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In controluce: non ci indurre in..confusione

In controluce di Franco Zadra

Non ci indurre in...CONFUSIONE

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Dopo il titolo dell'enciclica di Papa Francesco di ottobre scorso, “Fratelli tutti”, che come vi si legge nell'incipit è quanto «scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo», non ci si sarebbe mai aspettati quanto invece è accaduto all'uso liturgico e pastorale del termine “fratelli”, per il papa e per San Francesco – come nell'uso abituale che se ne faceva prima dell'enciclica – è inteso in senso universale, classificato come “neutro” allo stesso modo di “cittadino” o per la maggior parte delle designazioni di cariche pubbliche, soprattutto al plurale, come “sindaci”, “insegnanti”, “medici”, ecc... Alle messe, per esempio, sono comparse formule rituali che includono un “e sorelle” che se non altro rompe quel bel ritmo del recitato al quale si era abituati, dando forse troppo per scontato che tutti sapessero del carattere inclusivo del termine “fratelli”. Stessa cosa se ci mettiamo ad ascoltare la recita di compieta di Radio Maria... «supplico la beata sempre vergine Maria, gli angeli, i santi e voi fratelli e sorelle, di pregare per me il Signore Dio nostro», dove al proposito “angeli” e “santi” non sono sdoppiati in “angele” e “sante”, e pazienza per “angeli” che come tutti suppongono da sempre non dovrebbero avere sesso – anche se in questo caso non si capisce il perché si dovrebbe continuare a privilegiare il termine maschile, data la impenitente ignoranza nella quale ci crogioliamo rispetto al genere grammaticale neutro del latino dal quale l'italiano discende in linea diretta -, ma di sante ce ne sono forse più che santi e stupisce che non si sia ancora sollevato per queste un qualche orgoglio (orgoglia?) femminista che le pretenderebbe almeno citate nella stessa formula che ha incluso le sorelle. Per carità, si tratta di un dettaglio che non intacca minimamente il credo cattolico e la fede operosa delle comunità cristiane, e ne parliamo più per intrattenere i lettori che per una vera indignazione, ma sorprendo come certe “innovazioni” linguistiche passino senza colpo ferire conquistando spazi che nemmeno esistevano, o avevano motivo di esistere. Poi il motivo si è trovato, ma a noi pare del tutto ideologico e pretestuoso, figlio di quel pensiero debole che, sembrava ma, non è ancora tramontato. Più comprensibile la modifica del Padre Nostro, voluta da Papa Francesco, che non ci fa più recitare «non indurci in tentazione», ma «non abbandonarci alla tentazione» e ha inserito un «anche» per dire «...come anche noi li rimettiamo», però il fatto che il testo latino sia rimasto lo stesso di prima, la dice lunga su quanto si tratti ancora di ignoranza o, che è peggio, per riprendere un testo del cantautore Claudio Chieffo, di «anime nane che ripetono i gesti e non sanno capire». D’accordo che nella Vulgata latina si legge «ne inducas nos in tentationem», in cui il soggetto sottinteso è un Dio simile a quello di Giobbe che permette che questi sia sottoposto a prove terribili al fine di verificare se la sua fede religiosa sia davvero autentica, ma quella latina era una cattiva traduzione del testo greco, che diceva «kài mé eisenènkes hemàs eis peirasmòn», cioè «non permettere che noi, non superando la prova, cadiamo a capofitto in tentazione» (finendo nelle mani del maligno). Il soggetto della tentazione qui è l'uomo, non Dio. Per finire, il testo ebraico originale, da cui quella preghiera in greco e in latino proviene, era ancora diverso: «non indurci nella mano del nemico», cioè non farci tradire la nostra causa, aiutaci a non arrenderci al nemico.

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