopie - 32. Il nome della famosa attrice West - 34. Mangiatoia per ovini - 35. Esercito Italiano - 37. Adeguata, adatta - 38. Una bianca polvere - 39. Cura le Edizioni della RAI (sigla) - 44. Un giorno passato 45. La Air irlandese dei voli low cost - 48. In cucina esce dai becchi - 49. Macerata sull'auto - 53. L'attore che negli anni '90 pubblicizzava un gelato con la battuta in inglese maccheronico “Du gust is megl che uan” (iniz.).

......

SOLUZIONI NR. DI NOVEMBRE 2017 CRUCI... TRENTINO GENERALE MEDICI

Il numero di febbraio di Valsugana News è stato chiuso il 2 febbraio 2018

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