Valsugana News n. 4/2018 Maggio

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La libertà di espressione negli Stati Uniti

I non pochi attacchi del Presidente Trump alla stampa, accusata di divulgare “fake news” – notizie false – hanno aperto il dibattito sulla libertà di espressione negli Stati Uniti e sui suoi limiti.

 di Francesca Gottardi IL PRIMO EMENDAMENTO DELLA COSTITUZIONE USA Il primo emendamento della Costituzione americana garantisce la libertà di espressione. Il termine si riferisce a una serie di diritti pensati per proteggere la libertà delle persone di informare e influenzare gli altri. Tra questi figurano la libertà di parola, di stampa, e di associazione. Il primo emendamento è alla base della teoria liberale americana. La clausola fu introdotta al fine di rimuovere il potere di censura dalle mani di qualsiasi autorità pubblica, attribuendola esclusivamente al Popolo. L’ordinamento statunitense si configura infatti come un sistema di libertà dallo Stato, oltre che nello Stato. In questo contesto la libertà individuale di espressione

Donald Trump

viene limitata solo entro margini molto ristretti. Questa libertà è motivo di orgoglio per molti americani. Permette l’esistenza di show satirici che non usano mezzi termini, e l’espressione di opinioni che i più considererebbero aberranti. Il primo emendamento è piuttosto ampio. Al punto da tutelare anche forme di espressione del pensiero socialmente invise, come per esempio idee razziste. Secondo il punto di vista americano, reprimere queste forme di pensiero creerebbe infatti una sorta di censura preventiva. Tale libertà trova un limite soltanto in quelle manifestazioni del pensiero che sono meramente “parole bellicose”, dirette a istigare e danneggiare la controparte, o a sovvertire l’ordine pubblico. Il fattore chiave quindi non è tanto il contenuto di un messaggio, ma la modalità di espressione dello stesso.

UN DIRITTO AMPIO All’interno di questo contesto giuridico e sociale si snoda il dibattito sui “discorsi di incitamento all’odio”. Negli Stati Uniti infatti questi discorsi sono protetti dal primo emendamento. Nell’ordinamento statunitense difficilmente c’è spazio per l’incriminazione del libero pensiero. Questo a volte si traduce nella lesione di fatto della dignità e del decoro di altri cittadini. Se però alle pa-

role non susseguono azioni e attacchi diretti all’integrità fisica o patrimoniale di un soggetto, per quanto aberrante sia la manifestazione di pensiero, questa non può essere limitata.

IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA Oggi le minacce alla libertà di espressione non sono solo virtù di regimi illiberali. Si nascondono tra le insidie dell’epoca della post-verità. L’aggettivo, nuovo nel dizionario Oxford, «denota circostanze in cui i fatti obiettivi sono meno influenti nell’orientare l’opinione pubblica che gli appelli all’emotività e le convinzioni personali». In questo contesto emerge il rovescio della medaglia della libertà di espressione. Un eccesso di tale libertà può portare alla fabbricazione di idee che colpiscono direttamente l’emotività di chi le riceve, andando a oscurare i fatti e rendendo la verità irrilevante. Si crea così un paradosso. Da una parte i media e gli individui non hanno mai esercitato tanto la loro libertà di espressione. Dall’altra questa democratica esposizione dei fatti ne sta determinando una perdita di peso e di credibilità. L’obiettivo ora sembra quello di ristabilire un equilibrio che pare perduto, ma non tutti sono convinti che ciò sia possibile.

Francesca Gottardi è nostra corrispondente dagli USA

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IL SOMMARIO Libertà di espressione in USA ......................... 3 Sommario..................................................... 5 Punto e a capo ............................................. 7 La storia degli alpini ...................................... 9 La penna più alta: Pinamonti........................ 12 Le stellette in rosa....................................... 13 Penna nera a 61 anni .................................. 13 Il volo acrobatico di Erardo Fruet.................. 14 Intervista a Gaia Tozzo ................................ 16 Sofia Loren ................................................. 17 Addio alle bollette ogni 28 giorni .................. 19 Alcide Degasperi al Borgo ............................ 21 Confessa che ti passa .................................. 23 L’uomo che scolpisce le montagne ................ 24 Violenza e difesa personale .......................... 26 Charles Darwin ........................................... 28 Storie di donne sangue e riscatto ................. 30 Intervista impossibile................................... 38 Le offerte Agraria Trentina ........................... 40 Taglio e colore dei capelli ............................. 56 La moda dell'estate ..................................... 57 Storia del costume da bagno........................ 59 L’Associazione apicoltori ............................... 60 Il Prezioso .................................................. 61 L’economia che non ti aspetti ....................... 63 La Chiesa arcipretale di Borgo Valsugana ...... 64 Il Forte Busa Verle....................................... 66 Nasce Trentino Weddings............................. 67 Il Maestro Gianni Martinelli .......................... 68 Le cronache................................................ 69 SOS animali Pinè......................................... 70 Novaledo: partecipare e decidere ................. 71 Un armeno a Levico Terme .......................... 72 La rotatoria di Santa Giuliana ....................... 73 Le cronache................................................ 74 Le cronache................................................ 75 Le cronache................................................ 76 Che tempo che fa........................................ 77 Giocherellando ............................................ 78 Occasioni immobiliari................................... 79

ANNO 4 - MAGGIO 2018

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.....33 • Conosciamo i Lions ............... ....35 • I Lions in Valsugana............... ........36 • I Lions: atto costitutivo ..... .....37 • Lions Valsugana ....................

DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 2815103 direttore@valsugananews.com CONDIRETTORE Franco Zadra - franco.zadra@gmail.com VICEDIRETTORE Chiara Paoli - Elisa Corni COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser - Silvia Tarter COLLABORATORI Waimer Perinelli - Roberto Paccher - Erica Zanghellini Francesco Cantarella - Francesca Gottardi Maurizio Cristini - Alice Rovati - Mario Pacher Laura Fratini - Sabrina Mottes - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover Giampaolo Rizzonelli - Laura Fedel Silvia Tarter - Andrea Casna CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE Grafiche Futura srl IMPAGINAZIONE, GRAFICA Grafiche Futura srl STAMPA Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN) PER LA PUBBLICITÀ SU VALSUGANA NEWS info@valsugananews.com www.valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 5.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a GRAFICHE FUTURA srl, le loro pubblicità, le loro immagini i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per di tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.


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CREDITO ALLA FIDUCIA

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er colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno. Stava scritto sul cartello appeso al muro dietro la cassa della drogheria del mio quartiere. Dietro il banco un uomo alto e grosso di nome Romano e di cognome qualcosa che finiva in ilic. Era fuggito, si diceva, ai comunisti di Tito quando erano arrivati in Istria e 300 mila italiani avevano lasciato case e campi. Alla cassa una donna di taglia larga, scura di capelli, che parlava poco a male l'italiano. Si diceva non fossero sposati e che lui era ricercato dai croati perché fascista. Penso che ai titini per dimenticare la storia nera sia stato sufficiente intascare i suoi possedimenti . Il quartiere era abitato da brava gente, dipendenti pubblici, piccoli artigiani, e Romano applicò raramente quella regola, tanto che, si disse dopo la sua scomparsa, fosse stato di manica larga. Quel quartiere, prossimo alle mura romane, è ora abitato da gente colorata giunta a sostituire i cittadini trapassati e i figli traslocati entro le mura o emigrati altrove. Le case perdevano la faccia piena di crepe e i coppi si frantumavano al suolo.

Il negozio di verdura della Ada è gestito da pakistani; i nigeriani hanno un’agenzia di pulizie; i cinesi vendono di tutto. Hanno restaurato gli edifici. Il negozio di Romano è chiuso da molti anni. I pochi anziani rimasti nel quartiere fanno la spesa assieme ai nuovi abitanti nei supermercati spuntati nei campi attorno allo stadio. Il quartiere è tornato a vivere e a tutti, o quasi, Romano farebbe credito. La stessa cosa è successa agli italiani di New York relegati nella little Italy, nei ghetti, ma capaci di riscatto. Li troviamo ora fra i sindaci più famosi della grande Mela Rudolph Giuliani e Bill De Blasio. Hanno raggiunto traguardi importanti per la nostra emigrazione resa tristemente famosa negli Stati Uniti da personaggi come Al Capone e Lucky Luciano. E' giusto insomma diffidare del mondo colorato che ormai circonda la nostra casa ma abbiamo ricevuto tanto credito da poterne concedere un po' anche ai nuovi arrivati ai quali Romano potrebbe ora fare credito malgrado la colpa di qualcuno.

 di Waimer Perinelli

LA MACCHINA E LA FIDUCIA

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a macchina non può sbagliare! Era questa la risposta che per tre volte un tabaccaio trentino ha ricevuto quando si lamentava perché la somma della Lottomatica Sisal da versare allo Stato superava quella incassata. Il buco era arrivato a circa 5 mila euro quando le operazioni erano state sospese a causa di un guasto. Per sua fortuna se è vero che le macchine non sbagliano, in qualche caso almeno s' inceppano. Ma il tabaccaio, in attesa della riparazione e di ritrovare la fiducia, ha presentato querela e scoperto che, almeno una decina di altri operatori di varie parti d'Italia, avevano ammanchi analoghi. Le indagini, come tutte le strade, hanno portato a Roma, dove un signore, si fa per dire, in accordo con altri sconosciuti, scrive il giudice nel rinvio a giudizio, si è procurato abusivamente le credenziali dei tabaccai per “ accedere attraverso il terminale dell'attività, al circuito Sisal”. E così, carpendo la fiducia dei tabaccai, ha effettuato tre ricariche doppiamente fasulle, e altrettante sulle Poste Pay a lui intestate. Da tutto ciò si evidenzia che le macchine non hanno colpe, se non quella di eseguire diligentemente i comandi e che le persone, e noi siamo tali, hanno a volte troppa fiducia. Il denunciato carpiva infatti le credenziali telefonicamente spacciandosi per operatore della Sisal incaricato di verificare guasti. Chiedeva di effettuare operazioni di prova che invece erano vere, come i conti a lui intestati. Sarà il Tribunale a dover decidere se c'è reato e, se così fosse, sarebbe un caso di eccessiva fiducia nella rassegnazione dei truffati e mancanza di fiducia negli investigatori.

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LA DEGLI  di Franco Zadra

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l fronte meridionale della guerra austro-prussiana durante il Risorgimento italiano, vide l’episodio della III guerra d’indipendenza, il primo conflitto nel quale fu coinvolto il Regno d’Italia, combattuta contro l’Impero austriaco dal 20 giugno al 12 agosto del 1866. L’Italia intese affiancare la Prussia nel tentativo comune di eliminare l’influenza dell’Austria sulle rispettive nazioni. Nomi come il generale Alfonso La Marmora, sconfitto a Custoza, o Giuseppe Garibaldi nella sua più vittoriosa avanzata verso Trento, sono ancora un forte richiamo per quell’episodio bellico che vide al termine della guerra, l'Austria cedere formalmente alla Francia il Veneto (oltre a Mantova e a parte del Friuli) che fu girato all'Italia, e annesso con un plebiscito, a differenza dei territori conquistati nel Tirolo meridionale che l'Italia non riuscì ad annettersi. Ma i confini a Nord del giovane Stato Italiano, pressoché stabiliti lungo l’arco delle Alpi, fecero sorgere l’esigenza di un corpo militare unitario atto a difenderli. Nel libro di Mario Rizza, "Reggimenti delle truppe Alpine", La Rosa Editrice, leggiamo che un giovane capitano, Giuseppe Domenico Perrucchetti, appassionato di montagna e studioso di storia militare, scrisse una memoria nella quale sosteneva l’utilità di reclutare truppe indigene, perché esse conoscevano perfettamente i luoghi e sarebbero state più motivate nella difesa delle loro terre, e nello specifico «ogni vallata deve essere difesa dai valligiani di quella zona, ottimi conoscitori delle difficoltà del terreno montano e del clima, e sicuramente

Cesare Francesco Ricotti - Magnani decisi a difendere il proprio focolare domestico e le tradizioni montanare». Queste considerazioni trovarono l’approvazione del Generale Cesare Ricotti Magnard il quale si avvide però del fatto che non sarebbe stato possibile creare questo nuovo corpo dall’oggi al domani, poiché richiedeva la preparazione di un'apposita legge da discutersi in Parlamento, rischiando un probabile insuccesso a causa delle ristrettezze di Bilancio. Per evitare l'ostacolo della Camera, Ricotti escogitò un astuto espediente. Riuscì a inserire tra gli allegati del Regio Decreto n. 1056 del 15 ottobre 1872 che sanciva il riordinamento dei distretti militari, la costituzione di 15 nuove "compagnie permanenti" da reclutare su base regionale. Ottenuta l’approvazione del Re Vittorio Emanuele II, gli alpini potevano dirsi ufficialmente nati, anche se era-

Umberto di Savoia incontra gli Alpini del Monte Cervino in procinto di partire per la Russia no stati camuffati da truppe regionali distrettuali. Il privilegio di costituire i primi reparti alpini tocca alla classe del 1852. Di lì crebbero sempre più, fino a formare 8 reggimenti che in seguito cambiarono nome in Brigate. Spetta al Colonnello Cantore, il primo ottobre del 1909, costituire l'8° Reggimento alpini con i reparti provenienti dai gloriosi Reggimenti, 1° 2° e 7°. Durante i due conflitti mondiali le penne nere lavorarono sia singolarmente sia riunite in unità più grandi, a seconda delle esigenze che le tecniche di combattimento imponevano. Dopo i conflitti le brigate vennero più volte riorganizzate, sia per questioni economiche che logistiche e tecniche. Nel 1919, a smobilitazione iniziata, sono create le Brigate alpine sostituite nel 1920 da tre Divisioni alpine. Con il Decreto del 7 gennaio 1923, che dispone la definitiva adozione dell'Or-

Giuseppe Domenico Perrucchetti

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Alpini - da LaVocedelNordEst dinamento di pace, i Comandi di Divisione vengono a loro volta sostituiti da tre Comandi di Raggruppamento alpino, ciascuno formato da tre Reggimenti alpini e da un Reggimento di artiglieria da montagna. Nel processo di riforma delle Forze Annate del 1926 le truppe alpine vengono inquadrate da Brigate alpine (quattro dal 1933). In seguito all'armistizio dell'otto settembre 1943, che lascia le Grandi Unità senza alcuna direttiva, abbandonate nella tormenta, in completo caos, molti reparti alpini in Italia e all'estero reagiscono alle minacce tedesche. Nel 1945, al termine della Seconda Guerra Mondiale, la costituzione delle Grandi Unità alpine è ostacolata dal

Trattato di pace non ancora firmato e dalla precaria situazione economica e sociale del nostro Paese stremato da una guerra durissima combattuta anche sul territorio nazionale. Con la firma del Trattato di pace, avvenuto a Parigi il 10 febbraio 1947 e con l'adesione dell'Italia alla Nato (4 aprile 1949), il nostro Paese può iniziare a riorganizzare e potenziare le sue Forze Armate. La struttura delle Grandi Unità alpine rimane invariata sino al 1975 quando, la nuova unità elementare (Brigata alpina) risulta essere uno strumento moderno, agile, particolarmente idoneo alla

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manovra e al passo con le esigenze richieste sul campo di battaglia. Nel 19911993, allo scopo di elevare l'efficienza operativa dell'Esercito alla luce dei rapidi e profondi cambiamenti verificatesi sullo scenario europeo, riprendono vita i Reggimenti, rispondenti alla necessità d'ammodernamento dello strumento militare, nuovamente depositari del patrimonio delle tradizioni dei vecchi Reggimenti e centri propulsori dell'attività addestrativa e logistica.


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Maurizio Pinamonti da sette anni

LA PENNA PIù ALTA DI 23.000 TRENTINI  di Waimer Perinelli

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aurizio Pinamonti, 65 anni, un destino nel cognome, è al terzo mandato da Presidente dell'Associazione Nazionale Alpini di Trento. Sessantadue gruppi, 23.541 iscritti dei quali 18 mila con stellette e penna, gli altri amici degli alpini e fra loro 1.800 donne impegnate fianco a fianco nel servizio di protezione civile, negli interventi umanitari. Ci sono poi alcune donne alpino, con stellette e penna, arruolatesi volontariamente dopo la sospensione della leva obbligatoria. Monica Sighel, di cui parliamo a parte, è una di queste. La sezione di Trento è seconda per numero di iscritti e gruppi nella classifica nazionale, preceduta da Bergamo e seguita da Verona. Pinamonti nella vita è stato insegnante. Ha lasciato il servizio militare con il grado di Tenente ed ora è capitano. Alle elezioni del 2017 ha avuto oltre 17 mila voti. Non uno in meno della prima nomina a Presidente nel 2011. Gli alpini iscritti all'Associazione sono oggi fisio-

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Cerimonia caduti alla Portela logicamente in calo ma tendenzialmente stabili anche se, dice Pinamonti, non sono mancate le perdite. “Ce ne sono trecento che lo scorso anno sono andati avanti, dice, in maggioranza amici anziani. A sostituirli sono arrivati fortunatamente i giovani, pochi dalla leva volontaria, molti di più ripescati fra i cosiddetti dormienti, quelli che dopo ma naia non hanno sentito la necessità di proseguire nello spirito del corpo e il richiamo del cameratismo.“ E' in occasione delle adunate nazionali che si risvegliano questi sentimenti e viene la

voglia di partecipare. Le sfilate da qualche anno coinvolgono sempre più gruppi dal Centro e Sud Italia. “In particolare siciliani e calabresi, dice, alpini del servizio volontario che lavorano con noi animati dallo stesso spirito. Dopo la sospensione della leva temevamo una decadenza numerica nazionale ma da dieci anni registriamo solo una maggiore distribuzione regionale.” Sono alpini che le Alpi le hanno viste nelle vacanze stagionali o solo durante la naia, si sono formati sugli Appennini, monti meno alti ma sicuramente aspri e capaci di forgiare lo spirito. “L'adunata di questo maggio a Trento, dice il Presidente, è l'occasione per far conoscere le cime e l'accoglienza del Trentino”. Anche il modo per visitare i luoghi dove cento anni fa, nelle trincee, fra i ghiacciai sono state scarificate tante vite di giovani di tante nazionalità. La guerra, scriveva Erasmo da Rotterdam, è bellissima solo per coloro che non l'anno vissuta.


LE STELLETTE M

onica Sighel, 32 adottata dalla famiglia ma ci sono ancora tanti giovani doranni, è stata la Sighel. Padre e nonni al- mienti, ovvero persone poco attratte prima e finora pini la portano fin da dai circoli. Grazie al nostro interessamento unica donna, a fare parte giovane al Circolo dove e ad adunate come questa di maggio a del consiglio provinciale si raccontano le soffe- Trento, molti riscoprono lo spirito di dell'Associazione Naziorenze, gli scherzi, la so- corpo, la voglia di condividere esperienze nale Alpini di Trento. Nel lidarietà degli uomini attuali e del passato”. 2011 è stata la più votata, di montagna. Nel 2005 Fra loro sono molte le donne con le con oltre 13 mila voti, quando cessa la leva stellette. Per loro nell'esercito come nella dopo il presidente Mauriobbligatoria si arruola società civile sempre più posti di potere zio Pinamonti che di voti nell'esercito e viee responsabilità. (W.P.) ne ha avuti 17 mila. “ La ne destinata alMonica Sighel - da L'Adigetto prova dice, che gli alpini l'artiglieria da monsono duri ma non sono sessisti o razzisti, tagna dove segue un addestravisto che sono donna e di colore scuro”. mento duro. Cinque anni dopo Monica è una delle donne 15 con si congeda con il grado di capostellette e penna d'aquila facenti parte rale maggiore entra nel direttivo del corpo degli alpini del Trentino, una dell' ANA dove s'interessa al setdi quell'otto per cento di donne, ovvero tore giovanile, del quale si occupa più di 14 mila, componenti di ogni arma anche ora, dopo avere terminato dell'esercito italiano. Sono fra i paraca- i tre anni di mandato, come Laura Mansini neo eletta sindaco di Caldonazzo nella primavera dutisti, nei lagunari, nei corpi speciali. membro della Commissione. del 2005 mentre sfila per le vie del paese a fianco di Maurizio La sua storia di alpina inizia quando nel “L'età media degli alpini conPinamonti che nel 2011 verra nominato presidente dell'ANA trentina. 1992 in Sri Lanka all'età di 7 anni, viene gedati è sempre più alta, dice,

PENNA NERA DA 61 ANNI C

laudio Battisti, classe 1937, è il Capo Gruppo della sezione di Caldonazzo dell'Associazione Nazionale Alpini. Lo è dal 1973 e di alpini ne ha conosciuti tanti. Il Gruppo panizzaro è composto da 120 alpini con tanto di cappello e penna e 40 amici che hanno in comune la passione per la montagna e per lo spaccio di via della Villa dove si ritrovano a brindare la domenica mattina e la chiesetta di San Valentino sul colle di Brenta, dove nei giorni dedicati, cucinano per sé e i visitatori la polenta, luganeghe e fagioli. Con i suoi 160 iscritti il Gruppo di Caldonazzo è il terzo dell'Alta Valsugana dopo Levico al primo posto e

Pergine, ora seconda ma che negli anni d'oro è arrivata a 260 iscritti. “Ora sono anni magri, dice Claudio Battisti, l'età media degli associati è di oltre 65 anni anche se non manca qualche giovane.”

Il primo da destra: Claudio Battisti

La causa principale del calo di soci è la cessazione della leva obbligatoria e “Un male, dice Battisti, perchè tanti giovani oggi avrebbero bisogno di naia con disciplina e senso del dovere.” Lui di naia ne ha fatta una dose giusta, dal luglio del 1959 all'autunno del 60 e poi quattro mesi da richiamato al tempo delle bombe in Alto Adige. “Siamo stati richiamati, dice, per sostituire gli alpini impegnati nelle operazioni antiterrorismo, e sono stati più duri quei pochi mesi di esercitazioni e tiro, che non i 19 fatti di leva”. Come penna nera ha raggiunto il grado di caporale, oggi grazie anche al grande impegno nel volontariato, è Cavaliere al merito della Repubblica. (W.P.)

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IL VOLO ACROBATICO  di Chiara Paoli

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uella di Erardo Fruet, illustre perginese, cui l’amministrazione comunale ha intitolato nel 2002 la piazza sul retro del Municipio, è una vita fatta di acrobazie e velocità. Nasce a Pergine l’8 marzo 1902, primogenito di otto figli che avranno il papà Carlo e la mamma Noemi Pradi. Durante la Grande Guerra lo sguardo è rivolto al cielo, per ammirare gli aerei che partono dall’aeroporto militare di Cirè e volano sopra i cieli della Valsugana. È in questo periodo che conosce e diviene amico del grande asso del volo, l’austroungarico Josef Kiss, abbattuto in battaglia nei pressi di Lamon proprio 100 anni fa, il 24 maggio 1918. Nel 1922 Erardo, in occasione del servizio di leva, entra volontario nel Genio Aviatori

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dell'Esercito Italiano. In breve consegue il primo e secondo brevetto di pilota, rispettivamente ottenuti in provincia di Novara e Brescia. Grazie alle «sue peculiari doti d'intelligenza e perizia di volo» viene nominato Istruttore. Nel 1924 opera all’interno della 84˄ Squadriglia del Gruppo Caccia, l’anno successivo verrà trasferito a Lonate Pozzolo, in provincia di Varese, assieme al 1° Stormo Caccia, dove opera fino al 1927. Un nuovo trasferimento lo porta a Campoformido nell’udinese, in quella che era diventata la sede ufficiale dell'Aviazione da Caccia dell'Aeronautica Militare Italiana. Il comandante della base militare Rino Corso Fougier, guarda con sospetto il trentino che ama tanto le acrobazie,

ma poi le pazzesche virate di Erardo contagiano anche il generale, e assieme ai colleghi Nicolò Lana e Giuseppe Pancera, nella primavera del 1928, con i loro biplani Fiat CR1, danno vita alla prima Pattuglia Acrobatica della storia italiana. La nascita del volo acrobatico collettivo in Italia viene fatta risalire al primo giugno di quell’anno, e il Tenente Colonnello Fougier è colui che assunse il comando della formazione aerea, progenitrice delle Frecce Tricolori. Al nostro perginese Erardo Fruet venne affidato l’incarico di selezionare gli aviatori da indirizzare alla scuola di volo acrobatico. Nell’autunno di quello stesso anno, il 15 ottobre a Udine, Fruet è posto al comando della prima grande manifestazione di acrobazia aerea che vede la partecipazione di una squadra formata da 7 piloti. In quell'occasione, grazie alle sue grandi capacità, ebbe modo di condurre a terra uno dei velivoli, danneggiato in volo da uno degli aviatori, l’impresa gli valse un encomio solenne. Il pilota trentino fu inoltre l'ideatore e colui che per primo eseguì l’ardita manovra detta "bomba", acrobazia da brivido ancor oggi nota in tutto il mondo e praticata dalle Frecce Tricolori. I giovani militari di Campoformido vengono definiti i “saltimbanchi del cielo” e additati come pazzi. Per guadagnarsi la stima delle Forze Armate, Fougier avrà bisogno anche di un’occasione per guadagnare il definitivo sostegno della


Forza Armata. L’opportunità si presenta su un piatto d’argento il 22 aprile 1929, con la visita a Campoformido del Principe Umberto e di Italo Balbo, Sottosegretario all’Aeronautica, che giungono per ammirare l’esibizione di una squadra del 1°

Stormo. Ma la gloria giunge la domenica 14 luglio, in occasione della manifestazione che l’Aero Club d’Italia ha organizzato per ricevere Roger Williams e Lewis Yancey, piloti Usa protagonisti del primo volo aereo che collega Roma a New York. L’aeroporto del Littorio di Roma ospita così una spettacolare esibizione acrobatica, con una formazione di 6 aeroplani, i nuovi Fiat Cr20. Si moltiplicano gli addestramenti al volo acrobatico collettivo, anche grazie al conferimento dei nuovi velivoli, e l'8 giugno 1930 viene celebrata a Roma la prima spettacolare Giornata dell'Ala. Ma Erardo Fruet vola oltre e viene ammesso al 2° Corso Velocisti presso il Reparto Alta Velocità di Desenzano del Garda; in volo raggiunge e oltrepassa i 500 km orari conseguendo la "V" rossa, ottenuta da soli 8 piloti su 140. Tra 1933-34 farà parte della squadra che aiuterà Francesco Agello a battere

il record mondiale di velocità, a bordo dell'idrovolante MC 72. Erardo viene promosso al grado di tenente nel 1938 e inizia a operare in qualità di pilota collaudatore per la Fiat e la Caproni, riuscendo a divenire capitano. Eletto al rango di maggiore, continua a portare avanti la sua passione divenendo direttore e istruttore per la scuola di volo dell'Aeroclub di Trento. Muore a causa di un malore il 30 luglio del 1980, a Rimini, accompagnato dal rombo delle Frecce Tricolori che in quei giorni si stavano allenando. Presso il Museo dell’Aeronautica “Gianni Caproni” di Trento, nel 2015 è stata realizzata una vetrinetta dedicata alle imprese del pilota acrobatico perginese. Le fotografie sono tratte da “Quaderno sulla storia dei piloti perginesi volati avanti”, di Fernando Tomasini, Associazione Arma Aeronautica Sezione di Pergine Valsugana.

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A T S I V R E T NOSTRA IN

o z z o T Gaia

o t n e r T I S C e t  di Chiara Paoli Primo presiden

Gaia Tozzo, prima presidente donna del Csi di Trento, è la più giovane, con i suoi 37 anni (che compie proprio a maggio), a rivestire questo ruolo all’interno del Csi Trento. Eletta il 15 aprile 2016, è giunta a metà del suo primo mandato, e ci racconta di quanto è stato fatto.

Che cosa è cambiato all’interno del CSI comitato di Trento? Mi sento una rivoluzionaria, perché ho cambiato in parte il Csi, per esempio facendo entrare molte donne nella dirigenza, inizialmente erano soltanto due, adesso le donne del direttivo sono quasi la metà, e hanno raggiunto il numero di 5, su un totale di 14 consiglieri. Ho contribuito, inoltre, ad abbassare la media d’età interna, il collaboratore più anziano ha 46 anni il più giovane 22, e spinto molto sulla visibilità del Comitato che ha si uno zoccolo duro, fatto di società sportive che lo hanno costituito, ma necessita di continua promozione per un futuro ricambio generazionale. Cos’è che ti da più soddisfazione del tuo operato da presidentessa? Per me il Csi è come una famiglia. Quello che mi da più soddisfazione sono i riscontri positivi che arrivano in maniera spontanea dai collaboratori, c’è un clima molto famigliare e amichevole, con un atteggiamento positivo di base. Quello che mi rende più felice è essere riuscita ad aumentare il numero

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di collaboratori, le persone occupate ora sono ben 9, tra contratto a tempo indeterminato, servizio civile e collaborazioni occasionali. Qual’è il rovescio della medaglia? Aver puntato sulla visibilità ha scatenato purtroppo molte gelosie. Ci sono associazioni che passano le giornate a farsi le diffide. In una società che comunica è triste vedere che la persona che fa il tuo stesso lavoro e dovrebbe condividere gli stessi valori e motivazioni, invece di confrontarsi a voce o con messaggi, invia una diffida come modus operandi. Talvolta si perde più tempo a farsi la “guerra” anziché far prevalere il ruolo formativo, siamo tecnici, ma anche educatori, ed è quello che secondo me è venuto a mancare. Non si può pensare che chi ti osserva non assorba, è impossibile non comunicare. Da presidente la cosa che mi è dispiaciuta di più, è vedere che la politica entra nello sport. Questa situazione è un riflesso della nostra società. Quali le difficoltà quotidiane? La difficoltà è quella di riuscire a tenere sempre vivo l’entusiasmo e la motivazione, occupandomi da sempre di formazione ce l’ho nel Dna, mi piace cercare di delegare le attività per competenze e in base a passioni e motivazione. Cosa proponete oltre alle attività sportive? Ogni anno vengono finanziati dalle pari opportunità e dalle politiche giovanili progetti per “Educare attraverso lo

sport”, questo il motto del Csi. Ci occupiamo perciò della valorizzazione delle differenze e di pregiudizi legati a sport etichettati come femminili o prettamente maschili. È un processo lento da scardinare. Vi sono poi progetti giovanili per conoscere nuovi sport e fare formazione sul fair play, il gioco di squadra, il rispetto uno dell’altra, i giovani oggi non sanno o faticano a comprendere cosa vuol dire fare squadra. E come donna nel contesto sportivo? In generale nel contesto sportivo, la difficoltà maggiore è creare dei cambiamenti. I dirigenti sono spesso gli stessi: c’è poco spazio per le donne e per i giovani. Quindi per una donna giovane, non è sempre facile. All’interno del Csi, queste difficoltà non esistono: c’è rispetto, accoglienza e ascolto reciproco. Prospettive future? Quando mi sono candidata ho presentato un piano, si trattava di 10 punti, su cui siamo avanti con gli obbiettivi come gruppo di lavoro e mi piacerebbe che il Csi potesse continuare a crescere come sta facendo ora, così da portare avanti le giuste premesse, per cedere fra qualche anno il testimone ai giovani.


 di Sabrina Mottes

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ophia Loren, 84 anni il 20 settembre, è l’attrice italiana più famosa nel mondo. Sensuale, carismatica, tenace e bravissima, ha al suo attivo un’incredibile carriera che l’ha catapultata, poco dopo i vent’anni, dall’Italia ad Hollywood facendone l’erede di Silvana Mangano e la diretta rivale di Gina Lollobrigida. Sofia Villani Scicolone, questo il suo vero nome, nasce a Roma nel 1934 ma cresce a Pozzuoli, paese d’origine della bella madre che è insegnante di piano ed ha vinto un concorso per trasferirsi ad Hollywood come sosia di Greta Garbo, sogno al quale ha però rinunciato. Il padre di Sofia è Riccardo Scicolone.

La Loren a 15 anni in un concorso di bellezza

Figlio di un marchese agrigentino, riconosce sua figlia ma non si vuole sposare e, dopo la nascita della secondogenita Maria, abbandona la compagna che si trova così in grandi ristrettezze economiche. Sofia, giovanissima, si trasferisce a Roma e là, stimolata dalla madre, inizia ad inseguire il sogno di diventare attrice. Partecipa a numerosi concorsi di bellezza, vincendo a Salsomaggiore nel 1951 il titolo di Miss Eleganza. Fino al 1953, con il nome di Sofia Lazzaro, posa per alcuni fotoromanzi, molto in voga in quegli anni, e recita in piccole parti cinematografiche. Risale a quell’epoca il topless di Era lui…sì! sì! film nel quale, interpretando un’odalisca, si mostra a seno nudo in una scena che non è mai stata proiettata in Italia a causa della censura. Nel 1953 gira Africa sotto i mari di Giovanni Roccardi e cambia il suo pseudonimo aggiungendo la ph al nome e rielaborando il cognome di una nota diva del tempo, l’attrice svedese Maria Toren, mutandolo in Loren. Proprio su quel set, a nemmeno vent’anni, viene notata dal produttore Carlo Ponti che le propone un contratto di sette anni. Inizia da lì un’eccezionale carriera, supportata dalla sua prorompente bellezza e dall’innegabile bravura che la portano, poco più che adolescente, al successo mondiale. La sua prima pellicola importante sarà con Alberto Sordi Due notti con Cleopatra. Insieme a Vittorio De Sica e Marcello Mastroianni, coi quali nascerà una profonda amicizia e un grandissimo sodalizio professionale, interpreta tra il 1953 e il 1954

L’oro di Napoli e Sophia Loren Cannes 2014 Peccato che sia una canaglia, che le aprono la strada verso Hollywood, dove reciterà con Frank Sinatra, Cary Grant, Clark Gable, Paul Newman e Anthony Quinn con cui, nel 1958, gira Orchidea Nera che le farà vincere la Coppa Volpi al Festival di Venezia. Nel 1960, a soli ventisei anni, diretta ancora una volta da Vittorio De Sica, si aggiudica l’Oscar, la Palma d’Oro, il David di Donatello e il Nastro d’Argento nell’indimenticabile interpretazione di Cesina ne La ciociara, ruolo inizialmente offerto ad Anna Magnani. Con questo film si conquista definitivamente la simpatia del pubblico, che già da un po’ segue la sua storia d’amore con Carlo Ponti, sposato con un’altra. Ponti divorzia a Parigi e sposa Sophia. I due rischiano però l’accusa di bigamia e concubinaggio poiché il divorzio, in Italia, non è legale. Fuggono allora in Francia e, diventati cittadini francesi, si sposano nel 1966. Dal loro matrimonio nascono due figli: Carlo jr ed Edoardo. Nel corso della sua vita, Sophia Loren ha vinto numerosissimi premi ed è stata diretta dai più importanti registi. Da ricordare, tra tutti i suoi film, Una giornata particolare, That’s amore, Pane amore e…, Matrimonio all’italiana. Indimenticabile, con Mastroianni, lo spogliarello in Ieri, oggi e domani che ripeterà 30 anni dopo, a sessant’anni, sempre con Mastroianni, in Prêt-a-porter del 1994. In perfetto equilibrio tra alterigia ed erotismo, tra l’anima napoletana e il fascino di star, Sophia Loren ha attraversato con eleganza ed allegria la sua straordinaria vita, sfoggiando sempre una positività che, anche nelle difficoltà, non ha mai abbandonato.

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Si torna alla fatturazione mensile

Addio alle bollette ogni 28 giorni D

al 5 aprile la fatturazione è tornata mensile. Pagheremo quindi 12 mensilità all'anno, senza l'obolo della tredicesima mensilità che le compagnie si erano inventate portando la fatturazione ogni 28 giorni anziché ogni mese. E’ quanto stabilito dalla legge che prevede l’obbligo di fatturazione mensile o per multipli del mese per tutti i contratti stipulati con le compagnie telefoniche e pay tv, inclusi quindi le ricaricabili e le utenze business. Fanno eccezione esclusivamente i servizi promozionali a carattere temporaneo di durata inferiore al mese e quelli non rinnovabili. Per ora pare che tutti gli operatori stiano rispettando la legge. In un primo momento però la fatturazione mensile non ha portato un risparmio effettivo perché, per garantirsi gli stessi introiti su base annua, gli operatori hanno spalmato il tredicesimo canone sugli altri 12. Il problema è che non hanno fatto altrettanto con il traffico disponibile (i minuti o i giga inclusi nel piano), determinando così un aumento del costo totale. Un modo per assicurarsi

comunque gli introiti incassati con il passaggio alla fatturazione a 4 settimane. Una precisazione: tecnicamente gli operatori possono farlo, la modifica delle condizioni contrattuali è prevista dalla legge e l'unico obbligo imposto è quello di informare in maniera chiara i consumatori almeno trenta giorni prima dell'entrata in vigore delle variazioni. Durante questo lasso di tempo, quindi, gli utenti hanno facoltà di recedere dal contratto senza penali e passare a un nuovo operatore. Peccato che quasi tutti gli operatori si siano comportati nello stesso modo, soffocando la possibilità di scelta e risparmio per gli utenti. Per questo Altroconsumo ha segnalato le intese anticoncorrenziali delle società all'Antitrust che, nel suo ultimo provvedimento, ha dichiarato di avere prove sufficienti per confermare che gli operatori si sono accordati per rincarare tutti insieme le proprie tariffe dell'8,6%. Un rincaro che le compagnie telefoniche hanno attribuito alla recente norma che le obbliga a tornare a proporre offerte con fatturazione mensile. In realtà la norma non giustifica nessun aumento che, secondo il Garante per la Concorrenza e il Mercato, sarebbe stato deliberatamente studiato a tavolino con un accordo tra tutti gli operatori coinvolti. Per questo motivo, nel provvedimento, il Garante ha anche chiesto l'immediata sospensione degli aumenti. Il provve-

 di Alice Rovati

dimento dell'Antitrust arriva proprio a stretto giro dall’esposto di Altroconsumo e segue gli accertamenti (nelle sedi dei vari operatori) da parte della Guardia di Finanza, impegnata nelle scorse settimane ad accertare proprio l'esistenza di possibili accordi tra gli operatori di telefonia fissa e mobile sulla fatturazione delle bollette e sugli aumenti. Altroconsumo non si ferma: continua a chiedere che tutti i consumatori ricevano indietro quanto versato indebitamente. Si tratta di un problema che riguarda milioni di consumatori: fino a 12 milioni di utenti di linea fissa e 60 milioni di utenti di telefonia mobile, infatti, con le fatture a 28 giorni hanno pagato un mese in più all'anno. 13 miliardi di euro il valore di mercato in gioco. Altroconsumo si sta battendo per chiedere agli operatori di restituire ai consumatori i soldi sottratti ingiustamente: un rimborso di ben 1 milione di euro che potrebbe tornare nelle tasche dei consumatori e darebbe un chiaro segnale alle compagnie telefoniche che da oltre un anno esercitano il loro potere modificando a piacimento le offerte commerciali senza tenere conto degli utenti. Per questo è importante anche il sostegno di tutti i consumatori che potranno far parte di questa battaglia rimanendo informati sugli sviluppi dell’azione, semplicemente iscrivendosi al seguente link: https://www.altroconsumo.it/vita -privata-famiglia/servizi-e-contratti/news/fatture-a-28-giorni. *La dott.ssa Alice Rovati è laureata in Giurisprudenza, percorso europeo e transnazionale, con master in Europrogettazione. Giurista esperta in diritto dei consumatori, docente di diritto. È Rappresentante di Altroconsumo per la Provincia di Trento.

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Alcide Degasperi

al Borgo e in Sella  di Alessandro Dalledonne

È

l'ultima fatica di monsignor Amando Costa. Un volume, quello editato da Trentino Track Team, tratto dalla sua personale raccolta storica, frutto di anni di lavoro e certosine ricerche sia a Borgo che presso diversi archivi pubblici e diocesani. Il libro è stato presentato presso l'auditorium del polo scolastico

e narra un Alcide Degasperi diverso, lontano dalla scena politica e appassionato estimatore del suo Borgo e della Val di Sella. «In questo libro – si legge – non si vuole ridurre Degasperi a una dimensione di paese ma vogliamo contribuire alla consapevolezza che un grande della storia è stato nostro concittadino. In semplicità e modestia, trovando al Borgo sostegno materiale e morale che gli assicurarono conforto e vigore per essere fedele nel servizio al bene comune. Sollecitandolo, nel contempo, a scoprire il filo aureo dell'amore di Dio che lo

statista chiama Provvidenza e che, come la sua, sostiene anche tutta la nostra vita». In tutto 300 pagine corredate da qualcosa come 250 fotografie, molte delle quali inedite. Nel suo lavoro monsignor Costa, da tempo insignito della cittadinanza onoraria di Borgo, si è avvalso della preziosa collaborazione di Armando e Martin Orsingher, con quest’ultimo che, in occasione della presentazione del libro, ha proposto una lunga riflessione sulle motivazioni che hanno animato gli autori nella sua stesura. Con monsignor Costa, sul palco anche Gino Valentini per una presentazione allietata da alcuni video storici e dalla presenza di diverse autorità. Con il sindaco di Borgo, Fabio Dalledonne, anche gli onorevoli Maurizio Fugatti e Stefania Segnana, e i consiglieri provinciali Gianpiero Passamani e Walter Kaswalder. «Liberata da paralizzanti pregiudiziali ideologiche e superate le preferenze individuali – si legge nella premessa del volume – oggi la riflessione storiografica riconosce in Alcide Degasperi un personaggio che stupisce per la sua attualità e lo considera patrimonio comune. Dotato di onestà cristallina e limpida fede cristiana, fu campione convito ed eroico della dignità e della

libertà dell'uomo, della giustizia sociale, della democrazia, del senso dello Stato e del principio politico della laicità che non è laicismo ma fedeltà incrollabile agli interessi del popolo superiori alle logiche di parte». Un libro suddiviso in 15 capitoli: si parla delle famiglie Degasperi e Romani, dell'incontro con Francesca Romani, del matrimonio, dell'agguato e dell'arresto e della sua detenzione a Roma «con il cuore al Borgo». C'è poi il ritorno nella sua terra, la nuova vita fino alla nomina a Presidente del Consiglio dei Ministri. Nel libro, infine, trovano spazio anche i ricordi della figlia Maria Romana e di due persone che, secondo gli autori, gli furono particolarmente vicine. A partire dal dottore Giovanni Toller, nato a Trento il 4 marzo del 1900, arrivato a Borgo ancora trentenne e nel 1931 organizzò il reparto sanatoriale dell’ospedale San Lorenzo di cui fu primario fino al 1970. Una nota curiosa: lo stesso ospedale era stato costruito nel 1912 su progetto dello zio, l’architetto Ernesto Toller. Nell’estate del 1950 e nell’agosto del 1954 la figlia Maria Romana Degasperi ricorda l’assistenza umana e professionale fornita al padre. Giuseppe Toller muore a Borgo il 12 settembre del 1994. L’altra persona che al Borgo ebbe particolari rapporti con Alcide Degasperi fu l’arciprete e decano monsignor Vigilio Grandi. Nato il 6 maggio 1878, ordinato presbitero a Trento il 14 dicembre 1902, resse le sorti della parrocchia dal 1921 al 1955. Morì a Trento il 10 aprile del 1966.

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Confessa che ti passa… È

raro di questi tempi leggere un articolo sulla confessione, ma qui dove vogliamo parlare anche di benessere e salute ci è parso opportuno affrontare l’argomento, sorvolando sul fatto, ormai sotto gli occhi di tutti, che si tratti ormai di una pratica quasi scomparsa, riservata anche nelle parrocchie a quei gruppetti sempre più esigui di catechesi della seconda elementare e ai loro genitori, nel esasperato tentativo pastorale, fallito da decenni, di farne un momento solenne, titolato con “la prima confessione”, mai assurta ai fasti solenni della prima comunione o della cresima. Pur se di confessione dei peccati si dovrebbe trattare in campo religioso e sotto una prospettiva di fede, considerando l’aspetto teologico del sacramento che altro non è se non un incontro con il Signore risorto, ne vogliamo parlare qui solo per un suo aspetto secondario, quello della salute e del benes-

Confessionale

sere, inteso in senso laico, che ne può derivare. Non è questo che può motivare una pratica religiosa, ma ne rappresenta comunque un effetto collaterale importante che è andato perduto per la nostra società e che non sappiamo più recuperare. Si pensi solo a quanto benessere ha portato nella vita di Agostino d’Ippona, lo scrivere quel bestseller mondiale intramontabile, conosciuto come Le Confessioni. Un'opera autobiografica in 13 libri, scritta intorno al 400, unanimemente ritenuta tra i massimi capolavori della letteratura cristiana. Sant'Agostino, rivolgendosi a Dio, narra la sua vita e in particolare la storia della sua conversione al Cristianesimo. Si tratta di un continuo discorso che Agostino rivolge a Dio, da qui il termine confessione, che inizia con una Invocatio Dei (invocazione di Dio), e una narrazione, interrotta frequentemente da ampie e profonde riflessioni, della sua infanzia, vissuta a Tagaste, e degli anni dei suoi studi e poi di professione come retore nella città di Cartagine. Una confessione che ha stravolto una vita improntata alla più sfenata dissolutezza e libertinaggio morale. Possiamo ben credere che proprio quell’esercizio di scavo nella propria memoria, quel suo confidarsi, affidarsi a Dio, gli abbia salvato la vita oltre che l’anima. Oggi tutto questo è scomparso dal nostro orizzonte sociale e il motivo si potrebbe ricercare in quel sospetto di “controllo sociale” che dalla rivoluzione francese in poi ha segnato la pratica religiosa agli occhi dei laici ormai prossimi a svincolarsi totalmente dalle “paturnie medievali” che li volevano soggetti e intrappolati in una divisione del lavoro per caste e una rigida e immobile scala sociale.

 di Franco Zadra

Agostino d'Ippona Un pallido riverbero del concetto di confessione lo ritroviamo nell’espressione inglese “coming out”, utilizzata, per esempio, per indicare una dichiarazione di omosessualità volontaria e su iniziativa personale. Diversa da “outing”, usato quando uno è “outed”, cioè viene scoperto, esposto, quindi si rivela l’inclinazione sessuale di una persona senza il suo consenso. L’outing è dunque spesso associato a un’accezione negativa, a una situazione spiacevole che viola la privacy di una persona che si trova quindi a subire una rivelazione senza il proprio benestare. Se però Coming Out è tutto ciò che ci resta della confessione, possiamo scordarci per sempre gli effetti terapeutici che essa poteva rappresentare, anche se si è tuttavia convinti, sempre per rimanere in tema di omosessualità, che un gay dichiarato, per amore o per forza, scoperto o autorivelatosi, sia più felice di chi invece vive, e può continuare a vivere, nella riservatezza il proprio orientamento sessuale. Tutta un’altra storia dal confidare in Dio, dal trovare un gancio in mezzo al cielo. Su quel tipo di salute è calato un definitivo Amen… e così sia!

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L' UOMO CHE SCOLPISCE LE MONTAGNE

Leonardo Lebenicnik

Leonardo Lebenicnik dalla Bosnia al Trentino fra rocce, legno e ferro. Ha costruito la sua casa di arte e speranza.

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ell’atrio della sede del Centro d’Arte La Fonte a Caldonazzo, affacciato alla porta finestra d’ingresso c’è il busto di una donna. Il tronco, il bacino e le cosce scolpite nel legno di salice levigato e lucidato con olio bruno. Un pezzo di legno trovato dallo scultore Leonardo Lebenicnik nell’acqua bassa di un torrente; un corpo morto destinato alla decomposizione, trasformato in icona vivente di donna, erotica, senza significati nascosti e morbosi. Il busto è un frammento rappresentativo delle capacità artistiche di Leonardo; l’uomo che scolpisce le montagne. Nato a Tuzla, cittadina di 120 mila abitanti della Bosnia Erzegovina, nel 1970,

Scultura

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ha trovato in Trentino la seconda patria o meglio sarebbe dire ha riscoperto quella del bisnonno Bancher originario di Siror nel Primiero, emigrato, nel 1882 per sfuggire alla fame ed all’alluvione. Nella regione orientale dell’impero austriaco ha frequentato le scuole professionali e costruito anche piccole chiese in un paese dove solo il 20 per cento della popolazione è cristiana. Il racconto potrebbe sembrare una favola: l’antenato imprenditore e il nipote rientrato sui prati antichi, se non che in mezzo ci sono due guerre mondiali e il conflitto etnico politico degli anni 90 del secolo scorso. Nella prima guerra mondiale i soldati bosniaci di Francesco Giuseppe diedero, anche in Trentino, esempi di coraggio e ferocia. Nella seconda lo zio di sua madre Mercede venne gettato dal destino nella cella di Josip Broz, altro figlio di emigrati

 di Waimer Perinelli

Bunker art gallery trentini originari della Vallarsa, meglio conosciuto come Tito. Ed è alla morte di Broz che si scatena la disintegrazione dello stato jugoslavo con la Bosnia schiacciata fra Serbia e Croazia. Questa storia la conoscete, quello ce non sapete è che in quella guerra il ventenne Leonardo combatte e scopre la vena artistica di cui fra l’altro la sua città è ricca. Lo riscopro con voi leggendo il racconto Leptidea Sinapsis scritto nel 2015 nel quale Lebenicnik ritrae il grande capo, il comandate: “Mentre il nostro mezzo si allontanava, scrive, la faccia di quel grande uomo diventava sempre più piccola fino a mimetizzarsi nell’oscurità. Fu l’ultima volta che vidi il comandante”. L’immagine è letteraria ma ha la profondità di un dipinto e la prospettiva della scultura.


Sono le qualità dell’artista Lebenicnik alle cui opere aggiunge una vena di malinconia, come nel Porfido piangente, una scultura collocata nella piazza del Municipio di Tenna, fatta di tondini piegati come i rami del salice e lacrime costruite con cubetti di porfido. Esiste qualcosa di più duro per rappresentare un fenomeno così fragile come il pianto?

Cerchi Concentrici - 2017

L’arte è la sintesi fra la ragione, la realtà, l’emozione, e il sentimento. E questa è la missione di Leonardo che nell’impresa impiega metalli, legno, sassi, marmo e roccia. Sulla roccia, quella dei monti non solo trentini, ha lasciato parte della giovinezza e della schiena, scomponendo e ricomponendo le pareti. Lui, alto e forte, fa questo di professione, il disgacciatore perché è rocciatore e questo impiego gli è confacente. Il disgaggio è l’arte di mettere in sicurezza le pareti rocciose, ed a questo duro lavoro egli affianca la ricerca artistica professione ancora più ardua perché ha davanti le pareti strapiombanti di una società che poco concede all’immaginazione, alla fantasia. A Caldonazzo ha in uso un avvolto, chiamato il bunker di Leonardo, dove ha installato

Pensiero Rinchiuso - 2003 una mostra permanente con sculture di ogni tipo e forma. Il tutto rigorosamente firmato con l’impronta del pollice: ottimo modo per evitare l’autenticazione cartacea: la firma non può essere falsificata o autenticata da falsari. Il dito non mente.

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Coordinamento Donne di Agire per il Trentino:

VIOLENZA E DIFESA PERSONALE FEMMINILE E

lena Sester, vice coordinatrice politica del movimento Agire per il Trentino e referente in esso del coordinamento Donne, basa l’idea di mettersi al servizio della gente «percorrendo le stesse strade e condividendone gli stessi problemi» con una politica che ascolta e si fa attenta a quelle tematiche sociali che toccano la vulnerabilità personale. Tra le diverse problematicità sociali viene affrontato il tema della violenza e della difesa personale da cui nascono iniziativa, riflessione, prevenzione, e azione, che Elena racconta. «Il coordinamento Donne di Agire per il Trentino è un gruppo di donne che si incontra per trattare e riflettere su argomentazioni di tipo sociale, le quali rispecchiano una realtà comElena Sester plessa e di insicurezza, al fine di promuovere iniziative che manifestano un’azione concreta collegata alla rispettiva riflessione personale. Tra i temi scelti emerge la questione violenza e la conseguente voglia di organizzare un corso di difesa personale femminile come mezzo di prevenzione e sensibilizzazione. L’idea nasce dall’insistenza della cronaca nazionale circa l’aumento degli atti di violenza sulla donna. Da donna e mamma di tre figli, due femmine, non sono rimasta indifferente ai ripetuti e brutali avvenimenti. Ho provato paura, frustrazione e insicurezza, consapevole che in poche riusciremmo a gestire e affrontare una situazione di rischio». La consapevolezza d’incapacità nella gestione di una situazione d’aggressione ha spinto il movimento femminile a organizzare un corso di difesa personale rivolto al genere femminile di qualunque età e mirante a non dare nulla per scontato. «La prevenzione nasce da piccoli accorgimenti». Il corso ha avuto luogo dal pri-

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mo marzo dalle 21 alle 22.30 tutti i giovedì nella palestra all’ultimo piano della piscina comunale di Gardolo. «Sono previste dieci lezioni a pagamento – spiega la referente –, tra le quali un approfondimento dello psicologo, una lezione condotta da un legale, e una parte tecnica seguita da un istruttore federale di mga». L’intervento psicologico ha lo scopo di far capire in che modo gestire la paura durante un’aggressione, quello legale di far conoscere i limiti imposti dalla legittima difesa, mentre la pratica dà la possibilità di apprendere le prime leve e tecniche in grado di contrastare la violenza. L’obiettivo in una situazione di aggressione non è quello di combattere, ma ricercare la strategia migliore per fuggire e allontanarsi dal pericolo. Per tale motivo vengono insegnate tecniche semplici in grado di distrarre l’aggressore in varie situazioni, in una posizione a terra o in piedi, in uno spazio limitato o aperto. «Interessante è pensare - dice Elena - come il corso cerchi inoltre di simulare vere e proprie situazioni di attacco, insegnando come comportarsi in determinati luoghi, quale può essere un ascensore, un vicoletto o tra le mura domestiche». Fondamentale rimane comunque la prevenzione, ossia anticipare una condizione di rischio, focalizzando l’attenzione tra le più giovani. «La postura con cui si cammina è importante – dice ancora Sester –, bisogna mostrare sicurezza e attenzione. Se sono sola devo evitare strade di

 di Patrizia Rapposelli

periferia isolate, evitare di passeggiare con le cuffiette nelle orecchie, anche la ragazzina deve essere vigile a ciò che la circonda». Infatti generalmente la vittima prescelta ha in sé atteggiamenti d’insicurezza, fragilità e disattenzione che portano l’aggressore a vederla come preda facile. Il percorso non ha dunque il solo scopo di insegnare tecniche per liberarsi, ma piccoli accorgimenti cui spesso non si presta interesse; non serve forza fisica, ma la reattività nel controllare l’emotività, in modo di agire con cognizione. Il coordinamento Donne di Agire per il Trentino vede dunque nel corso di difesa personale un’azione concreta per contrastare un fatto sociale diventato quotidiano, il problema non è eliminabile, ma ci si può preparare senza lasciare nulla all’improvvisazione. Non è solo apprendimento di tecniche, ma consapevolezza e acquisizione di sicurezza personale. «Se il corso di difesa personale avrà successo – conclude Elena - e le richieste non mancheranno, il movimento sarà disponibile e aperto a nuove lezioni e percorsi». Nel mentre, il coordinamento Donne di Agire per il Trentino si prepara a nuove serate informative riguardo altri temi sociali.


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CHARLES DARWIN: Un viaggio che cambiò il mondo  di Elisa Corni

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alpato da Playmouth nel dicembre del 1831 sul brigantino Beagle, nel maggio di tre anni dopo, Charles Darwin, il padre della teoria dell’evoluzione, superava lo Stretto di Magellano. Charles Darwin era una persona curiosa, ma fino a quel fatidico dicembre aveva trovato ben poca soddisfazione nello studio e nella ricerca. In generale la sua vita era stata un susseguirsi d’insuccessi. In un primo momento, quello che era destinato a diventare il più importante naturalista di tutti i tempi, aveva abbandonato gli studi in medicina e la carriera ecclesiastica per impagliare uccelli e dedicarsi alla storia naturale. La famiglia, ovviamente, era contraria a questa passione sfrenata che aveva sempre accompagnato la vita del giovane Charles, che dal canto suo riponeva in questo viaggio tutte le speranze affinché l’idea di diventare uno scienziato della natura fosse presa sul serio. Anche solo imbarcarsi sul famoso brigantino inglese fu una specie d’impresa: per partecipare alla spedizione naturalistica il ventiduenne Darwin dovette farsi scrivere una lettera di raccomandazione dal suo professore di botanica che fu inviata alla commissione scientifica, mentre lo zio Jos intercedette per Charles nei confronti del reticente padre. Fortunatamente entrambe le richieste andarono a buon fine, e iniziò il viaggio che cambiò la visione del mondo.

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Per raggiungere l’America Latina il brigantino impiegò solo pochi mesi: nel febbraio del 1832 Charles e i suoi compagni di viaggio erano già in vista di Bahia, in Brasile. Per i successivi tre anni egli non fece altro che esplorare coste, isole e insenature del Sud America, cenare e intrattenere il capitano dell’imbarcazione Robert Fitzroy, annotare le sue osservazioni, disegnare animali e piante e, soprattutto, iniziare a formulare la teoria dell’Evoluzione Naturale. Le coste orientali del Brasile e dell’Argentina tennero impegnato il giovane naturalista per un annetto, ma furono proprio la circumnavigazione di Capo Horn e il superamento dello Stretto di Magellano a svelare una varietà e una similitudine incredibile tra le diverse specie di animali. A colpire in particolar modo furono gli uccelli delle Galapagos che attirarono l’attenzione di Darwin. L’esplorazione delle Galapagos fu, però, dettata dalla fortuna, leitmotiv della vita di Darwin. Il capitando Fitzroy dopo mesi di navigazione lungo le coste del Brasile e dell’Argentina fu colto da una terribile depressione. La missione stava per andare in fumo, ma fortunatamente il capitano si riprese e la navigazione potè continuare anche sul versante dell’allora temutissimo Oceano Pacifico. È proprio nell’oceano pacifico che si trova questo arcipelago di piccole isole al quale tanto dobbiamo ancora oggi: le Galapagos. Isole piccole, facili da esplorare e da osservare,

L arrivo di Darwin alle Galapos

Robert Fitzroy

Charles Darwin da giovane


ma allo stesso tempo ricchissime di flora e fauna. Duecento anni fa quelle isole erano incontaminate e davvero pochissimo si sapeva sui loro abitanti. Testuggini, iguane, piante mai viste e uccelli dai colori variopinti attirarono l’attenzione del giovane Darwin, che osservò, analizzò e disegnò a lungo gli esemplari nei quali si imbatteva. Osservando per esempio i fringuelli, Charles si accorse che da un’isola all’altra, dove le condizioni ambientali e climatiche variavano magari leggermente o anche in maniera più vistosa, uccelli che a prima vista sembravano identici presentavano caratteristiche abbastanza diverse. La lunghezza e la larghezza dei corpi, le dimensioni e la forma del becco, differivano notevolmente. Perché queste macro differenze, si domandava Darwin durante le lunghe chiacchierate con il rinsavito capitano del brigantino? Queste domande furono il seme che s’impianto nella mente del naturalista e che piano piano prese forma: l’adattamento come regola per l’evoluzione. Tornando ai fringuelli delle Galapagos, infatti, appare chiaro come le differenze annotate da Darwin siano frutto del-

Il viaggio di Charles Darwin l’adattamento ad abitudini e ambienti differenti. Su una delle isole, il fringuello che la abitava aveva un’alimentazione frugivora (semi e piccoli frutti) e il suo becco era più tondeggiante e tozzo; il cugino molto simile dell’isola affianco, invece, mostrava un becco lungo e forte, adatto a estrarre gli insetti dalla corteccia degli alberi (come i nostri picchi). Ma questo è solo un esempio della gran varietà di espedienti adattivi registrati lungo tutto il viaggio del Beagle attorno

al globo. Tornato a casa nel ottobre del 1830, Charles Darwin si dedicò allo studio delle scienze naturali attraverso i trattati di Lamark e di altri pensatori, e al riordino meticoloso degli appunti presi durante il viaggio. Ne scaturì un primo libro “Il viaggio del Beagle” (1839), resoconto del viaggio. Per avere la prima formulazione della teoria dell’evoluzione dovremo aspettare il 1859 con “L’origine delle specie”.

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STORIE DI e

Immagine tratta dal film Blood and the moon

Trento Film Festival 66esima Edizione

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adono come foglie d’autunno le donne vittime di uomini violenti. Le assassinate hanno generalmente in comune la richiesta di maggiore rispetto e la volontà di trovare un autonomo posto nella società. Una strada difficile ma non impossibile come ci ha raccontato la sessantaseiesima edizione di Trento Film Festival del quale, a bocce ferme e premiati felici, cogliamo la speciale attenzione riservata alle donne ed al loro riscatto sociale. Il primo esempio è di Pasang Lhamu Sherpa Akita, la principale guida alpina del Nepal. La donna, nata nel 1984, è di casa in trentino dove a Pinzolo nel 2016 ha ricevuto la targa d'Argento solidarietà alpina. Più che meritata visto l'impegno profuso in occasione del terremoto e le molte avventure alpinistiche. Nel 2006 è stata la prima donna a scalare Nangapai Gosum (7631m); sull'Everest è salita l'anno dopo e nel 2012, con una spedizione franco-ne-

 di Waimer Perinelli

palese, tutta al femminile, è salita sull'Ama Dablam. Nel 2014 con altre due donne nepalesi ha scalato il K2. Noi la ricordiamo perché ha riscattato sia le donne, generalmente relegate a ravvivare con il fiato il fuoco domestico, sia il Nepal, dove normalmente gli Sherpa sono considerati spesso solo muli da fatica, portatori dei bagagli degli intrepidi ma comodi scalatori di altri paesi. La storia di Nasim Eshqi, 37 anni, è altrettanto ricca di impegno e di una volontà ferma e dura come la roccia. Lei vive in Iran, un paese teocratico, dove le donne che praticano lo sport, sono costrette, come abbiamo visto alle olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016, a competere con in testa lo shador, braccia e gambe coperte. Dove nelle palestre uomini e donne si devono esercitare a giorni alterni. Dopo dieci trascorsi a praticare con successo la kickbox, ha scoperto

nel 2005 che: Senza roccia non c'è felicità. Sulla montagna dove scompaiono molte proibizioni la climber ha tracciato oltre 70 nuove vie e, in molti casi, portato le proprie allieve. L'arrampicata dice non è solo sport è “uno stile di vita”. A darle coraggio nella sfida alla natura e al mondo maschile ci pensa

Tommaso-Cotronei - da Festival Cinema Africano

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anche la forza di gravità che, dice: fa precipitare tutti a terra, non ha luogo nè genere. Romantico, quasi surreale il racconto del film Blood and the moon che al Festival ha vinto il premio speciale Rai. Narra la storia, probabilmente solo immaginaria o sognata, di una sposa bambina dello Yemen unita ad un uomo più anziano e vittima dello stesso. Un giorno trova il coraggio di ribellarsi

Nasim Eshqi - da Il Circolo dei Lettori

e fuggire. Nel viaggio incontra, in un paesino, un giovane insegnante al quale i terroristi islamici hanno ucciso gli incolpevoli genitori. Egli insegna il Corano, la letteratura, la difesa della cultura, il rispetto di se stessi e degli altri, il rifiuto della violenza. Circondato da giovanissimi allievi ricorda per atteggiamenti e temi, i filosofi della Grecia classica. La scuola è situata in un castello semidistrutto, una rovina nella sabbia desertica, su cui spicca una torre quadrata: una sentinella, un baluardo contro la violenza. La ragazza trova nella scuola rifugio e protezione. Collabora nell'insegnamento e nasce l'amicizia. Il regista Tommaso Cotronei, affronta con il film temi importanti come il rispetto della vita, la fede nella cultura, la tolleranza, la condivisione ma anche la rabbia per la violenza islamica. La sceneggiatura s'ispira alla crudele realtà dei nostri giorni; la conclusione è la speranza di pace e libertà. Alla luna, la dea magica, viene affidato il messag-

Pasang Lhamu Sherpa Akita - da Nepal Now gio onirico; quello reale rimane che la sposa bambina fugge dall’uomo cattivo per affidarsi a quello buono e che dalla collaborazione può nascere il riscatto di entrambi. Storie di donne viventi in una società difficile spesso ostile. Storie di violenza e morte ma anche di speranza, di impegno personale, di leale competizione: un comportamento che non ha genere.

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IalLions Clubs… servizio della comunità

 di Armando Munaò e Franco Zadra

«

Aiutare gli altri è promuovere se stessi e indirizzarzi al bene». È questa la formula “segreta” di una associazione umanitaria fondata nel 1917 da Melvin Jones, un giovane dirigente di Chicago, il Lions Clubs International. Il riconoscibilissimo emblema dei Lions è costituito da una lettera "L" d'oro inscritta in un'area circolare blu con due teste di leone, rivolte una a destra e un'altra a sinistra a simboleggiare la fierezza di quanto fatto in passato e la fiducia nel futuro. La parola "Lions" appare sulla sommità e la scritta "International" sul basso, e fregia una rete di club dei quali sono invitati a farne parte maggiorenni che godono di buona reputazione e agiscono ispirati dal significativo motto "We serve" ("Noi serviamo"). Lo scopo dell'associazione è, infatti, quello di permettere ai volontari di servire la propria comunità, di soddisfare i bisogni umanitari, di favorire la pace e promuovere la comprensione internazionale attraverso i club. Questi si riuniscono almeno due volte al mese ed eleggono gli "officers" annualmente. L'Associazione è diretta da un consiglio d'amministrazione internazionale. Ogni anno si tiene un incontro internazionale, al quale partecipano oltre 20.000 persone. Sono presenti anche associazioni giovanili denominate Leo club. Melvin Jones lavorava presso una compagnia di assicurazione e nel 1913 ne fondò una propria. Affiliato alla massoneria, definita anche Arte Reale, un'associazione iniziatica e di fratellanza a base morale che si propone come patto etico-morale tra uomini liberi, e socio di un'associazione professionale rivolta alla crescita del benessere economico dei propri soci (il Club of business men of Chicago) di cui era segretario, Jones si sentì chiamato a una

sintesi coinvolgendo i suoi amici ad adoperarsi per migliorare le proprie comunità e il mondo nella sua globalità. Il Business Circle di Chicago accolse le idee di Jones e contattò altri gruppi simili degli Stati Uniti. Il 7 giugno 1917 a Chicago si tenne una riunione organizzativa e fu fondata un'associazione tra i circoli partecipanti. Il nuovo gruppo prese il nome di uno di essi, e divenne "Associazione dei Lions Clubs". Successivamente fu coniato l’acronimo utilizzando quelle iniziali, e formando lo slogan «Liberty, Intelligence, Our Nation's Safety» («Libertà, intelligenza, sicurezza della nostra nazione»). A ottobre fu organizzato a Dallas il primo congresso nazionale, nel quale vennero approvati lo statuto e il regolamento della nuova associazione, decisi i suoi scopi e il suo codice etico: in particolare, secondo le idee di Jones, fu stabilito che «nessun club dovrà avere quale obiettivo il miglioramento delle condizioni finanziarie dei propri soci». Nel 1920 fu fondato un Lions Club in Canada e l'associazione divenne internazionale. Nel 1925 nella convention internazionale dell'associazione a Cedar Points (Ohio, USA) Helen Keller, la scrittrice e attivista

Helen Keller

GLI SCOPI DEL LIONS Loscopostatutariodell'associazione è quello di permettere ai volontari di servire la propria comunità, di soddisfare i bisogni umanitari e di favorire la pace e promuovere la comprensione internazionale attraverso i club e gli scopi dell'associazione. E più precisamente: • Creare e stimolare uno spirito di comprensione fra i popoli del mondo. • Promuovere i principi di buon governo e di buona cittadinanza. • Prendereattivointeressealbene civico, culturale, sociale e morale della Comunità. • Unire i Clubs con i vincoli dell'amicizia, del cameratismo e della reciproca comprensione. • Stabilire una sede per la libera ed aperta discussione di tutti gli argomenti di interesse pubblico, conlasolaeccezionedellapolitica di parte e del settarismo confessionale. • Incoraggiare le persone che si dedicano al servizio a migliorare la loro Comunità senza scopo di lucro e promuovere un costante elevamento del livello di efficienza e di serietà morale nel commercio, nell'industria, nelle professioni, negli incarichi pubblici e nel comportamento in privato.

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a sinistra Oskar Hausmann sordo-cieca, li invitò a divenire «cavalieri dei non vedenti nella crociata contro le tenebre» e da quel momento l'associazione si impegnò a favore dei

Naresh Aggarwal

non vedenti. Dal 1945 collaborò con in cui venne votata con grande magle Nazioni Unite per il settore delle or- gioranza la fine della discriminazione ganizzazioni non governative. Durante delle donne nella partecipazione attiva gli anni cinquanta e sessanta si espanse al club. Fino ad allora infatti le donne, in Asia, Europa, e Africa. L'associazione pur potendo partecipare ai servizi eroè cresciuta fino ad avere circa 1,3 gati dai Lions, non avevano diritto di milioni di soci tra uomini e donvoto e non pone in oltre 45.000 club di circa tevano accedeGiuseppe Grimaldi 202 paesi e aree geografiche. re alle cariche Nel 1950 venne creato il primo dell'organizzaLions Club di lingua italiana a zione. Il 15 luLugano (Svizzera, nazione cui glio 1994, nella si devono anche gli albori del convention telionismo di lingua tedesca e nutasi a Phoefrancese). Nel 1951 venne creato nix in Arizona, da Oskar Hausmann il primo venne eletto Lions Club italiano a Milano. Il presidente del primo presidente fu Mario BoLions Club Inneschi. Nel 1952 nacquero i ter national, Lions Club di Napoli e Torino, l'italiano Giuseppe poi Bergamo, Como, Firenze, Parma, (Pino) Grimaldi, un medico siciliano di e Pescara. Nel 1953 nacque il distretto Enna e fondatore del locale Lions Club unico 108 per l'Italia. Nel 1968 venne nel 1962; il primo, e tutt'ora unico, fondata la Lions Clubs International italiano eletto ai vertici dell'associazione. Foundation (Lcif) con lo scopo di sup- In occasione della convention per il portare più efficacemente la missione 100° anno dell'associazione, tenutasi del Lions Clubs International nella ero- a Chicago dal 30 giugno al 4 luglio gazione dei servizi e dei progetti uma- 2017, è stato eletto presidente il dottor nitari su larga scala. Una tappa im- Naresh Aggarwal di Batala nel Punjab portante della storia dei Lions fu la (India), che resterà in carica per il peconvention del 5 Luglio 1987 a Taipei riodo 2017-2018.

IN VALSUGANA Cena di Natale e consegna calendari poster della pace (manifestazione coordinata da Lucio Verde socio fondatore LCV)

La Charter in presenza del governatore distrettuale e consegna premio a Franco Checcuci Lisi (socio fondatore LCV e past-governatore distrettuale)

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I LIONS IN VALSUGANA V

ent'otto giugno 1982. Una data storica per Borgo e la Valsugana. Fu un quel giorno che venti soci fondatori firmarono l'atto di costituzione del Lions Club Valsugana. Un avvenimento importante perché, anche nella nostra zona, si diede vita a un Club che nel mondo intero rappresenta e sintetizza i veri valori dell'altruismo e delle concreta solidarietà. Oggi, a distanza di oltre 36 anni dalla sua fondazione, questa associazione umanitaria, che opera nel pieno rispetto e nella più marcata concretizzazione dei principi portanti del Lions, si dimostra dinamica più che mai. E sono i Lions valsuganotti, nessuno escluso, che con la loro presenza e il loro fare e con uniformità di pensiero e di intendimenti documentano e certificano i valori della fratellanza, della

solidarietà, della libertà e della giustizia. Essere Lions e quindi appartenere a questa grande fratellanza significa, innanzitutto, prestarsi e operare con dedizione per il bene altrui, per migliorare la vita dei meno abbienti rendendo. Nel corso di questi anni gli obiettivi umanitari realizzati dai “nostri” Lions sono stati veramente tanti che elencarli tutti diventa compito impossibile. Il loro operare, nello specifico, ha migliorato aspetti e servizi della nostra sanità, ha concesso borse di studio, contribuito alla migliore conoscenza della storia della Valsugana, ha organizzato gite, convegni e pubblici dibattiti nonchè conferenze su particolari e gravi patologie. E ancora supporto e aiuto alla Lega Tumori, ai non vedenti e ad altre situazioni che necessitano di un pronto

il dott. Walter Stablum Attuale Pres. Lions Valsugana e immediato intervento. Ma anche momenti ludico-ricreativi a vantaggio delle nostre comunità, sono stati qualificati aspetti del fare dei Lions della Valsugana. “We serve" ("Noi serviamo") è il motto dei Lions in rispetto e ossequio allo scopo che anima ed ispira l'associazione che, in estrema sintesi, è quello di permettere ai volontari di servire la propria comunità, di soddisfare i bisogni umanitari, di favorire la pace e promuovere la comprensione internazionale attraverso il costanti impegno di chi dei Lions è membro e parte integrante.

Gianfranco Pelloso firma l’atto costitutivo

Un pezzo del vecchio ospedale che Ferruccio Gasperetti ha modificato in opera d’arte

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L’atto costitutivo del 1982

Bottura Giovanni Bracchetti Paolo Checcucci Lisi Franco Corazza Giuliano Dalsasso Giorgio Dalsasso Paolo Gasperetti Ferruccio Generali Bernardino Girardelli Luigi Lorenzin Sergio Oss Renato Pelloso Gianfranco (1° Presidente) Ricci Paolo Sala Michele Taddei Silvio Tognoli Giancarlo Uez Paolo Verde Lucio Venturini Francesco

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LIONS VALSUGANA

SOLIDARIETÀ E ALTRUISMO

I Lions, a livello internazionale, è l’organizzazione di club di servizio più rappresentativa al mondo con circa 1.500.000 soci e più di 50.000 club presenti in tutti i paesi del mondo, con un ufficio di rappresentanza alle nazioni unite.  di Walter Stablum MA CHI SONO VERAMENTE I LIONS ? Ecco perchè, che con estremo piacere, mi sento di condividere con Voi queste poche righe che mi auguro possano essere utili nel far conoscere la nostra associazione ed in particolare il nostro club. Quando il direttore ci ha proposto di mettere nero su bianco la nostra storia abbiamo aderito con gioia, sia perché l’attività oramai più che trentennale del club meritava di essere portata alla luce, ma soprattutto per riuscire nell’intento di far meglio conoscere i Lions a livello locale Un obiettivo mirato e particolarmente utile non solo per riproporre i momenti salienti che hanno contraddistinto l’attività del nostro club, ma anche per soffermarci su un aspetto, che in qualità di attuale presidente del LIONS CLUB VALSUGANA, mi sta particolarmente a cuore. Sto parlando della percezione della gente nei confronti dei Lions Club che nel 2017 hanno festeggiato i 100 dalla fondazione avvenuta negli Stati Uniti dall’idea di Melvin Jones. Una data giustamente da commemorare, ma che necessita anche di una riflessione sul fatto che le esigenze “umanitarie” e di solidarietà, rispetto a quel periodo, sono completamente cambiate . A mio modesto parere l’associazionismo in generale , con particolare riferimento al nostro modus operandi, ormai viaggia a velocità ben più elevata rispetto ai tempi della sua fondazione. Il mondo è cambiato come cambiati sono i momenti di aggregazione sociale. Nostro impegno, quindi, deve essere quello di trovare la forza e la capacità di uscire allo scoperto e “mescolarsi” tra la gente, di ampliare le vicinanze in

modo da capire meglio le esigenze e i bisogni delle nostre comunità e di conseguenza trovare sempre modi nuovi per portare a buon fine i progetti umanitari e di solidarietà. In questo modo sarà anche possibile rendere più partecipi e più attenti le generazioni future, offrendo ai giovani le opportunità di partecipare al volontariato attivo. E’ chiaro che un piccolo club come il nostro non può certo pensare di risolvere tutti i problemi del mondo, ma proprio qui sta la forza dei Club Lions perché in tutti noi vi è la consapevolezza che “insieme tutto si può” mentre da soli “nulla si fa”. E’ necessario quindi unire gli sforzi affinchè, in una sinergia d’intenti e operativa, possiamo concentrarci sui diversi aspetti del quotidiano per arrivare poi a cose più concrete, specialmente a vantaggio delle nostre comunità. Iniziative mirate a dare un effettivo aiuto a famiglie non autosufficienti sparse sul territorio dell’intera Valsugana, anche tramite il nostro appoggio a Valsugana Solidale, che ormai possiamo definire il nostro “ braccio armato “ per quanto riguarda gli interventi in ambito locale e di cui il presidente è un nostro socio. In conclusione permettetemi evidenziare quelli che sono i nostri principi e gli obiettivi prioritari dei Lions Valsugana, augurandomi di suscitare l’interesse e la curiosità di ognuno ad avvicinarsi alle nostre iniziative presenti e future….non dimenticando mai il passato. 1. Aumentare la visibilità del Brand Lions; 2. Raggiungere gli obiettivi fissati nelle attività di servizio; 3. Sviluppare nuove modalità dei “service”

OBIETTIVO CULTURA Tra gli obiettivi qualificanti dei Lions della Valsugana, oltre ad un maggiore e crescente impegno per potenziare l’attività di raccolta fondi e disolidarietà,vièquellodicontinuare a dare più energia alla propensione a favorire la cultura in valle, sia per renderla fruibile a tutti e sia per aumentare gli aspetti della socializzazione e di vita in comune, come già fatto in precedenza con l’organizzazione e la sponsorizzazione di numerosi eventi e incontri culturali che hanno ottenuto unanimi consensi.

Il Presidente Stablum con lo Chef stellato Giuliano Baldessari (nativo di roncegno) in occasione della cena Lions di marzo 2018 per la raccolta fondi per l'attività sociale

Intervento del presidente Walter Stablum all’inaugurazione della mostra in presenza del prof Staudacher e autorità provinciali e locali

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t ei s i r vs i b i l e t in pos im

REBECCA LA MOGLIE DI ISACCO

 di Adelina Valcanover

Nachor, fratello di Abramo. La ragazza era di ie mogl , Milcà di figlio uel Beth da nata …Rivcà (Rebecca) era (Genesi: 24, 15-16) Così viene descritta nel o,… uom to sciu cono a avev non che ane, bellissima di aspetto, giov verso la Terra amia (Charan), da dove era par tito Abramo opot Mes in va Vive o. ateuc Pent del libro o prim una moglie il padre manda il suo sovrintendente a cercare lto adu nta dive o Isacc figlio suo ando . Qu Promessa sposerà nea. Il servo obbedisce e trova Rebecca, che cana una non terra sua della aria origin adatta a lui, ossia . Isacco e sarà madre dei gemelli Esaù e Giacobbe Shalom, Adelina. Sono Rivcà, la moglie di Isacco. Hai presente? Ah, sì! Rebecca. La madre di Esaù e Giacobbe. Il mio nome in italiano è proprio questo. Ti andrebbe di fare un’intervista con me? Mi piacerebbe tanto raccontarmi. Ben volentieri, sei un personaggio che mi piace molto. Come donna della tua epoca sei piuttosto decisa e sicura di te. Hai ragione. Ero una persona che non si tirava indietro e credo che il mio intuito femminile mi abbia aiutata spesso. Racconta un po’ come fosti chiesta in sposa, tu che vivevi a Charan in Mesopotamia? Tu conosci Abramo, mio suocero, che partì verso Occidente per una terra promessagli dall’Altissimo, fratello di mio nonno Nachor. Era partito tanti anni prima. Io non ero ancora nata. So che voleva che il figlio Isacco sposasse una donna della sua gente e non una cananea. Già molto vecchio, mandò il suo sovrintendente a cercare una moglie per il figlio e gli fece giurare che gliela avrebbe portata e avrebbe impedito a Isacco di venire a stare dalle mie parti. Doveva restare nella Terra Promessa. Ah, sì, rammento che allestì una carovana di dieci cammelli e portò con sé molti doni da portare alla famiglia della sposa. Mi raccontò che era molto preoccupato.

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Non sapeva che pesci pigliare e allora pregò il Signore che gliela mandasse, e che avesse un segno ben preciso. Lui avrebbe detto queste precise parole a una ragazza che fosse andata al pozzo dove si era fermato. “Inclina deh! La tua brocca perché io possa bere” e io avrei dovuto rispondere (ma non lo sapevo ancora) “Bevi pure, darò da bere anche ai tuoi cammelli”. Io ero andata al pozzo e è capitato puntualmente così. Quando tutto fu finito mi fece uno splendido regalo, un pendente d’oro e due braccialetti massicci. Mi chiese chi ero, mi domandò se poteva pernottare in casa di mio padre, dissi che era possibile e così seppe che eravamo pure parenti col suo padrone. Ci aviammo verso casa e io corsi subito da mia madre a raccontarle cosa era successo. Intanto mio padre e mio fratello Labano accoglievano l’ospite. E come si usava al tempo chiesero se ti concedevano in moglie al figlio del suo padrone, altrimenti avrebbe cercato altrove. Infatti non si opposero minimamente quando seppero come erano andate le cose. A quel punto, dopo aver ringraziato il Signore, il sovrintendente cominciò a tirar fuori oggetti d’oro e d’argento e abiti che mi diede, ma fu generoso anche con mia madre e mio fratello. Mangiammo tutti insieme e al mattino presto decise di partire. I miei volevano trattenermi ancora una decina

Rebecca di giorni, ma lui insistette per partire immediatamente. Decisero di chiedere il mio parere. Io risposi che ero disposta a partire anche subito. E così mi congedarono benedicendomi, con la nutrice, le mie ancelle, il servo d’Abramo e i suoi uomini. Salimmo sui cammelli e partimmo. Quando giungeste il tuo incontro con Isacco come si svolse? Fu romantico e suggestivo. Era il tramonto e Isacco era uscito a passeggiare tra i campi. Alzò gli occhi e vide la nostra carovana. Anch’io in quel momento ho alzato lo sguardo e domandai al servo chi stava venendo verso di noi. Lui mi rispose che era il suo padrone, allora presi il velo e mi coprii il viso. Venne messo al corrente di quel che era successo e… mi amò. Mi amò molto. Poi nacquero due gemelli, Esaù e Giacobbe.


Aspetta, non correre. Io ero sterile, come lo era stata mia suocera Sara che ebbe Isacco in tarda età. Comunque mio marito pregò il Signore, e finalmente rimasi incinta, ma era una tribolazione, pareva che fossero sempre in lotta. Allora chiesi lumi all’Altissimo che mi disse che avevo nel ventre due nazioni, nel senso che si sarebbero diramati due popoli e uno era più forte dell’altro, ma il più grande servirà il più piccolo. Vennero al mondo due gemelli. Il primo che uscì era tutto rosso e lo chiamammo Esaù, ma il fratello teneva il scalcagno e lo chiamammo Ja’acov (Giacobbe). Quando nacquero erano già passati vent’anni dal nostro matrimonio. Comunque i ragazzi crebbero. Se ricordo bene Esaù divenne esperto di caccia, un uomo di campagna, mentre il gemello, uomo pacifico, viveva nelle tende. Il padre prediligeva Esaù, perché anche lui amava la caccia, mentre io avevo un debole per Giacobbe. Non legavano molto, e il maggiore aveva il diritto di ereditare tutto alla morte del padre. Un giorno, Esaù rientrò affamato dalla caccia, scambiò il diritto di primogenitura con un piatto di lenticchie. Per leggerezza da parte sua e perché pensava che il fratello non avrebbe potuto riscuotere. Passarono gli anni e Esaù si sposò con due ragazze cananee, con nostro sommo dispiacere. Poi successe che Isacco, vecchio, praticamente cieco e ormai vicino alla morte, decise di dare la sua benedizione

Rebecca e Isacco

Il sacrificio di Isacco del Caravaggio ereditaria e chiese ad Esaù di andare a caccia per lui. Cucinata la cacciagione chiese di portargliela che lo avrebbe benedetto. Lui partì immediatamente e io dissi a Giacobbe di riscuotere la benedizione sostituendosi al fratello e che lo avrei aiutato io. Con la pelle di due capretti si doveva coprire le braccia e il petto per renderlo peloso e tu gli fornisti gli abiti del fratello. Isacco era praticamente cieco, ma l’olfatto funzionava bene. Cucinati i capretti come cacciagione Giacobbe si presentò al padre, che non era poi così rimbambito e non riconobbe la voce. Ma fattolo avvicinare e annusate le vesti diede la benedizione. A dirtela tutta Giacobbe aveva paura

che se il padre lo avesse scoperto lo avrebbe maledetto. Io gli dissi che avrei preso la maledizione su di me. Insomma, per farla breve, come è noto, riuscì a carpire la primogenitura. Tornato il fratello dalla caccia e presentatosi dal padre non poté far altro che prendersi una benedizione di ben scarso valore economico e che anzi lo metteva in sudditanza al fratello. Non ti dico l’ira che si scatenò. Feci partire precipitosamente Giacobbe, perché ero certa che se lo trovava lo avrebbe ammazzato. Lo mandai da mio fratello Labano finché non si fossero calmate le acque e potesse tornare. Purtroppo non lo rivedesti più e tutto era stato inutile, in quanto non poté nemmeno godere l’eredità. Questa fu la mia punizione e un dolore che non si sopì mai finché vissi. Però io so che fu il Signore a predisporre tutto. E so anche che i miei figli alla fine, dopo una ventina d’anni si riconciliarono e si spartirono fraternamente il territorio. Giacobbe tornò ricco e fu generoso col fratello e allora credo che io abbia avuto una vita tutto sommato bella e ricca di amore. Isacco, mi amò moltissimo e di questo sono grata, poi si sa che la vita riserva anche amarezze, ma questo ti fa vedere meglio quanto la mia esistenza sia stata degna di essere vissuta. Nel congedarmi, ti dico che anche gli errori servono, basta esserne coscienti e prendersi le proprie responsabilità. Mazal tov (buona fortuna) a tutti.

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MADRI SURROGATE

tra ‘800 e prima metà del ‘900

 di Chiara Paoli

ggi si parla tanto dell’importanza dell’allattamento materno che garantisce al bambino il giusto nutrimento e tutta una serie di anticorpi per aiutarlo a fronteggiare le malattie nel primo anno di vita. C’è stato un tempo in cui le mamme, soprattutto quelle aristocratiche o dell’alta borghesia, preferivano demandare ad altre donne il proprio compito. L’allattamento non avrebbe consentito a queste donne di proseguire lo stile di vita mondano fino ad allora condotto, e avrebbe inficiato la loro bellezza fisica. Soltanto in rarissimi casi le balie venivano chiamate a esercitare il proprio mestiere, per effettiva mancanza di montata lattea nelle madri naturali. A volte però la balia poteva andare a sostituire una madre morta a causa di complicazioni legate al parto. Proprio per questi motivi, tra XIX e prima metà del XX secolo, sono molte le donne che scelgono di abbandonare i propri figli di pochi mesi, per andare a lavorare come

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balie da famiglie benestanti. Sono moltissime le donne, soprattutto delle aree prealpine che partono dal territorio bellunese e dal feltrino per divenire nutrici principalmente in Veneto, Piemonte, e Lombardia. Le caratteristiche richieste a una buona balia sono un aspetto sano e florido, presenza di latte nutriente e in quantità abbondante. Intermediari, fra le famiglie benestanti alla ricerca di una balia e le famiglie contadine che mettevano una donna gravida o neomamma a disposizione, erano solitamente il medico o la levatrice del paese. Poteva trattarsi anche di donne che avevano perso il proprio figlio durante il parto e sfruttavano dunque la loro condizione per metterla al servizio degli altri. A seconda delle qualità fisiche della puerpera, veniva stabilito il trattamento economico che variava anche in relazione alla famiglia ospitante e prevedeva pure le spese per la trasferta in città. In ogni caso si trattava di un mestiere molto redditizio, il compenso mensile poteva corrispondere al triplo di quello di un comune operaio. Ma non solo, divenire balia voleva dire anche migliorare le proprie

condizioni di vita, non più costretta a lavorare nelle campagne “spaccandosi la schiena”, ma addirittura servita e ben nutrita dalla famiglia ospitante, con la quale sedeva a tavola. Venivano fornite di abbigliamento elegante, tenute sotto controllo medico, mandate nella residenza estiva per godere della frescura e non patire il caldo cittadino, ed erano sommerse di regali, quando sembrava che la nostalgia avanzasse. E qui subentrano ragioni non soltanto economiche, ma di autoaffermazione ed emancipazione della donna. La critica che viene mossa alle balie, è che la loro scelta non sia semplicemente mossa da bisogni famigliari, esse sono attratte dalla novità, dalla bellezza e dalla ricchezza che le circonda. Si arriva persino a parlare di “baliomania” che si diffonde tra le contadine che sembrano fare a gara per trovare la famiglia più importante e ricca, dove insediarsi, per crescere e nutrire il loro figlio. L’attività veniva svolta solitamente per un periodo che va da un anno ai 14 mesi,


quelli necessari all’allattamento, ma spesso la balia rimaneva in famiglia a occuparsi della casa e del bambino. A volte però, a causa dell’alto tasso di mortalità infantile, poteva capitare che il bambino di cui la nutrice doveva prendersi cura, venisse a mancare prematuramente e quindi essa stessa veniva rimossa anticipatamente dal suo incarico. In altri casi il senso di colpa e la tristezza per l’abbandono del proprio

piccolo possono causare anche difficoltà nell’allattamento e la scomparsa anticipata del latte, per cui le nutrici non possono più svolgere il loro compito. Abbandonare i propri figli così piccoli, poteva avere su di loro conseguenze mortali, o succedeva a volte che l’immediato e repentino cambio di nutrimento nel lattante portasse a malattie intestinali che potevano causare il decesso del neonato. Mentre tra balia e figlio di latte si instaura un legame profondo, al suo rientro a casa, la madre non viene riconosciuta dal proprio figlio naturale che ha abbandonato in tenera età. Non è poi semplice per queste donne ricucire i rapporti, e spesso il senso di colpa per l’abbandono del proprio bambino prevale, soprattutto nel caso esso non sia sopravvissuto alla sua lontananza. Il mestiere di nutrice raggiunge il suo apice nel ventennio fascista,

quando gli uomini non possono più spostarsi verso Nord, oltre i confini per lavorare, e le famiglie si vedono costrette a prendere decisioni sofferte per riuscire a garantirsi la sussistenza. Verso la metà del ‘900 grazie alla diffusione del latte in polvere, questa controversa e spesso difficile mansione, si avvia al declino. Fotografie tratte da “Balie da latte: una forma peculiare di emigrazione temporanea”, a cura di Daniela Perco.

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IERIAVVENNE

1918

l’influenza

 di Elisa Corni

Un secolo fa la Grande Guerra, il conflitto che ha flagellato l’Europa e il mondo intero portando alla morte milioni di persone, iniziava il suo inesorabile declino. Pochi mesi ancora e, nel novembre di quell’anno, la pace avrebbe lentamente cominciato la sua discesa nel Vecchio continente. Ma prima della pace le genti di tutto il mondo dovettero vincere un’altra battaglia, quella con una delle peggiori pandemie del genere umano: l’influenza spagnola. 44

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spagnola

ota anche come Grande Influenza o Epidemia Spagnola, fece la sua comparsa proprio nel 1918 e fino al 1920 martoriò eserciti e civili di tutto il globo. Fu probabilmente la più grave pandemia del genere umano, provocando molte più morti della famigerata e terribile peste nera, ma anche della Prima guerra mondiale stessa. Le stime sono incerte: l’ipotesi è che il virus H1N1, quello che causò questa terrificante epidemia, provocò tra i cinquanta e i cento milioni di morti, pari al 3-5% dell’intera popolazione mondiale dell’epoca. Per comprendere le dimensioni di questa pandemia, basti sapere che la peste nera, che ammorbò l’Europa tra il 1347 e il 1352, fece “appena” 20 milioni di vittime in sei anni. Molto si è anche discusso sulla provenienza del virus. Non fatevi ingannare, non com-

parve nella penisola iberica! Ma i giornali spagnoli, che non erano sottoposti a censura dato che la Spagna non aveva preso parte alla guerra, furono i primi a parlarne. Sembrerebbe che la prima vittima sia stata registrata a Fort Riley, in Kansas, Stati Uniti. Si trattava di un forte per la preparazione delle truppe statunitensi che stavano per prendere parte alla guerra nel Vecchio continente. Ma, già nel 1917, in altri 14 campi militari statunitensi sparsi in America settentrionale, erano stati registrati diversi casi di questa influenza. Probabilmente il ceppo della malattia ebbe origine in Meso America, precisamente in Messico, e sarebbero state proprio le truppe americane a portarla in Europa. Ma questa non è l’unica ipotesi. Secondo alcuni epidemiologi si tratterebbe di un virus originario dell’Asia, che sarebbe giunto in Europa passando per le Americhe. Altri riportano invece casi registrati nel 1917 in Austria, mentre altri ancora hanno proposto il Sud Est asiatico come punto d’origine della malattia. Quello che è certo, o quasi, è che il punto di diffusione nel nostro continente fu un ospedale da campo francese, più precisamente quello di Étaples, dove circa 100mila soldati transitavano quotidianamente. La guerra fu sicuramente un fattore di diffusione capillare, con de-


cine di migliaia di uomini che ogni giorno si spostavano da un luogo all’altro dell’Europa. Senza contare il numero di navi e marinai che nello stesso tempo percorrevano distanze anche maggiori, raggiungendo località distanti e alle volte isolate. Pensate, per esempio, che due delle aree con il tasso di maggior mortalità furono Tahiti, con il 13% della popolazione deceduta a causa dell’influenza spagnola, e

L' i nfluenza spagnola - Da Il Gazzettino

Samoa, dove questa cifra raggiunse il 22%. Ma si sono registrati degli episodi con un tasso di mortalità locale incredibilmente alta, fino al 70%. Mediamente circa il 10-20% degli infetti non riuscì a sopravvivere alla malattia che coinvolse circa un terzo della popolazione mondiale. Cifre che fanno paura, soprattutto se confrontate con quelle di altre malattie che hanno colpito la nostra specie. Nelle prime 25 settimane, infatti, morirono di

spagnola circa 25mila persone. Secondo gli epidemiologi, 24 settimane di spagnola hanno provocato tanti morti quanti 24 anni di imperversare dell’Aids; un anno di spagnola quanto un secolo di peste. Ma a cosa è dovuta la letalità dell’influenza spagnola? Secondo gli studiosi la guerra non aiutò sicuramente; sia la popolazione militare che i civili europei impegnati sui vari fronti, compreso quello interno, versavano in condizioni di vita pessime: poco cibo e di scarsa qualità, le città erano spesso state attaccate e bombardate, e nelle trincee l’igiene praticamente non esisteva. Tutti questi fattori hanno sicuramente contribuito ad accrescere l’efficacia di una malattia che, nei soli Stati Uniti, abbassò l’età media di 12 anni. Ma non è tutto. Il virus H1N1 colpì una fascia particolare di popolazione: i giovani uomini in salute. Solitamente le pandemie come queste colpiscono le fasce più deboli della popolazione: anziani e bambini. In questo caso, invece, la mortalità più alta si registrò, anche fuori dai campi da battaglia, nei giovani tra i venti e i quarant’anni. Una generazione che già si era sacrificata per la patria.

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Supercibi: se la salute vien mangiando

 di Elisa Corni

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avigando in rete, sfogliano una rivista, o guardando la televisione può capitare di incappare nella presentazione di un qualche alimento presentato come salutare, nutriente, quasi miracoloso. Sono i super-cibi: dallo zenzero al pak-choi, dai mirtilli al melograno. Ma perché supercibi? Quali sono le loro proprietà? Soprattutto, quanto è vero e quanto, invece, frutto di una sapiente campagna di marketing? Qualche anno fa, per esempio, esplose la mania “bacche di goji”, tradizionale frutto mongolo. Questi frutti selvatici venduti in sacchetti dopo essere stati essiccati pare vantino proprietà benefiche da non sottovalutare. Aiutano a combattere lo stress, a dare forza alle donne in gravidanza, a chi soffre di sbalzi d’umore; delle magiche bacche in grado di aiutare, sì, ma non di curare, come hanno sottolineato diversi biologi e nutrizionisti che hanno studiato le bacche rosse provenienti dalla mongolia. Contengono carboidrati, proteine, lipidi, ma anche antiossidanti e altri elementi in grado di stimolare il sistema immunitario e ridurre l’ipertensione. Sempre da oriente

proviene il pak choi (o bak choi) anche noto come cavolo cinese. Assomiglia a un finocchio cresciuto e ha un sapore di cavolo, ma sono soprattutto le sue incredibili proprietà ad averlo reso un alimento piuttosto diffuso anche sulle nostre tavole. Si tratta di un cibo che al contempo è ipocalorico e ricco di antiossidanti. Infine, è ricco di elementi anti-infiammatori, e nella tradizione asiatica è usato proprio per alleviare i sintomi di influenze e raffreddori. Ma il re dei super-cibi a detta di tutti è lo zenzero. Questa radice dal sapore aspro e pungente e dall’odore penetrante sembra stare bene con tutto e dare una mano contro ogni piccolo inghippo. Una tisana di zenzero fresco e limone aiuta contro il raffreddore, mentre se accompagnato al basilico aiuta a calmare i dolori di stomaco. Gli indonesiani lo masticano per ridurre la stanchezza, e negli Stati Uniti è considerato un toccasana contro la nausea; in alcune aree dell’Africa, infine, è mescolato con la linfa dell’albero di mango per dare origine a una panacea contro tutti i mali. Non occorre affacciarsi alle grandi pianure asiatiche per trovare cibi particolarmente nutrienti: senza scomodare le cucine etniche, basta guardare alla cara dieta mediterranea. Pesce, frutta, e verdura fresca sono tutti super-cibi. Perché, infatti, a leggere bene le indicazioni l’efficacia degli alimenti straordinari è collegata al connubio con una vita sana e una dieta equilibrata. Mangiare solo bacche di goji, back choi, alghe e zenzero non ci al-

lungherà la vita: è la varietà a essere la vera medicina. I super-cibi non sono stati però accolti con entusiasmo unanime: alcune categorie di scienziati, nutrizionisti ed esperti stanno provando a mettere in guardia i consumatori difronte a quella che a volte sembra più una moda che una verità scientifica. Non tutti i cibi presentati come “super”, infatti, hanno particolari caratteristiche nutrizionali o incredibili poteri lenitivi o addirittura curativi. Prendiamo due esempi di frutta che è buona e sana, ma non ha nessuna caratteristica distintiva. Il primo è il mirtillo, i cui poteri anti-ossidanti e l’alto livello di nutrizione sono da anni decantati in tutte le salse. Il secondo alimento dotato di superpoteri solo sulla carta è l’aglio. A dirlo una ricerca svolta da una ricercatrice statunitense che ha analizzato i fattori nutritivi di circa cinquanta varietà differenti di verdura e frutta. Otto i fattori fondamentali (dal ferro alla vitamina C), e non tutti i super-cibi hanno superato la prova. Se infatti il bak choi guadagna la medaglia d’argento in questa speciale classifica, aglio e mirtilli erano fuori dai giochi.

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KEFIR I

mpossibile non conoscere un alimento così antico come il Kefir, anche se il suo nome non è sempre stato questo. Stiamo parlando del latte fermentato che la stessa Bibbia cita persino nel Deuteronomio e nella Genesi, Mosè lo considera elemento vitale donato da Dio, si dice inoltre che fosse utilizzato dalla gente di Abramo. Troviamo traccia di un’antica ricetta per preparare latte fermentato, arricchito da miele e frutta nella biografia del giovane e dissoluto imperatore Eliogabalo che visse agli albori del III secolo d.C.. Questa prelibatezza dalle proprietà benefiche si ritrova descritta anche tra le pietanze offerte nei banchetti, nelle famose novelle delle ''Mille e una notte''. Leggenda narra però che sia stato nientemeno il profeta Maometto a consegnare agli uomini caucasici i primi granuli di Kefir, ribattezzati, infatti, con il nome di “miglio del profeta”. Grande uso ne fece anche il mitico condottiero Gengis Khan che ne scoprì le benefiche caratteristiche grazie a un tentativo di sabotaggio. Un suo corriere, nel chiedere rifornimento di acqua, prima di effettuare la traversata delle steppe della Mongolia, ottenne latte fermentato che,

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LA BEVANDA DEL BENESSERE

anziché danneggiarlo, fu per lui fonte di energia. Venne perciò imposto alle truppe e la bevanda si diffuse ampiamente nel mondo orientale. Il latte fermentato viene menzionato anche in occasione delle Crociate, e nel XIII secolo; ne parla il grande Marco Polo ne “Il Milione”, racconta infatti di popolazioni caucasiche che usavano nutrirsi con una bevanda fermentata che viene definita Chemmisi. È però durante il Rinascimento, in Francia, che il kefir viene riconosciuto come probiotico (organismi vivi che, somministrati in quantità adeguata, apportano un beneficio alla salute dell'ospite. Cfr. Wikipedia). In quel periodo venne infatti utilizzato per la prima volta per guarire Francesco I, tormentato da problemi intestinali. La notizia di una cura miracolosa giungeva dall’Oriente; fu proprio il Gran Turco a portare a corte le pecore e una ricetta, mutando la materia prima nella miracolosa pozione che contribuì a curare il Re. Da questo momento il Kefir inizia ad avere larga diffusione, ma una tappa fondamentale della diffusione dei latti fermentati la segna Ilya Ilyich Mechnikov che studiò nello specifico i fermenti lattici e le loro proprietà, giungendo a scoprire l'immunità anti

 di Chiara Paoli

infettiva e ottenendo nel 1908 il premio Nobel. Assomiglia allo yogurt, ma in realtà è molto più potente, si tratta infatti del frutto di diversi tipi di batteri e lieviti che incidono sul riequilibrio della flora batterica intestinale. Elemento ideale da consumare perché contiene poche calorie e ricco di acido folico e vitamine del gruppo B che lo rendono un ottimo alleato per il nostro benessere fisico. Il kefir aiuta e sostiene il sistema immunitario, è un valido sostegno per favorire la digestione e limitare il colesterolo “cattivo” nel sangue. Oltre a favorire la regolarità intestinale, aiuta a “sgonfiare” la pancia, è ricco di minerali e aminoacidi, il giusto alleato per la nostra dieta. È possibile acquistarlo al supermercato in versione cremosa o in flaconi da bere, o farlo in casa, grazie ai granuli, che vengono semplicemente mescolati al latte di vacca, pecora, o capra, a seconda dei gusti. Per gli intolleranti al lattosio e i vegani, è possibile trovare on-line anche alcune ricette che propongono il kefir all’acqua. I granuli di kefir si possono trovare in farmacia o erboristeria.


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ENERGIA E VITALITÀ

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on l’aumentare delle temperature, il nostro organismo ci spinge a mangiare più cibi freschi e leggeri, ricchi di colore e di proprietà nutritive. L’estate frutta e verdura la fanno da padrone sulle nostre tavole, donandoci un’incredibile varietà di prodotti con cui sbizzarrirsi in cucina, buoni e belli ma soprattutto davvero salutari! Ricchi di acqua, vitamine, minerali e fibre, gli alimenti vegetali sono un vero toccasana per mantenere il giusto apporto idrico specie nei giorni caldi, integrare i nostri sali minerali e rinforzare le nostre difese immunitarie. Secondo i nutrizionisti andrebbero consumati quotidianamente, distribuendoli in almeno cinque porzioni giornaliere, per mantenere sotto controllo il peso, le

funzioni cardiovascolari e il necessario apporto vitaminico, meglio ancora se variando le nostre insalate e le nostre macedonie con frutti ed ortaggi dai colori diversi. Giallo, verde, bianco, viola e rosso sono i cinque colori dei vegetali, e ciascuno di essi apporta al nostro corpo dei benefici fondamentali per il nostro benessere. Gli alimenti di colore giallo-arancione come agrumi, carote, meloni..., sono infatti ricchi di vitamina C, flavonoidi e carotenoidi, dai principi antiossidanti. I cibi verdi invece, come insalate, spinaci, broccoli, sono ricchi di magnesio, vitamina C e acido folico, mentre quelli bianchi (finocchi, cavolfiori, aglio, pere, cipolle...) contengono polifenoli, selenio, potassio, flavonoidi e vitamina C, oltre all’allicina, in grado di abbassare il colesterolo e la pressione arteriosa. Piccoli frutti, uva, prugne, melanzane e tutti

gli alimenti dal colore blu-viola sono fonti di potassio, magnesio, vitamina C e antocianine, che aiutano a combattere i radicali liberi. Infine le verdure rosse, come pomodori, fragole, anguria, ciliegie, peperoni e rape rosse oltre che vitamine, acqua e fibre, contengono in particolare il licopene, una sostanza in grado di proteggerci dall’insorgenza dei tumori. (S.T.)

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Molta della frutta e verdura sulle nostre tavole, arriva dall’America?  di Chiara Paoli

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rima della scoperta dell’America (1492), in Europa non si mangiava la patata e neppure il mais o la fragola. Tutti prodotti oggi ampiamente diffusi e coltivati anche in Valsugana. La patata nasce sulle Ande, ed era uno dei cibi più diffusi tra gli Inca che incrementarono le differenti varietà per poterla coltivare nelle diverse regioni. Sono i Conquistadores spagnoli che per primi giungono in Perù, a scoprire e descrivere la patata nel 1537. Tale tubero viene quindi introdotto in Europa, ma inizialmente era riservato ai soli animali e denominato tartuffolo o tartufo bianco. A incidere sull’opinione è anche la forma irregolare della patata, per la quale era considerata deforme e si pensava addirittura che potesse cagionare la lebbra. Tale tubero poi non veniva menzionato nei testi sacri e per questo motivo si riteneva che Dio fosse contrario all’uso della patata per l’alimentazione umana, e associata di conseguenza al diavolo e alla stregoneria.

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Il vegetale che cresce nel sottosuolo si diffuse ampiamente, assieme al mais, intorno alla metà del ‘700, quando con l’aumentare della popolazione, si rese necessario sviluppare coltivazioni che garantivano una maggiore resa in termini quantitativi rispetto ai cereali. Carestia e guerre resero la patata un alimento indispensabile per la sopravvivenza delle classi più povere. Crescendo sottoterra era meno soggetta ai danni provocati dagli eserciti di passaggio, e a sostenere fortemente il suo utilizzo giunse anche il farmacista e agronomo francese Antoine-Augustin Parmentier, di cui oggi udiamo ancora il nome, che sta a indicare la crema di patate. Lo stesso vale per il pomodoro, i peperoni, e il fico d’india, elementi fondamentali della dieta mediterranea, ma assenti nel continente europeo sino agli albori del XVI secolo.

Anche il pomodoro, re delle ricette italiane, della pasta al sugo, e della pizza, giunge a noi dall’America centrale. Se gli Aztechi lo chiamavano xitomatl, i francesi lo ribattezzano come pomme d'amour, quindi "pomo d'amore" perché ritenevano avesse anche proprietà afrodisiache. Pare che il navigatore e poeta inglese sir Walter Raleigh, abbia fatto dono di tale pianta carica di frutti, alla regina Elisabetta, appellandola a sua volta con l’epiteto “apples of love”. La prima descrizione risale al 1544 ed è frutto di Pietro Andrea Mattioli, consigliere e medico personale del principe vescovo di Trento Bernardo Clesio. Il pomodoro deve il suo nome al colore giallo intenso che inizialmente lo caratterizzava e che solamente più tardi, per i climi più favorevoli, si trasformò nel frutto rosso che oggi noi tutti conosciamo, anche grazie a selezioni e innesti. Le piante di pomodoro inizialmente, a sua volta ritenuto velenoso, per la sua notevole somiglianza all'erba morella, utilizzata in ambito medico, ma tossica, assieme alla patata venivano utilizzate come piante ornamentali.


Nel 1640 i nobili di Tolone donano quattro piante di pomodoro al cardinale Richelieu, e, per rimanere in Francia, per gli uomini era consuetudine regalare alle nobildonne piantine di pomodoro, come gesto d'amor cortese. Come alimento sulle tavole degli europei il pomodoro si affermerà soltanto verso la fine del XVIII secolo. Una delle scoperte più golose del Nuovo Mondo poi è il cacao, conosciuto e coltivato dalle popolazioni Maya. Una leggenda azteca narra che la pianta

di cacao venne offerta agli uomini dal dio Quetzalcoatl (dio serpente piumato), per confortarli nelle loro fatiche quotidiane. Inizialmente conosciuti con il nome di Amygdalae pecuniariae (cioè mandorla di denaro), perché i semi di cacao erano anche adoperati quale moneta di scambi (e spesso i gusci venivano contraffatti e riempiti di fango); vennero poi definiti da Linneo “Theobroma cacao”, ovvero “cibo degli dei”, e come dargli torto? A condurre il prelibato oro nero in Europa nel 1528, è Hernán Cortés che viene scambiato per la divinità Azteca e riceve quindi in dono un’intera piantagione. La bevanda offerta al celebre conquistatore era amara, ma lui seppe riconoscerne le benefiche qualità rinvigorenti, e in Spagna venne addolcita con zucchero, e aromatizzata con anice, cannella e vaniglia.

Ma il prodotto appare come energizzante che può rivelarsi pericoloso, tant’è che inizialmente a Madrid viene emanato un decreto, in base al quale era proibito vendere la cioccolata da bere; tuttavia essa circolava in forma di tavolette o pastiglie da sciogliere in acqua. Tra i cibi provenienti dall’America anche la zucca, il fagiolo, la vaniglia, le arachidi, note proprio come noccioline americane, e ancora frutti esotici come l’avocado, l’ananas, il mango, e la papaya.

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MEDICINA&SALUTE

I BAMBINI IMPERATORE Piccoli tiranni arroganti crescono

 di Erica Zanghellini

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empre di più nella nostra società si vedono bambini fuori controllo. Bambini che urlano, insultano, comandano e offendono i loro genitori, tutto per averla sempre vinta e ottenere quello che vogliono. Questi comportamenti che hanno nei confronti dei genitori ci lasciano spiazzati, ma dobbiamo correre velocemente ai ripari e cercare di cambiare strada. L’autorità passa dalle mani dei genitori ai figli, e questo non è una cosa sana. La sindrome dell’imperatore, è questo il nome che viene dato, in tutti quei casi in cui il minore la fa da padrona e decide tutto lui. Per capirsi sono quei bambini che decino come si devono vestire, cosa vogliono mangiare, cosa vogliono fare o ancora cosa guardare in tv, tanto per fare qualche esempio. Il genitore sembra impotente e rassegnato a esaudire qualsiasi desiderio del figlio. Sa che se provasse a contrastarlo, si dovrebbe subire le bizze e i comportamenti negati e spesso dirompenti di protesta.

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Spesso e volentieri chi è affetto dalla “Sindrome dell’imperatore”, presenta una serie di caratteristiche comuni tra loro: la più importante è l’egocentrismo. Per cui ogni suo atteggiamento o comportamento viene posto al centro di ogni esperienza, non c’è spazio per i desideri, bisogni o in generale la presenza dell’altro. La capacità di mettersi nei panni degli altri è gravemente compromessa. O ancora, ha un alterazione della gestione delle proprie emozioni e sentimenti. Ed infine un’altra delle peculiarità più marcate che si riscontra è la scarsa tolleranza alla frustrazione. Per cui non c’è spazio ai momenti di noia o dolore, qualsiasi cosa si pretende immediatamente e non è contemplata la fatica per conquistare qualche risultato o premio. Una volta che il genitore ha riconosciuto nel proprio figlio queste o alcune di queste caratteristiche, vorrebbe cambiare la cose, ma non sa come fare. Vediamo perciò di approfondire meglio le cause, così da poter provare a modificare le cose. L’origine di questa “sindrome” è multi fattoriale, ma un ruolo chiave lo giocano i fattori famigliari e ambientali. Per cui questa è una buona notizia, se con i genitori riusciamo a cambiare il tipo di educazione, piano piano si modificherà anche il minore. Ricordiamoci che i bambini hanno bisogno di regole, esempi da seguire e tanto amore. La nostra società sempre di più materialistica si dimentica dei

veri principi, non è un giocattolo che fa felice un bambino ma, è il tempo che io passo con lui. La relazione genitore-figlio, le emozioni e l’amore che passo con i miei gesto sono tutte importanti e di cui il bambino ha bisogno. Amare vuol dire anche dare dei confini e regole. Un ambiente troppo permissivo associato a caratteristiche innate al comando rendono facile l’instaurarsi di una relazione invertita, dove i bambini comandano e i genitori subiscono. Ma la cosa paradossale è che anche se i figli riescono ad imporsi nel lungo termine questo non li farà star bene, non saranno soddisfatti al di la di quel momento, perché non è quello che in realtà vogliono. Come detto sopra i minori hanno bisogno di contenimento, di delusioni, di rialzarsi da un no ricevuto o da una sconfitta. Questo è quello di cui hanno veramente bisogno per diventare degli adulti che sanno prendersi cura di sé stessi e che riescono ad adattarsi alla società. Un bambino senza regole che non subisce mai né rimproveri né punizioni non potrà plasmare i suoi comportamenti e i suoi modi d’agire asseconda i suoi errori. I genitori, devono trovare la forza, di trasformare in primis il loro approccio. Stabilire dei limiti è necessario, e ricordate qualche suggerimento per fare il primo passo: 1. Le regole devono essere puntuali 2. Le regole devono essere continuative 3. Devono essere comprensibili 4. Ma soprattutto bisogna assicurarsi che il bambino le abbia comprese.

Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel. 3884828675


In collaborazione con erboristeria AGAPE - Borgo Valsugana

L’Erboristeria… no al fai da te C

ome ormai è risaputo, con il termine di erboristeria si indica quella particolare scienza che si occupa non solo dello studio delle piante siano esse, medicinali, aromatiche, alimurgiche e cosmetiche, ma anche della loro più idonea coltivazione, raccolta, produzione conservazione, elaborazione e commercio. a scopi terapeutici (fitoterapia), cosmetici o nutritivi (integratori e nutraceutici). Sin dalla notte dei tempi l’erboristeria, ovvero l’utilizzo di diverse piante per curare malattie, ha documentato la sua validità perchè secondo alcuni libri antichi, infatti, già nel 3000 a.C. veniva riportati rimedi curativi che avevano alla loro base l’uso delle erbe e i loro preparati. Uno di questi, il famoso Papiro Ebers, descrive nei minimi dettagli alcune piante e il loro più opportuno utilizzo spiegando anche come preparare

medicamento o bevanda. Non solo, ma una delle teorie più antiche, per esempio, abbinava gli effetti benefici delle piante al loro colore: il rosso legato al sangue e quindi per i disturbi circolatori; il giallo per i disturbi epatici e renali, ecc. Attualmente nel grande universo “erboristeria” esistono diversi tipi di prodotti: quelli confezionati e quelli che si vendono sfusi il cui utilizzo è sempre compito dell’erboristica qua-

lificato o del medico. Studi specifici sulle erbe e il loro utilizzo ci informano che i prodotti erboristici o fitoterapici hanno poche controindicazioni, e non di rado il loro uso può essere utilizzato per molto tempo, anche come cura, ovviamente sotto il controllo del medico, di numeroso patologie. La fitoterapia, infatti, è quella particolare branca dell’erboristeria che si serve delle piante e dei loro derivati per scopi medico-terapeutici. Attualmente è adottata da medici, dietisti, naturopati, veterinari, terapisti alternativi e complementari. E’ bene quindi precisare, sottolineare ed evidenziare a chiare lettere che anche in erboristeria è sconsigliato il famoso “fai da te” e che sempre è importante rivolgersi alle persone esperte e veramente competenti.

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BENESSERE&SALUTE Rolando Zambelli è titolare dell’Ottica Valsugana con sede a Borgo Valsugana in Piazza Martiri della Resistenza. È Ottico, Optometrista e Contattologo.

 di Rolando Zambelli

VISIONE, SCHERMI E LUCE BLU

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egli ultimi anni c’è stato un incremento consistente di dispositivi multimediali (smartphone, tablet, laptot), e di conseguenza le attività di tutti i giorni sono cambiate in funzione di essi. Per esempio l'uso giornaliero degli smartphone continua a crescere tra gli adolescenti: attualmente il 91,5% trascorre più di 2 ore al giorno davanti allo schermo (studio di Netpublic, 2012). Secondo invece uno studio dell’AOA (American Optometry Association) del 2015 circa il 62% delle persone passa 5 o più ore utilizzando i loro dispositivi digitali, e il 14% passa fino a 10 ore al giorno. Fissare uno schermo per un periodo prolungato può provocare oltre ad un affaticamento visivo anche un alterazione della vista, in parte a causa delle posizioni adottate nell’utilizzo dei dispositivi, e in parte dall’emissione di luce blu.

CHE COS’È LA LUCE BLU? La luce blu è una porzione specifica della luce solare, che però viene emessa in particolar modo dai sistemi di illuminazione a basso consumo energetico (led e Xenon) e dai dispositivi LCD e LED. Tecnicamente la luce blu fa parte della luce visibile compresa tra i 380 e i 500nm ed è generalmente co-

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nosciuta per l’alta energia emessa e per la sua influenza sulla regolazione del ciclo sonno-veglia (ritmo circadiano). Per tali motivi, un’eccessiva esposizione può avere effetti nocivi sia sul benessere visivo (occhi affaticati, irritati, arrossati e secchi), che sul sonno. La luce blu ha caratteristiche sia benefiche e nocive a seconda della lunghezza d’onda: La porzione compresa tra i 465 nm e i 495 nm (blu-turchese) è essenziale per la nostra vista, per il funzionamento del riflesso pupillare e in generale per la nostra salute. Ed è la porzione di luce blu che regola il ciclo circadiano del sonno. La porzione compresa tra i 415 nm e i 455 nm (blu-violetto) è invece considerata dannosa per la i nostri occhi, in particolare per la retina e le cellule epiteliali pigmentate retiniche.

CONSIGLI PER LA PREVENZIONE • I riflessi dello schermo possono rendere difficoltosa la lettura. È possibile regolare il contrasto nelle impostazioni del computer. • Orienta computer e televisione perpendicolarmente alla finestra e non di fronte per evitare un’intensità luminosa eccessiva. • Avere sempre una fonte luminosa e

non lavorare con i dispositivi al buio. • Utilizzando smartphone o tablet, cerca di mantenere una distanza adeguata dallo schermo, circa 40 centimetri • Lavorando al computer è consigliabile avere lo schermo ad almeno 60 centimetri • Ogni ora allontanati e non guardare lo schermo per 5 minuti. • Utilizzare lenti che filtrano la luce blu benefica (blu-turchese), le quali favoriscono un corretto ritmo circadiano, riducono l'affaticamento degli occhi, migliorano il contrasto, riducono l’abbagliamento e il riverbero. • Nell’attività all’esterno è sempre consigliabile indossare occhiali con protezione UV • Fare controlli della vista regolari presso l’optometrista o il medico oculista.


BENESSERE PSICOFISICO ANCHE PER CHI SOFFRE DI DISABILITÀ  di Chiara Paoli

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er chi soffre di disabilità è a volte difficile poter godere di tutte le bellezze del nostro territorio; ciò vale per i residenti, ma anche per i turisti. Eppure la bellezza e l’armonia della natura sono un vero e proprio toccasana per tutti. Per garantire un benessere psicofisico anche a chi avrebbe difficoltà a effettuare escursioni o gite in solitaria è nata nel 2004 la cooperativa Api, che ha sede a Levico Terme e si occupa di assistenza integrata. «Fin dal nostro primo giorno di attività – dice Stefano Curzel, direttore della cooperativa Api - siamo sempre andati avanti con le nostre forze senza richiedere alcun finanziamento pubblico, perché fermamente convinti che il futuro dell'assistenza non possa poggiare sulle sempre più ridotte risorse pubbliche». Una linea che viene portata avanti e trova riscontro nel positivo modo di operare della cooperativa, molto apprezzata e conosciuta in zona. Moltissimi i servizi offerti, a partire dall’assistenza per il ritiro di impegnative, ricette mediche o referti, viene offerto

inoltre aiuto per la prenotazione di visite specialistiche e l’accompagnamento alle stesse. La cooperativa dispone di personale che può sostituire la badante in caso di ferie durante il periodo estivo o nell’arco dell’anno, anche per bevi periodi. Per garantire poi ai parenti notti più serene, mette a disposizione la presenza serale e notturna di un Assistente Famigliare presso l’abitazione, ospedali, case di cura, o residenze assistenziali. Ma la Cooperativa Api è soprattutto servizi per ampliare gli orizzonti, per cogliere ciò che di bello ci circonda, e per aiutare chi soffre a godersi le incantevoli valli di questa nostra provincia. Il servizio “AnchePerTe”, è nato dalla convenzione con due grandi e importanti realtà museali del territorio che si occupano di natura: il Muse e Arte Sella. Api mette a disposizione delle persone diversamente abili, anziane o con problemi di salute temporanei, un servizio di guida turistica per effettuare una visita in sicurezza, assicurando il trasporto, l’accompagnamento, e un’assistenza personalizzata. Ma non solo, questo servizio permette a tutti di utilizzare la bicicletta, facendo affidamento su un sistema esclusivo; si tratta di una bicicletta di nuova generazione che permette all’assistito di stare alla “guida” del mezzo. Il veicolo è stato studiato per permettere anche a chi ha difficoltà, di vi-

vere l'esperienza di una “pedalata” in bicicletta, utile a immergersi nelle bellezze del paesaggio naturale, lungo le piste ciclabili della valle. AnchePerTe è un servizio che offre anche copertura per le vacanze in Trentino, proponendo alle famiglie la possibilità di organizzare per i propri familiari anziani o con disabilità, periodi di villeggiatura estiva, soggiorni volti a effettuare cure riabilitative o termali, valendosi di figure competenti che possano accompagnarli e sostenerli per l’intero periodo. È possibile richiedere il servizio anche presso strutture alberghiere, camping, case vacanza, e Bed & Breakfast. Sarà cura della cooperativa Api garantire di rendere il soggiorno il più piacevole possibile, proponendo passeggiate, escursioni, attività sportive e ricreative che lasceranno sicuramente un piacevole ricordo della vacanza trascorsa in Valsugana. La cooperativa sociale Api è un valido sostegno alle famiglie che hanno bisogno di aiuto per gestire un familiare diversamente abile o affetto da malattia, occupandosi non solo della salute fisica, ma anche della serenità e del benessere.

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In collaborazione con SALONE MICHELA - Levico Terme

Come scegliere il taglio e il colore dei capelli in base alla forma del viso

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capelli si sa incorniciano il viso e la giusta acconciatura è fondamentale per valorizzare i tratti o mascherare qualche imperfezione. Il taglio dei capelli è sicuramente una questione di gusto personale ma è importante fare i conti con le proporzioni del volto e il tipo di incarnato Non esiste un taglio e un colore adatti a tutti i visi e spesso non è possibile vedere in anteprima il risultato, soprattutto quando si tratta di accorciare di

Tipo di donna autunno

molto la chioma, azione irreversibile. Ecco che l’esperienza e la competenza della parrucchiera vengono in soccorso per consigliare la soluzione più adatta in base alle caratteristiche del volto e al tipo di capello. Possiamo distinguere quattro tipologie di donne dalle caratteristiche ben precise: • Donna estate: capelli biondi, occhi chiari, incarnato beige • Donna primavera: capelli castano chiaro, occhi verdi, castano chiaro o nocciola, incarnato pesca o beige • Donna autunno: capelli rossi o castano ramato, occhi oliva o nocciola, incarnato avorio o ambra • Donna inverno: capelli e occhi scuri, incarnato oliva o porcellana. In base alla tipologia la parrucchiera saprà trovare le combinazioni di colori, le tonalità e i livelli di contrasto che do-

nano al viso un aspetto più fresco e riposato. È altresì importante capire quali sono invece i colori nemici, quelli che non sono affatto armonici con il proprio incarnato e che tenderanno a renderlo più segnato e spento. Quanto al taglio è bene innanzitutto individuare la forma del proprio viso: ovale, quadrato, rotondo, a cuore. Il viso ovale si presta meglio a qualsiasi tipo di taglio. Può permettersi sia il lungo che il corto, con o senza frangia. La scelta cadrà in base a quali sono i punti di forza da evidenziare. Per la forma rotonda meglio si adattano taglio geometrici, per quello quadrato un taglio medio che “smussi” gli angoli e valorizzi lo zigomo è l’ideale. Per il viso a forma di cuore il capello lungo si presta bene a incorniciare il mento. E ora lasciate che il vostro hairstyle di fiducia prenda in mano la forbice!

“Saggio colui che sceglie la natura, perchè la natura gli sarà riconoscente”

a e Sar a l e h Da sinistra: Ilenia, Mic

ORARI

LEVICO TERME - Vicolo Rocche, 42 - Tel. 0461 706347 - michelafuchs@yahoo.it

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MARTEDÌ 8.15 - 12.00 / 14.00 - 18.30 MERCOLEDÌ 8.15 - 12.00 / 14.00 - 18.30 GIOVEDÌ 8.15 - 17.00 (continuato) VENERDÌ 8.15 - 12.00 / 14.00 - 18.30 SABATO 8.15 - 17.00 (continuato)


In collaborazione con Magazzini Ferrai- BORGO VALSUGANA

LA MODA DELL’ESTATE

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i è fatto un po’ aspettare ma finalmente il caldo è arrivato, con un tripudio di belle giornate soleggiate che invitano ad uscire, trascorrere del tempo all’aria aperta e perché no, pensare già alle vacanze che si avvicinano! Per la bella stagione la parola d’ordine del 2018 è colore, da declinare sia in delicate nuances pastello, sia in tonalità più sgargianti, anche in contrasto. Uno dei colori must della stagione estiva sarà il rosa, che comparirà sulle camicie a fiori, romantica ten-

denza di questa stagione, magliette, vestiti lunghi e costumi da bagno. Via libera anche alla fantasia, con un trionfo di stampe vivacissime: dai motivi tropical e hawaiani, con fiori e foglie dai colori accesi, alle fantasie puntellate da piccoli fiori, eleganti e raffinate e un po’ retrò, per ornare camicie chic e sofisticate, in stile body o con nodi in vita, o più sbarazzine, con nodo all’ombelico, da abbinare anche a dei jeans a vita alta. E per il mare? Anche nel look da spiaggia trionfano le stampe floreali che richiamano alla lussureggiante vegetazione delle foreste tropicali, con motivi gioiosi che non possono certo passare inosservati! Altra tendenza è poi lo sguardo agli anni dei mitici Hippies, dove stampe gipsy e geometrie etniche si mixano alle fantasie floreali per uno stile che fa venire voglia di partire all’avventura. Per i tipi sportivi invece, un’altra tendenza mare si richiamerà alle mise degli atleti, con linee pulite e grafiche minimali su tessuti tecnici. E poi ancora, bene anche

le geometrie astratte e sofisticate, su costumi e abitini da spiaggia. Ovviamente, ogni look che si rispetti va coordinato con i giusti accessori. Quest’anno a spopolare è lo stile ispirato alla Saint Tropez degli anni ’60, luogo emblematico di vacanza e di mondanità. Al via quindi alle borse maxi in paglia, o in pelle per le più glamour, ai mocassini con le nappe, i sandali con la zeppa in tela a righe, che rievocano atmosfere rilassate di quegli anni spnsierati nei litorali del Sud della Francia e ci fanno sognare un po’. (S.T.)

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A MARTER DI RONCEGNO

AFFITTASI BAR Il bar VECCHIA TORRE, in attività ad oltre 20 anni, è situato in zona di forte viabilità, adiacente alla fermata degli autobus e sarà libero dal mese di settembre 2018. Completamente arredato, con 40 posti (all'interno e all'esterno) è completo di tutte di tutte le necessarie attrezzature. Usufruisce di ampi parcheggi su entrambi i lati della struttura. Adiacente al bar si trova un negozio di generi alimentari con rivendita tabacchi e valori bollati. Il bar ha una planimetria utile di oltre 140mq ed è formato dal locale bar, 2 salette, 2 wc, ampia cantina e ripostiglio. Nella gestione non ci sono limitazioni d'orario.

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DAI mutandoni AI bikini

 di Sabrina Mottes

IN POCO MENO DI CENT’ANNI

i avvicina l’estate e con essa la voglia di abbronzarsi. Ogni donna, in questo periodo, passa in rassegna i propri costumi da bagno, comperandone di nuovi o infilando quelli a cui è particolarmente affezionata e che le donano di più. Nel 2018, tutto ciò pare assolutamente normale. Ma quella del costume da bagno, che fa parte dell’abbigliamento femminile da pochissimo tempo, oltre ad essere una delle storie più affascinanti dell’evoluzione della moda, la dice anche lunga in termini di emancipazione femminile. Infatti, a parte il mosaico con le “fan-

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ciulle in bikini” conservato nel complesso della villa romana di Piazza Armerina ad Enna, che risale al III Secolo d.C. e raffigura un gruppo di donne intente a giocare indossando i primi bikini della storia, non si hanno nei secoli notizie di abiti femminili particolari per immergersi in acqua. La morale imposta dalla religione impediva infatti a maschi e femmine di bagnarsi insieme e dunque le signore, per recarsi alle terme o a nuotare, non utilizzavano abiti specifici.

Per riparlare di costume da bagno si deve dunque fare un passo assai lungo, e precisamente fino alla seconda metà del Settecento. In quell’epoca, si diffuse lentamente la pratica dei bagni in mare, consigliati dai medici come toccasana da praticarsi nelle località balneari. I primi costumi da bagno femminili erano però scomodi e ingombranti: lunghi fin sotto le ginocchia, completi di calze e scarpe adatte al contatto con l’acqua, erano simili ad una camicia da notte sotto alla quale le signore portavano addirittura il busto. Nell’impossibilità di fare un vero e proprio bagno, le donne si immergevano fino ai fianchi, limitandosi a camminare nel bagnasciuga. Altri accessori indispensabili alle nobildonne erano cappello ed ombrello. Il pallore, infatti, era considerato simbolo di nobiltà poiché l’abbronzatura era propria di chi lavorava nei campi o comunque all’aperto, e dunque del popolo. In epoca vittoriana, le signore arrivavano al mare addirittura attraverso cabine chiuse dotate di ruote e in alcuni casi, per consentire il bagno, l’acqua veniva persino spinta nelle cabine stesse. Nei primi anni del Novecento si ha notizia della prima nuotatrice che indossò un costume aderente, in seta elasticizzata. Negli anni Venti e Trenta, poi, epoca in cui i medici scoprirono gli effetti benefici dell’esposizione al sole, ecco i primi modelli che lasciavano finalmente scoperte le gambe ma, che fossero interi o in due pezzi, erano comunque molto castigati e

coprivano rigorosamente l’ombelico. Questo fino al 5 luglio 1946 quando, in una piscina parigina, lo stilista Louis Réard lanciò un capo rivoluzionario: il bikini. Il nome deriva dall’atollo di Bikini, nelle isole Marshall, dove gli Stati Uniti conducevano test nucleari. Réard pensò, a ragione, che l’introduzione del nuovo costume da bagno avrebbe avuto effetti esplosivi. E non si sbagliava! La prima modella ad indossare il provocante costume fu una ballerina del Casino de Paris, Micheline Bernardini, poiché nessuna modella professionista ebbe il coraggio di infilare quel micro abbigliamento. Furono ancora una volta le star del cinema, da Raquel Welch a Ursula Andress, da Brigitte Bardot a Bo Derek e tante altre, a lanciare definitivamente il bikini, insieme alla scoperta della Lycra, tessuto molto aderente che asciuga velocemente. Da allora sono passati più di settant’anni e milioni sono i bikini che ogni estate hanno invaso le spiagge di tutto il mondo. Pochi centimetri di stoffa abbelliti dagli accessori più sfiziosi, che ogni estate esaltano il corpo femminile con colori e fantasie sempre nuovi e diversi.

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L’Associazione Apicoltori Valsugana Lagorai

 di Alessandro Dalledonne

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Anche il 2017 non si può dire sia stato un buon anno per l'apicoltura. Morie di api e scarsa produzione ci perseguitano. Ma noi siamo ostinati, siamo combattivi: tutti gli anni incassiamo il colpo e ripartiamo con più carica. Ci guardiamo negli occhi e diciamo: quest'anno andrà meglio. Sarà vero?». Da alcuni anni Elena Belli guida l’Associazione Apicoltori Valsugana Lagorai.

Con queste parole ha salutato i tanti soci riuniti in assemblea nella sala della Cassa Rurale Valsugana e Tesino a Roncegno. «Per noi questo è il nono anno di vita. Il primo anno i soci erano 82, oggi quelli in regola con la quota sociale sono 372. A tutti rivolgo ancora l’invito nel denunciare le morie di api, dovute a presunti avvelenamenti che ogni primavera debilitano il patrimonio apistico della valle. Le istituzioni, purtroppo, ci ascoltano poco – ha ricordato Belli – ma noi andiamo avanti per la nostra strada. Puntiamo molto sulla formazione, sull'assistenza tecnica, sull'aggiornamento ma anche sulle relazioni interpersonali e sulla condivisione di esperienze che sono il valore sociale della nostra associazione». Apival crede molto nelle riunioni mensili. «Sono

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momenti importanti di confronto e scambio di idee, affinchè gli errori dell'uno siano utili agli altri e i successi possano essere valutati e condivisi». Per gli apicoltori della Valsugana è importante la figura dell’esperto apistico e del registro provinciale, così come il rapporto con la Federazione Associazioni Apicoltori Trentini dove siedono due rappresentanti di Apival (Paolo Paterno e Christian Martinello) con Alberto Buffa segretario. «Buono il dialogo con la Provincia che ci sostiene nelle nostre iniziative di aggiornamento e con i contributi per il ripopolamento delle api. Ma se non sono supportati dalla formazione – ha detto ancora Belli – corsi, assistenza tecnica e incontri in apiario rischiano di essere soldi buttati. Dobbiamo formare gli apicoltori perché siano in grado di mantenere vive le api, praticare la rimonta e prodursi le proprie regine. Questo è il nostro obiettivo!». Da anni Apival ha instaurato un ottimo rapporto con il comune di Per-

gine con cui porta avanti il progetto “impollinazione” che elargisce fondi agli apicoltori stanziali del perginese (38 soci con 423 arnie). Non solo. «Portiamo avanti il progetto Apiario Scuola con il comune che ci ha messo a disposizione un'area in località Maso Dolzer. Presso le ex scuole elementari di Viarago – ha sottolineato Belli – abbiamo avuto anche dei locali che abbiamo attrezzato a sala smielatura». Dopo aver ricordato l’attività svolta nel 2017, spazio al rinnovo del consiglio direttivo che resterà in carica per il prossimo triennio. Sono stati eletti, con diritto di voto, Elena Belli, Romano Nessler, Elisa Pavesi, Remo Zeni, Christian Martinello, Sara Biasi, Luigi Montibeller, Doriana Nervo, Vittorino Angeli, Fernando Nessler, Paolo Paterno, Bruno Valentini, e Livia Zanotelli. Fanno parte del consiglio, senza diritto di voto, anche Marco Mascotto, Daniele Gadler, Cesare Zambotti, Francesco Mezzo, e Claudio Valentini. Il presidente ha colto l’occasione per ringraziare i consiglieri uscenti Franco Pioner, Achille Casagranda, Santo Furlan, e Nello Lorenzin per il lavoro svolto in Apival in questi ultimi anni.


a Borgo Valsugana Il Prezioso arte orafa artigianale

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i ricordate? Era l'anno 1996 quando Renato Camossa inaugurò il suo primo “piccolo” negozietto in Via Fratelli a Borgo Valsugana. Una vetrina che al suo interno esponeva un vastissimo assortimento di argenteria, bigiotteria e articoli regalo nonché la possibilità di piccole riparazioni artigianali che la professionalità e competenza di Renato garan-

tivano. Da allora tanta acqua è passata sotto i tradizionali ponti e l'evoluzione e crescita del suo “ Il Prezioso” si è documentata e certificata negli anni. I clienti crescono e nel 2000, per, Il Prezioso si trasferisce in Piazza Degasperi in una nuova sede, ampia, più funzionale e con maggiore esposizione. Il tutto per fare fronte alle nuove esigenze commerciali e

Renato, in Via Fratelli

per soddisfare, al meglio, le crescenti richiesta della clientela, anche di quella più esigente. E il tempo ci disegna un Renato Camossa sempre più esperto e più competente in grado di potenziare le offerte e le proposte vendita. Alla argenteria, sempre di ottima e alta qualità, il “nostro” abbina nuovi oggetti, nuovi modelli e nuovi design, integrando il tutto con articoli di oreficeria e orologeria, mantenendo sempre la indiscussa capacità manuale di vero artigiano del settore. Oggi, un nuovo dinamismo caratterizza Renato e Camossa e il suo negozio. Ancora una volta si trasferisce, sempre a Borgo Valsugana, in Largo Dordi (di fronte al Caffè Roma) per dare vita a un negozio la cui insegna, quelle de “Il Prezioso”, occupa uno spazio storico commerciale : il negozio Simeoni che per anni ha fatto parte ed è stato presente nella storia di Borgo Valsugana.

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L’ECONOMIA che non ti aspetti N

egli ultimi decenni, il nostro mondo si è trasformato, diventando un mondo globalizzato, dove persone e cose possono viaggiare e spostarsi con grande facilità da una parte all’altra dell’emisfero. Viviamo in un ambiente connesso, dove l’informazione e lo scambio reciproco potrebbero essere molto più immediati rispetto al passato; in realtà stiamo diventando sempre più Chiara Lubich egoisti e meno disponibili verso gli altri. Gran parte della responsabilità è attribuibile all’economia che detta le proprie regole consumistiche alla società, mentre questa non si accorge che sta perdendo i va-

lori fondamentali che rendono l’uomo più “umano”. Ma alcuni imprenditori hanno fatto la scelta di non aderire pienamente alle idee del capitalismo, volendo fare la differenza, e hanno deciso di abbracciare l’economia di comunione. L’economia di comunione, fondata da Chiara Lubich, nasce per creare un nuovo modo di fare economia che rivaluti la “cultura del dare”. Tutti gli imprenditori che dichiarano di voler seguire le idee dell’economia di comunione, devolvono i loro utili a specifiche aree di utilità sociale, con l’obiettivo di ridurre la miseria e l’esclusione nella no-

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 di Irene Chin

stra società, diminuire la disoccupazione, diffondere la cultura del dare e sviluppare la propria impresa. La diramazione in tutto il mondo di questa nuova realtà economica, è stata possibile grazie a Chiara Lubich, madre del Movimento cristiano dei Focolari che ha come scopo l’unità e la fraternità tra i popoli. Questa figura femminile trentina che ha ricevuto un premio dall’Unesco per l’Educazione alla Pace (1996), si è battuta per far sì che la pace ritornasse dopo i duri anni di guerra, promuovendo una nuova cultura economica e civile che dopo venticinque anni sta dando ancora i propri frutti; sempre più spesso giovani imprenditori decidono di andare contro corrente per contribuire a migliorare la società in cui vivono e riscoprire ideali andati perduti.

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Una vera opera d’arte religiosa

 di Alessandro Dalledonne

La Chiesa Arcipretale di Borgo Valsugana I

lavori di restauro conservativo generale degli interni della chiesa arcipretale di Borgo sono quasi terminati. Le prime impalcature sono state posizionate a novembre. Non solo laterali, coprivano anche il soffitto per consentire ai restauratori di mettere mano ai grandi affreschi che da alcuni secoli sono presenti in una struttura dedicata alla Natività di Maria. I lavori, concentrati nell’ambito della grande volta centinata e delle pareti verticali dell’aula, sono stati preceduti da una serie di indagini e di interventi realizzati fra luglio e dicembre 2016, nel contesto di un cantiere pilota che ha permesso di confermare, con una certa sicurezza, la corrispondenza della successione stratigrafica degli intonaci e dei livelli di finitura con la documentazione conservata presso l’archivio parrocchiale. In pieno accordo con i funzionari della Soprintendenza provinciale per i Beni culturali (architetti Cecilia Betti e Ermanno Tabarelli de Fatis, e il restauratore Roberto Perini) i lavori di restauro generale delle superfici interne è stato suddiviso in tre fasi: un primo intervento limitato alla navata, comprendente il restauro della

Bruno Bastiani, uno degli otto pittori che hanno restaurato la chiesa negli anni '70

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grande volta lunettata, delle pareti laterali, della controfacciata e dell’arco santo. Sono stati compresi il restauro degli apparati plastici in stucco, delle nicchie laterali compresa la relativa statuaria, la revisione degli intonaci e la stesura dell’intonachino a calce in corrispondenza degli sfondati. Una seconda fase operativa ha riguardato il restauro delle cappelle laterali, secondo le modalità già sperimentate e valutate nel corso del cantiere pilota. La terza fase, infine, comprenderà il restauro del presbiterio fino all’altezza della trabeazione. Una chiesa, quella principale di Borgo, documentata fin dal 1027 quando l’imperatore Corrado II ne stabilì l’estensione giuridica, ma già nel 1450 l’edificio appariva così deperito da rendere necessaria l’indizione di una indulgenza di 160 giorni, per la raccolta dei fondi necessari alle riparazioni. Nel 1554 i massari chiesero al vescovo di Feltre il permesso di ampliare la chiesa, che venne concesso obbligando però le comunità di Roncegno, Telve di sotto, e Castelnuovo a concorrere alle spese necessarie. Fra il 1595 e il 1596 si realizzò anche l’avvolto della

I lavori di restauro navata. Nel 1698 la comunità di Borgo chiese al vescovo di Feltre l’autorizzazione all’ingrandimento della chiesa, ritenendo la vecchia troppo piccola, ma inizialmente i lavori previsti riguardarono, probabilmente, la demolizione e la ricostruzione del solo presbiterio e solo in seguito furono estesi alla navata. I lavori ben presto sospesi, vennero ripresi nel 1714 e conclusi nel 1727. Già l’11 maggio del 1726 la chiesa venne però consacrata dal vescovo di Feltre Pietro Maria Trevisano. Il 15 luglio 1726 fu commissionato a Cristoforo Benedetti da Castione l’imponente altare maggiore marmoreo che lo scultore completò nel 1728. Nel 1832 si adattarono alla facciata della chiesa di Borgo gli elementi lapidei della distrutta chiesa della Beata Vergine del Carmine di Trento, a meno del portale che era già stato promesso alla chiesa di Fraveggio e della statua della Madonna che venne posta su una colonna in prossimità dell’abside di santa Maria Maggiore a Trento, in memoria del terzo centenario dell’apertura del Concilio. Fra il 1861 e il 1863 si restaurarono ancora gli stucchi, vennero portate a piombo le pareti interne e venne infine


realizzata la grande cupola sopra il presbiterio, parte di un più ampio progetto del feltrino Giuseppe Enrico Segusini che prevedeva la sopraelevazione della volta della navata e la ridefinizione della curvatura dell’arco santo. Nel 1903 Sigismondo Nardi realizzò le decorazioni a tempera delle volte e della cupola, accuratamente documentate nel prezioso studio di Vittorio Fabris e Devid Valle, pubblicato nel 2012. Fra il 1919 e il 1922 si eseguirono i restauri a riparazione delle distruzioni belliche del primo

conflitto mondiale. Nel 1972 venne infine effettuata una radicale pulitura e la parziale cancellazione delle decorazioni del Nardi. A mettere mano, in questi ultimi mesi, alla chiesa arcipretale di Borgo ci ha pensato la ditta Tiziano e Francesco Nerobutto di Grigno. Il progetto è stato realizzato dall’architetto Michele Anderle, anche direttore dei lavori, con il geometra Claudio Faccioli coordinatore della sicurezza del cantiere. Un intervento fortemente voluto dalla parrocchia e da don Daniele Morandini, in gran parte finanziato con contributi provinciali. Per coprire l’intera spesa si punta anche alla generosità dei fedeli. Nel corso dei lavori, gli operai della ditta hanno anche recuperato una pergamena, posizionata diversi anni fa all’interno della grande scritta che campeggia sopra l’altare maggiore della chiesa. È un ricordo che, tra il 1972 e

Le visite guidate nella chiesa arcipretale il 1973, avevano lasciato otto pittori della ditta Gianni Divina. Risale a quel tempo, infatti, l’ultimo intervento di restauro al grande soffitto della chiesa. Si possono leggere ancora i loro nomi: Bruno Bastiani, Guido Bastiani, Emilio Armellini, Pietro Moggio, Onorato Rosso, e Giancarlo Stroppa. Alcuni di loro, su quelle impalcature, sono risaliti con grande emozione a distanza di 45 anni. Una occasione unica, forse irripetibile per rivedere da vicino e ammirare ambienti che, altrimenti, possono essere guardati e osservati col naso all’insù. E in religioso silenzio.

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Il Forte Busa Verle F

orte Busa Verle, edificato tra il 1908 e il 1913, a una quota di 1554 m, sull'altura est del Passo di Vezzena (Comune di Levico), assieme al vicino Forte Pizzo di Levico (costruito nello stesso periodo sulla sommità del Pizzo di Levico a 1900 metri di altezza), aveva l'obiettivo di difendere la Valsugana, in caso di guerra contro l'Italia, sbarrando la principale via d'accesso che collegava la città di Asiago con l'Altopiano di Vezzena. Forte Busa Verle, assieme ai forti Cima Vezzena, Luserna, Belvedere, Cherle, Sommo Alto Dosso delle Somme, costituisce un interessante esempio di modello difensivo, voluto e progettato dal generale Conrad von Hotzendorf nei primi anni del ‘900, per garantire un’efficace difesa dei confini meridionali dell'Impero. A differenza dei forti di età ottocentesca, come per esempio forte Colle delle Benne, Busa Verle, come gli altri “suoi

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fratelli” costruiti nello stesso periodo nella zona Vezzena-Luserna-Lavarone, nasce anche con una funzione, non solo difensiva, ma anche offensiva. Nei piani di Conrad, infatti, questa nuova generazione di forti doveva essere anche in grado di sostenere una manovra offensiva protesa verso la pianura veneta a danno delle forze nemiche. Da un punto di vista architettonico, come nel caso di Pizzo di Levico, le fortezze di questo periodo, a differenza dei forti ottocenteschi dello sbarramento di Tenna, furono costruite in calcestruzzo, pressato e rinforzato con putrelle di acciaio. Busa Vere era armato con 4 obici da 10 cm in cupole corazzate girevoli, 4 cannoni da 6 cm, 2 cannoni da 80, e ben 15 mitragliatrici. L’intero perimetro era protetto da trincee e filo spinato. Nella notte del 24 Maggio 1915 la prima cannonata italiana sparata da Forte Verena che segnò l'inizio della guerra italo-au-

 di Andrea Casna

striaca, colpì proprio forte Verle. Nel corso del conflitto, dal maggio 1915 alla primavera del 1916, gli italiani provarono più e più volte, senza mai riuscire nell'impresa, a conquistare i due forti di Vezzena (Pizzo e Verle). Le artiglierie italiane misero a dura prova la resistenza delle strutture e il morale delle truppe. Busa Verle incassò più di 3000 proietti di grosso calibro, 1000 caddero sulla copertura di calcestruzzo e 5 colpi penetrarono proprio nella fortezza. Fritz Weber (1895-1972), scrittore e giornalista austriaco, Ufficiale di Artiglieria dell’esercito austro-ungarico presso Forte Verle, (autore del celebre libro “Tappe della disfatta”) descrive l’interno di questa fortezza di acciaio e cemento: «L’interno è simile a quello di una nave da guerra: corridoi stretti, scalette di ferro. I locali sono angusti, con muri di cemento spessi un metro; le due cisterne, di cui una per l'acqua


potabile, rendono il forte indipendente dall'esterno. Si è pensato persino ai caduti: in una camera mortuaria bare metalliche attendono le eventuali vittime della lotta per questo capolavoro della tecnica militare». Nelle sue memorie Weber descrive anche momenti tragici della guerra e degli effetti causati dallo scoppio di una granata entrata nel forte. «Un’esplosione terribile ci scaraventa contro il pezzo bollente, facendoci ruzzolare gli uni sugli altri. Un fumo densissimo penetra dal basso, nell'interno della torre, mentre le lampade si spengono. Nel corridoio della

batteria è un correre e un gridare confuso... ovunque fumo, urla di terrore, ombre di uomini che vanno in ogni direzione. Un ammasso informe di lamiere contorte, aste d'acciaio accartocciate, sono i resti della piattaforma. In mezzo, delle membra umane sanguinanti, annerite dal fumo, sono i serventi… La notte una pattuglia trova la volata dell’obice distrutto, giace dietro al forte a circa 60 metri di distanza. La cupola è stata spezzata in due pezzi; una è finita nell’antifosso, l'altra riposa rovesciata, come una barca, sul tetto della batteria. 180 quintali

d'acciaio fracassati e scagliati lontano». Nel 1916 il forte fu utilizzato come punto d'appoggio per la Strafexpedition assolvendo, in un certo qual modo, alla sua originaria funzione difensiva e offensiva. Negli anni successivi alla fine del conflitto, fu disarmato e in parte demolito. Oggi è un cumulo di macerie: un'imponente massa di cemento testimone di uno degli eventi forse più tragici del ‘900.

IN VALSUGANA NASCE TRENTINO WEDDINGS L'organizzatore di matrimoni, in inglese Wedding planner, è un figura professionale che presta alle coppie, in procinto di convolare a nozze, sia la consulenza e sia la completa gestione del giorno delle nozze. Suo precipuo compito quindi è quello di occuparsi di tutti gli aspetti relativi all'organizzazione del matrimonio, seguendo la coppia dal principio fino al termine, e a volte anche dopo il ricevimento nuziale. Una figura che assume un ruolo importante, non solo in relazione alla complessità dei problemi organizzativi, ma anche e principalmente per sollevare la gli sposi da tutte le preoccupazioni che il matrimonio comporta. In questi ultimi tempi nel nostro paesi molti professionisti del settore Wedding si sono riuniti in Team, ognuno con le specifiche e professionali competenze, allo scopo di assolvere nel migliore dei modi quanto è necessario, agli sposi, per rendere “unico” e indimenticabile il loro giorno più bello. “La nostra intenzione, precisano i responsabili di Trentino Weddings, è quella di far diventare la nostra Valsugana ed il nostro Trentino una Location ideale per i Matrimoni nella natura (laghi, boschi) e nei nostri Castelli e Ville.

Queste le figure che fanno parte di Trentino Weddings e che, è utile sottolineare, sono tutte aziende locali dislocate nel Perginese, Pinetano, Valsugana e Trentino. • Wedding Planner • Acconciatore • Estetista • Fiorista • Cantante e organizzazione musica • Fotografo • Consulente di Viaggi • Designer della carta per gli annunci e altre esigenze • VideoMaker • Fornitore Scarpe da cerimonia • Atelier Sposi: Sartoria • Catering • Castel Pergine Partner Il primo evento sarà organizzato a Castel Pergine il 17 di maggio dalle 18 alle 22 e in quella sede Trentino Weddings si presenterà ufficialmente.

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La prima direzione di Gianni della Corale Polifonica di Calceranica nel 1978

GIANNI MARTINELLI… MERITO ALL’ARTE

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rande e più che meritato riconoscimento al maestro Gianni Martinelli per i suoi 40 anni di direzione corale. Alla presenza del sindaco Cristian Uez e della vicesindaco signora Cinzia Tartarotti, i coristi della Polifonica di Calceranica al Lago hanno festeggiato, presso la sede sociale, il loro direttore Gianni Martinelli nel 40° anniversario di direzione corale. In apertura la presidente Ornella Andreatta ha espresso al maestro l’unanime sentimento di gratitudine, ricordando che il prestigioso curriculum del coro è stato ottenuto soprattutto grazie alle spiccate doti professionali del direttore. Anche il primo cittadino ha usato parole di gratitudine a nome dell’intera comunità per il lungo ed impegnativo servizio premiandolo con un significativo omaggio. L’occasione è stata propizia per ricordare l’eccezionale impegno di Gianni in questi lunghi decenni. E maggior merito acquisisce se si considera che tutto è stato espletato in modo assolutamente gratuito, senza chiedere mai nulla in cambio, senza compenso alcuno. Così è stato acclamato quella serata dai coristi della Polifonica di Calceranica: “E’ stato un musicista precoce, attratto dalla tastiera fin dall’adolescenza, visto che già all’età di nove anni era parte attiva di un piccolo complessino rock locale, di

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quelli, senza troppe pretese, in voga negli anni sessanta. Dopo quella giovanile esperienza, nell’autunno del 1970, appena quindicenne, entrò nel neonato coro parrocchiale e subito gli fu affidata la responsabilità dell’accompagnamento all’organo. Al rientro dal servizio di leva nel 1976, affiancò il padre Angelo, fondatore, insegnante e primo direttore del nuovo coro, prestando la propria collaborazione anche come docente. Nell’autunno del 1977 Gianni assunse la completa gestione del gruppo concentrando nella sua persona tutte le funzioni primarie: insegnante, organista e direttore tecnico. La sua prima iniziativa fu quella di aprire il coro a nuove esperienze musicali, anche mediante l’affiliazione alla Federazione dei Cori del Trentino, operazione perfezionata all’inizio del 1978, con l’abbandono della vecchia denominazione di “coro parrocchiale” per assumere quella di “Corale Polifonica di Calceranica al Lago”. Fin dal 1980 si prese cura anche di un gruppetto di voci bianche, bambini e bambine che in parte poi rappresentarono un utile e appropriato ricambio generazionale nel coro maggiore. Il suo dinamismo diede al coro un’impronta personalissima, pur mantenendo inalterata quella vocazione “parrocchiale” che fu all’origine del complesso, che lo ha portato a cogliere meritati apprezza-

 di Mario Pacher

menti e successi anche in ambito nazionale. Accanto a questo impegno all’interno della corale, Gianni coltivò con amore e passione anche lo studio di pagine organistiche, tenendo applauditi concerti come solista. Conti alla mano, in questi lunghi 40 anni sono state ben 515 le esibizioni ufficiali alla guida della Corale Maggiore, 100 quelle con le Voci Bianche, 14 le partecipazioni a concorsi corali nazionali, 2 con le voci bianche. Fuori paese, si ricorda un periodo alla guida del Coro San Valentino di Borgo Valsugana negli anni ottanta. Dal 2017 cura inoltre la preparazione del Coro Voci in Accordo di Povo.

Martinelli Gianni


LE CRONACHE

CALDONAZZO

AVIS IN ASSEMBLEA

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umerosi iscritti alla sezione AVIS di Caldonazzo hanno presenziato alla recente assemblea annuale ordinaria. Dopo il saluto a tutti gli intervenuti, il presidente Giorgio Antoniolli ha presentato il nuovo direttivo eletto a marzo 2017 che risulta ora così composto: Presidente riconfermato Giorgio Antoniolli. Maria Teresa Marostica vicepresidente. Giampaolo Antoniolli segretario; Roberto Ciola cassiere e tesoriere. Consiglieri: Michela Berlanda, Elena Bort, Luciana Bort, Michela Bortolini, Michele Di Turi, Marco Lucchi, Christian Pizzimenti. Poi ha illustrato l’attività svolta nel 2017 mettendo in evidenza le principali iniziative e i dati più significativi. I soci donatori al 31 dicembre 2017 erano 202, oltre a 13 soci collaboratori. Le donazioni di sangue sono state 231, di cui 224 intero e 7 plasma. Ha poi ricordato la nutrita serie di iniziative di cui alcune in collaborazione anche con l’AVIS di Levico Terme, della Bassa Valsugana e Tesino e con l’AIDO. Anche per il 2018 sono in programma alcuni importanti progetti: la collaborazione alla festa dei “meli in fiore”; “Insieme per la vita - passeggiata in bicicletta”, la vendita di ciclamini in collaborazione con l’Associazione Trentina Fibrosi Cistica, la festa

delle mela e sapori d’autunno, la collaborazione con altre associazioni di Caldonazzo e Calceranica, la partecipazione alla manifestazione “pulcino d’oro”, attività di informazione ed educazione sanitaria. Sono state quindi consegnate diverse benemerenze: 19 con distintivo in rame; 16 in argento; 2 in argento dorato; 4 in oro e 1 in oro e rubino, a Eros Brida per i suoi 30 anni di socio e 66 donazioni. L’assessore comunale di Caldonazzo Marina Eccher e il sindaco di Calceranica Cristian Uez, hanno usato parole di grande apprezzamento per lo spirito umanitario presente in questa benefica associazione. Il revisore dei conti Renzo Ciola ha poi presentato il bilancio al 31 dicembre dello scorso anno che chiude con un saldo attivo di 5.081 euro. (M.P.)

LEVICO TERME

GRAZIE PER L’IMPEGNO

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a voluto concludere la sua attività di rappresentante della Croce Nera Austriaca presso il cimitero militare di Levico Terme, il colonnello professore Friedrich Schuster che lascia dopo 30 ininterrotti anni il prestigioso incarico. La cerimonia si è svolta presso il cimitero militare della città termale alla presenza dei rappresentanti delle varie associazioni combattentistiche e d’arma levicensi, Alpini in primo piano. Era accompagnato dal commendatore Mario Eichta ideatore degli incontri italo austriaci della pace a ricordo dei Caduti, e pure socio onorario del gruppo Alpini. Davanti al monumento che ricorda i 1148 soldati lì sepolti, è stata deposta una corona d’alloro fatta pervenire per la circostanza dalla Croce Nera, che è stata benedetta dall’arciprete di Levico don Ernesto Ferretti mentre il trombettista Simone Francescatti intonava il silenzio d’ordinanza. Il capogruppo Alpini Gualtiero Pohl ha usato parole di particolare riguardo verso il professore Schuster, che ha preferito Levico Terme per concludere la sua prestigiosa attività di rappresentanza. Pohl ha ricordato anche la sensibilità che la Croce Nera Austriaca ha sempre dimostrato verso il cimitero militare di Levico nell’inviare annualmente in prossimità della festività dei Santi, una

Corona tramite il Consolato Generale Austriaco perché venga deposta davanti al Monumento fatto costruire nel 1921 dalla stessa Croce Nera. Ma perché ha scelto proprio questa cittadina per questo suo ultimo appuntamento? “Ho preferito Levico perché per tanti anni gli Alpini e anche l’amministrazione comunale hanno dimostrato grande sensibilità nel ricordare i Caduti”. Chi gli succederà?: “Per ora ancora non si sa poichè la nomina avverrà a Vienna nel corso del mese di ottobre di quest’anno”. (M.P.)

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SOS animali Piné

 di Elisa Corni

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a segretaria dell’associazione SOS Animali Pinè ha una voce allegra e squillante, un sorriso accogliente ma, conversando con lei, le prime cose che si percepiscono sono la tenacia e la professionalità. Si chiama Elisa Villiotti e quest’associazione l’ha vista nascere. «La madre non solo spirituale di questa nostra realtà – dice Villiotti - è stata Mariarosa Mattivi. Lei si è sempre occupata di animali, d’affezione ma anche selvatici». Quello di Mariarosa è un nome noto dalle nostre parti, ma non solo. Volontaria animalista, ha dedicato la sua vita alla tutela degli animali e alla sensi-

bilizzazione delle persone verso i nostri amici pelosi. «Purtroppo Mariarosa ci ha lasciati due anni fa - racconta Elisa con profonda tristezza -. Le sue figlie e io abbiamo deciso di raccogliere e portare avanti la sua eredità», con una visione del volontariato animalista che esce alle volte dai canoni più tradizionali. Parlando con la giovane volontaria è subito emerso che la realtà animalista di cui è membro segue due importanti filoni: quello della ricerca di adozioni e

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quello del monitoraggio del territorio, in collaborazione con la popolazione civile, ma anche con le istituzioni. Da un lato, infatti, SOS Pinè cerca adozioni per cani rimasti orfani qui in Trentino. «Da quando è nata – spiega Villotti - la nostra associazione si è occupata di trecento adozioni, per le quali seguiamo tutto l’iter: preaffido, profilassi sanitarie, adozione e controlli post affido». Ma il loro lavoro esce dai confini della provincia. «Abbiamo adottato – continua - un rifugio in Puglia, Molla l’Osso, e ci occupiamo di spedire loro cibo almeno tre volte l’anno e di fare sensibilizzazione contro il randagismo. E poi, se non dobbiamo cercare casa a cani trentini, portiamo qui dei cani loro ospiti e ci impegniamo nel trovare loro una famiglia». È un processo alle volte difficile. «Siamo estremamente scrupolosi – dice ancora Villotti - nel preaffido: valutiamo le condizioni della famiglia richiedente, il tipo e il carattere del cane, le necessità di entrambi. Quando tutto combacia, allora è fatta». Alle volte non è così semplice. È il caso, per esempio, di Dodo, un cane pugliese che grazie al lavoro di SOS Pinè ha trovato casa a Bressanone. Ma prima di poter essere adottato il piccolino ha dovuto seguire un percorso con un addestratore perché la sua vita da randagio lo aveva reso estremamente pauroso nei confronti degli esseri umani. «Ora sta bene – dice la volontaria -, la sua famiglia ci aggiorna sui suoi progressi. Lo scorso anno è pure andato al mare!». Ma SOS Pinè fa anche molto altro. «Ci occupiamo anche dei cani – spiega Vil-

lotti - che una casa già la hanno, ma che magari non vivono in condizioni ottimali. Per esempio monitoriamo i cani di cacciatori e pastori che spesso hanno una vita a tutto tondo». Elisa, per esempio, si occupa di alcuni cani che non hanno molte occasioni di uscire a fare passeggiate. «In accordo con i proprietari li portiamo fuori», dice. Ma alle volte andare d’accordo non si può. Due anni fa l’associazione si è costituita parte civile in un caso di maltrattamento. Oggi la cagnolona ha trovato una nuova famiglia che le offre tutto l’amore che merita. Come è possibile tutto ciò, chiedo alla segretaria di questa favolosa associazione. «Perché – dice - seguiamo l’insegnamento di una grande maestra: Mariarosa mirava a un’animalismo equilibrato e intelligente, non estremista, che miri alle migliori condizioni per gli animali, ma che sia anche in grado di scendere a compromessi». Per contattare SOS Animali Piné: 348 4297954 (Anna); 328 8284054 (Elisa); 339 1638028 (Claudia); 3490596941 (Jessica); oppure all'indirizzo e-mail: sosanimalipine@gmail.com


«Partecipare e decidere: Novaledo insieme è meglio!» di Franco Zadra 

uesto lo slogan lanciato dalla giunta comunale di Novaledo alla serata informativa di metà mandato che ha incontrato un nutrito pubblico nella sala della Ex Casa Zen. Con la proiezione di alcune slide, il sindaco, Diego Margon, ha cercato di rispondere a interrogativi sorti dalla popolazione nel corso dei tre anni del suo governo, parlando del ruolo che la gestione associata con il Comune di Levico Terme ha avuto nello sbrogliare diverse questioni sospese e in pendenza da troppi anni, destinate altrimenti a revoca dalla Provincia. Tra queste, i marciapiedi, finiti quindici anni fa e non intavolati correttamente; gli asservimenti dell’acquedotto; le strade interne già appaltate. In tre anni di amministrazione comunale la giunta Margon ha potuto impegnare a bilancio e realizzare diverse opere, questo anche grazie ai continui contatti avuti con gli organi politici provinciali e della Comunità di Valle, nello specifico in questo mandato si sono impegnati e recuperati fondi per 1,5 milioni di euro con contropartita di gestione associata per circa 8.800 euro. «Questo sta a dimostrare – ha detto Margon - che la scelta politica fatta già nel 2015 da questa amministrazione è stata assolutamente proficua e costruttiva». Sono

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state presentate poi le convenzioni fatte con i diversi enti. «Tra le più significative – ha detto ancora il sindaco - la gestione acquedotto e fognature in atto con Stet che ha permesso la chiusura di un’opera data per persa in Loc. Oltre Brenta che ha permesso la fornitura del servizio fognature e il successivo ripristino del manto stradale su tutta la frazione. Poi la convenzione con il Consorzio Forestale di Borgo Valsugana, per la realizzazione del ripristino ambientale finanziato dalla Provincia per circa 50mila euro, realizzando in accordo con i proprietari dei fondi una miglioria e sistemazione della montagna a Sud del Paese; la convenzione con la Polizia Locale per il controllo del territorio, dove sono impegnati a bilancio circa 25mila euro per la sistemazione di telecamere che a breve verranno posizionate in punti strategici a completamento dell’impianto di videosorveglianza». L’assessore Lorenzo Angeli ha presentato i progetti messi in campo per le famiglie, il Doposcuola e la Colonia estiva che vede anche un notevole Novaledo - Municipio

Giunta Novaledo contributo da parte del Comune per abbattere i costi a carico delle famiglie. La vicesindaco Barbara Cestele ha parlato del Progetto Azione 19 e 20 associando «la necessità di dare prospettive lavorative a categorie sensibili con l’opportunità di realizzare opere di tipo ambientale e sociale». Ha inoltre presentato il Progetto Camini per il quale è stato seguito un percorso insieme all’assessorato all’ambiente della Pat, l’Appa, e Anfus, e uscirà a breve il bando per la sistemazione delle canne fumarie aperto a tutti i censiti. Riguardo al mancato funzionamento della centralina idroelettrica che ha fatto venir meno un introito importante alle casse comunali, il sindaco comunica che «la giunta ha avviato l’iter giudiziario affinché venga sistemata la centralina e rimborsati i mancati introiti di questi ultimi anni, con rimborso e sistemazione a carico dei responsabili dell’opera». L’assessore Moreno Giongo ha presentato l’adeguamento del Prg alle norme della nuova legge urbanistica, mettendosi a disposizione per considerare le istanze che i cittadini presenteranno. L’assessore Nadia Gasperazzo ha parlato di «una rete di collaborazione con i vari gruppi del paese e le associazioni sportive». Si è poi parlato di assegnazione di sedi alle associazioni, e opere pubbliche eseguite, come la sostituzione dei vecchi corpi luminosi con quelli a led.

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Un armeno a Levico Terme

 di Franco Zadra

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ra nato il 13 settembre 1934 a Dirē Dawa (Dirirdhaba), in Etiopia, sulle rive del fiume Dechatu, ai piedi dell'altopiano di Harare dei monti Ahmar, Nichan Kazandjian, conosciuto e stimato da generazioni di studenti delle scuole elemenari e medie di Levico Terme come il nonno vigile, per 14 anni in quel servizio “speciale”, fino al 2014, assieme a Ferruccio Galler. La data di nascita è anche quella dei suoi primi due fratelli, la sorella primogenita e il fratello Nechess, poiché registrati lo stesso giorno all’anagrafe di Addis Abeba raggiungibile in quegli anni con una certa difficoltà e solo in determinate occasioni. Passato a miglior vita il la sera del 23 aprile 2018 alle 20. Ricordare il suo passaggio al Levico Terme non vuole essere, e non è, un mero esercizio di una memoria pietosa ma, se il nostro pensiero è costituito per la maggior parte da ricordi e l’attività del pensare consiste nel rivivere l’esperienza di persone e cose non più disponibili, allora ricordare Nichan Kazandjian, per un levicense, è anche

un’operazione culturale. Figlio di un profugo armeno, fuggito nel 1925 dalle persecuzioni turche, prima ottomane, poi kemaliste, e rifugiatosi in Germania, cuoco di professione e impiegato sulle navi. Suo padre arrivò a Mogadiscio dopo che la moglie e i due figli piccoli morirono a causa di un virus letale in Germania. A Dirē Dawa trova una famiglia di suoi vicini di casa quando era in Armenia e sposa la più giovane delle figlie di questa. Nichan è il terzo di sei figli, suo fratello appena più giovane di lui morì a pochi mesi per aver ingoiato una boccetta di Chinino lasciata incustodita. Sposatosi con una etiope dalla quale ebbe due figlie. Si separa in Francia quando le figlie sono ancora piccole, si arruola nella Legione Straniera e partecipa al conflitto in Indocina. Da civile si guadagna da vivere come grederista per una ditta italiana in giro per l’Europa. Partecipa ai lavori di una galleria a Salerno e anche all’aeroporto di Genova. Là si infortuna a un ginocchio e ne avrà per otto mesi di convalescenza. Suo fratello Nechess la-

Come Eravamo

vorava a Levico come agente della Secobliz e lo invita a stare con lui. È nei primi anni ‘80, e fino al 1997, che Nichan prende in gestione l'antico «Kaffee Buffet» della stazione ferroviaria succedendo al precedente gestore Bassi. In quel periodo, tutte le sere cena nel vicino ristorante Bar Luna dove fa amicizia con il ristoratore Gianni. Quando lascia il Buffet si dedica al Bar del Campeggio Jolly e poi per un periodo anche a Pergine a vendere automobili. Un ricordo della sua gentilezza da nonno vigile viene dalle bambine che ogni festa della donna ricevevano in regalo un rametto di mimosa, ma si premurava di fornire a sue spese anche i grani d’incenso alla parrocchia, fatti arrivare direttamente dalla Grecia, tramite un suo nipote. Sul suo feretro nella camera mortuaria della casa di riposo san Valentino una bandiera armena. «Persona di grande dignità – lo ricorda il sindaco, Michele Sartori -, e fiero di essere Armeno. Per Levico da vecchio, grazie al nonno vigile, era diventato un’icona». Grazie Nichan

1) Beniamino Froner 2) Gino Fiorentini 3) Luciano Divina 4) Walter Postai 5) Guido Divina 6) Lorenzo Montibeller 7) Renata Furlan 8) Antonia Montibeller 9) Ermete Ciola 10) Guido Boccher 11) Elvira Angeli 12) Lisetta Hoffer 13) Graziella Fiorentini 14) Ivana Boschi 15) Pino Postai 16) Rosaria Postai 17) Livio Froner 18) Grazia Froner 19) Ida Froner Manca solo il nome della bambi na con la faccina semi coperta dal ragaz zino davanti, fra i numeri 15 e 16.

Scolari della frazione LARGANZONI di Roncegno scattata il 1^ marzo 1953.


LA ROTATORIA DI SANTA GIULIANA T

ra le attrattive turistiche che Levico Terme offre ce n’è una alquanto bizzarra e singolare. Sulla strada che porta alla frazione di Santa Giuliana, infatti, è stata costruita una delle rotatorie più inutili d’Italia. Normalmente una rotatoria viene realizzate in prossimità di un incrocio molto frequentato o a ridosso di intersezioni stradali pericolose, e serve per rendere scorrevole il traffico e evitare ingorghi ed incidenti stradali. Quella realizzata nelle vicinanze del Bicigrill di Levico invece, è stata realizzata su una curva, ed è totalmente inutile perché collega ad una strada chiusa al traffico dalla quale non possono arrivare veicolo né la possono imboccare perché vietata al transito. Chi l’ha realizzata però, per non renderla solo inutile, ma anche pericolosa, l’ha posta a lato della strada in modo da essere un autentico intralcio, e molti automobilisti, disorientati di fronte a questo improvviso e insensato ostacolo, non la rispettavano ma la evitavano andando contromano.

A quel punto “i genietti” che l’avevano pensata, resosi conto che avevano fatto un’opera inutile, anziché toglierla e ripristinare la vecchia viabilità, hanno perseverato tenacemente e hanno posizionato uno spartitraffico in modo da obbligare gli automobilisti a fare l’inutile “giro dell’oca” e quindi imboccare la rotatoria. L’intervento però anziché rimediare, ha provocato ulteriori disagi perché la sede stradale è stata ristretta troppo, e su quel tratto si è creato un autentico pericolo per i ciclisti ed i pedoni, in quanto una macchina passa a malapena. Sembra che molti turisti si siano fermati a fotografarla, e che stesse diventando un’attrazione turistica perché rappresenta un monumento contemporaneo

 di Roberto Paccher

simbolo dello spreco di denaro pubblico e della miopia di chi fa certe opere pubbliche. Visto il successo che questa rotatoria sta riscuotendo, bisognerebbe rendere noti, anche il nome del progettista e degli amministratori che l’hanno voluta e realizzata, perché dei simili “geni” non devono rimanere nell’anonimato ma devono avere il giusto riconoscimento.

Come Eravamo In piedi da sx a dx: Tomio Matteo (1850-1913), Armellini Agostino (1879-1925), Armellini Guglielmo (1881-1948), Dandrea Riccardo (1866-1952), Rosso Luigi (1861- 1939), Rosso Giuseppe (1857-1944), Rosso Marcello (1859 -1928), Andriollo Beniamino (1874-1960). Seduti da sx: Tomio Giuseppe (1865-1937), Rosso Francesco (------), Armellini Francesco (1876-1958), Roat Giovanni (1874 -1948).

COMPAGNIA DI CACCIATORI DA OLLE – 1906


LE CRONACHE LEVICO TERME

FABIO RECCHIA…POETA E PITTORE

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a Biblioteca comunale di Levico Terme ha organizzato un incontro con il poeta e pittore levicense Fabio Recchia, per presentare i suoi libri di poesia pubblicati recentemente. La serata si è svolta presso la Sala consiliare del comune ed è stata condotta da Stefano Borile, da sempre impegnato nel mondo poetico e culturale del Trentino. Alle domande di Borile sul poetare di Recchia, che tocca vari argomenti, dall'amore, ai motivi ispirati dalla natura, alla religiosità, ha risposto spiegando le ragioni per cui si scrive. Elena Libardi ha poi letto alcune poesie. Fabio Recchia ha finora pubblicato parecchi libri. Il primo ancora nel 2009 seguito da molti altri, editati dalla casa Editrice Miano di Milano. Altri con la Casa Editrice Pagine di Roma e numerosi in privato. E’ stato fatto rilevare anche la grande soddisfazione di Recchia per le risposte avute dal Presidente della Repubblica, dai due Papi e dai Vescovi del Trentino e dell'Alto Adige, quale ringraziamento dell’invio dei libri a carattere religioso quali Ecce Homo e In Hoc Signo. Il poeta Recchia è stato inserito anche nel Dizionario Autori Italiani 2018 edito Da Miano Editore. Sono il fase di stampa tre nuovi libri, due sempre editi da Miano e da MAGI, con note critiche sulle poesie e sulle opere artistiche di cui un libro è corredato. La terza pubblicazione raccoglie le poesie in italiano e in tedesco che sarà presentata il prossimo 7 giugno 2018 su invito del Sindaco di Hausham, città bavarese gemellata con Levico. Numerosi sono i siti internet che riportano poesie ed opere pittoriche dell'artista Fabio Recchia.(M.P.)

TRENTO

LE FAMIGLIE TRENTINE IN ASSEMBLEA

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n un clima particolarmente sereno e costruttivo, si sono svolti presso la nuova sede di viale Tre Novembre al civico 72, i lavori dell’assemblea generale ordinaria dell’Unione Famiglie Trentine all’Estero - onlus. La giornata è iniziata con la celebrazione di una Messa presso la Cappella del Seminario Maggiore Arcivescovile da parte del vicario evangelico del Clero don Ferruccio Furlan. Poi il gruppo dei partecipanti ha raggiunto la nuova sede per la discussione dell’ordine del giorno che comprendeva pure l’approvazione del bilancio che al 31 dicembre dello scorso anno chiudeva in pareggio. Il presidente Mauro Verones, dopo il saluto di benvenuto, ha ricordato le varie iniziative portate a termine nel corso del 2017 e, fra queste, la recente visita ai discendenti trentini a Solothurn, in Svizzera, dove furono accolti con grande entusiasmo. Un minuto di silenzio ha poi fatto osservare in ricordo del grande benefattore Ferruccio Bolognani recentemente scomparso. Un pensiero del presidente su questa giornata: “Per noi significa la ripartenza dopo un momento di difficoltà, significa voglia di rafforzare quella che è l’amicizia con persone che hanno radici trentine in tutto il mondo. Da quando si è insediato il nuovo consiglio abbiamo già istituito tre nuove diramazioni: una in Colombia, una in Massico e una in Argentina. Da parte dei discendenti trentini abbiamo notato una grande voglia di venire a conoscere la propria terra, tant’è che noi come Unione Famiglie Trentine unitamente all’Associazione Trentini nel Mondo, stiamo collaborando con l’ufficio emigrazione per rafforzare sempre più quello che è il progetto di interscambio giovanile per far sì che le persone conoscano meglio le proprie origini e da questo possa nascere una più solida fratellanza. I soci dell’Unione, senza contare le diramazioni, sono attualmente più di cento e sono in costante aumento da quando, dall’anno scorso, abbiamo iniziato ad attivarci anche a livello territoriale con delle ore nelle scuole in collaborazione anche con il Museo Storico, per raccontare la storia che loro non conoscono, quella dell’emigrazione. Anche la nuova sede che oggi inauguriamo, vuole essere un forte desiderio di innovazione e un chiaro segno di continuità”. Terminati i lavori dell’assemblea, don Furlan ha benedetto la nuova sede e si è proceduto al taglio del nastro da parte dell’ex vicepresidente Giancarlo Filoso con al suo fianco il presidente, la vicepresidente, nonchè il senatore Franco Panizza che fu uno dei Soci fondatori dell’Unione. (M.P.)

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LE CRONACHE LEVICO TERME

AUSER IN ASSEMBLEA

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i è tenuta a Levico Terme l’annuale assemblea generale ordinaria della locale associazione Auser. Presenti una ottantina fra soci e sostenitori, il presidente Fabio Recchia, dopo il saluto di benvenuto e la nomina a presidente dell’assemblea del dott. Guido Orsingher, ha relazionato sull’attività svolta nel 2017 riguardante soprattutto l’assistenza alle persone anziane, gli accompagnamenti in vari ospedali, presso le ASL ed altri enti che hanno comportato un percorso complessivo di poco meno di 9.000 chilometri. Gli associati al 31 dicembre scorso erano 150 di cui 103 di Levico, 38 di Caldonazzo e 9 di altri paesi. Ha ricordato poi le partecipazioni alle varie iniziative come la “Festa delle Associazioni”, i Mercatini di Natale, ed ha rammentato che la sede è aperta dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 11. Presente ai lavori anche la presidente provinciale Chiara Vegher che ha sottolineato l’importanza di queste associazioni che vantano, solo per il Trentino, ben 1700 soci. Anche il primo cittadino di Levico Michele Sartori e il consigliere provinciale Gianpiero Passamani hanno espresso grande apprezzamento per il lavoro e l’impegno di questa benefica associazione. Il presidente Recchia ha consegnato poi i diplomi per i dieci e i venti anni di iscrizione all’AUSER. Questi i più “attempati”, gli iscritti da 20 anni: Elda Doni, Severino Marchesoni, Tullia Piazzarollo, Giuliana Valcanover, Francesca Vergot e Rita Ciola. (M.P.)

LEVICO TERME

I SOCI AVIS

G

rande partecipazione di soci all’assemblea annuale dell’AVIS di Levico Terme. La presidente Loredana Tavernini ha innanzitutto comunicato di essere ritornata alla guida di questa associazione in conseguenza delle dimissioni del presidente Antonio Casagranda che, su richiesta dei vari AVIS territoriali e in piena sintonia con il consiglio direttivo, si è assunto l’impegnativo compito di docente nell’ambito delle varie scuole per sensibilizzare l’importanza sociale ed umanitaria delle donazioni di sangue. Un impegno questo, come lui stesso ha poi confermato, che sta portando grandi soddisfazioni per l’interesse dimostrato dagli scolari delle elementari e delle medie di Levico, Caldonazzo e Calceranica e anche del locale Istituto Alberghiero. La presidente ha poi elencato le varie attività svolte nel corso del 2017, di cui alcune anche in collaborazione con altre associazioni della Valsugana. Una serie di eventi che sostanzialmente si ripeteranno anche nell’anno in corso. Ha comunicato anche che nel corso dello scorso mese di dicembre è stata inaugurata la nuova sede dell’Associazione, in via Battisti e che sarà aperta in orari da stabilirsi ma probabilmente la domenica mattina. Tavernini ha fatto poi osservare un minuto di silenzio in ricordo dei due soci scomparsi durante lo scorso anno: Alberto Martinelli e Giustino Garollo. Ha poi comunicato all’assemblea i dati essenziali: i donatori al 31 dicembre 2017, con i 32 nuovi iscritti, avevano raggiunto quota 229. Le donazioni sono state 257 di cui 241 di sangue intero, 14 plasma e 2 piastrine. Il cassiere Marcello Martinelli, supportato dal segretario Andrea Dallago, ha poi illustrato il bilancio al 31 dicembre scorso che chiude con un saldo attivo di oltre 5.000 euro. Franco Valcanover in rappresentanza dell’AVIS Regionale, dopo aver espresso gratitudine ed orgoglio per l’intersa attività dell’AVIS levicense, ha sottolineato l’importanza di questa associazione nata a livello nazionale nel 1927, quindi 90 anni fa, e che in tutta Italia i donatori attivi sarebbero ben 1.350.000. Il vicesindaco di Levico Laura Fraizingher ha espresso gratitudine ed orgoglio per questa associazione umanitaria per il grande impegno e l’umana solidarietà. Infine sono stati nominati i delegati all’assemblea AVIS equiparata regionale che si terrà a Cembra domenica 15 aprile, nelle persone di Antonio Casagranda e Riccardo Moser. E’ seguito un momento conviviale e, al termine, si è proceduto alla premiazione delle persone benemerite: 18 con medaglia di Bronzo, 17 di argento, 2 di argento dorato e 4 in oro. (M.P.)

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LE CRONACHE

Barco di Levico

IVAN SERGIANI, nuovo presidente

FESTIGGIATO IL 30ESIMO ANNO

N

el corso della recente assemblea è stato nominato presidente del Centro Socio Culturale “Dario Pallaoro” di Barco di Levico, il brigadiere Ivan Sergiani nativo di Rimini ma dal 2001 residente a Levico Terme e in servizio presso la sezione di Polizia Giudiziaria di Trento. Suo vice è stato eletto Andrea Paoli e segretario Patrick Arcais. Sergiani è succeduto al cav. Enzo Libardi, scaduto per compiuto mandato e non più disponibile a ricandidarsi anche perchè di recente gli era stato riaffidato il prestigioso ma impegnativo incarico di presiedente dell’Associazione del Fante di Trento. Il Centro Culturale di Barco ospita la maggior parte delle associazioni levicensi, compreso il Club Subacqueo già presieduto dal brigadiere. Ai lavori dell’assemblea hanno partecipato tutti i rappresentanti delle varie associazioni ospitate nonchè l’assessore comunale Werner Acler. Il programma del nuovo presidente? “Continuare l’attività come per il passato, dando sempre grande risalto alla “Giornata delle Associazioni”, momento in cui tutti i rappresentanti di questi piccoli enti di volontariato possano manifestare i loro obiettivi e poter così seguirli nelle loro iniziative”. (M.P.)

LEVICO TERME

AUGURI E COMPLIMENTI DOTT.SSA LINDA

S

i è brillantemente laureata in Mediazione Linguistica, con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Trento, Linda Vitti di Levico Terme, discutendo con il professore Roberto Peretta la propria tesi su: “Gli effetti della Bandiera Blu, sul turismo di Levico Terme”. Alla neo dottoressa felicitazioni vivissime dai parenti e dagli amici.

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a festa per il 30° anno di fondazione del Gruppo Pensionati e Anziani di Barco, era già stata programmata ancora a febbraio in occasione dell’annuale assemblea degli iscritti. E così una domenica di aprile, oltre cinquanta soci dei quasi duecento iscritti, si sono ritrovati per festeggiare questo evento che è iniziato con una solenne concelebrazione nella parrocchiale del paese da parte dell’arciprete di Levico don Ernesto Ferretti e don Valentino Chiocchetti, solennizzata dai canti del coro del Gruppo. Poi tutti hanno raggiunto un noto ristorante per un pranzo collettivo. Dopo il saluto di benvenuto ad iscritti ed autorità, la presidente Elda Gina Moser ha ricordato i momenti più significativi di questo piccolo ma importante ente, citando anche gli iscritti che nei mesi di marzo ed aprile hanno festeggiato il loro compleanno. Il Gruppo Pensionati e Anziani di Barco venne fondato nel 1987 per volontà di alcune persone capeggiate da Ester Giongo, che fu poi anche alla guida fino all’anno 2000 allorquando subentrò Fulvio Pallaoro e, da qualche anno, è passata alla guida la signora Moser. Presenti al festoso momento il sindaco Michele Sartori ed il consigliere provinciale Gianpiero Passamani che hanno espresso lode al direttivo per l’attività che svolge in favore delle persone non più giovani della comunità. (M.P.)

LE CRONACHE


Che tempo che fa  a cura di Giampaolo Rizzonelli

UN MESE DI MARZO “FINALMENTE” FREDDO E CON PRECIPITAZIONI Come abbiamo già avuto modo di raccontare nel numero di aprile, l’inizio del mese di marzo 2018 è stato caratterizzato da un evento freddo con tempera-

ture decisamente sotto la media e nevicate anche a bassa quota, il tutto a causa di un riscaldamento troposferico (Stratwarming) al Polo Nord.

Temperature (fig.1) PERIODO

In questo numero analizzeremo le temperature rilevate nel corso del mese di marzo che è stato anche contraddistinto da precipitazioni sopra la media.

fig. 2 temperature Italia marzo 2018

MEDIA MEDIA DELLE DELLE MINIME MASSIME

MEDIA DEL MESE

MINIMA ASSOLUTA

MASSIMA ASSOLUTA

MARZO 2018

+1,1°C

+11,0°C

+6,1°C

-5,4°C

+16,9°C

MARZO 2017

+3,1°C

+17,2°C

+10,2°C

-1,3°C

+23,7°C

VALORI NORMALI DAL 1939

+1,0°C

+12,7°C

+6,9°C

Quindi, come si può evincere dalla tabella, un mese di marzo più freddo della media e di ben 4°C più freddo del marzo 2017 che aveva portato un risveglio vegetativo anticipato con le note conseguenze legate alle gelate tardive, se osserviamo solo le temperature massime troviamo addirittura una differenza di 6,2°C rispetto al marzo 2017. Se ci spostiamo da Levico Terme e andiamo a vedere cosa è successo a livello dell’intero Stato Italiano, troviamo dei valori che confermano come il mese di

fig. 3grafico neve Brocon marzo sia stato più freddo delle medie solo per il Nord Italia, e più caldo per Centro e Sud. La tabella di fig. 2 del

CNR/Isac mostra le anomalie rispetto alle medie. Il mese di marzo 2018 si è classificato al 61° posto tra i più caldi dal 1800 e al 159° tra i più freddi sempre dal 1800. Quanto a precipitazioni, in marzo sono caduti 115,8 mm di pioggia o neve fusa in 15 giorni piovosi (giorno in cui cade una quantità di acqua => 1 mm, 1 mm per metro quadrato equivale a 1 litro). Confrontando questi dati con i valori medi dal 1921, che sono rispettivamente 60,1 mm e 6 giorni piovosi, otteniamo che nel marzo 2018 le precipitazioni sono state di ben il 192% superiori alla media, bisogna tornare al marzo 2001 per ritrovare un marzo così piovoso. Significativo anche l’innevamento in montagna rispetto soprattutto all’anno precedente, in questo caso ho preso i dati del nivometro automatico della Provincia Autonoma di Trento – Meteotrentino, posto ai 1608

metri di Malga Marande al Brocon, quest’anno l’innevamento è stato continuativo dal 29 novembre fino al 15 aprile 2018, giorno in cui è stato scritto questo articolo e nel quale c’erano ancora 45 cm di neve al suolo. Nel 2017 la neve si era già completamente sciolta il 18 marzo, e lo spessore massimo si era fermato a 40 cm (l’11/02/2017), quest’anno invece ha raggiunto i 114 cm (il 21/03/18), vedi grafico fig. 3 Sempre secondo i dati forniti dal CNR/Isac, il mese di marzo 2018, a livello di Italia è stato più piovoso del 74% rispetto alla media 1971/2000. L’anno più piovoso fu il 1853 con precipitazioni superiori alla media 1800-2018 del 117%, mentre il più secco fu il 1948 con precipitazioni inferiori sempre a tale media del 95%. (Elaborazioni di Giampaolo Rizzonelli anche su dati forniti anche da Fondazione Edmund Mach e Provincia Autonoma di Trento) giampaolo.rizzonelli@meteolevicoterme.it

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o d n a l l e r e h c o i G E!

Cristini io iz r u a M a cura di

TR U S A N U O L O S

Fra le tre risposte elencate per ogni domanda che segue, scegliete quella che ritenete corretta e riportate la lettera che la caratterizza nello spazio previsto a tale scopo. Leggendo di seguito tali lettere, otterrete un altro nome col quale è conosciuto il Doss Trento, dove sorge il monumento a Cesare Battisti. • • • • • • • •

• • •

Quanti sono i capoluoghi di provincia veneti? RISPOSTE: 7 (m); 6 (p); 8 (t) Chi, tra di loro, nacque a Rovereto? Salvemini (i); De Gasperi (a); Zandonai (o) Chi non è stato uno dei Sette Re di Roma? Numitore (n); Anco Marzio (r); Tullo Ostilio (g) Quanti occhi ha un boscìmano? 2 (t); 4 (d); 8 (a) Da quali metalli è formato l'ottone ? rame e piombo (s); rame e stagno (f); rame e zinco (e) Quale titolo nobiliare vantava Totò? marchese (c); duca (p); principe (v) Da quanti caratteri alfa numerici è costituito il codice fiscale? 16 (e); 17 (a); 18 (s) Inizialmente, quale pezzo degli scacchi occupa la casella in basso a sinistra? cavallo (g); torre (r); alfiere (l) Cosa è l'Erbaluce di Caluso? una razza canina (n); una varietà di cipolla (e); un vino bianco (r) Quale termine indica un passo tipico del cavallo? ambio (u); fox trot (m); antipodo (a) Come si chiamano gli abitanti di Rieti? rietini (b); reatini (c); rietensi (d) Sulle spalline della divisa di un maggiore dell'esercito quali simboli ci sono? una stella e una corona (a); tre stelle (e); due stelle e una fiamma (o)

SOLUZIONI NR. DI APRILE 2018

…... …... …... …... …... …... …...

…... …...

…... …...

…...

Leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo rosso, si otterrà il nome di una classica manifestazione ciclistica trentina. ORIZZONTALI: 1. La dicitura che individua un vino di qualità - 4. Non ha pratica - 11. Il Gianni, pioniere dell'aviazione trentina - 13. Il Domenico che scrisse “L'oro di Napoli”- 15. Caratterizzano i busti del dio Giano - 17. Equivalgono ai CV - 19. Quello del Prinzep si innalza presso Luserna 21. Un elemento all'interno del caminetto - 22. Alla fine degli addii - 23. Sulle sue pendici sorge il rifugio Maranza - 24. La nostra nazionale nelle sigle sportive - 25. Dà nome alla chiesetta dedicata alla Madonna che sorge in Piazza Medici a Levico Terme - 26. Indicazione Geografica - 27. Il Daniele, patriota che proclamò la Repubblica di San Marco - 28. E' opposto ad Off - 29. Forma un solo Comune insieme a Torbole - 31. Capo sul Mediterraneo a sud di Valencia - 32. Le nonne ne hanno tre - 34. ...wide shut, famoso film di Kubrik con Cruise e la Kidman - 35. Sigla che indica l'anonimato - 36. La Aulenti architetto - 38. Un bravo manzoniano - 40. Idrogeno e vanadio per il chimico 41. Corrono nei plastici ferroviari - 43. Le isole con Panarea - 45. Quelli Cantori di Norimberga sono un'opera di Wagner - 48. Sigla dell'acido ribonucleico - 49. La targa di Nuoro - 51. Il Lewis grande atleta statunitense di colore - 52. Nel cuore del bugiardo - 53. Piccole orchidee selvatiche, dal profumo soave, molto protette in Trentino. VERTICALI: 2. Oca... senza coda - 3. Paese della Val Rendena famoso per la produzione di squisiti salami all'aglio - 4. La terza desinenza verbale - 5. Piccola frazione di Trento a sud del capoluogo 6. Il nomignolo del bombardiere B 29 che sganciò la bomba atomica su Hiroshima - 7. La sua cima più alta è il monte Botte Donato - 8. Il lago che scaricando le sue acque nel lago Ontario, origina le cascate del Niagara - 9. La seconda nota - 10. Abitanti di Papeete - 12. Famoso formaggio di Moena - 14. Frazione del comune di Centa San Nicolò - 16. Comune del Garda bresciano di fronte a Malcesine - 18. Nei palazzi rinascimentali era la residenza vera e propria della famiglia - 20. Precedeva il victis esclamato da Brenno - 24. Il più noto fiume del Tirolo - 30. Lo sono le idee più valide - 33. La piazza romana con la Fontana dei Quattro Fiumi - 37. Se si rompono sono guai! 39. Rettili come i carbonazi - 41. A te - 42. Le iniziali della cantante Nada - 44. La nota fornita dal diapason - 46. Il nome dell'ipotetico signor De' Tali - 47. Sono dispari nei rurali - 50. Compose Andrea Chénier (iniz.).

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Il numero di maggio di Valsugana News è stato chiuso in redazione il 3 maggio 2018


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