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Società oggi: la bellezza salverà il mondo
Società oggi di Caterina Michieletto
La bellezza salverà il mondo
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Periferie, sobborghi, quartieri dormitorio, cambia l’etichetta attribuita a questi luoghi, ma la sostanza rimane la stessa: zone esterne che costellano le città e che assorbono come catalizzatori tutte le forme in cui devianza e criminalità si manifestano, tutti i segnali inequivocabili del degrado e dell’abbandono, tutte le disfunzioni sociali ed economiche che sono costantemente sotto i riflettori mediatici e che trovano nella disoccupazione, nella dispersione scolastica, nella carenza di una rete di assistenza sociale, nelle occupazioni abusive le loro più vistose espressioni. Quarto Oggiaro a Milano, San Basilio a Roma, Scampia a Napoli, sono alcune delle icone di queste realtà di criticità sociale ed emergenza economica fossilizzate da Nord a Sud del nostro Paese. In questi posti ai confini la vita non vale niente, stracciata dall’illegalità che se prima si subisce poi si è costretti a condividere e difendere. In questi luoghi non si
vive, si sopravvive, perché quella vita regolare e consueta spesso talvolta scontata che fuori da determinate periferie è la norma, all’interno di queste situazioni di marginalità è una speranza, un sogno che alcuni riescono a coltivare e realizzare, non senza sforzi e ostacoli, e altri restano a rimirare come un orizzonte che si allontana quanto più ci si avvicina ad esso. Racchiudere in un contenitore tutte le cause e concause, responsabilità e connivenze di un problema così complesso è un’operazione quanto mai delicata e spinosa, ma che essenzialmente può essere ricondotta a questa constatazione: il disordine esterno diventa disordine interno. Quando una persona della periferia si affaccia alla finestra quello che vede è essenzialmente anarchia: degrado urbanistico, edifici pericolanti e fatiscenti, incuria e abbandono del territorio, nulla da cui potersi sentire spinti verso un modo di vivere onesto, equo ed edificante. Un ambiente che è terreno fertile per imboccare la strada delle trasgressioni distruttive che iniziano con la droga ed in crescendo passano attraverso reati bagatellari per culminare con reati violenti. L’illega-
lità è talmente radicata nel DNA di questi luoghi al punto da non essere un’opzione ma un vero e proprio obbligo e chi non firma questo “contratto” è destinato ad essere vittima di questo sistema irregolare ed improntato ala logica della prevaricazione. La vita in questi luoghi è guerra: non si esistono le regole, si ritorna a quello che T. Hobbes, filosofo del XVI sec., chiamava “stato di natura”, dove “la guerra è di tutti contro tutti”, dove “ogni uomo è lupo per l’altro uomo”. L’assenza dello Stato è abissale: le istituzioni annualmente inseriscono
Società oggi
la questione “periferie” nelle rispettive agende di governo, regalano promesse e obiettivi che rimangono stampati su carta; nel frattempo l’insoddisfazione, il malcontento ed il disagio si acuiscono e la distanza tra lo Stato e questa parte dei suoi cittadini diventa una voragine che separa sempre di più i due mondi. Se lo Stato non si adopera per realizzare un’eguaglianza sostanziale nella comunità (art. 3 Cost. “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”), se il lavoro non è più diritto (art. 4 Cost.) se la scuola non è vicina soprattutto a quelle infanzie e quelle adolescenze difficili della periferia, il fisiologico sbocco è la formazione di sacche di povertà: povertà economica causata dalla disoccupazione e povertà culturale con il fenomeno della dispersione scolastica e dell’analfabetismo di ritorno. In tutta questa atmosfera di disfatta e di resa c’è chi lotta per cambiare il sistema, lotta per interrompere questo circolo vizioso e con dedizione e coraggio crea all’interno delle periferie centri di aggregazione per bambine e bambini, ragazze e ragazzi, dove coltivare passioni, interessi, svolgere attività ricreative e di inclusione sociale. Vere e proprie oasi di felicità, di riscatto, di gioia di vivere e che rappresentano quell’alternativa che altrimenti sarebbe negata in origine a chi nasce in queste realtà. L’iniziativa del privato può fare molto ma non sostituirsi all’intervento pubblico che in questa operazione di recupero delle periferie dovrebbe collocarsi in prima linea. Dunque, da dove ripartire per costruire delle nuove periferie? Districare il nodo della disoccupazione attraverso delle politiche non “del lavoro”, ma “per il lavoro”. Quel sussidio che nel breve termine può far sopravvivere, nel lungo termine non dà futuro, non dà quella certezza e non dà quella sicurezza di cui una persona, sia come singolo sia come membro di una famiglia, ha bisogno. L’operosità e la creatività del lavoro manuale ed intellettuale sono la chiave di volta della felicità: non a caso la parola “felicità” richiama nella sua radice greca “fe” il significato di abbondanza, fertilità, produttività, proprio perché è nello slancio vitale a generare, nell’energia che deriva dall’essere attivi ed artefici della propria esistenza che la persona trova quella sensazione di pienezza e di benessere insita nel sentimento della felicità. Se il disordine esterno alimenta il disordine interno alla persona, allora dare una nuova veste a queste aree, la veste dell’ordine e della cura per l’ambiente in cui si vive, sarà il primo passo verso una rinascita di questi luoghi e soprattutto delle persone che ci vivono. L’importanza del fattore “ambiente esterno” non è affatto secondaria: l’ambiente in cui viviamo, il circuito di
relazioni famigliari e sociali che si muovono in questo ambiente ha la potente capacità di influenzare il nostro modo di essere, il nostro atteggiamento rispetto alla vita, il nostro approccio alle difficoltà individuali e alle problematiche collettive. Costruire un ambiente ordinato, strutturato e organizzato con servizi ed infrastrutture significa costruire “un ponte” con queste realtà esterne ai centri urbani ed integrarle nello Stato-comunità, significa generare coesione e solidarietà sociale. Coltivare la bellezza di questi luoghi mai valorizzati e rimasti nella penombra delle città per migliorare la qualità della vita presente e per investire nel futuro di chi verrà. Come affermava Dostoevskij nel romanzo “L’Idiota”: “La bellezza salverà il mondo”.