LA CROCE ROSSA ITALIANA LE BANDIERE BLU
BLUE WHALE IL GIOCO DELLA MORTE
EDITORIALE
Gli Usa escono dal trattato di Parigi G
iugno si è aperto con la notizia, peraltro già annunciata, del ritiro di Trump dagli accordi di Parigi, il trattato firmato da 195 nazioni più Ue nel 2015, per impegnarsi a ridurre le emissioni di gas serra, e riuscire a contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2° rispetto all’era preindustriale. Un annuncio questo che ha immediatamente sollevato indignazione in tutto il mondo, dai leader europei- in primis Germania, Italia, Francia- che hanno affermato come l’accordo non sia rinegoziabile, alla Cina. E le critiche di Papa Francesco, di Obama, di Monsignor Marcelo Sanchez Sorondo e di tutti i premier firmatari del trattato sono state unanimi nel condannare la presa di posizione del presidente Usa. Gli Stati Uniti sono il secondo paese al mondo a produrre emissioni di gas serra, con il 15% del totale delle emissioni a livello globale, dopo Cina (29%) e prima dell’Unione Europea (10%). L’accordo di Parigi aveva come obiettivo la riduzione del 26-28% del totale delle emissioni, ma in assenza degli Stati Uniti, il cui impegno prevedeva una riduzione del 21% delle proprie emissioni, quest’obiettivo già di per sè labile vista l’assenza di reali vincoli nel trattato, sarà ancora più difficile da raggiungere. Altra decisione della mossa di Trump è poi l’immediato ritiro dal finanziamento del Green Climate
di Silvia Tarter
Fund dell’ONU, ovvero il fondo per sostenere provvedimenti per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico, a cui gli americani avevano stabilito di destinare 3 miliardi di dollari. Numeri elevati, certo. La giustificazione per il ritiro data dal presidente è infatti meramente economica: l’accordo di Parigi, in sostanza, è svantaggioso per l’economia statunitense e per i lavoratori americani e il fondo troppo oneroso. Un ragionamento di valore monetario questo, che è proprio di quello che potrebbe fare un imprenditore che non sa guardare al di là della merà imminenza, non riuscendo a cogliere l’opportunità di un cambiamento, che includerebbe un valore ben più ampio di quello strettamente economico, ma anche etico, di condivisione e cooperazione verso un obiettivo comune. Senza contare poi che comunque, la sostenibilità non è affatto in contraddizione con l’economia. La Green Economy ne è una prova, con numeri (solo per dirne uno in Italia riguarda il 13,2% degli occupati dal 2010 a oggi) che parlano: non sono ipotesi teoriche a cui si può credere o meno, ma rappresentano posti di lavoro, stipendi, motivazione, valore, felicità. Molto ma molto di più di un mero e mediocre convincimento che deriva da uno strenuo attaccamento al denaro, che però a quanto pare, ha vinto anche stavolta.
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IL SOMMARIO Editoriale.......................................................... 3 La Madonna di Fatima ..................................... 18 Populismo e populisti....................................... 20 L’intervista: Edoardo Geat................................ 22 Autonomia, Regione, Provincia ......................... 25 Intervista Impossibile ...................................... 26 AGIRE. La prima assemblea provinciale ............ 28 I vaccini diventano obbligatori.......................... 31 Nancy Tarazona .............................................. 32 Il libro Mein Kampf.......................................... 34 Italiani: popolo di non lettori............................ 36 La Biennale di Venezia..................................... 38 Blu Whale: il gioco della morte......................... 40 Musica live in piscina ....................................... 43 Guardiani all’ombra dei boschi.......................... 44 Roncegno Terme............................................. 46 Borgo: un centro di ascolto per la demenza ...... 48 AIL: Trentino ONLUS ....................................... 49 Bandiere Blu 2017........................................... 50 Caldonazzo e la funivia .................................... 52 Impara l’arte e metela da parte........................ 53 La cineteca audio per ciechi ............................. 54 Le cronache.................................................... 55 Simposio scultura e cronache........................... 55 In principio era la Danza.................................. 56 Doniamo il 5x1000 al WFP - Italia .................... 58 Il riparo Dalmeri.............................................. 59 Acquistiamo il Castello di Pergine ..................... 60 La vecchia teleferica........................................ 61 Castel Ivano ................................................... 62 Le cronache.................................................... 63 Il Ristorante GILDA ......................................... 64 Come difenderci dalle telefonate ...................... 65 Il Servizio sanitario nazionale ........................... 66 Moda estate ................................................... 68 L’abbandono degli animali................................ 69 Psicologia & Salute.......................................... 70 Meteorologia .................................................. 72 Il Lago di Erdemolo ......................................... 74 I vini di casa nostra......................................... 75 I vigneti della Valsugana.................................. 76 I consigli di Carla ............................................ 78
SPECIALE croce rossa
La Croce Rossa..................... 7 I principi............................... 9 La Croce Rossa in Trentino.. 11 I volontari .......................... 12 Il comitato provinciale della CRI ............................ 14 Salvare la vita ai bambini .. 17
ANNO 3 - GIUGNO 2017 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munao’ - 333 2815103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Franco Zadra COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser - Silvia Tarter COLLABORATORI Roberto Paccher - Luisa Bortolotti - Elisa Corni Erica Zanghellini - Francesco Cantarella Francesca Gottardi - Veronica Gianello Maurizio Cristini - Alice Rovati - Daniele Spena Alessandro Dalledonne - Mario Pacher - Franco Zadra Laura Fratini - Francesca Schraffl - Sabrina Mottes Chiara Paoli - Tiziana Margoni - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover Giampaolo Rizzonelli CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE Edizione Printed srl Viale Vicenza, 1 - Borgo Valsugana IMPAGINAZIONE, GRAFICA Grafiche Futura STAMPA Grafiche Futura PER LA PUBBLICITÀ SU VALSUGANA NEWS info@valsugananews.com www.valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright EDIZIONI PRINTED e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a EDIZIONI PRINTED, le loro pubblicità, le loro immagini i loro testi o articoli. Per quanto sopra EDIZIONI PRINTED si riserva il diritto di adire le vie legali per di tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.
UNA CROCE ROSSA PER UN’UNICA UMANITà
di Silvia Tarter
Una croce rossa su fondo bianco, circondata da due cerchi dove è riportata la scritta: CONVENZIONE DI GINEVRA 22 AGOSTO 1864. Un simbolo che è emblema universale, riconosciuto in tutto il mondo, di umanità, soccorso, volontarietà e neutralità. La Croce Rossa è la più grande organizzazione umanitaria del mondo, nata in origine in Europa, dall’esigenza di portare soccorso senza discriminazioni sul campo di battaglia, ed estesa poi negli anni a tutti i continenti, dove ha attirato e attira a sè un numero sempre crescente di operatori e di volontari, che si prestano per prevenire le sofferenze e portare il loro aiuto dovunque sia richiesto.
Henry Dunant
LA STORIA La nascita della Croce Rossa la si deve a Jean Henry Dunant (1828-1910), uno svizzero, all’epoca giovane, che si trovò nei pressi nella battaglia di Solferino, uno degli scontri più sanguinosi della seconda guerra d’indipendenza italiana. Il 24 giugno del 1859 nelle colline Sud del Lago di Garda, tra San Martino e Solferino ci fu infatti una terribile strage: oltre 300.000 soldati, degli eserciti francese, austriaco e sardo-piemontese, si combatterono, provocando 100.000 vittime tra morti e feriti. Alcuni dei feriti vennero immediatamente portati nel vicino paese di Castiglione delle Stiviere, dove esisteva un ospedale. Dunant si trovava in quei giorni proprio a Castiglione poiché sperava di incontrare
l’imperatore Napoleone III per affari privati. Rimase quindi profondamente sconvolto dall’assistere a una simile carneficina, tanto che decise di scrivere un libro che venne intitolato “Un Souvernir de Solferin”. Il testo ebbe molta risonanza e fu tradotto in più di 20 lingue diverse. Riflettendo sull’episodio, Dunant, che era cresciuto in una famiglia molto devota alla fede calvinista e da sempre attiva nel sociale, iniziò a pensare di formare un gruppo di infermieri volontari che potessero essere sempre pronti ad intervenire in aiuto alla sanità militare. La Società di Ginevra per il benessere pubblico accolse la sua proposta e così, nell’autunno del 1863 alla Conferenza internazionale preliminare di Ginevra venne creato un comi-
tato di persone, rappresentanti delle Società Nazionali di una neonata istituzione: la Croce Rossa. Fondata come istituzione umanitaria di guerra, diventerà poi un’associazione umanitaria universalistica sia in tempo di guerra che di pace. L’anno successivo il 22 agosto 1864, sempre a Ginevra venne firmata dai membri di 12 diversi paesi la Prima Convenzione di Ginevra, un trattato che nasceva con l’obiettivo di salvare le vite e alleviare la sofferenza dei militari, oltre che di proteggere i civili, dove veniva sancita la neutralità delle strutture e del personale sanitario. In questo documento fu deciso anche l’emblema che avrebbe rappresentato l’Associazione: una croce rossa su sfondo bianco, in onore della Confederazione Elvetica, il paese ospitante, ma con i colori invertiti. Il simbolo voleva inoltre veicolare il principio di neutralità dell’organizzazione. Nel 1949 venne siglata invece la Convenzione di Ginevra, su cui ancor oggi si basa la Croce Rossa, che sanciva il miglioramento delle condizioni dei feriti e dei malati delle Forze armate in campagna, a cui si aggiunse l’obiettivo del miglioramento delle condizioni dei naufraghi delle Forze armate sul mare, dei prigionieri di guerra e dei civili in tempo di guerra (convenzione poi ulteriormente integrata). L’organizzazione della Croce Rossa è
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mboli
La Mezzaluna Rossa ed altri si
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opo la proposta dell’emblema dell’Associazione, nel 1876 l’impero Ottomano (la futura Turchia) obiettò che il simbolo a forma di croce recava offesa ai fedeli musulmani. Pertanto, per conservare l’unità del movimento, il Comitato Internazionale dopo lunghi dibattiti autorizzò l’utilizzo della Mezzaluna Rossa per i paesi di fede islamica. Dal canto suo, l’Iran decise di adottare l’emblema di un leone unito ad un sole rosso (poi usato di rado), riconosciuto dalla convenzione di Ginevra del 1949. Tale dibattito sollevò anche la richiesta di Israele di avere un proprio simbolo che potesse alludere alla religione ebraica, la stella di David. Per evitare allora che ogni credo facesse richiesta di un simbolo identificativo, la Croce Rossa ideò e approvò un nuovo emblema, un cristallo rosso che potesse essere accettato da tutte le nazioni al di là della loro appartenenza religiosa e culturale in cui ciascuno avrebbe potuto inserire il proprio simbolo. Ad oggi la maggior parte dei paesi riconosce la croce rossa, alcuni la mezzaluna, altri entrambi i simboli, mentre anche in paesi non cristiani come Cina e India è presente la croce. L’8 maggio si festeggia la giornata mondiale della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa.
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della Croce Rossa Italiana (d’ora in poi C.R.I.) fu però Cesare Castiglioni, un medico milanese, e il primo comitato del nostro paese fu proprio quello di Milano, il Comitato Milanese dell’Associazione Italiana per il soccorso ai feriti e malati in tempo di guerra, che nacque il 15 giugno del 1864, dunque due mesi prima della Convenzione di Ginevra. A questo comitato aderì tra i tanti anche Alessandro Manzoni. Con un Regio Decreto nel 1884 la C.R.I. fu eretta in corpo morale, e fu approvato il suo primo statuto. Da allora l’organizzazione ha subito ancora modifiche, in particolare negli anni ’70, quando vennero trasferite alle regioni e alle due province autonome di Trento e Bolzano le competenze delle attività sanitarie e assistenziali. L’attuale presidente della C.R.I. è Francesco Rocca, eletto nel 2016.
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piuttosto strutturata: il Movimento Internazionale della croce Rossa coordina infatti un Comitato Internazionale della Croce Rossa con sede a Ginevra, che presta aiuti umanitari in caso di guerre, una Federazione Internazionale di Società Nazionali di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, organo che coordina le singole Società Nazionali di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. In Italia la convinzione che i feriti di guerra dovessero essere considerati neutrali e avessero diritto indiscriminato all’assistenza era già stata fatta propria nel 1848 da Ferdinando Palasciano, ufficiale medico che nel 1861 propose appunto, al cospetto dell’Accademia Pontaniana di Napoli (erano appena decaduti i Borboni) che i feriti fossero assistiti indipendentemente dalla bandiera di appartenenza. Il vero fondatore
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I principi Il Movimento Internazionale della Croce Rossa si basa su sette principi fondamentali, che sono stati adottati nella 20a Conferenza Internazionale della Croce Rossa che si svolse a Vienna nell’ottobre del 1965.
UMANITÀ:
si adopera per prevenire e lenire in ogni circostanza le sofferenze degli uomini, per far rispettare la persona umana e proteggerne la vita e la salute; favorisce la comprensione reciproca, l'amicizia, la cooperazione e la pace duratura fra tutti i popoli.
IMPARZIALITÀ: non fa alcuna distinzione di nazionalità, razza, religione, classe o opinioni politiche. Si sforza di alleviare le sofferenze delle persone unicamente in base ai loro bisogni, dando la priorità ai casi più urgenti.
NEUTRALITÀ: si astiene dal partecipare alle ostilità di qualsiasi genere e alle controversie di ordine politico, razziale e religioso.
INDIPENDENZA: Le Società Nazionali, quali ausiliari dei servizi
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umanitari dei loro governi e soggetti alle leggi dei rispettivi Paesi, devono sempre mantenere la loro autonomia in modo che possano essere in grado in ogni momento di agire in conformità con i principi del Movimento.
VOLONTARIETÀ: è un’istituzione di soccorso volontario non guidato dal desiderio di guadagno.
UNITÀ:
nel territorio nazionale ci può essere una sola associazione di Croce Rossa, aperta a tutti e con estensione della sua azione umanitaria all'intero territorio nazionale.
UNIVERSALITÀ:
Il Movimento internazionale della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, in seno al quale tutte le società nazionali hanno uguali diritti e il dovere di aiutarsi reciprocamente, è universale.
SOCCORRITORI PSICOSOCIALI Il Se.P., servizio psicosociale, è stato creato per tutelare il benessere psicosociale del personale, volontario e dipendente, della Croce Rossa. Ne fanno parte psicologi volontari e soccorritori psicosociali che dopo un percorso formativo sono in grado di intervenire in caso di traumi psichici nelle persone colpite da calamità, sia per prevenire che per prestare aiuto, ma anche a sostegno degli stessi colleghi soccorritori, per prevenire il rischio -che talvolta succede assistendo a situazioni fortemente drammatiche- di burn-out. Per contattare il Se.P Tel. 338 6840773 - ascolto@critrentino.it
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La Croce Rossa
inTrentino D
al 1864 la Croce Rossa si è diffusa in tutto il nostro paese, tanto che ad oggi è arrivata a costruire una rete che conta, stando ai dati 2017, ben 156.405 volontari, suddivisi in 1451 sedi. Il 35% di loro è “giovane” ovvero al di sotto dei 36 anni. Nella nostra regione, come racconta Beppino Disertori (che fu anche presidente del Comitato Regionale) nel suo libro “Profilo della Croce Rossa”, la Croce Rossa esiste dagli anni Venti, quando il Trentino fu annesso all’Italia dopo la dominazione austriaca. Tra le sue componenti storiche rientrano infatti, tuttora attive, le Infermiere Volontarie, il corpo Militare e il Comitato nazionale Femminile, a cui nel 1949 si sono poi aggiunti i Volontari del Soccorso e la Croce Rossa Giovanile. L’Associazione si fece subito carico di varie attività, quali trasporto di infermi e infortunati ma anche l’organizzazione di colonie marine e montane per i bambini bisognosi e corsi di formazione per le Infermiere volontarie. Durante la seconda guerra mondiale la Croce Rossa si occupò di prestare soccorso e assistenza a sfollati reduci e rimpatriati, ma anche ricercare notizie, inviare pacchi per i soldati, i prigionieri di guerra e gli internati nei campi di concentramento, allestire punti di ristoro e soccorso grazie anche alle crocerossine. Una volta posta la parola fine all’esperienza bellica, i volontari della Croce Rossa cominciarono quindi a dedicarsi a quelle che rimarranno le attività caratteristiche del tempo di pace, quali la distribuzione gratuita di prodotti farmaceutici, campagne informative in favore dell’educazione scolastica; ambulatorio odontoiatrico gratuito; diffusione del primo soccorso e formazione di volontari. La C.R.I. di Trento si è dimostrata inoltre negli anni sempre pronta ad intervenire in aiuto di alluvionati e terremotati.
Nucleo Elicotteri della Provincia Autonoma di Trento
112
un solo numero per l’emergenza Dal 6 giugno la Centrale operativa di emergenza della Provincia di Trento ha attivato ufficialmente il 112 (che è meglio chiamare Uno Uno Due, anziché centododici) anche in Trentino, come Numero Unico di emergenza Europea (NUE), che è attivo h24 per 365 giorni all’anno in tutti i paesi dell’Unione Europea. D’ora in poi, tutte le chiamate quindi, anche quelle effettuate ai numeri 115 (Vigili del Fuoco), 118 (Soccorso Sanitario), 113 (Polizia) e 112 (Carabinieri), che comunque rimarranno attivi, saranno dirottate ad un’unica centrale di risposta, la nuova Centrale Unica di Risposta per l’Emergenza, che ha sede in via Pedrotti 18 a Trento (nel palazzo dove si trova Trentino Network), che per ogni chiamata ricevuta provvederà entro pochi secondi, un paio di squilli, ad ascoltare la richiesta di aiuto e a seconda del caso allertare immediatamente le centrali operative competenti per l’invio dei soccorsi. Questa novità non comporta un allungamento dei tempi di intervento, come potrebbe sembrare di primo impatto, ma un passaggio necessario per attivare le squadre adatte ad intervenire in una determinata situazione, ottimizzando così i tempi di soccorso ed evitando inutili movimenti. Il nuovo numero permette inoltre diversi vantaggi quali la localizzazione automatica della sede della chiamata e anche del nominativo se si chiama da telefono fisso, il servizio multilingue, con traduzione in tempo reale di 14 idiomi differenti, la messa a disposizione dell’ APP “112 Where are U”, la connessione con eCall, il sistema di SOS automatico che dal 2018 sarà installato sui nuovi veicoli, oltre che l’accesso alla chiamata alle persone disabili, ipovedenti o sordo mute, tramite videochiamata e messaggistica.
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I volontari L
a grande forza di una realtà come la Croce Rossa sono però i suoi volontari. In Trentino-Alto Adige in tutto sono 4.000, (2.500 attivi) distribuiti su tutto il territorio. Uomini e donne che si prestano a servizio degli altri, non aspettandosi altro che di ricevere un grazie, o anche solamente un sorriso, e portando dentro di sè la gioia, davvero impagabile, di aver contribuito a salvare una vita, o comunque di aver prestato il proprio tempo per un compito necessario. Contrariamente a quanto si pensi infatti i volontari non sono solamente impegnati a soccorrere feriti in ambulanza, ma le attività svolte sono molteplici. C’è chi si occupa di formazione, chi di comunicazione, chi di clown terapia (vedi n. maggio 2017) per portare il buonumore anche nelle sale degli ospedali. Le aree di intervento sono 5: attività giovanile, socio-
assistenziale, socio-sanitaria, internazionale e formazione. Dei volontari fanno parte anche le Infermiere Volontarie, un corpo esclusivamente femminile, e il Corpo Militare Ausiliario dell Forze Armate. Il percorso che devono affrontare i volontari prevede la frequentazione di un corso base, che viene proposto almeno una volta all’anno dai vari gruppi e che prevede 9 lezioni, a cui possono iscriversi persone dai 14 anni in su, (per maggiori info www.critrentino.it sezione volontari) al termine del quale si ottiene il Brevetto Europeo di Primo Soccorso. Per iscriversi contattare comitatoprovinciale@critrentino.it, chiamare lo 0461/829735 oppure tramite il sito della CRI locale. Superato il corso base, per chi volesse continuare è previsto un corso di specializzazione tra cui Pronto Soccorso e
Trasporto Infermi (P.S.T.I.) per abilitare, dopo il superamento di un esame finale teorico-pratico, al soccorso sanitario in ambulanza. Altrimenti ci sono molti altri corsi possibili dove prestare il proprio tempo: attività sociali, protezione civile, radiocomunicazione, dottor clown, truccatore, staff cucina, unità cinofile, piscologo dei popoli... insomma le possibilità di rendersi utile, prestando il proprio tempo, la propria umanità e la propria energia, per andare in aiuto di chiunque, indipendentemente da culture, fedi o bandiere, davvero non mancano.
Testimonianza DEL
TERREMOTO
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on sono eroi, come spesso vengono chiamati, ma semplicemente persone coraggiose e disponibili. Abbiamo incontrato alcuni volontari (non riportiamo i nomi) della Croce Rossa che hanno condiviso la loro esperienza, vissuta nella serie di terremoti del 2016 in luoghi e momenti diversi e svolgendo compiti diversi. C’è chi ha prestato sostegno psicologico, chi invece non ha fatto altro che pelare patate tutto il giorno in cucina senza incontrare mai nessuno, a qualcuno invece è toccato pulire sempre i bagni. Nel momento del bisogno infatti non conta chi sei e che cosa fai, ognuno può e deve mettere a disposizione le proprie energie e il proprio impegno là dove è necessario. E le difficoltà sono molte, a partire dalla semplice improvvisata coesistenza con molte persone: “Non si riesce ad avere molta intimità, ci si trova ad essere in 200 persone in una tendopoli, in poco spazio. Siamo tutti formati e preparati, ma c’è sempre qualcosa per cui non si è emotivamente pronti”. E l’emotività gioca un ruolo davvero forte in queste situazioni, dove il rapporto quotidiano con la gente del luogo può divenire molto stretto: “La gente aveva sempre voglia di parlare, di qualunque cosa, di come organizzarsi per la doccia, i pasti... e noi avendo sempre addosso la divisa veniamo continuamente chiamati in causa.” Ma questo senso di essere indispensabili, di responsabilità è anche uno degli aspetti più belli dell’essere volontario. Le persone infatti si abituano alla loro presenza, alcuni, che magari sono persone sole, si affezionano particolarmente a loro, come è capitato ad un anziano signore che ha ammesso che nessuno in tutta la vita ha avuto cura di lui quanto i volontari, una sorta di nuova famiglia. “Montare le tende è facile, è più difficile levarle. Quando vai via senti che lasci lì qualcosa, una parte di te. Senti di essere diventato indispensabile. Il ritorno a casa porta con sè sempre un senso di colpa”.
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Il Comitato Provinciale di Trento La struttura organizzativa della Croce Rossa Italiana in provincia di Trento si articola in un Comitato Provinciale, con sede nel capoluogo, e 3 Comitati Locali, con responsabilità diretta nella gestione e nell'amministrazione e autonomia organizzativa: il Comitato di Trento, diviso in 18 unità territoriali, della Val di Fassa e degli Altopiani. Oltre ad occuparsi del coordinamento dei comitati locali garantisce in tempo di pace il normale svolgimento del servizio di Pronto Soccorso e l’attività di trasporto degli infermi, in collaborazione con l’Azienda Sanitaria, dove ha a disposizione 85 ambulanze equipaggiate per ogni tipo di emergenza.
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presiedere tutto questo è Alessandro Brunialti, classe 1960, nato a Trento. Lo contattiamo al telefono e ci parla volentieri della sua attività, con un entusiasmo che invoglia, tanto che gli chiediamo, dopo che ci ha sommersi di organigrammi, fatti, numeri, come ci si aspetterebbe appunto da un presidente, se non abbia nostalgia dell’attività da volontario sul campo. «Volontario lo sono sempre stato, da quasi 40 anni, e lo sono tuttora – ci dice quasi sorpreso della domanda –. Non fa per me stare alla scrivania a maneggiare carte. Se non fosse così me ne sarei andato da un pezzo». Il segreto di fare il presidente di una organizzazione tanto complessa e articolata come il Comitato Provinciale
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CRI, e potersi permettere di operare in prima linea a fianco dei 4000 soci meno del 1,5% di questi è dipendente CRI, tra i quali vi sono circa 2500 soci attivi- è nella divisione del lavoro e nei collaboratori. A formare lo staff dirigente, assieme a Brunialti, sono Claudio Spadaro del Comitato di Trento, Mauro Pederiva del Comitato Val di Fassa, e Mara Mittempergher del Comitato Altipiani. Il presidente ci spiega che dal 2014 è mutata la natura giuridica della Croce Rossa. Vi è stata una riorganizzazione dell’ente che mira a valorizzare l’attività dei volontari, garantendone maggiore autonomia e indipendenza. Si è creata quindi una organizzazione privata capace di consolidare le risorse umane, risanare la gestione e acquisire ulteriori risorse
di Franco Zadra
Alessandro Brunialti
finanziarie attraverso l’attività dell’Associazione, che ha ereditato tutte le attività svolte precedentemente dalla CRI, qualificandosi come associazione di promozione sociale, sotto l’alto Patronato del Presidente della Repubblica. «Questo cambiamento – spiega Brunialti – ci consente in più di svolgere attività umanitarie presso i centri per l’identificazione e l’espulsione di immigrati stranieri, nonché di gestire i predetti centri e quelli per l’accoglienza degli immigrati e in particolare dei richiedenti asilo, come a Marco di Rovereto e alla Vela, ed erogare servizi di formazione per il personale non sanitario, per il personale civile e per le altre componenti e strutture operative del Servizio nazionale di protezione civile». Sono sei grandi contenitori, o aree tematiche, a descrivere la ricchissima e capillare attività del Comitato Provinciale
UNITÀ CINOFILE Dagli anni ’90 della CRI fanno parte anche le unità cinofile, ovvero operatori formati che si muovono con cani addestrati per prestare aiuto prevalentemente in 4 aree: soccorso in acqua, ricerca in superficie, su maceria e su valanga. Inoltre esistono delle attività di pet-therapy, rivolte alle persone con problemi di disabilità fisiche o mentali. In Trentino attualmente esistono 30 volontari in quest’unità. Tel. 3452473639 - cinofili@critrentino.it
CRI. La salute, il sociale, le emergenze, principi e valori, giovani, e sviluppo. Riguardo all’area della salute, vengono pianificate e implementate attività e progetti di assistenza sanitaria e di tutela e promozione della salute, per migliorare lo stato di salute delle persone e delle comunità, proteggendo la vita e fornendo supporto socio-sanitario; costruire comunità più sicure attraverso la promozione della salute; assicurare l’acquisizione di competenze da parte della comunità per proteggere la propria vita e quella degli altri. E le attività in questo ambito sono tante, «A parte la promozione della donazione volontaria del sangue – dice Brunialti – per la quale c’è già un forte gruppo locale che lavora egregiamente, ci occupiamo di diffondere il Primo Soccorso; educare alla salute e la promozione di stili di vita sani; abbiamo il servizio ambulanza e i servizi assimilabili; i servizi in ausilio al Servizio Sanitario delle Forze Armate, come previsti dalle Convenzioni di Ginevra; la diffusione del BLS, del BLSD, del PBLS del PBLDS; le manovre di disostruzione pediatrica; ma anche il trucco e la simulazione per le esercitazioni anche con altri corpi».
Moltissime sono le attività anche in ambito sociale, ma ricordiamo, a mo’ di esempio, solo le attività psico-sociali, che comprendono anche la clownerie, rivolte a persone ospedalizzate, ospiti di case di riposo, ecc. Per l’ambito delle emergenze, l’importante è assicurare una risposta efficace e tempestiva ai disastri e alle emergenze nazionali e internazionali. Il presidente Brunialti ricorda alcune delle molte esperienze internazionali che hanno visto, per esempio, il Comitato di Trento anche in Israele, nella striscia di Gaza, ma il tempo di raccontare e lo spazio per scrivere purtroppo manca. «Siamo in continuo ascolto – dice in conclusione Brunialti – dei bisogni del territorio, e importantissime sono le idee e i suggerimenti che ci vengono dai volontari,
per implementare nuovi servizi. Chi ci conosce lo sa».
COMUNICATO COMMERCIALE Informiamo i nostri lettori che dal 12 giugno al 17 luglio la libreria “Il Ponte” di Borgo Valsugana, RITIRA E VENDE testi scolastici usati. I libri usati saranno venduti a partire dal 10 luglio e fino ad esaurimento scorte
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Crocerossine durante la Grande Guerra
La regina Maria Augusta con sua figlia Mary in veste di crocerossine durante la Prima guerra mondiale
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Salvare la vita ai nostri
bambini di Chiara Paoli
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a parte della Croce Rossa del Trentino, c’è un grande impegno per portare avanti questo progetto informativo che può aiutare genitori, nonni, educatori ed insegnanti ad essere pronti e reattivi in caso di bisogno. In Italia, ogni anno sono molti i casi di bambini che muoiono asfissiati a causa di corpi estranei che vengono accidentalmente ingeriti. Le mamme lo sanno, i più piccoli hanno bisogno di usare i vari sensi per esplorare e conoscere il mondo che li circonda, non bastano la vista ed il tatto, spesso hanno bisogno di utilizzare anche il gusto ed assaggiare tutto ciò che capita loro a tiro. Questa smania di degustazione rischia però di essere altamente pericolosa, per quanto si tolgano tutti gli oggetti pericolosi, a volte qualcosa può scappare e se il bimbo ingerisce qualche piccolo pezzetto, si rende necessario intervenire rapidamente per evitare il peggio. Sapere cosa fare e come intervenire può essere di fondamentale importanza per salvare la vita ai nostri bambini.
La Croce Rossa del Trentino da diversi anni propone su tutto il territorio serate informative, ma anche partecipative in base alle linee guida internazionali (ILCOR) per conoscere le manovre salvavita pediatriche (msp); quali le manovre per la disostruzione delle vie aeree, dare consigli per riuscire ad affrontare lucidamente eventuali emergenze legate all’ambito pediatrico, e approfondire le linee guida sul sonno sicuro. Un altro tema scottante che miete ogni anno vittime, quelle che sono tristemente note a tutti come morti in culla e vedono spegnersi nel sonno tante piccole innocenti creature nei primi mesi di vita. Essere genitori significa prendersi cura dei propri figli, e della loro sicurezza, un tema importantissimo che a volte non è così semplice da affrontare in autonomia con letture e manuali; su questo tema c’è il bisogno di confrontarsi e sorge quasi spontanea la ricerca di aiuto da parte di qualcuno che è più
formato e che conosce meglio l’argomento. Ecco che per i genitori, nonni e tutti coloro che si trovano a contatto con il mondo dell’infanzia, la Croce Rossa del Trentino organizza numerose serate gratuite con istruttori preparati e competenti che dopo aver mostrato come intervenire nei casi di bisogno, possono rispondere a eventuali dubbi e domande. Per chi volesse nel frattempo approfondire l’argomento, in attesa di prendere parte ad una serata informativa sul sito della Croce Rossa vi è una sezione dedicata: www.cri.it/manovresalvavitapediatriche. E se l’argomento suscita il vostro interesse e volete approfondire ulteriormente, è possibile dopo la serata informativa prendere parte a un vero e proprio “Corso di formazione sulle manovre di disostruzione delle vie aeree pediatriche”, per cui viene richiesto un piccolo contributo. In questo caso alla lezione teorica si affianca una esercitazione pratica, effettuata con l’ausilio di appositi manichini, per cimentarsi in prima persona nell’attuazione di manovre salvavita pediatriche. Per sapere dove si svolgeranno i prossimi incontri sulle manovre salvavita e la prevenzione degli incidenti in età pediatrica è possibile visitare il calendario aggiornato, all'indirizzo: http://www.cri.it/
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Fatima e le ragioni del cuore
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artecipando di recente a un corso di formazione per giornalisti intitolato “Comunicare fiducia e speranza al tempo dei social media”, con la stimolante relazione di un giornalista di Avvenire, Gigio Rancilio, mi sono ritrovato a dire: «non sono un giornalista cattolico, semmai appartengo alla sottocategoria dei giornalisti “pecorella smarrita”...»; poi, stimolato dal discorso di papa Francesco nella 51esima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, ebbi, chissà perchè, a ricordare «lo stile comunicativo di Dio che, per esempio, a Fatima si rivolge, attraverso la Madonna, per comunicare un messaggio di portata mondiale, a tre pastorelli incolti. E proprio la testimonianza ingenua della più piccola, Giacinta, dà inizio a una comunicazione che da cent’anni a questa parte non smette di interpellare la coscienza di tutti coloro che si imbattono in questo evento». Tutti sanno di Fatima, delle apparizioni, dei segreti, ecc…, ma alle volte i nostri pensieri al riguardo si accontentano di stereotipi, mentre quell’evento ci mostra, tra le altre cose, la possibilità di un incontro personale
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con il “Mistero”. «Ma la madonna non dovrebbe avere il velo azzurro?», è la domanda che mi sono sentita porre da un bambino davanti alla statuina posta su un tavolino di legno al centro di una piazzetta del paese durante il raduno di alcune persone della parrocchia per la recita del rosario nel maggio appena trascorso. La piccola statua rappresentava, infatti, Nostra Signora di Fatima (Nossa Senhora de Fátima) con il rosario in mano e la veste bianca orlata d’oro, secondo la testimonianza di Lucia dos Santos che la descriveva rispondendo al parroco e al sindaco di Aljustel, quel famoso maggio del 1917, sottoposta a interrogatori e vessazioni, compresa la minaccia di essere fritti nell’olio bollente, assieme ai cuginetti Giacinta Marto di 7 anni e il fratello di questa, Francisco, di 9, proclamati santi da papa Francesco nel corso della celebrazione della messa al santuario di Fatima il 13 maggio scorso. Intendiamoci, la Chiesa cattolica, per Fatima, come per Lourdes e Guadalupe, parla sempre di rivelazione privata, o rivelazione speciale, esperienze, cioè, che
di Franco Zadra
non appartengono al deposito della fede. Di fatto, la santificazione di Francisco e Giacinta pone un accento particolare a ciò che nulla aggiunge e nulla toglie alla Rivelazione di Gesù Cristo contenuta nei vangeli, obbedendo al detto di Apocalisse (22,18-19) che dichiara «a chiunque ascolta le parole profetiche di questo libro: a chi vi aggiungerà qualche cosa, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro; e chi toglierà qualche parola di questo libro profetico, Dio lo priverà dell'albero della vita e della città santa, descritti in questo libro». Fra le apparizioni mariane, e sono tante, quelle di Fatima presentano un indiscutibile sigillo di autenticità, consistito in sconvolgenti «segni cosmici» constatati il 13 ottobre 1917 da decine di migliaia di testimoni. Le foto scattate dagli inviati dei giornali di allora, molti di loro presenti con l’intenzione di burlarsi della credulità dei cattolici che sarebbero stati delusi nella loro attesa, con le loro pesanti macchine a treppiede, ci mostrano la grande folla che guarda il cielo terrorizzata.
Ma a una fede autentica non servono le apparizioni, e per gli scettici sono piuttosto un inciampo. Gesù stesso rispondendo a Tommaso, dice: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20,29). Ma una piccola obiezione pratica a una interpretazione troppo rigida che mira a esaltare la purezza della fede, la possiamo fare. In un matrimonio d’amore non sono necessari regali e fiori, messaggi scambiati con frequenza quotidiana, al limite non è necessario neppure parlarsi, poiché chi ama ed è amato sa dell’amore dell’altro anche nel silenzio e nell’assenza di manifestazioni esteriori. Questo però non esclude per nulla il fatto che dette manifestazioni siano, e facciano pure bene. Detto questo, e ritornando a Fatima, sono talmente tante le notizie reperibili in rete, e i volumi
scritti sull’argomento che non aggiungo nulla, per non ripetere cose stranote, se non dare una sola indicazione editoriale che ho trovato interessante. È il libro di Vincenzo Sansonetti, con la prefazione di Vittorio Messori, uscito da poco per Mondadori, dal titolo “Inchiesta su Fatima”, Un mistero che dura da cento anni. Leggendolo ho pensato che le apparizioni mariane sono alla portata di tutti, e anch’io ne ho scoperto una, privatissima e personalissima, nella mia esperienza di vita. Alcuni amici, a loro volta, mi hanno parlato in confidenza delle loro, e non ho mai pensato che avessero bevuto o che stessero mentendo. Per questo, anche per questo, non ho difficoltà ad accettare la testimonianza di tre bambini che dicono di aver incontrato la Madonna. Il miracolo non stà lì, ma in quanto cambia la tua vita.
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Il quarto stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo
POPULISMO E POPULISTI I
n questi ultimi anni l'uso dei termini populismo/populista, specialmente tra i politici, ha contribuito a diffondere questi vocaboli indicandoli, volutamente, come il comportamento di chi usa un linguaggio aggressivo, urlato e poco ortodosso, volto non solo a esaltare e raggirare il popolo, ma anche per demonizzare il comportamento di alcuni politici e partiti. Per i più è anche un modo, poco corretto, per “raggranellare” voti e consensi creando, non di rado allarmismi ingiustificati. Un parlare, si dice, rivolto alla “pancia del paese” per fare leva su insicurezze, paure e malcontento anzichè affrontare e risolvere i problemi. Secondo il politologo Houwen, il termine “populista” è spesso utilizzato dalla Sinistra per attaccare la Destra e sempre assume il significato denigratorio rivolto specialmente ai movimenti come il Front National in Francia, il Freiheitliche Partei di Jorg Haider in Austria, la Lega
Nord e il Movimento 5 Stelle in Italia. Un termine usato non solo dalla stragrande maggioranza degli organi d’informazione, ma anche e soprattutto all’interno di un qualsiasi discorso o dibattito politico unicamente per delegittimare a priori gli avversari, generalmente quelli di Destra, quando questi accusano la classe dirigente o il Governo di essere incapaci e di non rispondere con i fatti ai bisogni o alle richieste del popolo. Rifacendomi alla lingua italiana la parola “populismo” può avere molteplici interpretazioni. Ma quello odierno, ovvero quello usato nel politichese nulla ha a che vedere con i significati originari che lo indicavano come la vo-
di Armando Munaò lontà di chi voleva esaltare il ruolo e i valori delle classi popolari. Il dizionario Treccani in merito al significato da dare al termine è molto preciso e sottolinea che: per populismo si intende non solo “il movimento artistico, culturale e politico sviluppatosi in Russia” tra il 19° e 20° secolo, “che si pro-
Lavoratori della Borletti - 1907
COMUNICATO COMMERCIALE Informiamo i nostri lettori che il Ristorante Pizzeria LA RUSTICA di BORGO VALSUGANA osserva i seguenti orari e non quelli erroneamente pubblicati nel numero di maggio:
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poneva di raggiungere un miglioramento delle condizioni di vita delle classi diseredate, specialmente dei contadini e dei servi della gleba”, ma anche “un atteggiamento ideologico che, sulla base di princìpi e programmi genericamente ispirati al socialismo, esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi”. Quindi nulla e niente di negativo ha, anzi corrisponde esattamente al contrario in quanto è l’esaltazione della vera Democrazia che appartiene al popolo sovrano (Art.1 della nostra Costituzione). Per moltissimi studiosi della lingua italiana il populismo altro non è che la pura logica di voler avvicinare i cittadini (il popolo appunto) alla politica e alla cosa pubblica in grado di dare priorità agli interessi della popolazione. Ragion per cui il significato del termine non solo è positivo ma ha un preciso ed inconfondibile nome: democrazia. È solo nella logica e nella convenienza politica di alcuni partiti che il “populismo” ha subito una coniugazione e un significato negativo, deleterio e dispregiativo, confondendolo di fatto e volutamente con un altro termine, che in realtà è “demagogia” ovvero tutto ciò che serve a raggirare il popolo. Fateci, però, caso: quando una certa politica si rivolge al popolo lo fa solo e solamente a vantaggio dei cittadini, quando invece gli stessi concetti vengono espressi da altri partiti, specialmente quelli all’opposizione, allora il tutto diventa populismo. Come scrive Roberto Pecchioli,“il populismo viene evocato ogni giorno, agitato
a mo’ di paradigma negativo o semplice spauracchio, come il lupo cattivo delle favole. L’accusa di populismo investe ormai ogni idea, persona o attitudine non gradita al sistema di potere; diventa un’invettiva, una chiamata sul banco degli imputati. Peggio, è uno sbrigativo espediente per escludere dallo spazio pubblico e dal libero confronto il destinatario, ovvero chiunque non si pieghi al politicamente corretto ed alle verità di comodo. Essere chiamato populista è diventato un insulto carico di disprezzo, pronunciato con l’indice accusatore ed il falso sdegno dei finti portatori di virtù civica e politica, e, soprattutto, con l’insopportabile complesso di superiorità di chi tutto sa, tutto ha capito e non si capacita dell’ignoranza crassa e della becera testardaggine di quell’altro, il buzzurro globale detto populista”. Altri esperti della comunicazione e della politica scritta e parlata evidenziano due tipi di populismo: quello che rivolgendosi ai cittadini propone loro la soluzione dei problemi che li interessano e quello che fa invece leva sulle paure per costruire il proprio consenso. Per Avram Noam Chomsky, filosofo, storico, teorico della comunicazione, professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Techno-
Festa del lavoro a Roma logy, unanimemente riconosciuto come uno dei fondatori della grammatica generativo-trasformazionale, spesso indicata come il più rilevante contributo alla linguistica teorica del XX secolo, il termine “populismo” significa solo e solamente “appellarsi alla popolazione“. Chi detiene il potere vuole invece che la popolazione venga “tenuta lontana dalla gestione degli affari pubblici o dalle problematiche negative che può interessare i cittadini. Il tutto per dare una distorta realtà delle cose”. Chomsky ritiene, al contrario, che “la popolazione dovrebbe essere partecipe e non spettatrice”. A questo punto sorge spontanea una domanda: come mai la Lega Nord, Fratelli D’Italia, il Movimento 5 Stelle ed altri “partitini” etichettati “populisti” raggiungono una percentuale di circa il 50% tra gli elettori? Come mai il “populismo” ha un così alto riscontro?. E come mai gli italiani sempre di più si trovano sulla stessa lunghezza d’onda dei populisti? Parafrasando una nota citazione…”ai posteri l’ardua sentenza”.
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Lintervista
DOTT. PROF.
di Adelina Valcanover
EDOARDO GEAT
Il Prof. Geat ha lavorato come anestesista dal 1979, a Trento, tranne il periodo 20022007 in cui ha ricoperto il ruolo di primario a Cavalese. Si è occupato sia di rianimazione (per dodici anni aiuto responsabile della terapia intensiva) che di anestesia e di emergenza. Dal 1979 al ’92 anche dell’elisoccorso (primi anestesisti in Italia su elicottero). Oltre che anestesista-rianimatore, il Prof. Geat è specializzato in Scienza dell’Alimentazione e Statistica medica e ha un master in bioetica. Da anni insegna sia alla Scuola di Specializzazione in Anestesia di Verona che alla scuola superiore di Scienze infermieristiche
Che cosa l’ha portato a studiare medicina? Principalmente la preferenza per le materie scientifiche (sebbene abbia studiato al liceo classico) e il desiderio di fare qualcosa di concreto che produca risultati immediati. Aggiunga un po’ di spirito samaritano e anche un po’ di vanità. Come primario del reparto di terapia intensiva dell’Ospedale Civile S. Chiara, quali sono le sue mansioni e responsabilità? L’unità operativa che dirigo, con 57 medici e oltre 150 infermieri e OSS, è molto grande. Gestiamo la terapia intensiva neurochirurgica e polivalente con 15
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posti letto, le sale operatorie, eccetto cardiochirurgia e chirurgia vascolare (in media 13-14 sedute al giorno), l’elisoccorso (con due turni di 12 ore diurni e uno notturno), la terapia del dolore, con ambulatorio tutti i giorni e due sedute operatorie al mese. Inoltre ho la responsabilità del personale del blocco operatorio. Dirigo anche il dipartimento di anestesia e rianimazione della APSS, che include le altre sette unità operative di anestesia e rianimazione dell’azienda. Data la delicatezza delle situazioni dei pazienti, ovvero situazioni di estrema gravità, come interagite con i famigliari? Il colloquio con i familiari viene svolto sempre dalle stesse persone (ad eccezione del fine settimana) per garantire la continuità. Normalmente si svolge dalle tre del pomeriggio in locali appositamente destinati a questo, dove i familiari possano sedere. Un infermiere ci accompagna. Cerchiamo di garantire i tempi necessari, perché i familiari pos-
sano comprendere le informazioni che vorremmo condividere, senza ignorare il fatto che la comunicazione non verbale è preponderante e che richiede al medico non solo di spiegare, ma anche di ascoltare. Ci sforziamo di dire la verità, di trasmettere quello che noi stessi pensiamo e di come evolverà la situazione del paziente, incluso l’ottimismo o il pessimismo, consci comunque che non possediamo la verità e il futuro dei nostri pazienti ha sempre un ampio margine di incertezza. In situazioni di conflitto o problematiche, che bloccano decisioni critiche, proponiamo in accordo con i familiari, la nomina di un amministratore di sostegno. Siamo aperti a qualsiasi consulenza esterna e, se necessario, noi stessi lo proponiamo ai familiari. Quali sono le difficoltà più serie che sorgono nel reparto? Le principali difficoltà sono legate alla carenza di posti letto, situazione che si verifica in certi periodi (ad esempio ad alto afflusso di turisti). Eventi particolarmente traumatici necessitano di un supporto psicologico, sia per i familiari che per gli operatori sanitari. Quali le soddisfazioni, per coloro che lavorano in un reparto ad alto rischio di mortalità dei pazienti?
Una delle esperienze più belle si verifica quando qualche paziente, che magari è stato a lungo in coma, torna a trovarci in buona salute e vuole rivedere il luogo della degenza e le persone che lo hanno curato. Riceviamo spesso attestati di stima e ringraziamenti dai familiari, anche quando il paziente è deceduto, che ci gratificano perché significa che hanno capito il nostro impegno e la nostra sincera partecipazione alla loro sofferenza. Uno dei temi più dibattuti e politicizzati ossia il così detto accanimento terapeutico, come viene gestito? Preferiamo non usare il termine “accanimento terapeutico”, che ha comunque in sé una valenza negativa. Non sempre è facile definire il punto in cui finiscono le cure appropriate e inizia l’accanimento terapeutico. Nel caso si decida di sospendere o non intraprendere trattamenti che protrarrebbero inutilmente la vita e causando tale decisione solo sofferenza, viene condivisa con i familiari (o con il paziente, se cosciente) e riportata nella cartella clinica. Il tema dell’eutanasia, altro difficile argomento, come si concilia, se si concilia, con il giuramento di Ippocrate? Nel giuramento di Ippocrate il medico giura: “Di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente”. Attualmente in Europa solo nel Benelux è ammessa l’eutanasia cosiddetta “attiva”, che consiste nel
somministrare un farmaco mortale a una persona che altrimenti potrebbe vivere, magari a lungo. Ben diversa è la situazione di un paziente che è prossimo alla fine e ha dolore e/o sofferenza a volte insopportabili. In questi casi lenire la sofferenza è un dovere del medico, anche se l’uso dei farmaci potrebbe, almeno in teoria, abbreviare di poco la vita. L’obiettivo perseguito però non è quello di interrompere la vita ma lenire il dolore. L’anticipazione della morte, quando e se avviene, è un effetto secondario. Recentemente, a Trento, si è tenuta una interessante conferenza cui interagivano nei loro interventi l’Ordine dei Medici, quello degli Avvocati e quello dei Giornalisti, dove veniva trattato il tema della notizia della morte del congiunto. Lei era tra i relatori, può dirci qualcosa in merito? Credo sia stato molto interessante l’incontro di tre tipi di professionisti tra loro molto diversi, che hanno scoperto tuttavia di avere molto in comune. Personalmente ritengo sempre positive le esperienze che permettono di vedere le cose da un punto di vista diverso dal tuo, e di uscire dal “linguaggio tecnico” che in realtà è spesso un gergo per iniziati. Inoltre è scientificamente dimostrato che ogni gruppo, o categoria, di persone tende a vedere i membri del gruppo stesso in una luce migliore ri-
spetto al resto della gente. Confrontarsi con altri gruppi serve ad aprire la mente e imparare ad essere più umili. Concludendo, alla luce della Sua esperienza di medico, cosa direbbe ai nostri lettori come saluto? Le aspettative nella medicina sembrano infinite. Credo invece che dovremmo renderci conto che non siamo immortali e la medicina non riuscirà mai a vincere la morte. Se accettiamo la morte come un fatto ineluttabile, come in effetti è, possiamo comprendere meglio che la vita non va vista solo in termini di durata, ma di qualità. Solo così riusciremo a prepararci serenamente al momento del passaggio, decidendo fino a che punto vogliamo continuare i trattamenti sanitari. Credo che dobbiamo recuperare quella cultura della morte che, almeno da noi, è andata perduta. NDR: Le foto del reparto di terapia sono esclusivamente di riferimento e non appartengono all’Ospedale Santa Chiara
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AUTONOMIA, REGIONE, PROVINCIA E
ntrati nell’ultima fase di legislatura, a pochi mesi da ottobre 2018, i giochi sono fatti, e gli indirizzi politici, assunti o mancanti, noti. L’agenda politica scalda i motori e il governatore del Trentino dispensa ottimismo e tranquillità, snocciolando cifre, «conti in sicurezza e calo della spesa», senza sapere dove in effetti si vada e quali progetti futuri si profilino, «blindati» entro prospettive sconosciute, ma «ottime». Speriamo. Cenerentola di turno è la Regione. Di questo Istituto, fondamentale per noi trentini, sembra smarrito il quadro generale e di insieme, dentro puri interessi di bottega o di contabilità numerica. Certo, il contesto nazionale e quello regionale con il partito di maggioranza tedesco e le sue posizioni disgregative, rispetto a un quadro regionale visto come ostacolo, impensierisce. Ma pensare che la politica debba affrontare solo questioni dagli esiti scontati è inaccettabile. La politica proprio per essere tale deve cercare soluzioni, creando a monte
condizioni di condivisione e partecipazione popolare. È antistorico, in un mondo globalizzato, e diviso tra gli afflitti da una ricerca di sicurezza nelle piccole patrie e chi cerca la soluzione dei propri problemi sotto l’ombrello di un’Europa che tutto dovrebbe risolvere, che il Trentino Alto Adige si rifugi in una divisiva politica economica contro il ruolo centrale della Regione. L’idea di Regione è il nostro gioiello di famiglia, eppure il Trentino sembra assecondare, o addirittura sposare, la tesi della SVP per uno smembramento definitivo della Regione, fungendo da morbido diaframma tra la Stella Alpina e la destra separatista tirolese. Ma sappiamo quanto sia rischiosa una battaglia in solitaria, di minoranza, privi di un grande scudo regionale, contro il resto delle regioni italiane, e con un governo romano deciso a trovare il momento più adatto per affondare il colpo contro il nostro “ingiusto privilegio”? Quanto resisterà la nostra autonomia, sganciata da un contesto regionale, ri-
Walter Kaswalder è Consigliere provinciale e regionale dotto a fragile vaso di terracotta istituzionale, davanti a questi tentativi di soppressione? Sconcerta l’ignoranza con la quale le forze nazionali si approcciano al tema, e offende la vigente valutazione del modello autonomista e regionalista. Un patrimonio che rappresenta una ricchezza insostituibile, per tutti. Quale attualità ha lo strumento regionale come mezzo idoneo a promuovere e sostenere l’impianto autonomistico ormai sotto assedio della Comunità nazionale? La Regione costituisce quell’ancoraggio internazionale, non solo tecnico, ma politico e sociale. Il Tirolo storico del quale siamo elemento pulsante sotto il profilo culturale, comune, ed economico, non merita antistoriche frammentazioni, divisioni, o anche solo ridimensionamenti. Ambiente, trasporti, Università, infrastrutture, il rilancio di un Dreierlandtag, oggi ridotto a poco più che folklore, dalle immense potenzialità, sono solo alcuni dei temi di cui la Regione potrebbe farsi carico se rinforzata, ma il documento uscito dalla Consulta per lo Statuto appare troppo blando sull’argomento. Si tratta quindi d’immaginare una Regione ridisegnata nell’ottica di un suo ri-centramento, non vista come ingombro insopportabile o, peggio, zavorra obbligata dalla storia. L’asta del confronto tra tutte le forze politiche dovrà incontrare su questo margini ampi di convergenza, i ritardi sono stati fin troppi.
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t ei s i r vs i b i l e t in pos im
A JOSEF BEN JA’ACOV di Adelina Valcanover
osi dell’amore del padre, lo vendettero a dei gel elli, frat I e. cobb Gia di schio ma o figli Giuseppe era l’undicesimo ato dal padrone ed essendo di bell’aspetto prezz ap lto mo Fu tto. Egi in ifar Pot da to mercanti di schiavi e fu acquista di violenza. Finito in prigione, seppe dolo usan acc dicò ven , si pinta res a i, m lu di su la moglie di Potifar mise gli occhi e bisogno di gni di due prigionieri. Anni dopo il faraone ebb i so te men rretta co tò erpre Int lì. he anc re ovo i farsi benvole nne innalzato al grado di viceré. Incontrò di nu ve e rato libe fu e sepp Giu e ni sog e du di to conoscere il significa l Nilo, ricco di pascoli. fratelli, li perdonò e li fece stabilire nel delta de
Erev tov, signora. Son qua per un’intervista che spero mi accorderà. Mi presento: sono Giuseppe figlio di Giacobbe. Diamoci semplicemente del tu, come fai di solito. Ben volentieri, ne sono onorata. Sei uno che se l’è cavata molto bene, anche in situazioni difficili. Ah, sì. Il Signore vegliava su di me. Come sicuramente sai ero il primo figlio di Rachele la moglie amata da mio padre Giacobbe. La storia del loro incontro ti conviene andare a leggerla al cap. 29 della Genesi, altrimenti non la finiamo più. Comunque ero l’undicesimo maschio e come capita anche nelle migliori famiglie, mio padre aveva un occhio di riguardo per me. Questo scatenò la gelosia dei tuoi fratelli, soprattutto dopo i famosi sogni che hai loro raccontato. Imprudente? Sì, sono stato un po’ avventato. Ero un
ragazzino e pensavo mi amassero. Capirono benissimo che il significato era che prima o poi avrebbero dovuto inchinarsi davanti a me. E così me la fecero pagare cara. Avevo 17 anni quando mio padre mi mandò da loro ai pascoli a chiedere notizie degli armenti. Mi presentai anche con una bella veste nuova regalo di mio padre e questo scatenò la gelosia dei miei fratelli. Mi volevano uccidere, ma Ruben, il maggiore, si oppose e consigliò di mettermi in una cisterna vuota con l’intenzione che la sera mi avrebbe liberato e fatto tornare a casa. Solo che durante la sua assenza, Giuda, che temeva che gli altri avrebbero finito per ammazzarmi, suggerì di vendermi a dei mercanti di schiavi diretti in Egitto, per 20 monete d’argento. Piansi e supplicai, ma inutilmente. Immagina cosa provavo. Quando tornò Ruben, non ti trovò e a quel punto uccisero un capretto e intinsero la tua tunica tutta lacerata nel suo sangue e diedero a intendere a tuo padre che una belva ti aveva sbranato. Giusto? Sì, mio padre si disperò a lungo e si affezionò ancora di più a mio fratello Beniamino. Mia madre Rachele era morta di parto. Nel frattempo, io ero Giacobbe benedice i due figli di Giuseppe giunto in Egitto e fui comprato da Potifar ministro del Faraone di scuola genovese del sec. XVII
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e capo giustiziere. Me la cavavo bene e in breve divenni suo uomo di fiducia. Ma la moglie, visto che ero giovane e anche di bell’aspetto, mi mise gli occhi addosso e mi disse: “Giaci con me!” Io ovviamente, per onestà rifiutai, ma lei insisteva e io evitavo di restare da solo con lei. Ma ti teneva d’occhio e alla fine riuscì a incastrarti, vero? Era una sfacciata. Pensa che mi ha afferrato l’abito, ma gliel’ho lasciato in mano e sono uscito di corsa. Ma la strega mi accusò che le avevo usato violenza. Potifar le credette e io finii in carcere. Però mi feci ben volere anche lì. Facevo il vice del capo. Un giorno arrivarono due prigionieri, uno era il capo dei coppieri e l’altro il capo dei panettieri del faraone. Mi raccontarono i loro sogni e io glieli seppi interpretare. Il panettiere da lì a tre giorni sarebbe stato giustiziato, mentre il coppiere sarebbe tornato a servire il faraone. E successe esattamente come avevo previsto. Pregai il coppiere di ricordarsi di me, ma come dite voi, passata la festa, gabbato lo santo; se ne scordò e io rimasi in prigione per altri due anni. Ma alla fine le cose cambiarono davvero. Vuoi raccontare come andò? Il faraone fece dei sogni, che nessuno seppe interpretare. Vide sette vacche grasse divorate poi da sette vacche magre e sette spighe piene su un solo stelo divorare da sette spighe vuote e
Giuseppe in Egitto
secche (Genesi 41,1-7). Il coppiere si ricordò di me e ne parlò. Venni chiamato al cospetto del sovrano e io interpretai i sogni senza difficoltà, grazie al Signore. Dissi che ci sarebbero stati 7 anni di grande abbondanza e sette di carestia. Quindi lo invitai a scegliere persone adatte ad immagazzinare la sovrabbondanza per i tempi di magra. Lui mi nominò vicerè e mi incaricò di provvedere. Così feci. Mi sposai con Asenath la figlia
di un sacerdote di On ed ebbi due figli: Efraim e Manasse. La carestia si abbatté anche sulla terra di Canaan dove viveva la mia famiglia e alla fine i miei fratelli, senza il minore, vennero a comprare viveri. Io non mi feci riconoscere. Mi parlarono di Beniamino e mio padre, li tacciai da spie, e per costringerli a portare anche il mio fratellino, trattenni in prigione Simeone come ostaggio e non Ruben il maggiore che cercò di salvarmi a suo tempo. Tornarono dopo un bel po’. Mio padre non voleva cedere a lasciarlo partire, però la fame lo costrinse e così arrivò al mio cospetto anche Beniamino. Riassumendo, cosa provasti quando vedesti finalmente tuo fratello? Mi commossi così tanto che dovetti andare in un’altra stanza per non farmi vedere piangere. Ma volevo che capissero anche il male che mi avevano fatto. Dopo che furono ripartiti con uno stratagemma feci trovare la mia coppa nel sacco di grano di Beniamino, che venne
accusato del furto e arrestato. Tornarono tutti. Non volevano dire al padre che anche il secondo figlio di Rachele era perduto. Erano pentiti della loro malvagità e dissero che era la loro giusta punizione. Tu allora ti commuovesti e abbracciasti tutti. Perdonasti e li invitasti ad andare a prendere il vecchio padre. Sapevi che la carestia sarebbe durata ancora un paio d’anni. Cosa facesti? Proposi al faraone di farli insediare nel delta del Nilo, la terra di Gosen, fertile di pascoli. E così potei riunire la famiglia. Chiusi gli occhi a Giacobbe alcuni anni dopo e lo seppellii nella terra dei padri come mi aveva fatto promettere. Per congedarmi dico che nel dolore e nella disperazione fui sorretto dalla fede e il perdono fu una benedizione. Ecco, ricordarsi che perdonare non significa dimenticare, ma accettare davvero l’accaduto. Documentazione da La Bibbia ebraica, Pentateuco e Haftaroth, capp. 29 e segg. - Ed Giuntina
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Una realtà consolidata nello scenario politico provinciale
Prima assemblea di
AGIRE
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distanza di meno di un anno dalla sua costituzione (18 giugno 2016), Agire per il Trentino ha celebrato la sua prima assemblea provinciale, radunando già molti coordinamenti da tutto il Trentino. Regista della giornata è stato il dott. Roberto Pergher, coordinatore organizzativo, davanti a una platea di più di duecento persone che hanno pututo sentire il discorso programmatico dell’unico candidato a Coordinatore Politico, il consigliere provinciale Claudio Cia. Diversi gli ospiti noti in sala, Maurizio Fugatti della Lega Nord, Giacomo Bezzi, ex presidente del Consiglio provinciale (arrivato nel pomeriggio), Marika Poletti presidente di Fratelli d'Italia, Walter Kaswalder già del Patt, Fabio Dalledonne sindaco di Borgo Valsugana, Pierangelo Villaci sindaco di Segonzano, e altri amministratori. Gli interventi di tutti sono gravitati attorno al tema cruciale della chiamata all’unità rivolta alle forze di centro de-
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stra, riconoscendo in Agire una sua propensione a farsi elemento agglutinante dentro il panorama politico provinciale. Claudio Cia ha poi delineato quelli che sono stati gli sviluppi, e che sono attualmente gli obiettivi, del nuovo Movimento, ponendo l'accento sulla forza dell'onestà, denunciando le contraddizioni del sistema politico trentino, e su come poter recuperare credibilità alla politica contrastando la disaffezione della maggioranza, ormai, dell’elettorato. Nel corso dell’Assemblea si è proceduto anche alla votazione dei Garanti del Movimento, e sono risultati eletti: Bonatti Walter, Peruzzini Paolo, e Salvini Tiziano, i primi due del Coordinamento di Trento, il terzo del Coordinamento dell’Alto Garda. Eletto come Coordinatore Politico è stato, appunto, Claudio Cia. Nel pomeriggio hanno trovato spazio varie relazioni attorno ai temi politici più importanti per l'Assemblea: Lavoro, Insicurezza sociale, Famiglia, Autonomia,
Claudio Cia Economia, e Salute/Sociale, presentati dai cinque membri del Movimento delegati per l’occasione: Nancy Tarazona, Sergio Manuel Binelli, Andrea Borzaga, Michele Azzetti, e Gian Piero Robbi. Il confronto su queste tematiche rimane comunque aperto e continua in rete sulla piattaforma Airesis, all’interno del sito Web di Agire per il Trentino. Di seguito diamo una piccola sintesi del discorso di Claudio Cia pronunciato in occasione della prima assemblea provinciale del movimento. “Che possiate ascoltare la voce dei referenti, guardarli in faccia mentre parlano, è per me la migliore testimonianza di cosa sia Agire, non il movimento di “Cia”, ma vostro, delle persone del popolo, gente comune, gente onesta. Un Movimento che ci ha fatto crescere nella consapevolezza di condividere responsabilità e destino comuni rispetto ai valori che ci ispirano. Vorremmo essere un pizzico di lievito nella pasta della politica, per rigenerarla, restituendole la dignità di cui è stata spogliata. Lo facciamo con umiltà, ma con determinazione, consapevoli dei nostri limiti e dell’assoluta necessità di ripartire dall’onestà con trasparenza e coerenza, valori non negoziabili, qualità personali e non di gruppo, in quanto ogni persona ha nome e cognome e la sua responsabilità. Guardando alla politica scopriamo spesso alcuni personaggi che hanno costruito un sistema di potere, con cui modellare norme funzionali alla soddisfazione di interessi di pochi a sca-
pito di quelli di tutti, dare vita a società finalizzate a celare i loro interessi, inventare bisogni e pretesti per giustificare l’uso di denaro pubblico - il nostro denaro -, piazzare fedelissimi a presidio di posti strategici, punti cardine del sistema per garantirsi la gestione del potere. Ma, se noi siamo qui è per camminare sulla strada dell’onestà e mostrare un nuovo modo di essere e di agire in politica. Onestà che ci fa attenti a ciò che è veramente importante per il cittadino, partendo dagli ultimi, guardandoli negli occhi senza doverci vergognare. Il politico non è più grande e più importante del cittadino che lo ha eletto, semmai è vero il contrario, e noi stiamo con chi “serve” governando, e non con chi governa servendosi degli altri. Non ci rassegniamo alla cultura della delega “tout court”, non ci facciamo dettare l’agenda politica dalle ideologie, né tantomeno dalla logica delle segreterie dei partiti che da tempo hanno rinunciato ai valori etici. Alla politica non chiediamo miracoli, ma che quel poco
richiesto sia fatto bene e con onestà. Da anni chi governa il Trentino è artefice di una politica non trasparente che disinforma ad arte e discrimina chi non si allinea, causando emarginazione e sofferenza. Se non sei dei loro, vieni ostacolato, non considerato, trattato come un cittadino di serie B, un suddito con solo gli obblighi fiscali.
Oggi la priorità e restituire dignità alle persone, al di là delle idee che manifestano. L’ardore per la dignità di ognuno deve guidare il nostro agire di cittadini prestati alla politica, e farci capaci di intercettare la speranza dei cittadini per costruire quella strada che insieme vogliamo percorrere”.
LE POESIE DI CAMILLO D’ALONZO AVANCINI
LEVICO TERME
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arà presentato ufficialmente a Levico Terme venerdì 23 giugno alle 20.30 presso la sala della filiale di via Avancini della Cassa Rurale, il libro “… penso all’anima tormentata dal dubbio”. Una pubblicazione di 320 pagine che raccoglie le poesie e i racconti di Camillo D’Alonzo Avancini, venuto a mancare inaspettatamente il 20 giugno 2013. Una iniziativa voluta e ideata dalla vedova signora Cristina Trentini e dal figlio Marco. Signora Cristina: “Io e mio figlio Marco abbiamo voluto raccogliere in un libro le sue poesie e i suoi racconti affinchè il suo pensiero non vada dimenticato. Tutti sanno quanto ha lavorato non solo per ricordare i Caduti della “Battaglia del Basson” che annualmente ancora si tiene sull’altopiano delle Vezzene, ma anche per altre importanti ricorrenze. Sono sue anche le poesie che ha fatto per i Fanti e per anche altre istituzioni”. Il figlio Marco: ”Penso doveroso ricordare mio padre con tutta la sua storia di speranza ma anche di sofferenza che ha vissuto, e che traspirano nei testi e nelle foto dei suoi quadri. Desideriamo che tutto ciò che ha scritto, fatto e pensato lasci una traccia che non vada perduta”. L’ex presidente provinciale dei Fanti e anche della locale sezione cav. Enzo Libardi: ”Per me Camillo è stato un grandissimo amico ed è stato anche presidente onorario dei miei Fanti di Levico. Una fonte di bontà e di cultura. Con lui facevamo delle grandi camminate assieme e parlavamo di tutto, dalla medicina allo sport, non c’era cosa che lui non sapesse. Spero tanto che l’amministrazione comunale di Levico volesse ricordarlo intitolandole una via o altro”. Nella serata del 23 giugno, il libro potrà essere ritirato su offerta libera ed il ricavato sarà destinato ai bambini di Cochabanda in Colombia, dove 90 bambini orfani della zona, tutti i giorni si recano per mangiare e andare a scuola, le cui lezioni La Signora Cristina con a sinistra, il figlio Marco vengono impartite gratuitamente dalle suore.(M.P.) e a destra il cav. Enzo Libardi
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I VACCINI DIVENTANO
OBBLIGATORI
Qualche mese fa nelle nostre pagine abbiamo dato spazio al tema dibattuto dei vaccini. Ora, alla luce d ella recente approvazione d el decreto legge da parte del Consiglio dei ministri, salg ono a 12 le vaccinazioni ob bligatorie per bambini dagli 0 ai 16 an Vediamo cosa ca ni. mbia.
di Silvia Tarter
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a settembre di quest’anno, per i bambini tra gli 0 e i 6 anni la vaccinazione diventa obbligatoria, altrimenti non avranno accesso al nido o alle scuole materne. Quanto a bambini e ragazzi fino ai 16 anni, con l’apertura delle scuole dopo la pausa estiva, se non si presenteranno in classe muniti di libretto delle vaccinazioni rilasciato e timbrato dall’ASL scatteranno pene molto severe verso i genitori: entro 5 giorni il dirigente scolastico segnalerà infatti alla Asl l’elenco dei non vaccinati (i bambini nel frattempo potranno comunque frequen-
tare), che darà un limite di tempo ai genitori per mettersi in regola. Pena pesanti sanzioni da 500 fino a 7500 euro di multa, oltre alla segnalazione dei genitori al Tribunale dei Minorenni per la sospensione della potestà genitoriale. Solo alcuni alunni con particolari condizioni cliniche certificate saranno esentati. Quali sono dunque queste vaccinazioni? Oltre a quelle già previste (antipolio, tetano, difterite, epatite B) diventano obbligatori i vaccini contro haemophilus influenzae, responsabile di alcune forme di meningite, meningococco B e C, morbillo, rosolia, parotite, pertosse e varicella, da somministrare entro il 5° 6° anno di età. Tra i pericoli maggiori ad oggi, infatti, vi è il morbillo che l’anno scorso ha fatto registrare oltre 2300 casi, ma si teme anche la diffusione epidemica della pertosse. Tutte le vaccinazioni sono gratuite. Soddisfatta del risultato la ministra della Salute Beatrice Lorenzin, con-
vinta dell’efficacia di questo provvedimento organizzato, dice, in maniera stringente, –i presidi stessi ad esempio potrebbero venire denunciati per omissione di atti di ufficio se mancano una segnalazione all’ASL- e si dice sicura che anche i genitori collaboreranno una volta compresi gli effettivi rischi a cui può andare incontro il loro bambino se non vaccinato. Si sta lavorando inoltre per riuscire a portare i medici a scuola. Meno soddisfatti, a quanto pare, parecchi genitori, che hanno alzato un coro di proteste contro quella che è vista come un’imposizione dall’alto che non lascia libertà di scelta. Il direttore generale del Moige (Movimento Italiano Genitori) Antonio Affinita, afferma che un simile decreto è “inaccettabile e incostituzionale”, poiché strumentalizza un’epidemia come il morbillo per introdurre altre vaccinazioni, alcune a contrastare malattie di cui attualmente non appare un quadro epidemiologico d’urgenza. Questo in un paese tra i 10 al mondo col più basso tasso di mortalità infantile e in controtendenza con il resto d’Europa, dove nei protocolli per la prevenzione vaccinale si indica, accanto ad un’accurata informazione, il necessario coinvolgimento di tutti gli attori.
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NANCY TARAZONA,
«il mio Perù è in Trentino!» di Franco Zadra Nancy Tarazona, peruviana e trentina, giunta in Trentino diciassette anni or sono, ha una storia che non si fatica a definire «di perfetta integrazione sociale». La incontriamo durante un incontro politico del movimento «Agire per il Trentino» di cui il Gruppo coordinato da Tarazona, «Trentini dal mondo», è l’ultima propaggine «nata – dicono dai vertici del Movimento - per promuovere e diffondere un’integrazione positiva fra chi arriva dall’estero e chi in Italia è nato».
Che significato ha per lei coordinare «Trentini dal Mondo»? “Innanzitutto vuol dire una grandissima responsabilità. Non parlo mai in prima persona. È vero che sono io a mostrare la faccia per questi immigrati che cercano in ogni ambito del contesto italiano di inserirsi nella legalità. Io rappresento quella fetta di popolazione che arriva in Italia, o in particolare in Trentino, in modo regolare, seguendo un iter molto complesso, con delle vere e proprie barriere da superare. Problemi che capisco benissimo e accetto perché se è vero che nel mondo ognuno è libero di migrare e cercare un posto dove vi-
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vere, questo spostamento deve avvenire all’interno della legalità, nell’osservanza di un percorso burocratico che ogni paese è in diritto di attuare a salvaguardia del proprio territorio. Rappresentare i trentini nel mondo, inoltre, mi sprona a cercare di migliorare questa accoglienza vicendevole. Quando si parla di noi come immigrati si dice solitamente che “siamo accolti”, però è anche l’immigrato che a sua volta deve accogliere. L’Italia può fare tutti gli sforzi che sono nelle sue possibilità per accogliere chiunque, ma è necessario questo ulteriore passaggio. Se da parte di chi entra in Italia non c’è anche un certo im-
Nancy Tarazona pegno per essere accolto allora tutto il sistema va in crisi. Come Trentini dal Mondo vogliamo proprio dimostrare che c’è necessità di questo impegno, di questa accoglienza che sia però vicendevole. Siamo tutti chiamati a dare il nostro contributo alla società e ognuno di noi, pur entrando in questo Paese con un permesso di soggiorno, per i motivi più diversi, per studio, per lavoro, o quant’altro, ricopriamo dei ruoli sociali ben definiti. Per esempio le 4000 badanti che in Trentino vengono principalmente dall’Est europeo, vengono assunte dalla società per coprire un ruolo in essa. Naturalmente, una persona che ha un suo ruolo nella società, per insignificante che si possa considerare, è meno propenso alla devianza, o a darsi all’illegalità. Abita in un luogo protetto, fa parte della quotidianità del territorio, e tutto questo favorisce enormemente un pieno inserimento, soprattutto rispetto a quei migranti che giungono in Italia in modo inaspettato, senza una programmazione”.
Il Trentino ha una millenaria storia di migrazioni, e sono milioni ormai i discendenti di trentini sparsi in tutto il mondo. Cosa pensi del diritto a ritornare nella terra dei loro avi? “Quando si parla di immigrazione occorre fare delle differenze. C’è l’immigrato che arriva con una prospettiva di crescita in questa terra, ma c’è anche chi arriva con già l’intenzione di andare altrove. In questo secondo caso è normale che questi non farà molti passi avanti per conoscere questa cultura, per approfondire le leggi, e sarà portato piuttosto a vivere in senso utilitaristico l’accoglienza che riceve. Chi cerca invece di costruire qui il suo futuro, è quasi conseguente che provi a dare il suo contributo per il territorio in cui si trova. Ribadisco che il primo contributo che può dare un immigrato, da qualunque parte arrivi, è il suo impegno a rispettare le leggi. In Trentino ci sono tutte le prospettive per integrarsi e non è nemmeno giusto che si cerchino delle scorciatoie che favoriscano l’immigrato a scapito di chi è già residente qui e sottoposto alle leggi. La popolazione italiana si caratterizza per il fatto di essere accogliente e, almeno io che vengo dall’America Latina, non ho mai subito alcuna forma di razzismo. I Trentini non hanno dimenticato le storie di emigrazione dei loro nonni e sanno bene che cosa significa partire per cercare un futuro migliore. Tutti mi hanno aperto le porte”. Com’è vivere in Trentino per una peruviana? “Nonostante io sia vissuta per una buona parte della mia vita nella parte andina del Perù, circondata da laghi, da montagne, con un rapporto molto stretto con la terra, quando arrivai in Trentino nel 2000 ho visto un territorio da cartolina. Noi abbiamo il culto della Pacha Mama, la Madre Terra, ma trovarmi immersa in questo “paradiso terrestre” mi da un senso di meraviglia che spesso comunico ai miei fratelli che sono rimasti là. Sono consapevole che il Trentino ha delle grandissime potenzialità. Il malessere che sfortunatamente si comincia a percepire in questi ultimi anni, e che sta intaccando anche la popolazione nativa, ha un’origine che io individuo nella mancanza di rispetto per le regole, favorita in gran parte da una immigrazione incontrollata, difficile da gestire. Ma questo è ormai il mio territorio e qui cerco di dare il meglio di me per costruire ogni giorno un presente migliore”.
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In libreria l’edizione critica del
MEIN KAMPF
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’edizione critica del “Mein Kampf” di Adolf Hitler in italiano (“La mia battaglia. Edizione critica”, a cura di Vincenzo Pinto, Torino, Free Ebrei, 2017, pp. XXXIII+640 pp., 29.99 euro, 9.99 ebook), contiene i due tomi scritti da Hitler tra il 1924 e il 1926, “Eine Abrechnung” (Resa dei conti), e “Die nationalsozialistische Bewegung” (Il movimento nazional-socialista). La Biblioteca Archivio del Csseo che ha la sua sede a Levico Terme, ha realizzato un incontro a Trento, dal titolo “Una battaglia persa?” con il curatore del volume, storico del sionismo e dell’antisemitismo, nonché
direttore della rivista Free Ebrei, e Gustavo Corni docente di storia all’Università di Trento, introdotti da Massimo Libardi. Paolo Morando, a pagina 8 del quotidiano Trentino del 24 maggio scorso, annunciava l’importante evento culturale, «anteprima nazionale», in un lungo articolo che di seguito riportiamo i poche essenziali parti. Un successo inatteso, quello dell’edizione critica tedesca del famigerato “Mein Kampf”, che fino allo scorso anno in Germania era proibito ristampare: due volumi per quasi 2
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Da sinistra: Massimo Libardi, Vincenzo Pinto e Gustavo Corni mila pagine, a cura dell’autorevole Institut für Zeitgeschichte di Monaco di Baviera. “Mein Kampf” è un’opera sommamente (e giustamente) esecrata che ora, forse, può fare un po’ meno paura. «La storia insegna – spiega Pinto - che lasciare in mano opere del genere solo a chi intende farne apologia è pericoloso, politicamente e pedagogicamente. D’altro canto la corrente avversa, cioè quella di coloro che ritengono che questi testi vadano commentati solo in sedi opportune, è pure eticamente sterile: se ne sono visti i risultati in questi settant’anni».
Una nuova edizione che si muove lungo tre livelli: ricostruire l’origine dell’opera, quindi citando le fonti che ne sono alla base, capire quali fossero i “padri spirituali” di Hitler, dunque le sue radici culturali, infine cercare di comprendere l’effettiva realizzazione di quanto scritto. «Intanto – dice ancora Pinto - non dimentichiamo che il “Mein Kampf” è opera degli anni ’20, quindi non del nazionalsocialismo in quanto regime, bensì figlia della Repubblica di Weimar. Il nostro obiettivo culturale è far comprendere come ragionasse Hitler, capire la logica
del populismo non attraverso le nostre griglie interpretative, ma con un processo di empatia: comprendere come pensano queste persone, serve a capire i motivi del loro successo, quali corde hanno toccato, per meglio affrontare le sfide lanciate da determinate forze politiche che oggi usano gli stessi linguaggi di allora». «Nel suo libro Hitler semina indizi per portare il lettore a credere che il colpevole del male sia sempre e comunque l’ebreo afferma Pinto - la cosa interessante è capire come questi indizi vengono sparsi, la costruzione del discorso della personificazione del male». (F. Z.)
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Italiani,
popolo di (non) lettori
di Elisa Corni
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i è da poco concluso il Salone Internazionale del Libro di Torino, dove, come ogni anno, centinaia di migliaia di persone hanno vagato tra gli stand di case editrici piccole e grandi, assaporato il gusto dell'ultimo libro uscito, incontrato autori, fumettisti, traduttori. Tra pochi giorni, proprio qui in Valsugana, una manifestazione analoga, il Trentino Book Festival, porterà i libri nelle strade e nelle piazze, per la gioia degli, speriamo, come sempre, moltissimi partecipanti. Eppure, dietro a questa moltitudine di persone che senza un libro in mano si sentono perdute, il panorama descritto dai dati statistici non è altrettanto roseo. Sembra, anzi, che il paese che ha dato i natali ad alcuni tra i più grandi scrittori di tutti i tempi, non sia patria di lettori. Sono tanti - qualcuno direbbe troppi gli italiani che leggono poco o niente. Molte famiglie non posseggono nemmeno un libro, e il mercato librario ne risente. Ma quale è la dimensione di questa disaffezione alla lettura? Secondo i più recenti dati Istat, quasi un
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italiano su due (più precisamente il 58% dei residente nel Bel Paese) ha dichiarato di non aver letto nemmeno un libro nel corso dei dodici mesi precedenti all’intervista, a meno che non fosse per lavoro o per studio. Questa ricerca è stata svolta nel 2016 e si riferisce all’anno solare precedente. Coinvolta è stata la popolazione dai sei anni in su. I nostri compatrioti lettori, quindi, sono solo 42 su 100. Ma la cosa non deve stupirci, dato che questa poco sana abitudine fa parte di un trend che va avanti da circa vent’anni e che ha toccato il punto più basso nel 2000, con solo il 38% degli intervistati che ha risposto affermativamente alla domanda sull’aver letto almeno un libro nell’anno precedente. Ma non è tutto. Guardatevi attorno e sappiate che una delle dieci famiglie che abitano attorno a voi non ha nemmeno un libro in casa. Delle restanti nove, sei ne possiedono non più di 100. Gli altri possono vantare qualche volume in più, ma sono pochissimi coloro i quali in casa tengono tanti libri. Ad alzare la media nel nostro paese sono tre categorie importanti: i ragazzi in età scolare, le donne e la popolazione delle regioni settentrionali. Infatti, i ragazzi tra gli 11 e i 19 anni sono lettori più assidui dei loro genitori. Per le fasce 1114, 15-17, 18-19 la quota di lettori (almeno un libro all’anno) è sempre superiore al 50%. La generazione dei loro genitori (i 35-45enni) difficilmente supera il 45% di risposte affermative. Ma di nuovo, ad alzare la media, le quote rosa, che con il loro 48 e rotti % superano di una buona spanna i loro compagni, fermi al 35% di lettori. Stessa cosa per le aree geografiche: se al nord abbiamo una buona fetta di persone
abituate a leggere, scendendo lungo la penisola, ahimè, questa quota scende, toccando il minimo nelle regioni meridionali con meno di un italiano su tre che prende in mano un libro in un anno. Le cose non vanno meglio per riviste e quotidiani, anche quelli in genere snobbati dagli italiani. Gli uomini in questo caso fanno però la differenza: con dieci punti percentuali surclassano il gentil sesso, fermo al 42%. Restando sui dati maschili, complice il caffè al bar, forse, vengono sfogliati con maggior frequenza, e infatti poco meno della metà degli italiani ha dichiarato di leggere il giornale almeno una volta alla settimana. I fedelissimi, che non possono affrontare la giornata senza aver letto un quotidiano, sono un terzo della popolazione, ma solo il 6% ha dichiarato di leggere il giornale 5 o 6 giorni alla settimana. Ma nelle fasce d’età dai 45 anni in su, la quantità di lettori di giornali sfiora il 70%. Tornando indietro di vent’anni, però, possiamo vedere come le cose fossero profondamente diverse. Non tanto nel numero assoluto di lettori, ma nella ripartizione delle abitudini letterarie, e ciò era probabilmente dovuto alla bassa scolarizzazione nelle generazioni meno giovani. Infatti, nel 1996 gli over 75 che avevano affrontato almeno una lettura nel corso dell’anno erano a malapena il 15%, e i lettori in tutte le fasce d’età non arrivavano al 41%. Eppure i più giovani leggevano tanto: quasi il 60% dei ragazzi tra gli 11 e i 14 anni leggeva almeno un libro all’anno. Oggi siamo fermi al 52%. Molta responsabilità la hanno le famiglie. Infatti, come raccontano i dati Istat, se in casa c’è almeno un adulto che è un lettore forte (almeno un libro al mese, il
13,7% della popolazione) la probabilità che i figli leggano aumenta notevolmente: dal 30 al 67%. Tutto ciò si sta traducendo, a medio termine, in una pesante flessione per un settore che in Italia dava lavoro a oltre 50 mila addetti ai lavori, ma che già nel 2013 ha visto un calo del 10%. Se la spesa degli italiani per i libri nel 2010 superava i 4 miliardi di Euro, nel 2014 si è fermato a 3,3. Dal 5,8 al 5,1% della spesa annua per la cultura. Eppure nel nostro piccolo di libri ne vediamo molti, grazie all’importante e capillare lavoro fatto dalle biblioteche. Quasi tutti i centri abitati del Trentino ne hanno una, e lì i libri si possono prendere in prestito gratuitamente. «Sono 150 le biblioteche della nostra Provincia - spiega Elena Libardi, bibliotecaria di Levico Terme - che custodiscono nel complesso 1.966.000 di titoli, tra libri, riviste, DVD e molto altro». Numeri da capogiro. Chi li leggerà tutti quei libri? «Nel nostro comune effettuiamo mediamente 2.100 prestiti al mese, poi dipende dal mese», continua la giovane bibliotecaria, che con soddisfazione racconta che l’anno
di Lucia Orecchio
precedente sono stati presi in prestito nella sua biblioteca più di 25.000 libri. Tra biblioteche, librerie grandi e piccole i luoghi dove andare a recuperare un buon
libro sono molti. Che ne dite, alziamo la media nazionale? Qui sotto un’infografica riassume i dati sugli italiani e la lettura.
LE AZIONI E I RISULTATI VISO
LE AZIONI E I RISULTATI CORPO
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Biennale diVenezia
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l 13 maggio è stata inaugurata a Venezia la 57esima Biennale d’Arte che rimarrà aperta ai Giardini e all’Arsenale sino al 26 novembre. Nata nel 1895, con il tempo è diventata una delle mostre di arte contemporanea più importanti al mondo. Questa prestigiosa esposizione senza dubbio merita una visita, sia per l’indubbia qualità degli artisti selezionati che per i suggestivi luoghi che la ospitano. La Biennale Arte si sviluppa su tre nuclei distinti ma collegati tra loro: la mostra internazionale del curatore prescelto, che quest’anno è Chjristine Macel, si trova nel Padiglione Centrale ai Giardini e all’Arsenale. I Padiglioni Nazionali ospitano un progetto artistico per ogni nazione ospite. Completano l’esposizione gli eventi collaterali, che animano Venezia durante i mesi di apertura. Il titolo scelto dalla Macel per questa edizione è VIVA ARTE VIVA. Sono presenti 120 artisti da ben 51 paesi e 85 sono le partecipazioni nei Padiglioni Nazionali. Tre i paesi presenti
Venezia - Giardini S. Giuseppe di Castello
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per la prima volta: Antigua e Barbuda, Kiribati e la Nigeria. Il Padiglione italiano si trova alle Tese delle Vergini, in Arsenale, ed è curato da Cecilia Alemani che ha intitolato il suo progetto espositivo “Il mondo magico”. Tre gli artisti coinvolti nel suo allestimento che fa riferimento al rito, alla fiaba e all’immaginario, reinventando la realtà con la fantasia, il gioco e l’immaginazione. La caratteristica che però rende la Biennale così famosa e unica al mondo è la promozione non solo dell’Arte ma
di Sabrina Mottes
di svariati settori culturali. Infatti fanno parte della sua offerta dal 1930 la Musica, dal ‘34 il Teatro, dall’80 l’Architettura e dal 1999 la Danza. Una nota speciale merita il Cinema, entrato alla Biennale nel 1932. La Mostra del Cinema di
Venezia - Palazzo Giustinian
Venezia è il primo festival cinematografico mai organizzato e, a settembre di ogni anno, porta in Laguna una selezione del miglior cinema mondiale. La storia della Biennale ha radici lontane. La prima Esposizione d’Arte occupò il palazzo ai Giardini di Castello, costruito appositamente. A questa esposizione presenziarono re Umberto I e Margherita di Savoia e il successo fu enorme, con 224.000 visitatori. Nel 1907 fu costruito il primo Padiglione Nazionale, quello del Belgio e in quegli anni aumentarono gli artisti stranieri: da Klimt a Renoir. Un’opera di Picasso venne tolta dal salone spagnolo per paura che suscitasse scandalo con la sua modernità e Picasso riuscì ad esporre alla Biennale solo nel 1948. I primi Padiglioni stranieri, oltre a Belgio ed Italia, furono Ungheria, Germania, Gran Bretagna, Francia e Russia. Durante la prima guerra mondiale la mostra non fu allestita e subito dopo furono esposte le avanguardie Impressioniste, Postimpressioniste e Die Brücke. Nel ‘30, il controllo della Biennale passò dal Comune di Venezia allo Stato fascista ed essa assunse in questo periodo il suo carattere multidisciplinare. Venne costruito allora il Padiglione degli Stati Uniti. Nel ‘37 fu inaugurato il Palazzo del Cinema al Lido, e il Casinò fu costruito l’anno seguente. Anche durante la seconda guerra mondiale, l’attività della Biennale subì un arresto e, dopo il conflitto, esposero artisti del calibro di Chagall, Klee, Braque, Delvaux, Magritte, Kandinskij. In quegli anni vennero istituiti, per la Mostra del Cinema, il premio del Leone d’Oro la Coppa Volpi, per la miglior interpretazione. Nel 1958, nella sezione Teatro, vennero presentati spettacoli di Ionesco e Beckett, suscitando grande scalpore. Negli anni successivi, la Biennale Arte decretò la fama di artisti quali Vedova e Consagra e fece conoscere in Europa la Pop Art. Questa, in sintesi, la storia di questa prestigiosa Istituzione che porta a Venezia, e all’Italia, grande fama e autorevolezza.
VENERDÌ 16 GIUGNO ALLE ORE 17.00, presso l’aula S. Giovanni Cattedrale S. Vigilio di Trento, sarà inaugurata la mostra di
TULLIA FONTANA Orari 9.00 - 12.00 / 14.30 - 20.00 dal 16 giugno al 16 luglio
Premiazione #ipostidellavoro Premio a Chiara Paoli Lunedì 15 maggio nella sala Biseauz della sede della Cgil del Trentino di via Muredei a Trento, sono stati premiati i vincitori del contest #ipostidellavoro, progetto nato in collaborazione tra Cgil e Mediacivici per raccontare attraverso storie, immagini e video, il mondo e i luoghi del lavoro. Primi classificati con un video sullo stile delle "Iene" di Canale 5, dal titolo “Volevo fare il Papa”, i ragazzi della IV B Les B dell’istituto Martini di Mezzolombardo dell'Istituto Martino Martini; sono stati poi premiati secondi a pari merito Luigi Penasa, con il fumetto intitolato “Taglia&Cuci”, e "L'ultimo falegname di Santa Maria", video di Davide Ondertoller e Sara Maino che narra il mestiere di Franco Peterlini. I due premi riservati agli under 35 sono stati attribuiti a “Ella”, video realizzato da Eliana Fattorini e Maria Carmela Donnarumma, con protagonista Serena Ziglio, che racconta la sua realizzazione personale e professionale, e “Alla ricerca del lavoro perduto”, racconto autobiografico di Chiara Paoli, nostra validissima, apprezzata e simpatica collaboratrice, da due anni ormai nello Staff di Valsugana News. A Chiara vanno le congratulazioni per il premio da parte di tutta la nostra redazione.
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FAMIGLIAGIOVANISOCIETà Un gioco molto pericoloso che termina con una prova mortale
di Laura Fratini Blue Whale: la balena blu. Questo il nome del gioco diabolico, sadico, che arriva dalla Russia e che dopo il Brasile si è spanto a macchia d’olio in molti altri stati del nostro continente (Francia e Inghilterra) e che coinvolge gli adolescenti, ma anche i bambini. Cinquanta le prove da superare, prove con difficoltà crescente che richiedono la gestione della paura e del dolore, in una sorta di rito di iniziazione, così come quelli che caratterizzano alcune culture. Un gioco on line della morte che ha spinto molti ragazzi adolescenti al suicidio e che si è già diffuso a macchia d'olio. E' di questi giorni la notizia che in Italia la polizia postale ha salvato una ragazza di 14 anni che sul proprio profilo Facebook aveva postato alcune sue foto con profonde ferite e tagli sulla braccia, che è una delle 50 pratiche (una al giorno) che il gioco prevede. Il “Blue whale” prende spunto da un fenomeno naturale che riguarda proprio le balene che per diversi, e a volte inspiegabili motivi, finiscono per spiaggiarsi sulle coste e quindi morire per asfissia e disidratazione
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Blue Whale:
la balena blu Una trappola dentro le nostre case
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proprio come nei riti di iniziazione, ci si aspetta che il soggetto entri a far parte di un gruppo, di una confraternita. Ma nel Blue Whale la richiesta è molto diversa, il gioco termina con l’ultima prova da superare, la morte: il suicidio, gettandosi dal palazzo più alto della città. L’ideatore di questo terribile game è il ventiduenne di origine russa Philip Budeikin che, dopo il suo arresto, ha dichiarato, con sprezzo, "di aver purificato la società dagli scarti biologici". Budeikin, studente di psicologia, (attualmente è racchiuso in un carcere in Russia) ha utilizzato le sue conoscenze per manipolare menti giovani, libere da sovrastrutture e con una gran voglia di appartenere a ‘’qualcosa’’, come tutti i giovani, di affermare la propria identità sociale. L’opinione comune, per dare un senso a questa follia, ha cercato di comprendere cosa poteva
essere successo, il più delle volte pensando ad una depressione o a gravi problemi esistenziali. Perché sembra impossibile che tanti ragazzi siano finiti
in questa rete tentacolare, perché non sembra plausibile che tutto questo sia nato dalla mente di qualcuno capace di spingere alla morte dei ragazzi. Ma le tecniche manipolative delle quali si è servito l’ideatore di questo mostruoso progetto sono specifiche e puntuali, è stato scientifico nell'applicare le sue folli idee. Proprio per questo è pericolosissimo: anche il giovane che si avvicina solo per curiosità, che dice a se stesso che si tratta di un gioco, una volta all'interno di questo meccanismo, rischia di finire imprigionato in un vero e proprio incubo, dal quale da solo non riuscirà a scappare. La prima regola della quale si sono avvalsi gli ideatori è quella dell’isolamento: il soggetto viene educato a non dire niente a nessuno, così che nella solitudine possa essere condizionato più facilmente. La seconda è quella del controllo sociale, questa è molto legata all’isolamento, il soggetto comunica soltanto con il proprio ‘’tutor’’ o con un’altra ‘’balena’’, nello specifico si tratta di altri membri del gruppo, che condividono la stessa situazione. Viene così creato un club esclusivo, che appaga la voglia di essere parte di qualcosa di unico. Poco importa, a chi ne è parte, quale sia la fine di questo gioco. E proprio ‘’l’appartenenza ad un gruppo’’ è la terza regola fondamentale, dove il soggetto si sente parte integrante di una "élite" che condivide regole e sensazioni identiche. Dopo di ché passiamo alla quarta tecnica, che è quella della
deprivazione del sonno, una delle più antiche forme di coercizione: la mancanza del riposo può creare terreno fertile per creare nel soggetto stati depressivi, euforici e comportamenti aggressivi e indifferenza per l’ambiente circostante. Una deprivazione che viene compensata e con stimoli negativi, poiché i "giocatori" devono svegliarsi tutti i giorni alle 4.20 e guardare film horror o scene di suicidi inviate dal tutor stesso. Chi riesce via via a superare le prove viene gratificato dal gruppo, che lo incoraggia, facendolo sentire ‘’forte’’, ‘’coraggioso’’ e ‘’migliore’’, contribuendo ad incrementare la manipolazione del giovane o del bambino, che facilmente è sensibile a questo tipo di riconoscimenti. La Blue Whale dura cinquanta giorni, un periodo anch'esso studiato per rendere efficace la manipolazione mentale, che deve durare un periodo medio-lungo. Il “curatore’’ tesse la sua tela con pazienza e metodo per raggiungere il risultato. Questo fa pensare alla personalità dell’ideatore del gioco, probabilmente una mente sadica e psicopatica o di un narcisista maligno. Cosa si può fare per evitare che i nostri figli cadano in trappole come questa? Siamo noi adulti che dobbiamo cercare di seguire bene i nostri ragazzi: molto importante è il dialogo, l’ascolto, l’accoglienza delle emozioni. Occorre notare
se ci sono particolari cambiamenti nei comportamenti di nostro figlio: rifacendosi a quanto spiegato prima, dobbiamo vedere se nostro figlio è particolarmente isolato, se passa molto tempo da solo al computer, se notiamo un cambiamento nella salute del sonno, se ha repentini cambiamenti di umore, se sulle braccia sono comparsi tagli sospetti che non si erano mai visti. Un altro segno importante è l'assenza di dialogo, si deve prestare attenzione alla continuità degli amici che frequenta o se ci sono cambiamenti. Il confronto con i pari è fondamentale, perché sono gli amici di scuola i primi ad accorgersi se qualcosa non va, e i professori o i maestri devono contribuire a vigilare e comprendere bene i loro allievi, perché tante volte proprio la scuola è il primo ambiente nel quale si manifesta un comportamento sospetto. Non esitate a parlare di questo fenomeno, spiegando ai ragazzi come funziona e come difendersi da queste trappole malefiche. Ciò che si conosce fa meno paura e rende la persona più forte, più capace di resistere di fronte a quello che sembra solo un gioco, ma che in realtà è una ragnatela dalla quale è difficile fuggire, una volta invischiati. La dott.ssa Laura Fratini è psicologa-psicoterapeuta Riceve su appuntamento: tel. 339 2365808 (laurafratini.psicologa@gmail.com)
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MUSICA LIVE IN PISCINA N
on solo sport e divertimento acquatico, in piscina si può fare anche cultura. Da questa precisa visione di Daniele Armelao, gestore dell’associazione, l’idea di portare nelle varie sedi una serie di concerti live in acustico, per far diventare la piscina un luogo di aggregazione anche culturale e offrire un intrattenimento di qualità. Saranno 13 per ciascuna sede le proposte musicali in calendario, con generi che spazieranno dal cantautorato all’elettronica al jazz, in un ampio carnet di gruppi musicali locali e non, dei quali parecchi accumunati dal gusto per la sperimentazione e per l’innovazione musicale. A curare la regia di questa rassegna originale e ricercata i due direttori artistici Nicola Sartori, figura molto conosciuta nell’ambiente musicale in Trentino, che ha già organizzato la stagione 2016 a Levico, e Giuseppina Locatelli, nota nel contesto musicale underground italiano, che si occuperà anche di ufficio stampa. Dopo l’antipasto sonoro che è già stato realizzato in due appuntamenti quest’ inverno e poi a Pasqua, la rassegna prenderà il via ufficialmente con l’inaugurazione sabato 10 giugno (h. 18.00) alla piscina di Borgo Valsugana, con l’artista siberiana Elena Bruk che proporrà arrangiamenti al piano di repertorio Swing e Crooney; sempre a Borgo seguirà un secondo concerto il 17 giugno, con il jazz del Manca e Leonardi duo.
Dal 14 giugno si comincia invece alla piscina di Strigno, (situata al di fuori del paese e raggiungibile con una stradina a piedi) insieme al duo toscano We love surf in stile garage rock anni ’60, primo di una serie di appuntamenti, ogni mercoledì alle 19.30, con una musica d’intrattenimento affatto banale. I concerti in questa location si terranno sotto al gazebo accanto all’area bar, ma in caso di maltempo saranno spostati a Borgo. Il giovedì alle 18.00 la manifestazione si sposterà poi nella sede di Roncegno Terme, che si trova nel parco secolare del Grand Hotel Villa Rapahel, con concerti all’insegna della musica classica, d’autore e del jazz. Ad aprire le danze giovedì 15 giugno sarà il complesso jazz Amarisse trio. Infine, dal 16 giugno, ogni venerdì alle 19.30 la musica live animerà le serate nella struttura di Levico Terme, sotto al gazebo accanto all’area bar (in caso di maltempo l’evento non sarà annullato), con musica non convenzionale, sperimentale e di ricerca. Il primo gruppo ad esibirsi saranno i Fat Honey, duo perginese chitarra sax ed elettronica.
Dal 14 giugno all’8 settembre, l’Associazione sportiva Rarinantes Valsugana (RNV), che gestisce le tre piscine di Levico Terme, Roncegno, Strigno e da poco anche la piscina all’aperto di Borgo Valsugana, propone per la stagione estiva una ricca rassegna musicale con 39 appuntamenti distribuiti nelle 3 sedi, per allietare le serate d’estate a bordo piscina.
I concerti sono tutti ad entrata libera e si potrà usufruire anche di buffet e degustazione di vini. Per informazioni dettagliate sul programma consultare il sito: www.rarinantesvalsugana.com
AUGURI ELSA
LEVICO TERME
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stata festeggiata presso l’APSP di Levico Terme, l’Istituto che la ospita fin dal 2007, Elsa Bailoni vedova Giacomelli di Vigolo Vattaro per il raggiungimento dei suoi 104 anni di vita. I figli, i nipoti e i numerosi pronipoti si sono stretti attorno a nonna Elsa in segno di affetto, mentre il sindaco della Comunità della Vigolana le ha donato un bel mazzo di fiori. Omaggio floreale anche da parte della presidente dell’Istituto levicense Martina Dell’Antonio e la festa, organizzata dai famigliari e dal servizio di animazione, è proseguita con il taglio della grande torta e un brindisi festoso fra tutti. È il caso di ricordare che presso l’APSP di Levico sono ben cinque le persone, tutte al femminile, ultracentenarie di cui altre due che pure loro compiranno i 104 anni nei prossimi mesi del 2017. (M.P.)
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GUARDIANI ALL’OMBRA DEI BOSCHI T
re uomini dai sorrisi gioviali mi accolgono nel loro ufficio. Hanno indosso una divisa che indica il loro ruolo istituzionale, ma i loro modi e la loro simpatia suggeriscono che non si tratta della solita divisa. «Non siamo del Corpo Forestale Provinciale - precisa Fabrizio - siamo Custodi Forestali e non apparteniamo a nessuna gerarchia militare o paramilitare. Siamo dipendenti del Comune». Non fa in tempo a finire la frase che Nicola alla mia sinistra si intromette: «Noi siamo al servizio dei censiti (cittadini, Ndr), e quello che facciamo è offrire il nostro servizio». Ma andiamo con calma; lasciate che vi presenti i Custodi Forestali che vigilano e conoscono palmo a palmo i boschi e i pascoli dei comuni di Levico, Caldonazzo e Calceranica. Sono Fabrizio Iori, che è nato con gli scarponi da montagna, Nicola Gozzer, che voleva fare il veterinario ma che il suo lavoro non lo cambierebbe più, e Marco Marchesoni, rimasto affascinato dal “salter” che incontrava nei boschi da bambino. Sì perché il loro è un mestiere molto antico. I Saltari erano i custodi dei boschi e dei pascoli che, fin dal medioevo, avevano il compito di controllare il territorio. Oggi non indossano più quei bislacchi e scomodi cappelli pieni di piume, ma il loro lavoro non è poi così
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cambiato. O meglio, un po’ lo è, come racconta Fabrizio, che ha cominciato a fare il Custode Forestale due decadi fa. «Oggi –racconta – passiamo una buona fetta del nostro tempo in ufficio a compilare carte, documenti e via dicendo. La burocrazia a volte è l’entità con la quale fatichiamo di più a rapportarci. Quando ho cominciato, era diverso». Non c’erano i computer in ufficio, i cellulari non esistevano, e le radio prendevano poco. Ora, nel loro lavoro, sono seguiti e rintracciabili. Ma come vivono una giornata di lavoro i custodi forestali? «Non è una domanda semplice a cui rispondere - spiega Marco - perché non abbiamo una giornata tipo. Durante il periodo della raccolta dei funghi siamo all’opera già alle 6 del mattino, mentre in inverno tendenzialmente cominciamo dopo». Tendenzialmente, perché, come mi hanno spiegato, in periodi di siccità invernale - come quella che ha salutato la fine del 2016 - c’è molto lavoro da fare per la prevenzione degli incendi. Sono nel loro ufficio da pochi minuti e già mi gira la testa. Ho sentito parlare di funghi, permessi di pesca, prevenzione degli incendi, taglio degli alberi… ma cosa fanno questi custodi? Custodiscono, salvaguardano e tutelano il nostro territorio. Solo a Levico ci sono oltre 4.000 ettari di boschi e 700 di pascolo, questi per lo più «in Vezzena». È parte del territorio del quale si prendono cura quotidianamente. Dall’alba la tramonto, secondo le
di Elisa Corni
necessità del bosco, la stagione e le bizze del clima, si occupano di assegnare i lotti di alberi da tagliare, di controllare le licenze per la pesca e la raccolta di funghi, fare i controlli per l’abbandono di rifiuti e molto altro. «La gente ci immagina con lo zaino in spalla e il binocolo a passeggiare. Ma non è così semplice - commenta Nicola - molto tempo certo lo passiamo immersi nella natura, ma non è solo questo il nostro compito». Mi raccontano di indagini che hanno portato all’individuazione di chi aveva abbandonato i rifiuti sul limitare del bosco o sulle rampe forestali; della strategia per controllare i permessi di raccolta funghi; del conteggio dei capi di bestiame presso le malghe del Comune (770 mucche adulte, mi dicono). «Lo conosciamo a menadito il nostro territorio. Siamo in grado di guidare qualcuno anche al telefono tra gli alberi dei nostri boschi, basta che segua le nostre indicazioni», racconta Fabrizio, che l’estate scorsa era a Verona quando la sua assistenza in remoto ha permesso di ritrovare un turista disperso. Parlando con loro si viene travolti dall’amore per questi boschi e queste montagne, e dal loro profondo e innato senso civico. «Il nostro non solo è un bellissimo lavoro; non solo è la nostra
passione; ma è un servizio per tutti i cittadini. Siamo l’anello di congiunzione tra le persone e il territorio, ma anche con le autorità e con chi ha altri compiti nell’ambiente che ci circonda», spiega Marco. Infatti non è tutto compito loro, ma non si tirano indietro. Se infatti rientrano nei loro compiti l’avvistamento di attività illecite o, per esempio, della processionaria, non lo è, per esempio, l’intervento in caso di alberi o piante che sconfinano. «Diamo consigli e indicazioni a tutta la gente che ce lo chiede perché noi lavoriamo sempre nella stessa zona e con il tempo abbiamo ottenuto la fiducia della gente», afferma deciso Nicola. Questa cura e tutela per un ricco patrimonio boschivo che fa da ecosistema sempre più ospitale, è fondamentale. Nella vicina regione Veneto, purtroppo, la figura dei Custodi Forestali è stata parzialmente abolita, e le conseguenze non sono tardate. Per esempio il Bostrico, un pericoloso parassita dell’abete rosso, sta mettendo a repentaglio la qualità dei boschi sull’altipiano appena al di là del confine. «Poche persone controllano perché non c’è una figura analoga alla nostra a disposizione tutto l’anno - constata tristemente Fabrizio -. Noi, oltre a poter intervenire prontamente, stiamo anche stimolando la crescita di isole di specie diverse all’abete rosso o bianco, che predominano sull’altipiano, per creare biodiversità e interrompere eventuali epidemie di parassiti». Oppure, mi raccontano, stanno sfoltendo i boschi dove ci sono aree di mirtillo. Questo per offrire cibo e alimentazione alla piccola fauna selvatica che nelle scure bacche trova un’importante fonte di sostentamento. Allo stesso tempo rami e rametti - il cosiddetto cippato - residuo dal taglio e dalla vendita del legname dei lotti selezionati, spesso viene lasciato a terra. «Non è disordine - spiega Nicola - ma è un nuovo habitat per insetti, ragni e piccoli mammiferi». Tutto ciò che fanno ha un motivo specifico. Lo si riscontra nel pesante librone che mi mostrano: il piano economico decennale dove vengono riportati tutti i dati relativi al bosco di competenza e gli interventi a carico dello stesso. In quel volume dalla copertina rossa sono indicati l'inventario del beni silvo-pastorali dell'amministrazione e le modalità con cui operare. Ma è soprattutto la cura, l’amore e la passione a muovere questi tre uomini, che mi promettono una passeggiata mattutina alla ricerca dei caprioli. Potete incontrare i Custodi Forestali a Levico, in Piazzetta Medici, il giovedì dalle 17.30 alle 18.30.
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Roncegno Terme, lo stabilimento balneare e le ville R
oncegno, borgata per decreto imperiale del 3 gennaio 1887, è nota per le sue acque termali, scoperte nel 1857 da Domenico Zen, cercatore minerario che vide sgorgare ai piedi della Valle del Diavolo, nel fianco del monte Tesobo un’acqua color giallooro. L'acqua minerale di tipo arsenicaleferruginoso venne analizzata e utilizzata per debellare alcune malattie dell’epoca, ottenendo buoni risultati. Nasce così tra il 1859 e il 1861 il primo stabilimento di cura idrominerale, grazie all’azione dell’Associazione per azioni del bagno di Roncegno. Nel 1873 segue la Società anonima balneare Roncegno, che concepì lo stabilimento, ma è nel 1877 che vengono ultimati i lavori, per l’apertura dell’albergo, grazie alla società, composta dai
Lo stabilimento Bagni - Roncegno
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fratelli dottori Waiz, Zanetti di Trieste, e Manzoni di Milano. Nell’arco di poco tempo i fratelli Gerolamo e Francesco Waiz rimangono soli alla guida dello stabilimento. Nei primi anni del ‘900 grazie agli innumerevoli miglioramenti che ne fanno una struttura dotata di tutti gli agi, l’albergo si trasforma in Grand Hotel, cui si aggiunge il complesso Palace Hotel. Da una pubblicazione anonima di fine Ottocento, intitolata “Roncegno nel Trentino. La sua acqua naturale arsenico-ferruginosa il suo stabilimento bagni”, ricaviamo una precisa descrizione dell’hotel Bagni: "Il Grand Hotel des Bains, in stile italiano a somiglianza delle belle e principesche ville delle colline Fiesolane e Fiorentine è dotato di 200 stanze con caloriferi e ventilatori elettrici. La luce elettrica è prodotta con un poderoso impianto di proprietà dei Fratelli D.ri Waiz. La più pura acqua potabile viene condotta con acquedotto appartenente alla Casa.
di Chiara Paoli
Hotel Pensione Vittoria - Roncegno Moderna la lavanderia meccanica con forza motrice elettrica. 50 le stanze da bagno. Nel parco il tennis, chioschi, viali e fontane. Una magnifica sala con completa Idroterapia offre le più moderne applicazioni elettriche, bagni di luce, bagno idroelettrico con acqua semplice o acque minerali, Tremuloterapia, Bagno a vapore, Fanghi arsenico-ferruginosi, ginnastica svedese e massaggi”. Sono i fratelli Waiz che nel 1905 impreziosiscono ulteriormente il palazzo, affidando la decorazione del salone da ballo all’artista toscano Ardengo Soffici; purtroppo l’opera decorativa è andata distrutta, a causa di un bombardamento nel corso della Grande Guerra. Solo un pannello del ciclo è stato salvato dalla forza distruttrice, esso rappresenta il tema del “Bagno” e si trova oggi in collezione privata.
È grazie a queste acque termali che Roncegno si dota di servizi come uffici postali, telegrafo, lampioni, ma offre anche ai turisti numerosi servizi, come bazars, automobili e cavalli, guide e fotografi per accompagnare i turisti in gite ed escursioni. L'acqua di Roncegno per le sue proprietà salutari viene distribuita in tutto il mondo, venduta in bottigliette azzurre, munite di apposita etichetta a stampa su fondo giallo. È la salubrità di queste acque che rende celebre Roncegno e ne fa il luogo di soggiorno prediletto dall'aristocrazia europea; lo stesso imperatore Francesco Giuseppe vi si intratteneva con la propria famiglia ed è qui che nel luglio del 1888 giunge la Divina Eleonora Duse, celebre musa ispiratrice di Gabriele D’Annunzio e celebre attrice di teatro. Le salubri acque ottengono numerosi riconoscimenti e nel 1899 consentono a Roncegno di essere la prima località a ottenere un ufficiale riconoscimento di stazione di cura. In quel di Roncegno sono molti i luoghi messi a disposizione per gli ospiti che giungono da tutta Europa e dal mondo, tra cui l’albergo Stella e Moro, l’hotel Vittoria, cui si aggiungono gli appartamenti privati. Roncegno conserva ancora oggi il fascino della Belle Epoque grazie alle splendide architetture fiorite tra Otto e Novecento che l’hanno resa una splendida borgata, fiore all’occhiello della Valsugana. Villa Rosa, in stile Liberty viene trasformata dal proprietario Massimo Dorighelli in albergo nel 1907; villa Kofler è invece residenza estiva di proprietà del maggiore degli alpini Iginio, che in Veneto con la moglie
gestiva un negozio Villa Waiz - Roncegno di profumi. Villa Pola, nota come Waiz, sorge verso fine ‘800, inglobando una precedente costruzione rinascimentale; ha subìto numerosi danni durante il primo conflitto mondiale, ma venne ricostruita nelle forme originarie nel 1923 e oggi ha funzioni di Garnì. Villa Baito sorge verso la fine del XIX secolo come abitazione di Paola Waiz, figlia di Gerolamo e viene acquisita nel 1919 dalla Società Acque Termali; mentre Villa Flora è stata luogo di raccolta dell’acqua minerale, per divenire poi albergo nel 1969; dal 1995 è struttura ricettiva del Centro Tennis. Villa Gerlach sorge agli albori del ‘900 come residenza estiva dei baroni che ne fanno un luogo di ritrovo per l’alta società del tempo, che qui può intrattenersi con feste e serate danzanti. Villa Angiolina, costruita nel 1922 quale residenza di Giovanni Froner, con un’intitolazione che omaggia la moglie, nasce con l’intento di essere una pensione per villeggianti, ma svolge per lungo tempo soltanto funzioni di alloggio, divenendo nel 2003, Hotel Villa Rosa - Roncegno grazie a una importante ristrutturazione, il Park Hotel Villa Angiolina.
CIAO RICCARDO
LEVICO TERME
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vrebbe compiuto 96 anni il prossimo 7 novembre Riccardo Gaigher, l’ultimo reduce levicense del secondo conflitto mondiale. Durante la seconda guerra mondiale aveva combattuto, negli anni 1940-41, con l’Artiglieria Alpina sul fronte Greco-Albanese e fu successivamente catturato dalle truppe tedesche e tradotto prigioniero in Germania per due anni. Rientrato poi in Italia alla fine del conflitto, senza mai essere ferito, fu assunto dal comune di Levico Terme come custode forestale per la zona delle Vezzene. I funerali si sono svolti nella chiesa arcipretale alla presenza di tanti fedeli e di una ventina di alpini con i loro gagliardetti provenienti da tutto il Trentino. Al termine, dopo l’attenti dell’alpino Galler Ferruccio, è seguita la preghiera dell’”Alpino andato avanti” recitata dal capogruppo Gualtiero Pohl, quindi è stato accompagnato al cimitero di Levico dove, prima della tumulazione, un trombettiere ha intonato il silenzio di ordinanza. (M.P.)
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Un Centro di Ascolto per familiari di persone affette da demenza
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l presidente della Apsp “San Lorenzo e Santa Maria della Misericordia” di Borgo Valsugana, dott. Mario Dalsasso, presenta il Centro di Ascolto per familiari di persone affette da demenza, attivato a un anno esatto dall’apertura del Nucleo Demenze “Non ti scordar di me”, diretto dal dott. Alessio Pichler, psicologo-psicoterapeuta, specializzato in Psicologia Gerontologica. «Il Centro di Ascolto – dice Dalsasso –, completa un percorso, intrapreso dall’Ente, rivolto a fornire una migliore qualità della vita a questo tipo di pazienti e un supporto emotivo e informativo a chi se ne prende cura. Attenendosi ai criteri previsti dal Piano Provinciale Demenze, partecipa a una rete di servizi completa e ben articolata. Un progetto nato dalla collaborazione della Apsp con l’Apss e nello specifico con il Punto unico di accesso (Pua) di Borgo Valsugana, che proseguirà nella fase di attuazione, al fine di cogliere con prontezza i bisogni sul territorio». Un supporto importante, dunque, per tutte quelle persone che, a un certo punto della loro vita, vedono il proprio coniuge, genitore, amico, ammalarsi di demenza. L’obiettivo principale è proprio quello di sostenere attivamente il familiare, che spesso in maniera del tutto improvvisa si trova di fronte a una patologia complessa e difficile da affrontare. La demenza,
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quella di Alzheimer ma anche tutte le altre, spesso trasforma la personalità del paziente, i suoi comportamenti e relazioni, e una delle maggiori fonti di disagio di chi si occupa del malato è proprio la gestione di comportamenti difficili da comprendere e soprattutto da governare. «Questa iniziativa – continua Dalsasso –vuole essere molto più che un punto di ascolto e di sostegno emotivo. Il sostegno che viene fornito è anche di tipo informativo e gestionale, e intende aiutare concretamente il familiare fornendo un primo ascolto e appoggio rispetto allo stress che vive nella relazione/gestione dell’anziano con disturbi cognitivo-comportamentali, dare una spiegazione quanto più chiara e comprensibile dei comportamenti e dei deficit cognitivi del paziente, e fornire a questo punto indicazioni che possano aiutarlo a riaggiustare il proprio approccio al malato e a individuare le attività occupazionali maggiormente adatte alla fase della patologia». «L’intento del Centro – spiega il presidente – è anche quello di aiutare tutta la famiglia a condividere un approccio al paziente che tenga conto delle sue difficoltà e risorse. Incontri con l’intero nucleo familiare avvengono allo scopo di affrontare ed elaborare tutte quelle differenze di approccio e di gestione che spesso aggravano, invece che ri-
durre, i disturbi comportamentali della persona (oltre che rappresentare un ulteriore motivo di conflitto all’interno della famiglia). Naturalmente, il Centro di Ascolto non può e nemmeno vuole avere la presunzione di dare tutte le risposte a una malattia complessa e mutevole, nella quale il disturbo comportamentale e cognitivo è solo una delle componenti. Si propone di supportare il familiare rispetto a questi due ultimi disturbi, fonte di intenso stress psicofisico per il familiare, soprattutto quello che segue il malato a domicilio».
Mario Dalsasso
AIL A
Trentino onlus
IL Trentino nasce vent’anni fa, nel dicembre del 1997, quale Sezione provinciale dell’Associazione Italiana contro le Leucemie, Linfomi e Mieloma, realtà attiva sin dal 1969. Nata dalla volontà di alcuni genitori di bambini ammalati, conta oggi sul territorio 500 volontari che collaborano in particolare in occasione delle giornate dedicate alla vendita delle uova pasquali e delle stelle di Natale, i cui ricavi vanno a finanziare la ricerca in campo medico. Ma un momento importante è sicuramente quello della “Pedalata per la vita”, manifestazione che giunge quest’anno alla sua 19° edizione. Appuntamento ormai noto a tutti i residenti in Valsugana, che quest’anno si è svolto nella assolata giornata di domenica 21 maggio. I percorsi sono differenziati e se non si riesce a percorrere tutti i 25 km riservati ai ciclisti esperti, si può sempre optare per il percorso turistico di 12 km o per quello baby riservato ai più piccoli. La manifestazione come sempre ha preso il via a Pergine in viale dell’Industria, presso la Caserma dei Vigili del Fuoco, con ritrovo alle ore 8.00 e partenza alle 9.30. Sono stati circa 3500 gli iscritti che con la quota di partecipazione versata
di Chiara Paoli
hanno contribuito così a sostenere la ricerca per la cura delle malattie oncoematologiche. Apri pista d’eccezione il ciclista professionista trentino Daniel Oss e ben 500 volontari che hanno contribuito alla buona riuscita della più importante manifestazione benefica della provincia di Trento. Più recentemente ha preso avvio anche la “Camminata per la vita”, che domenica 25 settembre 2016 ha visto circa 1.000 partecipanti iscritti alla sua terza edizione. Si tratta di una camminata a passo libero di 9 km che partendo dal centro storico di Pergine, in piazza Fruet, conduce alla scoperta del Castello per raggiungere poi il lago di Levico. Lungo il percorso alcuni punti ristoro e per concludere è stato realizzato un pasta party (anche gluten free per i celiaci), proprio sulle sponde dello specchio d’acqua mentre l’animazione è stata garantita dalla collaborazione dell’Associazione Il Sogno. Le attività di AIL Trentino non toccano soltanto la Valsugana, ma si ampliano con l’offerta invernale della Bondonail, ciaspolata in notturna che si svolge alle Viote, sul monte Bondone. Il percorso di
4 km è illuminato dalle fiaccole e prevede alcuni punti di ristoro. Ma non c’è solo movimento, uno dei testimonial di AIL Trentino è il Coro Cima Verde che lo scorso 3 settembre 2016 ha dato corso alla 19° edizione della manifestazione “MusiCavedine & FestivAIL“,presso la palestra di Cavedine; un’occasione per una serata dedicata alla musica. Moltissimi poi sono gli sponsor ed i sostenitori di AIL Trentino, come la Fondazione Aquila per lo sport Trentino che ha deciso di realizzare una lotteria “una borsa di speranza per AIL Trentino”, il cui ricavato servirà a finanziare un anno di ricerche per la diagnosi e la prognosi della malattia. Da novembre 2016 il Trentino entra a far parte anche del cda nazionale, il vicepresidente della sezione locale, Roberto Valcanover è stato infatti eletto consigliere. L’impegno di questa realtà associativa viene premiato dalla presenza sempre massiccia alle manifestazioni organizzate e dalla grande affluenza ai banchetti che vendono uova pasquali e stelle natalizie per sostenere la ricerca. Un impegno che ci auguriamo venga coronato anche da nuovi successi nel campo della ricerca medica, per vincere la gara più importante di tutte, quella contro leucemia, mieloma e linfoma. Si ringrazia AIL Trentino per la gentile concessione delle fotografie
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Bandiere Blu 2017 Il Trentino raddoppia
Alta Valsugana con laghi Levico e Caldonazzo
SONO BEN DIECI LE SPIAGGE TRENTINE INSIGNITE DEL LA BANDIERE BLU, SU 342 PREMIATE IN ITALIA, COME OGNI ANNO DAL FOUNDATION FOR ENVIRONMENTAL EDUCATION (FEE) di Chiara Paoli
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engono riconfermate le spiagge che avevano ottenuto il riconoscimento negli anni precedenti e si aggiungono ulteriori luoghi paradisiaci lungo le sponde dei laghi di Pinè, Lavarone, Roncone e Idro. I riconoscimenti vengono conferiti sulla base di appositi criteri quali: nitidezza dell’acqua, organizzazione degli spazi limitrofi con servizi, aree pedonali, spazi verdi, zone gioco per bambini, contenitori per la raccolta differenziata e piste ciclabili di collegamento. Si riconfermano la spiaggia del Lido di Levico Terme, che è stata la prima bandiera blu del Trentino con il riconoscimento ottenuto nel 2013. Grazie ai recenti lavori messi in atto dall’amministrazione comunale ora è possibile effettuare in tutta sicurezza il giro di tutto lo specchio d’acqua della cittadina termale. Si tratta di una splendida passeggiata che permette di ammirare il paesaggio e assaporare la tranquillità della natura che si snoda lungo il sentiero dei pescatori per raggiungere la frazione di Visintainer, passando sotto il colle di Tenna per tornare poi verso Levico. Seguono a ruota nel 2014 le spiagge che si affacciano sul lago di Caldonazzo, il più grande specchio d’acqua del Trentino, che gode di ben 3 bandiere blu, at-
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tribuite ai diversi comuni: per il comune di Calceranica è stata premiata la spiaggia che va dal camping Riviera, passando per il camping Al Pescatore, giungendo fino alla località Alle Barche. Si aggiungono poi la spiaggia di Tenna nota anche come spiaggia alle Terrazze per la presenza dell’hotel che risulta chiuso e soggetto a incuria ormai da molti anni. L’hotel ha avuto una storia travagliata, nel 2001 è stato acquisito da una società, la Tre V srl che a inizio 2005 è fallita. L’immobile è stato acqui-
stato all’asta da un privato nello stesso anno, ma rimane a tutt’oggi in stato di abbandono. Per la città di Pergine Valsugana è stata premiata la spiaggia di San Cristoforo al lago, con le sue splendide Darsene che sono annoverate tra i beni ambientali del Trentino. Questa località balneare si arricchisce di una bellissima chiesetta medievale, risalente al XII secolo, arroccata sul colle e attorniata dal verde. Spiccano poi, poco più in alto del can-
Lago di Pine' (da Visit Trentino)
neto che costituisce il biotopo, le scenografiche ville opera del genio dell’architetto perginese Eduino Maoro: Villa Walde, Villa Alefeld-Darmstadt, Villa Rosenthal, e Villa Frey. A queste nel 2015 si è aggiunto il comune di Caldonazzo con la spiaggia del Lido, dove è possibile cimentarsi nel canotaggio o noleggiare una piccola imbarcazione per godersi la pace del lago. I laghi di Levico e Caldonazzo sono balneabili e sono considerati
tra i laghi più caldi del centro-sud Europa, perciò è più facile godersi un bagno in queste nostre acque valsuganotte. Il 2016 non ha assegnato nuovi riconoscimenti alle spiagge del Trentino, ma l’anno 2017 invece ci ha riservato un ricco bottino, che ha visto raddoppiare il numero di bandiere blu per il Trentino. Tra i premiati i laghi dell’altipiano di Pinè, con la spiaggia in località Piazze a Bedollo, luogo ideale per i più piccoli vista la presenza di un bellissimo parco giochi con sabbia di mare, per scorazzare a piedi nudi e costruire splendidi castelli di sabbia. Premiato anche il lago di Serraia nel comune di Baselga di Pinè con la spiaggia Lido, la zona del bar Spiaggia e Lago di Lavarone dell’Alberon. Il laghi
del pinetano godono di bellissimi percorsi che circondano entrambi i laghi e sono percorribili a piedi, in bicicletta o a cavallo. Tra le new entry di quest’anno anche lo splendido lago di Lavarone, nella Magnifica Comunità degli Altipiani cimbri, con i due frequentati lidi Bertoldi e Marzari. È attorno a questo magico specchio d’acqua che passeggiava l’inventore della psicanalisi, Sigmund Freud, quando trascorreva le sue vacanze in Trentino tra il 1904 ed il 1923. A Sella Giuidicarie si aggiudica la bandiera blu il piccolo ma incantevole lago di Roncone, che riflette il verde dei prati e dei faggi che lo incorniciano. Qui sono molti i pescatori che stazionano sulle passerelle in legno, nell’attesa che qualche trota abbocchi all’amo. E infine la bandiera blu giunge sulla sponda trentina del lago d’Idro, nella località porto Camarelle nel territorio comunale di Bondone, che con i suoi splendidi allestimenti culturali evidenzia i punti di maggiore interesse di questa meravigliosa riserva naturale.
CALDONAZZO
Artisti in erba
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ono stati quarantasette i ragazzini che hanno partecipato alla sesta edizione di “Artisti in erba” , organizzato dal Centro d'Arte La Fonte di Caldonazzo guidato da Waimer Perinelli in collaborazione, per la prima volta, con la locale Pro Loco. Oltre a questi bambini c’erano anche quattro fuori età frequentanti la scuola materna. Gli aspiranti artisti, con età compresa fra i 5 e 15 anni delle scuole elementari e medie di Tenna, Levico, Vattaro, Caldonazzo e Trento, si sono cimentati sul tema “Primavera in fiore sui laghi”, rappresentando in particolare un proprio sogno. La giuria, composta da insegnanti, artisti, e da una psicologa ha attribuito tre premi per fascia scolastica. Per i giovani delle tre classi delle scuole medie il primo premio è andato a Nichi Aminaei, una ragazzina di 12 anni, autrice di uno splendente sole riflesso sul mare. Il secondo premio ad Alessio Lo Bue, nel cui disegno ha raffigurato lago e cielo che si confondono alla luce del sole di mezzogiorno; il terzo premio a Giovanni Ghesla interprete della geometrica rappresentazione della primavera in
paese, con il lago sullo sfondo. Fra i ragazzini delle elementari primo premio a Marta Gottoli della seconda classe; seconda classificata Caterina Palo della prima classe e terzo premio a Giulia Vittoria Perinelli della prima classe. Fra i più grandicelli vittoria per Rosa Ferrari della classe quinta; secondo premio a Matilde Ciola del quarto anno e terza posizione per Matilde Moretti classe quinta. “Buono l' impegno generale, ha scritto la giuria. I bambini hanno saputo cogliere, ognuno con la propria fantasia, il tema del sogno e della primavera”. Gli elaborati dei nove premiati parteciperanno al concorso “Il sogno” indetto dall'Associazione Sigmunda Freuda di Pribor, cittadina della repubblica Ceca dove 160 anni fa nacque Sigmund Freud che di sogni se ne intendeva. (M.P.)
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CALDONAZZO:
e m i g e r i d a i la funiv ne di Luciano Decarli per Lavaro
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ravamo nell'anno 1930 e la rivista “Caldonazzo e dintorni”, stampata dalla Tipografia Luigi Torgler a Pergine, diretta dal giornalista Mario Paoli, pubblicava su 5 pagine la proposta di una funivia da Caldonazzo a Lavarone. Erano gli anni di un certo fermento, alimentato anche da influssi politici. Le funivie, esperimentate ognidove sui fronti della Grande Guerra, erano state l'humus ideale per le proposte. Inoltre in quegli anni erano già in funzione 3 funivie turistiche in Trentino e 3 in Alto Adige. Si facevano confronti con l'Austria, dotata di 20 funivie, e la Germania che ne aveva una decina. Il governo del tempo incentivava la costruzione con contributi. La funivia incrementava lo sport in montagna e inoltre creava collegamenti che sembravano impossibili. C'era un possibile sviluppo dell'industria alberghiera, creava aspettative di sviluppo per i centri in quota, frenava lo spopolamento dei paesi montani verso i centri di fondovalle. Tutta l'economia in fermento aveva bisogno di nuovi collegamenti, e i sentieri, le strade bianche di montagna, le carreggiabili, le mulattiere,
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non erano più mezzi idonei, all'altezza e richieste dei tempi. Nel 1927 il governo varava leggi per la costruzione di funivie che potevano arrivare fino alla metà del loro costo. A Trento la Soc. an. Officine Meccaniche Trentine aveva sposato l'idea dell'on. ing. Carlo Balduzzi per un collegamento della ferrovia della Valsugana con l'altopiano di Lavarone. Lassù c'erano 6.000 persone dedite alle attività silvopastorali, artigianali, e commerciali, ma tutta la zona con il suo lago e i paesi vicini aveva immense prospettive turistiche. Inoltre nevicava molto bene e Lavarone era già meta di celebri turisti. Si erano costruite belle strutture turistiche che avevano aumentata la notorietà, la fama del bel centro montano. Una relazione tecnica dell'O.M.T. prevedeva il trasporto di merci e di 20 persone. La lunghezza era di metri 3.200. La potenzialità oraria era, nei due sensi, di 140 persone, la velocità di m 3,60 al minuto secondo: era in quel tempo la massima consentita in Italia. Il criterio guida fu quello di poter raggiungere il punto più vicino al suo massimo centro abitato sull'altopiano: Lavarone. Si tenne conto delle esigenze tecniche, delle condizioni altimetriche del terreno attraversato. La stazione di Caldonazzo era così destinata a diventare l'importante centro di smistamento merci e passeggeri verso l'altopiano. Venne tracciata la “retta” che congiungeva la località di fondovalle “Conci” a m 560, con la montagna sud delle “Casare” quota m 1148, in prossimità della strada provinciale. Si superava così un dislivello di 640 metri con campate libere e con soli 6 sostegni intermedi fino a 800 metri, mentre per 1400 metri di percorso il terreno era pressoché orizzontale.
Sistema di costruzione: era a una fune portante per ogni via di corsa, due funi traenti e rispettive funi di zavorra; freno automatico sulla “portante” per l'arresto del vagoncino in corsa. Il freno scattava automaticamente se ci fosse stata la rottura di uno degli organi traenti. Funi metalliche di resistenza unitaria media di 180 kg per mm quadrato, con sicurezza quadrupla per le portanti e quintupla per le altre. Macchinario disposto nelle due stazioni, con pulegge motrici, diversi tipi di freno: elettromagnetico, a mano, due freni agenti sulle ruote dentate dell'argano motore. Tutto quanto serviva per un movimento di massima sicurezza. Materiale mobile: due vagoncini in lamiera d'acciaio per il trasporto di persone e altri due per il trasporto di merci, costruiti con parapetto in acciaio e tetto in legno compensato. Sui vagoncini un telefono per eventuali comunicazioni di servizio o d'emergenza. Il progetto venne proposto, discusso, pubblicizzato, esposto sulle riviste turistiche rivolte ai turisti imprenditori che frequentavano le stazioni alla moda, le terme e i laghi di Levico e Caldonazzo. Anche il progetto dell'on. ing. Carlo Balduzzi, deputato della Venezia tridentina, divenne un'incompiuta. Non si trovarono i denari necessari? Non ci furono le intese richieste? A nulla valsero tutti i dettagli definiti nei minimi particolari e secondo gli ultimi ritrovati dell'epoca. Oggi, a 90 anni di distanza, si parla ancora di funivia. Gli interlocutori sono proprio i Comuni che vedono molto fruttuoso e necessario il collegamento ferrovia/fondovalle della Valsugana con l'altopiano Luserna Vezzena Lavarone.
IL BELLO NON INVECCHIA, L’ARTE NON INVECCHIA QUELLI CHE AMANO L’ARTE
‘MPARA L’ARTE
E MÉTELA DA PARTE di Alessandro Dalledonne
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el giorno dell’inaugurazione della mostra “’Mpara l’arte e mètela da parte” presso lo Spazio Klien a Borgo., la presidente dell’Associazione Ama Loredana Ballon racconta come, grazie alla collaborazione dei volontari e dei vari enti coinvolti nel progetto, sia stato possibile arrivare all'esposizione delle opere eseguite da Livio Parotto, Maria Broilo, Francesca Fezzi e Bruno Abolis. Parliamo di persone adulte over 60, una iniziativa nata quasi per caso ed allestita grazie alla dedizione dell’architetto Luciano Ferrari che si è preso a cuore gli sforzi che queste persone hanno messo per realizzare le loro opere. “Queste persone – ha ricordato sono persone speciali, la loro capacità creativa è segno che la vita sa trovare valori da condividere se la sappiamo ascoltare e valorizzare. Livio, Francesca, Maria e Bruno non si trovano più a vivere in famiglia, nella propria casa, ma in altri luoghi con compagni di vita diversi dai propri familiari; Livio e Francesca vivono in Casa San Benedetto, struttura di accoglienza privata di proprietà della Diocesi e gestita da volontari, Maria e Bruno nella APSP di Borgo, struttura di accoglienza pubblica”. Ma cosa hanno in comune queste persone? La capacità di costruire cose belle per sè e per gli altri, sanno essere ottimisti, credere che le persone, a loro vicine, sono competenti, credibili, hanno capacità di ascolto e credono nel valore della vita in qualsiasi con-
dizione si manifesti. “Il cambiamento che hanno dovuto fare nel corso della loro vita a seguito delle varie fragilità fisiche – prosegue Mirta Boneccher dell'Apsp di Borgo - non è stato certamente semplice o facile da superare, avranno avuto certamente mille paure per l’ignoto che dovevano affrontare fatto di incontri con sconosciuti, con regole, con orari da rispettare con tutto quello che ogni cambiamento comporta soprattutto se si ha la necessità di doversi affidare quasi completamente ad altri. Ma le attenzioni, le premure, le competenze, la serenità, l’ascolto, la partecipazione e la fiducia nelle persone che hanno trovato nei volontari o nei professionisti, sono stati per loro segnale di incoraggiamento a superare le diffidenze e ricominciare una nuova vita. Loro si sono dedicati alla loro stessa rinascita – ricordano Loredana e Mirta - con la forza di volontà, hanno saputo trasformare la fragilità fisica in una nuova opportunità e dare un nuovo valore alla vita con creatività, trasformando le loro giornate di preoccupazione o di sconforto in momenti sereni o felici”. Una rinascita (non per tutti è possibile) che ha visto l’impegno dei vari settori dei Servizi Sociali, del personale e dei volontari AVULSS della APSP di Borgo, dei volontari di Casa San Benedetto ed altre persone che con dedizione hanno saputo ridare qualità di vita alla vita.
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Un grazie alla Cooperativa Sociale Senza Barriere ONLUS
La cineteca audio per i ciechi italiani Sognare non costa nulla e se questo sogno si avvera non nelle metropoli come Roma e Milano, ma ai piedi della catena montuosa del Lagorai nel paese di Scurelle, dove di certo la cinematografia non è di casa, è ancora più bello.
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n sogno partito nel 2003 dai destini incrociati di Anna Cassol, docente di lettere e il marito Eraldo Busarello non vedente, che hanno dato assieme allo staff qualificato della Cooperativa Sociale Senza Barriere ONLUS vita all’attività della Cineteca audio per i ciechi italiani. Si tratta della prima ed unica realtà della penisola a permettere attraverso la descrizione delle scene prive di dialogo nei film, ai privi della vista di seguire integralmente opere cinematografiche nazionali ed internazionali. Dopo 14 anni di prestiti di audiofilm senza fini di lucro, era giunta l’ora di ringraziare il Ministero per i beni culturali, la Provincia Autonoma di Trento e i privati che hanno permesso alla Senza Barriere ONLUS di produrre nel polo multimediale di Scurelle oltre 700 opere filmiche audiodescritte per i bambini e gli adulti ciechi. I ringraziamenti si sono svolti a palazzo Madama, sede del Senato, nella commemorativa sala Caduti di Nassiriya. Eraldo Busarello responsabile comunicazione della Cineteca audio per i ciechi italiani, dopo aver sottolineato il percorso di una attività ultra decennale per dare anche ai ciechi l’opportunità di formarsi una cultura cinematografica, ha presentato la rivoluzionaria app Cineaudioteca. All’incontro con la vice presidente del Senato Maria Grazia Giorgi, i senatori Giorgio Tonini, Franco Panizza e Karl Zeller, il relatore della legge sul cinema
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dell’Università di Pisa, la delegata dell’Unione Italiana dei Ciechi ed Ipovedenti di Roma Eliana Vergine, gli organi di stampa, realtà che si occupano di accessibilità dei film nelle sale cinematografiche, era presente con Busarello anche lo staff tecnico ed amministrativo della Senza Barriere ONLUS. “Grazie a questa app – ha ricordato orgogliosamente Eraldo Busarello - i soli privi della vista, attraverso i dispositivi mobili della Apple, possono ascoltare quando e dove vogliono le opere filmiche audiodescritte”. Un dispositivo unico al mondo, studiato dai disabili visivi della Senza Barriere ONLUS e realizzato dall’ingegner Fabrizio Trentin
di Alessandro Dalledonne
della ditta Rievoluzione di Castelnuovo che ha effettuato per i presenti una prova pratica della App. Nei loro interventi Giorgio Tonini e Maria Grazia Giorgi hanno sottolineato l’importanza che anche i disabili visivi e i sordi possano accedere in piena autonomia alla cultura cinematografica. La nuova legge sul cinema da loro questa opportunità. In questo contesto la consolidata esperienza trentina della Cineteca audio della Senza Barriere ONLUS può contribuire nella formazione audiodescrittiva, riconosciuta anche dal progetto europeo Adlab. Per info: www.cineaudioteca.it
TESINO
luci ed ombre del legno - selezionati SIMPOSIO DI SCULTURA: i partecipanti alla 16 ^edizione 2017 Nell’elenco cinque trentini: Alberto Boschetti, Marco Busarello, Lara Steffe, Livio Tasin e Gianluigi Zeni.
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ecentemente l’apposita commissione riunitasi a Castello Tesino e presieduta dal dottor Remo Tomasetti, ha selezionato i 26 partecipanti alla prossima edizione (la sedicesima) del Simposio di scultura Luci ed Ombre del Legno, che si svolgerà nel Tesino, Bieno e Strigno dal 25 al 30 luglio. Quest’anno la rassegna potrà annoverare scultori provenienti dall’Italia, dall’Europa ma anche dall’Iran, dal Giappone, dalla Nigeria e ben due dalla Cina. Poi gli altri stranieri: una spagnola, due ucraini e un rumeno (Ionel Alexandrescu, vincitore l’anno scorso e nel 2013, ma residente a Torino). Tra gli italiani: cinque trentini (Lara Steffe da Moena – prima classificata nel 2009, Livio Tasin da Tuenno, Gianluigi Zeni da Mezzano di Primiero – che insegnerà durante il simposio anche a 12 scultori principianti, Alberto Boschetti e Marco Busarello, questi due ultimi giocano in casa essendo residenti in Tesino), un altoatesino (Vinzenz Senoner, primo nel 2015), sei veneti (Gianangelo Longhini - secondo l’anno scorso, Aldo Pallaro – primo nel 2012, Alessandro Pretto, Leonardo Tramontin, Luca Lisot e Toni Venzo), una lombarda (Michela Zanini), un piemontese (Dino Damiani, sempre piazzato nelle precedenti edizioni), un emiliano (Paolo Domenichini), una friulana (Angela Modotti) e un toscano (Luca Mommarelli). Da quest’anno, parallelamente al simposio, si svolgerà anche la “Settimana del legno”, un insieme di eventi, finanziati in parte dalla Fondazione Cassa di Risparmio Trento e Rovereto, che si svolgeranno tra Castello e Pieve Tesino, tutti dedicati all’elemento legno, che soprattutto per il Tesino è una risorsa unica, immensa e da valorizzare. (A.D.)
LEVICO TERME
AUSER IN ASSEMBLEA
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i è tenuta a Pergine Valsugana presso l’Istituto Scolastico don Milani, l’annuale assemblea generale ordinaria dell’AUSER. Dopo il saluto agli oltre ottanta partecipanti dei circa 400 iscritti, il presidente Elia Bernardi ha relazionato sull’attività svolta nel 2016 in collaborazione anche con altre associazioni di volontariato locale. Permettetemi, ha aggiunto, “di ringraziare tutti i nostri soci e di rivolgere loro un grande plauso perché se questa associazione continua a crescere e diventa sempre più importante, è proprio grazie al loro esempio, alla loro abnegazione e al loro passaparola”. Poi la segretaria Maria Campestrini ha presentato un ricco resoconto delle iniziative intraprese evidenziando le principali come le varie feste, il soggiorno termale ad Ischia, le matinèe musicali in collaborazione con la Scuola di musica C. Moser, la festa della mamma, i vari pranzi sociali, le domeniche al Parco Tre Castagni, la quinta edizione di “Ballando con il cuore” presso APSP S. Spirito, l’accompagnamento e assistenza alle Terme di Levico, la “Festa dei nonni”, la partecipazione all’amatriciana solidale per i terremotati, la collaborazione con la CS4 per la gestione del Crea ogni sabato mattina, gli appuntamenti di educazione sanitaria con il medico dott. Lino Beber e tanto altro. Ha sottolineato poi che l’attività principale resta sempre quella dell’accompagnamento in varie strutture sanitarie di tanta gente in difficoltà, per il quale sono stati percorsi, negli oltre 1000 interventi, più di 20.000 chilometri. Anche il programma di attività per il 2017 prevede una nuova serie di iniziative che sostanzialmente si rifà a quello dell’anno precedente. Poi Armando Pergher ha tenuto la relazione finanziaria elencando le varie voci di bilancio che chiude al 31 dicembre 2016 con un disavanzo di 2.663 euro. Importo questo che sarà ripianato con l’utilizzo di una parte dell’avanzo della gestione precedente, quando si era chiusa con un attivo di oltre 3.000 euro. Hanno quindi preso la parola padre Beppino Taufer della Comunità Maso San Pietro per sottolineare la validità della collaborazione con l’Auser di Pergine, assicurando anche per il futuro la cooperazione in alcuni progetti. Il sindaco Roberto Oss Emer ha espresso gratitudine a questa associazione per tutto quello che opera in favore di tante persone della comunità. In rappresentanza di Cooperazione Reciproca in seno alla Cassa Rurale, hanno preso la parola l’architetto Giorgio Vergot e Carla Zanella, poi due rappresentanti della Comunità di Valle e della CS4. Ha chiuso gli interventi il presidente regionale Auser Chiara Vegher, per esprimere il plauso a tante persone che in silenzio danno il loro aiuto a chi necessita di assistenza. (M.P.)
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Danza
In principio era la di Franco Zadra
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hiara Presa e Martina Zini, 14 e 15 anni di Trento e Borgo Valsugana, sono due giovanissime allieve della Scuola di danza “In punta di piedi”, diretta dalla Maestra di danza Samantha Gabban. Dal 24 giugno al 1 luglio parteciperanno, uniche dal Trentino, alla finale mondiale di danza classica e moderna di Offenburg in Germania, l’evento mondiale chiamato Dance World Cup Competition 2017. Parteciperanno quindi a varie audizioni per poter accedere alle migliori Accademie internazionali. Sono state presentate il 20 maggio scorso a un grande pubblico in un Pala Levico gremito, in ocasione dello spettacolo di danza organizzato da “In punta di piedi”, lo spettacolo di fine anno “Alice nel paese delle meraviglie”, quando hanno ricevuto una targa d’onore, con lo stemma della Provincia, ciascuna per mano della vicesindaca Laura Fraizingher e, idealmente, poiché è arrivato in ritardo, del consigliere Giampiero Passamani, il quale, assieme all’assessore allo Sport, Tiziano Mellarini, hanno voluto in questo modo congratularsi con le due danza-
Chiara Presa e Martina Zini trici, assicurando loro la vicinanza non solo ideale dei vertici provinciali. «Si sono classificate – dice il neo eletto presidente della Scuola, Maestro Florio Angeli – al primo e secondo posto junior nella finale nazionale di Roma lo scorso febbraio. In Germania saranno in rappresentanza dell’Italia insieme a 12mila concorrenti di 47 diverse nazionalità». Il Dance World Cup è un evento mondiale al quale accedono solo le
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migliori finaliste delle selezioni nazionali che abbiano superato un punteggio minimo a garanzia di una alta qualità dell’esibizione. Le due allieve di In punta di piedi, oltre a rappresentare l’Italia, e Levico Terme, pur venendo una da Trento e l’altra da Borgo Valsugana, avranno occasione di confrontarsi con ballerini provenienti da tutto il mondo, tra le migliori allieve del Globo. «Chiara e Martina – continua Angeli – danno lustro alla nostra scuola e premiano l’impegno pluriennale della loro insegnante Samantha, dimostrando che la perseveranza e la tenacia trasformano talvolta il gioco iniziale della danza in una professione per la vita». Samantha Gabban, una borghesana classe ‘81, sta cucendo una gonna di tullee mentre parliamo, ma questa piccola donna ha un curriculum che la presenta come una delle grandi professioniste dell’arte coreutica, formatasi in un orizzonte che, a partire dal 1987, l’ha vista protagonista di eventi internazionali, e partecipando a stage di danza classica con insegnanti di fama come Liliana Cosi, Annamaria Prina, Michela Centin, Josè
de Udaeta, Martin Puttke, e Harri Muller, a Trento, Verona, Bolzano, e Berlino. È da settembre del 2014 che decide di aprire una scuola tutta sua a Levico, in una bella e spaziosa sede in via Dante, proprio sopra il Poli. Assieme a Gabban, a curare la coreografia dello spettacolo, le insegnanti Camilla Nardelli, che segue in particolare il gruppo Baby e Jazz 2, e Giulia Primon, specializzata in Hip-Hop. I costumi sono stati realizzati da Samantha Gabban e Michela Montibeller. In tutto 35 sono stati i piccoli interventi danzati che hanno raccontato con il volteggiare di figure e figurine, femminili e maschili, su un palco con scenografie di luci e immagini, curate da Music Show Service, ispirate al famosissimo libro di Lewis Carroll. Le ballerine hanno via via rappresentato alcuni personaggi del racconto come il Bianconiglio, Panco Pinco, le ostrichette furbette, lo Stregatto, il Brucaliffo, la Regina di cuori, ma poi anche fiori, farfalle, funghetti, tazzine, carte da gioco, tutte a contribuire con movenze studiatissime e affascinanti quella musica e quel sogno che è nell’immaginario collettivo di tutti noi. Chi si aspettava uno spettacolino di bambini, è rimasto preso dal fascino di queste rappresentazioni e non si è scollato dalla sedia per tutta la durata dello spettacolo. «Non è detto che – ha annunciato ironica (ma non troppo) la vicesindaca Fraizingher – mi possa iscrivere anch’io a qualche corso di Ballo da Sala o Latino Americano, tanto per mantenere, o recuperare, la forma». A giudicare dall’entusiasmo del pubblico, il balletto trova molti estimatori e non è certo per caso che si stanno moltiplicando le Scuole di Danza un po’ dappertutto. A Levico se ne contano due di ufficiali, In punta di Piedi e prima ancora, Sincronia Danza, attiva dal 2005, presieduta da Stefania Riccio, tutte e due a promuovere e divulgare la danza sul territorio e a proporre corsi di propedeutica, danza classica e moderna, hiphop e flamenco. L’invito a danzare non manca!
LEVICO TERME
“ARTE DONNA” IN MOSTRA
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lavori di una quindicina di soci, al femminile, del Gruppo Pensionati di Levico Terme, guidati dal presidente Marco Francescatti, sono stati esposti per alcuni giorni in una mostra denominata “Arte Donna”, presso una sala dell’ex cinema città di Levico. Tanti lavori a maglia, punto croce, ceramica, ad uncinetto, su carta, Hardaunger, lana infeltrita e Scrapbooking, ma soprattutto tanti quadri dipinti ad olio e con altre tecniche, raffiguranti paesaggi, natura morta ed altro ancora. Fra queste merita di essere ricordata l’esposizione della signora Carmela che, nonostante le sue 87 primavere, ha presentato una quindicina di vere e proprie opere pittoriche. All’inaugurazione hanno presenziato, oltre a tanto pubblico, il sindaco di Levico Michele Sartori e il presidente del consiglio comunale Silvana Campestrin, che hanno lodato questa bella iniziativa. (M.P.)
INE CASTAGNÈ DI PERG
LA CAMMINATA PER LA RETE
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i è svolta attraverso i masi di Castagnè di Pergine, una nuova edizione della “Camminata per la Rete”, la cooperativa sociale nata allo scopo di aiutare i diversamente abili e le loro famiglie. Un'escursione non competitiva lunga una decina di chilometri organizzata dal locale Gruppo Alpini guidato da Natale Pozzer, in collaborazione con il gruppo “Carnevale del Dolzer”, che si è articolata attraverso i masi di Castagnè. Come ci ha testimoniato l’ex capogruppo ed ora segretario degli Alpini di Castagnè Vittorio Bernardi, sul percorso erano stati istituiti tre ristori dove i partecipanti, oltre a poter sostare, avevano modo anche di assistere alla creazione di alcuni lavori da parte di artigiani locali. I partecipanti, provenienti soprattutto dal circondario ma anche da Trento, sono stati circa 300 oltre ad una quindicina di giovani assistiti dalla stessa Cooperativa La Rete. I Gruppi Alpini e Carnevale del Dolzer hanno offerto a tutti i partecipanti la cena presso la Casa Sociale, mentre le quote incassate (minimo 10 euro) da ogni marciatore, sono state inviate alla Rete di Trento a sostegno della propria attività. (M.P.)
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Il 5x1000 al WORLD FOOD
PROGRAMME ITALIA
Quest’anno indica il World Food Programme Italia come beneficiario del tuo 5x1000 nella dichiarazione dei redditi per portare cibo e sostegno nel mondo a chi ne ha veramente bisogno. Un piccolo grande gesto che si trasforma in uno straordinario risultato: salvare vite umane!
Dona il tuo 5x1000 al WFP Italia - Codice Fiscale 97359450588 • COME FARE? Nella tua dichiarazione dei redditi nella sezione “Scelta per la destinazione del cinque per mille”: • Firma nel riquadro denominato: "Sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative…" • Inserisci sotto la tua firma il codice fiscale del WFP Italia: 97359450588.
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€ 15.000 € 30.000
€ 12.85 € 35.85
€ 50.000
€ 76.05
Con 12 euro il WFP sfama un bimbo a scuola per 3 mesi Con 28 euro il WFP garantisce la sopravvivenza per un mese a un bambino e una bambina che vivono una situazione di estrema emergenza Con 71 euro il WFP fornisce cibo salva vita a una famiglia di rifugiati per un mese garantendo la loro sopravvivenza
* Schema realizzato a puro titolo esemplificativo e non esaustivo dei valori del 5x1000 e del suo impiego da parte del WFP.
• COME ABBIAMO USATO IL 5x1000 NEL 2016 Nel 2016 il tuo 5x1000 ha sostenuto i programmi pasti a scuola del WFP in più di 60 paesi, grazie al quale 20 milioni di bambini e bambine ricevono ogni anno dal WFP cibo nutriente e vitale a scuola. Il World Food Progamme Italia è l’organizzazione senza scopo di lucro che opera a supporto del World Food Programme (WFP) e rappresenta il punto di riferimento per quanti in Italia vogliano sostenere il WFP. Il World Food Programme è la più grande agenzia umanitaria del mondo la cui missione fondamentale è di contrastare la fame a livello globale. Con la sua organizzazione è in grado di rispondere a tutte le emergenze essendo anche la prima agenzia del mondo per la logistica e i traporti di aiuti umanitari. Per maggiori informazioni chiamaci al numero 06 65670430 o scrivi a wfp.italia@wfp.org.
I R E M L A D O R A P I R il acciatori c i d o t n e m a p te accam n a in c s a f f a iù Il p laciali g i p m e t i e d e la fin preistorici del
ipartono le attività al Riparo Dalmeri (1300 m s.l.m.), il sito preistorico situato al margine settentrionale dell’Altipiano di Asiago in terra trentina e oggetto di 20 anni di scavi continuativi da parte del MUSE Museo delle Scienze di Trento. La ricerca ha restituito - tra gli atri reperti - il più ricco corredo di pietre dipinte mai rinvenuto nei siti preistorici europei e i resti di una capanna dove i nostri antenati preistorici cacciavano, macellavano la carne e vivevano circa 13.000 anni fa. Le pitture in ocra a silhouette, ben 265 pezzi, sono realizzate su pietra locale e riproducono uomini, animali, piante o segni schematici. Nella maggior parte dei casi, dalle forme semplificate che richiamano alcuni particolari comportamenti degli animali, è ancora possibile riconoscere le specie ritratte. Anche le figure umane presentano una notevole varietà, includendo raffigurazioni stilizzate e immagini di tipo più naturalistico. Il ritrovamento ha dato impulso ad una serie di studi sulla vita artistico-religiosa degli uomini dell’epoca. Sono state inoltre ritrovate una grande quantità di armi e di manufatti in selce e osso ed alcune
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inusitate tracce di vita, come una serie di denti da latte infantili. I rinvenimenti e le ricerche condotte su questo sito hanno permesso per la prima volta di leggere le stagioni e le abitudini di vita dei clan preistorici che frequentavano le valli alpine verso la fine dei tempi glaciali. La ricostruzione dell’accampamento, dei suoi abitanti e i dettagli della loro vita quotidiana sono oggi stati collocati e sono visitabili tutto l’anno all’interno del MUSE, il Museo delle Scienze disegnato da Renzo Piano dove è stato loro riservato un ampio spazio al primo piano, visibile direttamente anche dall’ingresso. In estate, però, anche Riparo Dalmeri apre ai visitatori, che possono visitare il sottoroccia e cimentarsi in attività di archeologia imitativa. Nel corso dell’attività, un esperto del MUSE accompagna i visitatori attraverso una breve escursione nel bosco fino al sito archeologico dove possono scoprire la vita e la spiritualità degli uomini che le abitavano. Durante la visita - osservando le diverse espressioni artistiche elaborate nella Preistoria e i materiali utilizzati per preparare il colore (ocra, carbone, ossidi...) - si pos-
sono formulare ipotesi sull’interpretazione delle immagini e conoscere le chiavi di lettura utilizzate dagli archeologi. L’attività termina con un’esperienza unica, come il tiro con l’arco oppure la pittura delle pietre dipinte con ocra. Le attività si tengono tutte le domeniche a partire dall’ 11 giugno 2017 (e martedì 15 agosto) con inizio alle 10.00 e alle 14.00 e hanno una durata di circa due ore. Dalle 13.00 alle 14.00, presso il vicino Rifugio Barricata, un operatore conduce alcune attività dimostrative a tema preistorico, come ad esempio la scheggiatura della selce. Il programma dell’estate 2017 propone infine uno speciale appuntamento, la Festa della montagna organizzata in collaborazione con i vigili del fuoco di Tezze Valsugana (il 6 agosto).
INFO: Muse Museo delle Scienze www.muse.it / 0461 270311 COME ARRIVARE a Da Trento (93 km): Percorrere la Valsugan go. Ene per bivio il fino a Primolano, prendere le endo segu re Arrivati ad Enego prosegui ifugio indicazioni per "Piana della Marcesina/R i pied a re egui pros e Barricata". Parcheggiare in ni azio indic le su strada forestale seguendo loco (km 1,0 circa). Da Asiago (30 km): Percorrere la SP 76, re il direzione Enego, e dopo Foza imbocca della na bivio che conduce a "Pia iare e Marcesina/Rifugio Barricata". Parchegg stale fore da proseguire a piedi su stra circa). seguendo le indicazioni in loco (km 1,0
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Contribuire all’acquisto
del Castello di Pergine di Chiara Paoli
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o scorso 17 maggio alle ore 20, presso una sala Rossi della Cassa Rurale troppo piccola per contenere tutti i partecipanti, si è svolto il primo incontro pubblico del Comitato Castel Pergine. Qui il presidente del Comitato, Michele Andreaus ha illustrato attraverso un chiarificatore power point l’importanza e la portata di questa sottoscrizione popolare, fornendo alcuni numeri per rendere più chiaro il quadro. La serata è servita anche a dare risposte alle molte domande che i cittadini si pongono riguardo al comitato, e alla raccolta fondi. Il prezzo concordato con il proprietario svizzero Mario Oss per la vendita del maniero non può essere svelato, visti i rigidi accordi imposti, e la cifra reale non corrisponde a quanto apparso sulla stampa nei giorni scorsi. C’è però bisogno di persone che credono in questo progetto, di cittadini che vogliono che il maniero continui ad essere una seconda casa per i perginesi e per i turisti, valorizzandone ulteriormente gli aspetti storico-artistici e le potenzialità nella promozione del territorio. Chiunque può partecipare alla sottoscrizione, che nelle previsioni messe in atto dovrebbero
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raggiungere un milione di euro. Il modulo di adesione prevede un contributo minimo di 100 € per divenire Amico del Castello, 300 € per la quota di Sostenitore, mentre 1000 € danno diritto al titolo di Benefattore; esiste poi un’ulteriore opzione riservata alle aziende. Tutti i contributi versati verranno restituiti nell’eventualità che il comitato non riuscisse nell’intento, ma in base alle condizioni economiche, si può contribuire in maniera maggiore o inferiore. Le quote inferiori a 100 €, non consentono però di partecipare all’elezione degli organi di governo della costituenda Fondazione. I componenti del comitato si sono già messi in moto per assicurarsi il sostegno da parte della Provincia, del BIM Brenta, della Comunità di Valle, dei Comuni, della Cassa Rurale Alta Valsugana e godono del sostegno di numerose associazioni del territorio come l’APT Valsugana, Pergine Spettacolo Aperto, Aria Teatro, la locale Pro Loco e non solo. Il comitato dopo aver firmato il preliminare, darà origine ad una Fondazione culturale senza scopo di lucro, che sarà pro-
prietaria dell’immobile e lo affiderà in gestione ad una srl controllata al 100%, affinché venga portato avanti l’ottimo lavoro svolto in questi anni dai gestori Theo e Verena. Questa è l’ultima stagione prima della vendita del maniero, proprietà della famiglia Oss dal 1956, e speriamo che l’anno 2018 possa essere l’anno dell’acquisto del castello da parte della comunità, perché continui ad essere un luogo aperto ed accessibile. E se anche tu ritieni che i sogni possano avverarsi se supportati dal comune impegno, prendi parte all’impresa! Come? Versando il contributo nel limite delle possibilità economiche, ma anche sostenendo il progetto, condividendolo e proponendolo ad amici e conoscenti; aiutando il comitato nella promozione attraverso i social network. Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito www.comitatocastelpergine.it, e la relativa pagina face book, dove il progetto viene settimanalmente documentato. Sul sito e presso gli sportelli della Cassa Rurale Alta Valsugana sono disponibili i moduli di sottoscrizione per contribuire attivamente all’acquisto del castello.
LA VECCHIA TELEFERICA N
on tutti sono a conoscenza che durante la prima guerra mondiale esisteva in Valsugana una grande teleferica che, partendo dalla località “Calcara” di Caldonazzo, arrivava fino allo “Spiazzo Alto” di Monterovere, dopo un percorso di circa due chilometri e superando un dislivello di 800 metri. Era stata costruita negli anni antecedenti il primo conflitto mondiale. I lavori infatti sarebbero iniziati nel 1907 e terminati nel 1913 ed era adibita esclusivamente a scopi militari e gli addetti erano tutti militari austriaci, i Kaiserjager. Serviva per il trasporto del materiale pesante, ferro e cemento in particolare che, arrivato alla stazione di Caldonazzo, con un treno merci sui binari disponibili all’epoca che attraversavano il paese e che arrivavano fino ai piedi della Pegolara, nel territorio fra Levico e Caldonazzo, veniva caricato su quella teleferica che lo portava poi a Monterovere. E da Monterovere partiva un’altra funicolare per un tratto di ulteriori 500 metri che arrivava fino al Passo Vezzena. Questa seconda teleferica serviva per trasferire il materiale portato dalla prima funicolare per costruire i forti Verle, sul Pizzo e quello di Luserna. Mancando l’energia elettrica, bisognava però farla funzionare con il bilanciamento del peso del materiale che trasportava. Le due teleferiche hanno funzionato per tutto il tempo della prima guerra e sono state poi
smantellate in circa tre anni, dal 1920 al 1922. Sono state demolite, così come anche le fortificazioni, per recuperare il ferro. Fra la gente dell’Alta Valsugana c’è ancora chi spera che il primo tratto, cioè quello che da Caldonazzo portava di Mario Pacher a Monterovere, in futuro torni a funzionare. Non più per il trasporto di materiale pesante ovviamente, ma per lo spoLa telecabina al tempo della Prima Guerra mondiale stamento di persone. Infatti i comuni con vista sul lago di Caldonazzo di Lavarone, Luserna, Folgaria, Asiago, Levico e Caldonazzo, sono interessati a questa realizzazione e da qualche anno ormai hanno costituito il comitato “Avianova” formato da rappresentanti delle varie amministrazioni comunali. Potrebbe diventare una viabilità alternativa che permetterebbe di collegare l’alta Valsugana con le comunità dell’Altopiano con un’altitudine di oltre i mille metri, dal momento che il servizio di pullman è limitato a poche corse giornaliere, insufficienti rispetto alle reali necessità. Non sono poche infatti le persone che dagli altopiani scendono in Valsugana per motivi di lavoro e che la sera ritornano alle loro abitazioni. I vantaggi inoltre potrebbero essere rilevanti anche sotto l’aspetto turistico oltre che per una mag- a sostenere l’iniziativa, dal momento gior collaborazione fra le comunità. An- che la maggior parte della spesa sarebbe cora qualche anno fa la Provincia Auto- a carico della Comunità Economica Eunoma di Trento aveva espresso, in linea ropea e solo una parte limitata a carico di massima, il proprio parere favorevole dell’Ente Pubblico.
ANZIANI IN FESTA
BARCO DI LEVICO
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a Festa dell’Anziano a Barco di Levico è iniziata anche quest’anno con la celebrazione di una solenne Messa nella chiesa parrocchiale ed è proseguita poi presso il vicino teatro dove, dopo il saluto della presidente Elsa Gina Moser, il coro degli anziani ha eseguito alcuni canti tradizionali. Quindi sono stati festeggiati i compleanni dei soci, ed il pomeriggio è proseguito con la recita di alcune poesie da parte di Annalisa Filoso e Ruggero Martinelli. Al termine è stato offerto a tutti gli intervenuti un rinfresco. (M.P.)
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Fra storia e leggenda
Castel Ivano di Andrea Casna
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dominare la valle sulla sommità di un'altura, fra i paesi di Ivano e Fracena, si trova Castel Ivano. Il nucleo originario e più antico del castello è la grande torre difensiva, il mastio, probabilmente costruita ai tempi dei Longobardi a controllo e a difesa, durante le invasioni ad opera dei Franchi nel VI secolo dopo Cristo, dell'antica Claudia Augusta Altinate. Il primo documento storico, ed ufficiale, che riguarda il castello risale al 1187, e fa riferimento a un certo Signore di Ivano. La storia di questa porzione della Valsugana è legata a quella della Contea di Feltre. Nel 1027, con la concessione dell'Imperatore Corrado II il Salico al vescovo di Feltre del potere temporale sui territori della bassa Valsugana, Castel Ivano entra a far parte della zona d'influenza politico-militare dell'area veneta. Questa situazione durerà fino al XV secolo quando la giurisdizione di Ivano (composta dai comuni di Ivano Fracena, Strigno, Scurelle, Villa Agnedo, Spera, Samone, Bieno, Ospedaletto) sarà annessa alla Contea del Tirolo entrando, quindi, nell'orbita d'influenza degli Asburgo. Castel Ivano, come la gran parte dei
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castelli, sede del potere locale, è governato ed abitato da capitani nominati dall'autorità superiore. Nel corso dei secoli l'antico complesso difensivo ospitò diversi proprietari. Gli ultimi nobili ad abitare il castello furono i Wolkenstein che ricevettero tale concessione dall'Imperatore Leopoldo I d'Austria. Nel corso della Grande Guerra Castel Ivano fu sede del comando militare italiano in Valsugana e nel primo dopo guerra, con la scomparsa dell'ultimo Wolkenstein, il castello fu acquistato da Franz Staudacher che, grazie all'aiuto dei propri figli, iniziò i lavori di restauro e recupero del complesso architettonico,
dei parchi e dei terreni. Ora il castello è di proprietà dei nipoti di Franz Staudacher ed è Centro Internazionale di Cultura. Come nel caso di Castel Telvana, anche i signori di Castel Ivano vissero in prima persona gli eventi della Guerra Contadina del 1525. Il capitano Giorgio Pucler fu ucciso infatti dai contadini locali che insorsero per abolire la servitù della gleba e i privilegi dei nobili. Le sale del castello ospitarono anche l'imperatore Massimiliano I d'Asburgo, sceso in Valsugana, per porre rimedio alle tensioni provocate dalle guerre condotte dalla Repubblica marinara di Venezia nel 1504.
Anche per Castel Ivano non mancano le leggende. Una di queste narra la vicenda del Conte Biagio di Ivano, perfido e temuto signore della valle che, senza pietà e compassione, costringeva la propria gente a pagare pesanti imposte e decime: una condizione che obbligava gli abitanti di Ivano Fracena a vivere in povertà. Un giorno, però, la giustizia popolare non tardò ad arrivare. I contadini infuriati catturarono il perfido tiranno e, a seguito del giudizio espresso
da un tribunale popolare, fu impiccato e il cadavere, prima di essere bruciato, fu esposto pubblicamente per tre giorni e tre notti. La storia, in realtà, fu ben diversa. Nel 1365 all’interno del castello si rifugiò l' odiato e feroce conte. Il potente Francesco da Carrara, però, riuscì ad intercedere per la sua liberazione e la popolazione della Valsugana, che chiedeva la testa del conte per le sofferenze patite, dovette accontentarsi di vedere bruciare solo un fantoccio con le sembianze del perfido conte. Da allora il rogo simbolico viene messo in scena ogni cinque anni, a Carnevale, attraverso una rievocazione storica tra le vie di Castello Tesino e del vi-
cino paese di Pieve Tesino. Una seconda leggenda narra di una piccola stanza dove nelle notti di luna piena si danno appuntamento le streghe della valle per i loro incontri, riti e congreghe. Ma le mura del castello, secondo i racconti popolari, nascondono un segreto terrificante. Le mura stesse, infatti, sarebbero la tomba di numerosi bambini e fanciulle sacrificate in un tempo lontano a qualche divinità pagana o essere demoniaco. «Nelle buie notti di tempesta -racconta Mauro Neri nel suo libro "Le mille leggende del Trentino"ai tuoni e ai lampi si mescolano ancora oggi i lamenti di quei disgraziati, della cui sorte nessun documento parla. Invocano un preghiera per le loro anime inquiete e non c'è viandante che non si fermi un istante a recitare una breve orazione di suffragio. Solo quando non s'udrà più alcun pianto misterioso, vorrà dire che gli spiriti hanno finalmente raggiunto la pace eterna e le mura del castello, allora, conserveranno unicamente antiche ossa».
NOVALEDO
I LIBRI DI GIULIO VACCARINI
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opo una lunga carriera giornalistica presso il Giornale Alto Adige di Bolzano e per 20 anni presso l’ufficio stampa come capo redattore del Governo Provinciale dell’Alto Adige, nonché altri importanti incarichi, nel 1991 il giornalista Giulio Vaccarini è venuto ad abitare a Novaledo. Qui si è subito messo a disposizione delle associazioni in particolare della grande famiglia degli Alpini, dove ha ricoperto per 15 anni anche la carica di segretario della locale sezione. Grande appassionato di storia, di montagna e tanto altro, nel corso degli anni si è creato una vera e propria biblioteca di ben 1200 libri all’interno della sua casa di abitazione in via Ghiaie. Un patrimonio culturale non indifferente che in occasione delle recenti feste, ha voluto donare in parte, 400 libri, alla comunità di Novaledo. “Dal momento che in paese è nata una biblioteca municipale, ci dice, ho pensato di dare un contributo, una mano, donando un terzo dei miei libri dal momento che considero la lettura una crescita culturale molto importante tant’è che quando sono stato nella direzione degli Alpini di Novaledo, mi ero impegnato per realizzare anche là una piccola biblioteca come luogo di ricreazione, di storiche imprese alpi-
nistiche, di antiche leggende e di attività economiche tipiche della montagna”. Ed aggiunge Vaccarini: “Il vero analfabeta L’assessore Nadia Gasperazzo non è quello che non sa leggere e il giornalista Giulio Vaccarini ma quello che sa leggere ma non lo fa”. I libri sono giunti al punto di lettura comunale attraverso l’assessore comunale alle politiche sociali e allo sport Nadia Gasperazzo, che ha così ringraziato il giornalista: “È stato questo il più bel “Uovo Pasquale” che si potesse immaginare. Desidero esprimere a nome dell’intera comunità, il più vivo ringraziamento per questo importante contributo al nostro “Punto lettura”, già aperto presso Casa Zen per volontà della nostra attuale vicesindaco signora Barbara Cestele. Una collana la nostra che già conteneva oltre 1500 libri raccolti fra la gente del posto e anche in altri paesi del Trentino che ora si arricchisce notevolmente. Come s’è fatto con quelli già esistenti, anche i libri ricevuti dal giornalista Giulio Vaccarini sono stati selezionati e catalogati, e potranno essere visionati dalla gente nelle tre giornate di apertura settimanale, negli orari stabiliti.
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IL RISTORANTE PIZZERIA GILDA LA BUONA CUCINA TRA TÀ TRADIZIONE E SPECIALI Al ristorante pizzeria Hotel Gilda la passione per la buona cucina è una storia di successo che va avanti da decenni. Sono, infatti, passati oltre 60 anni, da quando Gilda e il marito Alfeo decisero di aprire una struttura ricettiva a Caldonazzo, che divenne in breve tempo un punto di riferimento per il paese, rimanendo sempre un luogo molto apprezzato sia per le sue proposte culinarie, sia per la grande professionalità dei suoi gestori. Oggi la gestione è passata in mano al figlio Nicola, che è anche lo chef del ristorante, insieme alla moglie, l’affabile e dinamica Mirka dal sorriso sempre pronto e alla dinamica presenza della “nostra” Gilda. Sono loro, insieme, il “deus ex machina” della struttura. Un “trittico” perfetto che ha saputo tenere sempre in alto il nome dell’Hotel, ma soprattutto del ristorante, con continui miglioramenti, e ampliando le proposte culinarie che spaziano dai piatti della tradizione tipica e nostrana, con pasta rigorosamente fatta in casa, alle appetitose e insuperabili specialità di mare, con piatti di pesce sempre fresco quali l’astice, le ostriche, la grigliata mista, la frittura di pesce e persino la paella. Ed è infatti nel pesce che il ristorante Gilda esprime la sua più alta competenza e creatività riuscendo a portare in tavola vere eccellenze culinarie dal gusto unico che soddisfa il palato, anche il più esigente.
Ma il Gilda è anche l’ambiente ideale dove gustare semplicemente una buona pizza, in un’atmosfera familiare e accogliente, dove sentirsi come a casa, grazie alla cortesia dei suoi gestori e dei loro bravi collaboratori che garantiscono un servizio impeccabile. Con i suoi 120 coperti è inoltre il luogo adatto ad ospitare occasioni speciali come banchetti, cene sociali, di lavoro e di classe, comunioni, cresime e battesimi, oltre che anniversari e ricorrenze, per trascorrere una giornata di festa in un luogo tranquillo circondato dal verde. All’esterno infatti, in un accogliente giardino con piscina, il ristorante offre più di sessanta posti a sedere, per pranzare, cenare e trascorrere piacevoli momenti in compagnia godendosi la frescura serale dopo una calorosa giornata d’estate. All’interno, oltre alla grande sala, vi è una piccola accogliente saletta dove trovarsi con amici per trascorrere insieme, e in riservatezza, momenti di allegria e spensieratezza, gustando uno dei tanti prelibati manicaretti che Nicola prepara per loro. Hotel a tre stelle, oltre che ristorante-pizzeria, il Gilda dispone di 34 camere, ed è da sempre apprezzato punto di appoggio sia per i tanti turisti, che soprattutto d’estate affollano le spiagge del lago di Caldonazzo che dista appena pochi minuti, e sia per i numerosi motociclisti desiderosi di vivere al Gilda particolari e voluti di momenti di relax.
HOTEL GILDA - RISTORANTE E PIZZERIA di Bortolini Nicola & C. CALDONAZZO - Via Brenta, 22 Tel. 0461 723446 - Fax 0461 718570 www.gildahotel.com - hotelgilda@gildahotel.com 64
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Mirka e Nicola
La grande sala
Il giardino
COME DIFENDERSI DALLE
di Alice Rovati
TELEFONATE PUBBLICITARIE
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isto il notevole interesse che ha suscitato un precedente articolo su “Il Marketing telefonico: come difendersi dalle telefonate pubblicitarie indesiderate” e alla luce dei dubbi sorti a molti lettori, si precisa nel dettaglio come procedere nel caso in cui si intenda porre fine alle chiamate commerciali. Se il numero di telefono sul quale vengono effettuate le chiamate è presente negli elenchi telefonici pubblici sarà sufficiente iscriversi al Registro Pubblico delle Opposizioni tramite una delle cinque modalità: modulo elettronico sul sito web, posta elettronica, telefonata, lettera raccomandata, e fax. Se nonostante l’iscrizione si continuano a ricevere chiamate pubblicitarie indesiderate, è bene assicurarsi che: • l’iscrizione sia avvenuta con successo: Il modo più immediato per verificare l’avvenuta iscrizione è chiamare il numero verde 800.265.265 dal numero telefonico per cui è stata fatta la richiesta di inserimento nel Registro; • siano trascorsi 15 giorni dall’iscrizione: periodo massimo, consentito dalla legge, entro cui gli operatori di telemarketing devono necessariamente aggiornare le proprie liste di contatti recependo le opposizioni espresse dai cittadini; • non sia stato dato il consenso al trattamento dei propri dati per finalità di telemarketing a soggetti terzi che effettuano chiamate pubblicitarie da fonti diverse dagli elenchi te-
lefonici pubblici. Tale consenso potrebbe essere stato raccolto, per esempio, durante la stipula di contratti con le aziende dalle quali sono stati acquistati prodotti o servizi oppure durante la sottoscrizione di tessere di fidelizzazione cliente, raccolta punti, eccetera. Se il numero è stato fornito da un’azienda a cui si era dato il consenso al trattamento dei dati, è necessario scrivere per revocare l’iscrizione. L’ operatore di telemarketing ha l’obbligo, su richiesta dell’utente, di informare da quale lista sia stato estratto il suo numero telefonico. Il cittadino può richiederne la cancellazione, che deve essere effettuata dal titolare dei dati entro 15 giorni dalla richiesta. Ai sensi del Codice in materia di protezione dei dati personali (Dlgs
196/2003), è possibile revocare il consenso dato a terzi inviando direttamente al soggetto titolare del trattamento dei dati l’apposito modulo compilato in ogni sua parte, scaricabile al seguente link: http://www.registrodelleopposizioni.it/sites/default/files/Modulo_Garante_Privacy.pdf. In seguito all’invio della richiesta di cancellazione dei propri dati, il titolare ha l’obbligo di rimuovere entro 15 giorni dalle proprie liste il numero telefonico in questione. Se nonostante tutto si continuano a ricevere in modo illegittimo telefonate pubblicitarie, è bene segnalare l’inadempienza all’Autorità Garante per la protezione dei dati personali e sporgere denuncia all’Autorità giudiziaria.
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Tempi di attesa per visite e esami
di Alice Rovati
Il Servizio Sanitario Nazionale
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l Servizio Sanitario Nazionale fornisce le prestazioni sanitarie nel rispetto del diritto alla salute dei singoli cittadini. I tempi previsti dovrebbero essere adeguati alle necessità mediche dei pazienti e garantire l’accesso a tutti con tempi ragionevoli. A questo fine esiste un Piano nazionale di governo delle liste d’attesa, elaborato dall’Intesa tra il governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, che stabilisce le priorità e i tempi massimi per l’erogazione di esami, visite specialistiche, ricoveri ospedalieri e interventi chirurgici da parte del Servizio Sanitario. Le priorità temporali previste sono quattro, contraddistinte dalle lettere U, B, D e P. Il medico compilerà l’impegnativa e indicherà nel campo “priorità della prestazione” la lettera corrispondente all’urgenza della prestazione: lettera U: prestazioni “urgenti” a cui l’utente ha diritto entro 72 ore. In questi casi, la prescrizione avrà apposto il “bollino verde”. Attenzione: le presta-
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zioni urgenti vanno prenotate entro 48 ore dalla data di prescrizione, altrimenti decade l’indicazione di urgenza. lettera B: prestazione da fornire in tempo “breve” (non più di 10 giorni). Va usata in situazioni in cui è necessario intervenire in tempi rapidi per evitare l’aggravarsi delle condizioni del paziente. lettera D: prestazioni “differibili”, che, se fornite in tempi meno celeri, non pregiudicano la salute del paziente. Sono prestazioni di prima diagnosi, da erogare entro 30 o 60 giorni (a seconda che si tratti di visite o di esami diagnostici strumentali). lettera P: visite ed esami “programmati”, non urgenti. È il caso delle visite di controllo, per le quali la regola stabilisce un massimo di 180 giorni. Se nella ricetta non sono indicati il sospetto diagnostico o la classe di priorità, la richiesta è collocata in classe P. Tra tutte le prestazioni che il Servizio Sanitario Nazionale offre, ne sono state individuate 58 (43 a livello ambulatoriale e 15 in regime di ricovero) il cui
tempo massimo d’attesa deve essere garantito al 90% dei cittadini che le richiedono. È quindi possibile che ad un cittadino venga offerto un appuntamento con tempi più lunghi. Qualora accada ciò, è necessario insistere per il rispetto dei tempi scrivendo direttamente all’Azienda sanitaria territoriale. Nel caso delle prestazioni erogate in regime di ricovero, le classi di priorità sono differenti: A Ricovero entro 30 giorni, per i casi che possono aggravarsi rapidamente pregiudicando gravemente la salute del paziente. B Ricovero entro 60 giorni, per i casi che presentano intenso dolore o gravi disfunzioni, o grave disabilità ma che non tendono ad aggravarsi rapidamente al punto da diventare emergenze. C Ricovero entro 180 giorni per i casi che presentano minimo dolore, disfunzione o disabilità, e che non tendono ad aggravarsi. D Ricovero entro 12 mesi, destinato ai casi che non presentano dolore, disfunzione o disabilità.
Che fare se la lista d’attesa è troppo lunga o se le liste sono bloccate o le prenotazioni sospese? Nel caso in cui il primo appuntamento disponibile, in qualunque struttura, fosse superiore ai tempi che sopra indicati (30 giorni per le prime visite specialistiche e 60 giorni per gli esami diagnostici strumentali), il malato può pretendere che la medesima prestazione sia fornita dal medico privatamente, in intramoenia, senza costi aggiuntivi rispetto al ticket già pagato. Lo prevede la legge (decreto legislativo n. 124 del 1998). Peccato che questa norma sia spesso ignorata e disattesa. Per richiedere il rispetto dei tempi è possibile compilare la lettera di reclamo per mancato rispetto dei tempi massimi di attesa e inviarla all’URP dell’Azienda sanitaria di residenza. Al seguente link è possibile scaricare il modello della lettera di reclamo oltre che approfondire l’argomento o altri temi in materia sanitaria: https://www.altroconsumo.it/salute/diritti-in-salute/speciali/tempi-di-attesa. Il progetto Diritti in Salute, nato dalla
collaborazione tra Altroconsumo e ACU, associazione consumatori utenti, e finanziato dal Ministero dello Sviluppo economico, ha lo scopo di dare risposte ai dubbi più comuni in materia sanitaria, migliorando l’accesso e le conoscenze dei cittadini rispetto ai propri diritti. All’interno del sito si trovano tanti contenuti: schede informative su vari argomenti, numeri di telefono e indirizzi mail utili, video oltre ad un servizio di
consulenza dedicato al numero verde 800 134 656 (dal lunedì al venerdì dalle 9.00-13.00 alle 14.00-18.00).
*La dott.ssa Alice Rovati è laureata in Giurisprudenza, percorso europeo e transnazionale, con master in Europrogettazione. Giurista esperta in diritto dei consumatori, docente di diritto. È Rappresentante di Altroconsumo per la Provincia di Trento.
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In collaborazione con Magazzini Ferrai - Borgo Valsugana
Lo stile giusto per la
tua estate
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inalmente è arrivata l’estate, con le sue giornate soleggiate e le temperature elevate, portando con sè voglia di sole, mare, natura e divertimento. Ci saranno tante occasioni diverse dove essere sempre al meglio, con gli abiti e gli accessori giusti per ogni momento della giornata. Quest’anno la moda ci propone molte novità creative e originali, soprattutto per chi ha in programma un po’ di relax sulla spiaggia. Ci sono i classici costumi a vita bassa, ma anche quelli a vita alta, che ricordano le dive del passato, i costumi interi e i bikini oltre ai sempre più amati trikini. Sui tessuti sarà un tripudio di colori e di fantasie, geometriche, floreali, tropicali, oltre che di applicazioni, come frange, cristalli
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e rouches oppure lacci che rimandano al bondage, per rendere i nostri costumi ancora più unici. La sera invece i costumi si trasformano in eleganti top, da indossare magari con una gonna lunga e un sandalo gioiello, dando vita ad uno stile che ricorda un po’ gli anni ’80. Classici sempre intramontabili sulla spiaggia rimangono invece i pareo, così come i freschi e eleganti kaftani, gli shorts dalla linea giovane e gli abiti lunghi, dai motivi floreali, in stile bohémien chic oppure bon ton, ma sempre leggeri, freschi e colorati. Per essere veramente trendy la scelta giusta però è il vestito monospalla, vero must della stagione.Tra i colori più in voga per quest’estate troviamo il giallo, che sta benissimo con una carnagione un po’
abbronzata ed è ottimo da abbinare anche agli accessori come sandali, occhiali e collane. Sempre di moda è poi il bianco, in tutte le sue declinazioni, dalla tinta panna, al ghiaccio, al color burro. Ai piedi invece più dei tacchi quest’anno trionfano le zeppe più creative e decorate che mai, con lacci, perline e motivi originali. Per le borse, invece, la moda ci suggerisce le borse a secchiello, ma anche le praticissime tracolla e gli zainetti, la parola d’ordine comunque è sempre tanto colore. Infine, non possono mancare i gioielli, per sfoggiare eleganza anche in vacanza: gli orecchini diventano lunghi e importanti, e tornano le amatissime cavigliere, i maxi bracciali colorati e le collane folk.
in collaborazione con pepe - borgo valsugana
Il migliore amico dell’uomo? Non d’estate...
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gni anno, purtroppo, si ripete la stessa triste storia. Milioni di persone si spostano per andare in vacanza, e i loro animali domestici, i cani in special modo, da amati e coccolati componenti della famiglia, spesso regalati ai bambini come compagni di gioco, finiscono improvvisamente per diventare un peso e per passare in secondo piano. Per liberarsene, piuttosto che farli tenere da qualcuno o portarli con sè, molta gente preferisce quindi abbandonarli in strada. Secondo la LAV, in Italia, ogni anno vengono abbandonati in media 80.000 gatti e 50.000 cani, quasi 7 cani, o gatti, ogni ora. Di questi più dell’80% rischia di morire per strada,
di Silvia Tarter
investito, o a causa di maltrattamenti. La maggior parte di questi abbandoni avviene, come dicevamo, con l’aprirsi della stagione estiva (circa il 25-30% in più), ma anche la fine della stagione di caccia è una delle principali cause di questa realtà, oltre alla perdita di interesse per l’animale, problemi nella gestione del suo comportamento, oppure problemi economici della famiglia ospitante. A soffrirne maggiormente, com’è prevedibile, sono i cani, poiché meno indipendenti rispetto ai gatti, dove è più difficile capire se si tratti di un vero e proprio abbandono. Un cane abbandonato invece lo si riconosce subito: esprime il suo disagio muovendosi in maniera confusa e cercando di seguire le persone. Va quindi avvicinato con molta calma, per evitare di spaventarlo e causare situazioni antipatiche, o peggio ancora incidenti. La legge italiana, art. 727 del Codice Penale, considera l’abbandono di animale un reato punibile fino ad un anno di reclusione in carcere e con una multa da 1.000 fino a 10.000 euro. Chi abbandona un animale, oltre a compiere un’azione estremamente deplorevole, rischia di mettere a repentaglio anche la sicurezza
delle altre persone, automobilisti in strada, che possono finire con l’investire il povero animale. Se capita di imbattersi in un animale abbandonato quindi, sarebbe bene cercare di avvicinarlo tranquillizzandolo e avvertire i Vigili Urbani, oppure la Asl, se notiamo che l’animale oltretutto è ferito. Fortunatamente, oggi sempre più strutture ricettive, agriturismi, hotel, rifugi, campeggi e b&b, sia in località montane che marittime, sono diventate pet friendly, amiche degli animali domestici, ovvero si sono attrezzate per ospitare anche gli amici a quattro zampe di chi va in ferie. Inoltre, se non si potesse fare affidamento su qualche amico o parente disposto a prendersi cura del nostro animale mentre siamo via, esistono strutture quali le pensioni per cani, dove poterli lasciare in accudimento per il tempo della vacanza. In alternativa poi, si può sempre cercare un dog sitter, uno studente o qualcuno che vuole arrotondare, a cui potrebbe interessare un lavoretto come questo. A tal proposito internet ci viene in aiuto con tanti siti e pagine, anche sui social, dove è possibile trovare una persona a cui affidare il nostro amico peloso.
ALIMENTI E ACCESSORI PER UCCELLI RODITORI – PESCI - TARTARUGHE E RETTILI ALIMENTI SECCHI E UMIDI PER CANE E GATTO (ANCHE GRAIN E GLUTEN FREE); ANTIPARASSITARI DI TUTTE LE MARCHE (ANCHE NATURALI); SNACK - PRODOTTI PER LA MASTICAZIONE BISCOTTI ANCHE SFUSI; PRODOTTI PER L'IGIENE E CURA; TRASPORTO - SICUREZZA - RELAX; MEDAGLIETTE PERSONALIZZATE; VASTO ASSORTIMENTO DI GUINZAGLIERIA; GIOCHI PER CANE E GATTO - TIRAGRAFFI; GIOCHI STRATEGICI ED EDUCATIVI; DETERGENTI ECOLAVO;
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PSICOLOGIA&SALUTE
Quando bisogna prendersi cura di chi si prende cura
La sindrome del
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anti di noi convivono in casa con un proprio caro che presenta dei problemi di salute importanti. Visti i dati demografici attuali, ci saranno sempre più casi di questo tipo. Spesso e volentieri infatti, le persone arrivano ad un’età che fino a qualche tempo fa era inimmaginabile. Questo aumento della lunghezza media della vita porta con sè anche malattie specifiche dell’invecchiamento come ad esempio le demenze ed ecco che qualcuno se ne deve fare carico. O ancora pensiamo alle disabilità gravi congenite o acquisite che possono colpire chiunque. Le statistiche rilevano che più frequentemente sono le donne che si assumono questo ruolo, dedicando anima e corpo alla persona cara afflitta da uno stato di malattia cronica. Si diventa caregiver (persona principale che si fa carico in tutti i sensi del malato) per scelta, per necessità o per designazione famigliare, cioè se non ci sono altre alternative materialmente realizzabili. Ma fermiamoci un attimo, proviamo a vedere che cosa comporta. Come si modifica la vita e lo stato psicologico del caregiver? Il caregiver si ritrova investito di un ruolo
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fondamentale, che richiede un impegno costante e che necessita di una complessità di cura che metterebbe a dura prova chiunque. Il malato diventa completamente dipendente dalla persona che fornisce assistenza e quest’ultima si deve assumere in toto la sua responsabilità. La vita del caregiver si trasforma nella vita del malato così come i problemi di quest’ultimo diventano i suoi. Le ore dedicate al malato dipendono dalla gravità del disturbo, ma col tempo arrivano a coprire gran parte delle ventiquattro ore suddividendole tra assistenza diretta e quelle di sorveglianza. È facile perciò intuire che la persona spesso si trova costretta a lasciare il lavoro o chiederne una riduzione per far fronte alla situazione che sta vivendo. Le conseguenze dirette e materiali si associano ad una precarietà delle condizioni psicologiche e sociale che colpiscono non solo in caregiver, ma l’intera famiglia visto che si è strettamente collegati. Farsi carico di qualcuno implica svolgere attività che fino a qualche tempo prima non si sarebbe mai pensato e a cui bisogna abituarsi. Prendersi progressivamente l’onere di assistere il malato nelle attività quo-
di Erica Zanghellini
tidiane fino ad arrivare alla completa sostituzione nello svolgerle, porta con sé un carico psicologico e fisico che possono essere i prerequisiti per lo sviluppo di questa sindrome. I sintomi della sindrome del caregiver possono variare da stanchezza fisica, a quella psicologica o quella mentale, ai sensi di colpa più o meno pesanti, ai disturbi del sonno, fino ad arrivare ad una perdita di motivazione nella vita di tutti i giorni accompagnata da sintomi depressivi. In aggiunta la totale responsabilità esige una completa dedizione, spesso sottraendo alla persona che fa assistenza qualsiasi opportunità di dedicarsi ad attività personali e sociali creando così un impoverimento relazionale-personale che mina ancor di più il suo benessere psicofisico. Si instaura un meccanismo per cui il “mondo” del caregiver diventa il malato e il prendersene cura. I sentimenti che spesso la persona prova sono di angoscia e costrizione, ma nonostante ciò, non ne può far senza. Addirittura non è insolito riscontrare sensi di colpa per non essere stato a disposizione del malato, nei rari momenti in cui la persona decide di prendersi del tempo per se. A livello psicologico questa situazione di vita crea un terreno fertile per dare origine a disturbi ansiosi. La percezione
di un carico eccessivo rispetto le risorse a disposizione sottopone la persona a forte stress e non è da escludere nemmeno l’insorgere di disturbi dell’umore. Ma quindi che cosa si può fare? L’unico modo per far fronte a questa sindrome è esserne informati e agire in modo preventivo. Ecco qui di seguito dei consigli che possono essere utili: - Come prima cosa dobbiamo fare i conti con l’impatto, anche forte, che la malattia farà nella persona e in un secondo momento nel nucleo famigliare. Prepariamoci a un periodo di adattamento reciproco, il caregiver e la famiglia dovranno fare i conti con i ritmi quotidiani diversi, così come richieste nuove, mentre in caso di malattie acquisite il malato deve ambientarsi in un ambiente non suo e all’accettazione di una malattia che progressivamente lo porterà a non essere più in grado di far fronte alle sue esigenze in modo autonomo. - Informandoci e formandoci rispetto alle caratteristiche della patologia del nostro caro saremo più preparati a fare delle scelte migliori per lui e che nello
stesso tempo ci faranno preservare tempo ed energie preziose anche per noi. - Cerchiamo di avere attorno un team di persone specializzate o comunque cerchiamo di costruirlo, soprattutto se il prendersi cura si prolunga nel tempo. L’appoggio e le risorse esterne sono fondamentali per riuscire a gestire questa situazione complicata. - E infine cerchiamo di non annullarci, mantenere una vita sociale che ci permetta di svagarci e prenderci del tempo per noi. Sembrerà una cosa futile, ma non lo è per niente. Ricaricarci si ripercuoterà positivamente anche sul ruolo di aiuto, in quanto essere carichi di energie positive ci permetterà di affrontare la quotidianità con più grinta e faciliterà l’assumersi di tale ruolo. Alcuni studi del campo dimostrano come una buona disponibilità di sostegno sociale sia un fattore protettivo rispetto lo sviluppo di sintomi di abbassamento
dell’umore. Un caregiver insoddisfatto e frustrato rischia di diventare inefficiente e nei casi più gravi dannoso per la persona malata. Ricordiamoci che se non ci prendiamo cura di noi, finiremo per ammalarci. Il carico che i caregiver devono sopportare rimane un tema importante e che sicuramente merita e necessita ulteriori approfondimenti, perché il miglior modo di combattere qualsiasi malessere è prevenirlo.
Dott.ssa Erica Zanghellini - Psicologa/Psicoterapeuta Riceve su appuntamento - Tel. 3884828675
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Che tempo che fa a cura di Giampaolo Rizzonelli
ANALISI METEO PRIMO QUADRIMESTRE 2017 Gennaio e metà aprile freddi, ma per il resto un anno che si apre all’insegna del caldo e della scarsità di precipitazioni PREMESSA: Come abbiamo già avuto modo di raccontare nel numero di febbraio, il 2016 si era chiuso per il Pianeta (come il 2014 e il 2015 peraltro) come anno più caldo nella serie di 137 anni del NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration che è un’amministrazione federale degli Stati Uniti che si occupa di meteorologia e climatologia) “grazie” al contributo di otto dei dodici mesi (da gennaio a settembre con l’eccezione di giugno), che sono stati i più caldi di sempre e gli altri mesi si sono collocati tra i cinque più caldi di sempre. Ottobre, novembre e dicembre 2016 sono stati i secondi più alti della loro categoria, "e in ognuno dei tre casi hanno superato i record del 2015". E il trend del 2016 ha purtroppo avuto una conferma nel mese di febbraio 2017 e marzo 2017 (attendendo i dati di aprile…) che sono stati i secondi più caldi degli ultimi 138 anni (vedi fig. 1 e 2). A “CASA NOSTRA” Purtroppo anche Levico Terme non fa eccezione a questo triste andamento delle temperature, a parte gennaio, che è stato particolarmente freddo, febbraio e soprattutto marzo hanno fatto registrare temperature decisamente sopra la media. Mentre aprile è stato letteralmente “spaccato in due”, con una prima metà del mese “calda” e una seconda metà “fredda”. Alcuni dati significativi per aprile sono i seguenti: a) La media delle massime dei primi 15 giorni di aprile è stata di +20,9°C, la media delle massime della seconda metà del mese (che statisticamente dovrebbe essere più calda) di +15,5°C (ben 5,4°C in meno della prima parte del mese); b) La media delle minime dei primi 15 giorni di aprile è stata di +6,0°C, la media delle minime della seconda metà del mese di +3,8°C (ben 2,2°C in meno). Nonostante la seconda metà del mese sia stata decisamente fredda, la temperatura media di aprile è comunque stata di 0,5°C superiore alla norma.
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Nella seguente tabella (Fig.3) sono riportati i valori delle temperature (°C) minime, massime e medie per il primo quadrimestre, divise per mese e il confronto con i valori medi (precipitazioni dal 1921, temperature dal 1939), nonché i valori assoluti del mese (massima più elevata e minima più bassa). Per le precipitazioni sono riportati i totali mensili e del trimestre, in mm (1 mm per m2 equivale a un litro) e i giorni piovosi (per giorno piovoso si intende giorno durante il quale cade almeno 1 mm di pioggia o neve sciolta). Significativo è il dato che la temperatura media del I quadrimestre 2017 è di 1,1°C superiore alla norma, con un picco che riguarda la media delle massime che è superiore di 2,2°C alla media storica.
RIEPILOGO PRIMO QUADRIMESTRE 2017 TEMPERATURE Gennaio è stato freddo, con minime inferiori di 3,8°C alla media. La media delle minime pari a -8,0°C è risultata la quinta più fredda dopo quelle del 1945, 1947, 2002 e 2006. La minima più bassa è stata registrata il 7 gennaio con -13,3°C. Febbraio e marzo invece sono stati decisamente mesi caldi, con valori medi superiori rispettivamente di 2,4°C e 3,4°C, in particolare le massime di marzo sono state quasi da record, con una media del mese pari a +17,2°C rispetto ai valori attesi di +12,7°C. Il valore più elevato è stato registrato il 30 marzo con +23,7°C. Solamente i mesi di marzo del 1994 e del 2012 furono più caldi del 2017. Per dare un termine di paragone, la media delle massime di marzo 2017 è stata superiore alla media storica delle massime del mese di aprile. Di aprile ne abbiamo già parlato in precedenza, da segnalare le minime negative raggiunte il 21, il 22 e il 29 del mese, con rispettivamente -2,6°C, -0,6°C e -0,6°C. Nella fig. 4 una fotografia scattata il 21 aprile ai meli a San Cristoforo, ricoperti di ghiaccio con gli impianti antibrina in funzione. Dato piuttosto inconsueto è che la minima registrata il 21 aprile (-2,6°C) è stata la più bassa registrata dal 26 febbraio. PRECIPITAZIONI Nel primo quadrimestre a Levico Terme sono caduti solamente 164,8 mm rispetto a una media di 246,3 mm, peraltro in passato ci sono stati quadrimestri molto più “siccitosi” di questo, ad ogni modo siamo il 33% sotto media. Gennaio in particolare con un solo giorno nevoso con un accumulo di poco di più di 4 mm è stato decisamente “secco”, considerando inoltre che la precipitazione precedente risaliva al 26 novembre, abbiamo avuto 47 giorni consecutivi senza precipitazioni. Temperatura acqua lago di Levico: La temperatura dell’acqua del lago di Levico ha risentito delle temperature sia per il caldo di marzo che per il freddo di gennaio e aprile. Dopo essersi ghiacciato completamente a gennaio dopo 4 anni (spessore fino a 15 cm), nel corso del mese di marzo ha raggiunto valori decisamente elevati. Il 23 marzo l’acqua aveva già raggiunto +9,6°C. Qui sotto i valori rilevati nei 9 anni precedenti nello stesso periodo: • • • • • • • • •
2016: +6,4°C 2015: +7,8°C 2014: +8,6°C 2013: +6,7°C 2012: +10,0°C (calda come quest'anno) 2011: +6,8°C 2010: +8,2°C 2009: +5,6°C 2008: +5,7°C
Nell’ultima decade di aprile la temperatura dell’acqua ha risentito del periodo particolarmente freddo, a fine mese l’acqua misurava 12,3°C quando mediamente negli ultimi 10 anni in quel periodo misurava circa 14,3°C. L’acqua ha iniziato a scaldarsi decisamente nella seconda e terza decade di maggio. Ultimo dato “interessante” relativo all’ondata di freddo che ha colpito il Trentino nelle ultime settimane, dal 23 aprile abbiamo dovuto attendere il 5 maggio per rivedere una massima superiore ai 20°C a Levico Terme. Ulteriori informazioni e statistiche sul sito www.meteolevicoterme.it
(Elaborazioni di Giampaolo Rizzonelli anche su dati forniti da Fondazione Edmund Mach e Provincia Autonoma di Trento)
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magiadellago diErdemolo e del rifugio Sette Selle
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di Chiara Paoli
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l Trentino si sa è una provincia ricchissima di laghi, i bacini lacustri sono ben 297, ma alcuni più di altri sanno evocare la magia e l’incanto. Per il lago di Erdemolo è così, sarà che quando ero bambina trovare la neve lassù in pieno agosto mi è sempre parso qualcosa di veramente speciale. Sarà che le piccole salamandre nere che vivono nello specchio d’acqua, appena sentono il calore della mia mano immersa nel lago giungevano a solleticare le mie dita. Semplicemente un luogo incantato, lo scrittore Robert Musil definisce così la valle dei Mòcheni dopo averla vista e vissuta durante il primo conflitto mondiale e non possiamo dargli torto. La passeggiata che conduce sino al Lago di Erde-
molo è l’escursione più conosciuta e apprezzata di tutta la Valle dei Mòcheni. Punto di partenza è Palù del Fersina, località Frotten/Vrotten (parcheggio a pagamento 1 €/h o 6 € giornata intera) o presso il campo sportivo (parcheggio gratuito), allungando il percorso di 15’. Il sentiero da seguire è l’E 325 che attraverso splendidi paesaggi vi condurrà in circa un’ora e mezza sino all’Hardimblsea, come viene chiamato in lingua mòchena (2006 m), dove nasce il fiume Fersina. Il lago di Erdemolo ha una superficie di 15500 m², ed è possibile sostare sulle sue splendide sponde per apprezzare il mescolarsi dei colori di cielo ed acqua, ma anche il verde intenso della natura che ci circonda e gli splendidi cromatismi dei rododendri che fioriscono nel mese di giugno o le varianti cromatiche del foliage autunnale che infiamma la Valcava. Il luogo è l’ideale per fare pediluvi che riattivino la circolazione, in un’ottica di idroterapia che va molto di moda in questi ultimi anni. Da qui prendendo il sentiero E 324 si raggiunge lo splendido Rifugio Sette Selle, che merita assolutamente una visita, qui è possibile degustare alcuni piatti della cucina tipica e pernottare
Aperto tutti i giorni nel periodo estivo, dal 16 Giugno a fine Settembre. Nel periodo invernale, dal 23 Dicembre al 8 Gennaio. Nel resto dell'anno è aperto tutti i festivi e i fine settimana, venerdì compreso. Chiuso il mese di Novembre.
24 POSTI LETTO LOC. VAL DEL LANER - PALÙ DEL FERSINA Tel. 347 1594929 - rifugiosetteselle@gmail.com - www.setteselle.altervista.org
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per vivere un’esperienza nuova e più completa di avvicinamento alla natura e alla montagna. Questa baita è immersa nella natura incontaminata nella catena del Lagorai ed è sorta sulle ceneri di una baracca della prima guerra mondiale, di cui ancor oggi rimangono numerose tracce. Il rifugio Sette Selle è aperto tutti i giorni, nei mesi estivi dal 16 giugno fino a fine settembre, il resto dell'anno è aperto tutti i festivi ed i fine settimana, compreso il venerdì e tutti i giorni durante tutte le vacanze di Natale; rimane chiuso nel mese di novembre. Da qui è poi possibile rientrare al parcheggio attraverso l’anello con segnavia E 343, che vi riporterà a Palù del Fersina.
TERRE DEL LAGORAI
I VINI DI CASA NOSTRA
“Terre del Lagorai” e al ri ito rr te a in nt i tre o la neonata ca ore HoReCa i prim tt se Mercoledì 24 maggi l de i ic om on ec operatori ato fermo, ha presentato agli Chardonnay, vinific o un e: on zi bu ri ris, st vini messi in di e Valsugana; un Sola lv Te di e id no co l iche e il ni coltivati ne oprietà organolett pr proveniente da vitig li vo te no n co a iuto m iede l’intervento di ch ri n vitigno poco conosc no e ch te en na di un vitigno resist proveniente dalla zo ro vantaggio di essere ne t no Pi un e infin valle, gli è prodotti chimici; e ione est ovest della iz os sp di la al ie o. az ve, gr ico interessantissim rm te Scurelle e Spera do zo al sb o un e one garantita un’insolazi
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a Valsugana è sempre stata una grandissima produttrice di uve prevalentemente a bacca bianca che venivano esportate nell’impero Austroungarico. L’avvento però della filossera, la prima guerra mondiale e infine l’emigrazione tra le due guerre hanno portato all’abbandono della produzione di uve pregiate, sostituita solo in piccola parte da vitigni “americani” di bassa qualità ma esenti dalla malattia. Solo negli Anni ‘90 alcuni agricoltori della Valsugana orientale hanno iniziato nuovamente a coltivare la vigna. Fino a oggi la maggior parte delle uve veniva conferita a rinomate cantine trentine, che però non generavano ricaduta d’immagine nei territori di coltivazione. TERRE DEL LAGORAI L’anno scorso un gruppo di coltivatori locali ha fondato “Terre del Lagorai”, una nuova cantina che si innesta su storia antica e radicata. Otto soci accomunati dall’attenzione verso la produzione biologica e dall’orgoglio di voler rappresentare una valle, le sue tradizioni e la sua “attitudine” ai vini pregiati. “Terre del Lagorai” non è solo una cantina ma un articolato progetto di promozione del territorio e delle sue genti in campo agricolo ma anche turistico, culturale e naturalistico che si avvale di una rete di collaborazioni eccellenti; dalla Fondazione De Bellat alla Scuola di Alta Formazione alber-
ghiera con sede a Roncegno Terme. Gli otto soci, appassionati di terra e di vino, lavorano nel pieno rispetto delle caratteristiche di ogni vigneto convinti che la natura, se rispettata, sappia restituire I relatori: con generosità. Sono Carlo Staudacher, Ezio Dandrea, Matteo Trentinaglia, Flavio Sandri, Davide Capra, Mauro Franzoni, Germana Borgogno e Stefano Dalledonne. La Cantina è all’interno delle mura di Castel Ivano, antico maniero edificato nel XII secolo sul promontorio del Monte Lefre in Valsugana. Il Castello, uno dei luoghi storici più suggestivi e meglio conservati della zona, si trova in posizione strategica, immerso nella campagna a pochi chilometri dalle principali luoghi di interesse della zona.
Carlo Staudacher, Renzo Grisenti e Marco Larentis “Terre del Lagorai” copre attualmente l'area collinare ai piedi di Telve, abbraccia il Comune di Castel Ivano da sudovest a sud-est, e si estende fino all'imbocco della Valle di Sella nel Comune di Borgo Valsugana. L'altitudine degli impianti varia dai 300 ai 700 m, l'esposizione del territorio è sud ovest. “Terre del Lagorai” si serve dell'azienda di promozione "Dolomia Wine" per la promozione e la distribuzione dei propri vini.
I soci
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Valsugana:
TERRA DI VIGNETI
Attraversando la nostra popolosa e verde valle e lasciando correre le sguar do attorno a noi, oggi ci acco rgiamo di essere circondati da centri abitati, ca mpi, meleti e bo schi. Ma se potessim o magicamente to rnare indietro di un se colo e percorre re il fondovalle su un a lenta autovett u ra, su un fumoso treno, o su un carro scal cagnato, saremmo di fro nte a un panora m a ben diverso. Le pend ici dei monti e so prattutto dei colli che affaccia no “sulla Brenta ” sarebbero ordinatamente ricoperti di albe ri sottili, curati e organizzati in terrazzamenti: le vigne.
di Elisa Corni
“La vista di questa vallata sorpassò la mia aspettativa. Il fecondo suo fianco, l’ardita coltura viticola delle sue sponde, portata fino all'altezza di 600-800 metri dal piano, mi sorprese, presentandomi spesso qua e là le colossali creste delle nude montagne che la incoronano, mentre le sue basse sponde, specie a solivo, presentano vigneti da disgradarne talora quelli di Toscana!”.
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osì scriveva il prete padovano Angelo Candeo nel luglio del 1887, una descrizione che ci fa tornare indietro e ci fa immaginare un paesaggio completamente diverso. La viticoltura in Valsugana ha radici profonde, risale a secoli addietro, quando uve e vini prendevano il nome dal loro colore o dal luogo di coltivazione. «Nel Seicento iniziamo trovare documenti che forniscono qualche informazione in più - spiega Claudio Marchesoni, valsuganotto Doc come i vini dei quali è esperto - a quell’epoca si coltivavano la Pavana e la Visentina come vini rossi, mentre il Cinese, o Senese, sostanzialmente una Vernaccia, era il bianco più diffuso». Ex maestro ora in pensione, Claudio Marchesoni ha dedicato tempo ed energie alle ricerche storiche sulla viticoltura in Valsugana, al punto che presenzia incontri e scrive libri e saggi in proposito. Racconta per esempio della tradizione dei cosiddetti “vignaioli in trasferta”. Dalle zone più fredde e meno adatte alla coltivazione della vite, per secoli alcune popolazioni sono scese in Valsugana per coltivare appezzamenti e produrre il vino da riportare in altura. «Tipiche erano le coltivazioni – spiega Marchesoni - curate dagli abitanti di
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Lavarone e Centa, che si spostavano sul Colle di Brenta durante la bella stagione. Ma anche nella zona di Pergine Valsugana c’erano terreni coltivati a vite dalle popolazioni dell’Altopiano di Piné». Tutto ciò era possibile grazie a una serie di concessioni molto antiche,
medievali addirittura, che permettevano a queste popolazioni di coltivare la vite in territori più adatti, senza dover pagare le tasse. «Tutto ciò, ovviamente, non piaceva alle popolazioni locali», racconta Marchesoni. Ma non erano solo il colle di Tenna o la
Vigneti lungo la sponda del lago di Levico agli inizi del Novecento
Anni 60 - Levico
zona del perginese le aree adatte alla coltivazione del frutto preferito da Bacco. Telve, Novaledo, Marter: tutte le pendici dei monti e dei colli ben esposti erano segnati da filari di vite. Tutto ciò è durato fino agli inizi del Novecento, periodo clou della viticoltura nella nostra terra. È questa l’epoca in cui nacque e si fece strada una delle più importanti e antiche cantine di origine Trentina: la cantina Ferrari. Le prime bottiglie di spumante prodotte nel 1902 da questa importante famiglia erano realizzate con il vino della Collina di Brenta. «Dopo il 1896 – racconta ancora – , con la costruzione della linea ferroviaria della Valsugana, vennero approntati dei vagoni-cisterna per portare il vino prodotto in queste zone in tutto il territorio austriaco, dal Voralberg alla Bucovina». Ma poi con lo scoppio del primo conflitto mondiale le cose cambiarono drasticamente. «Già sul finire del secolo due temibili malattie – spiega Marchesoni –, la fillossera e la peronospora, provocarono danni ingenti alla viticoltura e la fine della guerra portò grandi stravolgimenti politici ed economici. Il vino prodotto nella nostra valle non era più competitivo visto che i suoi concorrenti erano vini prodotti in zone geografiche più temperate. Inoltre fino ad allora la produzione era incentrata più sulla quantità che sulla qualità». Ma la nuova viticoltura, quella che negli ultimi anni sta prendendo piede con piccole cantine che producono vini pregiati, predilige la filosofia opposta. I nostri vini sono di alta qualità; piccole coltivazioni per prodotti acidi perfetti per fare da base a spumanti e ad altri vini di qualità. Lo Chardonnay di Brenta o la Pavana coltivate sulla sponda sinistra del Brenta sono rinomati e richiesti, e stanno trasformando il paesaggio in qualcosa che sarebbe stato familiare ai viaggiatori di un tempo. Come scriveva il Sartorelli, “Stupendi sono i vigneti che all’Ovest di Borgo sulla riva sinistra del Brenta si estendono sù sù comprendendo Roncegno, Masi, Levico, Caldonazzo, e Tenna” e che oggi stanno riprendendo piede.
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SUGGERIMENTI UTILI PER
TOGLIERE LE MACCHIE
Carla Segnana è titolare della Lavanderia Perla di Levico Terme
Vino, caffè, pomodoro...quante volte vi sarà capitato di sporcare l’abito che indossate, oppure una tovaglia o un tappeto, con un alimento o una sostanza difficile da togliere? Fortuna che, come insegnavano le nostre sagge nonne, esiste qualche metodo efficace per rimuovere le macchie.
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n grande classico sono le macchie di pomodoro, che talvolta schizzano sui nostri vestiti quando gustiamo una bella pastasciutta sugosa. Il sugo di pomodoro, se trattato subito, se ne va piuttosto facilmente. Possiamo intervenire tamponando il nostro abito con dell’aceto, oppure con acqua calda e soda. Altra macchia fastidiosa è quella del vino. Per prima cosa si può versare un po’ d’acqua frizzante sul tessuto, altrimenti provate con del dentifricio non sbiancante, stronfinando con energia. Per le macchie di the o caffè, invece, si può applicare dell’aceto, oppure del succo di limone lasciando riposare il capo prima del lavaggio. Contro le temutissime macchie di grasso, un ottimo rimedio è poi il sapone liquido vegetale -se ne trovano anche a base di olio di oliva- oppure, per togliere le macchie più resistenti, un composto di soda e acqua, da lasciar agire sul capo prima di lavarlo. In caso di sporco causato dalle uova invece, è utile strofinarare la macchia con acqua ossigenata. Capita a volte, specie per i bambini che vanno a scuola e pasticciano con penne
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e cancelline, di sporcarsi gli abiti di inchiostro. In questo caso, prima di procedere col normale lavaggio, si può tamponare con latte e aceto. Uno dei prodotti più difficili da togliere in assoluto è il rossetto, che rimane spesso impresso sui tovaglioli, ma per levarlo basta utilizzare dell’alcool. Non si può poi tralasciare il problema dell’erba, in queste belle giornate d’estate in cui capita che i bambini tornino a casa con gli abiti segnati dai giochi all’aperto; in questo caso si può passare sulla macchia del sapone di marsiglia, tamponando con dell’alcool. Se le macchie d’erba sono fresche, è bene invece immergere il capo in una bacinella di acqua molto calda per almeno mezz’ora e poi passarvi del latte freddo strofinando bene. Ideale contro le macchie di fango invece, è tamponare con acqua e aceto prima del lavaggio, e lasciarle seccare. E contro il tanto antiestetico sudore? In questo caso è ottimo il bicarbonato di sodio, che produce ossigeno attivo, in grado di eliminare le macchie senza rovinare i tessuti, oppure acqua e aceto. Contro le macchie di sangue invece,
nella maggior parte dei casi è sufficiente un po’ d’acqua fredda e strofinare energicamente la parte interessata dallo sporco. Importante è poi, in generale, non utilizzare sostanze alcaline, quali il sapone, su tessuti delicati come la lana e la seta, che tollerano invece sostanze acide come aceto e limone.
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