Valsugana News n. 6/2017 Luglio

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Borgo Valsugana - Largo Dordi

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LETTERA APERTA Gentile direttore, Le scrivo a proposito della messa in sicurezza della statale 47, almeno per quel tratto che affianca Ospedaletto e che negli ultimi 40 anni ha chiesto più di 12 vite, con la politica che gioca da sempre alle belle statuine e riempie i giornali di progetti e promesse, come, tra le più serie, la messa in sicurezza con la doppia corsia e il guard rail, il completamento della Valdastico, o il pedaggio selettivo sulla SS47 in accordo con il Veneto. Una messa in sicurezza che va pensata però in una visione più generale della viabilità di valle. Ci sono 59 milioni di euro del Cipe per l’elettrificazione della ferrovia della Valsugana da Bassano a Trento, ma quando verranno impiegati? Occorrerebbe una migliore integrazione tra mezzi di trasporto diversi, un maggiore coordinamento organizzativo e tariffario con le province vicine per garantire facilità di spostamenti anche ai pendolari che si muovono verso Verona e Bolzano, mettendo allo studio un piano di incentivi, economici o fiscali, per favorire l’uso del mezzo pubblico. L’ultimo intervento in ordine alla viabilità sulla statale è stato nel 2014, su richiesta della Comunità di Valle, con la installazione di un autovelox fisso, a Grigno. Nel piano urbanistico provinciale, questa che è tra le dieci strade più pericolose d’Italia, viene definita “corridoio strategico”, tanto strategico che ora, in seguito agli ultimi incidenti mortali, è stato messo il limite dei 50 km/h e il divieto di sorpasso. Oddio, sempre meglio che la

 di Walter Kaswalder pazzia delle rotatorie ipotizzate per “frenare” il traffico proveniente dal Veneto. La variante del Tesino e quella di Telve sono state definitivamente abbandonate e per ora sembra ci siano solo 4,5 milioni di euro per il potenziamento e la messa in sicurezza della retta di Ospedaletto, a fronte di un vero e proprio tabù per le 4 corsie. Che il traffico sarebbe aumentato in maniera esponenziale lo si sapeva ancora nel 1996 quando il tratto trentino era dell’Anas, e vi era un progetto avanzato con tanto di plastico per le quattro corsie dell’autostrada della Valsugana, ma si continua a non scegliere. Verrà il giorno che ci risveglieremo da questi sogni, e ho paura che la realtà potrà essere solo peggiore se ci accontentiamo di aspettare le decisioni illuminate degli attuali decisori politici, che non arriveranno. La gente forse potrà fare qualcosa cominciando a pensare a questa strada come a un transito globale che non si può far pagare, anche a prezzo di vite umane, da chi semplicemente questo transito lo subisce. La soluzione del problema sarà probabilmente un’opera pubblica che andrà ad alterare lo status quo, anche ambientale, della nostra valle. Una scelta difficile che nessuno si è preoccupato di spiegare alla gente e che proprio per questo diventerà sempre più difficile, fino all’impossibile.

Walter Kaswalder Consigliere Regionale



IL SOMMARIO Lettera aperta .......................................................3 Il coraggio di essere una farfalla.............................7 La politica del piccoli passi .....................................9 Diego Orecchio- Poeta della semplicità ..................10 Giuseppe Sebesta ................................................12 Donne vittime del web .........................................13 Sberloni in politica ...............................................14 Travel: viaggi del sesso ........................................16 SPECIALE VALSUGANA.........................................18 La Valsugana 1877 ..............................................21 La Ferrovia della Valsugana ..................................22 Sissi a Levico non c’è mai stata.............................24 Il museo della Grande Guerra ...............................27 Le miniere di Calceranica......................................30 Pergine Ieri e oggi ...............................................33 Tesino: i venditori di stampe.................................35 La Valsugana 1877 ..............................................37 San Biagio a Levico Terme....................................38 Le antiche Terme di Sella Valsugana......................40 La Valsugana 1877 ..............................................41 Diocesi e Pievi nel medioevo.................................42 La magia del sottosuolo .......................................43 La Cassa Rurale Valsugana e Tesino ......................44 Le miniere di Vignola ...........................................46 I laghi di Caldonazzo e l’Eldorado..........................48 Le paludi perginesi ..............................................50 Caorso tra distruzione e costruzione......................52 La Valsugana 1877 ..............................................54 La Guerra di Levico Terme....................................55 La Valsugana 1877 ..............................................57 L’Ottocento tra alluvioni ed epidemie.....................58 La Torre dei Sicconi .............................................60 Valsugana 100 anni fa..........................................62 La Valsugana 1877 ..............................................64 Il Maso del Cuco..................................................65 La salute in Valsugana nel medioevo .....................66 La Valsugana 1877 ..............................................67 Odontoiatria oggi: Centro Medico San Luca ...........68 Marco Gadotti: campione del mondo .....................70 Poesia “La Brenta” ...............................................71 Cronache ............................................................71 Attenti al lupo .....................................................72 La S.S. 47 della Valsugana ...................................73 Benessere & Salute: i disturbi alimentari ...............74 La passeggiata della salute...................................77 Medicina & Salute: l’aspirina.................................78 I contratti ingannano ...........................................80 Cronache..................................................81-82 -83 I temporali ..........................................................84 Cronache ............................................................86

ANNO 3 - LUGLIO/AGOSTO 2017

In questo numero, oltre agli articoli, rubriche e cronache normalmente e mensilmente pubblicate, troverete moltissime pagine, decisamente originali che, con una raccolta di testi, fotografie, pubblicità e curiosità varie, Vi racconteranno, “La Valsugana...ieri e oggi”. Questa nostra iniziativa editoriale nasce dal fatto che negli anni 1875-77 nella nostra vallata veniva pubblicato un periodico quindicinale, edito dalla tipografia Marchetto, chiamato appunto “LA VALSUGANA”. Un giornale dai contenuti originalissimi, di cui certamente molti dei nostri lettori non saranno a conoscenza, ma che grazie a questo numero potranno rendersi conto di come, giornalisticamente e con un vocabolario “unico”, si scriveva in quegli anni e quali erano i contenuti dei vari articoli. Ed è appunto da quei fogli che abbiamo estrapolato alcuni scritti riguardanti la cronaca, i fatti, le curiosità varie e pubblicità. Un insieme che con i brani di recente elaborazione saprà motivare una attenta lettura. Vi informiamo che questo numero, con una tiratura maggiore, sarà distribuito anche nel mese di agosto nei luoghi di pubblica affluenza, specialmente nelle località turistiche.

DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munao’ - 333 2815103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Franco Zadra COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser - Silvia Tarter COLLABORATORI Roberto Paccher - Luisa Bortolotti - Elisa Corni Erica Zanghellini - Francesco Cantarella Francesca Gottardi - Veronica Gianello Maurizio Cristini - Alice Rovati - Daniele Spena Alessandro Dalledonne - Mario Pacher - Franco Zadra Laura Fratini - Francesca Schraffl - Sabrina Mottes Chiara Paoli - Tiziana Margoni - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover Giampaolo Rizzonelli CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE Edizione Printed srl Viale Vicenza, 1 - Borgo Valsugana IMPAGINAZIONE, GRAFICA Grafiche Futura STAMPA Grafiche Futura PER LA PUBBLICITÀ SU VALSUGANA NEWS info@valsugananews.com www.valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright EDIZIONI PRINTED e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a EDIZIONI PRINTED, le loro pubblicità, le loro immagini i loro testi o articoli. Per quanto sopra EDIZIONI PRINTED si riserva il diritto di adire le vie legali per di tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.



Il coraggio

di essere una

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i doveva tenere in piazza della chiesa il primo incontro con l’autore di questa stagione letteraria levicense, iniziata sotto la buona stella della partecipazione tra pubblico e privato, tra la biblioteca comunale e La Piccola Libreria di Lisa Orlandi. Invitata d’eccezione, Vladimir Luxuria, accompagnata dal presidente nazionale di ArciGay, Flavio Romani, appena reduce da una campagna per i diritti civili in Russia che lo aveva visto quasi arrestato e trattenuto per accertamenti con i suoi compagni per una decina di ore. «Un segnale di Putin – dirà poi Romani – alle associazioni straniere per dire loro di starsene a casa». All’iniziare della presentazione del libro "Il coraggio di essere una farfalla", scritto con il regista Stefano Genovese – nessuno pensi che lassù, fosse anche Giove Pluvio, avesse qualche cosa da ridire –, è scoppiato un temporale estivo che ha costretto repentinamente gli organizzatori a spostarsi nella preventivata sala di Villa Sissi, nei pressi dell’entrata del Grand Hotel. Una location che Alberto Faustini, direttore del Trentino e navigato

farfalla Anchorman d’occasione, ha subito apprezzato come sede ideale per «questo prestigioso salotto letterario – ha detto Faustini – perfettamente in tono con il bel vestito di Vlady». L’incontro con quello che è ormai un personaggio globale si è svolto nella semplicità e naturalezza di un capirsi d’anime che si confrontano sulle loro esperienze di vita. Fossimo ai tempi dell’Impero d’Austria, quando l’argomento Lgbt non era ancora sul tavolo, probabilmente se ne sarebbe ricavata una targa in marmo bianco da porre sul portale di Villa Sissi: “...di qui passò Vladimir Luxuria...”, ma i tempi sono questi e ci si fa almeno un articolo di giornale dopo che la notizia è esplosa sui Social Network. Un incontro con molti momenti di pura emozione che bene si riassumono in una chiosa spontanea di un passo di san Paolo: «Non c’è più ne etero e ne gay, ma siamo tutti trans

 di Franco Zadra

nella poesia della vita». La testimonianza di Luxuria, «che – ha detto il sindaco, Michele Sartori – si colloca nel tema “vita” della rassegna “vita, montagna, poesia”», ha aiutato molto il moderatore a calibrare le domande, «Quando ti sei accorta che… non eri dentro la scatola giusta?», un po’ grette inizialmente, ma che poi hanno preso quota fino al livello giusto d’arricchimento per tutti i partecipanti. «Non abbiate paura – ha assicurato Vladimir – ad aver portato i vostri figli a questo incontro, non si diventa trans per contagio, se non lo si è», e appunto siamo tutti trans! «Tre donne sono dietro tutto questo – ha detto ancora il sindaco – Elena Libardi della biblioteca, Lisa Orlandi della Piccola Libreria, e Laura Fraizingher, vicesindaco e molto impegnata sul fronte delle pari opportunità e dei diritti civili. Un grazie particolare va anche a Guido Orsingher, delegato per la cultura che con competenza ha favorito questa iniziativa». Buona la prima, dunque, e ottimo stuzzichino dell’appetito culturale per i prossimi incontri della rassegna itinerante a cadenza settimanale che si concluderà sabato 26 agosto, con Andrea De Alberti, l’oste-poeta per il quale “scrivere è vivere ed è come mangiar bene o bere un buon vino”.

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La sanità secondo Claudio Cia

LA POLITICA DEI PICCOLI PASSI L

a sanità trentina dovrebbe riflettere la percezione che il territorio, nelle città o nelle valli, ha pari dignità. Anzi, dovremmo per certi versi essere più attenti alla periferia perché è quella munita di meno servizi e segnata da maggiori difficoltà logistiche e di viabilità, soprattutto nelle stagioni invernali. La sanità offre ai cittadini dei servizi e delle cure che non possono venire demandati, ma è necessario poterli offrire quando richiesti e la persona ne ha bisogno, poiché si tratta della salute delle persone e spesso parliamo di servizi che non solo migliorano la qualità della vita di chi ne usufruisce, ma anche di fatto la salva. Il cittadino, e non il portafoglio, deve essere al centro del sistema sanitario, per lo meno si dovrebbe cercare di conciliare il più possibile i bisogni del cittadino con le reali disponibilità, ma sempre partendo da quelli per utilizzare al meglio queste. Questa tendenza, poi, a centralizzare i servizi sanitari facendoli convergere soprattutto su Trento, che attualmente ha circa 700 posti letto, mostra evidentemente che non ci sarebbe nemmeno la capacità di rispondere in modo adeguato all’utenza che non trovasse più i servizi sanitari di base nelle periferie e verrebbe a congestionare il servizio centrale. La sanità trentina in passato ha sempre mantenuto funzionanti gli ospedali periferici, mentre oggi questi sono ridotti a poliambulatori verso i quali il cittadino è sempre meno confidente poiché riceve un servizio depotenziato e impoverito che lo spinge verso quei centri che riescono a dare maggiori garanzie di efficienza. È così che la politica ha gioco

facile nel dire che gli ospedali periferici non servono più di tanto poiché sempre meno persone usufruiscono dei loro servizi. Ma proprio la politica ha creato le condizioni perché accadesse questo! Si impoverisce il territorio nelle periferie e non vi è neppure una corrispondente maggiorazione delle disponibilità del centro. Aumentano così i disservizi, le lunghe liste d’attesa, il carico di lavoro per gli operatori che influisce negativamente sulla qualità dei servizi e spinge la gente verso realtà extra provinciali, come Negrar, Bolzano, o Padova. Questo declino inesorabile della sanità trentina sembra valutato dagli attuali decisori politici come quasi ininfluente, se non addirittura da assecondare per una assurda corsa al risparmio, imposta da Roma, alla faccia della nostra autonomia, attuata con dei tagli privi di una visione di futuro che sia credibile. Un esempio macroscopico di questo è il progetto del NOT che andrebbe a diminuire la disponibilità dei posti letto, abbandonando la struttura del Santa Chiara, costata miliardi e miliardi di lire, e ora milioni di euro, per spostarsi di poche centinaia metri in una zona che rimar-

 di Claudio Cia rebbe dentro la città e che tra l’altro andrebbe a stravolgerne la viabilità, presentando inoltre fin d’ora numerose incognite idrogeologiche, le quali non si sa bene come verranno affrontate. Aprirsi al futuro per la sanità trentina vorrebbe piuttosto che si abbia il coraggio di posizionare il nuovo ospedale tra Trento e Rovereto, servito da una linea ferroviaria che possa funzionare come una metropolitana e congiunga i poli opposti della Provincia avendo l’Ospedale come fermata centrale. Invece si investono milioni di fondi pubblici in strutture discutibili, o in nuove tecnologie fatte passare come fossero la panacea di tutti i mali, come la protonterapia o i robot, avendo ormai perso contatto con la realtà e la storia della sanità trentina, arrivata in auge in passato per i piccoli passi che ha avuto la pazienza e il coraggio di compiere assieme alla sua gente. Claudio Cia è Consigliere Regionale e Coordinatore Provinciale di AGIRE

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Il poeta dei sentimenti e della semplicità

DIEGO ORECCHIO

 di Armando Munaò

alabrese di nascita e trentino di adozione, Diego Orecchio, classe 1947, è uno di quei poeti che scrivono la semplicità, l’amore per la natura, la vita di tutti i giorni. Il suo è uno scrivere non pensato o ragionato, ma pura spontaneità che nasce e si motiva dalle esperienze del quotidiano che egli ha vissuto, specialmente quelle legate alla sua terra e a quel mare che lo ha cresciuto e che, come lui stesso sottolinea, «non solo è stato sempre parte integrante del mio essere, ma e soprattutto vero maestro di vita ed energica fonte di ispirazione per molti dei miei racconti e delle mie poesie». Sin da piccolo, infatti, forgiato dal duro lavoro e dai moltissimi sacrifici, vissuti con il padre Domenico, vecchio pescatore, il nostro Diego, nel corso degli anni ha saputo coltivare prima e potenziare dopo, la passione per la scrittura che i molti esperti e giurati dei vari concorsi che lo hanno visto partecipare, hanno parlato di un vero e perfetto cocktail di realtà, fantasia e creatività. Sono i suoi libri che ne testimoniano l'essenza. Sono i suoi versi che certificano la sofferenza che sin dalla giovane età è stata la non facile compagna delle

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sue giornate, a volte pregne di sconforto. Sono le sue poesie che ci raccontano la personalità di questo “artista” dello scrivere che nel tempo e con il tempo ha saputo concretizzare una maturità e una verve poetica che appartiene a pochi. Diego Orecchio, attraverso la scrittura e i suoi versi, ha saputo dimostrare, non solo a se stesso o alla sua famiglia, ma anche e principalmente ai suoi lettori, l'innegabile importanza dei sentimenti che sono sempre fonte, molla propulsiva, ed elemento portante della sua creatività poetica. Le sue sono emozioni vere che partono dalla mente per giungere al cuore e al cuore si soffermano per poi esplodere e motivare quella gioia che non sempre appare e si vede, ma che, volendo, come egli stesso ama sottolineare «è facile trovare». Ed è veramente con il cuore che il “nostro” poeta scrive e racconta la vita di tutti i giorni e che sempre riesce a emozionare chi lo legge e ne apprezza appieno i contenuti di tutta la sensibilità che lo caratterizza.

Se la poesia di Diego potesse essere paragonata a un quadro, indubbiamente ci troveremmo davanti a vere, uniche, originali e autentiche pennellate, dove le cromie, dai toni ora forti, ora tenui e delicati, formano un arcobaleno che appassiona e lascia senza fiato l'attento osservatore. E di osservatori nella vita del nostro poeta ce ne sono stati tanti, tutti concordi nell'affermare il vero e indiscutibile amore che Diego ha mostrato e tutt’ora evidenzia per la poesia che, come sottolinea Gianni Iennale, «nasce dal suo mare, dalla sua meravigliosa terra di Calabria, quando bambino, scoprì le meraviglie dell'infinito e le furie di quel Mediterraneo che tutti noi amiamo». Leggendo i versi di Diego Orecchio ci si accorge e si comprende anche che per lui l'ispirazione non solo nasce dall'anima, ma principalmente dallo spirito e


dalla fede che, a suo parere, fortifica e motiva il nostro essere “uomini”. E di fede, vero cattolico, il nostro Diego ne ha tanta. E tanta cerca di diffondere con i suoi libri, i suoi versi e il suo scrivere. Di libri il “nostro” ne ha scritti davvero tanti che lo hanno reso destinatario di consensi e di premi non solo nazionali, ma anche internazionali la cui quantificazione non è facile elencare, ma che riempiono una bacheca e un Palmarès di “invidiabile” rispetto. Premi che lo appagano e che riempiono di gioia e felicità sia la moglie Fernanda e sia i figli Lucia e Domenico, orgogliosi come non mai di cotanto padre. Riconoscimenti e attestati indiscutibilmente importanti e qualificati quali: Il premio Internazionale “Profumo di Marzo”, Il 1° Premio Concorso di Poesia “Il Parnaso - Angelo La Vecchia – Premio dell’Accademia Internazionale “Il Convivio”, il Premio XVI° Meeting della Fede – Premio

Lions Club del Cilento, Premio Internazionale Accademia Vesuviana e nomina di Accademico della stessa, Diploma di Merito dell’Accademia Universale “Giosuè Carducci”, Premio Internazionale “Città di Napoli” concesso dall’Accademia Internazionale Partenopea, Diploma del Centro Studi Accademia Internazionale “Michelangelo”.

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Dai pupi animati alla Valle incantata

Giuseppe Šebesta  di Chiara Paoli

Ci sono personalità non comuni, quelle che riescono bene in tante cose, che non sanno stare ferme, che amano profondamente quello che fanno e riescono a realizzare grandi progetti.

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iuseppe Šebesta è uno di questi; non può essere catalogato con un solo termine, perché nella sua vita si è cimentato come operatore e regista per documentari, ma ha saputo anche realizzare degli splendidi pupi animati, è stato artista, narratore e favolista, un personaggio eclettico. Per il Trentino è soprattutto un etnografo che ci ha lasciato una grande eredità: il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, nato grazie al suo impegno e al suo lavoro nel 1968. Giuseppe nasce a Trento il 24 luglio del 1919, la mamma è trentina, il padre è originario della Boemia. Frequenta il liceo scientifico e studia chimica all’Università di Pavia, passa poi all’insegnamento, a Trento è docente di applicazioni tecniche e chimica docimastica (chimica che studia i materiali destinati all'industria). Opera in seguito come perito industriale in Trentino e a Milano, dove lo ritroviamo nelle vesti di ricercatore all’interno del centro sperimentale Ducati. È qui che nel 1947 realizza il primo cortometraggio con pupi animati che lo renderanno celebre a livello internazionale. L’anno seguente inizia a frequentare la Valle del Fersina, dove trascorre lunghi soggiorni dediti alla ricerca etnografica. Nel 1951 si trasferisce a Roma, dove è regista o tecnico per numerosi documentari scientifici o folkloristici, in alcuni di essi si cela sotto lo pseudonimo di Venceslao Moldavia. Inizia quindi la stagione dei viaggi che lo spinge a girare l’Italia, la Sardegna, l’Europa dell’est e l’Asia Minore. Grazie al sostegno di Bruno Kessler, presidente della Giunta Provinciale nel 1965, fonda il “Comitato Etnografico Trentino” e avvia il grande progetto di allestimento del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, che verrà inaugurato tre anni dopo, nell’ex convento degli agostiniani che ancor oggi lo ospita. Il Museo di San Michele all’Adige a oggi

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è considerato il più rilevante in Italia e uno tra i più importanti in Europa per quanto concerne la tecnologia popolare. Si dedica ad altri progetti etnografici anche in altre regioni e molti sono i premi che riceve, dalla medaglia d’oro, “Premio Internazionale di Etnografia Alpina Michelangelo Mariani” nel 1986, all’Aquila Ardente di San Venceslao nel 1990. Fa parte di diverse realtà che si occupano di museografia e di etnografia; si dedica principalmente allo studio della cultura materiale e può essere contemplato tra i fondatori della moderna museografia etnografica italiana. Era il 9 marzo del 2005 quando è spirato, a Fondo in Valle di Non. Il suo amore per la Valle del Fersina è stato un elemento cardine per quel grande progetto etnografico volto a preservare gli oggetti simbolo del sapere e del fare umano che ha scandito la vita degli abitanti del Trentino, prima del boom economico. Il secondo dopo guerra è stato un periodo di forte rinnovamento; il diffondersi della tecnologia, degli elettrodomestici e l’industrializzazione rischiavano di cancellare la memoria di un tempo che fu e che oggi perdura all’interno del museo di San Michele. È anche grazie all’interessamento di Šebesta se fiabe e leggende della valle dei Mòcheni, tramandate da sempre per via orale, sono

state trascritte e raccolte in un volume. È così che sono giunte sino a noi molteplici versioni di racconti che narrano di nani, uomini selvatici, fate, anguane (creature acquatiche simili a ninfe, tipiche della mitologia alpina); ma anche di orchi, diavoli, e graonstane (streghe). Alla valle Šebesta dedica anche un film intitolato “Età del legno nella valle del Fèrsina”, che testimonia l’importanza del legno come materia prima utilizzata dagli abitanti per realizzare molteplici manufatti. Di recente anche Fulber, all’anagrafe Fulvio Bernardini, ha dedicato un racconto illustrato a Giuseppe Šebesta, si tratta di “L'Uomo del Mondo Altro” (2016), ove vengono presi in esame 4 degli aspetti che hanno connotato questa poliedrica personalità: i pupi animati, i documentari naturalistici, l’indagine rivolta ai lavori agricoli-pastorali, e la narrazione. Al recente Film Festival della montagna è stato presentato un documentario dal titolo “L’Argonauta” che ha cercato di narrare la vita e le gesta di Šebesta. Il film è stato criticato da Giovanni Kezich, direttore del Museo degli Usi e Costumi e avendolo visto, non posso che dargli ragione. Il film risulta incompleto, della Valle dei Mòcheni è mancata la lingua e non si è riusciti a cogliere quel bagaglio storico che questa gente porta sulle spalle come una grande gerla; grande assente il museo, il suo più ambizioso progetto e cuore pulsante di una personalità che non può essere dimenticata.

Fulber Sebesta - copyright Fulber - Fulvio Bernardini


DONNE

E M I T T I V B E W L E D

 Erica Zanghellini

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rendendo spunto da alcuni fatti di cronaca attuale, vorrei approfondire l’argomento della pubblicazione in internet di foto o video più o meno private e intime senza il consenso della persona. Succede oggi giorno, questo tipo di fenomeno è paragonabile ad un’epidemia e spesso sono le donne le vittime designate. Vi siete mai fermati a pensare quante si trovano in questa situazione? Troppe, che si vedono umiliate da exmariti, ex-fidanzati o ex-amanti che per vendetta pubblicano sul Web le loro fotografie. Una sorta di gogna pubblica che spesso porta a conseguenze inimmaginabili, ci si ritrova con migliaia di link, commenti (spesso volgari e poco gradevoli) e le immagini inserite chissà in quale foto gallery. Le donne si ritrovano vittime inconsapevoli, quando l’unica loro colpa è quella di aver condiviso con quello che allora era il loro uomo, la loro dimensione più privata.

Voglio porre l’accento sulla pericolosità di questi avvenimenti: non so quanti di noi si sono mai messi nei loro panni, ma ci proviamo? Ci si ritrova in una spirale che gira sempre di più, immersi in stati ansiosi cronici, la paura che lo sappia il vicino di casa, la paura che la gente cambi opinione di te o più in generale la paura del giudizio dell’altro. Ci si sente sole, emarginate, con la propria reputazione rovinata per sempre e con una cicatrice che si dovrà portare per tutta la vita. Piene di rabbia e sensi di colpa per essersi fidate di quell’uomo che magari tanto si amava e che in un attimo ha cambiato la tua vita per sempre. La vergogna, l’immensa vergogna accompagna la ricerca spasmodica di strategie per gestire tutto questo. La mente vaga, rimugina e da lì non si schioda. Per uscirne bisogna avere la forza di confidarsi con qualcuno e magari recarsi assieme a fare una denuncia per poter togliere le foto o i video dal Web. Occorre trovare la forza necessaria

L' i dea di un ragazzo del Cyberbullismo per affrontare tutto, ma diciamolo, in quel momento trovarla è davvero difficile, ecco perché si possono fare spazio nella mente alcuni brutti pensieri che in alcuni casi arrivano a materializzarsi e a tradursi quindi in gesti impulsivi ed estremi. Ricordiamoci, la via d’uscita c’è, sarà dura, in salita, ma c’è. Cerchiamo di appoggiarci a una persona di fiducia che ci aiuti in quel momento così doloroso, cerchiamo supporto dagli organi e le figure competenti e anche se in quel momento non sembra possibile piano piano la strada si trova. Anche la politica si sta muovendo per prendere in mano questa delicata situazione; proprio in questi giorni la Camera dei Deputati ha appena approvato la prima legge sul Cyberbullismo. Dopo un percorso legislativo durato più di tre anni è stata approvata all’unanimità. Per la prima volta c’è una definizione ufficiale di questo fenomeno “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito dei dati personali in danno di minorenni, nonché la diffusione di contenuti online il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”. Al momento, com’è facilmente intuibile, l’accento è posto sulla tutela dei giovani, ma la speranza è che la legge venga ampliata per racchiudere qualsiasi fascia d’età.

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Walter Kaswalder,

 di Franco Zadra

Sberloni in politica dati con paasssione

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elle scorse settimane è apparso sul giornale Trentino un intervento di Walter Kaswalder, molto duro e diretto contro il Governatore Ugo Rossi. «Sto ancora aspettando che mi risponda – dice Kaswalder a Valsugana News -, ma dubito che lo farà». Un intervento che potrebbe apparire, come è apparso a noi, un po’ sopra le righe rispetto a un formale rispetto che ci si aspetterebbe all’interno delle istituzioni, anche se alle risse mediatiche, purtroppo, l’elettore medio si è ormai abituato coi Talk Show. “Epurato” dal suo partito, poiché appartenente all’ala identitaria delle “braghe de coram”, come si è espresso il consigliere riferendosi con una chiosa a una famosa definizione che il governatore Rossi avrebbe indirizzato ai sostenitori del “No” all’ultimo referendum, definendoli “gli strateghi dalle giacche di lana cotta”. Kaswalder non ha mai dissimulato la sua schiettezza della quale gli chiediamo conto poiché riteniamo che uno stile sprezzante in politica non paghi,

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anche se potremmo essere giudicati come dei poveri ingenui. «Non ho scheletri nell’armadio – insiste Kaswalder – e posso dire quello che voglio, cosa che “loro” non possono fare. Ho fatto il sindaco a Vigolo Vattaro per quindici anni e non ho mai favorito nessuno della mia cerchia familiare o della mia area politica. Per quanto posso dire di me stesso, ho sempre cercato di mantenermi nella correttezza e nell’onestà. Da quando sono in Provincia però, ho fatto esperienza diretta di spese a volte esagerate, scelte politiche a favore di pochi. Di fatto basterebbe confrontare il nostro Pil con quello dell’Alto Adige. Vi sono dieci punti di differenza, circa 3 miliardi di euro in meno per la nostra Provincia. O anche andare a vedere dove sono finiti i 240 milioni di euro che abbiamo investito nella banda larga per risultare agli ultimi posti a livello nazionale in questo settore. Di tutte queste cose e di molto altro sto preparando una serie di interrogazioni che

Walter Kaswalder è Consigliere provinciale e regionale aiuteranno a far emergere questa mancanza del senso delle istituzioni che ho denunciato nel mio intervento sul Trentino». Per parlare della Valsugana, quali sono i problemi più urgenti che vede? «La chiusura delle Guardie Mediche – spiega di getto il consigliare – e come sono stati ridotti gli ospedali periferici. Già si vede profilarsi un grosso problema per la mancanza di personale infermieristico; la messa in sicurezza della Statale 47, che così come è stata gestita in questi ultimi vent’anni appare come una grande presa in giro; e mi sta a cuore l’elettrificazione della ferrovia. È stato obiettato che l’altezza delle gallerie per arrivare a Pergine non permetterebbe il passaggio dell’elettrodotto, ma c’è una tecnologia dei treni elettrici che permette tranquillamente un passaggio di 100 metri senza essere agganciati al cavo di alimentazione. Non è quello il problema». Nessuno si spaventi, quindi. Gli sberloni dentro l’arena politica non possono arrivare a intaccare il fondamentale rispetto per la persona… «Non sono quelli il vero spettacolo da guardare – conclude Karswalder -, ma i fatti e le idee messe in campo per risolvere i problemi».


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#TRAVEL Una vacanza diversa tra un turista insolito e la mercè femminile

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cuole chiuse, nuove playlist pronte da ascoltare sotto l’ombrellone e si può pensare alle vacanze. Siamo in estate. Stagione dell’anno in cui l’uomo inserito in un sistema sociale dove ricopre diversi ruoli, da lavoratore a genitore o altro, assume in questo particolare periodo più che mai il ruolo del turista. Se pensiamo al turismo balneare la vacanza sarà all’insegna dello svago e del relax, tra infradito e balli di gruppo nelle località marittime, mentre ad un turismo montano associamo il contatto con la natura, per un momento di tranquillità e spiritualità. Ad oggi però questa tipica vacanza all’italiana “come l’amore, attesa con piacere, vissuta con disagio, e ricordata con nostalgia” lascia il posto ad un triste primato che vede gli italiani in cima alla classifica del turismo sessuale. Abituati a rilegare questo fatto a determinati paesi da cui proviene l’allarme pedofilia e prostituzione, non si è a conoscenza della moda che va imperando tra i maturati e i giovani adulti, che vede un

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numero di prenotazioni on-line di vacanze fai da te, dopo aver consultato dei siti singolari: parola chiave “#travel”. Sul web si sono infatti create delle vere e proprie reti e passaparola fra chi vuol fare della propria vacanza uno svago sessuale assicurato; i dati ci parlano di un alto numero di fruitori, è un fenomeno che aumenta a macchia d’olio e che dipende da una serie di fattori sociali, culturali e anche politici. I numeri di questo fenomeno ci fanno pensare ad un nuovo modo di concepire l’idea di svago estivo e soprattutto un cambiamento nella concezione che abbiamo del ruolo del classico turista. Una nuova frontiera che si avvale di un “tripadvisor della femmina”, un sex experience sharing che consiglia dove andare, recensisce luoghi e donne condividendo esperienze tra consumatori, dove gli stessi paesi offrono pacchetti promozionali, un guru del viaggio sessuale accolto da 9 milioni di italiani. Cifre sconfortanti che lasciano spazio a riflessioni e che senza addentrarci in spiegazioni psicologiche indicano nel-

 di Patrizia Rapposelli l’utenza una devianza comportamentale affiancata a un mercato sessuale socialmente condiviso. Una cultura attuale che vede rilegare all’angolo i tabù, le” usanze sottobanco” le interferenze religiose e i curiosi confini morali ad una trasgressione di casa, dove il sesso free è la proposta del web più intrigante e piccante del momento. Molti giovani intraprendono ed accolgono questa nuova esperienza di interpretare una vacanza; il sesso occasionale recensito e promosso dalle stesse donne coinvolte nei vari paesi, al di là di qualsiasi pensiero moralizzatore, legale o meno che sia, è un comportamento considerato trasgressivo. La storia è fatta di inosservanze e dubbia moralità, sino ad arrivare ad una società attuale confusa si dice in sociologia: le persone seguitano ad evolversi tramite ripetitive trasgressioni e il suo stesso sviluppo morale e materiale deriva dalla capacità di opporsi in talune occasioni, ogni volta che si vuole mettere un limite alla coscienza o alla mente. Ad oggi un giovane adulto è capace di imporsi limiti? “# travel” uno spazio condiviso dai confini inesistenti, il web del nuovo turista, il luogo del sesso per gioco che facilita il prendere qualcosa di limitato dell’altro. Un’estate affollata di turisti diversi: quando lo sconosciuto per una notte è a portata di mano.


è f f Ca

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Attivitàella Storichgeand a Valsu Le

Borgo 1910: Piazza Regina Elena.La sede del Bar Milano che ospitava l’Albergo Valsugana. Accanto la filanda dinastiale.

Borgo 1920 circa: La sede del Bar Milano dopo i bombardamenti diventa l'Hotel Valsugana

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Gli attuali titolari del Caffè Milano, i coniugi Daria e Adelino


ALSUGANA: Vstoria, leggende e tradizioni

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arra la leggenda che la valle fosse un lunghissimo fiordo d'acqua tanto che, ai bordi rocciosi dell'alta valle, si dovrebbero trovare ancora i grossi anelli di ferro ai quali venivano ancorate le navi dei pescatori. I contadini raccontavano questa leggenda nei lunghi 'filò' invernali nelle stalle. Raccontavano che la valle ad un certo punto si prosciugò e da qui il nome che essa assunse : valle sugà, sugata (asciugata) e da questo Valsugana. Più verosimilmente, il fatto si adatta al motivo che la parte, ora vicentina, della valle conosciuta come Canale di Brenta è stata fino a tempi storici recenti (forse anche in epoca romana) paludosa e dal difficile transito, nonché lugubre ed austera, mentre la parte trentina, la Valsugana vera e propria, era ed è molto più assolata e ridente. È indubbio, comunque, che la Valsugana sia la meno 'trentina' e la più 'venetà delle valli Trentine, e da sempre legata alle vicende storiche della pianura veneta, della Serenissima e delle vallate Bellunesi. Lo denota il dialetto: un dialetto perfettamente identico dalla periferia nord Padova (non in città, dove si parla il dialetto 'dei siori', dalle profonde influenze veneziane) alle porte Trento. La pianura è una strettissima fascia, larga non più di 10 km, con centro

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proprio lungo la strada statale e l'alveo del Brenta. L'importanza storica della Valsugana, marcato solco di collegamento trasversale tra Trento e il Veneto, è affermata da una delle due strade Romane Imperiali, la Claudia Augusta Altinate, che penetrava in Trentino diretta nella Rezia. Essa aveva un percorso assai diverso da quanto siamo abituati ora con la veloce superstrada, in particolare, anzichè percorrere il fondovalle paludoso si manteneva sempre il più alto possibile al piede degli imponenti contrafforti rocciosi, dove, non a caso, si sono sviluppati numerosi villaggi. Come indica il nome essa proveniva da Altino, l'antica città paleo-veneta, e attraversato il Passo Praderadego, Feltre, Lamon, saliva a Castel Tesino, dove si può ancora vedere un modesto tratto selciato, per calare in Valsugana. Da Strigno e Castel Ivano proseguiva, senza incertezze, alla volta di Borgo Valsugana, Novaledo e Selva di Levico, da dove si può ragionevolmente intuire qualche dubbio sul percorso romano. Gli studiosi difatti non sono concordi e le indicazioni sono piuttosto nebulose, si avanzano dubbi anche sul fatto che essa si dirigesse a Trento, capitale delle alpi orientali. Una soluzione possibile potrebbe essere questa: da Selva, o forse anche dalla Tor Quadra (comune

di Roncegno), la strada si biforcava. Questa potrebbe essere la ragione delle importanti opere di fortificazione che qui si trovavano. Un ramo percorreva il fondovalle in direzione della grande spianata di Caldonazzo, per poi salire al facile valico di Vigolo Vattaro e scendere a Trento, l'altro ramo, forse il principale, proseguiva per il centro di Levico e quindi, costeggiando alto l'omonimo lago, passava al cospetto del grandioso castello di Pergine. Quindi anziché scendere a Trento per la strettissima ed impressionante forra del Fersina, imprati-


cabile all'epoca per il 'pesante' traffico militare romano e addomesticata solo da qualche decennio grazie alle imponenti opere viarie che ora conosciamo, svoltava in direzione della Val di Cembra per portarsi a Bolzano e quindi in Rezia o per il valico del Brennero oppure per il Resia. Questa soluzione abbreviava e facilitava il percorso in caso di movimenti strategici rapidi. Nella bassa Valsugana e nel Canale di Brenta una strada 'vicinale' proveniva da Padova e percorreva più o meno l'attuale sede della statale della Valsugana nei tratti storici (prima delle diverse recenti varianti, circonvallazioni e adeguamenti). Da Padova lambiva la Brenta passando per Vigodarzere e Curtarolo (castello a difesa del porto fluviale o forse ponte sul Brenta) attraversando il confine ovest della grande centuriazione tra il padovano e il veneziano, poi incrociava la più importante strada del nord Italia, la Postumia (da Genova portava a Concordia), poco a nord dell'attuale Cittadella (che non esisteva ancora essendo stata creata per scopi militari nel 1200), passava Bassano del Grappa e si infilava nel Canal del Brenta. In località Cismon forse saliva ad Arsiè (si narra di tratti di mulattiera romana verso il Col del Gallo), per innestarsi, infine, nella Altinate probababilmente a Castel Tesino. Il canyon del Covolo del Butistone, pe-

ricolosissimo, paludoso ed estremamente impervio era quindi aggirato, tuttavia data la posizione estremamente strategica l'enorme inaccessibile caverna del Butistone venne ben presto fortificata. I romani quindi, a difesa delle due importanti arterie di comunicazione, disseminarono la valle di numerosissimi castelli, castellieri, torri di osservazione e postazioni fortificate delle quali restano ben poche tracce, in genere inglobate in successive edificazioni. Per la Valsugana passarono tutti, più o meno armati e con intenzioni bellicose: dai romani ai longobardi, agli unni, ai franchi, agli eserciti imperiali, agli ezzelini (ben rappresentati dal 'Tiranno' per eccellenza), ai veronesi (famose le scorribande di uno che di soprannome faceva Can- Grande... ad indicare la sua ferocia, calatosi dalle balze dell'Altipiano di Asiago, probabilmente dai contrafforti del Portule/Cima 12 per far razzie di polli e maiali... e altro), ai padovani Carraresi, ai Visconti milanesi, ai

veneziani, di nuovo gli eserciti imperiali guidati da Massimiliano I a capo della Lega di Cambrai, ai vari feudatari e signorotti tirolesi, alle compagnie di ventura (mitiche le disavventure di un certo Calepino), ai non meno aggressivi prelati trentini e feltrini, le due più potenti realtà politiche medioevali che suddivisero la valle tra la Contea Vescovile di Feltre e il Principato Vescovile di Trento praticamente fino alla caduta della Serenissima. Per continuare con gli austriaci, i francesi (con Napoleone alla testa di un esercito 10.000 soldati), e di nuovo gli austriaci, quindi i garibaldini. Per finire con i tragici avvenimenti della I Guerra Mondiale e i rastrellamenti della II. Tutti hanno lasciato tracce profonde del loro passaggio, più spesso storie sanguinarie e di distruzione, ma anche importanti segni d'arte e di cultura. Oltre le "città murate", quali Bassano del Grappa, ed escludendo le fortificazioni a scopo militare legate agli avvenimenti della prima guerra mondiale, i castelli, dimora fortezza di feudatari o di vescovi/principi che alimentano le storie e le leggende del tardo medioevo, sono concentrati nella parte trentina della valle.

Su gentile concessione di “Magico Veneto, Montagna Veneta” www.magicoveneto.it

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i Dellagiacoma

AttivitĂ ella Storichgeand a Valsu Le

Roberto, Gabriele, Andrea...

la tradi zione continua

1961

1962

1961

Da sinistra Andrea, Roberto (il fondatore) e Gabriele Dellagiacoma

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CRONACA Quello che si prevedeva di Grigno è avvenuto: la rappresentanza comunale fu sciolta ed ora si stanno compilando le liste per una nuova elezione. Sebbene questo fatto sia di una dolorosa significanza, pure a noi pare che esso pel bene del paese sia da riguardarsi come una crisi di lunga e cruda malattia; del passato non si ricordi che il bene, il male lo si dimentichi; ora il paese si rinovelli e col primo atto della nuova vita, sì solenne sì importante, mostri che a tutti sta soprattutto a cuore il bene comune e che il campo della gestione comunale non deve essere quello in cui scendono a tenzone interessi personali, simpatie ed avversioni private. Ogni partito è buono, quando non deficiente di lealtà e di buona fede: porti ciascuno con calma e con prudente calcolo al governo del paese il proprio contingente di persone: una rappresentanza cosi formata non potrà che riescire a bene. La Valsugana n. 4, Borgo 15 febbraio 1877.

CRONACA Vattaro

Fra Strigno e Scurelle dovrebbero essere state convenute le basi per la costruzione d'una strada carreggiabile di comunicazione fra i due paesi. Questa strada sarebbe della massima importanza non solo per Strigno e Scurelle, ma per tutta la bassa Valsugana, giacchè, corretto che fosse il breve tratto fra Scurelle e Castelnuovo, si avrebbe fra Borgo Strigno e Tesino una via più breve ed assai più comoda dell'attuale. Facciamo voti, che Scurelle e Strigno traducano presto in fatto il loro proposito, e che Castelnuovo s'affretti anch'esso a praticare quelle piccole riparazioni e correzioni su quel piccolo tronco, che a lui s'aspetta. La Valsugana n. 4, Borgo 15 febbraio 1877

Togliamo dalla Gazzetta dei Prestiti di Milano 11 Febbraio Numero 298.

BIGLIETTI FALSI Attualmente circolano in quantità enorme i biglietti falsi di 5 fiorini della Banca Nazionale Austriaca, Questi biglietti portano diverse serie e sono imitati in modo da ingannare l'occhio più esperto. I segni caratteristici della falsificazione sono: la mano alquanto storpiata, nella figura di donna che suona il liuto, al lato sinistro; l’espressione del viso della figura stessa del tutto differente da quella dei biglietti buoni; e in ultimo, le piccole lettere alla parte inferiore a destra non sono in linea retta. La Valsugana n. 4, Borgo 15 febbraio 1877.

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LA

FERROVIA DELLA VALSUGANA

 di Sabrina Mottes

la costruzione A

gli inizi del 1800, dopo il trambusto napoleonico, l’Austria si trovò ad essere la seconda potenza europea per estensione territoriale. Mentre nel resto d’Europa si cavalcava lo sviluppo delle rivoluzioni industriali, l’impegno politico per mantenere saldo il vasto impero portò gli Asburgo ad effettuare scelte seguendo più le strategie militari che quelle economiche e questo penalizzò l’Austria non poco. Molti erano i possedimenti considerati “poco affidabili” e dunque da controllare militarmente e tra questi il Trentino e il Lombardo Veneto. Anche nel progettare il sistema ferroviario, che altrove si stava espandendo assai velocemente, l’Austria privilegiò le scelte politiche anziché l’espansione economica. Valorizzò il porto di Trieste, più incuneato nei suoi possedimenti. Lo collegò a Vienna con linee interne ai propri territori per ragioni di sicurezza e brevità e scartò invece Venezia, troppo legata all’Italia soprattutto dopo che nel 1866 aveva perso il Veneto nella guerra contro Prussia ed Italia. Non voleva nemmeno investire sul Brennero, che rappresentava la linea ideale verso l’Europa. Né tanto meno sulla Valsugana, che partendo proprio da Venezia e passando dal Veneto, avrebbe reso più diretto quel collegamento. In quegli anni la situazione economica

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nel Trentino si era fatta particolarmente pesante. Con la perdita prima della Lombardia e poi del Veneto, passate all’Italia, le tariffe doganali erano immediatamente aumentate e questo lo aveva privato di mercati di sbocco della propria produzione agricola e industriale. Al contempo, una malattia del baco da seta e delle viti mise in grave difficoltà anche questi settori. L’assenza di collegamenti ferroviari efficienti, sia verso l’esterno che verso le valli, isolava il territorio trentino anche dal punto di vista turistico, oltre che della circolazione delle merci. Le insistenti pressioni sul governo di Vienna fecero sì che nel 1891 venisse autorizzata la creazione di una ferrovia locale a scartamento normale da Trento fino a Tezze attraverso la Valsugana, con possibilità di espansione fino al confine d’Italia. In realtà l’Austria, che nel conflitto del 1866 aveva visto il generale Medici penetrare proprio in Valsugana e fino a Pergine e pattuglie italiane arrivare a Civezzano e in Valsorda, alle porte di Trento, autorizzò la ferrovia della Valsugana proprio a difesa dei confini con il Veneto e a servizio del sistema fortificato che aveva costituito dal 1876 proprio per impedire ogni accesso in Valsugana. Questa era

costituita dai quattro Forti di Civezzano e da quelli di Tenna, S. Biagio, Roncogno e Cimirlo. La concessione governativa del 1894 imponeva di concludere il progetto nel giro di due anni e aveva durata di 90 anni, allo scadere dei quali la ferrovia sarebbe passata allo Stato. Il capitale di 6.000.000 di fiorini venne reperito dalla società per azioni, dall’Impero e tramite l’emissione di azioni. Oltre alla Dieta provinciale tirolese, i Comuni del Trentino coinvolti nel progetto acquistarono azioni in proporzione al vantaggio che ciascuno di loro avrebbe prevedibilmente ricavato dalla ferrovia e in cambio ebbero una rappresentanza nel consiglio di amministrazione. Spiccano le quote di Pergine con 30.000 fiorini, Levico 66.666, Caldonazzo 21.333, Borgo


52.900, Roncegno 20.000, Roncegno stabilimento 18.000, Grigno 15.800. Seguono gli altri con cifre inferiori. I lavori di costruzione della ferrovia furono complessi, soprattutto su Trento e nel tratto verso Calceranica a causa del forte dislivello iniziale e della stretta e profonda gola del Fersina, chiusa tra due alte pareti scoscese. In città venne ampliata la stazione con un nuovo binario e costruito il

viadotto di Gocciadoro. Opera grandiosa di 123 arcate di 8 metri di larghezza, tutta rivestito in pietra, aveva lo scopo di superare l’iniziale salita verso la collina. Furono moltissimi i lavoratori coinvolti. Enormi gli sbancamenti, gli sbriciolamenti di roccia, la bonifica di terreni e per un paio d’anni la Valsugana fu un gigantesco cantiere. I tempi di esecuzione della fer-

Treno della vecchia Trento-Malè in sosta alla stazione di Lavis

rovia furono rispettati. Non altrettanto si può dire per la spesa, in particolar modo per le ingerenze del Ministero della Guerra di Vienna che, specie nel tratto da Villazzano a Roncogno, pretese gallerie fortificate soprattutto nella tratta sui Forti di Civezzano. Della costruzione ferroviaria ebbe beneficio l’industria del legname, per le traversine, quella lapidea che fornì la graniglia per la massicciata e quella delle costruzioni. La linea fu inaugurata il 26 aprile 1896 da Trento e fino a Tezze, con dieci stazioni in totale. Da Tezze a Bassano i viaggiatori potevano usufruire di un servizio di diligenze per poi proseguire nuovamente in ferrovia. Nel febbraio 1905 il governo italiano accordò la concessione per la linea Mestre-Primolano e finalmente, il 21 luglio 1910, la Venezia-Trento venne aperta al traffico. La ferrovia risultava però già obsoleta e carente nel tratto austriaco poiché, come detto, non era stata affatto concepita dall’Austria per svolgere il ruolo di collegamento commerciale dall’Adriatico verso il Nord– Europa, bensì per ragioni quasi esclusivamente militari.

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Sissi

a Levico non c’è mai stata  di Franco Zadra

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a vigilia di Natale del 1837, una domenica, a Monaco nel palazzo ducale di Ludwigstrasse, vide la luce Elisabetta Amalia Eugenia Wittelsbach, imperatrice d’Austria nota al mondo con il soprannome “Sissi”. Era nata con un dentino in bocca che i bavaresi chiamavano Glückszahn, dente della fortuna, condividendo la stessa leggendaria premonizione che segnò Napoleone Bonaparte. Il padre, duca in Baviera, Maximilian, poeta, esploratore, suonatore di cetra, e la madre, Ludovica, quinta figlia del re Massimiliano I di Baviera, ebbero altri sette figli: Ludovico, Elena, Carlo Teodoro, Maria, Matilde, Sofia Carlotta, e Massimiliano Emanuele. Come scrive Licia Campi Pezzi nel suo “Sissi. La regina delle Dolomiti”, edito da Curcu & Genovese, 2008, “A quindici anni Sissi era una bravissima amazzone e non disdegnava di occuparsi di persona del proprio cavallo. Aveva già avuto una cotta adolescenziale per un giovane di

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nome Riccardo, morto prematuramente e il padre, che per compiacere il suo amore per il circo spesso invitava acrobati e domatori a esibirsi negli austeri cortile del palazzo di Monaco, la chiamava «la mia zingara» o «la piccola selvaggia». L’idea di un trono non la sfiorava nemmeno, quando l’arciduchessa Sofia, madre di Francesco Giuseppe, contattò la sorella Ludovica alla ricerca di una sposa per il giovane imperatore. Le caratteristiche dell’aspirante fidanzata dovevano comprendere la religione cattolica e l’appartenenza a una famiglia reale di provati sentimenti di amicizia verso gli Asburgo e la Baviera, terra d’origine della stessa Sofia, rappresentava quindi il destinatario ideale. Lei stessa aveva sposato un arciduca austriaco, Francesco Carlo, destinato, secondo le previsioni, a succedere al fratello Ferdinando, salito al trono benché sofferente di idrocefalia ed epilessia. La rivoluzione del 1848, che costrinse la famiglia imperiale a lasciare Vienna sotto la spinta delle sommosse per rifugiarsi prima a Innsbruck e poi in Moravia, dimostrò la necessità di avere sul trono una figura più energica. Pur non essendo affetto da disturbi della stessa gravità del fratello, FranSissi e Franz cesco Carlo sembrava

Kaiserin Elisabeth - 1862 troppo timido e privo di carattere per regnare in tempi così turbolenti. L’arciduchessa Sofia, vero deus ex machina dell’operazione, riuscì a combinare l’abdicazione di Ferdinando con la rinuncia del marito, in modo da far salire al trono il diciottenne Francesco, che aggiunse al proprio nome quello di Giuseppe II, l’imperatore illuminista, creando così un compendio di tradizione e modernità. I primi mesi del nuovo sovrano segnarono il trionfo della controrivoluzione: la rivolta ungherese e i tentativi di insurrezione nel Lombardo-Veneto furono schiacciati nel sangue”. La storia racconta dell’incontro tra Francesco Giuseppe e Sissi, al grande ballo a Bad Ischl, vicino Innsbruck, come un colpo di fulmine per quella bellezza acerba, con i capelli così lunghi che arrivavano a sfiorarle le caviglie, dalla freschezza di “una mandorla che si schiude e le labbra “simili a fragole”. Il 18 agosto 1853, ventitreesimo compleanno dell’imperatore, vennero annunciate le sue prossime nozze con la cugina quindicenne, certamente innamorata ma che spesso si lamentava: «Se solo non fosse l’imperatore!». Al suo primo impatto con la corte di Vienna, legata a un severo “cerimoniale


spagnolo”, Elisabetta dovette già presagire che non si sarebbe trattato di una passeggiata. Privata dei suoi affetti e delle sue abitudini, nata e cresciuta in una famiglia di costumi semplici sebbene nobile, Elisabetta cadde presto malata, accusando per molti mesi una tosse continua, febbre e stati d’ansia, dovuti a turbamenti di origine psichica. Si hanno tracce dei soggiorni dell’Imperatrice in Trentino Alto Adige, a Merano, a Madonna di Campi-

glio, e sul Lago di Carezza ma, a parte una stanza da bagno dedicata a “Sissi” all’interno del Grand Hotel Imperial, edificato dopo la sua morte, la storia non ci ha consegnato alcuna documentazione di qualche sua presenza a Levico elevata al rango di città dall'Imperatore Francesco Giuseppe I il 1° aprile 1894, e che nel 1896 vede inaugurata la ferrovia della Il Valsugana. Il 10 settembre 1898, mentre alloggiava all'Hotel BeauRivage sul lungolago di Ginevra, sempre vestita di nero dopo il suicidio del figlio Rodolfo, l’imperatrice Elisabetta doveva prendere il battello delle 13.45 per Montreux, accompagnata dalla contessa Irma Sztáray. Fu allora che La Principessa Sissi l'anarchico italiano

fidanzamento e le nozze con Francesco Giuseppe Luigi Lucheni, appostato dietro un ippocastano armato di una lima nascosta in un mazzo di fiori, la pugnalò al petto con un unico colpo preciso. Sissi si accasciò per effetto dell'urto, ma si rialzò e riprese la corsa verso il battello che stava per partire, non mostrando alcuna sofferenza. Arrivata al battello, impallidì e svenne nelle braccia della compagna, spirando un’ora dopo, nella sua camera d’albergo, senza aver ripreso conoscenza. La sua tomba si trova a Vienna, nella Cripta Imperiale, accanto a quelle del marito e del figlio.

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MUSEO sulla UN

grande guerra  di Silvia Tarter

Brigata di montagna

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’idea di creare una mostra permanente sulla Grande Guerra a Borgo Valsugana è nata negli anni ’90, quando un gruppo di amici appassionati di storia, ricercatori e studiosi decise di fondare l’Associazione Storico Culturale della Valsugana Orientale e del Tesino (ASCVOT), creata nel 1997, per raccogliere, conservare e valorizzare le testimonianze storiche, specialmente appartenenti al periodo della prima guerra mondiale, nelle aree comprese tra l’altopiano dei Sette Comuni, la Valsugana, il Tesino e la catena Lagorai Cima d’Asta. Dopo anni di attenta ricerca, raccolta e catalogazione di documenti e testimonianze materiali, bibliografiche, archivi-

Ingresso al museo

stiche e fotografiche e la pubblicazione di vari articoli, nel 2002 l’associazione, grazie all’intervento della Provincia, del comune di Borgo e al supporto dei volontari, è riuscita ad allestire negli spazi dell’ex mulino Spagolla la "Mostra Permanente della Grande Guerra in Valsugana e sul Lagorai", una ricca e accurata esposizione di reperti risalenti al primo conflitto mondiale. Vi si trovano fotografie, uniformi militari, medaglie, armamenti, oggetti di uso quotidiano della vita in trincea, assegnati in comodato d’uso, donati, oppure rinvenuti dagli stessi soci di ASCVOT durante escursioni sulle vette della Valsugana orientale. Mettere piede in questo museo suscita

immediatamente un silenzio rispettoso in chi vi si addentra, evocando riflessioni, emozioni, curiosità e domande rispetto a quella che è stata una pagina tragica del nostro passato e che ha contribuito a definire il presente in cui viviamo. La mostra, inaugurata appunto nel 2002 e aggiornata alla forma attuale nel 2016 è una collezione dinamica, che viene continuamente modificata e integrata di nuovi elementi, ognuno recante una lunga storia. Appena varcato l’ingresso, ci si imbatte subito in un’originale uniforme garibaldina del “Corpo Volontari italiani”, che era stata indossata da Alessandro Spagolla, pasticciere originario di Borgo trasferitosi a Milano, che si arruolò nelle camicie rosse di Garibaldi partecipando alla spedizione contro gli austriaci del 1886. Fu l’ultimo garibaldino trentino, che morì dopo innumerevoli vicissitudini, tra cui anche l’arresto da parte della polizia austriaca, a più di novant’anni di età. L’esposizione si articola poi su due sale, un’ampia sala a colonne, dove perdersi ad osservare numerose vetrine espositive e diorami che ricostruiscono gli ambienti della guerra, come le trincee e l’infermeria, e guardare le fotografie del tempo, che mostrano immagini dei campi di battaglia e scene di distruzione dei paesi della valle. Il percorso espositivo ci illustra anche, in un filone tematico, come si fosse evoluta nel corso stesso di quegli anni di conflitto, l’arte della guerra, raffinando in corso d’opera l’equipaggiamento dei soldati e gli armamenti, che in un primo momento erano ancora di stampo ottocentesco. Ad esempio si

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può osservare come mutarono le uniformi dei combattenti austriaci, che se inizialmente erano piuttosto appariscenti, anche nei colori, via via adottarono uno stile più mimetico e funzionale. Apprendiamo poi che in un primo momento non si utilizzavano gli elmetti di metallo per proteggere la testa dalle schegge delle pietre o dalle armi; furono infatti introdotti solamente nel 1915 dal colonnello Augusto Adrian (che diede poi il nome al modello), riuscendo a salvare così molte più vite. Quanto alle armi utilizzate, un’ampia vetrina è poi dedicata alle bombe a mano, accanto ad altre armi micidiali, che vennero tristemente consacrate durante questo primo atroce conflitto mondiale, quali ad esempio la mitragliatrice Schwarzlose, o la cosiddetta “pernacchia”, la Villar Perosa, una mitragliatrice prodotta dalla FIAT, con una cadenza di fuoco che

poteva arrivare fino a 3000 colpi al minuto, una vera macchina di morte! Ma oltre alle uniformi e alle armi dei soldati, possiamo trovare anche qualche traccia della vita quotidiana durante la guerra e la dura vita di trincea, che era molto più scomoda e faticosa di quanto ci abbia abituati a pensare certa filmografia. Si era infatti costretti a vivere, o meglio sopravvivere, condividendo appena un metro e mezzo di spazio di larghezza. Ecco che in alcune vetrine quindi troviamo degli oggetti di uso comune, rinvenuti

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Camicia rossa garibaldina originale

sulle montagne della Valsugana, complice anche il crescente ritiro dei ghiacciai, come bottiglie, tazze, persino dentiere, stoviglie arrugginite, scatolette di sardine,

orologi, rosari, cartoline e lettere indirizzate ai propri cari lontani. Oggetti questi che nella loro semplicità condensano e comunicano innumerevoli storie di solitudini e paure. La mostra prosegue poi in una seconda sala, dove possiamo osservare la ricostruzione a grandezza naturale di una trincea austriaca con sbarramento di reticolato, oltre allo scorcio di un tunnel italiano con inerenti attrezzature di scavo. Ci vorrebbero troppe parole per raccontare

ogni singola storia contenuta in ogni singolo oggetto impolverato dal tempo, ogni medaglia, ogni divisa, ogni bomba, esposta in questa ricchissima collezione di elementi e testimonianze che è davvero unica nel panorama museale dell’area tra Veneto e Trentino. Ma forse è meglio così, poiché la cosa migliore è andare e vedere di persona, per realizzare, o almeno provare a capire, che cosa significasse vivere e combattere la guerra in quegli anni. Oltre a curare e gestire gli spazi della mostra permanente, l’ASCVOT si occupa anche di realizzare annualmente delle pubblicazioni o delle riedizioni di pubblicazioni storiche, che si possono trovare in vendita anche all’interno del museo. Per tutta la stagione estiva inoltre, il museo organizza anche delle interessanti escursioni sui monti della Valsugana che sono stati teatro del conflitto, dove insieme ad una guida del museo e un accompagnatore di media montagna, si può salire in vetta e visitare le strutture militari. Le prossime uscite in programma sono sabato 19 agosto al passo Cinque Croci e cima Socede e sabato 9 settembre con un’escursione al Croz di Primalunetta. Infine, tra i prossimi progetti in via di realizzazione, ci anticipano i collaboratori del museo, c’è un minuzioso lavoro di censimento epigrafico, ovvero una raccolta delle scritte che segnano le rocce delle nostre montagne, lasciate dai soldati, scritte a cui affidavano i loro pensieri, le loro paure e le loro speranze.



NEL MONDO SOTTERANEO

 di Silvia Tarter

DELLE MINIEREDI CALCERANICA

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ra le attrazioni turistiche di Calceranica al Lago ci sono anche le sue miniere, tra le più estese dell’Alta Valsugana, un dedalo di profondi cunicoli scavati nella valle del torrente Mandola, che confluisce nel lago di Caldonazzo, dove un tempo, fino agli anni ‘60 del secolo scorso, i minatori lavoravano duramente per estrarre la pirite. La storia delle miniere di Calceranica affonda in un passato molto remoto. La ricchezza mineraria di quest’area infatti era nota sin dall’età della preistoria e probabilmente anche in epoca romana, ma di questo periodo non vi sono prove. Nel XVI secolo si ha poi notizia che a Calceranica si estraeva il rame, che veniva poi lavorato in una manifattura a Tenna, oltre al ferro, lavorato in una fucina vicino alla chiesetta di S. Ermete, poi abbandonato perché di scarsa qualità, e in piccola parte persino oro e argento.

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Nei secoli successivi, le miniere della Mandola vennero scavate per estrarre la pirite. Da questo minerale ferroso detto anche “oro degli sciocchi” si ricavava il vetriolo, ovvero l’acido solforico che veniva adoperato nell’industria tessile e metallurgica come colorante e detergente. Dalla polvere di pirite si otteneva poi la “sugarina”, utilizzata come assorbente per l’inchiostro e che per il suo colore dorato era anche chiamata “spolverino d’oro”. Durante la prima guerra mondiale, sotto la dominazione dell’impero asburgico la miniera venne militarizzata, per estrarre la pirite volta a produrre esplosivo. Per rendere più veloce il trasporto del materiale estratto, venne quindi creata una ferrovia decauville, lungo il sentiero che costeggia il Mandola, per portare il minerale direttamente alla stazione dei treni di Calceranica. Terminato il conflitto, la gestione passò alla Società Anonima Miniere di Calceranica che nel 1924, decise di costruire un tunnel per rendere più agevole il trasporto del miSentiero dei minatori

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Ingresso galleria Leyla nerale. Fu così creata la galleria Leyla dal nome della figlia dell’ingegniere che la progettò, morta prematuramente- a 477 m di altezza sul livello del mare, che divenne il punto di ingresso della miniera: di lì si scendeva, perforando le viscere della terra, fino a 35 m. Nella galleria, tuttora percorribile in una piccola parte, passavano i binari di un convoglio, che serviva sia a trasportare i minatori che il minerale scavato, che da qui veniva trasportato fino alla stazione da dove partiva per essere lavorato a Porto Marghera. A scavare in queste miniere, che davano lavoro a 700 persone, oltre agli abitanti di Calceranica arrivavano persone dai paesi vicini, Vattaro, Bosentino, ma anche da altre regioni, come Veneto, Toscana, Marche e Emilia-Romagna. I minatori che vivevano nei dintorni giungevano a piedi, percorrevano l’aspro sentiero lungo il torrente due volte al giorno, da casa al lavoro e vice-


versa, anche d’inverno e di notte, facendosi luce con una lanterna. Il lavoro infatti era strutturato su 3 turni di 8 ore: dalle 7 del mattino alle 15; dalle 15 alle 23; dalle 23 alle 7. La vita del minatore era quindi molto dura, oltre che parecchio rischiosa: in questi tunnel dove non si vedeva mai il sole ci furono morti, vittime di crolli, schiacciamenti o errori di detonazione dell’esplosivo; molti furono i feriti e così le persone che si ammalarono di silicosi, una malattia polmonare contratta a causa dell’eccessiva respirazione di polveri. A loro memoria, e a quella di tutti i minatori, nel 1991 l’associazione Gruppo Culturale Miniera insieme a un gruppo di ex minatori ha fatto ereggere un monumento scolpito nel porfido, a opera dell’artista Mario Ricci, che si trova in piazza Graziadei. Dal 1929 la gestione della miniera passò alla Società Montecatini, che arrivò a sfruttare al massimo il giacimento, incrementando parecchio la produzione annua di pirite, fino a raggiungere, il picco massimo, nel 1953, ben 111.841 tonnellate! L’attività della Montecatini andò avanti fino al 1964, quando la miniera venne chiusa per esaurimento della pirite. Da allora, il giacimento ha visto un lungo periodo di abbandono, anche perché la gente non amava ripensare a quegli anni difficili e dolorosi. Finché nel 2008 il comune, attuale gestore insieme alla società Albatros, ha dato vita in collaborazione con il Museo di Scienze Naturali di Trento, ad un parco minerario visitabile, per mantenere viva la memoria di un patrimonio minerario che nei secoli ha profondamente segnato la storia di Calceranica e dei suoi abitanti.

Per ulteriori informazioni relative alla visita alle miniere: 377 4465588 - www.minieracalceranica.it info@minieracalceranica.it

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1915 - 2015

PERGINE

IERI E OGGI l tempo vola, sembra ieri e invece sono già passati due anni dal centenario dell’inizio del primo conflitto mondiale e quindi dall’inaugurazione del progetto storico – fotografico volto a far rivivere l’ambientazione perginese del secolo scorso. Era il 18 agosto 2015 quando in piazza Municipio a Pergine ha preso avvio il percorso per immagini, che mescola gli scatti del fotografo Eduino Paoli, risalenti alla stessa giornata del 1915, quando viene festeggiato l’ottantacinquesimo compleanno dell’imperatore Francesco Giuseppe. Agli abitanti era stato richiesto di partecipare addobbando le proprie abitazioni per l’occasione con le imperiali bandiere biancorosse, colorati copriletto che scendevano dalle finestre e ghirlande realizzate con rami di pino. Presso l’Hotel Posta si erano svolti i festeggiamenti a cui parteciparono i graduati dell’esercito e le autorità locali. Le foto provengono dall’incredibile Wunderkammer di Luciano Dellai, noto collezionista di Pergine che ha concesso le immagini per il progetto, mentre la grafica è stata curata da Alessandro Bencivenga, per mettere a confronto alcuni dei principali luoghi del centro cittadino. Questa iniziativa si è inserita nel “Progetto Grande

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guerra” ed è stata patrocinata dal comune di Pergine e dall’assessora alla cultura Elisa Bortolamedi; le notizie storiche sono frutto del lavoro di Giuliana Campestrin, dell’archivio storico comunale. I pannelli erano stati posizionati nei luoghi che rappresentavano, e cioè: piazza Municipio, un tempo nota come piazza Granda, ma che nell’estate del 1916 acquisisce l’appellativo di Kaiser Franz Josef I Platz. Nel pannello dedicato è possibile scorgere gli esercizi commerciali dell’epoca, come il Caffè Centrale di Guido Copat, collocato in casa Stelzer, all’angolo con via Pennella; la macelleria e la rivendita di pasta, pane e cereali Dellai in casa Ochner. Quella che è oggi Via Giuseppe Pennella, in onore del generale originario della Basilicata che era a capo delle milizie italiane che liberarono Pergine, portava un tempo il nome di via Borgo Nuovo, per divenire poi Erzherzog Karl Franz Josef Strasse. Qui si può vedere l’Albergo Cavalletto che un tempo era di proprietà di Galdino Fontanari; di fronte il giardino di casa Chimelli, attuale sede del Ristorante Cavalletto. Molti sono i nomi che si sono avvicendati su quello che oggi conosciamo come viale degli Alpini, a inizio del secolo scorso piazza Fiera, per divenire successivamente Marktplatz e quindi piazza Garibaldi nel primo dopoguerra. Qui si tenevano infatti le fiere come quella della Festa Granda (8 set-

 di Chiara Paoli

tembre) e della candelora (2 febbraio); in questa immagine, scattata nel febbraio del 1915, in occasione della visita dell’arciduca ereditario Carlo I, è possibile vedere la facciata principale dell’Asilo Chimelli, edificato nel 1896. Anche il pannello fotografico che presenta la chiesa Granda, immortala la visita dell’arciduca. Nella foto di piazza Santa Elisabetta, detta nel 1915 vicolo dei Portici e dal 1916 Laubengasse, si può ammirare la chiesa, mentre si nota l’assenza della fontana con il tritone che al tempo era dislocata in piazza Fiera. A chiudere questo carosello di immagini la storica contrada Taliana, oggi via Maier e per breve tempo rinominata Viktor von Dankl Strasse, adornata da bandiere bianco rosse per celebrare il genetliaco di Francesco Giuseppe.

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1968


I Vecchi mestieri scomparsi

TESINO:

I venditori di stampe

 di Silvia Tarter

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l lavoro, lo si vede quotidianamente, è in continua evoluzione. I mestieri si aggiornano, ne nascono di nuovi e altri ne scompaiono, affidando il loro ricordo a fotografie e racconti, che suscitano sempre un po’ di nostalgia e qualche sorriso. Certi mestieri di un tempo, comuni a tante vallate alpine, appaiono oggi a noi lontanissimi. Eppure erano parecchio diffusi fino a qualche decennio fa. Li praticavano i nostri nonni e i nostri bisnonni. Per alcuni occorrevano manualità, pazienza e sudore. Altri richiedevano lunghi spostamenti, di mesi o talvolta di anni. Di tutto questo oggi rimane spesso solo un’immagine scolorita, perduta nei racconti, e anche un po’ romantica. C’erano i seggiolai, gli impagliatori, diffusi soprattutto fra Sagron Mis e Canal San Bovo, che si spostavano da un paese all’altro con un mazzo di erbe essiccate e si annunciavano gridando “el caregheta”; e poi ancora: i funai, che riparavano le funi, i costruttori di scale a pioli, i bottai, i sellai, i fabbri, gli arrotini in sella alla bicicletta dove facevano girare la loro mola, i mugnai, i vasai, i costruttori di fruste e

Il “Per via”, Museo Tesino delle Stampe e dell'Ambulantato, è dedicato all'antica tradizione dei tesini come commercianti ambulanti- Archivio APT quelli “sgalmere”, gli zoccoli in legno che costavano poco. Tra i mestieri più curiosi c’erano gli imbalsamatori, che, prima che le leggi sulla tutela delle specie rare lo impedissero- imbalsamavano anche fagiani, barbagianni e galli cedroni. Ci fu poi persino il caso di un costruttore di orologi da campanile, un certo Giulio Motter che in quel di Zivignago di Pergine da autodidatta ingegnoso si operò per realizzare i meccanismi utilizzando materiali di scarto, come pietre e mantici da tubi di stufa. Certo non tutti i mestieri di questi artigiani si sono del tutto estinti, sopravvivono ad esempio i falegnami. Quella cultura artigianale però, che si affiancava a quella contadina, -spesso i contadini erano anche artigianifatta di manualità, sapienza tecnica da custodire gelosamente e un ricco repertorio di vocaboli, gerghi, modi di dire e proverbi, oltre che un vasto patrimonio di attrezzi del mestiere, con il secondo dopoguerra e il cre-

Il Venditore di stampe - Museo per Via - Pieve Tesino, Trento

scente miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie, anche nelle campagne, ha finito inevitabilmente con venire sempre meno fino quasi a scomparire. I VENDITORI DI STAMPE Oltre ai mestieri artigianali, un capitolo a parte lo merita uno dei più affascinanti mestieri diffusi in Valsugana, precisamente dal Tesino, ovvero quello dei perteganti, i camminatori ambulanti che consumavano chilometri e suole di scarpe, per vendere la loro merce in paesi lontani. La storia degli ambulanti del Tesino, dedito da secoli alla pastorizia, inizia con la lavorazione della selce, minerale di cui la valle era molto ricca, utilizzata per produrre pietre focaie. A Castello Tesino nel XXVII secolo la famiglia Gallo aveva dato vita ad una fabbrica per produrre pietre d’archibugio, poi vendute dai venditori ambulanti, spesso ex pastori, che si spingevano fino in Germania, Polonia, Ungheria e Russia. Fu proprio da questo commercio di “prie fogarole”, come venivano chiamate, che i venditori carica-

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più importanti d’Europa. Nel ‘700 aprì un deposito a Pieve Tesino, in Piazza Maggiore, da cui partivano i perteganti, che erano ben contenti di viaggiare con un peso decisamente più leggero delle pietre focaie. Per questi ambulanti la vendita divenne così un’attività piuttosto redditizia. Si allontanavano da casa per mesi interi, da autunno a primavera, quando non a tempo pieno, lasciando figli e mogli in attesa, per vendere Ingresso Museo - Per Via - Museo tesino delle stampe immagini raffiguranti figure sacre, specie nelle campagne, ma via via vano sulle proprie spalle, che derivò, al- anche di gusto più borghese come animali l’inizio del 1700 quando ormai la fabbrica e vedute di città. Viaggiavano per lo più Gallo dovette chiudere per via della con- verso l’Europa, dove i più intraprendenti correnza, il commercio ambulante di un riuscirono ad aprire le proprie botteghe altro tipo di merce: le famose immagini e stanziarsi, ma qualcuno arrivò anche stampate dei Remondini. Questa famiglia in America, Africa, Giappone e Australia. gestiva a Bassano una stamperia di libretti La loro arrività era ben organizzata: erano e carte, raffiguranti per lo più immagini strutturati in Compagnie guidate da un religiose. Un prodotto certo non indi- Capocompagnia con licenza, a cui la spensabile in un’economia di sussistenza stamperia affidava le immagini da vene una quotidianità spartana come quella dere. Per fare questo mestiere era nedel tempo, ma che riuscì ad avere un’enor- cessario poi garantire ai Remondini una me diffusione e dare lavoro a questi proprietà, quindi un terreno, o un bene camminatori del Tesino con la cassela in immobile da impegnare per ricevere la spalla, la cassetta che portavano con sè, merce, e da cui dipendeva l’estensione per ben tre secoli. Il sodalizio tra gli am- del commercio dell’ambulante. Dovevano bulanti tesini e i Remondini avvenne, se- inoltre avere una “fede di sanità” ovvero condo un manoscritto del XVIII secolo, un’attestazione che certificasse il loro grazie a Frate Antonio Mostato di buona salute, oltre a una patente randi di Pieve Tesino, che utilizzando dei calchi in legno produceva delle stampe a basso costo raffiguranti animali; quando ebbe la vocazione l’uomo donò, si dice nel documento, i suoi stampi a Giovanni Antonio Remondini, proprietario appunto della stamperia bassanese, che seppe sfruttare e raffinare questa tecnica con nuove attrezzature per dar vita, contando sull’esperienza commerciale dei venditori di pietre tesini a un fortunato commercio, tanto che la sua stamperia divenne una delle

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di girovago, istituita nel ‘800, una sorta di passaporto. Per la legge asburgica erano poi costretti a sottoporsi, e sottoporre la merce, a controlli, per evitare che venissero diffuse immagini immorali o in contrasto con la politica imperiale. Lo stesso venditore doveva dimostrare inoltre di avere buona condotta morale e politica. Dopo decenni di grande attività, il successo della stamperia Remondini iniziò a declinare negli anni ’40 del XIX secolo, per finire col chiudere i battenti nel 1860. Gli ambulanti tesini andarono avanti, nonostante la crisi del loro fornitore, differenziando il loro commercio (mercieri e giornalieri) con la vendita di altri minuscoli prodotti con cui riempire la loro cassela quali aghi e fili, coltelli, pipe, fiammiferi... Anche dopo il primo conflitto, animati dallo spirito di intraprendenza dettato dalla necessità lavorarono come ambulanti, anche se furono molti quelli che scelsero di emigrare definitivamente, finché questo tipo di commercio andò scomparendo definitivamente. Oggi, in Trentino, a testimonianza di quei decenni segnati dal camminare degli uomini delle immagini esiste un museo a Pieve Tesino, PER VIA, il Museo delle Stampe e dell’ambulantato, gestito dalla fondazione De Gasperi. Nel periodo estivo è aperto nei seguenti orari: mar-gio: 14.30-18.30; ven-dom: 10.00-13.00 e 14.30-18.30 www.museopervia.it

Per Via - Museo Tesino delle Stampe


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Coltivazione dei funghi. Ecco un metodo facilissimo per avere i funghi tutto l’anno. In una cassa di abete inverniciata interamente, mettete della bovina secca di vacca, inumidita con un po’ d’acqua nella quale avrete disciolto un poco di salnitro: quindi ammucchiatela coi piedi sino all’altezza di dieci centimetri circa, mescolandovi un po’ di terra. Seminate poi del bianco di fungo con terra e bovina, per 5 soli centimetri, e dopo averlo ammucchiato copritelo con 25 centimetri di terra. Se la terra si secca troppo, bagnatela, ma senza annegarla, e due mesi dopo avrete dei funghi per due anni. Scorsi questi bisogna rinovare l’operazione servendosi dello stesso bianco. La Valsugana n. 15, Borgo 1 agosto 1877

La stazione di Borgo Valsugana

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LATTE DI CAGNA Il dott. Bernard osservò che nel suo paese (Moathrum) le donne, abituate ad allattare i propri bambini sino a due o tre anni, se li perdono prima, sogliono dare il latte a cani (!) e che i cani nutriti col latte muliebre riescono generalmente rachitici e deformi; egli osservò invece che il latte di cagna fornito ai bambini lattanti, affetti da rachitismo, riesciva quasi sempre di grande utilità. La ragione di questi fatti sta evidentemente nella diversa composizione del latte, il quale dipende dalla natura dei cibi. Il latte di cagna, che è animale carnivoro e che mangia anche le ossa, dovrà contenere gli elementi minerali delle ossa assai più abbondantemente del latte di donna, il quale anzi ne difetterà. Ecco perché i rachitici allattati dalla cagne guariscono dall’osteomalacia, mentre i cani allattati dalla donna diventano rachitici. La Valsugana n. 15, Borgo 1 agosto 1877

Uno dei rimedi più popolari è la tintura d’arnica, e non v’ha donniciuola che non sappia applicarla esternamente e amministrarla per bocca nei casi i più diversi; a diritto e a rovescio. Eppure è un rimedio molto energico che, per uso interno ha prodotto molti avvelenamenti. Per bocca non si deve usare che l’infuso caldo fatto con quattro o cinque fiori intieri. Anche la tintura applicata sopra una ferita può avvelenare per assorbimento: quando l’integrità della pelle è perfetta, essa può produrre malattie cutanee, se le bagnature sono troppo forti o troppo ripetute. La Valsugana n. 15, Borgo 1 agosto 1877

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San Biagio interessa solo ai Satanisti E ra il 27 maggio 2009 quando scritte inneggianti a Satana apparvero sull'antica chiesetta di San Biagio. L'esterno del piccolo eremo che sorge sull'omonimo colle all'ingresso ovest di Levico, tra il parco Belvedere e il Forte delle Benne, era stato imbrattato con croci rovesciate, il numero «666» e frasi in inglese quali «burn the church», «satan was here», «satan my master», «black metal mafia is back». «Un atto vandalico – dice Paolo Gaigher del Gruppo Pensionati che da molti anni apre la chiesetta ai visitatori durante l’estate, un pomeriggio alla settimana – che alla parrocchia costò circa ottomila euro. Tentarono di forzare la porta, ma per fortuna sono stati disturbati perché se avessero danneggiato gli affreschi all’interno sarebbe stato un disastro». La chiesa di San Biagio sorge in un'area di notevole interesse archeologico. Si trova su un colle a una quota di 570 metri ed è dedicata a San Biagio, probabilmente vescovo di Sebaste in Armenia, il cui martirio risalirebbe al 316. Conserva portico e affreschi interni dei secoli XIV e XVI, soffitto ligneo, volta del presbiterio gotico, altare a cassa, rustico pavimento

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in lastre di porfido, ora completamente asportato dall’ultimo intervento di restauro. È ormai certo, che nei pressi dell'attuale chiesetta, sorgesse anche un castelliere della seconda metà dell'età del ferro come risulta dal rinvenimento di numerosi reperti e ceramiche del tipo Sanzeno. Nel XVI secolo era chiamato “castellaro" ed era feudo vescovile trentino. Secondo gli studi di monsignor Rogger c'era, infatti, una struttura castellana che incorporava la chiesa, ora unico elemento superstite. Gaigher ci accoglie in orario di visita, il lunedì dalle 15 alle 17. Dei cavi elettrici corrono sul pavimento ad alimentare sei lampade alogene che rendono visibili gli affreschi restaurati. Sulla destra dei resti di una scena di cavalieri con lo scudo verde, i volti raschiati via e varie scritte incise con un chiodo. «Questa cappella è sempre stata consacrata – spiega Gaigher – e il 3 febbraio, giorno di San Biagio, si celebra ancora la santa messa. Quando la custodia non era curata dal Gruppo Pensionati, era accessibile a chiunque. I danni che hanno fatto sono frutto dell’abbandono». Nel caldo del pomeriggio, la frescura della chiesetta e l’impatto con quegli antichi affreschi è emozionante. Pare di sentire trapelare dagli avvolti il canto gregoriano dei frati. Un gioiello architettonico impregnato di un senso religioso, dissetante di per sé. A pochi metri dall’atrio, alcune rovine, probabilmente

 di Franco Zadra

un romitorio, dove ancora nel Settecento abitava un eremita, custode della chiesetta e “monaco” della parrocchia di Levico. Durante le pestilenze del XVI e XVII sec. vi vennero sepolte alcune vittime del morbo, e nell’estate del 1951 durante dei lavori di restauro si rinvennero a fianco della chiesa tre scheletri inumati senza bara. Altri due scheletri rinvenuti di recente sotto il pavimento, pare invece siano appartenuti agli ultimi due frati presenti prima dell’arrivo dell’eremita. Le loro ossa sono state ricollocate sotto la caldana nell’angolo a sinistra dell’ingresso, ma nessuna scritta, o alcun segno, ne segnala la presenza. «Avevano promesso – dice Gaigher – di porre una lapide sopra le ossa, invece… come avevano promesso pure di riportare i reperti di pregio che sono stati portati a Trento e che erano sotto il pavimento ma l’intenzione era quella di predisporre delle lastre di vetro illuminate che li rendessero visibili ai visitatori. Ora ci sono queste botole di legno a coprire i reperti di minore valore». Il Gruppo Pensionati si è adoperato anche per portare la corrente elettrica alla chiesetta, chiedendo al Comune una spesa di 400 euro per un


cavo elettrico “volante”. Regolarmente una squadra del ripristino ambientale tiene pulita la strada per salire e i dintorni della chiesetta. Nicolò Rasmo, studioso degli affreschi di San Biagio, riconosceva negli anni ‘70 l’affresco dei “quattro santi” come quello più antico, assegnandolo a ignoto pittore veneto di notevole livello, operante al principio del ‘300. «Numerosi sono quelli – dice ancora Gaigher – che fanno tesi di laurea su questa chiesetta». Un gioiello architettonico e di antichi affreschi che pare avere tutte le carte in regola per divenire un’attrattiva unica del turismo d’arte e religioso. Ma la mancanza di risorse sembra frenare qualsiasi iniziativa pubblica o privata, o anche della diocesi. Rimane il lumicino fumigante dell’impegno indefesso e volontario del Gruppo Pensionati, in attesa di tempi migliori, quando si risveglierà l’interesse per questo patrimonio artistico e religioso, che non sia solo quello di satanisti imbecilli.

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Le Antiche Terme di Sella Valsugana F

ino ai primi decenni del secolo scorso la valle di Sella aveva una certa importanza come stazione termale. Tutto era iniziato verso la fine del 1700 quando due medici di Roncegno, Giuseppe e Leopoldo Trogger, analizzando l’acqua di una sorgente che nasce dal Monte Armentera, a quasi 900 metri di altitudine, avrebbero accertato la presenza di importanti e rare sostanze minerali. Dalla verifica sarebbe risultato infatti che l’acqua, oltre a possedere qualità diuretiche, conteneva fosfato di calcio, magnesio, ferro ed altri minerali particolarmente indicati nella cura di artriti, artrosi e malattie della pelle. Nei primissimi anni dell’Ottocento una società privata decise quindi di utilizzarla per scopi terapeutici. Venne così edificata una locanda che sfruttava, sia come bevanda che attraverso i bagni, l’acqua della sorgente che veniva portata a valle attraverso una piccola opera di presa e una conduttura metallica. Con il passare del tempo quella locanda si dimostrò però insufficiente a far fronte alle aumentate richieste di cure, per cui, verso la fine del 1800, venne costruito un albergo vero e proprio, si-

tuato dove attualmente si trova la “Villa Paradiso”, e il complesso venne denominato “Stabilimento Subalpino di Sella”, accanto al quale, fin dal 1845, era stata edificata una chiesetta dedicata all’Assunzione. Come riporta anche Aldo Masina nel suo libro “La Valle di Sella”, un settore dell’immobile era destinato per i bagni con acqua calda e fredda, mentre nel parco circostante vennero realizzati una “dependance” denominata Villa Carlotta, un campo da tennis e uno da bocce. Le cure termali venivano effettuate all’interno dello stabilimento e i curandi effettuavano i bagni in eleganti vasche monolitiche. Il periodo in cui le terme di Sella assunsero la maggiore importanza fu quello antecedente la Prima Guerra Mondiale, quando lo stabilimento era frequentato dai signori della vecchia nobiltà austriaca e bavarese, e talvolta anche da quella russa. È interessante riportare alcune notizie dell’epoca contenute nella guida “Il Trentino” edita nel 1913 da Cesare Battisti, dove si rileva che lo stabilimento, che disponeva di 25 stanze con 40 letti,

Il vecchio stabilimento termale di Sella in una foto d’inizio Novecento

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 di Mario Pacher

era aperto da giugno a fine settembre di ogni anno. I prezzi per la pensione variavano da 5,50 a 6,50 corone giornaliere, mentre il costo del solo pernottamento partiva da 1,20 corone in su. Al suo interno si trovavano poi sale da lettura e da biliardo a disposizione degli ospiti. La costruzione venne completamente distrutta durante la guerra italo-austriaca del 1915 – 1918, e successivamente ricostruita dopo la fine del conflitto. L’attività termale venne poi ripresa, ma per una serie di fattori non tornò più ai livelli di prima della guerra e andò via via regredendo, finchè nel 1936 la società proprietaria fu costretta alla vendita e il complesso venne acquistato dall’industria metalmeccanica Breda di Milano, che lo utilizzò per alcuni anni come convalescenziario per i propri operai. Con il sopraggiungere della seconda guerra mondiale il flusso degli operai milanesi s’interruppe e così la colonia venne chiusa. Nell’immediato dopoguerra il fabbricato venne quindi alienato alla Compagnia Grandi Alberghi Marzotto, che, dopo essere stato nuovamente ristrutturato, venne denominato “Hotel Paradiso”. Negli anni ’70 la Società Marzotto lo vendette al Comune di Carpi che lo trasformò in Colonia Alpina, utilizzo che prosegue tuttora in modo particolare nella stagione estiva. A ricordo dell’attività termale di un tempo, una modesta spina di quell’acqua ancora oggi arriva attraverso le condutture sotterranee nei pressi di Villa Paradiso e qui viene raccolta in un albio ricavato da un grosso tronco. Molta gente della Valsugana, da Trento e anche da fuori provincia, si reca, soprattutto nel fine settimana, sull’altopiano di Sella a fare provvista di quell’acqua, consapevole del suo ricco contenuto di sostanze minerali.


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Diocesi e pievi nel Medioevo

 di Elisa Corni

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otere politico e potere spirituale nel medioevo erano distinti e separati. Poteva capitare, per esempio, che la giurisdizione dei vescovi valicasse i confini politici, penetrando in territori gestiti da entità differenti. È il caso, per esempio, della Valsugana e del Primiero, che fecero parte della diocesi di Feltre dall’Alto Medioevo fino al 1785, anno in cui passarono a quella di Trento. Per più di mille anni, quindi, il limite orientale della diocesi trentina, che arrivava a Pergine, non coincise con il confine politico del Principato vescovile, posto invece a Novaledo. Qui si entrava, infatti, nella giurisdizione civile dell’episcopato di Feltre, una discontinuità che ancora oggi segna non solo la linea di confine tra i comuni di Levico e Novaledo, ma anche la più ampia suddivisione della valle in Alta e Bassa. Gli storici stanno tutt’ora cercando di capire il perché di questa discontinuità: una delle ipotesi trova una spiegazione nella struttura dei “municipia” romani di Trento e Feltre, che in parte ricalcano la struttura delle diocesi medievali. Eppure alcune importanti differenze,

come i confini del pinetano e di Valsorda, mettono in dubbio questa conclusione. Le diocesi medievali, anche in Trentino, erano frazionate in nuclei territoriali più piccoli che ruotavano attorno alla propria chiesa, la “pieve”. La Valsugana e il Primiero erano suddivisi in sei pievi, alle quali erano assegnate alcune funzioni liturgiche, come i battesimi e le sepolture. Non si sa bene quando furono fondate, quali furono le prime e quali seguirono, perché purtroppo i documenti più antichi che si trovavano nel palazzo vescovile di Feltre furono bruciati in un incendio all’inizio del Cinquecento; quel che è certo è che alcune delle pievi valsuganotte sono veramente antiche. È il caso, per esempio, della pieve di Santa Maria di Calceranica; menzionata per la prima volta in un documento del 1213, che ha come baricentro la bella chiesetta di Sant’Ermete, edificio in stile romano-gotico risalente con ogni probabilità al VI secolo. Questa graziosa chiesetta ha sicuramente una storia religiosa estremamente antica: con ogni probabilità fu

Chiesa San Valentino - Caldonazzo un centro di culto precristiano, come documenta la notevole ara del II secolo dedicata alla dea romana Diana, attorno alla quale si sviluppò poi il culto cristiano. La più occidentale delle pievi valsuganotte, quella di Pergine, fu citata per la prima volta nel 1183, e il suo territorio si estendeva dal confine con la diocesi di Trento, il rio Silla, fino alle sponde del lago di Caldonazzo. Non meno antiche sono le pievi di Borgo e di Ivano, per le quali purtroppo non si hanno notizie scritte antecedenti il Trecento. Ancora meno notizie si hanno sulla pieve di San Giacomo Maggiore di Grigno, al contrario di quanto avviene per quella di Pieve Tesino, che compare probabilmente come “plebs Sini” in un documento del 1184. Le prime documentazioni relative all’ultima delle pievi della Valsugana, quella di Primero, sono del 1206, e recenti scavi archeologici hanno portato alla luce i resti di una basilica paleocristiana e una vasca battesimale risalenti al V-VI secolo. L’aumento demografico e il moltiplicarsi dei centri abitati resero necessario un ammodernamento del sistema, e le pievi cedettero il passo alle parrocchie, più numerose ed efficaci sul territorio.

San Ermete a Calceranica - APT Valsugana

San Sebastiano e Fabiano a Pieve - APT Valsugana

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Lamagia delsottosuolo  di Chiara Paoli

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a Valle del Fersina è nota per le sue risorse minerarie, sono proprio questi incredibili tesori sotterranei che hanno fatto fiorire storie e leggende legate al mondo del sottosuolo, quelle che parlano di creature fantastiche come gnomi e folletti del bosco. Nel comune di Palù del Fersina, si colloca a quota 1700 metri, la miniera dell'Erdemolo, detta in lingua mòchena Gruab va Hardimbl. Il giacimento venne sfruttato tra il 1400 e la prima metà del XVII secolo, oggi si connota quale sito di interesse storico minerario aperto al pubblico. Nel cuore della terra sono state posizionate delle vetrine che custodiscono alcune testimonianze, tra cui alcuni minerali che qui venivano estratti, ma anche utensili e indumenti dei minatori. All’interno della miniera è possibile partecipare alle visite guidate della durata di circa 45 minuti, che accompagnano i visitatori alla scoperta della realtà quotidiana dei canopi, per comprendere chi fossero, da dove venissero e come vivessero in questa impervia vallata. Nel cuore e nel buio della monta-

gna si schiudono corridoi, passaggi sotterranei e gradini che tolgono il fiato e manifestano le difficoltà lavorative dei minatori. Per raggiungerla basterà proseguire dopo il centro di Palù e seguire le indicazioni per il Lago di Erdemolo. La miniera è aperta al pubblico il sabato e la domenica nei mesi di maggio, giugno, settembre e ottobre, mentre in luglio e agosto è accessibile dal martedì alla domenica con visite nei seguenti orari: 10, 10.45, 11.30, 13.30, 14.45, 15, 15.45, 16.30, 17.15. Il museo S Pèrgmandlhaus, si colloca invece nell’abitato di Palù del Fersina, di fronte all’Istituto di Cultura Mòchena, sulla destra, salendo, è presente apposita segnaletica. In questa sede viene narrato il mondo sommerso delle miniere della Valle del Fersina, grazie ai numerosi minerali presenti al primo piano e offerti ai visitatori per l’osservazione diretta o al microscopio. Qui viene presentata l’attività dei canòpi (minatori, dal termine tedesco Knappen,) e sottolineata l’importanza delle risorse naturali come legno e acqua, indispensabili per l’estrazione e la lavorazione. La visita guidata all’interno della casa museo, al secondo piano permette di ripercorrere la storia e la cultura della popolazione di questa vallata, che si connota come una delle tre minoranze linguistiche ri-

maste nel territorio Trentino. Sarà possibile osservare il procedimento di lavorazione della calcopirite e gli attrezzi che venivano impiegati. Qui si pensa anche ai più piccoli; per i bambini vengono organizzate infatti simpatiche cacce al tesoro e letture animate che hanno come protagonisti i nani che abitano il sottosuolo. È inoltre possibile realizzare una pallina di lana cardata, proveniente dalla vallata, grazie al progetto “Bollait - Gente della Lana”, all’interno della quale va sigillato un desiderio che andrà ad arricchire l’Albero dei Desideri, scultura realizzata dall’artista locale Paolo Vivian. Il museo mineralogico è visitabile dal giovedì alla domenica negli orari 10 – 13 e 14 – 18, dal 15 maggio al 15 ottobre. Entrambe le sedi museali possono essere aperte per gruppi su prenotazione in giornate e orari diversi. Per maggiori informazioni consultare il sito internet: http://www.umpalai.it

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L’UNIONE FA L Il Presidente Arnaldo Dandrea Con il primo di gennaio 2017 è operativa una nuova banca in Valsugana: la nuova Cassa Rurale Valsugana e Tesino, che è il frutto della fusione delle ex Casse Rurali di Roncegno, Olle-SamoneScurelle e della “vecchia” Valsugana e Tesino. Una banca quindi nuova ma che continua, nel solco della tradizione del credito cooperativo, un lavoro di sostegno all’economia locale ed alle famiglie che dura da oltre un secolo! 8600 soci, 129 dipendenti, 27 filiali al servizio di un territorio che copre 14 comuni trentini e 6 comuni del vicino Veneto. Una solidità patrimoniale testimoniata da un indice CET1 del 17,9% (media dei principali istituti bancari italiani 11,9%), un legame con le comunità testimoniato dalle oltre 350 associazioni ed enti a cui la Cassa Rurale eroga ogni anno un contributo a sostegno del volontariato e delle attività sociali.

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La sede di Borgo UNA NUOVA CASSA DA COSTRUIRE: INNOVAZIONE E MIGLIORAMENTO La fusione che, grazie al voto convinto dei soci, si è realizzata, è stata un’operazione di grande rilevanza strategica. Tre importanti storie di cooperazione bancaria sono confluite in un nuovo progetto, in modo da poter affrontare il presente con le sue difficoltà, l’incertezza a livello economico e finanziario, le problematiche diffuse del mondo sociale e politico, che coinvolgono anche il livello locale. E i primi risultati di messa in sicurezza la nuova Cassa Rurale Valsugana e Tesino li ha ottenuti: un’organizzazione più forte e presidiata negli uffici centrali; maggiori risorse da dedicare ai controlli ed alla gestione dei rischi, in linea con quanto raccomandato dagli organi di vigilanza; cercando di impostare dal punto di vista strategico una serie di azioni, che poi saranno tradotte in concreti servizi e realizzazioni. · SIAMO UNA BANCA COOPERATIVA: ESALTIAMONE I PUNTI DI FORZA. Il principio cooperativo è basato sulla mutualità e sulla reciprocità. È un principio che nasce su forti basi etiche, ma è anche un CONCETTO ECONOMICO, UN MODO DIVERSO E MIGLIORE DI FARE IMPRESA che coniuga efficienza economica ed equità sociale. Le imprese cooperative devono essere in grado contemporaneamente di produrre valore economico e di produrre valore sociale. Ricordiamo la“teoria dei due

La sede di Roncegno

cavalli” di Platone: il solco sarà dritto se i due cavalli che trainano l’aratro marciano alla stessa velocità. Parafrasando, l’uno rappresenta produttività ed efficienza, l’altro il bene comune. La cooperazione si muove dentro questi due binari. · IL MONDO È SEMPRE PIÙ APERTO ED INTERCONNESSO: RICERCHIAMO NUOVE MODALITÀ DI COMUNICAZIONE. Siamo convinti assertori del valore della nostra banca cooperativa, ma vogliamo anche essere in grado di comunicarlo all’esterno, e non solo ai nostri soci ed ai nostri clienti. La Cassa Rurale porta valori tradizionali ed è attenta sia alle fasce di popolazione più giovani che a quelle più anziane, e vuole investire nell’innovazione delle forme di comunicazione. Vuole comunicare la corretta percezione della qualità dei prodotti e dei servizi che proponiamo, selezionati in modo attento per essere i più adatti ai nostri clienti. Vuole far percepire correttamente l’entità del servizio svolto dalla rete delle nostre filiali sul territorio e non lasciare che vengano vissute come una cosa data per scontata. · I NOSTRI TERRITORI ESPRIMONO VECCHI E NUOVI BISOGNI: ASCOLTIAMOLI ED ESERCITIAMO IL RUOLO DI BANCA DELLA COMUNITÀ. Abbiamo un’ottima squadra di collaboratori che sono la


LA FORZA La sede di Strigno nostra risorsa più importante per essere veri terminali e sensori del nostro territorio. Un territorio che ci chiede di esercitare il ruolo che ci è proprio, cioè quello di banca locale, raccogliendo il risparmio e mettendolo poi a disposizione sotto forma di prestiti alle famiglie e alle imprese dei nostri paesi, e di essere banche differenti, presenti nel momento del successo ma anche in quello della fatica e della difficoltà. Abbiamo iniziato a lavorare, la strada è lunga, ma noi la percorreremo fino in fondo, facendo leva sui nostri bravi collaboratori e sui tanti soci, clienti, associazioni che credono nei valori cooperativi, che si conoscono, che conoscono il territorio, la sua gente, i suoi bisogni. È un viaggio che continua, da più di cento anni. Venite a trovarci nelle nostre filiali, visitate il nostro sito internet www.crvalsuganaetesino.net, informatevi: lavorare con la Cassa Rurale è un investimento per i soci ed i clienti, ma anche per l’intera comunità! (p.r.)

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le miniere di Vignola

Mestieri di altri tempi  di Chiara Paoli

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a valle del Fersina è un territorio ricco di miniere, l’estrazione inizia nel XIII secolo e si protrae nel tempo sino a divenire una vera e propria risorsa industriale. La storia delle miniere di Vignola-Falesina che si collocano sul versante posto a Sud del crinale Panarotta-Cima d’Orno, si può ricostruire attraverso i documenti. Tra il 1280 e il 1290 i Castelbarco concedono a una ignota azienda tedesca, il privilegio di estrarre minerale in zona e la stessa realtà pare possedere una fonderia in località Zivignago. Una lista del 1403 menziona 9 miniere a Vignola e 5 a Falesina, le coltivazioni più antiche erano orientate soprattutto alla fruizione dei solfuri per prelevarne metalli come l’argento, il rame, e il piombo. È nel 1430 che troviamo esplicitamente menzionato l’oro di Vignola che è stato rinvenuto nella miniera di Pietro Svizzer. È all’epoca di Sigismondo del Tirolo che grazie all’attività mineraria Pergine vede nascere la contrada Te-

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desca; da qui operano i banchieri per proteggere gli interessi imperiali; nella cittadina sono attivi un Tribunale Minerario (1504), il mercato settimanale (1505), e la fiera minerale. Negli Statuti dei Carradori del 1526 si menzionano rame, ottone, e piombo, ma nel 1575 in un atto di negoziazione spuntano gli edifici degli “auricalchi” che si trovano nella contrada Tedesca. La zona a nord del Marcadel è individuabile come quartiere dell’Oricalco, lega di oro rame e zinco, paragonabile all’ottone e molto usato nell’arte orafa del periodo rinascimentale. Maestri indiscussi in questa tipologia artistica erano gli orafi di Augusta, che con ogni probabilità nella contrada perginese avevano impiantato una manifattura artistica locale. E se l’attuale farmacia Bottura era un tempo sede del Fondaco, a fianco si trovavano la casa minerale, dove era d’obbligo depositare le cotte d’argento per la pesa e la sigillatura, e il Tribunale Minerario situato in casa Dalla Torre. Fino agli anni ’70 giungeva a Pergine la teleferica di collegamento con partenza dalla miniera Cima Orno-Rio Eccher e Vignola Falesina, il punto di arrivo era il piazzale sul retro dell’ufficio dei Canòpi, edificio che ancor oggi porta questo nome. Una relazione di Wolf Schömann (giudice minerario a Vipiteno) e Anton Plümb (capo miniera) datata 1522, ci porta a conoscenza dell’alto numero di minatori impiegati nelle miniere di Vignola Falesina, ben cento

per sei gallerie. In quegli anni Ulrich Penzl è il proprietario della miniera di rame e argento e possiede anche a Viarago una fonderia ben fornita, nel 1547 sono testimoniati i successori del maestro Wolfganngen Watterhofer. È grazie a Bernardo Clesio che Pergine si apre a nuovi commerci verso Venezia, dove è richiesto il solfato di ferro, elemento che in Panarotta si trova in dosi massicce. Dalla metà del XVI secolo ha inizio un periodo di decadimento per le miniere della zona, che a fine Seicento, abbandonate dagli augsburghesi, sono divenute proprietà di imprenditori italiani. Nel 1735 subentra a Vignola la Milesische Gewerkschaft, compagnia mineraria costituita da azionisti stranieri, che riesce a risollevare le sorti minerarie della zona, aprendo anche una fonderia a Serso, ma il successo dura poco; la società indebitata e in fallimento si scioglie nel 1750. Nell’ottocentesco periodo napoleonico Lorenzo Chimelli cita quattro miniere presenti in località Vignola, mentre G. N. Hoffer parla dei metalli che vi si trovano: rame e argento. L’attività mineraria riprende negli anni ’20 del ‘900, nel 1936 la società Montecatini effettua dei sondaggi, ma rinuncia a proseguire i lavori, che vengono portati avanti dal dottor


Pio Angeli di Trento a partire dal 1939; egli impiega dai 3 ai 5 lavoratori. La concessione di sfruttamento è datata 1953 e l’anno seguente viene rilevata dalla Mineraria Trentina S.p.a. – Milano. Nel ‘900 le priorità sono diverse e ciò che viene distillato dal terreno e separato dalla ganga (materiale di scarto, sabbia o pietrisco che vengono estratti assieme ai minerali e poi separati) sono i minerali come quarzo, fluorite e calcite che vengono sottoposti a procedimenti di tipo industriale. A Vignola si trovano 4 diversi filoni, il cui elemento principale è la fluorite, dalla quale si ricava l’acido fluoridrico, da cui si ottiene il fluoro, utilizzato nei dentifrici che usiamo ogni giorno. In realtà gli usi sono diversi, in metallurgia è un utile

fondente per la fusione dell’alluminio mentre in campo ottico viene impiegato per la realizzazione di lenti e prismi. Ma all’interno del giacimento si trovano anche minerali come quarzo, blenda, galena, barite, in modica misura pirite e calcopirite. Nella miniera Fontanelle, la ditta C. Maffei & C. Monte Orno Spa, viene prelevato il quarzo; se all’interno delle gallerie il materiale viene movimentato con carrelli trainati da locomotive a batteria, fuori viene trasportato per 3000 metri attraverso una teleferica che lo conduce all’impianto di flottazione (procedimento di separazione dei minerali) e macinazione Sink Float di Canezza. Nel 1962 subentra la Mineraria Prealpina S.p.a. – Milano che opera ancora per alcuni anni, fino alla chiusura definitiva dell’attività mineraria. Di questo periodo è anche la costruzione di servizio per la galleria al livello di Vignola (1064 m slm). Le informazioni sono tratte dal

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volume: “Vignola Falesina. Due piccole, forti comunità nel tempo” a cura di Lino Beber, Mauro Stulzer e Marzio Zampedri, Associazione Culturale Sportiva “Filò” di Vignola Falesina, 2008. Oggi l’associazione che ha dato origine al Museo delle Miniere di Vignola, è capofila del Parco Minerario Valsugana e Bersntol che vuole mettere in rete i musei e i siti di interesse minerario presenti in zona e sta operando per la candidatura Unesco. Si ringrazia Mario Stulzer per la gentile concessione delle immagini fotografiche

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I laghi di Levico e Caldonazzo, l’Eldorado elettrico C

on la fine della Prima Guerra Mondiale il Trentino passò sotto la sovranità del Regno d’Italia. Non ci volle molto perché le autorità e le grandi società elettriche si accorgessero di ciò che Cesare Battisti aveva denunciato al Parlamento austriaco prima dello scoppio del conflitto: ovvero che il Trentino con i suoi fiumi e le sue montagne era il luogo ideale per produrre energia elettrica. E così, come nelle Americhe nei secoli precedenti ci fu la corsa all’oro, in Italia ci fu la corsa per accaparrarsi le licenze per la costru-

Nessuna valle fu risparmiata, e anche la Valsugana si rivelò appetibile per questo tipo di progetti che presto divennero realtà, con le centrali di Carzano, attiva fin dal 1939, di Grigno, in servizio dall’anno successivo, e di Costabrunella nel comune di Pieve Tesino, completata solo durante la seconda guerra mondiale. Non meno interessanti erano per gli ingegneri e i progettisti i bacini lacustri. E così pure i laghi di Caldonazzo e Levico furono oggetto di attenzione per

Centrale sul Grigno

 di Elisa Corni

nuove o già consolidate società elettriche. Era il 1922 quando l’Ente Autonomo Forze Idrauliche Brenta-Piave, che si stava costituendo proprio in quel periodo, chiese al Ministero la concessione per deviare a valle di Canezza le acque del torrente Fersina, verso una centrale posta a Ischia; dopo il loro utilizzo, le acque sarebbero state fatte confluire nel lago di Caldonazzo. Ma nel grande progetto presentato, le cose non sarebbero finite lì. Anzi, il lago sarebbe stato utilizzato come bacino per una seconda centrale ad Acquaviva, vicino a Mattarello. Quello che rimase solo un progetto prevedeva un salto delle acque di 263 metri che avrebbe prodotto 13.681 cavalli vapore. Passarono solo sei mesi, e comparve la Società Elettrica Milani di Verona che presentò il progetto di una centrale sempre ad Acquaviva che prevedeva l’utilizzo delle acque del Fersina deviate nel bacino del lago di Caldonazzo, messo peraltro in comunicazione con il lago di Levico attraverso una galleria sotterranea.

Centrale di Riva del Garda zione di centrali idroelettriche e la loro gestione. Ben presto ingegneri da tutta la penisola svilupparono nuovi progetti e piani di innovazione per trasformare questa regione montuosa nell’Eldorado della modernità: la regione dell’elettricità. Tutte le valli trentine furono interessate da questo processo, e attorno agli anni Trenta entrarono in funzione i grandi impianti: Riva, Moline, Mezzocorona.

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Centrale di Semenza sull’Adda Ma questi progetti furono nulla rispetto a quello presentato quattro anni dopo dalla SIT, Società Industriale Trentina. Dal lago di Serraia nel pinetano, regolato a serbatoio e opportunamente collegato al Fersina, le acque sarebbero dovute arrivare prima a una centrale a Viarago, poi, più sotto, a una a Ischia; quindi convogliate nel lago di Caldonazzo e ricanalizzate per una terza centrale a Cantanghel. Restituite al Fersina, sarebbero poi arrivate allo storico impianto di Ponte Cornicchio. La potenza media del sistema era calcolata in 36.000 cavalli vapore. Al febbraio 1927 risale invece l’ultimo grande progetto che riguardava l’Alta Valsugana, a firma anche dell’ingegnere Marco Semenza. Nei laghi di Caldonazzo e Levico, collegati da una galleria, sarebbero state immesse le acque dei torrenti Fersina, Silla e Centa ottenendo così un serbatoio di 84 milioni di metri cubi; condotte sotto Santa Caterina, avrebbero alimentato una centrale costruita appositamente tra Acquaviva e Mattarello, e quindi immesse nel fiume Adige. A causa della crisi economico-finanziaria del ’29 e del successivo interesse del regime fascista per uno sviluppo dell’industria idroelettrica in provincia di Bolzano, tutti questi progetti finirono nel dimenticatoio. Ma questo non fu l’unico motivo. Le comunità locali ebbero un ruolo fondamentale nel frenare questi progetti: infatti, in molti si opposero fermamente alla loro realizzazione. Furono mosse obiezioni fondate su studi scientifici realizzati da esperti del settore. Per esempio, i comuni di Caldonazzo e Calceranica denunciarono gli effetti negativi che un’eccessiva variazione dello svaso (tra i 5 e i 12 metri) del lago avrebbe prodotto. Coinvolte da questi effetti negativi, tutte le attività economiche della zona, e in particolare il turismo che in quegli anni stava riprendendo vigore. Inoltre la campagna avrebbe perso in fertilità e la fluttuazione del livello dei laghi avrebbe impaludato i litorali. Insomma, grazie a queste obiezioni oggi i nostri laghi non sono solo mete turistiche, ma anche isole dove l’ambiente e la natura sono tutelati. Questo è l’Eldorado del Duemila.

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PALUDI PERGINESI E LA BONIFICA  di Sabrina Mottes

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el corso dei secoli e fino all’inizio dell’800, dall’attuale piazza Pacini a Pergine fino al lago di Caldonazzo si estendeva una vasta palude che, insieme ad altri problemi di ordine ideologico e politico, ha rappresentato il maggiore ostacolo allo sviluppo economico e demografico di Pergine e delle terre limitrofe. Le cronache del tempo descrivono la zona come umidissima, afflitta da vaste nebbie ed esalazioni palustri, con una mortalità molto alta dovuta a febbri e altri malanni. L’economia di pura sussistenza, il clima malsano e le condizioni climatiche difficili furono superate solo grazie alla bonifica e al conseguente recupero di una larga area di terreno che diede l’avvio all’espansione demografica ed urbanistica. Oltre a ciò lo sviluppo dell’agricoltura, specie nella frutticoltura e gelsicoltura e la conseguente bachicoltura, consentirono l’avvio delle prime industrie tessili. In prospettiva, questo pose le basi anche dell’attuale vocazione turistica del Lago di Caldonazzo, che gode oggigiorno di un clima mite ed è circondato da vaste aree verdi coltivate. Le cronache descrivono, fin dal 1500 e 1600, interventi di scarsa regolazione delle acque della palude che però risultavano indispensabili per sfruttare il terreno paludoso e mantenerlo a pascolo, i cui proventi costituivano una delle maggiori entrate delle Comunità proprietarie. Si trovano anche tracce del

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progetto di abbassare il Lago di Caldonazzo tramite una grande opera di canalizzazione che svuotasse l’acqua dal Palù. Ma fu solo alla fine del 1700 che la bonifica fu proposta seriamente, supportata e, dopo varie vicissitudini, completata. Per meglio comprendere la storia, è bene ricordare che a quel tempo la Giurisdizione perginese era divisa in sette gastaldie, costituite da una o più vicinie dotate di propria amministrazione e alla cui testa c’era un gastaldo, con proprio demanio comunitario. Erano terre franche e libere, rette sulla base di consuetudini e statuti, gelose della loro libertà d’azione e decise a sostenere i propri diritti contro eventuali prevaricazioni, so-

prattutto ad opera della gastaldia maggiore, quella di Pergine (detta anche Comunità), che tendeva ad esercitare il controllo sulle altre, dette gastaldie esteriori. Il risultato era che le liti e le richieste - con alterni risultati - di intercessione al Principe Vescovo di Trento non si contavano. Per la trattazione dei problemi comuni, le gastaldie si riunivano a Pergine, sotto la presidenza del locale gastaldo, detto anche Sindaco maggiore. I cittadini erano divisi in due grandi gruppi. I vicini erano cittadini a tutti gli effetti, con diritti e controllo anche sulle proprietà private e formavano la Vicinia vera e propria. I camerlenghi o camberlini erano invece re-


sidenti senza cittadinanza e quindi privi di diritti, privilegi e garanzie e che non partecipavano ai beni comuni. Partendo da nord e verso sud, l’opera di bonifica doveva interessare i possedimenti della palude di Pergine, poi di Susà, poi di Vignola e infine dei privati che confinavano con il lago e concorsero non poco ad intricare la vicenda pretendendo l’integrazione del terreno perduto con la costruzione dei fossi di scarico dell’acqua. Dal 1777 al 1779 Pergine e Susà, lungimiranti sui possibili vantaggi a lungo termine del risanamento della zona, proposero la costruzione di un grande canale verso il lago. Vignola rifiutò di partecipare all’opera per paura di perdere gli introiti dei propri terreni palustri adibiti a pascolo. Pergine e Susà chiesero allora l’intervento del Principe Vescovo nel progetto. La mossa tendeva a forzare la realizzazione dei lavori con l’avallo del Principe. Questi appoggiò effettivamente la bonifica e infine ottenne anche alcuni terreni per sé. Nominò una commissione per seguire l’impresa e dirimere le eventuali controversie. Ingiunse inoltre alla comu-

nità di Caldonazzo di favorire l’opera, curando la manutenzione del “vaso della Brenta”. In sostanza, le decisioni della commissione sulla bonifica definirono quanto segue: la divisione dei lavori sul terreno paludoso (Pergine due quarti, Susà e Vignola un quarto a testa), la successiva manutenzione dei canali da parte di Susà e Pergine e il rimborso ai privati delle quote di terreno perdute. Questi ultimi furono i veri vincitori della controversia con un doppio vantaggio a spese della Comunità: il drenaggio degli appezzamenti e l’ingrandimento delle loro proprietà. Nel giro di due anni, dunque, venne effettuato il grosso dei lavori di canalizzazione. Da allora Pergine iniziò a pensare a come sfruttare il terreno bonificato per rifarsi delle forti spese, Susà a cercare di appropriarsi della sua parte, dividendola da quella in comune con Pergine. La

rete dei canaletti fu completata verso il 1785 e in questi anni e fino al 1810 grandi furono i contrasti tra l’amministrazione pubblica e i vicini per la suddivisione della terra risanata, che fu frazionata dopo lunghe contestazioni e anche questa volta con intercessione vescovile. Figura di spicco di questo periodo di aspri dibattiti fu Tommaso Maier, grande sostenitore delle lotte per la distribuzione della terra, al quale è oggi intitolata una via di Pergine.

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una storia di demolizione e ricostruzione

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artendo da Piazza Municipio a Caldonazzo e dirigendosi verso Levico Terme s’imbocca una strada dritta, con le case che si assomigliano tutte, costruite ordinatamente in linea retta. Agli inizi del Settecento questa strada non esisteva, e fu costruita in un unico momento verso la metà del secolo. Via Roma, una volta “Contrada delle Case Nove”, nasconde dietro ai sassi e alla malta fina degli edifici che la compongono, una storia di distruzione e ricostruzione. Ma per comprendere questa vicenda dobbiamo spostarci a Sud, e più precisamente su quello che oggi è il letto del torrente Centa. Qui, prima della costruzione della Contrada delle Case Nove, non correva il fiume, e ai piedi del Monte Cimone sorgeva un piccolo borgo: Caorso (anche Caorzo o Cavorzo). Le prime documentazioni di questo centro abitato risalgono al XIV secolo, ma con ogni probabilità Caorso aveva origini più antiche. Le prime case furono costruite lungo la strada che congiungeva

 di Elisa Corni

la valle con l’Altopiano di Lavarone, e nel 1757 si contavano 59 case nelle quali vivevano 60 famiglie. Il fiume Centa, all’epoca, lambiva da un lato, a Sud, Caorso, e dall’altro le campagne del vicino paese di Caldonazzo. Non era un torrentello come oggi, e nei periodi di pioggia intensa rivelava tutta la sua furia distruttiva, travolgendo i campi e mettendo a repentaglio le colture e, di conseguenza, la sopravvivenza delle popolazioni locali. In particolare, il Settecento fu caratterizzato da autunni e primavere estremamente piovosi, e in tutta la regione si presentò il problema della gestione delle acque: fondamentali per la vita, ma anche portatrici di morte e distruzione. Come nel settembre del 1757, quando dopo tre giorni di piogge ininterrotte, il fiume Centa straripò con una violenza tale da rovinare alcune delle case di Caorso e devastare la campagna di Caldonazzo. Dove il giorno prima c’erano campi or-

Caldonazzo - Via Cesare Battisti - Gruppo Tradizionale Folkloristico di Caldonazzo

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Vista di Via Roma. In fondo si intravvede il Municipio dinati, fonte di sostentamento per le famiglie del paese, il fiume aveva creato rigagnoli, nuovi corsi, anse, e rive. Di fronte a questa emergenza la comunità di Caldonazzo sviluppò un progetto di riordino delle acque che partiva dal presupposto di spostare il letto del fiume in modo che facesse meno danni. La soluzione era traslarlo verso Sud, dove però sorgevano le cinquantanove case di Caorso. Come risolvere il problema? Semplice, spostando le case del borgo in un altro luogo. Ai capifamiglia di Caorso fu proposto che, a spese della comunità di Caldonazzo, le loro dimore venissero smontate pietra dopo pietra e ricostruite in un luogo più a nord, nei pressi di Caldonazzo. L’idea fu approvata dalla maggioranza, e si cominciarono a stimare le proprietà: immobili, orti, cortili, prati e campi per destinare a ciascuna famiglia altrettanti beni nella nuova contrada che sarebbe sorta sui Prati delle Roze in Caldonazzo. La primavera successiva cominciarono i lavori di smantellamento delle case di Caorso, e le prime videro la loro nuova vita sul finire di marzo 1759, come testimoniano alcune incisioni ancora visibili sulle chiavi di volta dei portoni dell’attuale via Roma. Ventisei portoni per altrettante abitazioni; non tutti gli abitanti di Caorso accettarono l’accordo con Caldonazzo, alcuni si trasferirono altrove, altri decisero di rimanere nonostante i gravi pericoli nelle loro cose, ultime vestigia del borgo di Caorso che venne però ab-


mente l’aspetto del capoluogo. E così a Caldonazzo nacque una nuova contrada, quella delle Case Nove, che Caldonazzo - Piazza 4 Novembre - anni 20 nell’Ottocento fu intitolata a monsignor Giambattista Boghi (1804bandonato negli anni immediatamente 74), e alla fine della Grande Guerra, e successivi. La comunità di Caldonazzo si accollò in per un brevissimo periodo, le fu assetoto le spese di questo importante intervento urbanistico: erano ben 15.500 fiorini, una somma notevole per l’epoca. Come notevole fu l’intervento stesso, che s’inserisce in un filone che, dalla metà del Settecento ai primi dell’Ottocento, vide cambiare profondamente il territorio. Esempi di questa tendenza sono la rettificazione del primo tratto del fiume Brenta (1813), dal lago di Caldonazzo ai mulini. O il più famoso e corposo intervento per lo spostamento del corso del fiume Adige a Trento in quegli stessi anni, che cambiò radical-

gnato il nome di “Brigata Parma” in onore dei primi soldati italiani che arrivarono in Valsugana. Negli anni Trenta, in ottemperanza alle disposizioni del regime fascista fu chiamata via Roma. Oggi a ricordare la storia di Caorso, una delle traverse di via Roma riprende il primo nome della contrada. Un ringraziamento al Gruppo Folkloristico di Caldonazzo per la gentile concessione delle foto d’epoca.

Caldonazzo Via Monsignor G. B. Boghi - Gruppo Tradizionale Folkloristico di Caldonazzo

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CRONACA

Borgo Valsugana - Piazza Degasperi

Il nostro solerte Municipio di Borgo tenta tutte le vie per venire in soccorso al laborioso operaio ed artigiano: prima la cassa di risparmio, che non tarderà molto ad entrare in attività, ora una società di mutuo soccorso. Di questa è già fatto ed approvato lo statuto ed ora altro non manca, che si raccolgano le firme e si eleggano le cariche. Daremo quanto prima una particolareggiata relazione di tutto. La Valsugana n. 4, Borgo 15 febbraio 1877

CRONACA COMUNALE Borgo Valsugana

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Ci viene riferito, che il progetto dell'ing. Visintainer per il rifabbrico di Cinte vada per successive disposizioni di quella rappresentanza comunale a subire delle modificazioni per modo, che, così continuando, alla fine si arriverà a ricostruire il paese né più né meno come era prima. Ciò è a deplorarsi, perchè Cinte cosi largamente sovvenuto e con un erario comunale fiorente, poteva meglio d'ogni altro fare qualche sagrifizio a vantaggio della pubblica igiene e della pubblica sicurezza; ed è a deplorarsi in pari tempo, che le franchigie comunali vietino in simili casi alle autorità dello stato di intervenire per impedire la attuazione di disposizioni, che mettono un permanente pubblico vantaggio al disotto d'un meschino momentaneo risparmio. La Valsugana n. 4, Borgo 15 febbraio 1877


LA GUERRA A LEVICO TERME

 di Andrea Casna

«Fate presto, attaccherete alla baionetta; siete a cinque minuti da Levico; ivi potrete ristorarvi e riposarvi». Fu con queste parole che il Generale Giacomo Medici (1817-1882) incoraggiò i propri uomini per sferrare l'attacco su Levico durante la guerra -la Terza Guerra di Indipendenzacombattuta nell'estate del 1866. Quella guerra cambiò lo scenario politico europeo. L'Italia, con la Terza Guerra di Indipendenza, strappò il Veneto all'Austria e la Prussia si confermò come potenza militare.

Generale Giacomo Medici a Prussia di Bismark, il 15 giugno 1866, dichiarò guerra all'Austria. L'Italia, desiderosa di indebolire Vienna e ultimare l'unità nazionale, si unì alla Prussia, impegnando in questo modo l'esercito dell'Imperatore Francesco Giuseppe sul fronte meridionale. Da parte italiana la guerra, conosciuta come Terza Guerra di Indipendenza, iniziò a giugno con la sconfitta a Custoza delle truppe italiane guidate dal generale La Marmora. Nel corso dell'estate, però, gli italiani riuscirono ad invadere alcune porzioni di Trentino: Garibaldi arrivò a Bezzecca e il generale Medici giunse quasi alle porte di Trento dalla Valsugana. Il Trentino, e in modo parti-

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colare la Valsugana, visse quindi in prima persona l'evento che portò l'Austria a cedere il Veneto all'Italia. In Valsugana la colonna guidata dal generale Medici sbaragliò con manovre fulminee l’esercito austriaco, impreparato a difendere la Valsugana, occupando velocemente Primolano, Borgo Valsugana, Levico e Civezzano. Alcuni scontri vi furono fra Valsorda e Vigolo Vattaro e oggi, in località “Val della Calcara”, si trova il Parco della Rimembranza, eretto per commemorare i caduti della battaglia che si svolse in quel luogo il 25 luglio 1866. La targa commemorativa recita: “A ricordo dei valorosi soldati del 61° Reggimento Fan-

teria Brigata Sicilia, che qui caddero combattendo il 25 luglio 1866 per la redenzione di Trento, i Trentini finalmente redenti questo cippo vollero consacrato – Giugno 1924” A seguito delle gravi perdite subite nella battaglia di Lissa del 20 luglio, l'Italia firmò l'armistizio con Vienna (12 agosto 1866) ritirando le proprie truppe dal Trentino e ottenendo il Veneto, Mantova e le attuali province di Udine e Pordenone. La guerra del 1866 fu un evento rivoluzionario dal punto di vista militare. Nella battaglia di Sadowa in Boemia (3 luglio 1866), le truppe prussiane utilizzarono

Forte Brusafer e Fornas

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per la prima volta fucili a retrocarica, sconfiggendo gli austriaci armati ancora di fucile ad avancarica. Rispetto alle guerre precedenti, i soldati iniziarono ad inserire una cartuccia in metallo nella parte posteriore della canna potendo sparare, anche da sdraiati, 8-10 colpi al minuto, quasi il doppio rispetto a quanto avveniva con le armi finora usate. Da quel momento tutti gli eserciti europei iniziarono ad utilizzare questi moderni sistemi, aprendo la strada alla guerra moderna. L'Austria, con la perdita del Veneto, fu costretta a potenziare le difese sul confine con l'Italia. La Valsugana, diventata importante da un punto di vista strategico-militare, fu al centro dei piani di difesa dell'esercito austriaco. Furono costruiti, a fini difensivi, lo sbarramento di Civezzano e i forti di Valsorda (Brusafer e Doss Fornas). Negli anni '80 dell'Ottocento il processo di fortificazione proseguì con la costruzione dei forti di Tenna e delle Benne. All'alba della Grande Guerra furono costruiti i forti Pizzo di Levico, Forte Verle e Busa Granda. Rimasero sulla carta, e mai realizzati, i cinque forti dello sbarramento di Grigno. Per la propaganda italiana la guerra del '66 fu ovviamente salutata come una grande vittoria. Nel 1867 fu data alle stampe la cronaca del capitano Tito Tabacchi dal titolo "La divisione Medici in Trentino". Nella lettura del testo si trovano informazioni, messe nero su bianco

da un testimone diretto, (spesso arricchite con spirito patriottico-risorgimentale) utili per comprendere la guerra combattura in Valsugana nel 1866. Qui un estratto relativo alla presa di Levico che avvenne la notte del 23 luglio. Scrive Tito Tabacchi: «Le truppe marciarono innanzi sotto le palle che partivano dal fitto nebbione senza pur sparare un sol colpo. Ordinata la carica alla baionetta si udì il grido di Savoia su tutta la nostra linea: per un istante si illuminò tutto il terreno al crepitare di una salva di fucilate, e più forte indi proruppe il grido di Savoia. A quest'ultimo grido più non rispose il fuoco nemico. I nostri che avevano scorti gli Austriaci alla luce delle schioppettate quasi inaspettati giunsero loro addosso a baionetta calata. Immediatamente si accese la mischia sul posto tenuto dagli Austriaci. Fu breve, accanita, corpo a corpo, senza voci. Gli Austriaci piegarono su Levico. Si udirono nuovamente i Savoia e la valanga dei nostri soldati si diè impetuosamente ad incalzarli. Altra zuffa impegnossi nelle contrade di Levico. Sulla piazza principale teneva fermo e faceva fuoco un buon nerbo di

Forte Doss Fornas

Brigata Sicilia - Dal comune di Bologna Austriaci. Accennavano a contr'offensiva. In poco tempo anche'essi furono sopraffatti. Non un borghese incontrossi per Levico, non un lume era alle finestre, né una casa aperta. Gli Austriaci zitti dietro gli svolti delle vie ci attendevano rischiarandoci il cammino colle fucilate. I nostri non curando il fuoco del nemico si precipitarono colla baionetta sui loro avversari inseguendoli e ricercandoli ovunque... si combatté furiosamente da ambe le parti ad arma bianca. I due battaglioni Austriaci, Hartmann e Martini, spiegarono allora speciale valore, ma avviluppati dalla nostra sinistra, la quale aveva girato il paese, e risospinti su nuove truppe che giungevano anelanti ad attaccarli nelle vicinanze dei Bagni, si sbandarono, e la maggior parte di essi colpiti da una sorta di vertigine, gettate le armi, non ascoltando la voce dei loro ufficiali, si misero a fuggire. Il combattimento ebbe fine verso le undici e mezzo pomeridiane. L'effetto morale del combattimento di Levico fu più grande dell'effetto materiale. Molti Austriaci caddero a Levico. Alla Madonnina dove stavano ad attenderci, il suolo era seminato, sugli angoli delle vie, nei larghi di Levico ve ne giacevano a mucchi».

Monumento ai caduti di Vigolo Vattaro

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CRONACA COMUNALE A Caldonazzo venne non ha guari istituita la cucina comunale per fornire ai poveri sovvenzionati gli alimenti, e ne si dice non solo che essa funzioni con tutto ordine e regolarità ma che il comune ne senta un sensibile vantaggio, essendo venute a diminuirsi le sovvenzioni e ciò a motivo che molti di coloro, che facevano un uso diverso dei danari per lo avanti loro assegnati da quello di provvedersi dei necessari alimenti, cessarono di importunare il comune, visto, che non avrebbero ottenuto altro che il cibo di pura necessità. Sotto questo aspetto, le cucine comunali servirebbero anche a conoscere quali siano coloro, che effettivamente hanno bisogno di essere sovvenuti, e quali coloro che impiegano la elemosina in appagare bisogni non sussistenti o fittizi.Facciamo voti, che simile istituzione, introdotta già anche in Telve, trovi presto accoglienza anche in altri comuni. Sentiamo, che la questione relativa allo spurgo del Brenta, che dalle autorità amministrative era stata sciolta a favore di Pergine ed a danno di Caldonazzo, che era stato ritenuto come obbligato a provvedervi da solo a simile spurgo, sia stata definitivamente decisa dalla corte suprema amministrativa, nel senso che, levate come illegali le conformi decisioni delle autorità amministrative, Caldonazzo fu esonerato da ogni obbligo relativo. Speriamo, che il nostro corrispondente di Caldonazzo o quello di Pergine ci dia relazione più davvicino di questa importante vertenza. Il comune di B….. ha cinque cause civili pendenti ed in ciascuna di queste è rappresentato da un diverso procuratore. Peccato, che le cause non sieno dodici, chè così ogni rappresentante avrebbe il suo quoto giusto di diete. La Valsugana n. 5, Borgo 1 marzo 1877.

CRONACA Siamo interessati a pubblicamente ringraziare tutti quei benevoli che, con elargizioni in denaro, con regali pel Vaso della fortuna, e con altre prestazioni generosamente risposero all’appello che dal comitato degli amici della scuola, venne loro fatto per venire in aiuto della nostra gioventù che con diligenza frequenta queste scuole popolari. Siamo pure incaricati a far noto, che delle grazie estratte a sorte nella sera del 10 Febb. La prima toccò al N. 57 della serie 1, e che il comitato la tiene a disposizione di chi è possessore del numero suddetto.

Borgo Valsugana - Il vecchio Caffè Roma

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L’Ottocento

 di Elisa Corni

tra ALLUVIONI ed EPIDEMIE

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l secolo dei Lumi non portò fortuna in Valsugana, dove la popolazione dipendeva dall’agricoltura e dalle coltivazioni. Per questo motivo, a differenza di oggi dove la siccità la fa da padrona e una buona fetta delle terre emerse rischia la desertificazione, la piaga erano le alluvioni: le troppe piogge potevano trasformare le coltivazioni e i campi in acquitrini tanto vasti quanto sterili. L’inizio del secolo fu caratterizzato dalle prime opere di urbanistica atte a mettere in sicurezza i campi dalle devastanti esondazioni dei fiumi, ma le genti dell’epoca non potevano certo prevedere che qualche decennio dopo, sul finire dell’Ottocento, le piogge si sarebbero intensificate a tal punto da rendere vani gli interventi sui fiumi. Una delle più famose alluvioni, tristemente nota per i danni provocati in tutta la Valsugana e in particolare a Borgo, fu quella del 1882. Un clima particolare, come riportano le cronache dell’epoca, caratterizzato da venti caldi di scirocco portò in tutta la regione, in Tirolo, e in Carinzia, una quantità inaspettata di precipitazioni. Era sabato 16

Alluvione 1966 - Trentino Cultura

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settembre quando le piogge intense cominciarono. Ma anche nelle settimane precedenti aveva piovuto, con il risultato che i terreni erano zuppi al punto da non riuscire ad assorbire l’acqua piovana; così fiumi e torrenti, già gonfi, s’ingrossarono ulteriormente, cominciando piano piano a invadere abitazioni

ottobre, peggiorò la situazione, e le autorità stimarono i danni per 21 milioni di fiorini. In seguito ai danni provocati dalle inondazioni, l’economia della Valsugana, già in crisi, fu messa in ginocchio, e per molti si aprì forzatamente la via dell’emigrazione. Molti abitanti di Ospedaletto, per esempio, si trasferi-

Borgo Valsugana, alluvione 4 novembre 1966, fiume Brenta Ecomuseo Valsugana Croxarie e negozi. La Valsugana fu travolta dall’acqua; i campi furono invasi da ghiaia e sabbia; nuovi torrenti nacquero e devastarono tutto ciò che incontrarono lungo il loro corso. Piovve per quattro giorni e quattro notti. Borgo fu allagata con l’acqua che lambiva la chiesa, i terreni agricoli attorno a Olle vennero trascinati via. Telve rimase isolata: la strada era impraticabile e a Grigno le case si riempirono di ciottoli e ghiaia fino al secondo piano. Le cose non andarono meglio più su, lungo il corso del Brenta: se infatti i lavori di inizio secolo sul rio Maggiore salvarono le case di Levico, Barco, Quaere, e Santa Giuliana furono devastati dal fluire delle acque. Una seconda piena, il 27 e 28

rono a Stivor in Bosnia, e negli anni successivi la sola Borgo fece segnare un calo della popolazione pari all’11%. Le calamità naturali non furono l’unica sfida che le genti della Valsugana dell’Ottocento dovettero affrontare. A decimare la popolazione concorrevano molte cause, tra le quali spiccano le malattie e le epidemie. Una delle più devastanti fu il colera, che falcidiò il Trentino in tre ondate: nel 1836, nel 1847, e nel 1855. A essere colpite da questa devastante malattia furono soprattutto le classi sociali più povere, che vivevano in condizioni igienico sanitarie precarie. Sottoalimentazione e una scarsa qualità di vita contribuivano a rendere queste persone ancora più deboli, minando la loro resistenza alla malattia. Il colera è una malattia epidemica spe-


cifica dell’area indiano-bengalese, ma che con lo sviluppo del commercio arrivò in Europa proprio nell’Ottocento. A provocare la malattia un bacillo che vive nelle acque contaminate e che, se ingerito, si moltiplica con estrema rapidità e può condurre alla morte per disidratazione. Fu così che oltre 5.500 trentini persero la vita nel 1836, quando proprio dal Primiero si diffuse la prima grande epidemia di colera che travolse in pieno la Valsugana, provocando 18 morti a Levico, 31 nel perginese, 42 a Borgo e dintorni e ben 209 a Strigno. Più violenta fu l’ultima delle tre epidemie che portò alla morte di oltre 6.000 persone, 14.000 furono gli ammalati. In Valsugana ci furono più di 1.400 decessi, con il picco di Levico (472 decessi). A Strigno, il centro abitato maggiormente colpito dalla prima epidemia, avevano probabilmente sviluppato una qualche immunità e i decessi furono contenuti. Come era avvenuto nei secoli precedenti in occasione delle epidemie di peste, anche in questi frangenti alcune comunità compirono dei “voti” collettivi: Castello Tesino si impegnò per una messa solenne in perpetuo in onore di Maria Santissima Immacolata e per una processione fino alla chiesa di San Rocco; a Tenna il comune fece erigere un’edicola dedicata alla Madonna delle Grazie; e gli abitanti di Fierozzo scesero annualmente alla chiesa di San Sebastiano di Viarago.

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L’ULTIMO BALUARDO DELL’ANTICO CASTRUM DI CALDONAZZO

La torre fino al 1915 Comune di Caldonazzo

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ul colle di Monte Rive, sopra il paese di Caldonazzo a circa 700 m di altezza, si possono ammirare i resti di quella che fu la Torre dei Sicconi. Questa robusta torre di pianta quadrangolare che si ergeva in posizione strategica a dominare e sorvegliare la valle sottostante, e unita alle sue vie di comunicazione - una su tutte la via Claudia Augusta - faceva parte di un antico castrum, un castello, che venne fatto costruire attorno al 1201 dal signore di Caldonazzo Geremia insieme a suo fratello Alberto, figli di Varimberto di Caldonazzo, una volta ottenuta la licenza dal principe vescovo di Trento Corrado di Beseno. Dopo quella data, sappiamo poi che il destino del castello si legò alla figura eminente di Siccone II, tra il 1342 e il 1408. Durante quel periodo si ha notizia in particolare di uno scontro, nel 1385, avvenuto tra Siccone II e i Vicentini e i Veronesi, che colpirono alcune delle fortificazioni della valle, tra le quali appunto anche il castello sul dosso di Monte Rive. Stando a un documento risalente al 1391 sembra però che il forte non fosse andato completamente distrutto. In quel documento infatti, dove la famiglia dei Caldonazzo – Castelnuovo veniva investita della proprietà si legge: de dicto dosso cum Castro Caldonazii, palatio, turri et aliis suis fortilitiis, ovvero “del detto dosso con il

LaTorre dei Sicconi  di Silvia Tarter castello di Caldonazzo, il palazzo, la torre ed altre sue fortificazioni...”. Col passare dei secoli, il castello finì sotto il dominio austroungarico e la sua torre rimase in piedi fino al 5 giugno 1915, quando venne distrutta dal Genio militare austriaco perché costituiva un facile punto di riferimento per i nemici. È solo a partire dal 2005 che il sito acquista una nuova attenzione e una nuova visibilità, quando il comune di Caldonazzo, nell’ambito di un progetto europeo, decise di ripristinare l’area e la sua identità storica dando vita a un giardino botanico tematico denominato “Il Giardino della Torre dei Sicconi”, dove coltivare vigneti, ortaggi, fiori, e frutti antichi e installare dei pannelli informativi. Tra il 2006 e il 2008 sono state così avviate una serie di ricerche archeologiche, 22 sondaggi, condotte dalla Soprintendenza per i Beni archeologici della Provincia, e affiancate in un primo momento alle operazioni per la creazione del giardino. Le ricerche hanno messo in mostra, oltre ai resti ben visibili della torre - che stando alle foto aeree di ini-

zio ‘900 doveva raggiungere i 15 m di altezza e a cui si accedeva tramite una porticina ad arco rialzata - un tratto di mura difensive lungo il versante sudovest del colle, costruite con materiale locale, che integravano il robusto muro di cinta tuttora visibile. L’edificio del castello adiacente alla torre poi doveva essere un palazzo a pianta quadrangolare strutturato su due piani: al piano terra si trovano infatti i resti di una cucina e un focolare mentre il piano superiore era probabilmente costituito da un battuto di malta, intonaci, e da un tetto in legno. La sua struttura e la posizione dominante sulla valle, ma allo stesso tempo non eccessivamente remota, è quella tipica dei castelli trentini e anche valsuganotti. Probabilmente, secondo le ricerche, quest’area era frequentata come zona

Giardino botanico

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di transito già in epoca preprotostorica e tardo-antica. Tra i resti più antichi infatti sono stati rinvenuti frammenti ceramici risalenti all’età del Bronzo e fino alla seconda età del Ferro, oltre a resti di epoca tardoantica e bassomedievale come frammenti di oggetti bellici (balestre) e di uso quotidiano (pentole). Le tracce di insediamenti ritrovati anche nei dintorni, come le numerose necropoli, fanno però pensare che il luogo avesse una vocazione agricola oltre che di transito. Nella vicina Calceranica, infatti, nella chiesetta di S. Ermete è conservata un’interessante iscrizione su un’ara dedicata alla dea Diana, databile al II-III sec. d.C., dove si legge nel testo il termine actor, che nelle grandi aziende agrarie romane stava a indicare colui che si occupava della contabilità.

I resti dell’Antico Castum

COME ARRIVARE Dalla piazza del Municipio di Caldonazzo in un’oretta di cammino (1,2 km, dislivello 200 m); altrimenti, per i meno allenati, dalla frazione Campregheri di Centa S. Nicolò, dove imboccando la via Claudia Augusta dal parcheggio, attraverso una bella passeggiata tra castagni e larici si giunge al giardino in una mezz’oretta (1,2 km, dislivello 100 m). Dopo la creazione del Giardino della Torre dei Sicconi, nel sito è stato aperto anche un punto di ristoro che quest’estate dalla fine di giugno vede una nuova gestione.

Panorama dalla torre

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VALSUGANA

100 ANNI FA «No se finirala pu sta guera?» inquant’anni fa, anzi, 49, il giornale Alto Adige in una spalla di pagina 4, raccontava in una rubrica “giorno per giorno” la Grande Guerra per Trento e Trieste di cinquant’anni prima, con una parte di cronaca e un’altra di testimonianze. Il mio illustre bisnonno, Romano Manfrini, fondatore della omonima tipografia che ebbe come ultima sede la zona artigianale di Mattarello (TN), ne fece una puntuale collezione - ho dei ricordi di bambino quando lo vidi io stesso raccogliere e accumulare quei ritagli di giornale -, legando le fustelle in un pacchetto ritrovato di recente per caso grazie all’iniziativa di pulizie primaverili di sua nipote, Gianna, ormai più che ottantenne. Si possono solo immaginare i sentimenti di mio bisnonno mentre leggeva nelle pagine del suo giornale preferito, i racconti degli eventi che lo avevano tragicamente coinvolto cinquant’anni prima. Per noi un’occasione particolare per ritrovare fatti e notizie di cent’anni fa, relativi a quella che è diventata la mia terra, la Valsugana, trattati di seguito in una minima selezione. Con una notazione a penna

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“17/3” (17 marzo 1918), slegando le fustelle incontrimo per prima la descrizione della «desolatissima Valsugana, che da sola ha avuto danni superiori ad un terzo di quelli complessivi di tutto il Trentino. Conviene ricordare che fin dall’inizio della guerra le truppe italiane vi avanzarono vittoriosamente, e che nel 1916 erano giunte fino ai masi di Novaledo a 25 chilometri da Trento. A Pergine, a parte la filanda Gavazzi completamente rasa al suolo, si ebbero danni notevoli. A Levico, oltre a qualche casa rovinata, è completamente distrutto il vecchio stabilimento dei bagni, divorato da un incendio appiccato dagli austriaci prima della partenza. Gravissimi danni ebbe Caldonazzo, dove già prima dell’inizio della guerra gli austriaci fecero saltare con mine case e molini, oltre alla vecchia torre del Sicone, e dove gravi

 di Franco Zadra

danni si ebbero in seguito al tiro delle artiglierie che colpivano questo centro di rifornimento verso gli altipiani tramite potenti teleferiche». Il 5 aprile 1918, un bollettino del 56enne generale Armando Diaz, annotava: «Aviatori britannici abbattono tre velivoli nemici nel cielo di Cismon e ne obbligano un quarto ad atterrare presso Strigno». Nella stessa colonna viene riportata la testimonianza di «Valentino Leonardelli, nato a Susà nel 1854, contadino», fucilato il 26 ottobre 1915 perchè nel giugno 1915 si lasciò sfuggire nel corso


di una discussione: «L’Austria no la pol vinzer, perché la ga massa partiti, massa nazioni, massa traditori; se vien l’Italia a comandar se magnerà pam bianco». Un’altra valsuganotta, Marianna Pecoraro, «nata nel 1856 a Telve, contadina, per aver favorito la diserzione del marito di una sua nipote – Prospero Borgogno – tenendolo nascosto in casa propria dai primi di maggio 1915 al 25 giugno 1915, allorché – in occasione dell’entrata in Telve di truppe italiane – il Borgogno fuggì in Italia assieme alla moglie e ad altri familiari, fu condannata il 4 novembre 1915 ad un anno di carcere

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duro, inasprito con isolamento una volta al mese. Per la tarda età e le condizioni di salute, dopo scontata la pena la Pecoraro dovette essere ricoverata all’ospedale di Santa Chiara in Trento». «Accaniti combattimenti in Valsugana», è quanto riporta la cronaca del 18 aprile, sempre dal bollettino di Diaz che annota: «Gli avviatori nostri ed alleati si sono dimostrati molto attivi: obiettivi militari nemici sono colpiti in Valsugana con otto tonnellate di bombe: sette velivoli avversari vengono abbattuti ed un ottavo costretto ad atterrare». Il 9 aprile viene riportata la testimonianza di “Angelo Pruner, nato nel 1885 a Pergine, macellaio», che «nel corso di una lite a Tuenno, nel dicembre del 1915, se la prese con «Quel melòn del Kaiser», esclamando: «No se finirala pu sta guerra?»; fu condannato l’8.6.1916 a 4 anni di carcere duro,

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inasprito con un digiuno al mese”. Riferita al 24 aprile 2018, troviamo «Nuova battaglia aerea nel cielo di Levico». Una foto documenta artiglierie antiaeree austriache a protezione delle posizioni militari di Levico, e il bollettino di Diaz annota, tra l’altro, «Due apparecchi nemici vengono abbattuti da aviatori britannici nel cielo di Levico, e due nel cielo di Lisser. Un quinto, colpito da nostri aviatori, precipita nei pressi di Vidor». Il bollettino del generale Diaz dell’8 giugno 1918 comunica: «Lungo la linea nessun combattimento di fanteria. La attività delle opposte artiglierie, mantenutasi sensibile sulla fronte montana, si è ad intervalli accentuata a cavallo del Piave e nella zona litoranea. I campi di aviazione nemici fra Piave e Livenza, la stazione ferroviaria di Caldonazzo, sorpresa in piena attività, vengono efficacemente bombardate da nostri aeroplani e dirigibili. Dieci velivoli nemici sono stati abbattuti in combattimenti aerei». Le fustelle da spulciare sono però ancora tante, troppe, come la nostra curiosità.

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DEL MODO DI AFFILARE GLI ARNESI È cosa notoria che immergendo per una mezz’ora la lama di un rasoio in acqua che contenga 1/20 del suo peso di acido idroclorico, o solforico, ed asciugandola poi e passandola sulla pietra a olio, essa acquista un taglio molto fino. Come si vede in questa operazione l’acido rimpiazza la pietra da arruotare, senza nuocere per nulla al rasoio, risultando anzi da apposite esperienze, che lame di cattiva tempera migliorano assai dopo il suo contatto. E circa all’arruotatura delle falci scrive così la D landw Zeitung, “quanto tempo si perda nella mietitura tra battere e stringere il filo delle falci tra il martello e l’incudine lo sa ogni contadino che nelle fresche ore del mattino, quando meglio si lavora, vede i mietitori cessar dal lavoro per andar all’incudine. Ebbene in Francia da molti anni si è ridotto a pochi minuti questo lavoro, mettendo la falce mezz’ora prima di affilarla in un vaso di acqua con 1/20 d’acido solforico e passandola poi semplicemente sopra la cote per rendere uguale tutto il taglio”. Lo star più a lungo nell’acqua acidulata non nuoce al ferro, purché sia poi ben pulito e asciugato. È inutile aggiungere che quanto si è detto per i rasoi e per le falci si può applicare ad ogni specie di strumenti taglienti..

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CRONACA Domenica passata ebbimo il piacere di udire le grate armonie della nostra Banda sociale, e fu generale la soddisfazione nel constatare quali progressi abbia fatti, e quali sarà per fare sotto la direzione del distinto Maestro, il Sig.r Furlanetto. Confessando però che non siamo punto al caso di giudicare del merito intrinsico dei varii pezzi eseguiti, possiamo tuttavia dire, quali interpreti del sentimento popolare, che piacquero assai, e che si ammirò la progresiva bravura del Corno ..gnale, del Flauto, e dei Clarini. Noi siamo fieri di questa nostra istituzione musicale, perchè sostiene alta la bandiera, nella nostra vallala almeno, di questa bell'Arte, che nel mentre ingentilisce gli animi, li sprona nello stesso tempo ad ogni reale progresso. Bravi tutti! All'applauso dei nostri compatriotti, o Bandisti, siamo sicuri che, corrispondendo alle intelligenti, ed amorose cure della vostra deputazione, si ecciterà vie più il vostro animo allo studio, alla coltura di sì bell’arte, che avvicina gli uomini agli dei. La Valsugana n. 4, Borgo 15 febbraio 1877,


Il Maso del Cuco I

n un tempo ormai lontano, le nostre comunità religiose per poter essere “promosse” a parrocchia dovevano dimostrare di avere un certo beneficio, una proprietà in grado di garantire il sostentamento del sacerdote e tutte le spese per una buona gestione della chiesa. Fra quelle “povere” che non potevano aspirare a questo ambìto titolo, c’era anche quella di Novaledo. Ma un bel giorno apparve la persona, quasi inviata dalla Provvidenza, che ben pensò di alienare un suo bene che possedeva proprio qui a Novaledo, per aiutare, con il ricavato, la nostra comunità religiosa perché potesse divenire “Parrocchia”. Siamo nell’anno 1730 e questo buon uomo, del quale non siamo in grado di fornire il nome, pensò di vendere con questo preciso intento, casa e campagna che costituivano il “ Maso del Cuco “, a mezza montagna nella parte Nord del paese. Il ricavato sarebbe stato donato alla nostra comunità religiosa che poté così divenire Parrocchia. Il “Maso

del Cuco”, come ci aveva raccontato il nostro concittadino “Minico”, sarebbe stato acquistato da un certo signor Gozzer di San Francesco di Fierozzo, che dopo l’acquisto si stabilì a Torcegno. Questo signor Gozzer aveva una figlia che diede poi in sposa ad un giovanotto di cognome Oberosler proveniente da Fierozzo e la coppia andò ad abitare questo Maso. All’epoca il fabbricato aveva dimensioni molto più contenute di quelle che molti ancora ricordano quando, qualche decennio fa, si poteva vedere in distanza fra i vigneti all’epoca coltivati, dal centro abitato di Novaledo. Verso l’anno 1850 a quella casa sarebbero state fatte, nella parte est, due aggiunte strutturali a cura dei proprietari di terreni adiacenti, legati fra loro da vincoli di stretta parentela. Negli anni successivi la parte vecchia del fabbricato sarebbe stata abitata da Daniele, Abramo e Francesco Oberosler: quest’ultimo era il padre di Luigi Oberosler, da tutti conosciuto come il “Gigio Cuco”.

 di Mario Pacher

Nella parte verso mattina abitava la famiglia di Domenico Oberosler con i figli: Maria, classe 1883, conosciuta in paese come la “cappellana”; Angelo del 1882, Clementina della classe 1884 e Giuseppe nato nel 1892. Dopo il 1900 e fino all’anno 1938 il “ Maso del Cuco “continuò ad essere abitato dai discendenti Oberosler ma solo durante il periodo dell’alpeggio del bestiame i quali, tutti agricoltori, scendevano giornalmente in paese, a piedi, per conferire il latte al caseificio turnario. Ma dopo la seconda guerra mondiale quel fabbricato fu usato solo come stalla per ospitare le pecore che Federico Gozzer portava al pascolo. Occasionalmente fu utilizzato anche dagli altri figli di Clementina e da alcuni discendenti di Guglielmo Gozzer. Da qualche decennio quell’immobile si trova in stato di totale abbandono, il tetto è crollato e della sua lunga storia è rimasto un mucchio di sassi in mezzo alle sterpaglie e, fra i più anziani, qualche lontano ricordo.

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La salute in Valsugana NEL MEDIOEVO I l Medioevo è, nell’immaginario collettivo, l’epoca dei cavalieri, delle gran dame, e della vita nei castelli. Definito anche “il secolo buio”, per il confronto con l’epoca successiva, quella del Rinascimento, spesso è relegato a stereotipi che si rivelano lontani dalla realtà. Quella medievale, anche in Valsugana, era una società complessa e articolata, strutturata secondo classi sociali collegate ai mestieri, e non si limitava ai nobili e al popolino. Vi erano artigiani, edotti nei mestieri, religiosi, artisti, e studiosi. Tra questi, due figure poco note: i medici e i chirurghi. Nel corso del Medioevo erano avvenuti una serie di importanti mutamenti economici e culturali che, al contrario di quanto si pensi, avevano favorito lo sviluppo di una cultura più laica. Tale laicità si estese anche al sapere medico, e ciò portò alla nascita di scuole e università per la formazione di medici e chirurghi. Queste figure professionali diventarono un punto di riferimento per tutti i ceti sociali, dai più abbienti agli abitanti delle città, che iniziarono a farne sempre più richiesta; per la loro importanza sociale, medici e chirurghi in breve tempo formarono un nuovo gruppo sociale, privilegiato e ricco. Come raccontato nel saggio Medici, chirurghi e barbieri in Trentino nel Me-

I Barbieri Chirurghi nell'arte rinascimentale

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Un Barbiere chirurgo dioevo di Nirvana Martinelli, pubblicato su Geschichte und Region - Storia e Regione, la prima citazione di un medico nella nostra provincia risale al 1195, e tra quell’anno e il 1374, i professionisti dell’arte medica citati negli antichi documenti sono oltre cento; il primo chirurgo, invece, appare molto più tardi, nel 1272. I primi professionisti dell’arte medica che operarono in Trentino erano però forestieri, immigrati, per esempio da Brescia, Mantova, Cremona, Parma, ma anche città più lontane, come Venezia, Milano, o addirittura Parigi. Con il tempo comparvero i primi medici di origine trentina, e verso la metà del Duecento il loro numero superava quello dei “furesti”. La maggior parte di questi professionisti operava ovviamente in città, a Trento, ma i più provenivano dai centri minori della provincia, da Arco, Riva del Garda, Ala in

 di Elisa Corni Vallagarina, o Scurelle in Valsugana. Originario da quest’ultima località era il chirurgo Martino, deceduto nel 1298, il cui figlio Brutero seguì le orme intraprendendo la professione di medico; nei documenti sono citati inoltre il medico Uberto, che operò tra il 1285 e il 1302, e il chirurgo Giovanni (13161341). Una tale concentrazione di professionisti della salute è dovuta all’esistenza nei pressi di Scurelle, tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, di una struttura ospedaliera probabilmente collegata a un monastero, e che ci ha lasciato un ricordo indelebile nel toponimo di Ospedaletto. Gli ospedali erano all’epoca strutture assistenziali che accoglievano pellegrini, poveri, e ammalati a cui erano offerte prestazioni terapeutiche di solito generiche e per lo più non sempre efficaci. Oltre a medici e chirurghi, in Valsugana nel medioevo ci si poteva imbattere nei barbieri, terapeuti illetterati che svolgevano attività a carattere igienico sanitario e di bassa chirurgia. Si erano formati con l’esperienza e la conoscenza delle piante e della tradizione, e spesso operavano nei bagni pubblici, dove eseguivano interventi come “salassar e metter ventose”. Furono per esempio barbieri a Pergine, Nacimbene (13511357) e suo figlio Martino.

Ippocrate (a destra) e Galeno in un affresco della Cripta della Cattedrale di Anagni (Lazio)


LA VITE COLTIVATA NEI VASI Si prenda un tralcio di vite dell’anno precedente, lungo da metri 1 a 1,6 osservando che abbia fruttifere le due gemme superiori, cosa assai facile a conoscersi da un pratico. S’involge tutto il tralcio ad eccezione delle due gemme fruttifere, nel musco che si salda con legature sciolte, poi lo si dispone in forma spirale in un vaso da fiori di conveniente grandezza in modo che la sola parte non coperta di musco sporga fuori dal vaso. Si riempie questo con ottima terra di letto calda, s’inaffia e lo si colloca in una stanza ben soleggiata presso la finestra. Si badi bene di mantenere la terra sempre umida e di adoperare pegli inaffiamenti acqua tiepida. Quando non sono più a temersi i geli, si porrà il vaso all’aperto sotto un muro esposto a mezzodì, e sarà bene interrarlo onde mantenergli un’umidità più uniforme. Quando si saranno sviluppati i grappolini fiorali, allora si mozzeranno i getti in modo da conservare due foglie al di sopra di ogni grappolo. Basterebbe una sola foglia per mantenere la circolazione del succo; ma è prudente tenerne due nel caso che una venisse danneggiata accidentalmente. Di quando in quando si può innaffiare con po’ di concio stemperato in molt’acqua: ma in ciò è necessaria molta cautela poiché ogni poco di soverchio sarebbe assai dannoso. Se alla maturazione dell’uva il tempo corresse freddo, allora si ritirerà il vaso nella stanza. La Valsugana n. 15, Borgo 1 agosto 1877.

FORZA D'ALCUNI INSETTI Il Sig. Plateau, ingegnere Belga, fece delle osservazioni assai interessanti sulla forza d'alcuni insetti; forza che risulta prodigiosa se si mette a confronto a quella di altri animali di maggiore dimensione. Difatti la forza dell'Elefante, l'agilità del Cervo, lo slancio della Tigre, e la velocità della Zebra risultano ben piccole se si considera che un Grillo oltrepassa con un salto un'estensione 200 volte maggiore della lunghezza del suo corpo; la pulce fa altrettanto. L'Ape può fare 20 miglia all'ora, e si assicura che una Farfalla percorse in un solo volo una distanza di circa 100 miglia. Il su lodato naturalista deduce, da molteplici ed accurate osservazioni, che l'insetto può, in regola generale, sollevare un peso 40 volte maggiore di quello del suo corpo, mentre l'uomo solleva appena i 5/6 del suo, aumentando la proporzione a misura che diminuiscono le proporzioni dell'insetto; nei salti gli insetti grandi possono portare una volta e mezza il loro peso, e sino a quattro i piccoli; nel volo la mosca solleva tre volte il suo peso, un moscone quattro volte il peso di un ape, ma questa può trascinare un peso 24 volte maggiore del suo. La Valsugana n. 18, Borgo 15 settembre 1877

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MARCO GADOTTI

CAMPIONE DEL MONDO Marco Gadotti del Team La Pierre di Rovereto, domenica 25 giugno 2017, sulle strade del padovano ha conquistato il titolo mondiale di ciclismo nella categoria ristoratori, fascia 39-49 anni, imponendosi nella Gran fondo Città di Padova che ha visto al nastro di partenza oltre 2000 concorrenti.

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a gara, contrassegnata da un clima torrido, si è snodata lungo 110 chilometri con tratti pianeggianti improvvisamente interrotti, sui Colli Euganei, dai “muri” con pendenze anche del 25%. Partenza a Prato della Valle e arrivo davanti alla Basilica del Santo nel cuore della città. Marco Gadotti, classe 1969, parla di “emozione indescrivibile” quella vissuta ascoltando le note dell'Inno di Mameli sul gradino più alto. La prima a congratularsi per l'ambito titolo conseguito è stata la moglie Sandra che lo ha sempre sostenuto ed accompagnato nelle numerose trasferte. Lo scorso anno, Gadotti, era salito sul secondo gradino del podio. Il recente risultato è frutto di una meticolosa e caparbia preparazione che si è protratta sia nei mesi invernali con sgambate sulle strade valsuganotte e per tutta la primavera ricercando per gli allenamenti i numerosi strappi stradali presenti sulla viabilità principale e secondaria della Bassa ed Alta Valsugana. Nato a Zell di Cognola l'atleta risiede a Roncegno Terme dal 2008 dove ha trovato occupazione alla Menz & Gasser di Novaledo dopo varie esperienze lavorative come grafico-tipografo a Trento e Pergine, es-

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sendo diplomato in discipline grafiche. Il suo percorso di vita è contrassegnato dalla passione per la bicicletta e dalla conseguente militanza in numerosi club ciclistici sin dalla giovane età dove ha avuto modo di mettersi in evidenza conquistando una serie di ambiti traguardi. Ha corso da allievo con il “Veloce Club Trentino 1887” e come amatore nella “Società Trentina”, attiva in zona collinare di Trento e poi nella S.C. Giudicariese-Loran Salotti di Tione, nel team Casa Fontanari e infine nel team La Pierre di Rovereto con Presidente Garniga Paolo. Il risultato alla storica Gran Fondo padovana premia così il carattere e la costanza di questo atleta, che con questa affermazione consegna al Trentino una medaglia di assoluto valore. Oltre che come ciclista Marco Gadotti, che non rinnega le sue origini cognolote, cui è molto legato, è forse più conosciuto come solerte collaboratore in numerose associazioni di volontariato e nel mondo canoro. Canta infatti nel Coro Valsella, dopo un'esperienza quinquennale da allievo anche nel Coro della Sat. Sulla via del “bel canto” era stato indirizzato durante il servizio militare a San Candido con l'inserimento nel Coro Brigata Tridentina a Bressanone.

 di Marco Zeni

Da giovane alle prime esperienze di gare agonistiche

Podio Campione Mondiale di Ciclismo su strada categoria Master 39-49 anni


La Brenta Tra sponde de muscio e sassi squadrai la Brenta per Borgo la passa; i ponti i la varda e..i par dirghe : “ sta bassa.. no volemo da ti essar bagnai!” E ela la core longo i porteghi e.. ‘n tra le case co’ i pontesei dale breghe fruae, el sole e la piova i l’ha slavae. Ricordi de sciassi, de strussi e lisiassi molini che gira per sorghi masnai. La Brenta l’è ‘l cor dela contrada per i borghesani che i l’ha sempre amada. De tanto in tanto grossa la vien, la fa rumor , la se fa scura e for par sora ‘mpar che la vae: La fa proprio paura. Stì ani, motivo anca de beghe : Mi stò de qua!!! Ti …te si de là ! La luna so la se specia e… na copieta ‘mbrassada su ‘na bancheta tra ‘n baso e l’altro la scolta e… forsi... la sente l’acqua passar e... ‘ntra le boie e le acque fonde bramose de rivar’n tel mar i pessi i zuga a correrse drio.

NOVALEDO

Pensionati e la nuova sede

È

stata inaugurata ufficialmente domenica 11 giugno a Novaledo, la nuova sede dei Gruppo Pensionati e Anziani, messa a disposizione dall’Amministrazione Comunale e ricavata al piano terra di Casa Zen. Una sede bene arredata che si compone di un piccolo bar all’ingresso, una sala riunioni, cucina, segreteria con diversi computer a disposizione degli iscritti, archivio. Prima del taglio del nastro, il primo cittadino Diego Margon, che era accompagnato dal vicesindaco Barbara Cestele e dall’assessore Nadia Gasperazzo, ha espresso apprezzamento verso il direttivo del Gruppo per l’attività che svolge in favore dei 120 iscritti. Sulla stessa linea anche il parroco don Paolo Ferrari che, prima ancora della benedizione dei locali, ha auspicato che questo punto d’incontro sia motivo di amicizia e socializzazione fra tante persone della nostra comunità. Particolarmente soddisfatte della nuova sede si sono dichiarate la presidente del Gruppo Bruna Gozzer e la sua vice Laura Slomp che confidano, per il futuro, una maggior partecipazione di iscritti ai vari appuntamenti, in particolare a quello dell’ultima domenica di ogni mese quando si festeggiano i compleanni dei soci. (m.p.)

Fulvio Tomio

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ATTENTI

al lupo D

opo l’orso che nel 2014 ha creato molti problemi agli allevatori e agli operatori turistici nell’altipiano di Vezzena, recentemente la stessa località si è “arricchita” anche della presenza di un branco di lupi. Della serie le disgrazie non vengono mai da sole… A fine maggio, infatti, dei lupi hanno attaccato due asini presso Malga Fratte. Ciò è avvenuto in pieno giorno, verso le 7 di mattina, a 5 metri di distanza dalla strada provinciale che da Lavarone porta ad Asiago. L’aggressione è stata testimoniata da alcuni automobilisti che hanno visto la scena, e hanno lanciato l’allarme. I lupi però, del tutto indifferenti alla presenza ravvicinata dell’uomo, hanno continuato tranquillamente il loro “lavoro” infischiandosene della loro presenza. È più che legittimo chiedersi, se in quel momento fossero passati dei ciclisti o delle persone a piedi se avrebbero potuto subire la stessa sorte degli asinelli. Nei giorni successivi il servizio foreste della Provincia Autonoma di Trento ha organizzato a Levico Terme, in fretta e furia, una riunione con la popolazione per informare i cittadini sui diritti all’indennizzo dei danni cagionati dai lupi, e come comportarsi in caso d’incontro ravvicinato con esso. Il lupo è ricomparso in Trentino tutto d’incanto negli ultimi anni, dopo che era scomparso dai nostri boschi più di 150 anni fa, senza che, peraltro, se ne fosse sentita più di tanto la mancanza. Il suo ritorno in Trentino è stato rapidissimo, tanto che dopo la prima segnalazione avvenuta nel 2009 in Val di Non, si ritiene che ad oggi, nella nostra provincia siano oltre 100 gli esemplari presenti, e in Vezzena ci sia un branco

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di 5-6 lupi, destinati ad aumentare rapidamente visto l’elevato livello di procreazione. Tra la gente è molto diffuso il sospetto che non fosse ritornato da solo, ma che fosse stato introdotto come è stato fatto con l’Orso, ma la Provincia Autonoma di Trento ha sempre negato tale circostanza e sostiene che è tornato sulle Alpi da solo, effettuando degli spostamenti di centinaia di chilometri in solitaria per poi venir raggiunto dal resto della famiglia, in una sorta di ricongiungimento familiare. Sembra che lo abbia fatto senza utilizzare né TomTom ne Google maps. Bah! Ma al di là del modo in cui i lupi sono ricomparsi, resta il problema di fondo dell’impatto che questi avranno in futuro nella nostra vita quotidiana e dei problemi che si dovranno gestire per una convivenza con loro. Infatti su questo argomento ci sono varie linee di pensiero. Da una parte chi è favorevole a trasformare la montagna in uno zoo, ricco di animali anche feroci, tanto chi la pensa così, di norma la frequenta solo nei ristoranti o hotel delle zone turistiche dove è già un’impresa trovare un parcheggio, figuriamoci un orso o un lupo in libertà, e dall’altra invece quanti la montagna la vivono tutto l’anno e ne traggono il proprio reddito, come i malghesi, gli allevatori, gli apicoltori, e gli operatori turistici, considerano la loro presenza dannosa e da risolvere in un solo modo: con l’abbattimento. In mezzo poi c’è tanta gente disorientata che avrebbe fatto a meno di porsi il problema, se certe specie animali non fossero ricomparse. Perché è innegabile che il ritorno dell’orso e del lupo ha costretto l’uomo a

 di Roberto Paccher cambiare le proprie abitudini. La gente non frequenta più i boschi con tranquillità, per timore di fare spiacevoli incontri. Nonostante le rassicurazioni degli esperti sul fatto che raramente attacca le persone, lo scorso anno in Trentino ci sono state alcune aggressioni dell’orso nei confronti dell’uomo. E sembra che le vittime non abbiano molto apprezzato il fatto di avere avuto il privilegio di essere inseriti nell’elenco dei pochi che hanno potuto vedere il plantigrado da vicino e di essere la classica eccezione che conferma la regola. Gli stessi esperti ora, per tranquillizzare, affermano che non si segnalano aggressioni all’uomo da parte del lupo in Trentino da quasi 200 anni. Beh ci vuole poco visto che manca dai nostri boschi da oltre 150 anni, e all’epoca non esisteva Facebook e WhatsApp sul quale condividere immediatamente le foto che provino l’aggressione. Ai tempi dell’impero Austroungarico invece, chi uccideva un lupo o un orso riceveva un premio in denaro. Sicuramente lo concedevano perché quegli animali erano ritenuti pericolosi e non perché l’imperatrice Maria Teresa li volesse portare impagliati nei salotti del Palazzo reale di Vienna. La stessa fine, anche senza taglia, è stata riservata negli anni scorsi agli orsi che hanno superato il confine italiano e sono arrivati in Svizzera. Da noi invece, in tutta Europa, la specie risulta essere altamente protetta da una norma dell’Unione Europea, che almeno in questo caso sembra andare nella direzione opposta al buon senso. Al punto che viene da chiedersi se siano i lupi quelli dai quali è più urgente liberarsi.


L'OPPORTUNISMO ELETTORALE DI UNA MESSA (FORSE) IN SICUREZZA

Valsugana: la strada statale 47 L 'ordinanza del Servizio Gestione Strade del 23 giugno 2017 presenta alcuni aspetti interessanti, addirittura emblematici, di come la nostra Provincia si è sempre approcciata al problema della viabilità della Statale 47, riconosciuta dal dirigente nel testo, come «una delle principali arterie del sistema viario provinciale, asse di collegamento tra le province di Trento, Bolzano, attraverso la SS12, e il Veneto». Le «criticità geometriche e strutturali» del SS47 che ci riguardano, non sono però una scoperta di oggi! Sono problemi conosciuti e studiati da almeno quarant'anni, emblematici appunto dell'incapacità operativa, che deriva sostanzialmente dal poco interesse ad ascoltare la gente e farsi carico delle criticità emergenti sul territorio. Se si va a intervistare qualche amministratore di allora, “memoria storica” di quest’asse strategico per la viabilità trentina, si troverà chi parla addirittura di un plastico per il progetto delle quattro corsie, con la proposta del Veneto di farsi carico di tutte le spese per realizzarle anche in Trentino. Proposta poi rifiutata per ragioni legate a visioni egemoniche che oggi potremmo forse etichettare, magari esagerando, ma in parte indovinando, da Tardo Medioevo. Ora, per rimanere nell'ambito di questa legislatura pro-

vinciale, l'imposizione di divieti di sorpasso e limiti di velocità, puntualmente disattesi con conseguenze di incidenti che la cronaca ci racconta anche in questi giorni, in attesa dei «lavori di adeguamento geometrico strutturale» di poco meno di 3 chilometri sul tratto di Ospedaletto, sono certamente un segnale che qualcosa si sta muovendo, anche se, per esempio, di spartitraffico, la misura più ovvia da sempre proposta dai residenti, Gilmozzi non vuole neppure sentire parlare. Un segnale che giunge comunque in ritardo, oltre che ad aver dimostrato la sua inefficacia, poiché se le misure per implementare la sicurezza iniziano con il cercare di ridurre la velocità non si capisce il perché non siano state introdotte fin dal primo momento, almeno nel 2014. Questa "ideona" del far pagare agli utenti della strada, sanzionandoli prima ancora di servirli con una programmazione intelligente degli adeguamenti della viabilità per la loro sicurezza, che comunque non servirà a evitare un qualsiasi incidente con la conseguenza del «blocco totale del transito sulla viabilità statale con ripercussioni

 di Claudio Cia sull'intera viabilità provinciale» e, aggiungo io, sulle aziende locali che si vedono improvvisamente "bloccate" da un evento anche minimo, è sintomatica di una classe dirigente che ha il bene comune come obiettivo secondario. Prima viene la carriera politica, le autocelebrazioni di un prestigio immeritato, con inaugurazioni e proclami altisonanti che nascondono il perseguimento di un interesse personale... Guarda caso, i lavori capitano nel 2018. Lo sfruttamento a fini elettorali di questa ghiotta occasione è del tutto scontato. Claudio Cia è Consigliere Regionale e Coordinatore Provinciale di AGIRE

SS47 - Ospedaletto

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BENESSERE&SALUTE

I DISTURBI ALIMENTARI

NELL’ERA DI INTERNET

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utti noi conosciamo i disturbi alimentari, chi non ha mai sentito parlare di anoressia e bulimia? Questi sono i due disturbi nell'ambito dell'alimentazione più noti. Spesso e volentieri vengono trattati dai mass media visto l'elevato numero di casi e le severe conseguenze che portano con sè. Invalidano infatti la vita delle persone sia a livello emotivo-psicologico ma anche a livello fisico. Sono malattie complesse e necessitano una presa in carico a 360 gradi: medici specialistici e psicologi devono lavorare assieme per garantire il miglior trattamento possibile. L'anoressia è caratterizzata da una inflessibile restrizione alimentare, accompagnata dalla paura persistente e travolgente di ingrassare nonchè un'alterazione della percezione del proprio corpo che porta a un'attenzione ossessiva per il proprio peso. La bulimia, invece, si contraddistingue per un manifestarsi di abbuffate accompagnate da metodi compensativi (come per esempio l'uso di lassativi o il procurarsi il vomito per limitare l'assorbimento dei cibi) e fasi restrittive. Le condotte compensative hanno lo scopo di evitare l'aumento del peso, in quanto

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l'abbuffata si caratterizza da un’ingente quantità di cibo mangiato (deve essere oggettivamente grande e deve essere accompagnata dalle sensazione di perdita di controllo). La persona mette in atto questo comportamento altalenante, fasi compulsive-fasi restrittive per bilanciare le calorie introdotte e cercare di armonizzare l'obiettivo forma fisica ideale e necessità di cibo. Quello che però non tutti sanno è l'esistenza di siti a tema che incitano a diventare anoressiche oppure bulimiche. Sono i siti pro-ana e pro-mia cioè proanoressia e pro-bulimia e spronano aspiranti ragazze/i a diventare rispettivamente anoressiche/i o bulimiche/i. Noi adulti dobbiamo esserne a conoscenza perchè spesso e volentieri i genitori di adolescenti che soffrono di disturbi alimentari non hanno idea dell'esistenza di queste pagine web e non sanno che i propri figli ne sono fan. È si, è proprio così, se internet è diventato il nostro pane quotidiano e può facilitarci in tante cose può anche nascondere pericoli soprattutto per gli adolescenti o giovani adulti. I ragazzi hanno poca esperienza e sono molto sensibili a rincorrere stati estetici ideali, necessari secondo loro, per farsi

 di Erica Zanghellini

accettare dagli altri, esponendoli così al rischio di diventare ottimi candidati per lo sviluppo di questo tipo di difficoltà. È importante anche sapere che è facile incapparci, spesso ci si arriva solo cercando suggerimenti su come perdere peso. Tra parentesi ultimamente stanno prendendo piede anche i gruppi su whatsapp che presentano la stessa tematica, dico questo per tutti quei genitori che hanno figli preadolescenti e che ancora possono gestire il cellulare in condivisione con loro. Negli ultimi anni si è assistito a un cambiamento sostanziale di queste comunità, se prima, infatti, si cercava di rimanere anonimi, nascondendosi dietro a nomi di fantasia e per questo si utilizzavano foto di icone come modelle per i propri profili virtuali ultimamente si è assistito al tentativo di venire a galla esplicitamente. Ad esempio anche nei social network come Facebook, si è cercato di puntare alla diffusione palese di gruppi a tema, e anche se sono state prontamente rimosse, ogni tanto un nuovo tentativo c'è. Tendenzialmente queste comunità sono gestite da giovanissime che consigliano le più disparate metodologie da utilizzare per mangiare il meno possibile. Si trovano "diete" anche da 500 kcal al giorno e


suggerimenti su come gestire la socialità e i genitori. O ancora, affrontano l'eventualità di una abbuffatta, ma soprattutto si accede a una lista di "comandamenti"; una sorta di decalogo da custodire come fosse la cosa più preziosa al mondo, per mantenere alta la motivazione. Emerge prepotentemente come, soprattutto l'anoressia, diventi uno stile di vita e non un disturbo alimentare da affrontare. Purtroppo questo messaggio sbagliatissimo, mette le ragazze nelle condizioni di giustificare una malattia e attiva dei meccanismi psicologici che contribuiranno a mantenere vivo tale disturbo, inserendole in una spirale discendente. Il messaggio che insistentemente passa è l'importanza di essere magri, a qualsiasi costo, non importa se "si deve morire di fame" per esserelo o rimetterci di salute. Bisogna riuscire invece a passare il messaggio a queste giovani vite che non è così, basta leggere qualche testimonianza di qualcuno che ha sofferto a causa dei disturbi alimentari per capire. Guerre che possono durare anche per gran parte della vita, l'estrema sofferenza, la lotta fino all'ultimo sforzo

per uscire da questa prigione, i danni fisici, psicologici ed emotivi che solo questi disturbi lasciano, sono i segni indelebili che la persona porta nell'anima. Riassumendo i siti pro-ana e pro-mia sono in continuo aumento nella nostra nazione, e anche se le autorità cercano di contenere tale fenomeno chiudendo i vari siti o blog al momento ce ne sono ancora troppi attivi. Molti studiosi e psicologi se stanno occupando e stanno vagliano le più disparate motivazioni per capire perchè sono ancora prepotentemente operativi questi siti o comunità a tema. Al momento attuale sembrano tre le ipotesi più accreditate: • inizialmente ci si può imbattere, come detto sopra, nella ricerca di metodi per perdere o controllare il peso. Se invece c'è già in atto un disturbo alimentare, spesso la spinta motivazionale deriva da conoscere ulteriori tecniche per rendere anoressici. In tutti e due i casi comunque i siti saranno molto attivi e quindi saranno in vigore; • sentirsi parte di una comunità che

condivide gli stessi obiettivi, potrebbe essere un secondo motivo. Il sentirsi non giudicati e il poter parlare senza timore di tutto quello che riguarda questo mondo è liberatorio e dall'altra parte mantiene delle caratteristiche tipiche dei disturbi a livello psicologico, come ad esempio il senso di controllo. • infine, questi siti sembrano contribuire nella formazione di un'identità, compito evolutivo adolescenziale. Questo punto appare molto delicato, infatti si incorre nel pericolo che la propria identità venga messa in sovrapposizione con un'immagine di Sé rappresentata dal disturbo alimentare. Questo punto è quello che tendenzialmente preoccupa di più gli esperti del settore e per questo devono essere assiduamente monitorati e progressivamente eliminati per contenere tale fenomeno il più possibile. Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento - Tel. 3884828675

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UN’ESTATE

in salute e bellezza

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l miglior alleato della nostra bellezza è certamente il nostro stile di vita. Ora che si avvicinano per molti di noi le vacanze, possiamo approfittarne per ricaricare le energie e prenderci un po’ più cura di noi stessi. In primis va curata la nostra alimentazione. Fondamentale, con le alte temperature, è bere molto, almeno un litro e mezzo al giorno. È bene bere acqua soprattutto, o al massimo the e tisane, che ci aiutano a depurarci e idratarci, oltre a limitare lo stimolo dell’appetito. Sulla nostra tavola poi non possono mancare le vitamine; fortunatamente, la bella stagione con la sua ricchezza di frutta e verdura ci aiuta ad alimentarci in modo corretto. Largo allora a frutta e verdura a volontà: insalate, verdure cotte al vapore, ma anche frutta rinfrescante come angurie e meloni, ricchi tra l’altro di vitamina C e carotenoidi. Le insalatone sono ottime

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anche per integrare nella nostra dieta le proteine, ci si può quindi sbizzarrire arricchendole di legumi, cereali, ma anche petto di pollo o tacchino a striscioline, salmone o tonno al naturale. Vanno bene anche i gelati, ma è meglio non usarli troppo spesso come sostitutivi dei pasti; anche in questa stagione abbiamo infatti bisogno dell’energia dei carboidrati, come pasta, riso, orzo, farro, che sono ottimi anche freddi. Oltre all’alimentazione, possiamo sfruttare le belle giornate a disposizione per fare del moto, che magari rimandiamo da un po’ di tempo. Se siamo al mare le nuotate o anche solo le lunghe passeggiate sulla spiaggia o con le gambe immerse in acqua sono un vero toccasana per il nostro fisico, oltre a stimolare la circolazione, contrastando la ritenzione idrica. La montagna invece offre naturalmente moltissime possibilità per fare del moto, dalle escursioni, alle gite in bicicletta o magari a cavallo... insomma vietato essere pigri. Il nostro benessere non va in vacanza!


CASTELNUOVO VALSUGANA

La prima passeggiata della Salute La Farmacia Comunale di Castelnuovo ha promosso una significativa iniziativa volta a sensibilizzare la pubblica opinione sull’importanza di una sana e regolare attività fisica quale mezzo indispensabile per la prevenzione delle malattie cardiovascolari e metaboliche.

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d è certamente in quest’ottica e visione dello stare bene e della prevenzione, che i titolari della Farmacia hanno organizzato, all’interno della campagna “ Più chilometri, meno centimetri, la “1° PASSEGGIATA DELLA SALUTE, una particolare manifestazione che ha visto l’adesione di oltre trenta partecipanti e che ha usufruito del marchio Apoteca Natura, divisione di ABOCA, uno dei più grandi produttori di fitoterapici al mondo. Un itinerario ecologico, quello della 1° passeggiata, di circa un’ora grazie alla quale i partecipanti, in assoluto relax, hanno percorso e visitato luoghi suggestivi e caratteristici nei pressi di Castelnuovo e dintorni, sottolineando, alla fine, apprezzamenti e unanimi consensi per l’esperienza vissuta. Per la cronaca la Farmacia di Castelnuovo ha fornito tutti i supporti e materiali, garantendo nel contempo la presenza della fisioterapista dott.ssa Stefania Wolf e della Sig.ra Angelica Comelli, istruttrice di Nordic Walking). Rifacendoci ai dati comunicati dall'Isti-

tuto Superiore di Sanità e confermati dall’ O.M.S (Organizzazione Mondiale della Sanita'), le malattie cardiovascolari rappresentano, purtroppo, la principale causa di mortalità in Europa e nel mondo. In Italia le ultime statistiche ci dicono che provocano il 42,5% dei decessi maschili e oltre il 43% di quelli femminili. Patologie queste che, in ossequio al principio “prevenire è meglio che curare”, possono notevolmente diminuire non solo con un’appropriata alimentazione, ma anche e principalmente con una corretta attività fisica. Tutti gli esperti e studiosi di malattie cardiovascolari sono, infatti, unanimi nell’affermare che la sedentarietà, specialmente nelle persone più anziane, è un fattore aggravante per le malattie cardiovascolari e che chi fa poco movimento ha un rischio doppio o triplo di avere un attacco cardiaco rispetto alle persone che svolgono regolarmente attività fisica (anche tra le mura domestiche) o praticano un

 di Armando Munaò

qualsiasi sport. Oramai è documentato che l’attività fisica regolare è, indubbiamente, uno degli elementi più importanti per ridurre il rischio di contrarre patologie cardiovascolari, anche con eventi tragici e che grazie a essa non solo il cuore diventa più robusto e resistente alla fatica, ma il movimento rende la circolazione più efficiente. E non è necessario praticare un’intensa e faticosa attività perché, per una buona prevenzione, basta uno sforzo moderato ma regolare oppure svolgere una modesta attività fisica (30minuti o un’ora 3-4 volte la settimana).

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MEDICINA&SALUTE

Dagli antichi ai giorni nostri

ASPIRINA: un intramontabile alleato della salute

Da parecchi decenni fa parte della vita delle persone, mai soppiantata da ritrovati nuovi di zecca. È spesso la numero uno nella farmacia domestica e addirittura le è stato attribuito il valore di presidio “salva vita”. Parliamo dell’aspirina, molecola sintetizzata nel 1853 dal chimico Charles Frederic Gerhardt che la depositò con brevetto francese. La sintesi industriale avvenne nel 1897 da parte di due chimici tedeschi, Felix Hoffmann e Arthur Eichengrun, che di certo non si immaginavano di trattare con quello che è divenuto il farmaco più venduto nel mondo. Tuttavia la paternità della scoperta è ancora oggi oggetto di contestazione. ncora prima della sintesi l’aspirina era conosciuta e utilizzata già in antichità dagli Egizi e gli Assiri nella sua “presentazione naturale”. Il suo principio attivo, la salicina, contenuto nelle foglie di salice, era noto presso un misterioso popolo descritto da Erodoto che nelle sue Storie (440 – 429 a.C.) ne racconta la maggior resistenza alle comuni malattie grazie alla masticazione delle foglie di tale pianta. Ancora prima Ippocrate (V sec. a. C.), padre della medicina, racconta di una polvere amara estratta dalla corteccia del salice e utile ad alleviare il dolore e abbassare la febbre. Un principio attivo conosciuto anche dall’altra parte dell’oceano: i na-

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Il laboratorio di Eichengrün

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tivi americani infatti lo usavano contro mal di testa, dolori muscolari e reumatismi. Gli studi su questa sostanza proseguirono attraverso i secoli e la sostanza attiva dell’estratto di corteccia del salice bianco (Salix alba), chiamato salicina, fu isolata in cristalli nel 1828 e fu un chimico calabrese emigrato a Parigi, Raffaele Piria, a dare al composto il nome che ancora ha: acido salicilico, osservando la natura acida del composto disciolto in acqua. Il composto fu poi esterificato dai due chimici tedeschi della Bayer, Hoffmann ed Eichengrun, che grazie all’anidride acetica ottennero l’acido acetil – salicilico, la molecola giunta fino a noi. Effi-

 di Laura Fedel

cace come il suo predecessore ma con minori effetti collaterali. È bene ricordare infatti che l’aspirina, con il suo effetto fluidificante, inibisce l’attività delle piastrine, aumentando quindi il rischio di sanguinamento, soprattutto lungo il tratto gastroenterico, riccamente vascolarizzato. L’utilizzo oculato e quindi d’obbligo. Nel suo nome dunque l’aspirina racchiude la sua storia. “A” per il gruppo acetico, “Spir” per il fiore Spirea Ulmaria da cui si ricava il principio attivo e il suffisso “in” usato all’epoca per battezzare i farmaci. È il 6 marzo 1899 e la Bayer brevetta e immette sul mercato a produzione industriale l’aspirina. Da allora gli effetti terapeutici di questa sostanza sono sempre più ampi e se ne stanno scoprendo di nuovi. L’aspirina è ufficialmente classificata come farmaco antiaggregante capace di interferire con l’aggregazione delle piastrine per tutta la durata della loro vita (8-10 giorni). A dosi superiori è la prima cura il caso di infarto e ictus cerebrale ischemico. La sua importanza si concretizza anche nella prevenzione secondaria. È in aumento il numero di pazienti che assume la cosiddetta “aspirinetta” (cardioaspirina) in seguito a un infarto miocardico acuto, un ictus o un’ischemia


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OMEOPATIA

note le dimostrazioni scientifiche che attribuiscono all’uso dei FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei, di cui l'aspirina è uno dei capostipiti) un ruolo importante nella prevenzione della patologia. L’attenzione è rivolta sull’utilizzo dell’aspirina nella prevenzione primaria, sia per quanto riguarda la formazione di neoplasie che per l’effettiva riduzione di infarto del miocardio, soprattutto nei pazienti a rischio. Ancora molto c’è da fare nella prevenzione del cancro, durata del trattamento, dosi da prescrivere, gestione degli effetti collaterali e naturalmente peculiarità individuali del soggetto in cura che si devono ovviamente abbinare a uno stile di vita corretto. Il farmaco non può mai essere l’unica soluzione. La prevenzione si basa sul principio secondo cui se in natura sono presenti sostanze nocive che provocano il cancro, parimenti devono esistere molecole protettive. L’aspirina ha finora tutte le carte in regola per essere una di queste.

FITOTERAPIA

cerebrale. Anche pazienti con importanti fattori di rischio (diabete, fumo di sigaretta, obesità e ipertensione) possono ridurre il rischio di eventi cardiovascolari. Recenti studi inoltre hanno evidenziato una correlazione fra aspirina e diabete. I pazienti che presentano questa patologia hanno un rischio maggiore di eventi cardiovascolari. Negli over 65 diabetici infatti la coronaropatia è responsabile di più del 50 % dei decessi. Le ultime ricerche raccomandano l’assunzione di aspirina come strategia di prevenzione primaria, prima cioè che si verifichino episodi cardiovascolari. Un’altra novità riguarda il mondo oncologico. Una riduzione dell’incidenza di tumori nei pazienti trattati con aspirina apre la speranza del suo uso come prevenzione primaria. Come reso noto dalla rivista scientifica “The Lancet” il tratto gastrointestinale sembra quello più sensibile a recepire i benefici del farmaco in questo senso. L’utilizzo giornaliero di aspirina ha quindi un effetto protettivo sul cancro allo stomaco e all’esofago (-60%). L’AIRC rende

ANALISI PER L’EMOGLOBINA GLICATA

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I CONTRATTI INGANNO F irme false, telefonate ingannevoli, informazioni approssimative, registrazioni manipolate, attivazione di forniture realizzata spacciandosi per Enel, per Acea Energia o addirittura per l'Autorità dell’Energia Elettrica. Le tecniche segnalate dagli utenti agli avvocati di Altroconsumo sono al limite dell’inverosimile. Durante la telefonata-tipo l'operatore si informa sull'attuale tariffa per proporne una nuova, in teoria più conveniente. L'utente si accorge generalmente di essere diventato cliente solo dopo aver ricevuto a casa la lettera di benvenuto a volte (ma non sempre) correlata dal contratto con la firma falsificata oppure la bolletta. Come se non bastasse, alcuni clienti, dopo aver lamentato il fatto, ricevono di risposta le registrazioni telefoniche manipolate. Si tratta di file audio in cui l'operatrice, spesso straniera (è pratica piuttosto comune per le aziende avvalersi di agenzie di vendita all’estero,

in paesi in cui gli stipendi dei dipendenti dei call center sono molto più bassi), sommerge di domande il malcapitato, citando alla velocità della luce leggi che una persona comune non può conoscere. E i “sì” vengono presi da altre risposte e “riappiccicati” dopo le domande a cui si richiede un consenso. Queste sono le tecniche più diffuse per ingannare i poveri consumatori. La legge prevede che si possano stipulare contratti per luce e gas via telefono ma con una certa procedura. L’operatore deve fornire in primis informazioni sulla società di vendita e sull’offerta. Entro 10 giorni lavorativi, il fornitore deve confermarla inviando il contratto cartaceo all'utente, che è vincolato solo dopo averlo firmato. Tali conferme però - se si acconsente - possono effettuarsi anche solo verbalmente su supporto durevole (ad es. registrazione della telefonata), che andrà poi inviato all’utente. Da quando si dà il consenso alla conclusione

 di Alice Rovati

del contratto, si hanno 14 giorni solari per esercitare il diritto di ripensamento. Molte aziende invece, spesso, non inviano né contratto né registrazione, comunicando anche un termine per il ripensamento errato, di 10 giorni. Per questo anche recentemente Altroconsumo ha segnalato una di queste società all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, denunciandola per pratiche commerciali scorrette e chiedendo anche un intervento per mettere fine agli inganni. I consumatori devono poter riavere indietro quanto indebitamente pagato e le aziende truffaldine devono essere duramente sanzionate. *La dott.ssa Alice Rovati è laureata in Giurisprudenza, percorso europeo e transnazionale, con master in Europrogettazione. Giurista esperta in diritto dei consumatori, docente di diritto. È Rappresentante di Altroconsumo per la Provincia di Trento.

R icordiamo i vostri cari BORGO VALSUGANA (TN) - Piazzetta Teatro Vecchio, 1 • LEVICO TERME (TN) - Via per Borgo, 39 Tel. 333 1771958 - 0461 753155 80

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IRENE PEDROTTI TRIONFA AL CAMPIONATO ITALIANO L

’atleta trentina conquista l’argento al Campionato Italiano di Judo, riservato alla classe cadetti U18 a Riccione presso la Play Hall il 04 giugno 2017, aggiudicandosi così la cintura nera 1° Dan. Oltre 650 sono stati i finalisti che hanno partecipato a questa edizione del Campionato Italiano, un campionato che giunge alla fine di una stagione impegnativa e alla vigilia di importanti appuntamenti in campo internazionale per la classe Cadetti, il campionato europeo che si disputerà a Kaunas in Lituania, gli EYOF (Olimpiadi Giovanili) a Gyor in Ungheria e il Campionato Mondiale a Santiago del Cile. Grande prova per Irene Pedrotti, perginese tesserata al Dojo Equipe Bologna, che conquista la medaglia nella cate-

La judoka trentina conquista la medaglia d’argento a Riccione guadagnandosi così la Cintura Nera 1° Dan.

goria 57kg con 52 atlete in categoria. Dopo aver esordito con successo contro la laziale Gonini Giulia, Irene batte in sequenza la friulana Musizza Beatrice e la ligure Patri Tea ed in semifinale la piemontese Marchisio Francesca; cede poi, in una finale molto combattuta, alla campana Fusco Giovanna, arrivando al Golden Score e una piccola distrazione ha posto fine all’incontro. Irene Pedrotti, cresciuta judoisticamente in Valsugana, presso l’A.S.D. Judo Caldonazzo, è figlia dell’istruttore Greta Casagrande 4° Dan di Judo e presidente dell’associazione, dove la ragazza si allena quotidianamente. Irene in campo europeo sta riscuotendo ottimi risultati, partecipando ad un circuito organizzato dalla EUJ (Eu-

ropean Union of Judo), riservato alla classe cadetti (under 18), valida come prova del “world tour”. Ha conquistato un 2° posto a Follonica (Italia), un 5° posto a Fuengirola (Spagna), su convocazione un 7° posto a Berlino (Germania) e una convocazione per l’European Cup a Tula (Russia).

MASTERCLASS DI MUSICA LIRICA A LEVICO

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al 24 al 30 luglio Levico si trasformerà in una cittadina della lirica, con la prima edizione del Festival della Lirica di Levico Terme, una settimana dedicata alla grande voce della divina Maria Callas, promossa dall’Assessorato alla Cultura e dall’APT di Levico Terme. Nell’ambito della manifestazione si svolgerà anche una masterclass per cantanti lirici, studenti o

professionisti, senza limiti di età che sarà ad alto perfezionamento tecnico, lirico e attoriale, dove i partecipanti potranno presentare un repertorio operistico libero, da singole arie, a duetti ad assiomi. Il corso vedrà poi la presenza dei seguenti docenti: Giovanna Lomazzi (Casting Manager di A.S.L.I.C.O) per l’interpretazione del melodramma italiano; Francesca Micarelli (soprano e vocologa, docente alla Belcanto Academy – Finlandia) per la tecnica vocale applicata all'Opera; Gioacchino Gitto (tenore e impresario lirico) per il repertorio lirico; Massimo Lambertini (pianista e direttore d'orchestra, docente presso il Conservatorio “A. Steffani” di Castelfranco Veneto), per la concertazione e interpretazione operistica; Marco Podda (compositore, otorinolaringoiatra e foniatra) per la foniatria e igiene vocale e Luca Fantarella (attore e regista teatrale), per il training attoriale del cantante. L’evento vedrà inoltre la colla-

borazione artistica della GITTO ART MANAGEMENT di Raffaella Gitto. Il 28 e il 30 luglio presso il salone di Villa Sissi, gli allievi metteranno poi in pratica quanto appreso, esibendosi in un concerto al termine del quale verranno rilasciati i diplomi di partecipazione. I migliori allievi saranno infine selezionati per partecipare al progetto nuova Opera Studio “Città di Levico Terme”. L’iscrizione alla masterclass è gratuita e per le spese di vitto e alloggio sono previsti locali convenzionati.

PER INFORMAZIONI: M° Massimo Lambertini, lambertini.massimo@libero.it, 3483590567. PER ISCRIZIONI: Biblioteca comunale Levico Terme, 0461710206, levico@biblio.infotn.it.

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CALDONAZZO

I BACHI DA SETA

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na nuova edizione dell’allevamento del baco da seta è stata organizzata anche quest’anno a Caldonazzo a cura del locale Gruppo Tradizionale Folkloristico, che ha visto impegnata ancora una volta in prima persona, la maestra Agnese Agostini che, nonostante i suoi 92 anni compiuti lo scorso 3 maggio, è ancora piena di vitalità e di iniziative. E così anche quest’anno utilizzando le piccole uova dello scorso anno, che all’epoca chiamavano “semenze de cavaléri”, la maestra ha fatto nascere presso la sua abitazione a Maso Strada, le piccole larve che poi lei portava, man mano che crescevano, in esposizione presso la sede del Gruppo Folk. Anche in questa edizione, come in quelle precedenti, ci sono stati grande interesse e curiosità fra la gente che giungeva da tante parti del Trentino e qualcuno anche da fuori provincia. Molto interesse hanno dimostrato anche i ragazzi delle scuole del circondario, accompagnati dai loro insegnanti. Fino agli anni ’50 dello scorso secolo, vogliamo ricordarlo, la coltivazione del baco da seta costituiva per tante famiglie del Trentino, una considerevole fonte di sostentamento. Anche presso la famiglia della maestra Agnese si coltivava il baco ed è anche per questo che lei, sia pur all’epoca bambina, ricorda ancora le varie fasi di crescita di questo bruco fino alla produzione della seta. Poi, con l’evento della seta artificiale e trovando la gente altre attività più redditizie, questa coltivazione è andata scemando. Non è stato facile, ci dice ancora la maestra Agnese, trovare le foglie di gelso per nutrirli. “Ho dovuto girare parecchio prima di individuare, fra le poche rimaste, le piante non contaminate che potessero essere adatte per la loro nutrizione”. Nell’ultimo appuntamento, quello del 4 giugno scorso, i visitatori hanno potuto vedere i bozzoli entro i quali i bachi si erano chiusi per subire la grande trasformazione prima di uscire sotto forma di farfalla e deporre le centinaia di uova per un nuovo ciclo di vita nell’anno successivo. Vogliamo ricordare anche che, a distanza di decenni, i bachi da seta erano stati reperiti nel 2013, quasi per caso, per interessamento della signora Maria Vittoria che opera presso il Museo delle Scienze Naturali di Trento.(M.P.)

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LEVICO TERME

La festa al Maso San Desiderio

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stata molto più solenne del solito quest’anno la festa al Maso San Desiderio, celebrata all’interno di quella grande costruzione situata sul confine tra le comunità di Novaledo e Levico, e che un tempo segnava anche il confine fra la diocesi di Trento e la Contea di Feltre. Un colossale edificio costruito ancora prima dell’anno mille, probabilmente durante l’epoca longobarda, che fino al 1737 ospitava pure la chiesa dove gli abitanti di Novaledo e della vicina Campiello si recavano per adempiere al precetto festivo e dove si svolgevano tutte le altre funzioni religiose. Anche quest’anno lo storico Luigino Giongo, nato all’interno di quel Maso e dove ancora oggi volentieri ritorna, ha presentato alle quasi 200 persone intervenute, una ricca documentazione fotografica e un filmato sulla vita e le opere di questo grande Santo nato e vissuto in provincia di Genova. Molto apprezzato anche il filmato della festa al Maso del 1998 con tutti gli abitanti dell’epoca, molti dei quali non più fra noi. Luigino, per rendere più festoso questo incontro, si era documentato recandosi nei luoghi dove San Desiderio aveva trascorso la sua vita e dove ancora oggi è conservata l’urna che contiene le sue spoglie. Sull’altare, improvvisato sotto il grande tendone, è stata posta per questa ricorrenza, come anche in passato, la scultura raffigurante San Desiderio realizzata e donata diversi anni fa dall’artista Maria Gabrielli di Campiello. Presenti alla festa il consigliere provinciale Gianpiero Passamani che ha usato parole di lode per la continuità di questo annuale momento, il vicesindaco di Levico Laura Fraizingher, il primo cittadino di Novaledo Diego Margon e la sua vice Barbara Cestele. Dopo la solenne Messa celebrata dal parroco don Paolo Ferrari, i discendenti del Maso hanno offerto a tutti i presenti un signorile rinfresco. Approfittiamo di questa occasione per pubblicare anche una foto scattata quasi un secolo fa, raffigurante una parte dei residenti del Maso San Desiderio. (M.P.)


CIAO ALBERTO, TI RICORDEREMO SEMPRE

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rande commozione ha destato a Levico Terme la prematura scomparsa di Alberto Martinelli avvenuta lo scorso primo giugno a soli 42 anni, dopo aver lottato inutilmente per alcuni mesi contro un male che non perdona. Alberto era da tutti benvoluto per il suo carattere solare e anche per essere stato a lungo cantore e istruttore di cori, in particolare nel Cima Vezzena dove si alternava a dirigere con il fratello Mauro. I suoi funerali si sono svolti nella Arcipretale di Levico Terme lo scorso 3 giugno alla presenza di almeno un migliaio di persone venute da tanti paesi della valle e da Trento per porgergli l’estremo saluto. Accanto alla bara c’era la moglie Erica con tutti i parenti, ancora sgomenti per il grave lutto che li aveva colpiti. Mancava il piccolo Pietro, l’amato figlio di appena 7 mesi, troppo piccolo ancora per comprendere quale triste sorte gli aveva riservato il destino. All’omelia, don Franco Pedrini, uno dei concelebranti accanto all’arciprete don Ernesto Ferretti, ha usato parole di speranza nella vita dopo la morte, in quella nuova dimensione dove non c’è dolore e sofferenza ma solo gioie e amore. “E’ difficile, ha detto, separarsi da te ma tu sei andato a ricongiungerti con il papà Marco che ti aveva

NOVALEDO

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LEVICO TERME

lasciato solo un anno fa. Parole di mesto ricordo e di riconoscenza sono venute dal presidente del coro Cima Vezzena Osvaldo Gabrielli e dal piccolo coro parrocchiale di Selva che Alberto guidava nel canto liturgico. Il rito funebre è stato solennizzato dai canti eseguiti dal Coro Pio X^ che da tanti anni rappresenta la corale della parrocchia, dal Cima Vezzena e dal parrocchiale di Selva. Al termine della celebrazione ha preso la parola anche il cappellano dell'ospedale S. Chiara di Trento che aveva accompagnato Alberto nel suo percorso spirituale fino alla fine dei suoi giorni. Infine anche il fratello Mauro ha ricordato Alberto per una sua composizione musicale che è stata eseguita in sottofondo al pianoforte nel momento di lasciare la cattedrale e dirigersi verso il cimitero. Qui, prima della tumulazione, il Cima Vezzena diretto per la circostanza da Riccardo Baldi, ha voluto dare un ultimo saluto al suo maestro intonando ancora tre canzoni, con l’immancabile “Signore delle cime”. Moltissime le persone che, dopo aver salutato Alberto gettando rose e petali sulla bara già infossata ma non ancora coperta di terra, hanno lasciato commossi il camposanto con gli occhi ancora umidi di pianto. (M.P.)

MEDAGLIA D’ORO

iverse onorificenze a personaggi che hanno servito lo Stato e il Trentino nonchè quattro medaglie d’onore in memoria di trentini internati durante la seconda guerra mondiale, sono state conferite nella mattinata del 2 giugno scorso in piazza Duomo a Trento, in occasione delle manifestazioni celebrative del 71^ anniversario della fondazione della nostra Repubblica. Fra i premiati con medaglia d’onore dell’esercito italiano, c’era anche il valsuganotto Primo Montibeller di Novaledo, nato il 31 dicembre 1906, la cui decorazione è stata consegnata direttamente dal Prefetto di Trento Pasquale Gioffrè alla figlia Fernanda Montibeller coniugata con l’alpino Ferruccio Galler di Levico Terme, e che per l’occasione era accompagnata dal vicesindaco di Levico Laura Fraizingher. Ecco quanto ci descrive la signora Fernanda. “Eravamo a Gazzo Bigarello in provincia di Mantova, dove il papà

prestava servizio come carabiniere, appuntato in quella stazione. Vi erano dei bombardamenti continui da parte degli americani. Noi bambini dovevamo correre di continuo ai rifugi e durante il percorso si udivano gli scoppi delle bombe e la mamma ci gettava per terra e ci copriva con il suo corpo per evitare che le schegge ci colpissero. Un giorno vennero i soldati tedeschi che presero il papà e lo portarono prigioniero in Germania. Era il mese di settembre del 1943. Poi il papà Primo ritornò a casa, a Novaledo, nel maggio 1945”. (M.P.)

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Che tempo che fa  a cura di Giampaolo Rizzonelli

I TEMPORALI, IMPARARE A CONOSCERLI

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n questo spazio dedicato al “tempo” iniziamo ad approfondire alcuni dei fenomeni meteorologici che caratterizzano la Valsugana e non solo. In questo numero si parlerà di temporali e fulmini. In Italia esistono molti “cacciatori” di fenomeni temporaleschi estremi, i cosiddetti “Storm Chasers”, degli appassionati che viaggiano alla ricerca di temporali e di tornado (trombe d’aria), un po’ come accade negli USA nella cosiddetta “Tornado Alley”, che designa una regione centrale nelle Grandi Pianure degli Stati Uniti d'America caratterizzata dall'alta frequenza di formazione di tornado, compresa tra le Montagne Rocciose e gli Appalachi. In Italia le zone dove si verificano con più frequenza tornado sono nella Pianura Padana, Veneto e Lombardia in primis. In quanto anche io Storm Chaser, ma non abitando nella “Tornado Alley” (per fortuna nostra aggiungerei), mi limito ad

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osservare temporali, le foto a margine ritraggono alcuni fulmini sul “Pizzo di Levico” (Cima Vezzena) “catturati” durante una delle lunghe ma entusiasmanti ore di osservazione ed “attesa”. MA COSA SONO I TEMPORALI ED I FULMINI? Il temporale è un fenomeno atmosferico caratterizzato da una serie di fulmini e tuoni, accompagnato molto spesso da forti raffiche di vento, precipitazioni abbondanti, a volte grandine. Il temporale è legato alla presenza di una nube di tipo cumulonembo (per capirci quella simile ad un “cavolfiore”, vedi foto a lato), a sviluppo verticale (può raggiungere altezze superiori ai 10 km, dipende dalle latitudini, vedi figura a margine). Ma come si forma il cumulonembo? L’aria a contatto con la superficie terrestre riscaldata dal sole si dilata e diventa più leggera di quella soprastante, iniziando a salire (come fanno i parapendii che salgono seguendo le termiche), se è sufficientemente umida il vapore d’acqua contenuto nell’aria si condensa dando così formazione dapprima ad un cumulo. Peraltro va detto che i cumuli si formano anche quando è bel tempo, nelle calde giornate estive si formano infatti i cosiddetti “cumuli di bel tempo”, delle “nuvolette” che non danno luogo a precipitazioni e si dissolvono poi col tra-

montare del sole, in condizioni invece di atmosfera particolarmente instabile questi movimenti verticali dell’aria sono molto più forti e favoriscono l’ingrossamento della nube che si sviluppa anche in altezza divenendo un cumulonembo, salendo di quota le gocce d’acqua che lo compongono si trasformano anche in cristalli di ghiaccio. I forti movimenti ascensionali nel cumulonembo favoriscono l’unione delle gocce d’acqua o dei cristalli di ghiaccio facendo quindi iniziare la precipitazione sotto forma di acqua e/o grandine (a volte, seppur rari, si verificano dei temporali nevosi).

Curiosità: • solo ¼ dei fulmini tocca il suolo; • la larghezza di un fulmine è di pochi cm; • la lunghezza dei fulmini va da pochi metri fino a diverse decine di km.


Glossario

Prima dell’arrivo del temporale il vento soffia verso l’alto al centro IL FULMINE: è la scarica elettri della nube e verso il basso ai lati ca (contrariamente a quanto si possa pensare, non viaggia alla velo cità della luce ma una velocità stim della stessa, quando iniziano le ata tra i 40.000 ed i 50.000 km/s). IL LA MPO: è la luce generata dalla sca precipitazioni questi moti si inrica. IL TU ONO: il rumore provocato dal vertono. passaggio del fulmine che crea una forte espansone dell’aria, la temperatura dell’ar I temporali generano elettricità, ia al passaggio del fulmine raggiu nge una temperatura anche di 30.000°C. in genere le gocce d’acqua o i cristalli di ghiaccio presenti alA causa della differenza tra velo cità della luce e velocità del suo l’interno del cumulonembo si no (300.000 km/s la prima e 340 m/s la seconda), prima si vede il lampo e dopo sentiamo il rumore caricano negativamente nella del tuono. Calcoliamo circa 3 secondi per ogni km di distanz a che ci separa dal punto di cad parte bassa della nuvola, e pouta del fulmine. Se luce e suono sono contestuali probabilmente non avremo la possibilità di rac sitivamente nella parte alta, contarlo a nessuno… mentre il suolo è carico di parCOSA FARE PER PROTEG GERSI DAI FULMINI? ticelle positive. Luoghi sicuri sono le abitazioni e le automobili (con finestre e finestrini chiusi), ma se si sta in Le particelle positive attirano casa si deve avere l’accortezza di non parlare al telefono fisso, non toccare rubinetti, non farsi quelle negative e così si gebagno o la doccia, stare comunq il ue lontani dai camini. nera il fulmine (di solito una ALCUNI CONSIGLI SE SI VIE piccola scarica, detta “piNE SORPRESI DA UN TEMP ORALE ALL’ARIA APERTA: • togliere tutti gli oggetti metallici lota”, fa da innesco e attira il dal proprio corpo; • evit are di tenere in mano oggetti app fulmine, la scarica pilota tutuntiti (picozze, canne da pesca, ombrelli); • non mettersi a correre; tavia a differenza del fulmine, • cercare un riparo evitando di: raramente è visibile dal nomettersi sotto alberi isolati, su cim e o crinali di montagne, vicino a spu nto ni roc cio si, su dist ese desolate, all’entrata di grotte stro occhio), che può viag; • sganciarsi immediatamente dal le vie ferrate; giare tra nuvola e nuvola, • stare lontani anche da mandr ie e greggi e se si è più di una per nuvola e suolo, o all’interno sona non tenersi per mano. della stessa nuvola (tra l’altro Condizione migliore è stare sed uti, tenendo i piedi uniti, piegandos esistono anche fulmini che si i sulle proprie ginocchia (non stare in piedi o sdraiati). formano all’interno delle Se ci si dovessero drizzare i cap elli o i peli, vuol dire che ci troviam nuvole di cenere vulcanica o nella zona a maggior rischio di folgorazione, non sdraiarsi e seguire le indicazioni citate in pre in caso di eruzioni). ced enza. Se si è in acqua uscire immediata mente (l’acqua è un buon condut tore).

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Il giovane THOMAS 100 VOLTE SUL PODIO DEL NUOTO

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primi contatti con l’acqua delle piscine, Thomas Cunial li ha avuti proprio in Valsugana. Ora, quindicenne, può dirsi quasi un veterano delle vasche da 25 e 50 metri. Dopo aver frequentato la scuola primaria di Novaledo il ragazzo, che trascorre dei periodi anche in Alto Adige, è entrato a far parte della prestigiosa società Bolzano Nuoto dove è diventato una delle promesse più apprezzate. Si è affermato anche in campo regionale tra i migliori pari età, ottenendo a quest’oggi la soddisfazione di salire per ben 100 volte sul podio di una gara. Tra questi successi i recenti cinque titoli provinciali. Il giovanotto è stato festeggiato di recente presso un noto ristorante di Levico Terme da parenti ed amici ed in particolare dal figlio dei titolari, Stefano, che è un istruttore di nuoto. Thomas si esprime al meglio in tre specialità: stile libero, dorso e delfino. Quest’anno, al di fuori dei prioritari impegni scolastici, ha trovato tempo e volontà per allenamenti, ritiri collegiali e gare che lo hanno portato da Malaga in Spagna, a Fiume in Croazia, a Lubjiana in Slovenia, fino al più recente meeting di Innsbruck, per non citare gli appuntamenti italiani, ai Criteria Giovanili di Riccione ed ai prossimi “nazionali” di Roma, per i quali si è già qualificato. Gli allenatori, guidati da Paul Dalsass si attendono da lui no-

tevoli miglioramenti con il potenziamento dei 190 centimetri di altezza raggiunti dal suo fisico. Un commento di Thomas: “Nella Bolzano Nuoto ho trovato avversari in vasca, ma tanti amici fuori. Gli allenamenti, molto duri, non mi fanno paura. Sono grato a chi mi sostiene, in primis, a mamma Giulia.” (M.P.)

La mostra di Maria Stimpfl

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a ottenuto il meritato successo a Borgo Valsugana presso lo spazio Klien del Comune, la mostra personale di Maria Stimpfl nativa di Roverè della Luna ma da tanti anni residente a Pedavena, in provincia di Feltre. Una esperienza non nuova per la signora Maria poiché in passato aveva già esposto in alcuni centri della Valsugana. Nella sua esposizione dal titolo “Profumi… Sensazioni della natura”, ha presentato una sessantina di opere fotografiche da lei stessa scattate sia in Valsugana che in altre zone del Trentino, nonché in altre regioni d’Italia. Ma non solo foto e dipinti nell’animo di Maria. In campo letterario ha già scritto alcuni libri. Vogliamo ricordare il primo uscito nel 2001, dal titolo “Emozioni – luci e colori di una vita” per il Premio Letterario Nazionale Cuore di Sicilia V^ edizione 2002. Un’altro, uscito nel

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ALSUGANA NEWS

BORGO VALSUGANA

2013, si intitola “Rugiada – nel cuore di un fiore”. Una poesia l’ha dedicata ed inviata perfino a Papa Ratzinger di cui riportiamo uno stralcio: “Sei venuto in mezzo a noi come un Angelo disceso dal cielo, in silenzio senza frastuono. Ti abbiamo accolto a braccia aperte con rintocchi di campane che suonavano a distesa per il Tuo arrivo….Gioia immensa…. Un tripudio di colori… Hai portato luce divina nei nostri cuori con la Tua presenza, loderemo il Signore assieme a Te.” Leggendola, anche il Santo Padre si è commosso ed ha ringraziato l’autrice con uno scritto esaltandone il commovente contenuto e la naturalezza della sua espressione. Oltre che a Pedavena, il libro “Rugiada” era stato presentato anche nel suo paese d’origine, Roverè della Luna. In quell’occasione le era stato consegnato un attestato a none del Consiglio Regionale del Trentino Alto Adige.(M.P.)


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