Valsugana News n. 6/2016 Luglio

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SPECIALE

GASTRONOMIA

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L’EDITORIALE

Il F.O.R., la “bomba” e il San Lorenzo Un ringraziamento particolare in occasione di questo numero di luglio che ci accompagnerà anche per tutto agosto, quando Valsugana News per motivi organizzativi si prende una pausa, va a Edoardo Rosso, Presidente F.O.R. ai membri dell’Associazione e a tutti i collaboratori per l'interessante convegno in occasione del ritorno della “bomba al cobalto” in quel di Borgo Valsugana. Un convegno dai toni altamente qualificati che ha visto l’intervento di Stefano Chelodi, Presidente dell’Associazione Trentina Medicina Genomica con un commosso ricordo del Professor Claudio Valdagni, un eroe d'altri tempi, pioniere della medicina nucleare che portò l'Ospedale San Lorenzo a essere un'eccellenza internazionale con una sorta di «rivoluzione copernicana», come la dottoressa Monica Ropele, docente di fisica presso l’Istituto d’Istruzione “Alcide Degasperi”, si è espressa nel suo intervento in quel convegno, di cui trovate un ampio resoconto a cura di Chiara Paoli in queste pagine. Questo contributo che la nostra rivista porta alla divulgazione della memoria dell'opera di Claudio Valdagni, non certo unica nel panorama Trentino delle pubblicazioni, ci onora e dà corpo al nostro impegno d'informazione perché vogliamo continuare a essere storici del quotidiano per riscoprire assieme ai nostri lettori, sempre più numerosi, quell'identità valsuganotta sviluppatasi attorno al nocciolo duro di valori importanti quali la solidarietà, l'altruismo, la ricerca e l'amore per la propria terra. Come ci racconta Chiara Paoli, una penna non certo

 di Franco Zadra

sprovveduta data la sua laurea in storia, che cita ovviamente il lavoro di Monica Ropele nel volume dal titolo “L’atomica della salute”, il macchinario di telecobaltoterapia acquistato da Valdagni, venne realizzato nel 1951 dalla società Eldorado Mining & Refining Ltd a London, in Canada. Superfluo ricordare che ai tempi non esisteva Internet e le comunicazioni non avevano quella dimensione globale e immediata che hanno oggi. Eppure Valdagni e i suoi collaboratori, con l'aiuto concreto e l'impegno di tante famiglie di borghesani riuscirono a procacciarsi il miglior prodotto sul mercato di allora. Una storia che è bello raccontare, ma che stimola molte domande soprattutto se si vuole confrontare l'oggi con quel recente passato. Si sa, il lavoro dello storico è infinito e la ricerca appare illimitata. Se poi si pensa che ogni giudizio storico implica atteggiamenti e punti di vista individuali per cui tutti i giudizi si equivalgono e non esiste una verità storica oggettiva, si crederà forse che non valga la pena di chiedersi come mai al tempo di Valdagni certe cose funzionarono mentre oggi una recentissima campagna di crowdfunding, o finanziamento collettivo in italiano, promossa per tentare di contrastare il paventato depontenziamento del San Lorenzo, è purtroppo naufragata per mancanza di adesioni. Raccontare quella storia è per noi un modo per recuperare identità e riscoprire quello spirito collettivo al quale vorremmo tutti ancora partecipare. Un contributo che è anche il valore intrinseco di Valsugana News.

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IL SOMMARIO Editoriale.....................................................3 Eldorado torna a casa...................................7 Claudio Valdagni ..........................................8 Il F.O.R. .....................................................11 Il Museo della Speranza ..............................12 L’oncologia.................................................14

STORIA DELLA COBALTO TERAPIA A BORGO VALSUGANA pag. 7 - 14

Nomadi con Radici......................................16 Don Daniele nuovo parroco .........................19 Il femminicidio ...........................................20

La residenza Rododendro PAG. 56

Cosa pensa di me.......................................22 A Borgo Valsugana assistenza domiciliare.....24 I profughi di Castelnuovo ............................26 Giovani e sport...........................................28 Il personaggio: Bruno Strim ........................31 Cesare Battisti............................................34 Le cronache ...............................................59 Le cronache ...............................................60 Le cronache ...............................................61 Le cronache ...............................................62 Le cronache ...............................................63 ALTRI ORIZZONTI E L’ETIOPIA....................64 Le cronache ...............................................66 Le cronache ...............................................67 Benessere e salute .....................................69 La Torre dei Sicconi ....................................70 La ragazza Immagine .................................72 La Centrale di Serso ...................................74 Caccia alle streghe .....................................76 Tor Quadra e Tor Tonda ..............................78 L’Avvocato risponde ....................................80 Pablo Picasso .............................................82 Il Caffè dibattito .........................................84 Il buco nell’ozono .......................................86

LO SPECIALE Gastronomia Il pasto dei Romani ....................37 I banchetti dei Romani ..............39 La cioccolata ................................40 Storia delle spezie........................41 Obesità e sovrappeso ................42 La celiachia ....................................44 La dieta e l’alimentazione ..........46 La dieta mediterranea ................47 Il vino..............................................48 Gli aperitivi....................................49 Il pane ............................................50 Frittura di pesce ..........................51 La pizza ..........................................52 Gli spaghetti..................................53 Anguria e melone ........................54

ANNO 2 - LUGLIO 2016 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munao’ - 333 2815103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Roberto Paccher COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser COLLABORATORI Luisa Bortolotti - Elisa Corni - Erica Zanghellini Alessandro Dalledonne - Mario Pacher - Franco Zadra Laura Fratini - Francesca Schraffl - Sabrina Mottes Eleonora Oss Emer - Chiara Paoli - Tiziana Margoni Patrizia Rapposelli - Zeno Perinelli - Adelina Valcanover CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE Edizione Printed srl Viale Vicenza, 1 - Borgo Valsugana IMPAGINAZIONE, GRAFICA Grafiche Futura STAMPA Grafiche Futura PER LA PUBBLICITÀ SU VALSUGANA NEWS info@valsugananews.com www.valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright EDIZIONI PRINTED e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a EDIZIONI PRINTED, le loro pubblicità, le loro immagini i loro testi o articoli. Per quanto sopra EDIZIONI PRINTED si riserva il diritto di adire le vie legali per di tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.

ARRIVEDERCI A SETTEMBRE Considerato che molte aziende, inserzionisti e nostri lettori vanno in ferie, anche VALSUGANA NEWS si prende un meritato riposo e quindi nel mese di agosto non sarà in distribuzione. Ci rivedremo a settembre con un numero veramente “corposo” all'interno del quale, oltre alle rubriche, interviste, articoli e testi tradizionali, sarà presente uno “SPECIALE DONNA” riservato al mondo femminile con contenuti particolari che spazieranno dalla bellezza al make-up, dalla medicina alla cura e al benessere del corpo, dalla moda all'alimentazione.

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Eldorado torna a casa Grazie all’operato dell’Associazione Future of Oncology and Radiology, la bomba al cobalto, nota con il nome di “Eldorado A”, torna finalmente a casa, all’ospedale San Lorenzo di Borgo che l’aveva accolta il 31 ottobre del 1953.

 Testi di Chiara Paoli - Coordinamento redazionale Armando Munaò

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ra i primi intenti dell’Associazione F.O.R. vi era proprio quello di recuperare la prima Unità di Telecobaltoterapia italiana ed europea, per restituirla alla legittima proprietaria che grazie a questo macchinario è divenuta nel secondo dopoguerra, un centro all’avanguardia nella lotta contro i tumori. Il dono fatto alla cittadinanza è collocato in un’installazione permanente che porta il nome di Museo della Speranza; è posta di fianco al polo ospedaliero, a ricordo e testimonianza di questa memorabile impresa e come primo passo per migliorare l’informazione e la prevenzione dei tumori. Sabato 4 giugno presso l’auditorium della Comunità di Valle in piazzetta Ceschi a Borgo Valsugana, ha preso avvio alle 9.30 un partecipato convegno organizzato dall’Associazione The Future

La posa della bomba

L’arrivo della bomba a Borgo Valsugana

of Oncology and Radiotherapy, dal titolo: “Borgo Valsugana 1953: il raggio della speranza”. Edoardo Rosso, Presidente dell’Associazione F.O.R., ha accolto i partecipanti e dopo l’introduttivo saluto alle autorità ha presentato il programma della mattinata. È seguito l’intervento di Stefano Chelodi, Presidente dell’Associazione Trentina Medicina Genomica che ha offerto un commosso ricordo del Professor Claudio Valdagni. La dottoressa Monica Ropele, docente di fisica presso l’Istituto d’Istruzione “Alcide Degasperi”, ha parlato della rivoluzione copernicana del San Lorenzo, ora presente nel web grazie ai contenuti inseriti nell’enciclopedia libera online Wikipedia. Non poteva mancare una partecipazione attiva del figlio di colui che ha portato la bomba al cobalto in Valsugana, Riccardo Valdagni, professore associato presso il Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell’Università degli Studi di Milano e Direttore di Radioterapia Oncologica presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, che ha fornito ai presenti notizie più aggiornate in merito agli sviluppi della ricerca con un contributo dal titolo “Dalla Bomba al Cobalto alla Medicina di Precisione in Radioterapia”.

E’ stato presentato il progetto per l’avviamento di un campus universitario a cadenza biennale per far crescere a Borgo nuovi specialisti della medicina di precisione. Si tratta di un ambizioso disegno dell’associazione F.O.R., indirizzato alla formazione di giovani laureati, dottorandi e specializzandi che avranno l’opportunità di seguire una scuola di alta formazione in biologia molecolare oncologica. Edoardo Rosso, Presidente dell’Associazione F.O.R., ha avuto il compito di tirare le conclusioni di un’interessante convegno che si è chiuso con l’inaugurazione del Museo della Speranza, sorretto rispettivamente da Aldo Voltolini e Luigi Cima, tecnico fisico il primo e primario di radiologia il secondo, nel lontano 1953. Il nastro viene tagliato dal sindaco Fabio Dalledonne, affiancato dalla moglie di Claudio Valdagni, Clelia e dal figlio Riccardo.

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CLAUDIO VALDAGNI E LA TELECOBALTOTERAPIA Claudio Valdagni, nasce a Pergine Valsugana il 31 agosto del 1919, a pochi mesi dall’annessione del Trentino all’Italia. Dopo la laurea in Medicina e Chirurgia a Pavia, ottiene a Padova la specializzazione in radiologia e negli anni a seguire lavora presso l'Ospedale San Lorenzo di Borgo Valsugana e nel reparto di radiologia dell’Ospedale Santa Chiara di Trento, operando parallelamente come medico interno nella clinica chirurgica dell'Università di Padova.

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el 1951 gli venne affidata la direzione del reparto di radiologia dell'Ospedale San Lorenzo di Borgo Valsugana, dove il 31 ottobre 1953, giunge il “raggio della speranza”, grazie al sostegno del presidente dell’Ente Comunale, Guido Bertagnolli, e di Serafino Segnana, sindaco di Borgo Valsugana, ma anche all’impegno di alcuni cittadini che firmarono a garanzia del mutuo istituito dall’ospedale per far fronte ai costi del macchinario. La prima Unità di Telecobaltoterapia in Europa, venne acquistata su proposta del giovane medico oncologo che con questo nuovo e avanzato metodo di cura seppe ridare speranza a migliaia di persone affette dal grande male. Borgo Valsugana diviene così un centro d'eccellenza, per un decennio circa l’ospedale valsuganotto si presenta come centro di primaria importanza per l’oncologia a livello internazionale, giungono infatti pazienti anche dall’Africa, per la cura. Soltanto qui e in Canada viene sperimentato il nuovo trattamento con l’isotopo 60 del cobalto. Per la prima volta in Italia viene inserito in una struttura ospedaliera un fisico medico, il dott. Ernesto Casnati; giun-

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gono inoltre a Borgo per osservare e studiare il nuovo macchinario numerosi specialisti, come il professor Angelo Drigo, docente di fisica presso l'Università di Ferrara. Valdagni con grande spirito di dedizione a quella che è divenuta una “missione”, si reca dall’altra parte del mondo per potersi confrontare con i colleghi dell’Ontario. Ma andrà a visitare anche altri importanti centri europei di fisica medica in Inghilterra, Germania e Svezia. Nel 1954, partecipa a un tirocinio presso l'Università di Manchester e nel suo intento di migliorarsi e aggiornarsi il più possibile, partecipa a numerosi corsi presso i più importanti centri di ricerca e cura dei tumori a livello mondiale. Nel 1956 è stato invitato a presentare i suoi studi in una serie di conferenze che si tennero presso gli Istituti di Radioterapia delle Università di Heidelberg e Erlangen. Lo studioso è invitato a nume-

Il professor Valdagni e la “bomba”

Giornale del 1953

Da sinistra: il dott. Cima, il prof. Valdagni e Aldo Voltolini


rosi congressi medici internazionali, e i suoi interventi si confrontano con quelli dei più avanzati centri di ricerca. Nel 1960 il professor Claudio Valdagni, per primo in Italia, avvia una serie di studi volti a testare il trattamento del carcinoma gastrico per mezzo di radiazioni elettromagnetiche gamma del cobalto e sperimenta l'uso della telecobaltoterapia per il trattamento del cancro alla prostata, conseguendo ottimi esiti che espone nel 1964 al convegno mondiale di radiologia e radioterapia di Madrid. Nello stesso anno partecipa all’organizzazione del primo congresso italiano sui rapporti tra fisica e medicina nella pratica clinica che si tenne a Roncegno Terme e che decretò la fondamentale importanza della figura del fisico nello staff di una struttura ospedaliera fornita di unità nucleari. Nel 1966 affronta un viaggio di studio che lo porta a Huston negli Stati Uniti, dove apprende dell’avviamento del progetto di screening di massa, volto a prevenire e a consentire una diagnosi precoce dei tumori mammari, ed è così che nell’autunno dello stesso anno l’iniziativa prende piede anche in Trentino, regione capofila del progetto di prevenzione a livello nazionale. Tra i meriti del dottore della “bomba al cobalto”, si ricordano gli sforzi per la realizzazione del Centro Oncologico di Trento, centro italiano d’eccellenza che prese avvio sotto la sua direzione e l’impegno per l’istituzione della Fondazione Trentina per la Ricerca sui Tumori,

Borgo Valsugana 5 marzo 1954: preparazione di un paziente. divenuta successiva- Suor Eugenia e Dagostin Cesira in Delladio di Daiano (Val di Fiemme) mente Associazione Trentina per la Medicina Genomica. Negli anni dal 1968 al 1980 ha frequentato regolarmente l'Università e il Churchill Hospital di Oxford e. sino al 1988, ha preso parte a numerosi lavori di ricerca portati avanti in diversi istituti oncologici. La sua vita e la sua opera sono stati messi nero su bianco da Monica Ropele che ha curato il volume dal titolo “L’atomica della salute”, sottotitolato “Borgo Valsugana, 1953 – Una storia di primati”, edizioni Angelo Guerini, presentato il 10 ottobre 2008 al teatro di Borgo Valsugana; mentre Stefano Chelodi ha curato per la Provincia AutoBorgo Valsugana 5 marzo 1954: preparazione di un paziente noma di Trento il libro per il trattamento. Il dottor Caumo con Dagostin Cesira “Caccia al Killer – in Delladio di Daiano (Val di Fiemme) Claudio Valdagni e il Trentino nella guerra contro i tumori”, edito nel 2010. Vogliamo infine ricordare i numerosi ri- nel corso della sua vita; tra i più imporconoscimenti accademici e personali tanti riportiamo l'Aquila di San Venceattribuiti al professor Claudio Valdagni slao, la cittadinanza onoraria di Borgo Valsugana ottenuta il 5 dicembre 2008 e la Commenda dell'Ordine al Merito della Repubblica concessa nel 2012 “motu proprio” per meriti scientifici, dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Lo studioso trentino viene inoltre annoverato dalla Società Internazionale della storia della Radiologia (ISHRAD- The International Society for the History of Radiology) tra i pionieri della radiologia e della radioterapia. Dopo aver tanto lottato contro il grande male, il professor Valdagni si è spento lo scorso 26 gennaio, all’età di 96 anni.

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IL F.O.R L

’Associazione The Future of Oncology and Radiotherapy (F.O.R.), come si legge nello statuto, è un ente di diritto privato, senza fine di lucro, a carattere volontario, apolitico e che intende uniformarsi, nello svolgimento della propria attività, ai principi di libertà, democraticità interna della struttura, uguaglianza ed elettività delle cariche associative. Il F.O.R. è nato con lo scopo di : • Recuperare e valorizzazione un tratto di storia di Borgo Valsugana in cui il centro valsuganotto attraverso il proprio ospedale San Lorenzo divenne faro nella lotta ai tumori per oltre un ventennio nell’intera Europa. Altresì l’Associazione attraverso il recupero e la valorizzazione della prima unità di telecobaltoterapia inserita in un piccolo sito museale in cui saranno raccolti anche documenti scritti, audiovisivi e quant’altro attinente questa epopea, vuole rilanciare la cultura dell’impegno per la scienza in funzione del raggiungimento del bene comune; così come con tena-

cia il professore Claudio Valdagni sostenuto ed aiutato dagli Amministratori e dai cittadini di Borgo diede vita ad un’esperienza unica che aprì una nuova era nel trattamento delle neoplasie tumorali. nello steso modo l’Associazione vuole rilanciare il sostegno e l’appoggio ed anche favorire il confronto tra i ricercatori nel campo dell’oncologia organizzando in Borgo Valsugana convegni scientifici e divulgativi sul tema dell’oncologia (in generale) e della radioterapia e biologia molecolare (nello specifico) collegando il tutto ai più innovativi scenari nel campo di questa delicatissima disciplina medica. Questi convegni avranno il titolo di BORGO VALSUGANA F.O.R accompagnati da un “sottotitolo” che li specificheranno per ogni edizione rispetto ad un particolare argomento o fatto scientifico. • Promuovere scambi culturali con altre associazioni aventi oggetto analogo; • Svolgere qualsiasi altra attività, con-

nessa agli scopi istituzionali, che venga ritenuta utile al conseguimento delle finalità associative. • Dare vita al “Museo della Speranza” che vuol essere il ricordo ed il riconoscimento di quanti hanno contribuito a realizzare questa storica impresa e nello stesso tempo l’inizio di un impegno nell’informazione ai cittadini sulla prevenzione e cura dei tumori. Un progetto ambizioso di F.O.R., rivolto alla formazione di giovani laureati, dottorandi e specializzandi, è l’istituzione di una scuola di alta formazione in biologia molecolare oncologica in collaborazione con l’Università di Trento e il CIBIO.

Monica Ropele, Valdagni e Stefano Chelodi

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Il Museo della Speranza L’Associazione Borgo Valsugana Future of Oncology and Radiotherapy, il cui acronimo è F.O.R., nasce nel giugno del 2012 allo scopo di recuperare una fondamentale testimonianza dell’operato dell’ospedale San Lorenzo che si pose all’epoca quale polo di avanguardia nella cura dei tumori.

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’involucro in piombo del macchinario che oggi ha trovato la sua degna collocazione nel Museo della Speranza, ha corso il rischio di essere fuso; fortunatamente questo importante tassello della storia del secondo dopoguerra è stato “recuperato” e posizionato nel parco di Villa Tambosi a Villazzano, quale simbolo dell’utilizzo pacifico e finanche terapeutico della tecnologia nucleare. In occasione del Consiglio Comunale di Borgo Valsugana svoltosi il 7 ottobre 2011, venne approvata all’unanimità una mozione che invocava il recupero dell’involucro di contenimento dell’unità di cobalto-terapia. A questa si aggiunse un ulteriore emendamento, su proposta delle minoranze, che mirò a valorizzarne il rientro dal punto di

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vista didattico e culturale. Un primo passo fatto sotto gli occhi del Presidente del Consiglio Comunale di Borgo, Edoardo Rosso, che l’anno successivo andrà a istituire assieme a nove soci fondatori l’Associazione Borgo Valsugana F.O.R. di cui venne eletto presidente. La realtà associativa ha come presidente onorario il professor Claudio Valdagni e si arricchisce di una sezione scientifica con un apposito comitato presieduto dal professor Umberto Veronesi che si impegna a programmare convegni scientifici e divulgativi. Il 18 febbraio 2012 un’esposizione dal titolo “1953: il cobalto a Borgo”, viene

inaugurata sotto i portici del lungo Brenta alla presenza delle autorità e del prof. Claudio Valdagni. Nel mese di marzo del 2013, l’involucro ha fatto ritorno a Borgo; il dottor Valdagni, assieme ad Aldo Voltolini, Edoardo Rosso


L’inaugurazione del Museo e alcuni volontari, hanno provveduto a sistemare l’involto e hanno ricreato il puntatore. Segue il 30 novembre il primo convegno dal titolo “Dalla Telecobaltoterapia alla Medicina di precisione nella lotta ai tumori”, svoltosi presso l’Auditorium della sede della Comunità di Valle Bassa Valsugana e Tesino in piazza Ceschi. Tra i relatori il professor Alessandro Quattrone, prorettore dell’ateneo di Trento e direttore di Cibio, il dottor Riccardo Valdagni, direttore di Radioterapia presso l’Istituto Nazionale per i Tumori e, per concludere, il dottor Paolo Veronesi, presidente della Fondazione Umberto Veronesi e direttore del Dipartimento di chirurgia senologica presso l’Istituto Europeo per l’Oncologia. Il 9 novembre 2015 presso l'Ospedale San Lorenzo vengono avviati i lavori di costruzione del sito espositivo, il cui progetto è opera dell’ingegnere Luigi Cor-

radello e dell’architetto Marisa Chelodi. Grazie a una convenzione sottoscritta da provincia e Comune che dichiara l’importanza dell’iniziativa, viene suddivisa la spesa di poco più di 100 mila euro, cui si aggiungono i contributi della Comunità di Valle, di Bim Brenta e Cassa Rurale Olle-Samone-Scurelle. Ed è così che, grazie all’impegno di numerosi volontari tra i quali Claudio Valdagni, Edoardo Rosso, Giorgio Caumo,

Stefano Chelodi, Aldo Voltolini, Monica Ropele, Luigi Cima, Marisa Chelodi, Ugo Simonetti, Mario Morandini e Bruno Moratelli, che Borgo Valsugana ha inaugurato il suo Museo della Speranza il 4 giugno 2016. Un ringraziamento particolare: Edoardo Rosso, Giorgio Caumo, alla dottoressa Monica Ropele e a quanti hanno collaborato alla realizzazione di questo servizio

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L’oncologia e la lotta ai tumori UNA STORIA CHE HA INIZIO NELL’ANTICHITÀ

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a prima testimonianza relativa ad un caso di tumore si ritrova sul papiro di Kahun, che risale al 1850 a.C. ; in questo scritto di medicina egizia, viene presentato un caso di cancro all'utero, mentre nel papiro di Ebers, del 1550 a.C. viene evidenziata la situazione di incurabilità di questa patologia. Il concetto viene ribadito anche a cavallo tra V e IV secolo avanti Cristo, dal padre della medicina Ippocrate che vede nella malattia uno squilibrio dei quattro umori. Il medico greco definisce per la prima volta queste conformazioni con il termine carcinoma, che deriva etimologicamente dal greco karkinos che significa granchio, a indicare quella morsa dolorosa che logora i tessuti . Per quanto concerne il trattamento dei tumori esterni Ippocrate suggeriva la cauterizzazione e l’uso di sostanze naturali emollienti, mentre riteneva inopportuno curare i tumori occulti. Prendendo spunto dagli studi di Ippocrate il medico romano Galeno (129201 d.C.), nel secondo libro del “De Naturalibus Facultatibus” sostiene che per ostacolare l’espansione del tumore era necessario impedire che la bile nera andasse a stagnare in un unico tessuto. La malattia, poteva essere curata con apposite diete bilanciate e somministrando veleni; nei casi più gravi si propende per l’asportazione chirurgica; in caso non si potesse operare, l’antidolorifico somministrato è estratto di papavero . Per lungo tempo la teoria degli umori

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venne accettata quale dogma a causa dell' “Ipse dixit”, impedendo lo sviluppo di nuove idee e limitando la ricerca medico-scientifica. Alle soglie del XIV secolo, nel suo trattato “Chirurgie”, il chirurgo francese Henry de Mondeville (1260 – 1320) sostiene che si può guarire dal cancro, solo se questo viene totalmente estirpato. Paracelso (1493 – 1541) è colui che per primo rompe con la teoria umorale di Galeno, sostenendo che i tumori maligni sono causati da un sale, che identifica con il nome di "realgar". Gli studi anatomici di Andrea Vesalio (1514-1564) dimostrano a sua volta

logia: il chirurgo londinese Percival Pott (1714-1788) e il medico tedesco Samuel Thomas Sömmering (17551830). Nel 1775 lo studioso inglese identifica per il cancro scrotale degli spazzacamini un'ipotesi ezio-patogenetica, la cui causa va ricercata nella fuliggine e a vent’anni di distanza, il tedesco associa il cancro del labbro ai danni provocati dal fumo della pipa. Un importante contributo viene dall'anatomopatologo italiano Giovan Battista Morgagni (1682- 1771), che

Battista Morgagni Andrea Vesalio l'inesistenza della bile nera, contribuendo a demolire il dogma galenico. Nonostante l'introduzione del metodo sperimentale ad opera di Galileo, l'oncologia, e la medicina più in generale, hanno ancora molta strada da fare. E’ il Settecento che rivoluziona profondamente la scienza medica, con i suoi due grandi e riconosciuti pionieri dell'onco-

sostiene come ogni malattia abbia una sua specifica sede ed una specifica causa scatenante, mentre il neologismo “metastasi” viene coniato dal chirurgo Joseph Claude Anthelme Récamier (1774 - 1852). La vera e propria svolta si ha nel corso dell'Ottocento per opera del ricercatore Rudolf Virchow (1821-1902), che nella sua Patologia Cellulare sostiene la necessità di studiare la cellula tumorale dal punto


zionale per lo studio e la cura del cancro, Vittorio Emanuele III, elabora la teoria che sostiene l'ereditarietà e la predisposizione alla malattia neoplastica; e il suo successore, Pietro Rondoni (1882–1956), è tra i primi a intuire il legame esistente tra tumori e genetica. I suoi studi gli consentono di conciliare le precedenti tesi virali ed ambientali, in una visione di cancro come "errore di riproduzione cellulare" che può essere provocato da fattori

mori. Agli inizi del ‘900, il premio Nobel per la medicina 1908, il tedesco Paul Ehrlich (1854 -1915), scopre la chemioterapia, mentre nel 1946 A. Gilman e F. S. Philips scoprono l'effetto curante delle azotipriti, che riescono ad inibire e contrastare la crescita della neoplasia. Per quanto concerne l'oncologia chirurgica, ricordiamo Harvey Cushing (1869 -1939) neurochirurgo cui va riconosciuto il merito di aver saputo

Wilhelm Conrad Rontgen :

di vista istologico e fisiologico per poter risalire all’originaria causa della malattia. I moti del ’48 portano in Italia ad uno scontro tra opposte fazioni: “virchowiani” e “anti-virchowiani, che consente per mezzo delle critiche mosse dai due schieramenti di scoprire il fondamentale ruolo del metodo scientifico fondato sulla sperimentazione. Nel 1877 il fisiopatologo Wilhelm Waldeyer (1836-1921) formula l'assioma “il cancro trae sempre origine dall'epitelio”, teoria presto smentita dal dottore italiano Vincenzo Brigidi che dimostra che l'origine del carcinoma non è unicamente epiteliale, ma anche connettivale. Nel 1911 il microbiologo statunitense Peyton Rous (1879–1970), riuscì a provare che il sarcoma dei polli poteva es-

Harvey Cushing

Peyton Rous sere generato con l'iniezione di un agente submicoscropico, Gaetano Fichera detto virus del sarcoma di Rous, è così che si rivela il legame esistente tra virus e cancro. Gaetano Fichera (18801935) primo direttore dell’Istituto Na-

esterni all'organismo quali appunto i virus. Nel 1895, con la scoperta dei raggi X da parte di Wilhelm Conrad Röntgen, nasce la radioterapia, cui segue la scoperta del radio da parte dei coniugi Curie nel 1898, che viene a sua volta utilizzato per curare alcuni tu-

Paul Ehrlich

migliorare l'emostasi, abbassando drasticamente la percentuale di decessi operatori, grazie alla sua precisione e alla capacità di osservare innanzitutto il malato. Nel corso del XX secolo avviene la svolta epidemiologica, ossia l'aumento esponenziale delle malattie metabolico–degenerative, rispetto a quelle infettive che vanno scomparendo; i primi imputati sono i cosiddetti fattori di rischio cioè gli stili di vita ed i condizionamenti ambientali e socio-economici. A partire dagli anni ‘50 la prevenzione, messa in atto attraverso gli screening di massa, è divenuta una grande alleata nella lotta contro il cancro; ma resta il fatto che per poter prevenire l'insorgenza di tumori è necessario mantenere uno stile di vita quanto più possibile sano ed equilibrato.

Quale riferimento è stata utilizzata la voce “Oncologia” di Wikipedia, l'enciclopedia libera on-line.

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NOMADE CON RADICI, UNA MOSTRA A SCURELLE PER RICORDARE AUGUSTO DAOLIO

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l legame dura da vent’anni. Esattamente dal settembre del 1996 quando, in Val Campelle, venne inaugurato il sentiero dei Nomadi. Intitolato alla memoria di Augusto Daolio e Dante Pergreffi, due musicisti del gruppo scomparsi nel primi anni ’90. Una ricorrenza che è stata ricordata, nelle scorse settimane, in paese con una mostra “Nomade con radici” dei dipinti di Daolio. Con una passeggiata e, domenica sera, con un concerto “Cammina, cammina..” nello spazio antistante il Centro Toniolatti alla presenza di Rosanna Fantuzzi, moglie di Augusto Daolio, e della voce di Vittorio Bonetti che ha accompagnato la serata con il pianoforte. Non è stato solo uno spettacolo ma un

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viaggio nelle canzoni, negli scritti, nelle immagini e nella voglia di comunicare di Augusto Daolio. Guidati dalla voce, dal piano e dal cuore di Vittorio Bonetti e dai racconti della moglie dove c’è

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sempre quel grande amore per l’arte, la storia. E dove si trova sempre la presenza di Augusto, del suo uomo. L’idea del sentiero, così come è stato ricordato, era nata da Gianni Rossi, assiduo frequentatore della zona con l’intento di recuperare una antica traccia richiamandosi ai temi legati alla natura, un elemento tanto caro all’indimenticata voce dei Nomadi. Natura sempre presente anche quando dipingeva, la sua seconda passione, dopo la musica. Da allora centinaia di escursionisti hanno percorso quel sentiero che, partendo dal Rifugio Carlettini, attraverso un fitto bosco di abeti e larici, conduce ad uno degli angoli più caratteristici, incantevoli e di straordi-

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 di Alessandro Dalledonne


naria bellezza dell’intero Lagorai: il lago di Nàssare ed i laghi della Val dell’Inferno. Luoghi che, ieri come oggi, con la loro natura selvaggia rappresentano un perfetto connubio con ciò che rappresentano e trasmettono le opere di Augusto Daolio. Per una settimana le sue opere, per la prima volta, sono state esposte al Centro Polifunzionale, evento realizzato dal comune in collaborazione con l’Associazione Augusto per la Vita. Come ricorda Rosanna Fantuzzi “Augusto non se ne è mai andato dal Trentino. Qui è tra la gente che già dai suoi primi passi musicali lo ha sempre amato e sostenuto. Le sue opere raccontano di mondi popolati da maestosi alberi sradicati, cavalli – manichini e da persone in silenziosa attesa di un evento imminente. Lui ha messo sulla tela e sulla carta i sogni, le inquietudini, le pulsioni più intime e segrete del cuore e della mente”. L’Associazione a lui dedicata è stata fondata subito dopo la sua scomparsa. Una manifestazione di affetto con un fine importante. “Nel nome di Augusto – conclude la moglie – sono state consegnate oltre 50 borse di studio per la ricerca oncologica che hanno portato a risultati entusiasmanti”. Per l’occasione sono arrivati anche tanti compaesani di Augusto Daolio che, grazie al Cai di Novellara, hanno partecipato domenica mattina all’escursione sul sentiero “Augusto e Dante” in Val Campelle.

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DON DANIELE, nuovo parroco C

'è l'ordinazione di don Daniel sul canale 601 del Digitale Terrestre». «Che filodrammatica è?». Questo scambio di battute è avvenuto su di un Social a opera di due amici dei quali non rivelerò l'identità, nemmeno sotto tortura. Lo riporto anche se terribilmente caustico, perché è uno spaccato attendibile della realtà “culturale” nella quale don Daniel Romagnuolo, 28 anni di Levico, si è così generosamente buttato, accompagnato dalle parole di Gesù, nel Vangelo della sua prima messa, «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà». «Finché c'è speranza, cè vita», ha detto don Lauro, cioè S. E. mons. Lauro Tisi, Arcivescovo di Trento, ma che per i levicensi sarà sempre a buon diritto “don Lauro”, nell'omelia della messa di ordinazione di Daniel, Massimiliano Detassis, 31 anni, e Francesco Grassi, 29, entrambi della parrocchia del Duomo di Trento, avvenuta sabato 18 giugno in cattedrale. Parole che rimarranno scolpite nel cuore non solo dei novelli sacerdoti, ma anche di tutti i valsuganotti presenti che in ogni modo hanno potuto ascoltarle. Per esemplificare la speranza, «che non è tanto guardare al futuro – ha detto il presule – ma all'ori-

gine, guardando a quanto siamo stati amati», don Lauro ha citato la testimonianza di una giovane sposa che al funerale del marito, mentre era in attesa imminente della nascita di sua figlia, ha saputo dire, «Quando mi parlate, ma anche quando ci pensate per conto vostro, vi chiedo di non essere arrabbiati con Dio o dire che questa è una tragedia. Le tragedie si fanno a Teatro, questa è la vita e la vita può essere dura, ma è meravigliosa. Sempre e comunque». Un fatto ancora fresco, ma che non si cancellerà facilmente dalla memoria dei valsuganotti, essendo lei, Lorena, di Telve Valsugana, e che don Lauro ha giustamente voluto ricordare come esempio esplicito di speranza cristiana, addirittura “gridato” alle orecchie di coloro che vanno «mendicando speranza». «Se non sono segni della presenza dello Spirito questi?». Segni che insistono a farci giocare una scommessa sulla Speranza, pur guardandoli nella loro semplicità e anche povertà, mettendosi però nell'ottica dell'evangelico “granello di senape”, leggendo come il giovane levicense sia cresciuto in parrocchia, prima da chierichetto, poi frequentando i campeggi parrocchiali e i Grest come animatore. Dopo due anni e più d'intrapresa carriera militare, la decisione di entrare in seminario non gli ha fatto smettere la sua ricerca inte-

riore, anzi, per un lungo periodo scelse di fare un'esperienza di missione in Brasile dalla quale è ritornato per dedicarsi alla cura pastorale dei carcerati, qui nella sua terra dove è finalmente maturata la sua scelta di vita. Ora don Daniel è stato assegnato alla parrocchia della Sacra Famiglia a Rovereto. Chiamato a portare speranza lontano dalla nostra Levico, ma in qualche modo responsabilizzando tutti noi a coltivare ancora questa speranza perché cresca e si moltiplichi. (F.Z)

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IL FEMMINICIDIO La mistificazione di un sentimento

 di Patrizia Rapposelli

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oma delitto della Magliana. Vincenzo Paduano, ex fidanzato della giovane 22enne Sara Di Pietrantonio, attua una vendetta estrema nella prima mattina di domenica 29 maggio. Al rientro imminente a casa di Sara nelle prime luci dell’alba, l’uomo speronando l’auto della ragazza dà il via ad un piano premeditato: la donna viene strangolata, una volta morta, il liquido infiammabile annulla ogni parte della sua esistenza. Un altro nome si aggiunge alla lista delle vittime di femminicidio; l’ennesimo epilogo della tragica morte di una donna, il cui uomo non si rassegna all’essere lasciato: perseguitata, umiliata, annullata. Il caso di Sara non è altro che una storia che nell’indifferenza si mischia ad altri racconti drammatici, dove 1 donna ogni 3 giorni è vittima di una realtà distorta di dominio e controllo, di un’onnipotenza maschile e culturale. Si parla di stato di emergenza, in quanto le cronache parlano chiaro nel riportare i dati di morte per mano di violenza maschile, per l’appunto una donna ogni due o tre giorni; sotto il profilo mediatico se ne discute maggiormente, ma ci si deve rendere conto che tale dato è strutturale (ci accompagna da ormai 25

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anni). Quando una relazione affettiva è mera mistificazione di un potere assoluto di vita e di morte, il sentimento e la donna sono lo sfondo di uno scenario patologico: parliamo di femminicidio. Negli anni novanta maturò generalmente il bisogno di coniare un termine nuovo che identificasse una specifica classe di delitti, ovvero basati sul genere, definendo la categoria criminologica del delitto perpetrato contro una donna perché donna. Daiana Russel, scrittrice femminista, è la prima a parlare di omicidi “della donna in quanto donna”, omicidi di genere le cui storie sono tragicamente sempre le stesse. Ogni caso mette in luce una scenografia e un copione simile un all’altro: una coppia legata da una relazione intima, una violenza pregressa dell’uomo contro la donna e la morte feroce quando il partner maschio viene lasciato. Interpretare e discutere di tale fenomeno sociale richiede cautela e un’attenta riflessione, considerando la problematica da più prospettive; la componente bio-psicologica deve incontrarsi con altre scienze umane, dove ognuna aggiungendo un tassello

di comprensione non basta comunque ad esaurirne la complessità. Cosa accade in questi uomini disturbati nel non rassegnarsi all’abbandono? Come per ogni situazione patologica, si deve partire dal presupposto che ogni caso è a sé, ovvero più fattori si sommano nella storia di vita di un soggetto; da qui l’esaminare una componente psicologica e una sociologica. Un’educazione sentimentale mancata, una società post-moderna che l’evoluzionista Chirot racchiude nei tratti tipici dell’individualismo, della differenziazione e della razionalità, comportano un legame strumentale d’interesse tipico della società moderna, portatrice di egoismo e


narcisismo. Sembra chiara la situazione che ne consegue: crisi d’identità, incertezze, disfunzione nel comportamento umano e sociale. Il sentimento della fragilità non può che accompagnare il progresso della società moderna. Se definiamo tali concetti, osserviamo che per egoismo intendiamo un insieme di atteggiamenti e comportamenti finalizzati al conseguimento del proprio interesse, fino a danneggiare o limitare gli interessi di alter; mentre il narcisismo, tralasciando la vastità di significato, potremmo racchiuderlo nell’idea di una concentrazione su sé stessi negli scambi interpersonali, una mancanza di consapevolezza psicologica, una difficoltà all’empatia, una problematicità nel distinguere sé stessi dagli altri. Definiti tali concetti che siamo soliti attribuire al

tratto caratteriale di un individuo, mi soffermerei a pensare che nell’epoca moderna egoismo e narcisismo, come sostenuto dalla dottoressa Vera Slepoj, sono divenuti un tratto e allo stesso tempo un problema culturale; ne consegue una modifica delle relazioni umane. In menti fragili e patologiche pensiamo agli effetti del condizionamento sociale. Nel femminicidio l’uomo vede la donna come una sorta di proprietà privata e come tale percepisce in lei un dominio e un controllo assoluto; in una sorta di potere assoluto di vita e di morte non è accettabile che la Sua donna si prenda la libertà di decidere cosa fare della propria vita: sottrarsi alla sfera del dominio non è ammissibile. In tali soggetti disturbati, umiliati nella loro virilità e minacciati nel proprio io, il delitto è l’unica via possibile al non rassegnarsi all’abbandono. Non basta l’omicidio, la Sua donna non deve esistere più, non deve essere disponibilità di nessuno; rotto il legame con lei, non deve esserci più traccia della sua esistenza. “Smetti di impazzire, e ciò che vedi esser perso consideralo perduto.” Catullo

Nel 2016 uccise 62 donne "Telefono Rosa" denuncia altresì quasi 9.000 casi di violenza e altri mille di stalking: l Associazione chiede al Governo misure di contrasto rapide ed efficienti, poiché le attuali "non bastano". Oltre al femminicidio, sempre secondo i dati di Telefono Rosa, esistono ragazze, madri e figlie che nel silenzio subiscono soprusi: secondo i dati di Telefono Rosa, almeno 8.856 donne sono state vittime di violenza e 1.261 di stalking. Si stima, inoltre, che il 90% delle donne non denuncia tali atti di sopraffazione. Dall'inizio del 2016 alla fine di giugno, secondo gli ultimi dati, 62 donne sono state uccise in Italia. Sono questi i numeri allarmanti sul tema del femminicidio. Omicidi che per circa 80% dei casi avvengono tra le mura domestiche e oltre la metà tra coppie di età compresa tra 24/55 anni. E questa “tragedia” non accenna a diminuire perché da almeno dieci anni i femminicidi sono in costante aumento. Analizzando i dati dell’ultimo decennio, le donne uccise sono 1740: 1251 all’interno della famiglia, 846 per mano di un fidanzato e 224 assassinate da un ex. Nel 40,9% dei casi, a causare l’assassino è il movente passionale e nel 21,6% l’omicida ha agito dopo una lite o per un dissapore. E questi “mostri” per concretizzare il loro efferato scopo hanno utilizzato nel 32,5% un’arma da taglio, nel 30,1% hanno dato fuoco alla vittima, nel 12,2% hanno fatto uso di “armi improprie” e il 15% ha strangolato o soffocato la vittima . I numeri ci dicono anche che spesso all’omicidio della donna segue il suicidio del killer (31,3% dei femminicidi l’assassino si è poi tolto la vita, nel 9% ci ha provato senza riuscirci) Ci sono, poi, le violenze e le aggressioni subite dalla vittima prima di essere uccisa: verificatesi nel 16,7% dei casi, ma solo l’8,7% delle quali denunciate alle forze dell’ordine.

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Cosa penso

me?

di

Come migliorare l'autostima

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utti noi abbiamo sentito parlare di autostima ma, se ci pensate risulta complesso definirla con chiarezza. L'obiettivo del presente articolo è proprio questo: dare una definizione e vedere che cosa comporta nella vita di tutti i giorni avere oppure no una buona stima di sè. L'autostima corrisponde a quello che ognuno di noi pensa di se stesso, del suo modo di vivere e le aspettative che ha su di sé nell'affrontare i vari eventi della quotidianità; insomma è una stima o un’autovalutazione. A tutti capita di metterla in discussione qualche volta, ma se invece risulta essere un comportamento costante, forse bisogna chiedersi come mai e che cosa si possa fare per cambiare la situazione. Aver rispetto per sè stessi, per i propri bisogni, per i sentimenti e in generale di tutto quello che proviamo, è importante, anche per entrare in un rapporto costruttivo e corretto con gli altri. Essendo l'autostima un'autovalutazione di sè, è facilmente intuibile che risulta essere influenzata dalla

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visione soggettiva che una persona ha verso se stessa.  di Erica Zanghellini Nello stesso tempo però, lascia spazio all'essere messa in discussione per poi evenlità. Riuscire a non mettere in discustualmente subire delle modifiche. Per migliorarla occorre liberarsi da que- sione la propria importanza, anche nelgli schemi mentali negativi e disfunzio- l'area della socialità, difronte a nali che ci limitano. Gli schemi cognitivi momenti faticosi o negativi della vita é disfunzionali, altro non sono che le in- importante per uscirne vincitori. terpretazioni distorte su di sè, sugli altri Avere una bassa autostima significa e relative al mondo, nonché riguardanti condizionare profondamente le relale relazioni. La prima cosa da fare zioni personali, creando una barriera quindi, sarà individuare i pensieri che tra noi e l'amore. Per stare bene con compongono gli schemi e successiva- qualcuno come prima cosa è necessamente metterli in discussioni per di- rio stare bene con se stessi, ecco il mosfarsi di tutti quei pensieri automatici, tivo per il quale l'autostima in ambito che negli anni hanno influenzato il ri- amoroso non va sottovalutata. Avere una stima positiva di sè, permette di sultato delle nostre valutazioni. creare sicurezza e fiducia come sottoPerchè è importante avere una fondo al rapporto, mentre una bassa autostima può condurre all'emergere buona autostima? Avere autostima vuol dire star bene con di emozioni negative. Da tenere sotto sè stessi, senza essere presuntuosi, ma controllo soprattutto, la paura di perriuscendo ad aver fiducia nelle proprie dere il proprio partner. Questo timore, qualità. Risulta inoltre essere un fattore se l'intensità è importante, potrebbe protettivo rispetto al tradursi con comportamenti di acconsuperamento e l'ela- discendenza/annullamento di sè nel borazione di even- rapporto, oppure comportamenti di tuali avvenimenti gelosia anche eccessivi che hanno l'efavversi. Se ci fer- fetto indesiderato di mettere in fuga remiamo un attimo e almente il partner. riflettiamo, avere In generale, anche al di fuori dell'amuna buona stima di bito amoroso, le persone con bassa ausè risulta fondamen- tostima tendenzialmente non si tale per non titubare sentono sufficientemente sicuri del loro di noi stessi nelle valore e delle loro qualità. Questo può più disparate situa- concretizzarsi a livello comportamenzioni e di conse- tale con evitamenti oppure difficoltà guenza, vuol dire nel prendere decisioni o ancora sisteriuscire anche a maticamente procrastinare l'esecureggere il peso zione delle scelte fatte per paura di delle responsabi- sbagliare. Se si deve elaborare una si-


tuazione di fallimento le persone con una stima bassa di sè attribuiranno questa esperienza negativa alle loro diffettose o precarie abilità che credono di avere, mentre un successo verrà svalutato o sminuito oppure attribuito a cause esterne, come per esempio la fortuna.

Dobbiamo cercare di concepire che l'autostima è modificabile e soprattutto tener presente che può subire variazioni anche asseconda del periodo della nostra vita. Il problema quindi, dobbiamo porcelo non su momenti in cui risulta essere instabile, ma quando la situazione diventa granitica. Dobbiamo evitare che l'immagine di sè diventi negativa e che si stabilizzi. Ricordiamo che spesso chi soffre di bassa autostima può vivere veri e propri momenti in cui sperimenta perdita di controllo dei propri stati d'animo, mancanza di

forza, stati ansiosi e il non riuscire a portare a termine gli obiettivi prescelti.

Cosa possiamo fare tutti per migliorarla ? I punti fondamentali su cui lavorare per guadagnarsi un miglioramento della propria autostima sono: • diventare consapevole dei propri punti di forza e cercare di sfruttarli al meglio; • cercare di accettare anche i lati che non ci piacciono di noi e gestirli in maniera diversa a quanto fatto fin'ora; • rivedere eventuali aspettative irrealistiche e perfezionistiche su di noi, sugli altri o sul mondo; • cominciare a rispettare i propri bisogni; • darsi piccoli obiettivi di miglioramento e perseguirli fino in fondo.

Dott.ssa Erica Zanghellini, Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento - Tel. 3884828675

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In autunno prende via il progetto di assistenza domiciliare

 di Armando Munao’

L'ASPS Borgo Valsugana gioca d'anticipo

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utto nasce da un documento di sintesi a cura di Giovanni Fosti e Agnese Pirazzoli dell’Università Bocconi di Milano, realizzato nel maggio scorso, dove sono state tracciate le linee di un percorso formativo a supporto del ridisegno dell’assetto istituzionale delle Apsp avviato dalla Provincia di Trento. Lo studio ha messo in luce la necessità di favorire l’istituzione di servizi innovativi, come per esempio counselling per le famiglie, corsi di formazione per le badanti, tempi e spazi per la riconnessione delle reti fra anziani e loro famiglie e, cosa più importante, la necessità di incentivare l’imprenditorialità delle

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Oramai è un dato di fatto: l'ASPS di Borgo Valsugana, con in testa il presidente Mario Dalsasso e la dott.ssa Anna Corradini, direttrice, sempre di più si sta dimostrando una struttura di dinamica come non mai: Ed è proprio l'ultima iniziativa messa in essere che conferma il mio scrivere. E' di questi giorni, infatti, la concretizzazione del progetto “ ProntoSerenità” che prenderà il via in autunno e che, di fatto, concretizza una vera assistenza domiciliare. Apsp avviando delle esperienze innovative mirate al superamento delle obiettive difficoltà determinate da problemi legati a ogni forma di assistenza e quindi favorire il processo d’innovazione garantendo equità di trattamento dei cittadini, sia nell’accesso sia nell’erogazione dei servizi, anche quelli domiciliari. In quest’ottica, il Consiglio di Amministrazione dell’A.P.S.P. “S. Lorenzo e S. Maria della Misericordia” di Borgo Valsugana ha approvato l’adesione al Progetto “ProntoSerenità”, proposto dalla cooperativa Vales, che permetterebbe all’Apsp di Borgo di sperimentare per prima questa strada. I servizi di assistenza

privata erogati tramite “ProntoSerenità” intendono essere uno strumento che consenta alle famiglie di affrontare, a fronte di risorse pubbliche in continua diminuzione, il bisogno di assistenza, sempre crescente, di una popolazione che invecchia. A soluzione di tali problematiche “ProntoSerenità” mette a disposizione dell’anziano e delle famiglie la figura del “Case Manager”, ossia una persona qualificata che riceve le richieste di assistenza dell’utente, lo supporta nell’individuazione dei servizi più consoni alle sue esigenze e rimane a disposizione per seguire l’evolversi dei bisogni e per indirizzare l’anziano o i propri familiari verso il servizio più idoneo alle esigenze e ai bisogni socio-assistenziali nel rispetto di un rapporto qualità/prezzo il più vantaggioso possibile e caratterizzato della specifica e alta competenza di assistenti, fisioterapisti, infermieri ecc.


Una collaborazione e una sinergia d’intenti, quella tra APSP e Vales, ha voluto sottolineare Mario Dalsasso, che si concretizza in una visione globale che pone l’anziano al centro della nostra attenzione e che permette l’erogazione di numerosi servizi, in forma privata e personalizzata, opportunamente studiati attraverso una reale e proficua interpretazione e studio dei bisogni dell’anziano. Un progetto, questo, ha continuato, che di fatto pone la nostra struttura all’avanguardia in quelli che sono le ottimali soluzioni che interessano e coinvolgono gli anziani”. “Da parte sua la dott.ssa Anna Corradini ha evidenziato come, per la prima volta, con questo progetto, si concretizza, di fatto, una reale collaborazione tra pubblico e privata che ha come meta e obiettivo finale il soddisfacimento di giornalieri bisogni. Il tutto potrà anche avvenire con la sperimentazione e verifica più appropriata di nuovi e funzionali servizi. Nostro preciso intento, ha conti-

nuato la direttrice APSP, è quello di garantire una reta integrata di operatori basata sulla qualità, conoscenza e professionalità degli stessi affinchè possano avere un preciso punto di riferimento, prima, e d’azione dopo”. Un progetto di assistenza domiciliare che di fatto, grazie a questa sinergia tra APSP e Vales, permette di mantenere nel proprio ambiente di vita, la quotidianità dell’anziano anche se non è più del tutto autosufficiente, perché gli operatori, per evitare o ritardare l’ingresso in struttura, si pongono al fianco delle persone all’interno delle loro abitazioni

la settimana (festivi compresi). E, cosa molto importante, ha ribadito Paolo Fellin nel suo intervento, i servizi erogati dalla Cooperativa Sociale Vales, non si mettono in concorrenza con quelli erogati dall’A.P.S.P. di Borgo Valsugana, ma vanno a coprire quell’area di fabbisogni, purtroppo, non sembra garantita dal sistema pubblico. Nostro intento, ha continuato, sarà quello di capire e comprendere quali le necessità del singolo per poter operare in suo aiuto con un piano personalizzato e costante”. A questo punto la domanda spontanea è: come si concretizza questa iniziativa e come funziona il servizio e l’ assistenza? “Dapprima, sottolinea la dott.ssa Federica Nardin, è necessario contattare

svolgendo attività tipicamente socio-assistenziali quali la cura e l’aiuto nell’igiene personale, nel governo della casa, nella gestione degli indumenti, nella preparazione dei pasti, nelle uscite in passeggiata e/o piccole commissioni, nella socializzazione. La presenza degli assistenti domiciliari può essere quotidiana, anche con più accessi giornalieri, e per tutta

la casa di riposo per avere un appuntamento conoscitivo e informativo, di poi, attraverso l’acquisto di una “Smart Card” si garantiscono all’utente, oltre ad altri servizi aggiuntivi (l’accesso alla parte riservata del portale www.prontoserenita.net, una newsletter mensile con informazioni utili sui servizi, sul territorio e sulle normative, prestazioni di mutualità integrativa per il singolo utente e estendibili al nucleo familiare, l’accesso al catalogo dei servizi a condizioni privilegiate), la presa in carico e la consulenza professionale”.

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I profughi di Castelnuovo

 di Alessandro Dalledonne

Un piccolo volume di settanta pagine per raccontare la storia dei profughi di Castelnuovo che, dal 1916 al 1919, furono ospitati nella piccola cittadina laziale di Carpineto Romano. In queste settimane è entrato in tutte le case del paese, voluto dalle due amministrazioni comunale con il patrocinio della Presidenza del Consiglio Regionale. E’ stato scritto a tre mani: Ornella Stenico, Nicoletta Macali e Stefano Gelsomini, frutto di una ricerca storica che ha coinvolto gli alunni delle scuole trentine e laziali.

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Carpineto Romano Elena Demonte era arrivata nel 1916. Aveva tre anni. Con altri 93 profughi di Castelnuovo ha vissuto nella piccola cittadina laziale. Fino al 1919, quando è rientrata a casa. Oggi ha 103 anni. C’è anche la sua storia nel volume “Cetto, chisti so comme nnu.”. Da Castelnuovo era partita all’età di tre anni, con il carro. Poi, da Ospedaletto con il treno. “A Carpineto siamo stati accolti all’interno di un teatro e le lenzuola appese facevano da divisione tra una famiglia e l’altra. Noi bambini giocavamo alla settimana, disegnavamo per terra lanciando un sasso e saltando su una gamba dentro i quadrati. Ricordo che mio papà aveva organizzato una specie di asilo per tutti i bambini e, assieme a tanti altri, insegnava a quelli di Carpineto ad andare nel bosco a fare la legna”. Molti i documenti recuperati, un lavoro di

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equipè tra la scuola primaria paritaria e l’Istituto Comprensivo Leone XII di Carpineto e le scuole elementari di Castelnuovo dell’Istituto Comprensivo Centro Valsugana. Nelle scorse settimana una trentina di studenti laziali sono arrivati in Valsugana, accolti in teatro dal sindaco Ivano Lorenzin. Alla stesura dei testi ha collaborato anche l’Università di Trento ed il professore Francesco Frizzera. “Nel libro abbiamo inserito solo il 10% di quanto abbiamo tro-

vato – ha sottolineato il professore Stefano Gelsomini – ed i due comuni stanno pensando di attivare una borsa di studio per chi volesse utilizzare il resto del materiale per farne una tesi di laurea”. A fare gli onori di casa il sindaco di Castelnuovo Ivano Lorenzin, al suo fianco il collega di Carpineto Romano Marco Battisti arrivato in Valsugana con l’assessore Gioia di Clemente ed il segretario comunale Pasquale Loffredo. “Un secolo fa i nostri avi furono accolti come fratelli, ora siamo riusciti a recuperare questa storia – ha ricordato Lorenzin – e ricostruire un legame. Per noi questo è solo il punto di partenza”. Appello accolto da Marco Battisti che ha auspicato l’attivazione di scambi, non solo scolastici, ma anche culturali e sociali. Alla scuola di Castelnuovo la delegazione laziale ha consegnato tre pannelli. E’ la mostra “Vettura profughi pronta” che riproduce lettere e cartoline olografe scritte dai profughi trentini durante il loro soggiorno a Carpineto. Dal 1916 al 1919 a Carpineto arrivarono 90 profughi da Castelnuovo. Molti di loro, prima di approdare nel Lazio, vissero anche a Potenza e nei pressi di Reggio Calabria. “Di questi solo otto non tornarono a casa e nel volume – ha ricordato

Elena Demonte tra Matteo Battisti (a sx) e il sindaco di Castelnuovo Ivano Lorenzin


Gelsomini – abbiamo pubblicato lettere in cui raccontano come vivono, cosa mangiano e di cosa avevano bisogno. Oggi a Carpineto c’è ancora un ponte di ferro che unisce due quartieri. L’hanno costruito i vostri avi, guidati dal capomastro Luigi Demonte”. Quel capomastro era il papà di Elena. Con altri trentini, in quegli anni, hanno messo in piedi anche una piccola ferrovia a Potenza. A Carpineto Romano Elena Demonte era arrivata con papà Luigi, mamma Carolina Lorenzin e quattro sorelle. Nella piccola cittadina laziale, purtroppo, sono decedute la mamma ed una sorella in tenera età. “A quel tempo la gente si ammalava facilmente e moriva di tifo e di diarrea. Per curare davano solo il sale e l’olio. Quando siamo ritornati in Valsugana, Castelnuovo era

Il sindaco di Carpineto Matteo Battisti (a sx) e il sindaco di Castelnuovo Ivano Lorenzin distrutta – prosegue Elena Demonte – ma la nostra casa era abitabile”. In occasione della loro visita a Castelnuovo, gli studenti ed i professori hanno visitato anche la baita

comunale in località Civerone, qui hanno consumato un pasto visitando anche il piccolo cimitero, rendendo omaggio ai caduti della Prima Guerra Mondiale.

Ecco tutti i nomi dei profughi di Castelnuovo ospitati a Carpineto Romano: Elena Andriolo, Angelo Bombasaro, Anna Bombasaro, Costantina Bombasaro, Emilia Bombasaro, Giustina Bombasaro, Maria Bombasaro, Eletta Brendolise, Ermano Brendolise, Ester Brendolise, Giacomo Brendolise, Giulia Brendolise, Giuseppe Brendolise, Iginio Brendolise, Leonardo Brendolise, Lina Brendolise, Maria Brendolise, Mario Brendolise, Raimonda Brendolise, Guido Brusamolin, Ilario Brusamolin, Natale Brusamolin, Pia Brusamolin, Rosa Campestrin in Lorenzin, Adelinda Dallebaste, Antonia Dallebaste, Emilia Dallebaste, Giuseppe Dallebaste, Maria Dallebaste (con tre figli), Elvira Debortoli, Luigi Debortoli, Maria Debortoli, Maria Luigia Debortoli, Valentino Debortoli, Albina Demonte, Anna Demonte, Augusta Demonte, Elena Demonte, Giovanna Demonte, Luigi Demonte, Luigia Demonte, Margherita Anna Demonte, Maria Demonte, Marietta Demonte, Agnese Denicolò, Albina Denicolò, Antonio fu Battista Denicolò, Antonio fu Mosè Denicolò, Cirillo Denicolò, Catterina Denicolò, Emilio Denicolò, Ernesta Elisa Denicolò, Ernesto Remo Denicolò, Giuseppina Denicolò, Olimpia Denicolò in Lorenzin, Irma Denicolò, Luigia Paola Denicolò, Maria Denicolò, Paola Maria Denicolò, Rino Denicolò, Teresa Denicolò, Giuseppina Faisingher, Teresa Faisingher, Anna Lorenzin, Anna Lorenzin vedova Wolf, Antonio Lorenzin, Carlotta Lorenzin, Elio Lorenzin, Elmira Lorenzin, Giuseppe Lorenzin, Giuseppina Lorenzin, Ines Lorenzin, Luigi Lorenzin, Maria Iola Lorenzin, Rosa Lorenzin, Susanna Lorenzin, Teresa Lorenzin, Teresa Rosa Lorenzin, Ugo Lorenzin, Domenica Perozzo, Paola Riccabona, Daria Roat, Ida Roat, Luigia Bianca Roat, Pia Roat, Emilio Roatt, Elisa Sartori, Elena Il soldato Giacomo Brendolise Maddalena Tiso, Maria Tiso, Pietro Tiso e Giovanni Troian.

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GIOVANIeSPORT ” POTRESTI PENSARE DI NON FARCELA…”

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ierre de Coubertin, pedagogista e storico francese, conosciuto per essere stato il fondatore dei moderni Giochi olimpici scriveva:” Lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerla.” Coubertin sembra esplicare al meglio la valenza pedagogica della pratica sportiva. Infatti lo sport, dietro la facciata semplicistica di passatempo e benessere psico-fisico, cela una componente fondamentale per ogni uomo: sport come viaggio educativo. Da bambino a giovane adulto, da adulto ad un maggior stato di maturazione personale. Concentrerei l’attenzione di tale aspetto soprattutto nell’età giovanile ed in questa prospettiva racchiuderei il concetto di educazione nel principio della formazione e della socializza-

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 di Patrizia Rapposelli

zione. Vediamo nell’ottica della formazione una maturazione caratteriale che mira all’autostima e ad un potenziamento del proprio io, oltre alla funzione motoria, dalla quale deriva sia un benessere di salute, sia una conoscenza maggiore della propria fisicità. Invece nello sfondo della socializzazione, inteso come insieme delle interazioni sociali nel corso delle quali un individuo apprende e sviluppa le conoscenze e competenze, si ha la trasmissione e l’interiorizzazione delle informazioni sulla realtà e l’immaginario sociale (valori, norme, aspettative e credenze.). Se nella prima infanzia agente socializzante per eccellenza è la famiglia, in una fase successiva si parla

di socializzazione secondaria, la quale si ha ogni volta che un soggetto entra in contatto con nuovi contesti del mondo oggettivo. Pensiamo quindi all’importanza che assume una rete di in-

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un attimo dopo fragili ed insicuri. L’età tipica in cui la forte modificazione di sé comporta una naturale confusione identitaria e di perdita di punti di riferimento certi. Proprio in questo contesto di forte fragilità inseriamo la valenza sportiva sul piano educativo: cosa può offrire uno sport ad un giovane che nel buio delle sue incertezze è reso debole?” Un supporto emozionale, che Barone Pierre de Coubertin vada a ricompensare gli sforzi del ragazzo nella prestazione, come premio o nella perdita come creterazione sociale extra-famigliare quale scita esperienziale; come sistema vicapuò essere un’associazione sportiva nell’età critica. L’adolescenza essendo rio, nell’eventualità di situazioni una fase di vita caratterizzata da pro- famigliari particolari, di valori, norme e fondi cambiamenti di tipo fisico, emo- credenze cui ispirare il proprio comporzionale e comportamentale, porta tamento. Ruolo decisivo lo ha la figura comunemente a degli effetti tipici, dell’allenatore che come tale riveste la quali la tendenza all’indipendenza e a posizione di educatore, organizzatore trascorrere molto tempo con i coetanei. e leader, sia nell’effettiva opera di perQuesta voglia di sperimentare il nuovo fezionamento dell’atleta per miglioe di essere adulti li spinge a provare si- rarne il rendimento, sia per il tuazioni ed emozioni nuove che il più miglioramento della personalità, prodelle volte sfociano in sensazioni di muovendo l’integrazione e la maturasconfitta e di delusione: forti e sicuri e zione identitaria. Si deve essere

consapevoli che ciò sempre non accade, nonostante i valori portanti di qualsiasi sport dovrebbero essere la lealtà, la solidarietà, il vietato dire non ce la faccio. Nell’età giovanile una pratica sportiva assume quindi una valenza non indifferente; Arthur Blank suggerisce di vederla come una guida di sé stesso per superare gli ostacoli generali della vita. “Potresti pensare di non riuscirci. Ma poi trovi la tua forza interiore e ti rendi conto che sei molto più capace di quanto pensassi.”

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IL PERSONAGGIO

BRUNO STRIM,

 di Adelina Valcanover

DALLE STELLE ALLA LIRICA E ALLA CULTURA Ingegnere aereospaziale, Bruno Strim, bolzanino di nascita, laurea in ingegneria meccanica con la tesi Il controllo tecnico dei satelliti e inizia la sua attività in Alenia Spazio di Torino dove rimane per quarant’anni, fino alla pensione. Il primo satellite di cui si occupò fu Sirio (tutto italiano). Come direttore dei programmi, viaggiò moltissimo. Ha pubblicato anche un libro di racconti Gli gnomi della Val di Susa e si è occupato anche di lavorazione del legno. Ora abita a Pergine ed è presidente dell’Associazione “Amici della Lirica”

LA NOSTRA INTERVISTA Ingegner Strim, vorrei che si presentasse da sé tenendo conto del Suo passato di ingegnere aereospaziale. “Ho iniziato la mia attività lavorativa in Alenia Spazio di Torino e ci sono rimasto fino alla pensione. Il lavoro nelle attività spaziali è sempre diverso, richiede di viaggiare frequentemente, conoscere molti paesi, tradizioni e culture diverse che allargano il proprio modo di pensare e ti rendono più aperto e flessibile. Mi sono occupato prima in attività tecniche, poi come manager dei programmi e successivamente come direttore dei progetti scientifici”. Che cosa l’ha portata in Trentino? “La casualità. Dopo quarant’anni di residenza a Torino, di cui negli ultimi anni, presidente dell'associazione Scultura ed Intaglio, desideravo ritornare da queste parti dove avevo vissuto fino al completamento degli studi universitari. Ho scelto Pergine perché Bolzano, mia città natale, dopo tanti anni di assenza, non era più adeguata alle mie aspettative. A Trento vivono due miei fratelli e siccome non amo il traffico e la congestione delle città, ho optato per Pergine, ricca di paesaggi riposanti e più conforme alla mia esigenza di

contatti umani e di poter portare il mio contributo costruttivo alla comunità”. Lei è presidente dell’Associazione culturale “Amici della Lirica”. Vuole illustrare scopi e programmi? “La nostra Associazione ha l'ambizione di portare a Pergine il Belcanto, far conoscere ed avvicinare i concittadini alla musica lirica e classica, fare proposte culturali e collaborare con tutte le numerose associazioni del Territorio. I nostri programmi comprendono: Masterclass di perfezionamento al canto Lirico con il concerto finale degli allievi; Organizzazione di concerti per la Comunità in occasione di Natale, Pasqua e Tutti i Santi e per eventi particolari (esempio “Viva le Donne”

tenuto al Teatro Don Bosco di Pergine il 6 marzo scorso ed altri). Pergine salotto della Cultura con incontri in cui personaggi famosi in vari ambiti (artistici, imprenditoriali ecc.) raccontano la loro esperienza di vita. Un programma davvero oneroso è la preparazione, tutta allestita da noi, l’Opera: “Suor Angelica” di Giacomo Puccini, che verrà eseguita nel Nuovo Teatro di Pergine il prossimo 9 settembre”. A questo proposito, la lirica è ancora interessante o fa parte del passato? “In una delle tante trasmissioni, su canale 5 della televisione, del Baritono catalano Ramon Gener “This is Opera”, nella parte introduttiva dice: “L'Opera è la vita, è un'emozione per tutti”. Negli incontri per l'avvicinamento all'Opera Lirica: “Un'Opera in un'Ora”, organizzati dalla nostra Associazione e presentati dal M° Mauro Trombetta, viene spiegata ogni volta un'opera diversa facendo sentire alcune interpretazioni di cantanti famosi, per coglierne ed apprezzarne le differenze e, qualche brano cantato dal vivo dalla nostra soprano Katarzyna Medlarska. Moltissimi spettatori pur non conoscendo l'Opera, hanno ini-

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ziato a partecipare agli incontri e devo dire che le presenze continuano ad aumentare e si mostrano entusiasti. Nell'ultimo incontro, in cui veniva presentata l'opera di Puccini: Madama Butterfly, ci sono state ben 185 presenze. Nel territorio quindi, ci sono molti appassionati di Lirica che chiedevano da tempo iniziative Culturali volte a portare il Belcanto in Valsugana”. Si parla molto della piattaforma sul lago di Caldonazzo. Da dove nasce questo interessante progetto culturale? “Vede, il nostro primo concerto si è tenuto il 23 Agosto 2015, presso la Sede Centrale della Cassa Rurale di Pergine, (8 giorni dopo aver dato vita alla nostra Associazione Culturale) ed è stato un grande successo. Quella sera, nel mio saluto agli ospiti, ho detto: “Immaginate che la parete dietro i cantanti diventi trasparente e davanti a noi appaia una sponda del Lago di Caldonazzo; la scenografia è bellissima, ci sono le luci dei paesi che lo circondano, lo sfondo scuro delle montagne ed un cielo sereno, un dolce venticello increspa la superficie dell'acqua e riflette la luce della luna piena creando una magia, poi le note della musica si alzano in alto e diventano stelle”. E' nata l’idea della Piattaforma sul Lago di Caldonazzo, e da allora perseguiamo il progetto per valorizzare una perla preziosa del territorio. I motivi? Far lavorare gli artisti, dare un'opportunità agli allievi della scuola musicale

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di Pergine “Camillo Moser” e del Conservatorio di Trento, intercettare il Turismo, creare occupazione, riqualificare aree sulla sponda del lago, stimolare la realizzazione di tanti progetti che, per molte ragioni, non hanno potuto avere vita nel passato. Per realizzare questo obiettivo è indispensabile sensibilizzare i Sindaci della nostre Comunità di Valle, perché solo loro possono decidere di trasformare, a breve, questa idea in realtà, ossia una piattaforma galleggiate per spettacoli di musica classica, lirica, cori, bande, prosa ecc”. A promuovere cultura al giorno d’oggi, quali sono ostacoli, soprattutto? “Le difficoltà sono molte, perché oltre al grande impegno personale, sono necessari contributi economici per coprire le spese, che sono tante. Tutte le iniziative Culturali richiedono passione, tempo, costanza e determinazione”. Pergine è un grosso centro, in passato è stato il primo ad avviare iniziative culturali interessanti. Ha ancora spazi e ‘voglia di fare’? “Pergine ha molte Associazioni culturali che vogliono valorizzare la città per portare cultura, arte, solidarietà. Tanto va ancora fatto, esempio: mancano monumenti. Il bello è una esigenza

profonda dell'uomo, è un momento di riflessione per far crescere amicizia, accrescere la capacità critica di cittadino responsabile per il bene comune e realizzarlo. Specialmente in momenti di crisi economica è necessario investire nella cultura. Attualmente ci vuole lungimiranza per evitare poi danni enormi nel futuro. Pergine ha voglia di emergere ed è nei momenti di crisi che bisogna avere “Visioni“ e programmare per il medio e lungo periodo, ma questo è il compito dei politici e degli imprenditori”. Lei, come si propone e quali risposte riceve dalle autorità politiche e amministrative locali? “Noi come Associazione impegnata nel portare nella Comunità Alta Valsugana e Bersntol il Belcanto, l’avvicinamento alla musica classica e moderna, proposte culturali ad ampio spettro e


devono prendere sono molto impegnative, dovranno essere orientate al bene della collettività e su tale base saranno giudicate dai cittadini”. Vuole dire qualcosa di particolare ai lettori di Valsugana news? “E' veramente una bella rivista che porta al lettore notizie ed approfondimenti in molti campi e, da parte mia, apprezzo molto la pagine culturali di Chiara Paoli e le interviste impossibili di Adelina Valcanover”.

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gradi, pur di muoversi e dare opportunità a tutti? “In tempi difficili, come questi, non va fatta una distribuzione a pioggia date le limitate risorse disponibili: si deve scegliere. Questo approccio è necessario, perché permette di valorizzare gli investimenti più promettenti e, a loro volta, permetteranno di aumentare le risorse per le Associazioni. Le decisioni che le varie autorità competenti

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valorizzazione del Territorio, siamo apprezzati per il grande lavoro che continuiamo a fare, sia dall'Amministrazione di Pergine che dalla Comunità di Valle. Riceviamo incoraggiamenti e, nell'ambito del budget riservato alle attività delle Associazioni, riusciamo a ricevere risposte positive alle nostre domande. Insomma, prima bisogna dare per poi ricevere!” Secondo lei, sarebbe meglio il tutto subito oppure arrivarci per

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Cesare Battisti,

Val Camonica. Gruppo Dell'adamello (Bs). Ritratto di Cesare Battisti. Ott. 1915, (Archivio Mstf)

tra geografia e memoria

Lo storico Vincenzo Calì è stato direttore della Fondazione Museo Storico del Trentino e docente presso l’Università degli Studi di Trento. Numerose sono le sue pubblicazioni incentrate su cesare Battisti, con particolare attenzione alla sua importanza nel mondo della geografia. Ha collaborato con l’Associazione Culturale Chiarentana alla realizzazione della mostra e della ristampa della Guida di Levico.

 di Elisa Corni Nostra intervista a Vincenzo Calì.

Cesare Battisti è prima di tutto uno studioso, un geografo. Quali sono i suoi maestri? “Battisti trae ispirazione dagli studi di Bartolomeo Malfatti, che nell’Ottocento fece da tramite fra la scienza geografica tedesca e quella italiana”. Come lavorava all’epoca? “Usava il metodo sperimentale, d’indagine sul campo, come testimoniano gli strumenti da lui usati e oggi visibili al Muse”. C’è qualche aneddoto curioso sulla sua esperienza di geografo? “Lo ricaviamo dalle sue lettere, là dove ci racconta della sua attività di speleologo: andar per caverne a fine secolo XIX era un’ attività pionieristica, come lo stesso Battisti ci spiega in una delle sue lettere all’allora fidanzata, Ernesta

Vincenzo Cali’ Bittanti: “sono sdraiato in mezzo ai sassi di una valle orrida e pur bellissima e mentre aspetto il Trener che sta rifacendo il pezzo della strada già fatta per cercare una borraccia smarrita ti scrivo due righe… Delle escursioni dei giorni passati ti scriverò da Trento: in una caverna abbiamo trovato molte ossa. Da prima ci parevano di ursus speleus, poi

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trovata la testa, vedemmo trattarsi di una bestia colle corna. Ad ogni modo sono ossa assai antiche perché incrostate di calcari. A Trento studieremo zoologia e vedremo di identificarle; intanto il mio zaino è pieno –oltre dei soliti sassi– di mascelle, di stinchi e di teschi… Sento il fischio di Trener che fra due minuti mi avrà raggiunto… Se vedessi la mia tenuta alpina avresti da ridere. Fra la corda, lo zaino, la lanterna e il martello che porto appesi alle spalle, e alla vita, non si capisce che razza di professione io faccia. Stamattina difatti due contadini discutevano sulla mia persona e uno opinava che io andassi in cerca delle miniere, un altro mi credeva un negoziante di roba vecchia, reduce dalla fiera. Non che in ambiti diversi dalla speleologia per i due giovani scienziati fossero rose e fiori: alla ricerca dell’emissario del lago di Terlago utiliz-


zando lo iodio come reagente, corsero il rischio di sonore bastonature da parte dei contadini, convinti che quelle misteriose sostanze altro non fossero che veleno per i pesci”. Battisti scrisse un’importante tesi sul Trentino. È ancora attuale o a cento anni di distanza è superata? “Le monografie regionali, quelle di Battisti sul Trentino e di Marinelli sulle Alpi orientali, rimangono a tutt’oggi esempi di come andrebbero descritte le regioni italiane”. Come vedeva il Trentino un uomo come lui che aveva studiato sia in Italia che in Austria-Ungheria? “Come un ponte fra le culture europee, e in questo sta la grande eredità che ci ha lasciato”. Le guide che scrisse sono delle “Lonely Planet” ante litteram. Quale è il loro valore oggi? “Il loro valore consiste nel rendere edotti i suoi concittadini di oggi del valore complessivo di “Casa nostra”, di una regione che nelle sue articolazioni territoriali Battisti definì “La California d’Europa”.

ISTITUTO DI ESTETICA

Come mai il valore di Battisti come geografo è messo in secondo piano? “Per l’evidente incapacità del ceto dirigente trentino di uscire da contrapposizioni ideologiche che tendono ad oscurare il valore scientifico del geografo di Trento, e per il malinteso patriottismo nazionale che ancora alberga nell’Italia intera”. Perché si discute ancora tanto attorno alla figura di Cesare Battisti? “Senza un patriottismo autenticamente europeo la figura di Battisti, che travalica la storia nazionale e si colloca in una dimensione geopolitica continentale, è inevitabile piegata, per usare le parole di Carlo Rosselli, a fini “bassamente partigiani”; solo con la nascita degli Stati Uniti d’Europa alla figura di Battisti sarà finalmente riconosciuta la statura di padre della Patria comune dei popoli europei”. Ha senso, a cento anni dalla sua morte e al di là delle celebrazioni e

delle ricorrenze, parlare di Cesare Battisti come geografo? “Credo che abbia un valore fondamentale, che possa suggerire approfondimenti riguardo ai progressi portati da Battisti alla scienza geografica nelle sue diverse articolazioni, seguendo l’esempio portato da Riccardo De Carli con il suo lavoro su Battisti speleologo”.

Pergine Valsugana. Localita’ San Cristoforo al Lago (Tn). Ritratto di Cesare Battisti con la moglie Errnesta sul lago di Caldonazzo. 1901, (Archivio Mstf)

Un ringraziamento particolare all’Archivio Fondazione Museo Storico del Trentino per la concessione delle foto

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Il pasto degli Antichi Romani, dalla frugalità ai sapori A gli inizi leggendari di Roma, sulle navi di Enea, secondo il racconto di Virgilio, durante una travagliata navigazione durata sette anni, i marinai troiani potevano nutrirsi quasi esclusivamente della polenta di farro accompagnata dai pesci pescati durante il viaggio e dalla poca carne acquistata nei porti. Quando poi, Seneca critica la sregolatezza dei costumi dei suoi contemporanei ne individua la causa nella perdita di quella “parsimonia veterum”, la dote morale della frugalità che si riscontra nelle abitudini alimentari primitive dei popoli latini, quando si nutrivano soprattutto di puls, un'insipida polenta di farro cotta in acqua e sale, con contorno di legumi, pesciolini salati (gerres o maenae), frutta, formaggi e, raramente, di carne. Come ci testimoniano molti scrittori latini, l'antica alimentazione romana era fatta soprattutto di vegetali, com'era nell'uso dei vicini etruschi da cui nei periodi di carestia provenivano a Roma lungo il Tevere i rifornimenti di grano che permisero dal II secolo a.C. la produzione del pane in tre qualità. Candidus, fatto di farina bianca finissima, secundarius, sempre bianco ma con farina miscelata e plebeius o rusticus, una

specie di pane integrale. Dagli etruschi, più ricchi e ai quali «le possibilità economiche e le necessità del decoro gentilizio lo consentivano», giunse a Roma l'abitudine di nutrirsi di un cibo più variato e ricco di proteine costituito sia da selvaggina che da animali di allevamento.Quando poi Roma entrò in contatto con i Greci della Magna Grecia, da loro imparò ad apprezzare i frutti dell'olivo e della vite che aveva usato fino a quel momento soprattutto per i riti religiosi. A partire dall'età di Augusto, con la conquista dell'Oriente e gli intensi rapporti commerciali con l'Asia arrivò a Roma «tutto quanto la terra produce di bello e di buono».e l'alimentazione romana si raffinò. Al cibo inteso come puro sostentamento cominciò in epoca imperiale a sostituirsi, anche con l'uso delle spezie e dei profumi, il gusto e la cultura del cibo, passando dalla pura alimentazione ai sapori. I romani incominciarono così a mangiare in tre pasti quotidiani (ientaculum, cena e vesperna, poi prandium). Raramente però dedicavano molta attenzione ai primi due pasti che non erano mai molto nutrienti e il più delle volte ne abolivano uno.

Alcuni anziani seguivano l'ordine dei tre pasti perché così avevano loro consigliato i medici come a Plinio il vecchio, sempre molto frugale, e a Galeno che consumava lo ientaculum verso l'ora quarta. I soldati si accontentavano di un prandium verso mezzogiorno. Marziale ci descrive il suo ientaculum costituito da pane e formaggio, mentre il prandium consisteva in carne fredda, verdura, frutta e un bicchiere di vino miscelato con acqua. Ancora più limitato lo ientaculum di Plinio il Vecchio (cibum levem et facilem) a cui seguiva una merenda per prandium (deinde gustabat) il tutto senza apparecchiare (sine mensa) e senza doversi lavare le mani (post quod non sunt lavandae manus).

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I banchetti degli Antichi romani A

lla corte degli imperatori romani, racconta la storia, si banchettava spesso alla ricerca del piacere di mangiare fine a se stesso. Il banchetto prevedeva almeno sette portate (fercula). Si cominciava con gli antipasti (gustatio) poi tre primi piatti, due arrosti e il dolce (secundae mensae). L'eccessiva elaborazione dei piatti portava conseguenze dannose come obesità, gotta e calcolosi. Orazio osserva, «a che punto la varietà dei cibi sia nociva per l'uomo puoi capirlo se ripensi a come hai facilmente digerito quella pietanza semplice che hai mangiato un giorno, mentre invece non appena gli avrai mescolato il bollito e l'arrosto, i molluschi e i tordi… si genererà lo scompiglio nel tuo stomaco». Molti imperatori fecero della ricercatezza e originalità a tavola una loro caratteristica. È il caso di Gallieno, il quale, secondo la Historia Augusta, «in primavera si faceva preparare giacigli di rose, costruiva castelli di frutta, conservava l'uva per tre anni, in pieno inverno imbandiva dei meloni. Insegnò il modo di conservare il mosto per tutto l'anno e offriva, anche fuori stagione, fichi verdi e frutta appena colta dagli alberi. Faceva sempre apparecchiare le tavole con tovaglie d'oro, facendosi preparare vasellame ornato di gemme e d'oro. Banchettava in pubblico». A quel tempo il vino consisteva in una specie di mosto fermentato, ma già alla fine della Repubblica si cominciarono a mescolare diverse qualità di uve migliorandolo nel sapore. È soprattutto nel periodo imperiale

che si comincia a importare vini dalla Grecia che si mantenevano più a lungo perché miscelati con acqua di mare, argilla o sale che però secondo Plinio il Vecchio sono in questo modo nocivi per la salute dello stomaco e della vescica. Lo stesso Plinio raccomanda di non eccedere nel bere vino che porta all'ubriachezza quando «l'alito sa di botte… e la memoria è come morta... mentre coloro che bevono pensano di prendere in pugno la vita, ogni giorno, come tutti, perdono il giorno precedente, ma ancor più quello successivo». Il vino, mescolato a resine e pece, era conservato in anfore chiuse con tappi di sughero o di argilla munite di una targhetta che ne indicava l'annata e la denominazione. Pochi erano quelli che potevano bere il vino puro e venivano considerati come sregolati ubriaconi mentre normalmente il vino veniva servito filtrato con un colino e mescolato con acqua in una grande coppa, il cratere, da cui poi ognuno si serviva. Un banchetto degno del suo nome non poteva non essere accompagnato da intermezzi in cui si esibivano in danze scollacciate, per cui erano celebri, le donne di Gades che ballando a suon di nacchere lasciavano poco all'immaginazione degli invitati che nel frattempo favorivano la digestione lasciandosi andare, poiché non bisogna contrastare la natura, a rutti e, ottemperando al ridicolo decreto dell'imperatore Claudio, all'emissione di gas di altra specie. Si arrivava addirittura a servirsi durante il banchetto di appositi vasi per bisogni più consistenti.

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LA STORIA DEL CIOCCOLATO

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ella sua coltivazione i Maya iniziarono a miscelare la bevanda con aromi naturali e acqua calda, assumendo successivamente la connotazione attuale di cioccolato; da quella civiltà denominata “cibo degli dei”, riservando il suo consumo a sovrani, nobili e guerrieri, la chiamarono “chocolhaa”. In un balzo temporale è solo nel 1500 d.C. che un europeo venne a contatto con la bevanda al cacao, dall’oltre continente sconosciuta, si trattava di Cristoforo Colombo, che nel suo quarto e ultimo viaggio in America per trovare la via delle Indie sbarcò nelle Isole di Guanaja, Honduras. Si narra che gli indigeni del posto diedero in dono all’esploratore genovese alcune fave di cacao, così che al ritorno li portò con sé, alla corte di Spagna, come omaggio ai Re Cattolici Ferdinando e Isabella di Spagna. Dalla scoperta non esaltata dal pioniere è effettivamente nel 1519 che si ha la prima introduzione diffusa di cacao in Europa, grazie al condottiero spagnolo Hernàn Cortez accolto a braccia aperte dal Nuovo Mondo. I semi della pianta iniziarono ad essere esportati in Europa

a partire dalla Spagna e per tutto il Cinquecento il cioccolato rimase una sua esclusiva: in un primo momento servita come bevanda nelle corti spagnole, corretta nella naturale amarezza con zucchero e vaniglia dall’ordine dei monaci spagnoli, cambiando la tradizione Maya, e in un secondo momento lavorata nella tradizione Azteca in tavole di cioccolato solido. Nel Seicento il cioccolato sbarcò nel resto d’Europa, dall’Italia, all’Austria, alla Francia, all’Inghilterra e fu considerato un lusso per i nobili europei. Caterina, figlia di Filippo Secondo di Spagna, che sposò Carlo Emanuele Primo, duca di Savoia, influenzò la prima diffusione in Italia del cacao. Nel 1606 il cioccolato veniva prodotto in Italia nelle città di Firenze, Venezia e Torino. Senza tralasciare che i primi chicchi di cacao vennero importati dai dominatori spagnoli stessi durante la dominazione in Sicilia, precisamente nella Contea di Modica, dove si avviò la lavorazione artigianale del cioccolato. Nel Settecento l’Italia iniziò ad impadronirsi della scena con la Venezia delle prime “botteghe del caffè”, presentando la

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Il cioccolato o “Theobroma cacao” deriva dai semi dell’albero del cacao e la sua lunga storia viene fatta risalire a 6000 anni fa. Sulla costa del Golfo del Messico già oltre 6000 anni fa esisteva una grande varietà di piante di cacao e si dice che il popolo Maya fu il primo a cimentarsi nella sua coltivazione intorno all’anno 1000 a.C. fra la penisola dello Yucatan, il Chiapas e la costa pacifica del Guatemala. Tra il 1400 a.C. e il 400 a.C. la popolazione Olmeca, antica civiltà precolombiana che viveva nell’area tropicale dell’odierno Messico, parlava di “kakawa”, ossia di cacao, stando ad indicare le piante di cacao e solo fra il terzo e decimo secolo la parola indicante la pianta di cacao prese il nome di “kakav”.

cioccolata come il prodotto più alla moda del tempo, raffinato e pregiato per un élite. Si dice che la creatività dei maestri cioccolatieri di tutta Italia iniziò a scatenarsi; infatti è proprio in queste botteghe che le ricette tradizionali si scontrarono con nuove versioni. Il cacao da bevanda calda con i Maya, a tavoletta solida con il popolo Azteca, alla forma di primo cioccolatino a Torino nel XVIII secolo, nel 1852 nacque il celebre Gianduiotto e a Perugia il Bacio Perugina; nel 1946 Pietro Ferrero diede vita alla prima crema di cioccolato: la Nutella. La cioccolata è una lunga storia di tradizione e innovazione, di lavorazione e di passione che accomuna tutto il mondo.

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Curry, pepe, peperoncino, origano, curcuma, anice e cannella. Sono solo alcuni degli ingredienti che rendono il nostro cibo gustoso, saporito e variegato. Ma quella di stupire le nostre papille gustative non è la loro unica caratteristica. Perché sono entrate a far parte integrante della nostra alimentazione e quali sono i benefici?

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er capire la storia delle spezie dobbiamo farne un balzo indietro di secoli, anzi di millenni, a quando non esistevano frigoriferi e i cibi, in primis la carne, rischiavano un rapido deperimento. In aiuto dei nostri avi, che rischiavano di dover buttare grandi quantità di cibo, vennero proprio le spezie. Recenti studi pubblicati su importanti riviste scientifiche hanno confermato che già nel Neolitico (indicativamente tra i 6 e i 7.000 anni fa) l’uomo utilizzava le spezie per insaporire i cibi. Ad esempio, in Spagna, Francia e Germania sono state rinvenute tracce dell’uso di semi di papavero nei resti di carne e pesce. Tracce successive dell’utilizzo delle spezie sono state ritrovate in alcuni siti archeologici dell’antico Egitto. Qui la carne si ricopriva di sale, mille e spezie, affinché durasse più a lungo, e si insaporivano i cibi con le spezie. Il Papiro di Ebers, del XVI secolo a.C., riporta una lunga lista di ricette con le spezie che ancora oggi finiscono sulle nostre tavole, ma ne indica anche le proprietà terapeutiche. È proprio durante l’età dei Faraoni che si sono scoperte altre queste loro importanti. La maggior parte delle spezie proviene

Spezie, tra storia, medicina e sapore

dall’Asia, e così, nei secoli passati, Greci, Romani e Ebrei svilupparono fitte reti di commercio per portare queste preziose polveri verso casa. Nel corso del Medioevo, però, con la conquista dei maggiori porti del Mediterraneo da parte degli Arabi, l’intensità dei commerci si ridusse notevolmente, e così le spezie arrivavano in Occidente in quantità sempre più ridotte. Il loro costo crebbe in maniera esponenziale, al punto che solo i re potevano permettersi di consumare cibi insaporiti con pepe, chiodi di garofano, cannella e noce moscata. Con la nascita delle repubbliche marinare -ad esempio Venezia, Genova, Pisa e Amalfi- il mercato con l’Oriente riprese con maggiore intensità, e le spezie tornarono sulle tavole degli europei. Il costo rimaneva elevato, essendo proporzionale al tempo impiegato per il trasporto -dai due ai tre anni per ogni carico. Questa fu, secondo molti storici, una delle molle che fecero scattare il meccanismo delle esplorazioni via terra e via mare alla ricerca di strade più sicure e veloci con l’Oriente. Da Marco Polo a Cristoforo Colombo, tutti in quei secoli cercavano nuove vie verso i mercati d’Oriente. Ci fu chi le trovò, e chi scoprì addirittura un continente. Insomma, pepe, zafferano, cardamomo hanno accompagnato la storia dell’uomo

per millenni, un fatto sorprendente per dei beni così piccoli. Come sorprendenti sono le loro numerose proprietà. La scienza moderna sta infatti studiando i benefici che accompagnano un consumo regolare di spezie, scoprendo che nei consigli della nonna c’è sempre un po’ di verità. E così a Cork, in Irlanda, i ricercatori del centro di ricerche contro il cancro hanno scoperto che la curcuma, una delle molte spezie che compongono il più famoso curry, è un valido alleato contro il cancro. Ricerche di laboratorio hanno dimostrato come questa spezia della famiglia dello zafferano sia in grado di uccidere le cellule tumorali e che in particolare si occuperebbe del tumore all’esofago, il nono tumore più frequente al mondo. E che dire delle stupefacenti scoperte fatte a Rio de Janeiro, dove un team di scienziati ha dimostrato come camomilla, prezzemolo, timo e peperoncino siano dei catalizzatori dell’energia neuronale. Il consumo di queste spezie, infatti, aiuterebbe i neuroni a creare legami tra di loro, implementando così le capacità del nostro cervello. Questi sono solo alcuni esempi delle straordinarie capacità delle spezie, che rendono la nostra vita un po’ più piccante.

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OBESITà E SOVRAPPESO

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econdo gli studiosi è un vero problema causato da una parte da un’alimentazione scorretta e ipercalorica e dall’altra da un ridotto dispendio energetico a causa d’inattività fisica. Una patologia, quindi, facilmente prevedibile e prevenibile. E’ quindi una condizione ampiamente prevenibile. Secondo una delle recentissime statistiche che interessano l’alimentazione e il nostro benessere fisico emerge che il 42% degli italiani è sovrappeso e che il 10,5% è obeso. E sempre secondo questi dati viene evidenziato che l’eccesso di chili è più frequente tra le persone anziane o di età superiore ai 45 anni, specialmente tra colori i quali hanno difficoltà economiche maggiori. Per quanto riguarda la posizione geografica dove l’obesità è maggiore al primo posto si trovano le regioni del Sud mentre cala nel Centro ed è ancora minori nel Nord. I dati e i numeri che ci vengono forniti dal Sistema di Sorveglianza PASSI (Progressi delle Aziende sanitarie per la salute in Italia), coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, evidenziano che le donne, a dispetto degli uomini, sono più consapevoli dell’obesità o dell’eccesso di peso corporeo. Le donne, infatti, sono quelle che maggiormente si recano nei centri benessere o nei vari istituti di estetica. E sono le donne che quasi sempre applicano integral-

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mente i concetti di dieta alimentare. L’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) ci dice che a livello mondiale sono oltre 3,5 milioni di adulti che annualmente muoiono per cause legate o correlate al sovrappeso, all’obesità, alla cattiva alimentazione o a patologie legate alla nutrizione. “Sovrappeso e obesità sono infatti causa di tante malattie e rappresentano il quinto più importante fattore di rischio per mortalità globale. “Già oggi si stima che circa il 58% del diabete mellito, il 21% delle malattie coronariche e quote comprese tra l’8 ed il 42% di alcune tipologie di cancro siano attribuibili alla sola obesità”, afferma il direttore generale prevenzione del Ministero della salute, Ranieri Guerra. E Purtroppo le proiezioni future riguardanti questo problema ci dicono che entro 15 anni la situazione peggiorerà e che il 70% degli uomini italiani e il 50% delle donne saranno in sovrappeso mentre l'obesità colpirà il 15% delle femmine e il 20% dei maschi”. E i bambini? A livello globale i dati sono sempre preoccupanti percho evidenziano che il numero di bambini obesi o in sovrappeso, con meno di 5 anni di età, è passato da 31 milioni nel 1990 a 41 milioni nel 2014, con un aumento della prevalenza dal 4,8% al 6,1%. E i numeri non accennano a diminuire. Da qui la necessità di

Queste due particolari “patologie”, in costante aumento, soprattutto Paesi occidentali, sono causa non solo di disabilità fisica o di ridotta capacità lavorativa, ma anche dell’insorgenza di numerose patologie croniche. L’obesità rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale perché è un importante fattore di rischio per varie malattie croniche, quali diabete mellito di tipo 2, malattie cardiovascolari e tumori.

maggiori strategie e migliori progetti informativi per combattere i chili in eccesso e l’obesità, che oramai si può considerare malattia “sociale”.


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La Celiachia L

a malattia celiaca non ha una trasmissione genetica mendeliana, ma è presente un certo grado di predisposizione nei parenti degli affetti. L'intolleranza al glutine genera gravi danni alla mucosa intestinale quali l'atrofia dei villi intestinali. Naturalmente nei paesi la cui cucina si basa sui derivati del grano, come l'Italia, il numero delle diagnosi di celiachia e la gravità dei sintomi aumentano. Una persona su 120 ne risulta affetta e questo fa della celiachia la malattia genetica più diffusa. La percentuale di celiaci diagnosticati come tali si attesta attorno al 10-15% del totale. L'intolleranza al glutine viene contrastata dall'organismo con la produzione di anticorpi che, a loro volta, danneggiano la mucosa intestinale causando una riduzione della capacità di assorbimento dell'intestino. I danni causati dalla celiachia vengono riassorbiti e curati dall'organismo nel giro di sei mesi dall'adozione di una dieta priva di glutine. Questo non significa che l'intolleranza sia sparita, ma solo che seguendo un regime di dieta controllata i sintomi dovuti all'intolleranza al glutine scompariranno. E' fondamentale, all'insorgere del morbo celiaco, una diagnosi tempestiva perchè in soggetti affetti da celiachia la mancata osservanza di una dieta idonea può portare all'insorgere di patologie che possono con il tempo diventare gravi e permanenti Tutti i sintomi della malattia celiaca sono riconducibili al non corretto assorbimento delle sostanze nutritive. Tra i sintomi dell'intolleranza al glutine si possono elencare dolori addominali, diarrea cronica, perdita di peso, anemia, dolori

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alle ossa, cambiamenti comportamentali, crampi muscolari, stanchezza, crescita ritardata, dolori articolari, danneggiamento dello smalto e del colore dei denti, irregolarità dei cicli mestruali. Una diagnosi sintomatologica della celiachia, che deve essere eseguita presso centri di analisi ciniche, è difficile, perché i sintomi risultano molto simili a quelli di altre malattie che interessano l’intestino, ma anche forme di stanchezza cronica e di depressione. Inoltre, in una percentuale non piccola dei casi, la celiachia rimane asintomatica ma comporta comunque un danneggiamento dei tessuti intestinali. L’unico trattamento possibile per la celiachia è una dieta appropriata, priva di

glutine (gluten-free), che permette di ridurre ed eventualmente eliminare i sintomi e di ricostituire i tessuti intestinali. La capacità di ripresa e di recupero dei tessuti danneggiati, però, dipende anche da molti altri fattori, come ad esempio l’età in cui la malattia viene diagnosticata o il grado di danneggiamento.

Seguire una dieta priva di glutine implica un forte impegno di educazione alimentare poiché si eliminano tutti gli alimenti contenenti frumento, orzo e loro derivati, come ad esempio il malto, quindi quasi tutti gli alimenti confezionati, dalle merendine alle torte, la pasta e il pane, la pizza. La difficoltà maggiore per la persona affetta da celiachia comunque è il fatto che la dieta deve essere organizzata in base alle informazioni dettagliate disponibili sugli ingredienti di ciascun piatto proposto a un ristorante o a una mensa o di ciascun prodotto in vendita a un supermercato. Particolarmente importante è il fatto che il glutine può essere "nascosto" nei cibi, e perfino in alcuni farmaci, come additivo, conservante o aroma. E’ quindi necessario richiedere informazioni dettagliate su ogni singolo prodotto che si desidera acquistare e utilizzare. È fondamentale comprendere come un minimo contatto degli alimenti contenenti glutine con quelli per celiaci può


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contaminare questi ultimi, ad esempio l'utilizzo delle stesse posate per rimestare la pasta in cottura in pentole diverse è assolutamente da evitare. L'ingestione di una minima quantità di glutine può rendere inefficace la dieta, pertanto è fondamentale accertarsi che il celiaco non ingerisca alimenti che possano contenere glutine in nessuna forma (spesso viene utilizzato come addensante e strutturante in molti alimenti). Per lo stesso motivo il glutine viene aggiunto ai preparati farmaceutici in tavoletta, che i celiachi devono necessariamente evitare. L’intolleranza al glutine è tale che coloro che ne sono portatori non possono limitarsi a mangiare prodotti senza glutine. Il celiaco necessita della garanzia che tali prodotti non vengano contaminati con il glutine durante tutto il processo produttivo, dalla lavorazione al confezionamento. I prodotti senza glutine devono avere un contenuto di glutine garantito inferiore a 20ppm (parti per milione o mg/kg). Questa fondamentale garanzia la ritroviamo nei prodotti che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche:

• SPIGA SBARRATA Simbolo rilasciato dall'Associazione Italiana Celiachia in base ad un rigido disciplinare e a controlli effettuati da parte di tecnici abilitati. • DICITURA "SENZA GLUTINE" La dicitura "senza glutine" che segue il nome del prodotto, è autorizzata dal Ministero della Salute dopo accurate verifiche. Tale dicitura rende il prodotto mutuabile e rimborsabile dal Sistema Sanitario Nazionale. • INSERIMENTO NEL PRONTUARIO A.I.C. II prontuario è realizzato annualmente dall'Associazione Italiana Celiachia ed è un valido strumento per muoversi all'interno del vasto mondo degli alimenti per celiaci. Nella pubblicazione entrano a far parte quei prodotti che, tramite autocertificazione del Produttore, escludono la presenza di glutine.

A seguito della diagnosi del medico specialista, il celiaco ha diritto ai prodotti dietetici senza glutine, indispensabili per la sua dieta, rigorosa ed irreversibile. Può, quindi, ritirare prodotti nelle farmacie, pubbliche e private, nella GDO (supermercati) e negozi specializzati, fino al raggiungimento di un tetto di spesa mensile, fissato oggi dal decreto del 04/05/06, secondo sia il sesso sia le fasce d'età. I tetti di spesa effettivamente riconosciuti, così come la tipologia dei punti vendita in cui sono disponibili i prodotti senza glutine distribuiti in regime di erogazione gratuita, possono essere differenti a seconda della regione di residenza e della Asl di appartenenza. Pertanto, ogni dettagliata informazione deve essere richiesta all’AIC della regione di residenza.

(Si ringrazia l’azienda Food Senza Glutine® per il testo fornito)

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DIETA e alimentazione. NO AL FAI DA TE

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econdo i maggiori testi scientifici e di medicina, tutti gli organismi viventi hanno bisogno dell’introduzione di sostanze nutritive per il loro fabbisogno energetico. E per dieta alimentare s’intende quel particolare e appropriato modo usato per assumere proporzionalmente e senza eccessi tutti gli elementi di cui abbisogna il nostro organismo. Per quanto sopra la dieta non deve intendersi come privazione bensì come uno stile di vita. Purtroppo nel gergo e nell’idea comune ai più, quando si parla di dieta spesso viene indicato un particolare regime alimentare utile a dimagrire causando, obbligatoriamente, una diminuzione del peso corporeo. In questo caso però, quando si vuole rientrare nel cosiddetto “peso forma” è necessario anzi indispensabile affidarsi agli esperti di queste

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metodologie e non applicare, invece, il concetto del “fai da te” o seguire consigli di amici e conoscenti. La dieta deve essere studiata caso per caso, consigliata e seguita da un medico o da un dietista perché sono loro gli esperti in grado di suggerire la giusta alimentazione. Purtroppo non di rado accade che queste diete sono scelte arbitrariamente dagli individui desiderosi

di dimagrire e quindi ridurre il proprio peso. Nulla di più sbagliato. La dieta deve essere intrapresa con lo stretto controllo del medico per evitare complicazioni serie e dannose, motivo di rischi anche gravi per la salute e anche danni permanenti. E’ bene sapere che tutte le diete “dimagranti” si basano sul concetto del regime ipocalorico,(meno grassi e meno zuccheri) senza però compromettere l’assunzione di tutti gli altri elementi nutritivi di cui abbisogna il nostro organismo. A tal proposito è bene sottolineare che uno dei segni di una dieta dimagrante scorretta è il famoso effetto yo-y , ovvero la perdita e il riacquisto di peso conseguente a diete eccessivamente ipocaloriche, specialmente se la metodologia nutrizionale viene fatta senza consigli e controlli degli esperti.


DIETA MEDITERRANEA PER UNA CORRETTA ALIMENTAZIONE

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uando si parla di dieta mediterranea quasi sempre s’identifica un modello nutrizionale che per anni ha caratterizzato l’alimentazione del mezzogiorno italiano ovvero le regioni del Sud. Infatti, tutti i paesi di queste regioni disponevano di alimenti provenienti dall’agricoltura, dalla pastorizia e dalla pesca. La dieta mediterranea è oggi quella più praticata e forse la più studiata dagli esperti in quanto statistiche scientifiche sottoscrivono come, con questa alimentazione, diminuisce la possibilità di essere colpiti da numerose patologie. Le caratteristiche della dieta mediterranea sono legati all’uso abbondante di alimenti di origine vegetale: frutta, verdura, ortaggi, pane e cereali (soprattutto integrali), patate, fagioli e altri legumi, noci, semi), freschi, al naturale, di stagione, di origine locale.

L’ olio di oliva come principale fonte di grassi. E ancora latticini e formaggi consumati giornalmente in modestamoderata quantità, pesce e pollame con l’uso di carne rossa. A tutto questo si aggiunge il consumo giornaliero di un buon bicchiere di vino rosso, generalmente durante il pasto principale. Questa dieta quantifica un contenuto basso in grassi saturi (inferiore al 7-8%), ed un contenuto totale di grassi da meno del 25 a meno del 35% a secondo delle zone. Inoltre originariamente era associata a regolare attività fisica lavorativa, ad esempio nei campi o in casa. Attualmente la dieta mediterranea viene raccomandata perché: assicura un’ ade-

guato rapporto di nutrienti; si basa su cibi naturale e poco elaborati, lavorati e conservati; riduce il rischio per le malattie dette “del benessere” ovvero il diabete di tipo II, l’obesità e i problemi di natura cardiovascolare e circolatoria legati allo stile non corretto dell’alimentazione.

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Un calice di vino racconta millenni di storia umana

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asciando fermentare, totalmente o solo parzialmente, il mosto o anche l'uva pigiata o semplicemente passita si ottiene il vino. Questo termine ha origine dal sancrito “vena” (amare), da cui deriva anche il nome latino “Venus” della dea Venere. Lo stesso termine deriva da una radice proto indoeuropea “win-o” che nella lingua ittita fa “wiyana”, in licio, “Oino” e in greco antico, “οῖνος” (oînos), mentre nel greco eolico “ϝοίνος” (voinos). Anche se la Bibbia attribuisce la scoperta del processo di lavorazione del vino a Noè, subito dopo il Diluvio Universale, nel Valdarno Superiore, intorno a Montevarchi (AR), sono stati ritrovati in depositi di lignite, reperti fossili di tralci di

vite (Vitis Vinifera) risalenti a 2 milioni di anni fa. Studi recenti tendono ad associare i primi degustatori di tale bevanda già al neolitico; si pensa che la scoperta fu casuale e dovuta a fermentazione naturale avvenuta in contenitori dove gli uomini riponevano l’uva. Antiche tracce di coltivazione della vite sono state rinvenute anche sulle rive del Mar Caspio e nella Turchia orientale, ma si pensa che la produzione su larga scala inizi poco dopo il 3000 a.C. con la civiltà egizia. Il vino si può ottenere da uve appartenenti alla specie Vitis vinifera o provenienti da un incrocio tra questa specie e altre specie del genere Vitis, come per esempio la Vitis labrusca, la Vitis rupestris, ecc.; in Italia per la produzione di vino possono essere usate solo uve appartenenti alla specie Vitis vinifera. Con tale

bevanda si può dar vita anche a un nobile distillato che, se invecchiato per almeno 12 mesi in legno, prende il nome di Brandy. Per denominazione di origine dei vini (Doc) si intende il nome geografico di una zona viticola particolarmente vocata (dopo 5 anni può divenire Docg, “Denominazione di Origine Controllata e Garantita”), utilizzato per designare un prodotto di qualità e rinomato, le cui caratteristiche sono connesse all’ambiente naturale e ai fattori umani. La categoria dei vini Doc comprende i vini prodotti in determinate zone geografiche nel rispetto di uno specifico disciplinare di produzione, approvato con Decreto Ministeriale). È comunque una bevanda speciale se Gesù ne fa il Suo sangue “versato per voi e per tutti in remissione dei peccati” e anche san Paolo ne consiglia un bicchiere al giorno.

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Gli aperitivi

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in dall'antichità Greci, Etruschi e Latini avevano l'abitudine di far precedere i loro banchetti da bevande a base di vino, miele, resine, spezie e quant'altro fosse in grado di “aprire” all'assunzione del cibo. La parola aperitivo, deriva infatti da “aperio-aperire”. Caratterizzati da un gusto piacevolmente amarognolo, contenenti a volte anidride carbonica che li rende effervescenti, gli aperitivi sono bevande alcoliche o analcoliche, servite prima dei pasti come stimolo per l’appetito. Li accompagnano prodotti di vario genere, dai comuni salatini o arachidi, fino a tartine, fritture, formaggi, salumi e altro ancora, all'interno di una presentazione divenuta ormai tipica in molti bar alla moda che all'ora dell'aperitivo dedicano ai propri clienti l'happy hour. Ce ne sono in bottiglietta, alcolici, come il Campari soda (10°) e l’Aperol soda (3°), o analcolici, come il bitter rosso, il bitter bianco e il crodino. Possono essere

serviti lisci nel bicchiere flûte, con ghiaccio nel tumbler basso, a scelta con mezza fetta di limone o di arancia. Se si tratta di un vino servito come aperitivo, può essere un bianco secco, uno spumante secco o un vino liquoroso secco, come il Marsala, lo Sherry “fino” (Spagna) e il Porto (Portogallo). I Bitter sono aperitivi ottenuti per infusione idro-alcoolica, come il Bitter Campari, l’Aperol, il Biancosarti, il Cynar, il Rabarbaro, la China. Serviti lisci, con ghiaccio o allungati con Seltz, vengono proposti con l’aggiunta di arancia o limone, o shakerati, cioè agitati nello shaker con ghiaccio e serviti nella coppetta da cocktail. I Vermouth sono aperitivi a base di vino, usato come l'alcol nei bitter. Troviamo il “dry”, dal gusto secco, che si accompagna con una oliva verde in salamoia, zest o grasso di limone; il “rosso”, piacevolmente amarognolo, con mezza fetta di arancia; il “bianco”, dal gusto

dolce, con mezza fetta di limone. Serviti lisci o con ghiaccio, Bianco e Rosso possono anche essere proposti allungati con seltz. Per finire, ma la creatività dei barman è infinita, parliamo degli aperitivi all'anice. I più noti sono il Pernod, il Pastis e il Ricard, molto richiesti dalla clientela francese. Si servono nei tumbler alti allungandoli con acqua minerale naturale molto fredda, una parte di prodotto e 5 d'acqua.

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Buono come il pane

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aranno passati più di un milione e mezzo di anni da quando l’uomo di Giava macinava dei cereali fra due pietre per poi mescolarne la farina con acqua e cuocerne l’impasto su di una pietra rovente ottenendone un prodotto duro ma nutriente. Anche l'etimologia della parola “pane” è molto antica. Riconducibile alla radice sanscrita pa-, che definiva il latte materno, cioè bere o più in generale nutrire, da cui anche pa-sto, si accosta anche al significato di sostenere, proteggere, da cui pa-dre. Sta di fatto che il pane è uno degli alimenti più diffusi e consumati, in Italia, dove il Decreto del Presidente della Repubblica n.502 del 30 novembre 1998 ne stabilisce carat-

teristiche e denominazioni, e nel mondo. Ne esistono migliaia di varianti, negli ingredienti come nella loro quantità, dalla preparazione alla forma. Dagli ingredienti base, costituiti da farina, acqua, sale e lievito, che possono essere anche sostituiti con altri, si passa a una serie di combinazioni, di possibilità di arricchimento e di tempi di lavorazione pressoché infiniti e in gran parte legati alle risorse e alle tradizioni dei luoghi ove viene preparato e da lì diffuso. Intorno al 3500 a.C. gli Egizi scoprirono la fermentazione, con cui un impasto lasciato all'aria veniva cotto il giorno dopo; ne risultava un pane più soffice e fragrante. Dall'Egitto l'arte della panificazione passò in Grecia. I greci di-

vennero ottimi panificatori, ne producevano più di 70 qualità. Aggiunsero alle ricette di base ingredienti come latte, olio, formaggio, erbe aromatiche e miele. Furono anche i primi a preparare il pane di notte. Il pane ha un posto fondamentale nella tradizione mediterranea come componente primario dell'alimentazione, al punto che il termine stesso può diventare sinonimo di cibo o di nutrimento, non necessariamente fisico. Nella cucina più antica si usava il termine cumpanaticum (companatico) per indicare ogni preparazione che poteva accompagnarsi al pane, ma si pensi anche al termine “compagno” per indicare chi divide con te il pane. Può anche essere non lievitato, detto perciò azzimo, soprattutto nel caso sia da conservare per lunghi periodi. Diffuso in diversi paesi medio-orientali è prodotto senza aggiunta di sale.

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Frittura di pesce, facile ma non troppo

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issuta da alcuni chef del quotidiano come la cottura più difficile da gestire, mentre altri danno per scontato che per realizzare un piatto semplice come la frittura di pesce non ci vogliano poi così tanta abilità e dimestichezza, occorrono però alcuni accorgimenti fondamentali da tenere ben presenti per poterla realizzare al meglio. La frittura di pesce è una pietanza semplice e gustosa che incontra i favori di tutti i palati. Un piatto goloso che con le giuste accortezze potrà essere reso più leggero e si potrà proporre di tanto in tanto come variante del nostro menu. Come tutte le ricette più semplici, non richiede l'impiego di molti ingredienti nè, tantomeno, di lunghi passaggi di preparazione e cottura ma, proprio per la sua rapidità di preparazione, è fondamentale la cura dei dettagli per ottenere

un risultato perfetto. La ricetta che vi proponiamo è particolarmente adatta per la frittura di pesci piccoli, al massimo fino a 200 g di peso ciascuno, i filetti, il pesce a pezzetti, piccoli crostacei e molluschi. La prima regola di una buona frittura è che venga fatta rapidamente in olio ben caldo, 200 °C per i pesciolini lunghi 3-5 cm e 180 °C per quelli più grossi, in modo che il pesce risulti croccante fuori e morbido dentro. Ricordarsi che il pesce va tolto dal frigorifero e va lasciato a temperatura ambiente per circa un'ora e prima di essere fritto, va bagnato nel latte. Occorre quindi immergere in un quarto di latte, 500 g di pesciolini lavati. Bisogna lasciarli immersi per qualche minuto, per poi sgocciolarli e asciugarli. Dopo aver disposto abbondantemente

della farina in una ciotola, adagiarvi i pesciolini, rigirandoli accuratamente, sollevandoli con le mani, oppure potete metterli in un sacchetto con la farina, chiuderlo, scuoterlo, per poi rovesciarli su di un setaccio e scuotere fino a eliminare l’eccesso di farina. Mettere sul fuoco almeno mezzo litro di olio in una padella per fritti munita di cestello; prima di mettervi i pesciolini, immergere il cestello nell'olio bollente in modo che ne prenda la temperatura; adagiare quindi i pesci nell’olio caldo, facendoli dorare, dunque sgocciolarli bene con il cestello e salarli solo a fine cottura, altrimenti il sale, richiamando all’esterno l’umidità del pesce, ne riduce la croccantezza.

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LA PIZZA, ITALIANITà NEL MONDO

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uando si parla di pizza, la nostra mente identifica una particolare specialità definita come un prodotto gastronomico di origine napoletane. Un particolare piatto conosciuto oggi in tutto il mondo e che rappresenta l’italianità culinaria nel mondo. In assoluto, le prime attestazioni scritte della parola "pizza" risalgono al latino volgare della città di Gaeta intorno all’anno 997. Un successivo documento, scritto su pergamena d'agnello, di locazione di alcuni terreni e datato sul retro 31 gennaio 1201 presente presso la biblioteca della diocesi di Sulmona-Valva, riporta la parola "pizzas" ripetuta due volte. La pizza, per come la intendiamo noi, ha una stoia lunghissima che sembra iniziare agli inizi del XIX secolo. E’ vero che alimenti simili a focacce erano già conosciuti presso gli Egizi e i Greci, ma nulla avevano a che fare con il piatto più consumato dagli italiani che per essere tale deve presentare alcune e in-

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dispensabili caratteristiche: pasta tondeggiante, pomodoro fresco, mozzarella (necessariamente di bufala) e basilico. Nel tempo e con il passare degli anni a questi ingredienti sono stati aggiunti altri alimenti per migliorarne sia il gusto “personale” sia per offrire maggiori possibilità di scelta al consumatore. Oggi sono numerosi i tipi di pizza che non solo prendono il nome dagli ingredienti usati, ma anche dalla forma della pasta data dal pizzaiolo. Si hanno quindi pizze tonde, pizze al taglio (di forma rettangolare), pizze al metro (venduta appunto in lunghezza stabilita) e le focacce che vengono cotte, specialmente nel meridione, dentro particolari contenitori di alluminio o metallo con

l’aggiunta anche di verdura e insalate varie. Per la pizza al taglio o pizza in teglia la pasta lievitata viene stesa, condita e cotta in grandi teglie di metallo tonde o rettangolari e poi messa in mostra per essere venduta a peso a scelta del cliente o, in casa, consumata a tranci. La vendita di questa varietà di pizza è diffusa oltre che nelle pizzerie al taglio vere e proprie, anche nelle panetterie.


Italia, spaghetti e mandolino

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ire "spaghetti", si sa, è come dire "pasta" e un luogo comune mondiale associa l'Italia agli “spaghetti e mandolino”. Si dice li abbiano inventati i cinesi perché è stato rinvenuto un piatto molto simile nel Nord Est della Cina, risalente a 4000 anni fa, ma quelli erano spaghetti di soia, il grano è venuto dopo. Un testo del XII secolo, 100 anni prima di Marco Polo che ne parla nel “Milione”, cita la ricetta degli spaghetti, ma ci sono altre testimonianze che collocano in Arabia e in tutto il bacino del Mediterraneo questa abitudine alimentare. Gli italiani sono però da sempre riconosciuti come il popolo che sa prepararli meglio Il fattore determinante, infatti, è tutto nell’essiccazione che deve avvenire in un clima caldo e asciutto per evitare la formazione di muffe. Non si sa con certezza se questo procedimento venne inventato dagli arabi o dai cinesi, ma di certo l'Italia è stata favorita dal clima mite e temperato per una essicazione ottimale. Sono un particolare formato di pasta prodotta esclusivamente con farine di grano duro e acqua, dalla forma lunga e sottile e di sezione tonda. Li si distingue da altri formati analoghi, quali i vermicelli, poiché, rispetto a questi ultimi vengono trafilati con una sezione minore. Il calibro indicato dal numero può variare leggermente da un produttore a un altro; può variare anche l'aspetto a seconda del tipo di trafilatura usato, cioè la superficie può presentarsi liscia o rugosa, ottenuta con trafile in bronzo. I capelli d'angelo sono probabilmente la variante più simile all'antico progenitore duro siciliano, ancora oggi chiamati tria in Sicilia e in Puglia. La scelta di una trafilatura rispetto a un'altra dipende dal tipo di condimento da abbinare. In Italia vengono preparati secondo diverse e molteplici ricette tradizionali, spesso con salsa di pomodoro e spolverati con un formaggio, duro e stagionato, grattugiato, il tutto accompagnato con foglie di basilico. All'estero gli spaghetti sono serviti con numerose varianti, come per esempio, spaghetti al prosciutto, guarniti con ampie fettine di prosciutto e senza altro condimento, oppure venduti in lattina, nel NordEuropa, già cotti e con una sorta di ragù alla bolognese.

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Anguria e melone per un'estate alla grande

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nguria e melone, due cucurbitacee come la zucchina, la zucca e il cetriolo, sono considerati gli alimenti tipici dell’estate perché freschi, dissetano facilmente e reintegrano alla perfezione tutti i sali minerali che si perdono con il sudore, vere fonti d'acqua, nutrienti e vitamine. L'anguria buona si riconosce dalla buccia di un verde intenso, tesa, turgida e lucida che, se “bussata” con le nocche, produce un suono sordo. Il melone, invece, dal profumo molto dolce e intenso, deve avere un colore giallastro, la scorza non deve presentare “ferite” o ammaccature e non deve “risuonare”. Si deve evitare di esporli al sole o al calore. Il melone in particolare non deve esser esposto a temperature sotto i 5° C. e può resistere fino a una settimana se acquistato ancora acerbo, ma non va posto nel frigorifero assieme alle verdure, poiché sviluppa una fermentazione alcolica (etilene) che lo deteriora velocemente. Il cocomero, o anguria, e con valori molto simili il melone, è costituito per il 95% da acqua, privo di grassi e ipocalorico, poiché contiene meno di 4 gr di zucchero su 100 gr. I suoi aromi naturali, producono un senso di sazietà, consigliato quindi per chi è a dieta. Mangiarne una fetta prima di pranzare, riduce la fame e soddisfa anche la naturale voglia di dolce. È depurativo, diuretico, protettivo per il fegato e decongestionante delle vie respiratorie, facilmente digeribile, soprattutto se mangiato prima del pasto principale. Possiede buone quantità di vitamina A, C e potassio (il melone di più) e i semi hanno un effetto purgante, meglio non mangiarli. Il licopene che dona il colore rosso è un antiossidante atto a contrastare i radicali liberi e l’invecchiamento della pelle con capacità protettive della vista, cardiovascolari, antitumorali e di rafforzamento e potenziamento del sistema immunitario; i Sali minerali come

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il potassio, il sodio, il calcio e il fosforo, permettono al fisico di combattere spossatezza e stanchezza tipiche dell’estate e del caldo. Il melone, oltre alle qualità dell'anguria, contiene betacarotene che stimola la produzione della melanina, regola il sistema nervoso e la pressione arteriosa e fortifica le ossa e il cervello con calcio e ferro. Come riportato dall’Accademia Nazionale dell’Anguria, David Livingstone, un'esploratore dell'Africa, scrisse che il cocomero cresceva abbondante nel deserto del Kalahari, dove sembra che esso abbia avuto origine. Lì il frutto cresce selvaggio ed è conosciuto come Tsamma (Citrullus lanatus var citroides). Nel secolo X d.C. il cocomero era coltivato in Cina, paese che attualmente ne è il primo produttore mondiale. Nel XIII secolo il frutto venne introdotto in Europa dall'invasione dei Mori. Il melone invece sembra essere originario dell’Asia centrale. Dapprima si diffuse in India e Cina e successivamente nel bacino del Mediterraneo. Antichi disegno

trovati nella città di Ercolano ci dicono che questo frutto giunse nel nostro paese nell’Era Cristiana e Plinio il Vecchio, nei suoi scritti, usava precisare che questa prelibatezza era molto ricercata e desiderata dall’Imperatore Tiberio.



 di Armando Munao’

LA RESIDENZA RODODENDRO PER UNA VITA SERENA Uno dei particolari periodi della nostra esistenza è quando l’età avanzata ci porta a entrare in quella dimensione della vita dove tutto il quotidiano assume contorni dalle caratteristiche uniche: l’anzianità. Ed è proprio questa dimensione che ci rende diversi dagli altri perché diverso è il nostra vivere e il nostro modo di trascorrere il tempo. Un periodo della nostra esistenza che ci rende più fragili, più vulnerabili e più bisognosi di affetto e di attenzioni. Ecco perché, in questo contesto, grande importanza assumono la propria abitazione, la propria residenza, o quei particolari luoghi pubblici o privati preposti alla nostra accoglienza. Strutture importanti dove tutti noi, raggiunta quell’età, desideriamo sentirci a nostro agio, assaporando e vivendo la serenità e la tranquillità giornaliera circondati dagli affetti familiari, dei nostri cari o da nuove amicizie che si creano e maturano e che ci aiutano a trascorrere il tempo del “domani”.

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a Residenza Rododendro è stata concepita come una piccola comunità in cui gli anziani possono trascorrere gli ultimi anni della propria vita (fino a che si rimane autosufficienti), godendo di tutta la privacy nel proprio alloggio e nel contempo condividere alcuni momenti comuni trovandosi immersi in un ambiente di amicizia, di serenità e aiuto reciproco. La sua collocazione posta nella piazza principale di Borgo Valsugana permette di essere facilmente raggiungibili da partenti e amici e anche fare, senza difficoltà alcuna, le commissioni quotidiane o anche passeggiare per le vie del paese a stretto contatto con il centro storico e le sue attività commerciali. E' costituita da 11 minialloggi, modernamente attrezzati, destinati ad anziani autosufficienti che desiderano godere di un appartamento individuale a costo molto contenuto e in cui sia possibile tutelare la propria privacy, senza per questo sentirsi soli, proprio in quel periodo della vita in cui la solitudine può aprire le porte alla depressione e tristezza. Una gestione, quella della Residenza, decisamente attiva e funzionale grazie, sia all’aiuto dei volontari che in essa collaborano e che rappresentano uno dei punti “qualificanti” e più importanti della struttura e sia alla presenza di personale di segretaria e a quello incaricato della pulizia delle parti

comuni. Tutti gli ospiti, molto solidali tra loro, dispongono di un servizio di segreteria coordinato da Maria Elisa Galvan, dove si possono rivolgere per la soluzione di eventuali problemi, e di un servizio di pulizia degli spazi comuni. E a proposito di spazi è utile sottolineare che all'interno della struttura sono presenti: un ampissimo e luminoso corridoio in cui è possibile passeggiare, nel periodo invernale o in caso di maltempo, da soli o in piacevole compagni con altri ospiti; una grande sala comune, che gode di un bel panorama e si affaccia su Piazza Romani, all'interno della quale si possono scambiare “due chiacchiere” o vivere momenti di gioiosa allegria magari festeggiando un compleanno, un anniversario o più semplicemente un piccola festicciola tra amici. E nella bella stagione si può anche godere del parco della Fondazione. Alcuni volontari, (Rosangela Peruzzo e Mariarosa Cadonna), sono presenti nella struttura più volte alla settimana, per parlare con loro e, all'occorrenza, presentare e discutere le problematiche quotidiane. Ed è anche funzionale un servizio di assistenza religiosa e una coppia giovane alloggia nella Residenza che, quando è presente, è in grado di attivare servizi di emergenza anche notturni. La Residenza Rododendro (al 3° piano della struttura) è servita da ascensore che aiuta gli spostamenti verso l'interno e l'esterno.


DALL’ORFANOTROFIO “MARIANNA SETTE”

alLa FONDAZIONE ROMANI SETTE SCHMID Un lungo cammino di solidarietà cristiana e civile. L'origine delle Istituzione, che ha sede a Borgo Valsugana, Piazza Romani, 8, risale al 1838, data della morte della Signora Marianna Sette di Borgo Valsugana, la quale destinò il suo patrimonio ad “ un erigendo orfanotrofio femminile di Borgo”. Detto legato costituì il primo patrimonio per la costruzione del Pio Istituto, inaugurato il 6 settembre 1839 legalmente riconosciuto, in data 30 aprile 1839. A partire dal 1854 e fino al 2000 la gestione dell'Orfanotrofio fu garantita dalla presenza e del servizio delle Suore di Carità delle SS: Capitanio e Gerosa. Nel 1910, l'arciprete Don Luigi Schmid ampliava l'orfanotrofio istituendo, con offerte proprie e di benefattori, un reparto maschile. Nel 1940 l’Orfanotrofio, per decreto governativo, veniva trasformato in Istituzione

Per poter usufruire di uno dei minialloggi della Residenza Rododendo occorre presentare la domanda, completa della relativa documentazione, presso la segreteria che è aperta dalle 9.00 alle 11.00 Tel: 0461 753134 email: fondazioneromani@virgilio.it. E' possibile, con accordi e appuntamenti, visitare la Residenza.

Pubblica. I fratelli Pietro e Carlo Romani donavano all'Orfanotrofio la sua attuale sede costruita sulle rovine della casa di famiglia distrutta durante la seconda guerra mondiale, che veniva inaugurata il 19 agosto 1955. In segno di riconoscenza, il Consiglio di Amministrazione dell’ente, proponeva di modificare l’intitolazione statutaria dell’Orfanotrofio affiancando il cognome Romani a quelli dei precedenti benefattori; questo veniva poi denominato Istituto. Con provvedimento del 22 giugno 1999 la Regione Trentino-Alto Adige dichiarava la depubblicizzazione dell’Istituto Romani Sette Schmid che, scegliendo la veste giuridica e la denominazione di Fondazione, ritornava nell’alveo degli enti privati con la denominazione di Fondazione Romani Sette Schmid.

L’ingegnier Romani Romani

Come era agli inizi del 1900

Il Consiglio di Amministrazione, dopo l'assemblea del 26 giugno 2015 è stato ampiamente rinnovato. Presidente: Romano Romani,V icepresidente Gianfranco Scharffl, e i con siglieri: Mariarosa Cadonna, Maria Elisa Galvan, Ivano Lorenzin, Nicoletta Molina ri, Daniele Morandini, Rosangela Per uzzo e Alessandro Smaniotto. I Revisori dei Conti: Francesco Ferrai (Presidente), Giulio Capra e Pao lo Sollenni (Revisori). Nelle attività “istituzionali” del la Rododendro sono coinvolti anc he altri membri della Fondazione Roma ni che contribuiscono fattivamente alla ges tione della Residenza.

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NO RONCEG

 di Mario Paccher

Roncegno e la Grande Guerra

È

stato presentato recentemente presso il teatro parrocchiale di Roncegno, il libro di Vitaliano Modena “Roncegno e la grande guerra - gli anni della ricostruzione”. Una ricca pubblicazione per lo storico Vitaliano dopo “Roncegno e i profughi” e “La nostra guerra”, che l’autore purtroppo non è riuscito a mandare alle stampe poiché se n’è andato nel 2014. Ma il prezioso contenuto di questo volume che narra le vicissitudine di tante persone durante il periodo bellico e la ricostruzione di Roncegno al termine del conflitto, non per questo è caduto nel vuoto: il figlio Stefano Modena ha voluto completare l’opera e provvedere alla sua pubblicazione. La serata di presentazione è stata introdotta da alcuni canti del Coro S. Osvaldo di Roncegno a cui ha fatto seguito l’intervento del presidente della Cassa Rurale Marco Hueller, l’Istituto che ha finanziato l’opera e che farà omaggio del libro a tutte le famiglie di Roncegno. Un gesto significativo questo con il quale la Cassa ha inteso ricordare anche il 120^ anno della sua fondazione. Stefano Modena e lo storico Luca Girotto hanno illustrato il contenuto del libro, fatto di tante narrazioni, interviste e un gran numero di foto di soldati e personaggi di Roncegno, nonché di case distrutte dai bombardamenti, così come le hanno trovate i profughi roncegnesi al loro ritorno alla fine della guerra. L’opera di oltre 300 pagine, si suddivide in tre capitoli principali: “Gli anni della guerra”, “gli anni del dopoguerra” e “la ricostruzione”. Un ricordo dell’insegnante Vitaliano Modena, uomo sensibile e dotato di grande buon senso, l’ha espresso Pierino Donati che è stato sindaco di Roncegno per 20 anni e che l’ha avuto per lungo tempo al suo fianco come assessore. Alla serata hanno presenziato, accanto ai famigliari di Vitaliano, centinaia di persone venute pure da fuori per testimoniare l’affetto verso un uomo che ha lasciato un segno indelebile del suo passaggio terreno, non solo culturale ma anche umano. L’appuntamento è stato condotto da Ugo Baldessari con voce narrante di Mario Costa. Parole di vivo apprezzamento per questa iniziativa sono venute poi dal sindaco di Roncegno Mirko Montibeller che ha pure presenziato alla premiazione degli studenti meritevoli da parte della Cassa Rurale, per mano del presidente Hueller e del direttore Alberto Rensi.

VACANZE IN BAITA

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ambio della guardia al vertice dell’Associazione Vacanze in Baita. Dopo 15 anni di presidenza Franco Ferrai ha passato il testimone a Marica Sammartano, eletta in occasione dell’assemblea dei soci che si è svolta a Levico. Nata nel 2010, questa realtà oggi coinvolte ben 56 strutture, in tutto oltre 300 posti con 30 baite aperte tutto l’anni. Si parla di strutture con una media di 5 posti letto, mediamente usufruibili per 120 giorni l’anno e che alimentano un flusso di turisti di circa 34.200 presenze annue. All’Associazione aderiscono affiliati della Valsugana, val dei Mocheni, Altopiano della Vigolana, Pinè e della valle di Sole, Pejo e Rabbi. Tutte le strutture sono sottoposte ad un sistema di classificazione che certifica l’impegno dei gestori nella formazione e nel sottostare a precisi standard qualitativi. Franco Ferrai ha deciso di passare la mano, restando però nel direttivo come vice presidente. Sono stati eletti consiglieri Tiziano Dossi, Carlo Pedrolli, Claudia Marchesoni, Manuela Valentinotti, Erica Ceschi, Luigi Montibeller, Paolo Rensi, Barbara Caresi ed Enrico Boler. (a.d)

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LEVICO TERME

Agrippino Russo, un regista ed un maestro di vaglia

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l signor Ferruccio Galler, partecipe come attore di alcuni film del regista Agrippino Russo ha dato l’annuncio della scomparsa dell’autorevole regista,insegnante, animatore ed uomo di notevole cultura. Agrippino” Pino”, il Marito, il Papà, il Maestro, il Regista, il Poeta, mancherà a tutti noi. Mancherà a Levico e Roncegno Terme,alla zona dei due laghi ed alla Valsugana, al Trentino. Dopo un periodo in cui scrisse ottime liriche in italiano, indirizzò il suo interesse al mondo dei documentari, dei documentari storici, delle peice narrative e cercando pure di rendere in film alcune favole classiche. Ambedue venivamo da famiglie del commercio.Ci frequentavamo, oltre i tempi dell’insegnamento, anche l’estate con due negozi contrapposti su via Dante Alighieri .Verso sera avevamo un po’ di tempo per conversare di libri, di autori, di ns. scritti,a volte di scorrere terze pagine dei vari quotidiani regionali italiani.. Mi sembra siano passati tanti anni, ma in quelle occasioni Pino mi diede delle Sue Poesie da commentare o presentare. Nel

frattempo aveva pensato però altre cose, così rimasero degli inediti. Si i riservava di parlarne in seguito. Aveva in mente già progetti di film e documentari Quelle liriche non sono molte, però sono bei testi che assieme alla famiglia, alle Associazioni che ha frequentato, potremo eventualmente presentare con la Biblioteca locale, assieme ad alcuni suoi film. Grazie a Lui ed ai Suoi figli ho conosciuto Filicudi come se ci fossi andato, così potevo conversare con gli amici come avessi scarpinato e passeggiato su quell’Isola anche per me incantata. Sento che abbiamo perso una vera Persona, umile e tenace,buona e sapiente, innamorata della Sua Famiglia e delle Sue mete culturali. So che Papà Pino è stato un Maestro amato dai Suoi scolari: ne conserveranno sempre un grato durevole ricordo. Alla Famiglia si chiede di essere fotei come lo è stata in tutto questo tempo faticoso della Sua malattia e rimanete sempre uniai nel Suo nome ed esempio. (L.D.)

UNA SERATA A VIGO MEANO “Vigo Meano chiama il mondo……, così lontani……, così vicini”. Questo il titolo che la scuola primaria “Italo Calvino” di Vigo Meano ha voluto dare, tramite la maestra Marta Battistel ed il collega Sergio Oliver, alla recente serata organizzata in collaborazione con l’Associazione Unione delle Famiglie Trentine all’Estero ONLUS di Trento. In quel partecipato incontro al quale hanno presenziato anche persone della Valsugana, c’è stato un collegamento audio-video in diretta Skipe con la famiglia trentina di Rafaela in Argentina, una delle più grandi e attive Famiglie trentine dell’Argentina, attualmente presieduta da Maria Elena Panizza. Racconti, interviste eseguite dall’insegnante Roberto Patton e lavoretti riguardanti ricerche sull’emigrazione, realizzati dalla classe terza e quarta dell’istituto. Testimonianze, esperienze di vita raccontate da mamme e bambini, un video del prof. Roberto Bazzanella sull'emigrazione Trentina. Ed ancora emozionanti filmati rivolti al ricordo di chi a suo tempo ha lasciato la propria terra, il Trentino, in epoche di miseria per andare lontano a cercare fortuna. Molto applauditi sono stati poi gli intermezzi musicali del fisarmonicista Mauro Bo e del Gruppo Caro-

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VIGO MEANO

vana delle Fisarmoniche di Rafaela, nonchè del gruppo musicale giovanile di Vigo Meano "Jò Band Cesare Saltori" diretto dal maestro Marcelo Burigo di origine brasiliana catarinense e un video del Coro S. Vigilio, sempre di Rafaela. Fulcro di questa serata è stata Marcela Valler originaria di Vigo Meano, segretaria della Famiglia Trentina di Rafaela, molto legata alla terra dei suoi avi, emozionatissima all’inizio del collegamento. Sono stati poi presentati e premiati i lavoretti degli alunni della 3^ e 4^ elementare sull’emigrazione. Al termine della serata la presidente Giorgia Pezzi, che era accompagnata dal suo vice Giancarlo Filoso, ha voluto ringraziare tutti per la collaborazione, in particolare la Società Italiana "Victor Mauel II" di Rafaela per aver reso possibile il contatto audio video. (M.P.)


DAL TESINO

MOSTRA “MARCIAR, BISOGNA MARCIAR… LA POPOLAZIONE TESINA PROFUGA NEL REGNO D’ITALIA DAL 1916 AL 1919

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cent’anni da quei tragici ultimi giorni di maggio del 1916, ha aperto i battenti a fine maggio la mostra fotografica/documentaria "Marciar, bisogna marciar... la popolazione Tesina profuga nel Regno d'Italia dal 1916 al 1919". Gli oggetti, assieme alle fotografie e alle lettere ingiallite da cento anni di vita, gelosamente custoditi per un secolo e recuperati, sono i testimoni di un difficile periodo, quello della profuganza della gente Tesina, donne, vecchi e bambini (gli uomini erano già partiti per i fronti di guerra già dall’estate 1914), costretti a lasciare la terra natìa ed a vivere, ovvero a sopravvivere, in oltre 150 paesi del Regno d’Italia, fino al 1919. Sono frammenti di vita, esperienze che segnarono duramente la comunità Tesina, rafforzandone ulteriormente il carattere e l’identità. La mostra, ideata e curata da Graziella Menato Podestà, sarà articolata in tre periodi (fino al 24 luglio a Castello Tesino, dal 31 luglio al 28 agosto a Pieve Tesino e dal 18 dicembre al 06 gennaio 2017 a Cinte Tesino). Dopo la pubblicazione del volume "Terra Tesina", Graziella dedica a coloro che non tornarono il lavoro di ricerca e di recupero, preziosi tasselli di memoria volti a ricordare e a

far conoscere, alle nuove generazioni, un tassello importante della nostra storia; comprendere meglio ciò che fummo costretti ad affrontare cento anni fa ci induce forse a considerare attuali forme di esilio e migrazioni, trovandone più corretta collocazione storica ed umana. L’organizzazione si avvale della collaborazione del Centro Tesino di Cultura, delle Amministrazioni comunali di Castello, Pieve e Cinte Tesino, della Provincia Autonoma di Trento Servizio per il sostegno occupazionale e la valorizzazione ambientale, della Cassa Rurale Valsugana e Tesino, della Tipografia Litodelta di Scurelle e di diversi operatori economici della valle. (A.D.)

RONCEGNO

120 CANDELINE PER LA CASSA RURALE

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a Cassa Rurale di Roncegno ha festeggiato domenica 12 giugno i 120 anni di fondazione. La giornata è iniziata al mattino con una solenne S. Messa nella arcipretale celebrata dal parroco don Paolo Ferrari, alla quale hanno partecipato numerosi soci, autorità locali e tanti comuni cittadini. La cerimonia con i discorsi ufficiali è proseguita poi presso il “Salone delle feste” del Palace Hotel di Roncegno. Il presidente Marco Hueller ha tracciato una cronistoria dell’Istituto mettendo in risalto i momenti più significativi vissuti in questa lunga pagina di storia. Hanno usato parole di apprezzamento per l’insostituibile ruolo della Cassa a sostegno dell’economia locale e di tante famiglie, la vicepresidente vicaria della Federazione Marina Castaldo e Ruggero Carli direttore del settore credito della Federazione. In rappresentanza dell’amministrazione comunale di Roncegno era presente l’assessore Marina Frainer. Sono stati quindi premiati con una targa i 10 soci “più

anziani”, quelli che vantavano un maggior numero di anni di iscrizione: Famiglia Cooperativa Lagorai iscritta dal 1914. Poi Emanuele Hueller socio dal 1956; Tullio Boschele dal 1956; Giorgio Facchini dal 1959; Luigi Giovannini dal 1960; Giovanni Oberosler dal 1960; Carmelo Montibeller dal 1964; Anna Maria Oberosler dal 1964; Giuseppe Facchini dal 1964 e Alberto Hoffer dal 1965. E sempre nell’ambito dei festeggiamenti per i 120 anni di fondazione, come ci ha rammentato il direttore Alberto Rensi, va ricordata la sponsorizzazione da parte della Cassa dell’ultimo libro storico di Vitaliano Modena “Roncegno e la grande guerra”, già presentato lo scorso venerdì 10 giugno presso l’Oratorio. (M.P)

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LEVICO TERME

I MICOLOGI DEL “BRUNO CETTO”

BEPI POLACCO E LE SUE POESIE

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a Sezione S.A.T. di Levico Terme, il Cenacolo Valsugana, la Biblioteca comunale e l’Associazione Chiarentana, hanno organizzato presso la sala del consiglio comunale, una serata: “Se vuoi vedere l'incanto dei nostri monti …”, con foto e poesie di Bepi Polacco. Durante l’appuntamento sono state recitate alcune poesie prodotte dalla sua vena creativa e proiettata una serie di immagini scattate dall'autore stesso. Lettori: Umberto Uez, Aurelio Micheloni e i componenti del Cenacolo Valsugana. Alcuni suoi versi: “Vecio Capitelo che t'è visto 'l suor, le fadighe de tanta zente: ai nostri noni che i è nai avanti e anca a noi che sen ancor chi.” Giuseppe (Bepi) Polacco vive a Levico Terme, è padre di tre figli, di professione era tecnico della SIT e successivamente dell’Enel. Ora novantacinquenne, ha sempre partecipato attivamente alla vita sociale della comunità. La sua passione è da sempre la poesia. Autore del libro di racconti e poesie “La ragione del ricordo e poesie” edito dalla SAT di Levico, scrive su “Strenna Trentina”, la rivista di folklore “Ciacere en trentin”. Ha scritto poesie per il Circolo Anziani e per la SAT di Levico di cui è sempre stato tesserato. È membro del Cenacolo Valsugana e dell’Associazione culturale Chiarentana. I presenti hanno espresso grandi apprezzamenti per questa sua vena poetica, e per aver saputo cogliere e descrivere tanti momenti di vita vissuta in questo grande mondo che ci circonda. (M.P)

n un’atmosfera particolarmente festosa, è stato celebrato recentemente il 40° anniversario di fonazione del Gruppo Micologico “Bruno Cetto” di Levico Terme. Presenti oltre sessanta tra soci e famigliari, con ospiti d’onore il Sindaco di Levico Michele Sartori ed il Consigliere Provinciale Gianpiero Passamani. Il primo cittadino Michele Sartori, come ci ha testimoniato il segretario Roberto Coli, dopo essersi congratulato con il presidente Marco Pasquini e con tutti i premiati per il prestigioso traguardo di 40 anni di ininterrotta iscrizione al Gruppo, ha proceduto assieme al consigliere provinciale Gianpiero Passamani, alla consegna dei diplomi di benemerenza con medaglia commemorativa. “In una città come Levico Terme, ha detto il sindaco, la presenza di una Associazione tanto attiva come il Gruppo Micologico, è motivo di grande orgoglio per tutti. Grazie ancora per l’attività intelligente che da anni svolgete in favore di tutta la collettività”. Con un grande applauso ma anche con tanta commozione, è stato consegnato a Marco Rover il riconoscimento che doveva essere ritirato dallo zio don Aldo Rover, venuto a mancare proprio pochi giorni prima. La serata è proseguita con tanta allegria fatta di aneddoti e ricordi con l’auspicio reciproco di un felice proseguimento dell’attività, sempre all’insegna dell’amicizia e della collaborazione. (M.P)

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GLI APPUNTAMENTI ARTE SELLA: SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE Sabato 16 alle 19, concerto serale nella splendida location di Malga Costa, con la partecipazione dell’Orchestra Spira Mirabilis e il Coro voci bianche della Scuola di Musica di Fiesole. Prenotazione obbligatoria fino ad esaurimento posti.

progettazione, dal recupero delle acque alla fitodepurazione, dal fengshui alla pulizia energetica, dai campi elettromagnetici alle energie pulite, dalle pulizia ecologica al "condizionamento naturale" e tanto altro.

VERTICAL CIMA D’ASTA FESTIVAL DEL BENESSERE SOSTENIBILE Per le vie del paese arriva la festa del vivere in armonia con l’ambiente, da venerdì 22 a domenica 24 luglio. Si parlerà della pittura al materiale di costruzione, dal risparmio energetico alla

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Con partenza alle ore 9 da Loc. Sorgazza, sabato 23 luglio, il team Lagorai in collaborazione con il Rifugio di Cima d’Asta, organizza la prima edizione della Vertical Cima d’Asta. La corsa competitiva in salita avrà una lunghezza di 6 km.


DAL TESINO

SERGIO MATTARELLA A PIEVE TESINO

Su invito della Fondazione Trentina Alcide De Gasperi, giovedì 18 agosto, nel pomeriggio, a Pieve Tesino il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sarà il protagonista della Lectio Degasperiana.

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na presenza prestigiosa, con la più alta carica istituzionale italiana che ha accettato l’invito degli organizzatori. Per l’occasione terrà un breve intervento sul tema “70 anni di una Repubblica europea. La visione e il coraggio di Alcide Degasperi”. A settant’anni dal referendum tra Monarchia e Repubblica, che ha visto la partecipazione al voto delle donne italiane, a settant’anni dall’accordo De Gasperi –Gruber che è alla base anche dell’autonomia trentina – il Presidente della Repubblica onorerà il coraggio e la visione dello statista italiano. Parlerà delle sfide che ci attendono, là dove De Gasperi nacque, nel cuore di una delle aree più significative dell’Italia, teatro della Prima guerra mondiale, ma anche Alcide Degasperi

terra di passaggio di uomini e di idee tra l’Europa al di là delle Alpi e il Mediterraneo. Oggi, come settant’anni fa, il nostro Paese è impegnato nella ricostruzione del proprio tessuto civile e sociale in una complessa situazione europea e internazionale. La liberIl Presidente Sergio Mattarella tà, la giustizia, la pace e l’unione dei popoli europei, nel rispetto delle loro diversità, sono stati i cardini della politica internazionale di De Gasperi che ha guidato il governo della Repubblica per un decennio. Con lo statista trentino, che fu anche il primo Capo dello Stato, si aprì «la via repubblicana dell’Italia», una sintesi complessa tra istituzioni, partiti e società. La Lectio degasperiana non è un appuntamento solo per esperti di storia, ma l’occasione per riflettere sui temi di quell’attualità che supera i piccoli eventi e che abbraccia il senso profondo del vivere civile. Il coraggio politico, la fiducia negli italiani e la rettitudine morale dello statista trentino possono indicarci non solo uno stile di governo, ma di convivenza democratica. (A.D.)

NOVALEDO

IL MASO SAN DESIDERIO

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anno presenziato più di cento persone quest’anno alla festa al Maso San Desiderio, svoltasi nel piazzale all’interno dell’antico fabbricato, situato sul confine fra il comune di Levico e quello di Novaledo. Prima ancora della S. Messa celebrata dal francescano padre Giovanni Patton, lo storico Luigino Giongo ha presentato una ricca documentazione sulla vita e le opere del grande Santo Desiderio, nato e vissuto in provincia di Genova. Il Maso san Desiderio sarebbe stato costruito ancora prima dell’anno Mille, al tempo dell'Imperatore Enrico II^, quando fu costituita la Contea di Trento quale feudo del Romano Impero. In quei tempi remoti già esisteva ed era usato come "rifugio" ai passanti carrettieri trasportatori di merci che transitavano lungo la Valsugana.

Qui sostavano nell'ampio cortile recintato a muro alto due metri e chiuso da due grandi portoni e qui facevano riposare le bestie mentre loro prendevano cibo nella modesta locanda gestita dai "Padri Ospedalieri" sotto il Vescovado di Feltre. Passavano la notte e al mattino seguente proseguivano per la loro strada. Non è certo, ma si crede, che durante la gestione della locanda fossero stati proprio loro, i Padri, a riservare una parte della casa per poter esercitare il culto delle Fede Cristiana. Cosìnacque la piccola chiesetta che i Padri misero sotto la protezione di San Desiderio. Alla chiesetta venivano fino al 1737 gli abitanti di Campiello e di Novaledo, fino a quando poi venne costruita la parrocchiale di Novaledo. (M.P.)

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Importante progetto realizzato da Altri Orizzonti di Borgo Valsugana

RIQUALIFICATO IL REPARTO MATERNITà DI MODJO IN ETIOPIA L

’Associazione di Solidarietà Sociale “Altri Orizzonti” di Borgo Valsugana, ha realizzato un altro importantissimo progetto in Etiopia portando a compimento la riqualificazione del Reparto maternità della Clinica di Modjo in Etiopia. Un risultato umanitario ottenuto grazie alla solidarietà dei borghesani e ai contributi della Cassa Centrale Banca di Credito Cooperativo del Nord Est di Trento, del BIM di Borgo Valsugana, della Comunità di Valle di Borgo Valsugana e della CROSS – Cassa Rurale Olle-Samone-Scurelle. Istituzioni, queste, sempre sensibili ai progetti umanitari e di solidarietà sociale. Per questo motivo, per pubblico ringraziamento e per riconoscenza all’Associazione è stato denominato reparto “Altri Orizzonti”. All’esterno della struttura, infatti, è stata affissa una targa ricordo (realizzata e donata dalla ditta Inpero di Borgo Valsugana), che ha dato il nome al reparto e che contiene i nominativi e il loghi delle Istituzioni che hanno concretamente collaborato alla realizzazione di questo importante obiettivo che ha il precipuo scopo di offrire un migliore servizio

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alla popolazione, con particolare riguardo alle mamme nel periodo prenatale, post parto e ai neonati nonché a bambini fino a 5 anni di età. Un progetto, la riqualificazione del reparto maternità, che si unisce a tutte le altre opere che Altri Orizzonti ha saputo realizzare in questi anni. Un rico-

noscimento particolare a Giovanni De Marchi che oltre al costante impegno in Valsugana si è recato per l’ottava volta in Etiopia per testimoniare a Padre Angheben di Vallarsa, da oltre 35 anni missionario in Etiopia, e ai bisognosi di quelle zone, la solidarietà e l’altruismo della nostra gente.


Per la cronaca e per doverosa informazione è utile ricordare le opere e i progetti portati a termine dall’Associazione Altri Orizzonti. In Etiopia: 1) Costruzione di una sala biblioteca a Debre Selam; 2) Realizzazione di un campo sportivo, di calcio e di pallavolo sempre a Debre Selam; 3) Realizzazione di una condotta per l’acqua a Daka Bora; 4) Costruzione di una sala mensa dormitorio per 180 bambini presso la scuola materna di Modjo; 5) Costruzione di una sala multifunzionale ad Alemtena; 6) Finanziamento per permettere a 2 ragazze di ultimare gli studi per infermiera e farmacista; 7) Contributo economico per il pagamento dello stipendio di maestri nei villaggi di Minne e Veragu. 8) Riqualificazione del reparto maternità della Clinica di Modjo che garantirà l’assistenza a 1200 donne e bambini con cure mediche e vaccinazioni varie. Progetto questo completamente finanziato da Altri Orizzonti. In Valsugana e in Italia: 1) Aiuto a famiglie terremotate a Mirandola (Modena); 2) Aiuto a famiglie bisognose della Valsugana, della provincia e della regione; 3) Collaborazione con AVULLS di Borgo e Casa Ama di Borgo; 4) Adozione pluriennale di 2 bambini con la Onlus Casa Mhjri di Rovereto; 5) Sostegno a famiglie di Zanzibar (Tanzania); 6) Contributo alle Clarisse di Borgo. 7) Acquisti di generi alimentari ed articoli sanitari che sono stati destinati a famiglie bisognose di Borgo e della Valsugana.

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CALDONAZZO

ARMANDO PACCHER PRESIDENTE

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a Famiglia Cooperativa dell’Alta Valsugana ha ora il suo presidente del Collegio Sindacale. E’ stato riconfermato quello uscente, il commercialista e revisore dei conti dott. Armando Paccher. Ma la sua nomina ha qualcosa di veramente particolare. Infatti all’ordine del giorno dell’assemblea generale ordinaria della Cooperativa tenutasi nel corso del mese di maggio c’era, fra tutti gli altri punti, anche la nomina del presidente del Collegio sindacale scaduto per compiuto mandato. L’uscente però aveva riproposto la sua candidatura e parallelamente si candidava anche una giovane commercialista, Maria Rita Ciola di Caldonazzo. Le votazioni portarono ad un risultato inaspettato: 114 voti ciascuno. A questo punto il presidente della Cooperativa Giorgio Paternolli pensò di interpellare l’Ufficio Legale della Federazione delle Cooperative di Trento perché si stabilisse quale dei due doveva essere nominato alla carica. Ma anche l’organo della Federazione, non trovando sull’argomento una indicazione precisa per risolvere un caso simile, consigliò di indire una nuova assemblea dei soci per la sua nomina. La riunione si è tenuta lunedì sera 6 giugno presso la sala dell’Oratorio Parroc-

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chiale di Caldonazzo con l’unico punto all’ordine del giorno: elezione del presidente del Collegio Sindacale. I candidati erano sempre gli stessi: Paccher e Ciola. I soci presenti erano 192, più 94 rappresentati con delega. Terminato lo scrutinio delle schede, il presidente Paternolli, che aveva al suo fianco il nuovo direttore della cooperativa Giuseppe Mattedi, ha comunicato il risultato della votazione: Armando Paccher ha ottenuto 162 voti, mentre Maria Rita Ciola ne ha avuti 125. Paccher è stato così riconfermato alla carica di presidente del Collegio Sindacale per i prossimi tre anni.(M.P.)


CALDONAZZO

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ono state fatte recentemente a Caldonazzo due importanti ed originali inaugurazioni: la mostra del baco da seta e del rinnovato “Piccolo Museo Popolare”. Entrambe realizzate dal locale gruppo Folcloristico guidato dal presidente Massimo Ciola, e ospitate presso i locali della loro sede in via della Villa. Due idee portate avanti in particolare dalla maestra Agnese Agostini che, nonostante i suoi oltre 90 anni, è ancora piena di vitalità e di iniziative. I bachi da seta soprattutto hanno destato grande interesse, la cui coltivazione fino agli inizi degli anni ’50 costituiva, per molte famiglie, una delle principali fonti per il sostentamento di vita. La maestra Agnese ha portato in sede alcuni piccoli contenitori con larve di diversa grandezza, tutte fatte nascere presso la sua abitazione a Maso Strada. Un primo gruppo già pronte per la costruzione del bozzolo mentre altre molto più piccole. Nelle domeniche successive sono state nuovamente esposte, sempre presso la sede del Gruppo, e la maestra Agnese ha dato ai tanti visitatori tutte le informazioni richieste. Contemporaneamente è stato inaugurato anche il “Piccolo Museo Popolare” sempre all’interno della sede del Gruppo Folk. Già in passato quei locali ospitavano centinaia di antichi attrezzi di lavoro contadino soprattutto, ma anche altro, che però erano esposti senza un ordine preciso. Ora tutti gli oggetti, dai vestiti indossati in gioventù e donati al Gruppo, vecchie sveglie, macchine fotografiche e da scrivere, paioli da polenta, vetrinette e tanto altro, tutti donati dai cittadini, sono esposti a tema sulle pareti ma anche sui tavoli. Un lavoro paziente che ha impegnato per diversi mesi dirigenti e soci del Gruppo. (M.P.)

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AUGURI E BUON COMPLEANNO

Il salone Lui & Lei di Scurelle festeggia la sua prima candelina Qualcuno un giorno disse che il primo anniversario è quello che, di fatto, rappresenta l’inizio di una storia di vita. Ed è appunto questa prima “luminosa” candelina che sintetizza e rappresenta l’inizio del “libro” professionale del Salone Lui & Lei di Scurelle. Un’inaugurazione avvenuta appunto un anno fa, sulla scia e l’esperienza che Alice, integrando la sede di Telve, ha voluto dare vita a questa nuova e funzionale struttura. Oggi, il Salone Lui & Lei di Scurelle è, senza ombra di dubbio, un vero e autentico punto di riferimento per la bellezza sia femminile sia maschile con particolare accentazione dell’acconciatura, in tutte e sue sfaccettature, e dell’estetica, con preciso riferimento a servizi di manicure e trucco personalizzato. Sì, perché il Team Lui & Lei è composto da persone decisamente competenti, da vere professioniste del “mestiere” in grado, sempre, di soddisfare ogni tipo di esigenza, anche la più particolare. Alice, Rita, Marika, Mishu, Ketty e Marina costituiscono un insieme dall’indiscutibile preparazione, conseguita e potenziata non solo con il raggiungimento dei titoli di studio specifici, ma anche e principalmente con la frequenza nei vari corsi d’aggiornamento che periodicamente sono organizzati per essere sempre al passo dei tempi e della moda sempre in evoluzione. Quando lo scorso anno, precisamente il 13 luglio 2015, la nostra Alice ha deciso di ampliare la sua “azienda” inaugurando la struttura di Scurelle, forse qualcuno poteva dubitare del risultato. Oggi, però, quella scelta lungimirante, si sta dimostrando, con i fatti, quanto mai azzeccata, quanto mai funzionale. E la conferma viene “sottoscritta” dai numerosi consensi e riconoscimenti che la clientela giornalmente indirizza ad Alice e ai “suoi” collaboratori. p.r.

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BENESSERE&SALUTE

GLI OCCHIALI

Rolando Zambelli è titolare dell’Ottica Valsugana con sede a Borgo Valsugana in Piazza Martiri della Resistenza. È Ottico, Optometrista e Contattologo.

 di Rolando Zambelli

I TRATTAMENTI DELLE LENTI PER OCCHIALI

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trattamenti, con particolare riferimento alle lenti organiche, vengono effettuati per aumentare la resistenza ai graffi ( indurimento ), per colorare, per applicare un filtro UV o per ridurre al minimo i riflessi prodotti dalle superfici delle lenti. Il trattamento più diffuso e che maggiormente incide sulla prestazione di una lente oftalmica è sicuramente l’antiriflesso . In realtà oggigiorno è più corretto parlare di “rivestimento multifunzionale”. Infatti si tratta di un multistrato che ha lo scopo di incrementare la resistenza ai graffi, ridurre la percentuale di luce riflessa e, in quello più completo, rendere la superficie anche idrorepellente e antistatica. La quantità di luce che passa attraverso una lente è in funzione del materiale, dell’indice di rifrazione e anche dello spessore della stessa. La percentuale di luce riflessa non viene quindi sottratta alla formazione finale dell’ immagine sulla retina. Dobbiamo però considerare anche la componente di luce riflessa dalla superficie interna della lente che disturba direttamente la visione riducendo il contrasto, e causa un maggior affaticamento visivo.

L’eliminazione dei riflessi rende la lente molto più trasparente permettendo quindi una maggiore nitidezza nella visione . I disturbi dati da lenti non trattate sono particolarmente fastidiosi in situazioni quali il lavoro in ambienti con luce artificiali e al computer. Ancora più disturbante, a causa di immagini parassite, è la guida notturna o in condizione di pioggia. Un nuovo trattamento che si integra con l’antiriflesso è quello selettivo della luce blu che aumenta il contrasto e migliora il comfort, in particolare per gli utilizzatori abituali di dispositivi elettronici a illuminazione led,

quali pc e tablet. Si ricorda infine, che anche in una lente da sole un trattamento antiriflesso, in questo caso della superficie interna, aumenta notevolmente la protezione e rende la visione più confortevole.

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Turismo e cultura

Alla

scoperta

dellaTorre

Sicconi

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a Soprintendenza per i Beni archeologici della Provincia autonoma di Trento ha eseguito tra il 2006 ed il 2008, varie campagne, per un totale di ventidue sondaggi sul dosso, che hanno permesso di riportare in luce alcune tracce del maniero. Quello che oggi possono vedere i visitatori consiste in una porzione della torre, in alcuni tratti delle mura, che dovevano essere completamento del sistema difensivo alla base del rilievo, dove è ancora riconoscibile un frammento del massiccio muro di cinta. Sono stati inoltre ritrovati i resti di quello che potrebbe essere stato il palazzo, si tratta infatti di un edificio che poteva presentarsi come realizzato sui due piani, i resti di un focolare al piano terra fanno pensare che vi si trovasse la cucina. Quello che rimane sono i resti di un tipico castellare trentino, posto in posizione sopraelevata per consentire

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I finanziamenti europei a volte servono per riportare alla luce una parte di storia, che ancora rimane sepolta sul nostro territorio, è ciò che è avvenuto nel 2005 a Caldonazzo, con il progetto intitolato “Il Giardino della Torre dei Sicconi”, presentato dall’amministrazione comunale. Era stata programmata la realizzazione sul monte Rive di un giardino tematico inserito in un percorso storico che prevedeva l’attuazione di indagini archeologiche preliminari, per appurare cosa fosse rimasto dell’antico complesso  di Chiara Paoli castellare che qui un tempo si trovava.

la padronanza della vallata, ma in una zona prossima ai centri abitati e alle principali vie di passaggio per non rimanere isolato. L’antica torre dei Sicconi è ciò che rimane a ricordo del feudo che venne donato ai fratelli Geremia ed Alberto nel lontano 1201. Molti sono i documenti tra il XIII ed il XIV secolo che fanno riferimento al castello ed ai suoi proprietari, tra cui Siccone II che nel 1385 viene attaccato da vicentini e veronesi, che prendono d’assalto le sue fortificazioni in Valsugana. Il complesso architettonico sul monte Rive sembra non aver subito danni in seguito all’attacco, come appare da un documento del 1391 che riporta la donazione alla famiglia di Caldonazzo – Castelnuovo. I reperti ritrovati durante le campagne di scavo sono databili ad un periodo di tempo compreso fra il XIII ed il XV secolo, che coincide con quello delle fonti documentarie, che trattano delle risorse boschive del territorio e delle norme per il pascolo. La collina ha custodito anche alcuni frammenti ceramici di età preprotostorica e di età tardoantica, che testimoniano

che il sito era abitato anche in epoche antecedenti il medioevo; si tratta però di reperti privi di un quadro che permetta una loro conoscenza più approfondita. La Torre dei Sicconi ha vegliato su Caldonazzo e sulla Valsugana per moltissimo tempo ed è stata demolita soltanto nel 1915, quando il Genio militare austriaco, ha deciso di abbatterla per ragioni belliche; essa costituiva un ottimo punto di avvistamento, che avrebbe potuto giocare a loro svantaggio. Per raggiungere il parco archeologico della Torre dei Sicconi, si possono scegliere due differenti strade: dalla piazza del Municipio di Caldonazzo ci impiegano a piedi circa 50 minuti, per 1,2 km di percorso con un dislivello di 200 m, mentre dalla frazione Campregheri di Centa San Nicolò si impiegano circa 30 minuti di camminata per la stessa lunghezza di percorso che però prevede un dislivello ridotto a 100 m. All’interno del parco che offre una splendida vista sul lago di Caldonazzo, si può trovare un agritur


Turismo e cultura MONTE RIVE – TORRE DEI SICCONI, CALDONAZZO 6 LUGLIO E 3 AGOSTO, ORE 15.30 Torre dei Sicconi: il castello nel giardino Passeggiata in compagnia dell'accompagnatore di territorio Paola Barducci alla scoperta di Monte Rive e della Torre dei Sicconi. Lungo sentieri e mulattiere si salirà nei freschi boschi di larici e castagni sopra Caldonazzo fino a raggiungere il giardino della Torre dei Sicconi, un luogo ricco di vicende storiche, spunti naturalistici e panorami mozzafiato. Ritrovo ore 15.30 davanti al Municipio di Caldonazzo; si raccomanda un abbigliamento comodo e adeguato ad una passeggiata. Partecipazione gratuita, informazioni e prenotazioni cell. 3334861088 - p.barducci@libero.it

che offre ai visitatori i suoi prodotti. L’ingresso è gratuito e gli orari apertura sono i seguenti: in aprile-maggio e settembre-ottobre il sabato e la domenica dalle 10 alle 17; mentre nei mesi estivi di giugno, luglio ed agosto dal mercoledì alla domenica dalle 10 alle 18. Oggi il parco archeologico offre innanzitutto la possibilità di fare una sana passeggiata nei dintorni di Caldonazzo, una vista mozzafiato sul nostro specchio d’acqua e la possibilità di percorrere sentieri che si snodano lungo le antiche mura del castellare medievale, immersi in un giardino arricchito da fiori, piante e dalla presenza di alcuni animali che lo rendono una piacevole destinazione per tutti.

14 e 20 LUGLIO E 11 e 17 AGOSTO, ORE 16.00 Visita guidata all'area archeologica di Monte Rive a cura di Nicoletta Pisu, archeologa dell'Ufficio Beni archeologici Ritrovo all'ingresso del Giardino della Torre dei Sicconi, partecipazione gratuita. Informazioni cell. 3358232202 In caso di maltempo le iniziative non avranno luogo.

GLI APPUNTAMENTI MUSIC4ALL FESTIVAL La Pro Loco di Caldonazzo organizza la manifestazione per le vie del paese. Musica e spettacolo riempiranno le strade del paese per una mezza giornata di divertimento assicurato.

il paese, ski-roller e podisti. La scalata è prevista da tutti e due i versanti, rispettivamente da Telve e Molina di Fiemme, con partenza al tramonto ed arrivo sotto il chiaro di luna. L’organizzazione sarà a cura del G.S. Lagorai in partnership con la Polisportiva Molina nella serata di sabato 30 luglio.

LUCI ED OMBRE DEL LEGNO – SIMPOSIO DI SCULTURA 2016 Ritorna a Castello Tesino la manifestazione che è ormai giunta alla sua 15° edizione. Da martedì 26 a domenica 31, il paese ospiterà numerose opere realizzate da scultori di fama internazionale che trasformeranno l’artigianato in pura arte.

LA NOTTE DEL MANGHEN Anche quest’anno ritorna la durissima “Notte del Manghen”, scalata non competitiva che attira numerosissimi ciclisti da tutto

FESTA DELLE ERBE OFFICINALI 2016 Sabato 6 e domenica 7 agosto, Roncegno ospiterà la Festa delle Erbe Officinali. Il programma prevede un mercatino riservato ai coltivatori di prodotti naturali legati al mondo delle erbe officinali e delle coltivazioni minori, un’escursione accompagnati da un erborista per visitare le coltivazioni di erbe, laboratori a tema rivolti a bambini e adulti, degustazioni a base di erbe officinali. Inoltre vi saranno esposizioni legate alla cultura contadina.

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LA ragazzA immagine

GRETA

Foto di Giuseppe Facchini

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LA ragazzA immagine

GRETA

 di Giuseppe Facchini

solarità e semplicità “acqua e sapone C

arina, molto carina, ma soprattutto in possesso di una spiccata semplicità e di una solarità com’è raro vedere. Lei è Greta Leitner, la nostra ragazza immagine di luglio dalle caratteristiche decisamente “uniche”. Bolzanina di nascita, ma trentina di adozione, Greta vive a Trento, con papà Christian, con mamma Anna Elisabetta e il fratello Gianmaria. Osservandola bene ci si accorge che la sua è una bellezza “acqua e sapone, dai lineamenti gentili e piacevoli all’occhio di chi la guarda. Greta, come tutte le ragazze della

sua età, oltre allo studio, ha molteplici interessi che le fanno vivere in maniera attiva e dinamica il suo quotidiano. Su tutti primeggia lo sport dove veramente eccelle perché, con vero impegno e passione, si cimenta nel pattinaggio sul ghiaccio sincronizzato con ottimi risultati tant'è che a livello agonistico partecipa ai campionati nazionali di categoria e di specialità. E tra le altre sue passioni ci sono anche la danza e l'atletica nonché un desiderio “sviscerato” per i viaggi sia in Italia sia all'estero. E le mete da lei preferite sono Roma e Londra che

spera e si augura di poter presti visitare. Insomma una ragazza dinamica e attiva come non mai. Parlando con lei ci si accorge di avere di fronte una ragazza dalle idee chiare che bene si sposano con principi educativi e morali che dimostra di possedere, certamente ricevuti dagli insegnamenti dei genitori che quotidianamente, come lei stessa evidenzia, le sono sempre accanto e sempre presenti nel suo vivere. Greta, nel dialogo con noi intrapreso e da come si esprime, dimostra di non avere i famosi “grilli per la testa”, purtroppo caratteristica questa che non di rado è presente nella gioventù di oggi. Continuando nel nostro discutere con Greta sempre di più ci accorgiamo che i concetti di amicizia, sincerità, onestà e rispetto per gli altri sono gli elementi portanti della sua personalità, della sua educazione e del suo modo di essere. “Valori che non si discutono, ci dice, perchè questi concetti devono essere sempre presenti nella propria essenza e nel proprio “Io”. Ed anche sul suo futuro la “nostra” ha le idee ben chiare specialmente quando, con preciso riferimento alla moda, ci sottolinea che lavorare in questo campo è uno dei suoi sogni e una delle sue ambizioni.

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Turismo e cultura

La centrale, fine ‘800

 di Chiara Paoli

La centrale di Serso

È la centrale idroelettrica a corrente alternata più antica d’Italia e d'Austria

Ha recentemente aperto i battenti ai visitatori, la centrale idroelettrica di Riva del Garda, un ulteriore Hydrotour proposto da Dolomiti Energia, che si affianca a quello della centrale di Santa Massenza. Bellissime esperienze da fare, non c’è che dire, ma la centrale idroelettrica più antica, si trova in una piccola frazione del perginese

Interventi di riparazione alla condotta forzata (Erardo Paoli 1928)

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a centrale idroelettrica di Serso, a corrente alternata trifase nasce a undici anni dalla prima centrale elettrica al mondo, a corrente continua, inaugurata da Thomas Alva Edison a New York, il 4 settembre del 1882. L’anno seguente entra in funzione a Milano la prima centrale elettrica dell'Europa continentale, denominata “Santa Radegonda” che come dai progetti di Edison prevede la distribuzione di energia continua. Seguono gli anni della cosiddetta guerra delle correnti elettriche, l’ingegnere di origine serba Nikola Testa sta effettuando i suoi studi sulla corrente alternata, inizialmente ritenuta pericolosa, ma che andrà poi a soppiantare la corrente continua. E’ il 1886 quando il ricco imprenditore George Westinghouse, che aveva fatto fortuna con l'invenzione del primo vero sistema frenante efficace e sicuro per il trasporto ferroviario, fondò la Westinghouse Electric per concorrere con la General di Edison. La sua società elettrica si fonda sulle scoperte e le invenzioni brevettate dagli ingegneri Nikola Tesla e Galileo Ferraris, di origine italiana, che realizzano l'intero impianto concettuale necessario per la tra-

sformazione ed il trasporto efficace della corrente alternata su lunghe distanze. Nello Stato dell'Oregon vede la luce nel 1889, il primo impianto idroelettrico a corrente alternata, la Willamette Falls station; nel 1893 mentre all’altro capo del mondo entra in funzione l’impianto che sfrutta l’energia delle immense ed impetuose cascate del Niagara, vede la luce la prima centrale idroelettrica a corrente alternata d’Italia e d’Austria, sul Rio Nero a Serso. La centrale idroelettrica fu voluta dal Comune di Pergine per iniziativa di otto suoi cittadini: Eduino, Ettore Giovanni e Guido Chimelli, Giuseppe Carli, Giuseppe Crescini, Francesco Conte Crivelli, Ruggero dott. Grillo e Francesco dott. Montel. Questa innovazione migliorò notevolmente la qualità della vita per gli abitanti del perginese, basti pensare all’illuminazione elettrica nelle case e nelle vie pubbliche, e all’energia per i macchinari necessari alla lavorazione di attività industriali ed artigianali, che non devono più essere necessariamente legate ai corsi d'acqua. La nuova centrale, sfruttando le acque


Turismo e cultura La centrale, oggi Per informazioni e visite: Biblioteca Comunale di Pergine, Piazza Serra 11 tel. 0461.502390. Le fotograzie ed i documenti sono tratti da La centrale idroelettrica di Serso – 1893, a cura di Nino Forenza, edizioni Amici della Storia di Pergine, Comune di Pergine e A.M.E.A. s.p.a. , 1998. del Rio Nero, con un salto d'acqua di 188 metri ed una portata che varia dai 50 ai 150 litri al secondo generava dapprima una potenza pari a 100 cavalli vapore. A monte della Centrale venne realizzata una diga con bacino di 6.000 metri cubi d'acqua circa, utile per compensare le variazioni stagionali di portata del Rio Nero; da qui una condotta forzata metallica conduce l'acqua alle macchine custodite all’interno del complesso architettonico, dove viene prodotta l'energia elettrica. I macchinari vennero successivamente modificati per giungere alla potenza di 240 cavalli vapore, che equivalgono agli attuali 176 kilowatt. Pur trattandosi di una modesta potenza, se raffrontata all’attuale potenza richiesta dagli utenti del Comune di Pergine, la produzione di energia elettrica a Serso costituisce ancora oggi una fonte di energia a basso costo e non dannosa per l'ambiente. Nel 1998, viene inaugurato presso la Centrale di Serso il piccolo Museo dell'energia idroelettrica, promosso dal Comune di Pergine e dall'allora Amea,

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persuasi del valore culturale e del ruolo emblematico di questa struttura nella promozione del progresso tecnologico e scientifico. Il Museo si inserisce, all'interno di un impianto tuttora funzionante, all’interno del quale sono raccolti il vecchio gruppo turbina alternatore e le strumentazioni di misura, controllo e protezione, affiancati da una raccolta iconografica e documentaria inerente la costruzione del sistema idroelettrico. Se la tecnologia ha apportato ragguardevoli miglioramenti al voluminoso gruppo turbina di un tempo, sostituendolo con uno automatizzato, di dimensioni più contenute; ma è stata preservata l'antica struttura, che si rivela essere un vero e proprio capolavoro di archeologia industriale, opera dei grandi pionieri della nuova tecnica di produzione di corrente elettrica alternata. E proprio per questa grande invenzione vogliamo ricordare Nikola Tesla, il 10 luglio ricorrono i 160 anni dalla sua nascita e a New York si festeggia il “Nikola Tesla Day”.

Riferimenti bibliografici: La centrale idroelettrica di Serso – 1893, a cura di Nino Forenza, edizioni Amici della Storia di Pergine, Comune di Pergine e A.M.E.A. s.p.a. , 1998. Guida al Museo della Centrale Idroelettrica di Serso, a cura di Renzo Anderle, Sergio Beber, Claudio Manduchi, Pietro Massimo, Jole Piva, Gianluigi Torre e Roberto Valcanover, Comune di Pergine e A.M.E.A. s.p.a. , Pergine, 1999.

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uando si parla di streghe i personaggi di riferimento sono brutte donne, vestite di stracci e capaci di spiccare il volo su manici di scope. Tra le credenze popolari si pensava che le streghe non solo fossero in grado di trasformarci in uccelli o latri animali, in particolare gatti, animali questi per eccellenza associati a lucifero e ai diavoli, ma anche scatenare gli elementi della natura. Su queste credenze anche la Chiesa contribuì al processo di demonizzazione delle streghe, da sempre considerate figlie del demonio, vere eretiche e quindi processabili e punibili con la morte sul rogo. Per farlo, però, era necessario trovare sul corpo della malcapitata la prova di appartenenza al demonio e sovente si faceva usando uno spillone con il quale veniva punzecchiato il corpo della “strega” fino a trovare una parte insensibile al dolore. Prova indiscutibile, questa, che assegnava la donna all’appartenenza al diavolo. Quando si avevano dubbi che una donna potesse essere un’indemoniata si teneva un processo dinanzi al Tribunale della Santa Inquisizione che, a partire dal 1542, con la bolla “Licet ab initio” di papa Paolo III, divenne ancora più severo. Bastavano, infatti, due testimoni “attendibili” per una certa condanna. E a volte i testimoni erano pagati da marito desiderosi di “ disfarsi” delle mogli non gradite. Più tardi in questi tribunali comparve anche la figura dell’avvocato difensore, questi però non agiva mai per fare assolvere l’imputata perché i giudici, che avevano potere assoluto, avrebbero potuto dubitare della sua fede e pensare che anche lui appartenesse al demonio. Spessissimo la confessione veniva estorta con le torture e quasi sempre alla confessione seguiva la condanna al rogo. Nel periodo caratterizzato dalla presenza di epidemie di peste le condanne aumentarono in misura spropositata poiché le “presunte” streghe erano considerate le colpevoli del male che colpiva i villaggi e che causava un numero impressionante di morti.

streghe

CACCIA alle  di Sabrina Mottes Già nell’antichità si trovano riferimenti alle streghe, intese come donne che praticavano riti pagani, sciamanici, di fertilità in forte legame con la natura e con l’aldilà. Il termine “strega” pare derivi dal greco “strix strygòs”, rapace notturno che nelle credenze popolari succhiava il sangue ai bambini incustoditi. Nel latino troviamo il termine "strix" che poi si tramuta nel medioevale "striga" dando origine all’italiano "strega", all'albanese “shtriga” ed al rumeno "strigoi" (fantasma).

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ella mitologia greca la figura della strega è incarnata da Ecate, dea della magia e degli spettri che con la sola volontà porta carestia o abbondanza, concede vittoria o sconfitta. Può viaggiare tra il mondo degli umani, degli dei e dei morti. Comunicare con il regno dei morti le dà il potere di donare ad altri la preveggenza. Ella ha un posto di favore tra gli dei che la venerano e la temono. Nel corso dei secoli, dunque, mitologia, folklore popolare e dicerie hanno mantenuto viva la fantasia su maghe e fattucchiere che, spessissimo, venivano descritte come esseri soprannaturali di aspetto femminile. Oppure come donne reali in grado di compiere magia e malefici e di prevedere il futuro. I poteri eccezionali gli deri-

vavano dal contatto con forze infernali con cui si radunavano per praticare sortilegi. Purtroppo, spesso, per ignoranza e per paura, le genti hanno cercato un capro espiatorio per spiegare il fato, l’inspiegabile, incolpando innocenti di ogni avversità. Ciò ha dato origine nei secoli a diversi fenomeni di fanatismo nei confronti di persone o gruppi che hanno subito ingiuste persecuzioni. Tra queste ebbe ampia diffusione tra la fine del 1400 e l’inizio del 1800, nell’occidente cattolico ma anche nelle regioni protestanti, il fenomeno della caccia alle streghe. Essa fu in parte stimolata dalla superstizione popolare, in parte dalle Chiese, sia cattolica sia protestante, che avevano timore di un ulteriore frazionamento religioso e


interesse a esaltare il loro potere per mantenere l’ordine tra le popolazioni. Fu una pratica crudele, che esponeva chiunque alla possibilità di essere denunciato alla Santa Inquisizione, il tribunale ecclesiastico che si occupava dei casi di stregoneria. Furono soprattutto le donne a subire questa spietata persecuzione in quanto levatrici, guaritrici, esperte di erbe e di medicina naturale e cioè in qualche modo impegnate nel cercare di curare, salvare e preservare la vita. Ma anche donne scomode, che si distinguevano dal resto del gruppo sociale e non si adattavano ai doveri e alle regole imposte difendendo la loro libertà. Catturate e torturate, confessavano e poi finivano bruciate vive sul rogo. Molti i testi utilizzati dagli inquisitori nei quali si attribuiva realtà alle situazioni più incredibili, come il volo delle streghe. I fattori che contribuivano al sospetto erano i più disparati: dal possedere un gatto nero, all’avere i capelli rossi, all’avere un neo nell’iride dell’occhio (il segno del diavolo). Tra le prove

per dimostrare la colpevolezza quella della pietra al collo, con la quale venivano gettate in acqua. Se affogavano, erano innocenti. Se galleggiavano, erano streghe! La condanna non veniva però inferta loro dalla Chiesa ma dallo Stato che confiscava loro i beni che venivano poi divisi a metà con la Chiesa. Le vittime di questo massacro furono moltissime, soprattutto in Gran Bretagna, Francia e Germania anche se le cifre rimangono comunque incerte soprattutto in Italia dove molti archivi inquisitori sono stati dati alle fiamme per paura che cadessero in mano ad avversari della Chiesa. In Trentino famosi i processi della Val di Fiemme agli inizi del 1500 e quelli che si tennero nelle celle di Castelnuovo (ora Castel Noarna), allora sede del tribunale dell’Inquisizione dove le “strie” vennero torturate e poi bruciate tra il 1600 e il 1700. Ancora oggi nel mese di maggio, a Nogaredo, si tiene il Calendimaggio delle strie per ricordare questi eventi.

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Turismo e cultura

ToreTonda Tor Quadra  di Chiara Paoli

Sulla statale 47 della Valsugana, all’altezza di Novaledo, non si può fare a meno di osservare una antica torre, nota con il nome di Tor Quadra, mentre a poca distanza, nei pressi del Mulino Angeli a Marter di Roncegno, fa bella mostra di sé un’altra costruzione di impianto circolare, detta appunto Tor Tonda.

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a molti forse non sanno quando e perché sono state realizzate queste due torri, che possono essere viste come contrapposte, non soltanto per il nome che portano, indice della loro diversa forma, ma anche per la loro funzione. Queste due costruzioni costituivano infatti un punto di sbarramento naturale sul fiume Brenta, che aveva permesso la formazione di un bacino lacustre, esso appariva sulle cartografie settecentesche sotto il nome di Lago di Masi, noto anche come lago di San Silvestro. All’epoca questa zona era ricca di laghi e paludi, come quella del lago Morto, che rendevano la zona piuttosto malsana. Proprio per questo motivo nell’ottocento si è provveduto alla rimozione di un'antica chiusa in legname posta a valle dell'abitato, per prosciugare i bacini lacustri presenti, anche se alcune testimonianze riferiscono che il lago si sia prosciugato in modo naturale nel 1818. Di questi specchi d’acqua oggi non rimane più traccia ma le due torri rimangono a memoria di questo sbarramento lungo l’antica via romana, che collegava le Alpi con la pianura veneta. Questo complesso fortificatorio sembrava essere stato edificato in età bassomedievale, tra il XII ed il XIII

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secolo; ma dagli studi più recenti, Valsugana. portati avanti attraverso il confronto La carraia sarebbe transitata proprio con architetture di età tardoantica e nella distesa che separa le due torri e, altomedievale, pare che le fondamenta molto probabilmente a completamento siano testimonianza di una muratura dell’opera fortificata, si trovava una più antica. Nei pressi della Tor Quadra cinta muraria di cui oggi non rimane sono state ritrovate monete ed alcune testimonianza. reliquie romane; e secondo alcuni Il complesso costituisce quello che Lidia studiosi la fortezza potrebbe essere Flöss nel suo contributo definisce come considerata l´antemurale di quella di la frontiera di San Desiderio che Ausugo, distrutta dai Franchi nel 590. Gli storici tendono ad identificare questa frontiera con la cosiddetta "Clusa Xichi", la chiusa di Siccone, documentata nel XIV secolo e smantellata nel 1385 dai Vicentini. Un altro nome attribuito e testimoniato per questa costruzione è quello di Ciusa del Marter sulla "strada imperiale". La posizione in cui si dislocano le due torri, le loro connotazioni strutturali e la pianta disegnata dai due corpi di fabbrica inducono a pensare che si trattasse di un vero e proprio sbarramento che con un ponte levatoio provvedeva a presidiare la Novaledo - Torre Quadra principale via di comunicazione che solcava la


Turismo e cultura

Roncegno Terme - Marter - Torre Tonda troviamo citata nel diploma datato 1027, con cui l’imperatore Corrado II

conferiva alla Chiesa trentina i diritti di contea; qui veniva stabilito il confine fra la diocesi di Trento e quella di Feltre. Bisogna però fare una parentesi, perché in realtà la giurisdizione spirituale feltrina comprendeva anche le parrocchie di Calceranica e Pergine. Secondo il Prati, Novaledo indicava anche una distinzione di tipo “razziale” tra il Trentino e la Valsugana, che per dialetto, costumi e tradizioni è più affine alla cultura vicentina. Questo confine è tuttora valido per distinguere l’Alta dalla Bassa Valsugana. Nel 2005 la Tor Tonda di Marter è stata acquistata per 15 mila euro dal servizio patrimonio e demanio della Provincia Autonoma di Trento, la torre sottoposta al vincolo di tutela storico artistica che si collocava nella

particella fondiaria di proprietà della Famiglia cooperativa Lagorai di Roncegno necessitava di manutenzione vista la caduta di alcuni massi pericolanti. Ecco svelato il mistero di queste due torri, che nei secoli hanno diviso in due la Valsugana, punto di controllo sulla strada imperiale, confine di Diocesi, sotto il nome di frontiera di San Desiderio, per poi passare alla denominazione di Chiusa di Siccone, con l’arrivo della nuova dinastia a Caldonazzo. Queste costruzioni costituiscono una linea immaginaria che è divenuta persino confine “razziale” e oggi continua ad esistere, delineandosi quale confine tra le due Comunità di Valle.

Riferimento: I nomi locali dei comuni di Novaledo, Roncegno, Ronchi Valsugana a cura di Lidia Flöss, Provincia autonoma di Trento, Servizio Beni librari e archivistici, 1998.

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La Guida in stato d'ebbrezza

L’AVVOCATO RISPONDE

 di Zeno Perinelli Tale nuova impostazione data dal legislatore fa assumere la condotta punita, l’omicidio stradale, ad una ipotesi autonoma di reato e non più come in passato ad una circostanza aggravante, inserita all’interno dell’omicidio colposo. Quello che però emerge subito è come, a livello sanzionatorio, la riforma non abbia inasprito le pene, mantenendo i limiti minimi ed i massimi della pena in 2 e 7 anni, tale scelta è stata da più parti oggetto di critica, a fronte soprattutto dell’intero impianto della riforma volto ad apportare un drastico aggravio della risposta punitiva in tema di reati commessi alla guida di veicoli. Per contro, con l’art. 590bis commi 1 e 2 c.p., le sanzioni penali per le lesioni personali, se gravi o gravissime, sono state inasprite: “1. Chiunque cagioni per colpa ad altri una lesione personale con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale e' punito con la reclusione da tre mesi a un anno per le lesioni gravi e da uno a tre anni per le lesioni gravissime. 2. Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa a taluno una lesione personale, e' punito con la reclusione da tre a cinque anni per le lesioni gravi e da quattro a sette anni per le lesioni gravissime.” L’art. 589bis è composto da 8 commi, di cui 4 (ovvero i commi 2, 3, 4 e 5) prevedono ipotisi di reato ben specificate: art. 589bis comma 2 c.p.: “Chiunque,

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ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da otto a dodici anni. Art. 589bis comma 3 c.p.: “La stessa pena si applica al conducente di un veicolo a motore di cui all'articolo 186-bis, comma 1, lettere b), c) e d), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (conducenti che esercitano l'attività di trasporto di persone, di cui agli articoli 85, 86 e 87 Cds, i conducenti che esercitano l'attività di trasporto di cose, di cui agli articoli 88, 89 e 90 Cds, i conducenti di autoveicoli di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5 t, di autoveicoli trainanti un rimorchio che comporti una massa complessiva totale a pieno carico dei due veicoli superiore a 3,5 t, di autobus e di altri autoveicoli destinati al trasporto di persone il cui numero di posti a sedere, escluso quello del conducente, e' superiore a otto, nonche' di autoarticolati e di autosnodati), il quale, in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera b), del medesimo decreto legislativo n. 285 del

1992, cagioni per colpa la morte di una persona.” Art. 589bis comma 4 c.p.: “Salvo quanto previsto dal terzo comma, chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, e' punito con la reclusione da cinque a dieci anni.” Art. 589bis comma 5 c.p.: “La pena di cui al comma precedente si applica altresì: 1) al conducente di un veicolo a motore che, procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocita' superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima


consentita, cagioni per colpa la morte di una persona; 2) al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un'intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circolando contromano, cagioni per colpa la morte di una persona; 3) al conducente di un veicolo a motore che, a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro

mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua, cagioni per colpa la morte di una persona.” La scelta del legislatore quindi, alla luce dei commi appena evidenziati, è stata quella di inasprire le pene solamente per le ipotesi più gravi di omicidio stradale, in particolare le ipotesi riconducibili alla presenza di ebbrezza alcolica od uso di sostanze stupefacenti durante la guida, oppure alla posizione di garanzia del guidatore, quale autista di mezzi per il trasporto di persone (superiori a 8) oppure di autoarticolati. Infine è stata anche prevista una diversa previsione sanzionatoria anche in base al tasso alcolemico riscontrato nel guidatore, come si vede, infatti, le ipotesi più gravi, artt. 186 comma 2 lett. c) – tasso alcolemico superiore a 1,5 - e 187 D.lvo 285/1992, sono pu-

nite con la pena della reclusione da un minimo di 8 anni ad un massimo di 12 anni. La stessa pena si applica anche quando il tasso alcolemico sia compreso tra 8,00 e 1,5 (art. 186 comma 2 lett. b) Cds) e l’autista abbia una posizione particolare di garanzia e di guida di veicoli particolari, nelle altre ipotesi, con la lettera b), la pena sarà ricompresa tra i un minimo di 5 anni ed un massimo di 10.

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nell’arte

Pablo Picasso,

 di Tiziana Margoni

genio della pittura

Pablo Picasso Alcuni mesi fa, all’asta di Christie’s a New York, un quadro di Pablo Picasso è stato venduto a 179 milioni di dollari stabilendo, con questa cifra, uno dei record del secolo riguardanti la pittura. Il capolavoro Les femmes d’Algerie Donne d’Algeri- raffigura un harem e per i critici d’arte è un quadro innovativo per composizione, colori e volumi. Secondo gli esperti di questo quadro ne esistono quindici versioni. Un’altra sua opera è invece sequestrata in tempo, prima che il proprietario, ricco banchiere spagnolo, la porti in Svizzera senza essere autorizzato a esportare quel “tesoro nazionale”. E’il dipinto Cabeza de una Mujer Joven Testa di una giovane donna- del periodo “rosa”. D’attualità è anche in fatto che la nipote Marina Picasso voglia vendere sette opere del famoso nonno per 241 milioni. Lo fa per dimenticare “l’uomo crudele che ha lasciato ferite dolorose in famiglia”. Picasso non accettò mai i nipoti per egocentrismo e freddezza, e l’ultima moglie fomentò il distacco

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Les femmes d' Alger tanto che non permise loro di partecipare al funerale del pittore, nel 1973, a Mougins. Per noi comuni mortali, ancora oggi ammirare un Picasso resta un’idea meravigliosa! E siamo sorpresi dalla fama che circonda il genio, le sue opere, la sua vita: ma chi è Picasso? Uomo dal temperamento caliente, difficile, sanguigno, superbo, lavoratore indefesso; artista al di fuori di ogni schema, nel 1900 dà la sua impronta al mondo dell’arte, in modo particolare con il cubismo. Tutta la sua vita è frutto di quella passionalità per l’arte, il lavoro, l’amore! Nasce in Spagna, a Malaga nel 1881. Del suo nome lunghissimo mantiene il cognome della madre. Riceve dal padre, artista e professore di disegno, l’educazione all’arte. Ribelle e sicuro, parte da Malaga, studia a Barcellona, a diciannove anni va a Parigi dove fa vita bohemien con

amici come l’artista Max Jacob, il poeta Guillaume Apollineare, i pittori Marc Chagall e Modigliani. Riassumendo, la sua produzione creativa si può suddividere in quattro periodi, diversi per temi e influenze: i periodi “blu”, “rosa”, “africano” e del “cubismo”, con cui rompe ogni canone artistico fino allora esistente. I primi due cicli sono caratterizzati da tele monocromatiche figurative, nel periodo africano risente

Les Demoiselles d' Avignon (1907)


Modigliani, Picasso e André Salmon dell’arte primitiva. I temi delle sue opere sono autoritratti, ritratti femminili e delle sue Muse; povera gente, nel suo periodo buio; artisti e circensi, nel periodo “rosa”; composizioni varie, sculture in bronzo. Tori, tauromachia e litografia sono altre sue peculiarità. Con Les Demoiselles d’Avignon segna l’inizio della corrente artistica del cubismo. Produce Guernica, capolavoro di grande dimensione: è un grido contro la guerra e si rifà in particolare alle conseguenze del bombardamento sulla città omonima, durante la Guerra civile spagnola. Fin qui, il genio, ma com’era l’uomo? Picasso ebbe uno stile di vita movimentato e prepotente nelle relazioni amorose, con sentimenti forti di amore e odio, e disse che le donne sono “zerbini o dee”. La sua prima musa fu Fende Olivier, di cui era gelosissimo: ventitreenni si conobbero nel 1904. Lei lo affianca per otto anni, lo ispira e lo aiuta nei momenti di depressione, ma sarà da lui abbandonata a un destino

di povertà e di solitudine. Il suo amore passionale fu per Marcelle Humbert, la sua Eva, con cui “il mondo iniziava”: per lei esprime travolgente eros, in quadri dai colori vivaci e accesi. Marcelle Humbert morì nel 1915 di tubercolosi, lasciando un profondo segno in Picasso. Dopo due anni, folgorato dalla ballerina russa Olga Chochlova, si sposa, ha il primo figlio Paulo -che ritrae vestito da Arlecchino. Conosce la giovanissima Marie-Thérèse Walter, che diventa sua amante segreta, fino a quando, incinta, sarà la causa della fine del matrimonio con Olga. Nel 1944 incontra l’unica donna della sua vita che lo lascerà: la studentessa Francoise Gilot. Da lei avrà due figli: Claude e Paloma, e sarà la sua nuova energia creativa. Con lei si comportò ancora una volta in modo distruttivo alternando amore, rifiuto e gelosia, mentre dal canto suo si sentiva libero di avere avventure con altre donne. Nel frattempo era nata la figlia da Marie Therese: Maya -di cui fa il ritratto con bam-

bola. Quando incontra la fotografa Dora Maar resta affascinato dalla donna intellettuale -che alla fine condurrà alla pazzia, sempre per mancanza di rispetto e confronto forzato con Marie Therese. La crudeltà di Picasso farà dire a Dora Maar, che “Picasso non è un uomo, ma una malattia”. Sarà Dora a documentare con le sue foto il capolavoro di Guernica, in fase di produzione. Oramai ultrasettantenne, sposa la ventottenne Jaqueline, che sarà al suo fianco fino alla fine. Picasso ebbe molte amanti; non rese felici le sue donne, visto le morti violente che queste si diedero: due impazzirono, una s’impiccò, un’altra si sparò; anche un figlio morì suicida. Picasso morì a novantuno anni, d’infarto, in Provenza nella sua casa di Mougins. Le sue opere si possono ammirare nei grandi Musei che portano il suo nome: a Barcellona, Parigi e Malaga. Guernica è stata esposta al Museo di New York fino alla restituzione alla Spagna: ora è a Madrid, nel Reina Sofia.

Picasso - le due età

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Il Caffè dibattito

 di Tiziana Margoni

Il Caffè dibattito è una pubblica discussione che si svolge tra persone che s’incontrano in un bar e decidono assieme di cosa parlare. L’argomento viene scelto secondo una procedura democratica (ciascuno propone un tema e dopo una votazione si sceglie l’argomento più votato). Si invitano quindi le persone a parlare in modo che ognuno possa esprimersi attingendo alla propria esperienza di vita. Nel caffè dibattito, è possibile parlare di sé, del proprio vissuto, di argomenti della vita quotidiana: quest’impostazione permette, quindi, una partecipazione più ampia della gente presente, un confronto tra parti spesso diametralmente opposte, lontane. La scelta del bar è un elemento molto rilevante: infatti deve essere frequentato da utenti di ogni provenienza sociale, senza connotazioni politiche o culturali, senza target generazionali, aperto a tutti, e proprio grazie al clima di convivialità limitata, all’occasionalità degli avventori che viene favorita la partecipazione informale di coloro che hanno voglia di “parlare di qualcosa” senza sapere a priori “ cosa”.

Il termine caffè dibattito o caffè filosofico (dal francese Café Philosophique) sembra essere nato nel settecento, quando, non di rado era uso riunirsi per discutere e dibattere argomenti e temi di diversa natura. Uno dei maggiori e più apprezzati conversatori dei moltissimi salotti e Cafè è stato Diderot che insieme a Rousseau e Voltaire animava le discussioni dell’epoca. Dalla Francia questa particolare “moda” emigrò verso altre nazioni giungendo anche in Italia dove si sviluppò in maniera crescente. Ad oggi sembra che in Francia ci siano oltre 200 Caffè dibattito. Il caffè filosofico di oggi non solo è inteso come libero e approfondito scambio di idee e opinioni con uno schema ben delineato, ma al suo interno il moderatore avvia una discussione stabilendo l’argomento e gestendo il dibattito. Cosa molto importante è che nel Caffè dibattito tutti gli interventi seguono precise regole: fare interventi argomentati, rispettare il proprio turno e ogni oratore è libero di prendere la parola e i presenti devono prestare ascolto senza interrompere La durata di ogni singolo intervento è di circa 3/5

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Grazia Campregher minuti. Per avere una maggiore informazione e per meglio comprendere la metodologia del Caffè Dibattito, abbiamo intervista Grazia Campregher, che del Caffè filosofico è moderatrice. Come hai scoperto questo insolito tipo di “comunicazione”? Nel 2001 il dott. Thierry Bonfanti conduceva i primi caffè-dibattito al Bar Pasi a Trento. Incuriosita da quella novità, ho assistito spesso, anche a Rovereto, al bar del Mart, del Teatro e al caffè Bontadi.

Che storia ha il caffè dibattito? Nel 1980 a Parigi in Place de la Bastille, è nato il primo café philosophique: un dibattito filosofico pubblico svolto in un bar, aperto a tutti i clienti del locale. E’ l’incrocio tra due tradizioni francesi: quella dei salotti letterari e l’incontro tra bar e letteratura. Questo primo café philosophique ebbe così tanto successo che oggi a Parigi ce ne sono più di cento. Nel 1995 Thierry Bonfanti, con un gruppo dell’Istituto Agorà di Parigi, ha ideato il cafédébat, che differisce da quello filosofico –nato per intellettuali e a tema predefinito. Quali sono gli obiettivi e come si svolge? In un luogo pubblico la gente si incontra, riflette, si esprime e confronta, approfondisce vari temi. Quasi come in una “terapia sociale”, gli argomenti trattati sono spesso proprio le preoccupazioni della gente, dei cittadini. Quasi come in una “mediazione sociale” è possibile comunicare da posizioni opposte, per cui il “diverso” è meno estraneo e si riduce la paura dello sconosciuto. Il caffè-dibattito dura circa


due ore: la ricerca individuale del tema, lo scambio comunicativo per sceglierlo democraticamente e il dibattito vero e proprio, basato su personali esperienze. Il caffè-dibattito si svolge all’interno di eventi, da parte di associazioni o in corsi di formazione nelle scuola o come attività di volontariato. Un importante punto a favore del caffè-dibattito è che non ci sono mai litigi, perché c’è spazio di espressione per tutti, e tutti vengono incoraggiati a parlare. La conduzione, “centrata sulla persona”, facilita e media il dialogo, è garante della libertà di espressione di ciascuno, tutela contro ogni forma di sopraffazione, è imparziale durante il dibattito e valorizza ogni punto di vista. Che tipo di formazione serve per gestire un caffè-dibattito? La formazione sulla metodologia N.D.I.Non Direttiva Interveniente- è biennale, e italo-francese. E’ stata ideata dal prof. Michel Lobrot, ed è curata anche dal dott. Thierry Bonfanti e Nicole Habrias, terapeuta. Segue poi un’altra formazione biennale alla mediazione.

Quali sono nella pratica eventuali difficoltà ed esiti? La ricerca del locale dove svolgere il caffè-dibattito e l’iniziale timore di chi partecipa a questi incontri, anche se alla fine c’è molta soddisfazione in tutti. La ricchezza dello scambio con gli altri è innegabile, così come è poco il tempo che dedichiamo normalmente alla condivisione e al vero ascolto. Ricordi la tua prima esperienza diretta? I primi caffè dibattiti li ho co-condotti con un’amica al Barycentro a Trento, in Port’ Aquila.

Quali ti hanno dato particolari soddisfazioni? Particolare, fra i tanti positivi, è stato il caffè- dibattito all’ex birreria Romanda di Levico. E a Pinzolo, per Vitaletà, all’interno di una vacanza di benessere svago e cultura per anziani. Inizialmente, il dibattito era frequentato da pochi, ma via via erano più di trenta e così presi dal dibattito da rinunciare a precedenti programmi di terapie o gite. Il tema scelto era sull’ “utilizzo delle nuove tecnologie nelle nuove generazioni”.

ULTIMA ORA Da Grigno fino a Castello Tesino Senza manubrio ruota e forcella A dirlo non ci crederebbe nessuno, ma pare che molti ormai sono quelli che lo hanno incontrato e visto mentre pedala con la sua bici senza ruota anteriore, forcella e manubrio. Lui è Simone Temperato, alias Magico Tempe, 42enne di Bassano del Grappa, un vero funambolo della bici che colleziona una lista infinita di imprese ciclistiche di questo genere. L’ultima si è svolta domenica 26 giugno nella salita che da Grigno porta a Castello Tesino. Per nove chilometri Simone è riuscito a pedalare con la sua bicicletta “speciale” sfidando le numerose difficoltà che presentava il percorso. Un vero e proprio calvario mantenere l’equilibrio lungo tutta l’ascesa, specialmente nei tratti brevi di falsopiano. La salita è stata percorsa in un tempo rispettabile di 48 minuti e 15 secondi ad una velocità media di circa 12 chilometri orari, non male se consideriamo le condizioni estreme in cui l'ha affrontata. Ma a lui, sembra che que-

sta salita porti bene perchè gran parte delle sue performance infatti le ha testate proprio qui, è una delle poche infatti che le ha affrontate in tutte le “salse”. Nel 2005 con una bici da corsa in impennata, nel 2008 con una mountain bike senza ruota e forcella, nel 2010 un’altra “pazzia” fatta con una mountain bike senza ruota e forcella e sella, seduto sul tubo sterzo del telaio, con manubrio dietro la schiena! Nel 2014 l’unica volta che l’ha affrontata con due ruote, seduto però sul manubrio e pedalando all’indietro! Vedremo se ritornerà la prossima volta, magari con un’altra delle sue esilaranti e spettacolari performance. A questo punto ci chiediamo: cosa potrà togliere ancora alla sua bici?

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IL BUCO NELL’OZONO N

egli ultimi anni si fa un gran parlare del buco nell’ozono. Ma cosa è l’ozono, dove si trova e perché è essenziale alla vita sul nostro pianeta? L’ozono è un gas, estremamente tossico, che non scaturisce dalla terra ma si forma in una parte dell’atmosfera, detta ozonosfera, tra i 15 e i 35 chilometri di altitudine. Essa crea una barriera che blocca o attenua il passaggio di una grande quantità di raggi ultravioletti, i dannosi UVC e UVB, e lascia passare una minima quantità di UVA. Se le radiazioni ultraviolette potessero raggiungere indisturbate la superficie terrestre, come accade invece alla luce, causerebbero danni gravissimi alla salute dell’uomo oltreché di moltissimi animali e vegetali, rendendo addirittura impossibile la vita sulla Terra. Lo spessore dello strato di ozono varia ogni anno per cause naturali a seconda della stagione e della zona. I cambiamenti climatici e la variazione delle temperature ne hanno favorito, negli ultimi anni, l’assottigliamento. La sua integrità è stata però intaccata, soprattutto nelle regioni polari, anche da una grande quantità di sostanze chimiche

immesse nell’aria che, interagendo con l’ozono, lo distruggono. Tale fenomeno prende il nome di buco nell’ozono. Tra i maggiori responsabili di questa pericolosa situazione i clorofluorocarburi (CFC), molto utilizzati negli anni Sessanta e Settanta come refrigeranti e propellenti nelle bombolette a gas. Gli Stati Uniti, pressati dagli ambientalisti, ne bandirono nel 1978 l’uso negli spray ma continuarono ad utilizzarli in altri settori. Il problema divenne mondiale quando, nel 1984, venne scoperto il buco nell’ozono. Da allora molti Protocolli Internazionali hanno tentato di porre un freno all’immissione nell’aria di sostanze nocive. Vero è che gli inquinanti permangono nell’aria per molti anni e dunque passerà del tempo prima di vedere i primi risultati dello sforzo internazionale in tal senso. E così, negli ultimi anni, il buco ha raggiunto dimensioni impressionanti, parificabili a quelle dell’America settentrionale. Dal secolo scorso, con l’inizio dello sfruttamento dei giacimenti petroliferi, la vita sulla Terra ha subito un’accelerazione impressionante. L’umanità ha perso di vista la natura, credendo di po-

 di Sabrina Mottes

terla dominare e manipolare a suo piacimento. Così, in poco meno di cent’anni, la corsa al benessere crescente e forti interessi economici hanno gravemente compromesso l’equilibrio dell’intero pianeta. Ora, lentamente ma in modo costane, sempre più persone si stanno rendendo conto che tutto è collegato in natura e si rinnova in un equilibrio continuo di causa ed effetto di cui anche l’uomo è parte. Come l’acqua sulla Terra è sempre la stessa e abbiamo il dovere di preservarla, così deve essere per l’atmosfera, che è composta da gas miscelati in modo da mantenere la vita così come si è sviluppata, lentamente e in modo perfetto, nel corso dei millenni. Se questo sforzo sarà comune e condiviso, la natura ci permetterà di continuare a vivere sulla nostra casa, che è il pianeta Terra.

Fonte: Corriere della Sera

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