il caporalato altroconsumo risponde Il Brenta, fiume storto
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ElezionI PER IL RINNOVO DEL CONSIGLIO PROVINCIALE E REGIONALE TRENTINO ALTO ADIGE 21 OTTOBRE 2018
CONDIZIONI DI ACCESSO PER LA DIFFUSIONE DI MESSAGGI POLITICI ELETTORALI SUL PERIODICO VALSUGANA NEWS Si informano gli interessati che il periodico VALSUGANA NEWS, nel rispetto di quanto previsto dall'art. 7, comma 2, della legge 22 febbraio 2000, n° 28, e successive modifiche, pubblicherà nel mese di ottobre 2018, uno SPECIALE ELEZIONI all'interno del quale sono stati previste pagine politiche riservate ai candidati, partiti e movimenti politici. Si informa che i messaggi politici elettorali saranno posizionati in ordine di prenotazione e in spazi chiaramente evidenziati e riconoscibili con modalità uniformi per ciascun candidato, Partito e/o Movimento politico, e recheranno la dicitura “messaggio politico elettorale” con l'indicazione del soggetto politico committente. Si informa, inoltre, che potranno essere pubblicate soltanto le seguenti forme di messaggio politico elettorale: 1) annunci di dibattiti, tavole rotonde, conferenze e discorsi; 2) spazi riservati alla presentazione dei programmi delle varie liste, dei gruppi di candidati e dei candidati; 3) pubblicazioni di confronto tra più candidati.
COSTO SPAZI ELETTORALI: PAGINA INTERA 350,00 + IVA AL 4% - MEZZA PAGINA 200,00 + IVA AL 4% Le modalità, le condizioni di accesso e i prezzi relative alle pagine, agli spazi e ai modulari per la pubblicazione dei messaggi elettorali di cui sopra e relativi alla legge sopracitata, sono disponibili presso GRAFICHE FUTURA (sede della redazione del periodico VALSUGANA NEWS) a Mattarello,Via della Cooperazione, 33. Per info e prenotazioni: direttore@valsugananews.com - info@valsugananews.com Per contatti telefonici: 333 2815103
IL SOMMARIO
Caporalato e caporale ....................................... pag. Il caporalato ...................................................... pag. I caporali ........................................................... pag. La legge contro il caporalato ............................. pag. Punto e a capo.................................................. pag. Bullismo verso gli insegnanti ............................. pag. Agrituristi e agritur............................................ pag. Pionieri dell’accoglienza .................................... pag. L’Italia è un paese rezzista? ............................... pag. Musica e linguaggio .......................................... pag. La tragedia di Monongah.................................. pag. Medicina & Salute: noi e il selfie........................ pag. Alberto Sordi..................................................... pag. Bertha Benz: la prima donna in auto ................. pag. La responsabilità sociale d’impresa .................... pag. Giulio Bertoletti................................................. pag. La Madonna del Feles ....................................... pag. Il Brenta fiume storto ........................................ pag. MO.MO.A. nuova apertura ............................... pag. Il baseball in USA .............................................. pag. Intervista impossibile: Trotula de Ruggiero ......... pag. Don Ferdinando Ochner .................................... pag. Una vera bella amicizia...................................... pag. 3 ERRE ARREDAMENTI: la promozione .............. pag. La grande fontana di Egidio Casagrande ........... pag. Storia artigianato locale del rame e ottone ........ pag. Attenti ai farmaci online.................................... pag. I Borghi più belli d’Italia in Trentino ................... pag. Le cronache ...................................................... pag. Diego Orecchio, poeta di casa nostra ................ pag. Adotta una mucca ............................................ pag. Da Castello Tesino a Shanghai........................... pag. AGRARIA TRENTINA - Le offerte........................ pag. Le miniere dimenticate ...................................... pag. Il Memorial Peruzzi............................................ pag. Pergine: Centro Famiglie ................................... pag. Una luce, una via per Ubuntu............................ pag. Altroconsumo risponde ..................................... pag. Pensionati e assegni in Valsugana...................... pag. Damiano Stenico............................................... pag. Le cronache ...................................................... pag. Una casa per conoscere il bosco ........................ pag. La fotografia di Gios Bernardi............................ pag. Contemporary Art Festival................................. pag. La velica trentina in trasferta ............................. pag. La cronache ...................................................... pag. La Finstral investe in valsugana.......................... pag. Qwan Ki Do, la forza dell’unione....................... pag. Un vero grande successo................................... pag. Le Cronache...................................................... pag. La Chiesa di Santa Zita ...................................... pag. Le cronache ...................................................... pag. Il Tridentinosaurus antiquus............................... pag. Un ritratto al giorno .......................................... pag. Le cronache ...................................................... pag. Luci ed ombre del legno.................................... pag. Attenti ai funghi................................................ pag. Le cronache ...................................................... pag. Che tempo che fa ............................................. pag. Giocherellando.................................................. pag.
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ANNO 4 - SETTEMBRE 2018 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 2815103 direttore@valsugananews.com CONDIRETTORE Franco Zadra - franco.zadra@gmail.com VICEDIRETTORE Chiara Paoli - Elisa Corni COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser COLLABORATORI Waimer Perinelli - Roberto Paccher - Erica Zanghellini Francesco Cantarella - Francesca Gottardi Maurizio Cristini - Alice Rovati - Mario Pacher Laura Fratini - Sabrina Mottes - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover Giampaolo Rizzonelli - Silvia Tarter - Andrea Casna CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE Grafiche Futura srl IMPAGINAZIONE, GRAFICA Grafiche Futura srl STAMPA Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN) PER LA PUBBLICITÀ SU VALSUGANA NEWS info@valsugananews.com www.valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 5.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a GRAFICHE FUTURA srl, le loro pubblicità, le loro immagini i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per di tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.
COMUNICATO DI REDAZIONE Informiamo i nostri lettori che al momento il nostro giornale non è, purtroppo, consultabile in internet all'indirizzo www.valsugananews.com, in quanto il sito è stato oggetto di un attacco hacker da parte di qualcuno al quale Valsugana News ha dato e dà fastidio. Stiamo cercando di risolvere al più presto il problema. Nel frattempo abbiamo provveduto a presentare denuncia alla Polizia Postale affinché individui il colpevole di questo meschino comportamento.
La redazione
Fatti e Misfatti
CAPORALATO E CAPORALE,
nel gergo comune italiano…
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opo le due tragedie che hanno causato, in Puglia e in Molise, la morte di sedici braccianti agricoli, il fenomeno e la piaga del caporalato sono tornati prepotentemente in prima pagina. Tutti i media si sono interessati all’accaduto dedicando moltissime pagine ed evidenziando il triste problema dello sfruttamento umano. Purtroppo, dopo tanto can-can, conosco bene il finale della storia e come andrà a finire. Anche in questo caso, dopo la grande risonanza mediatica e dopo i logici e naturali interventi della politica e della magistratura, nulla o poco si farà. Come già accaduto in passato e dopo la conseguente indignazione, i riflettori su questa e tante analoghe tragedie, e sul caporalato, con annessi e connessi, saranno spenti e il buio dello sfruttamento continuerà come prima e più di prima. Perché? Semplice. Perché, come tradizione italiana vuole, anche in questo caso entreranno in scena le tre famose scimmiette* del…”non vedo, non sento e non parlo”. Ed io, di scimmiette, permettetemi, ne voglio aggiungere
una quarta e una quinta: “non c’ero” e “se c’ero dormivo”. Sono tuttavia certo che qualche provvedimento e qualche specifica indagine saranno fatti. Saranno emessi avvisi di garanzia e di responsabilità penale nei confronti di questo o di quello, caporali e di proprietari terrieri, e certamente anche provvedimenti da parte del Governo e dei vari Ministeri. Ma poi, alla fine, il sipario calerà e tutto ritornerà come prima. Molti ricorderanno che già nel 1990, il nostro grande attore Michele Placido esordì come regista realizzando il famoso film “Pummarò”, che appunto raccontava e faceva luce proprio sulla vita dei raccoglitori di pomodori e del loro sfruttamento. Da allora tanta acqua è passata
*Le “Tre Scimmie Sacre” (chiamate anche le “Tre scimmie mistiche”) sono un’antica icona sacra il cui significato originale è stato volutamente nascosto dalla Elite. Conoscere la verità sulla secolare direttiva del “non vedere il male”, “non sentire il male”, e “non parlare del male”.
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ALSUGANA NEWS
di Armando Munaò
Da il Salvagente
sotto i conosciuti ponti, ma l’acqua marcescente e puzzolente della palude “caporalato e caporali” e dello sfruttamento del lavoro umano è sempre presente ed è più putrida che mai. Sono le baraccopoli, tendopoli, accampamenti fatiscenti e tuguri inabitabili che ne testimoniano, di là di ogni ragionevole dubbio, l’esistenza. Di baraccopoli e tendopoli ce ne sono davvero tante, e alcune ospitano anche più di mille lavoratori. Come in bella mostra sono i pullman e i furgoni che tutti i giorni si dedicano al trasporto di uomini e donne. Automezzi facilmente identificabili e ben visibili. Non lo sono per chi non li vuole vedere o gira la testa dall’altra parte. A oggi, dati ufficiali e certi sull’estensione del fenomeno caporalato che negli ultimi anni è stato raccontato da diverse inchieste giornalistiche e indagini, non ce ne sono, ma secondo l’Istat, il lavoro irregolare in agricoltura, cui è associato comunemente lo sfruttamento, non di rado anche in schiavitù, è in costante e progressiva crescita da vent’anni a que-
Fatti e Misfatti sta parte. Se da un lato molti studiosi del fenomeno sono unanimi nell’affermare che non tutto il caporalato sia riconducibile a forme di neo-schiavismo, dall’altro sono tantissimi coloro i quali sostengono, e non a torto, che sempre e con maggiore intensità esso si manifesta in clamorosi casi di riduzione in schiavitù. A tal proposito vale la pena di ricordare l’articolo 600 del Codice Penale che bene descrive il significato di “schiavitù e soggezione continuativa”: «La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione - vi si legge -, ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione d’inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona». Riproducendosi su larga scala, e per migliaia di lavoratori, tale «soggezione continuativa» diviene elemento strutturale del lavoro agricolo (e, in misura meno appariscente ma ugualmente grave, in altri ambiti come l’edilizia). Del caporalato una cosa è però certa: non solo tutti i governi e i politici che si sono succeduti, in tantissimi anni, nei vari ministeri, indubbiamente hanno sottovalutato questo fenomeno (qualche cattivo pensatore potrebbe dire che lo hanno anche ignorato per fini elettorali o di interesse personale), ma senza ombra di dubbio questa complessa realtà dei giorni nostri sembra godere (sembra?) della protezione di personaggi anche di rilievo, nell'ambito mafioso o politico, non volendo riconoscere che, di fatto, ci troviamo davanti a un qualcosa di grandi proporzioni malavitose. E i sindacati? Ai posteri l’ardua sentenza.
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Viaggio al centro del caporalato- da Letteradonna
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Fatti e Misfatti
IL CAPORALATO I l caporalato nasce in Italia, ma anche nel resto del mondo, come forma di reclutamento di manodopera, a basso costo, per conto di proprietari terrieri o imprenditori agricoli. Nel vero significato del termine, è un sistema di organizzazione del lavoro agricolo temporaneo che utilizza braccianti che possono andare da pochi individui a diverse centinaia. Questo sistema di lavoro si basa e vive sulle capacità di particolari mediatori illegali di manodopera che operano per conto e su richiesta dei proprietari terrieri. Sono loro che oltre a stabilire i compensi orari o giornalieri da riconoscere, trattengono una parte della paga che viene corrisposta dal proprietario ai braccianti i quali pagano al caporale anche 5 euro a testa per il trasporto nei luoghi di lavoro. Per la cronaca, in ogni furgone si stipano anche 15/20 lavoratori e ogni bracciante riesce a riempire anche quindici cassoni. Dalla seconda metà del '900, la figura e la pratica del caporale e quindi del caporalato, sempre di più è stata riconosciuta come attività della criminalità
organizzata volta all'elusione della disciplina sul lavoro, che mira allo sfruttamento illegale della manodopera, ai limiti della schiavitù organizzata e con salari e compensi orari “da fame”, senza riconoscere al lavoratore alcuna copertura previdenziale, di garanzia e di tutela previste dalla legge, e senza pagare le imposte previste dalle normative. Un vero business grazie al quale clan mafiosi, proprietari terrieri, imprenditori agricoli e caporali si spartiscono tutti i proventi del lavoro a “basso costo”. Il caporalato, ed è un fatto oramai arcinoto, è spesso collegato a organizzazioni malavitose e quasi sempre trova grande riscontro nelle fasce più deboli e disagiate della popolazione, per esempio tra i lavoratori immigrati (come gli extracomunitari) che facilmente e per bisogni di vita e in gravi difficoltà economiche finiscono nelle mani di queste
Caporalato, lavoro nero nei campi di pomodori. Da Il Tabloid
Baracche
persone che li riducono in condizioni di schiavitù e dipendenza. Secondo il terzo rapporto Agromafie e Caporalato, realizzato dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil, impegnata da anni a studiare il fenomeno, il valore quantificato di business sulla pelle della manodopera agricola è di circa 4,8 miliardi di euro. Numeri che tornano d’attualità dopo la duplice tragedia dove hanno perso la vita in pochi giorni 16 braccianti stranieri. Un bilancio che, tra agromafie e la gestione del lavoro nero, sia per infiltrazione mafiosa e sia tramite il caporalato, muove un’economia illegale e sommersa con un volume d’affari tra i 14 e i 17 miliardi di euro. E non è tutto, perché, secondo i dati presentati a Palazzo Chigi, il caporalato danneggia il nostro Paese per oltre 650 milioni di euro all’anno per il mancato gettito contributivo. Il rapporto ha anche individuato circa 80 distretti agricoli indistintamente dal Nord al Sud Italia e quantificato tra 400mila e 430mila le persone soggette a sfruttamento, tra italiani e stranieri. Uno sfruttamento che riguarda anche le donne, generalmente italiane: in Puglia sono circa 40mila, con paghe che non superano i 25/30 euro per dieci ore di raccolta nei campi. (A.M.)
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Fatti e Misfatti
I CAPORALI S
ono i reclutatori della manodopera a basso costo che dettano le leggi del lavoro “nero” e che per il loro “impegno” ricevono almeno tre compensi: uno da parte del proprietario terriero per aver trovato i braccianti e gli altri due a carico dei lavoratori, sia per aver procurato loro il lavoro e sia per il trasporto verso i campi di raccolta. Nella tradizione popolare legata a questo fenomeno, esistono diverse figure di caporale: il caporale lavoratore, detto anche “caponero” che organizza le squadre e si occupa del trasporto. Il caporale “tassista” che si limita a gestire il trasporto. Il caporale “venditore” che dapprima organizza le squadre e il trasporto e poi impone, ai lavoratori, anche l’acquisto dei beni di prima necessità. Il caporale “amministratore” che opera e gestisce il tutto per nome e per conto dei proprietari, e ancora la figura peggiore, il caporale “aguzzino” che utilizza una continua violenza, anche sessuale, e sottrae i documenti. Infine il caporale “mafioso”, quasi sempre colluso con la criminalità organizzata.
Per quest’ultimo il caporalato è solo una delle tante attività. A volte pratica la tratta di esseri umani, truffa per documenti falsi e all’Inps, estorsioni, riciclaggio, e non di rado la vendita di giovani ragazze destinate poi alla prostituzione. Riesce a gestire centinaia di lavoratori e moltissimi furgoni per il loro trasporto. Sono i proprietari dei campi che, se da una parte affidano l’incarico a questi personaggi per trovare lavoratori, dall’altra ne hanno anche paura poiché sono delinquenti. Alla fine, però, tutti ci guadagnano, tranne i poveri “disgraziati” che si vedono annullare ogni forma di diritto, lavorano dodici ore al giorno sotto il sole, a volte fino alle estreme conseguenze. Accampati in tendopoli o stipati in ghetti fatiscenti senza acqua, servizi igienici, e fognature; senza regole, senza leggi. Dove l’unica parola che conta è quella del caporale che sfrutta gli stranieri con o senza permesso di soggiorno che si trovano in una condizione di estrema ricattabilità. Oggi “l’azienda e l’organizzazione del caporalato” sono composte da una fitta
rete di capi, caporali e sotto-caporali che sono spesso in contatto con analoghe strutture da regione a regione, perchè i caporali, che possono avere a testa anche 7/8 campi di raccolta, non possono gestire da soli tutto. Ecco perché si avvalgono di assistenti, sottocapi e autisti cui affidare il trasporto dei braccianti. Non solo, mentre una volta i caporali erano di cittadinanza italiana e per lo più meridionali, oggi esiste un elemento di novità che accomuna i nuovi gestori del lavoro “nero”, perché con la globalizzazione e l’incidenza dei fenomeni malavitosi, la provenienza geografica dei caporali è divenuta una variabile che incide fortemente sul reclutamento dei braccianti. Sempre di più si scopre, infatti, che i nuovi caporali appartengono a diverse nazionalità (tunisine, nigeriane, albanesi) e che in tale veste si adoperano al reclutamento di “schiavi” appartenenti ai loro paesi di provenienza, vittime di condizioni di sottomissione e di sfruttamento ancora maggiori. (A.M.) Raccolta di pomodori a Nardò - da artribune.com
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Fatti e Misfatti
LA LEGGE CONTRO IL CAPORALATO C’È, MA...
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'art. 12 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, ha introdotto nel codice penale italiano il nuovo reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Le pene previste per i cosiddetti "caporali" sono la reclusione da cinque
Raccolta di pomodori a Nardò - da artribune.com
a otto anni e una multa da 1000 a 2000 Euro per ogni lavoratore coinvolto. Il governo ha annunciato il ricorso a strumenti normativi per punire gravemente, fino alla confisca dei beni, le aziende che utilizzano manodopera tramite il caporalato, mentre sui media si è sottolineato che il problema risiede principalmente nell'intermediazione, mascherata da forme solo in apparenza con una rispettabilità legale (false cooperative, filiali inquinate di agenzie di lavoro interinale). Il 18 ottobre 2016 la Camera approva il disegno di legge per il contrasto al caporalato e al lavoro nero. Dopo quasi due anni dall’approvazione della legge sul caporalato, (18 ottobre
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2016) e del protocollo nazionale voluto da tre ministeri (Interno, Lavoro, e Agricoltura) per concretizzare la lotta allo sfruttamento del lavoro nero, specialmente in agricoltura, siamo, purtroppo, al punto di partenza. Tutto come prima e niente di nuovo all’orizzonte. Nulla è cambiato, e poco, veramente poco, si è fatto per contrastare veramente il fenomeno del caporalato che è più vivo, più vegeto e più prosperoso che mai. E sono i numeri che certificano questa situazione che è, per il nostro paese, una vera vergogna. Si pensa che in Italia sono oltre 500mila i lavoratori stagionali irregolari di cui almeno 100mila vittime di sfruttamento e sottomessi alle prepotenze dei padroni terrieri e dei caporali. Di questi oltre l’ottanta e passa per cento è rappresentato da lavoratori migranti, veri schiavi dell’era moderna quotidianamente sottoposti a continui abusi e a situazioni di vita incredibili per un paese che si definisce civile. Altri numeri preoccupanti ci vengono forniti dal Rapporto annuale dell'attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale dell'Ispettorato nazionale
del lavoro, dove si evidenzia che nel 2017 sono state effettuate 7265 ispezioni che hanno portato ad accertare la presenza di 5222 lavoratori irregolari, di cui 3549 in nero per un tasso di irregolarità pari al 50%. Le attività di polizia giudiziaria hanno inoltre permesso di individuare 386 lavoratori agricoli vittime di sfruttamento. Eppure, tutti noi, Governo, politica, magistratura, polizia, e sindacati, siamo a conoscenza del trattamento che subiscono questi lavoratori: stipendi da vera fame quantificati in circa 2 euro e mezzo l’ora, oppure 4,5 euro per ogni cassone di tre quintali di pomodoro. Di quest’ultima cifra, 50 centesimi devono essere riconosciuti al caporale; la sistematica e continua violazione delle leggi in materia di orario di lavoro; condizioni di lavoro massacranti e una qualità di vita decisamente precaria e impensabile che quasi sempre li costringe a vivere in tuguri fatiscenti, tendopoli o container; un controllo pressoché totale delle loro vite da parte dei datori di lavoro, caporali compresi; abusi sessuali, fisici o verbali e violenza nei confronti delle donne. (A.M.) Braccianti raccolta pomodori - da baiblog
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di Waimer Perinelli
ALLAGARE LA VALSUGANA CONTROMANO: FALSITà E FARSE G
li austriaci una ne fanno e cento ne pensano. Quando il Trentino era parte dell'Impero i tecnici di Francesco Giuseppe progettarono di allagare la Valsugana e costruire un' acquastrada con cui le navi cariche di merci arrivassero in Veneto. Se così si fosse fatto con l'acqua dei laghi di Caldonazzo e Levico e del fiume Brenta, si sarebbe annegata la ferrovia e oggi non ci sarebbe il tormentone sulla
che tecnico, sulle carte celate “nelle segrete stanze del tavolo Trentino-Veneto-Ministero”. In attesa che qualcuno batta un colpo dobbiamo ricorrere ancora una volta ai tecnici austroungarici per sognare. Sempre con l'acqua dei laghi pensavano di limitarsi ad allagare la zona fino a Novaledo, forando anche il Colle di Tenna. Si formava così un grande unico lago su cui avrebbero navigato traghetti carichi di turisti
statale 47, giudicata dal neo sottosegretario Fraccaro “una distrazione di massa” e sulla salvaguardia dei pomari. L'idea assomiglia al progetto di fare groviera della Vigolana per mandare camion e ferrovia a sud di Trento dove c'erano le caserme ed ora seminano sogni e incubi. Carlo Stefenelli, per dieci anni sindaco di Levico Terme, giudica l'idea devastante per l'intera vallata che evidentemente sarebbe allagata dall'asfalto, cemento e ferro e chiede un confronto, an-
in pausa termale. Questi tecnici visionari pensavano poi di trasportare da Santa Giuliana in cabinovia gli stessi turisti sugli Altipiani, a Luserna, Folgaria, Lavarone e con la tranvia o in bicicletta fino ad Asiago. Qualcosa di simile è stato fatto sull'Altipiano del Renon, sopra Bolzano. Un’idea turistica per la valle che di turismo campa. Ma i visitatori si fanno sempre più esigenti e la concorrenza più agguerrita: aria buona, polenta e cordialità ormai non mancano più a nessuno.
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o provato, in sogno, il brivido di pedalare contromano sulla strada statale 47 della Valsugana. Prima e dopo di me una decina di turisti olandesi e veneti che avevano scambiato la striscia bianca laterale per una ciclabile. Non c'era il visionario Alex Faggioni, presidente di un comitato no Valdastico che sogna “La sponda orientale del lago di Caldonazzo priva di traffico” dice che sarebbe bellissimo ma non dice come fare senza altre strade, gallerie e viadotti. Non c'erano gli amministratori attuali e passati, impegnati a godersi il vitalizio, a cui nessuno imputa le decine di croci di cui è costellata la strada. Io ho pedalato, pensando a loro, respirando aria marcia di fumo e smog. Ho perfino incrociato un'auto della polizia locale che non si è fermata. Avrei spiegato agli agenti che dove ero entrato in super strada non c'erano segnali di proibizione. Ho visto alcuni lavori sulla sponda del lago senza i cartelli di legge: autorizzazioni, proprietari, direzione lavori... Poi è arrivata la Forestale con le fasce bianco rosse. Ho pedalato su questa strada che da 70 anni attende giustizia e la rabbia per l'impotenza, le mancate promesse, la falsità, la farsa delle soluzioni, mi ha avvelenato la giornata. Più dello smog. Ho capito che molto deve cambiare, non è vero che i sogni finiscono all’alba.
BULLISMO VERSO GLI INSEGNATI U
n nuovo anno scolastico è alle porte e per molti rappresentanti del sistema sarà un “passaggio sfidante”: molte le aspettative, le incertezze e le paure. Tale situazione fa riferimento ad un anno passato sconcertante su più versanti, in particolare sulla disavventura quotidiana fatta di minacce, insulti e aggressioni subita da diversi insegnati. Un’escalation di bullismo rivolto ai docenti da parte di alunni e di genitori, un resoconto 2018 preoccupante e significativo. Disinvestimento relazionale e mancanza di riconoscimento nella figura del docente sono espressione di un clima di cambiamento che rispetto al passato sta avvenendo nel nostro sistema istituzionale. Un clima d’incertezza incarnato dalla figura stessa, precario costantemente per il sistema, in balia di riforme spesso poco comprensibili e legato a rigidi programmi ministeriali; ogni volta che viene ritratta tale impotenza della figura o pubblicizzati episodi che sembrano sancire l’inefficacia dell’azione scolastica non si fa altro che sfatare l’autorità della realtà educativa e marcare un nuovo rapporto insegnante-alunno-genitore, non più verticale, ma orizzontale, si confrontano alla pari. Se da un lato si ha questa situazione disturbata all’interno dell’istituzione, dall’altra si è di fronte a una realtà sociale con le sue contraddizioni, il pluralismo delle culture, la fragilità della famiglia oggi, il peso culturale e sociale dei nuovi media: entra in classe ciò che i giovani vivono fuori. Non si può guardare in modo riduttivo al ruolo insegnante in una società di tale complessità; non si può parlare di emergenza educativa, ma di manifestazione di un
disagio e di un malessere. Mamme e papà inferociti per la pagella del figlio aggrediscono il proff., uno studente scontento dell’insufficienza picchia l’insegnate, le minacce sembrano il minimo tra gli insulti e le imposizioni. Un chiaro fallimento dell’azione educativa, ma a partire dalla prima socializzazione rappresentata dalla famiglia. Lo stile educativo genitoriale oggi è confuso e difficile, da un lato autoritario, basato
sul controllo piuttosto che sull’insegnamento del dialogo, dell’autocontrollo e l’autoregolazione, dall’altro basato su un rapporto alla pari sino alla cancellazione dei ruoli. Le nuove generazioni appaiono mancanti di confini e modelli di comportamento sicuri e di riferimento. Cresce una realtà con caratteristiche narcisistiche e d’impulsività. I ragazzi tendono a percepire solo se stessi, hanno una posizione egocentrica che regola il proprio comportamento e dall’altra l’impulsività si lega alla mancanza d tollerare frustrazioni, alle quali si risponde in modo immediato.
di Patrizia Rapposelli
Il genitore moderno è portato ad assumere la felicità spensierata del figlio come parametro di base, rinunciando al ruolo educativo e all’impegno soggettivo che lo sostiene. Si esclude dall’esperienza dei ragazzi l’incontro con l’ostacolo, si spiana il terreno da ogni difficoltà per evitare l’incontro con il reale. I docenti rappresentano l’ostacolo per un genitore e per il figlio una non autorità, come spesso è considerata la figura genitoriale stessa. La scuola è da sempre esperienza personale universale e piattaforma di lancio della vita lavorativa che forma i giovani nella coscienza di sé e nel senso civico, nella promozione individuale e sull’uguaglianza delle opportunità, ma oggi deve essere all’altezza della sfida. I docenti devono ri-interpretare la loro funzione educativa e sociale in un luogo in cui si intrecciano molte dimensioni conflittuali e confuse, ma forse stiamo chiedendo troppo. La società entra in classe attraverso le richieste che rivolge alla scuola, ma ci si è dimenticati che gli insegnanti non devono sostituirsi alla figura genitoriale e che i genitori non sono coetanei dei figli.
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Viaggio nel mondo dove il contadino diventa oste e l'ospite riscopre sapori e riti persi in città. Ma anche le rose più belle non mancano di spine.
AGRITURISTI E AGRITUR chi visita e chi ospita
di Waimer Perinelli
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adonna di Campiglio fine anni 60. In una malga si mungono le mucche ed una gentile signorina di città chiede con curiosità all'allevatore “Quando smette di mungere la mucca?”. L'uomo traballa sullo scraniel de molzer, si gira e sorpreso, con gli occhi che ridono, dice “Quando no ghé pu lat”. Erano ancora i tempi del ragazzo della via Gluck, la città si compenetrava nella campagna coltivata e non con capannoni, baraccopoli, quartieri senza storia, scarsa socializzazione e discariche. Cantava Adriano Celentano :” Là dove c'era l'erba ora c'è una città.....” e con la scomparsa dei campi, delle stalle se n'è andata la conoscenza della natura tanto che negli anni 80 un'indagine ha rivelato come molti bimbi delle scuole elementari pensavano il latte fosse fabbricato come le sedie, le biciclette, le automobili. Di male in peggio, tuttavia proprio in quel periodo nasce l'idea di trasformare l'incontro casuale vacanzieri cittadini e mondo agricolo in qualcosa di culturale, formativo. L'agricoltore abbandona la diffidenza verso la città e capisce che l'ospitalità da passiva, con l'offerta temporanea di una o più stanze in affitto, può diventare attiva con la promozione dei prodotti, la vendita, la degustazione e la sua casa trasformata in albergo. Nasce una piccola cooperativa fra agritu-
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risti, ma non va a buon fine. E’ evidente serve un’associazione forte con mansioni organizzative, di collegamento, d’indirizzo. Si capisce che non bastano la semplicità, la genuinità. Il turista apprezza fino ad un certo punto l’odore forte dello stallatico, il grugnito del maiale, il canto mattutino del gallo e non vuole nemmeno rinunciare a qualche comodità. Dalle stalle alle stelle, anzi alle margherite, perché la cultura del ristorante o albergo cresce così velocemente che l'Associazione Agrituristi del Trentino, attuando una legge provinciale del 2001, introduce una classificazione vicina alle stelle della guida internazionale Michelin affidandone la testimonianza alla margherita, modesta, timida ma tenace regina dei prati. Dai prati del Baldo viene Valerio Bongiovanni, primo presidente dell’Associazione Agrituristi Trentini che, in
una terra dove si vanta l’associazionismo, si trova, a sorpresa, subito contrastato da un’altra associazione e ci vorrà Graziano Lozzer, nel 2004, per portare la pace fra i contadini diventati imprenditori turistici. Una tregua, più che pace, visto che dei 478 agriturismi trentini regolarmente censiti dalla Provincia, all’Associazione ne risultano iscritti 320 mentre gli altri hanno scelto di aderire a categorie commerciali diverse o agire da liberi battitori. La normativa provinciale non pone limiti se non di formazione e professionalità alle quali si provvede anche con corsi abilitanti organizzati dall’Accademia d’Impresa. “L’accoglienza, dice Manuel Cosi, attuale presidente dell’Associazione, deve essere professionale nella ristorazione come nell’ospitalità.“ Si devono conoscere le lingue straniere perché il 39 per cento degli arrivi proviene da fuori Italia. Fra gli stranieri i più assidui e fedeli sono i tedeschi con il 65 per cento seguiti da olandesi e austriaci con quasi il 18 per cento per entrambi. Non è facile essere agrituristi. Bisogna avere esperienza e campagna, avere capacità organizzativa, contabile e cortesia. Sono qualità ben presenti in Trentino se ogni anno sono 25 i nuovi agritur. Erano 367 a fine 2011, 445 a fine 2015, 458 a fine 2016. Lo scorso anno, come detto, ancora venti di più. Non mancano tuttavia le chiusure.
“Non molte, marginali, per fortuna, dice Cosi, e in maggioranza si tratta di aziende medio-piccole con problemi familiari”. Pensando ai piccoli è stata accettata la possibilità di servire produzioni extra aziendali ma, sottolinea la legge provinciale “purchè siano prodotti trentini”. L’autonomia non è però il solo problema. Essere agricoltori, ristoratori e albergatori non è facile, nelle aziende minori a conduzione familiare, basta la rinuncia di uno o due membri per aprire la crisi. Per comprendere bene questi fenomeni
bisogna distinguere le diverse attività agrituristiche. Delle 478 attività citate 89 offrono il solo servizio di ristorazione; 227 solo il servizio di accoglienza; 102 entrambe le cose. Ci sono poi 129 strutture che fanno fattoria didattica, ovvero dispongono di personale qualificato per illustrare le diverse attività e le necessità degli animali allevati e 168 che non fanno ristorazione ma offrono comunque la degustazione dei propri prodotti aziendali. Un mondo molto vario dove sopravvivono meglio le imprese con ampia attività agricola. “Sia chiaro, dice Cosi, gli agritur per definizione devono essere prima di tutto aziende agricole, ma non basta produrre bisogna saper commercializzare ed ospitare”. Nessun contrasto con gli albergatori. Ognuno è padrone nel proprio campo. Per l’agricoltore il reddito derivante dall’ ospitalità è solo integrativo, ma il lavoro che svolge difende il territorio e la tradizione ovvero i fattori che qualificano la campagna promozionale di Tren-
tino Marketing con la diversificazione dell’offerta e specificità di ambito. A proposito di ambito c’è una distonia fra classificazione per Comunità di Valle e Associazione Agriturismo. In Valsugana per esempio fra le 33 aziende di agriturismo riconosciute, molte appartengono agli altipiani di Pinè e della Vigolana che poco hanno da spartire con la Valle incantata di Musil. Tredici sono le aziende di cui sono titolari le donne, che, è noto, in agricoltura, nell’ospitalità e nell’amministrazione sono impegnate da sempre. E sono davvero brave e sagge.
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PIONIERI DELL'ACCOGLIENZA
AGRITUR MARTINELLI A CENTA
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uido Martinelli e Maria Ciola erano due giovani agricoltori quando 41 anni fa scelsero di trasformare l'azienda agricola arroccata sulla montagna a sud est di Centa San Nicolò, in un centro di accoglienza. Avevano la mucca ed il maiale, le galline, i conigli, le pecore e un po' di esperienza maturata affittando ai turisti alcune camere. I più socievoli accettavano di sedere alla stessa tavola per consumare il pranzo o la cena. Il maso affacciato sulla valle del torrente Centa era stato prima ancora osteria a cui salivano i giovanotti di Caldonazzo e Levico. Il vino era prodotto con l'uva delle vigne piantate sulla collina di Brenta in località “il vignal de la pontara”. Mille metri ancora oggi in produzione con viti tradizionali di Pavana, Schiava e Negrara a cui hanno aggiunto il Cabernet che da più corpo e quel retrogusto leggermente amaro, di peperone verde dicono gli esperti, che caratterizza il loro vino rosso. Oggi Guido e Maria Ciola sua moglie, hanno rispettivamente 86 e 78 anni. Quando accettarono la sfida la parola Agritur, acronimo di agricoltura e turismo, indicava un mondo semisconosciuto, con nessuna o poche regole.
Entrarono con altri sei pionieri in una cooperativa soffocata presto dalla diffidenza e incomprensione. Ma loro non rinnegarono il progetto. L'idea era di ospitare le persone offrendo i prodotti frutto del lavoro in azienda. “Papà Guido, ricorda il figlio Lauro, era ed è particolarmente orgoglioso dei fagioloni scuri, i cui semi vengono dalla Moravia e furono portati dai genitori quando tornarono dall'esilio imposto dalla Guerra”. Lauro ed il fratello Fiorello, con le rispettive mogli, sono subentrati ai genitori ed hanno modernizzato e ampliato l'attività. Non hanno più la mucca ed il maiale le cui regole di macellazione sono applicabili solo per attività ampie, ma conservano l'allevamento delle galline, dei conigli, delle pecore. Gli ortaggi prodotti sono tanti e poi ci sono i mirtilli le patate, coltivate al maso Tiecheri e il mais. Per macinare il grano, delle qualità tradizionali Spin e Marano usano una macina speciale in pietra, mossa da un motore elettrico. Ora i turisti non siedono più a tavola con loro. Anzi. La cucina è grande, le sale sono tre e gli avventori provenienti dal Trentino, Veneto, Alto Adige e Germania possono mangiare le ricette dei nonni con lo spezzatino, il
coniglio, il pollo e tanta tanta verdura. C'è anche il menù speciale delle castagne che da queste parti maturano su piante secolari. Guido è al secondo mandato nel direttivo dell'Associazione Agriturismo Trentino della quale è un convinto sostenitore. “E un'Associazione trasparente, dice, dove tutti conoscono il lavoro che viene fatto. E' grazie ad essa se si è affermata la regola che l' agritur può compensare una temporanea scarsa produzione acquistando prodotti che devono essere rigorosamente trentini”. L'Agritur Martinelli è oggi solo un'azienda di produzione e consumo, non offre più alloggio. Ma Lauro e Fiorello hanno l'ospitalità nel sangue ed hanno affittato dal Comune la malga Filadonna in località Sindech del Passo della Fricca e per chi vuole c'è l' offerta del soggiorno settimanale o di fine settimana. Il racconto si chiude con una considerazione sulla forza della tradizione, la capacità di trasmettere passione e competenza ai propri figli, la loro voglia di innovare. L'unione poi fa la forza e l'associazionismo è la spina dorsale del Trentino. (W.P.)
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L'Italia
è un paese
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RAZZISTA Oggi, praticare l'ospitalità appare sempre più difficile», sosteneva Enzo Bianchi in un articolo di 8 anni fa ("Ospitate in voi l'ospitalità", Il Sole 24 Ore, 23/05/2010), ma oggi, trascorso un decennio, questa citazione è ancora attuale? Visti i recenti casi di cronaca, sembrerebbe proprio di sì. Ma che cosa ha scatenato questo clima nazionale di tensione e di rabbia? Cosa si intende per ospitalità? E soprattutto: che cos'è il razzismo? Se per razzismo si intende "l'ideologia che attribuisce superiori qualità biolo-
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cora oggi tra guerre tribali africane, sistema delle caste indù, e l'ormai famoso autista di Trentino Trasporti. Tuttavia, penso che questi spiacevoli e preoccupanti episodi siano in risposta (sbagliata) a un problema (reale). Non possiamo fingere che in Italia non ci sia un clima di forte tensione sociale riguardo ai flussi migratori provenienti, in larga parte, dalle coste nordafricane. Non possiamo neppure negare che le immagini che scorrono sugli schermi televisivi riguardo agli ospiti dei centri di accoglienza che gettano via il cibo e
giche e culturali a una razza" e che considera inferiori le altre etnie, tanto da autorizzare la persecuzione o «l'atteggiamento di disprezzo e intolleranza» nei confronti di chi è diverso, allora va certamente condannato e sradicato con ogni mezzo. È un'ideologia che nel corso della storia ha indossato divise da SS e spaventosi cappucci bianchi, ma che serpeggia an-
protestano per avere il collegamento a Internet o l'abbonamento a Sky, o vengono ospitati in hotel mentre un'anziana terremotata ultranovantenne rischia lo sfratto, non contribuiscano a far levitare la tensione. Per non parlare dell'imam genovese espulso recentemente per incitamento alla Jihad, la "guerra santa" dell'Islam. Se poi ci aggiungiamo l'omicidio della
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Che cosa pensano i nostri adolescenti del problema dei migranti? Ci è data l’occasione di farcene un’idea dalla lettura di un tema di italiano assegnato, l’anno appena trascorso, a una terza superiore dell’Istituto Marie Curie di Pergine Valsugana, in questo caso un tema che ha ricevuto il massimo voto (10), l’autore del quale ha inquadrato il problema dentro una prospettiva comprensibile, usando dei concetti semplici (anche se colti), ma che spesso sfuggono alla maggior parte dell’opinione pubblica che si lascia invece imbrogliare da una certa “mala informazione”, arrivata a propinarci verità “indiscutibili” come: «se li salvi, arrivano ancora di più», o peggio «le guerre non esistono e vengono qui solo perché vogliono rubarci casa e lavoro». Il pensiero di un sedicenne fa, invece, trapelare la speranza che sia possibile e praticabile la definizione di “libertà” data da Alessandro Portelli nella postfazione a “Storia della libertà americana” di Eric Foner: «La mia libertà inizia dove comincia quella dell’altro».
ragazza di Macerata e altri "allegri" fatti di cronaca otteniamo una micidiale "bomba a orologeria" pronta a esplodere con tutte le sue devastanti e spesso imprevedibili conseguenze. E questo lo abbiamo sperimentato già dai primi exit poll delle passate elezioni. Sarebbe assurdo voler fare di tutta l'erba un fascio, ma è evidente che la mancanza di regole e di sicurezza (nientemeno che uno dei bisogni fondamentali della persona, secondo la piramide di Maslow che la pone subito sopra i bisogni fisiologici di base e appena sotto i bisogni di appartenenza, stima, e auto-realizzazione, apice della piramide) va a penalizzare sia gli italiani
"autoctoni" che gli immigrati regolari e "per bene" che vogliono contribuire alla crescita e al benessere del Paese per crearsi un futuro migliore. Il primo a sostenere tale argomentazione è proprio Tony Chike Iwobi (Gusau, 26 aprile 1955), arrivato quasi vent'anni fa nel nostro Paese, nonché primo senatore nero della storia d'Italia eletto lo scorso 4 marzo tra le file della Lega. Insomma, se esistesse un "termometro dell'accoglienza", in questo momento storico, in Italia (come nella maggior parte dei Paesi occidentali), non registrerebbe temperature particolarmente elevate. È evidente che non è possibile arrestare completamente i fenomeni migratori, perché sono incisi da migliaia d'anni nel Dna dell'uomo. È quindi, non solo un'opzione ma, un dovere da parte dei paesi più ricchi accogliere i rifugiati. Ma questo va fatto nei limiti del possibile e da parte degli immigrati ci deve essere un profondo rispetto per il Paese
che li ospita, per la sua cultura, la sua gente e le sue tradizioni. In caso contrario si accende la miccia del razzismo e della tensione e il caos è assicurato. Senza dubbio si tratta di un argomento complesso. Ma se vogliamo evitare il ritorno dei mostri del passato la cosa migliore da fare è essere più severi con chi delinque. Perché a far crescere il malcontento nella popolazione non sono tanto gli articoli di cronaca nera (ci sono sempre stati e sempre ci saranno), ma il fatto che dopo pochi giorni i criminali siano già a piede libero. (F.Z.)
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musica linguaggio
La che aiuta il uonare uno strumento è un’importante attività cui dedicarsi soprattutto da bambini. Aiuta la coordinazione e insegna la costanza e l’impegno; ma non solo. A quanto pare, secondo un importante studio recentemente pubblicato sulle riviste specialistiche, imparare a suonare aiuterebbe lo sviluppo di alcune capacità cognitive umane, in particolare avrebbe una forte influenza sullo sviluppo del linguaggio. Altri studi precedenti avevano sostenuto questa ipotesi, ma fino a questo momento non era ancora chiaro il modo in cui le note e il ritmo semplifichino al nostro cervello l’acquisizione del linguaggio. A svelare l’arcano un gruppo di scienziati dell’Università Normale di Pechino e dell’IT di Boston (USA), che in un tipico studio controllato hanno esaminato e osservato 74 bambini cinesi tra i 4 e i 5 anni di età, tutti madrelingua mandarino, una lingua nella quale musicalità e intonazione danno senso non solo alla frase, ma anche alle singole parole. I piccoli sono stati suddivisi in tre gruppi specifici. Il primo gruppo ha ricevuto
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di Elisa Corni
per sei mesi lezioni di pianoforte, oltre ad andare all’asilo. Il secondo gruppo ha invece partecipato a un corso di lettura. Il terzo gruppo, quello che in gergo tecnico si definisce “di controllo”, andava semplicemente all’asilo, senza partecipare ad attività extra. Dopo sei mesi vissuti con stili di vita piuttosto diversi, i tre gruppi di bambini sono stati esaminati. Sono stati infatti sottoposti a test che misurassero memoria, quoziente intellettivo e linguaggio. La maggior differenza tra i tre gruppi è stata riscontrata proprio in quest’ultima categoria, e in particolare le competenze dei bambini che avevano preso lezioni di musica o di lettura risultavano molto più avanzate rispetto ai loro coetanei. Ma non è tutto: se il corso di lettura aveva migliorato la capacità di distinguere tra le parole, gli effetti del corso di pianoforte avevano migliorato ulteriormente le competenze linguistiche dei giovani musicisti, le cui performance si mostravano agli occhi degli scienziati notevolmente migliori. Inoltre, come rilevato da alcuni test di screening dell’attività cerebrale nella corteccia uditiva, i piccoli che avevano seguito sei mesi di corso di pianoforte mostravano una maggior capacità di risposta agli stimoli uditivi nel cambio di tonalità del
parlato che, come detto in precedenza, è importante nella lingua mandarina. Ma perché la musica dovrebbe aiutarci nell’imparare una lingua? Come emerso da studi precedenti, il linguaggio e la musica condividono molti aspetti nell’elaborazione dei suoni. Con aspetti s’intendono sia i processi neuronali, sia i luoghi ove le informazioni che arrivano dal nostro orecchio sono elaborate. Stimolazioni di quella parte del nostro cervello, dalle parole come dai suoni, evidentemente vanno a cerare nuovi e più solidi legami tra i neuroni, implementando così le capacità dei piccoli musicisti per quanto riguarda la percezione e l’elaborazione dei suoni. Benefici, questi, che si limitano però, a quanto pare, al linguaggio. Gli scienziati non hanno infatti riscontrato miglioramenti a livello mnemonico o dell’intelligenza generale. Ma anche se limitati a un solo aspetto, questi processi di facilitazione potrebbero essere una buona strada da imboccare per intraprendere nuovi metodi d’insegnamento, nei quali musica e parola si compenetrino.
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USA - 6 DICEMBRE 1907
il p iù de gra ll’e ve m dis igr a az str ion o m e i in ta er lia ar na io di Sabrina Mottes
ESPLODE LA MINIERA DI CARBONE DI MONONGAH
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La tragedia di Monongah - da Ponza Racconta
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la mattina del 6 dicembre 1907. Gli operai del primo turno, dopo due giorni di festa, scendono nei pozzi del giacimento di carbone di Monongah, nel West Virginia, di proprietà della Fairmont Coal Company. Sono in maggior parte emigrati italiani e dell’Europa dell’est, oltre ai neri americani. Gente disposta ad accettare le terribili e pericolosissime condizioni di lavoro imposte agli inizi del Novecento dal lavoro in miniera. Essendo per la maggior parte devoti hanno celebrato la patrona dei minatori Santa Barbara il 4 dicembre e, per unire i due giorni di riposo, anticipato dal 6 al 5 dicembre San Nicola. O Santa Claus, come dicono negli Stati Uniti. Probabilmente a causa dello spegnimento dell’impianto di ventilazione dei pozzi nei due giorni precedenti, pare si sia creato un accumulo di pericolosi gas tra cui il temutissimo grisù. Alle 10.30 del mattino, qualcosa nelle gallerie 6 e 8, poste sulle sponde opposte del fiume
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West Fork, funge da innesco ad una serie di violentissime esplosioni di gas e carbone. Esce dai tunnel una vampata alta quasi trenta metri che distrugge tutte le case nei pressi dell’imbocco 8, producendo un’onda dal fiume che annienta la linea ferroviaria. A nulla valgono i soccorsi. I cunicoli sono bloccati da detriti e carcasse di carrelli. Si estraggono, dopo giorni, cadaveri carbonizzati e straziati e il riconosciIl disastro di Monongah - Le bare degli italiani
mento è spesso quasi impossibile. Si cercano i responsabili ma non è epoca di giustizia civile e di tutela del lavoro, che verrà affrontata molto più tardi a seguito di svariati altri incidenti minerari. In assenza di superstiti, le ipotesi si moltiplicano, le colpe rimangono vaghe e non vengono mai accertate. L’unica certezza rimane la causa della strage, cioè una violenta esplosione per cause sconosciute. Rimane poco chiaro anche il numero esatto delle vittime per via del “buddy system” (sistema del compare), una prassi per cui molti ragazzini tra i 10 e i 14 anni scendono in miniera a supporto degli adulti che ne portano con sé in media due, poiché la paga è commisurata alla quantità di carbone portata in superficie. I ragazzi scendono dunque senza essere registrati sugli elenchi dei lavoratori effettivi. Ben presto i cimiteri si saturano di lapidi sparse a casaccio. Soprattutto quello cattolico, poiché la maggior parte dei minatori sono
italiani, polacchi e ungheresi. La mancata definizione della responsabilità in capo alla Fairmont Coal, permette alla compagnia di non pagare alcun indennizzo. Durante il mese di dicembre, più di duemila quotidiani statunitensi promuovono una raccolta fondi per i parenti delle vittime. Il magnate americano Andrew Carnegie contribuisce generosaLa statua all'eroina di Monongah mente e allora anche la Fairmont partecipa. Ogni vedova ed ogni orfano, ricevono così un minimo risarcimento. La maggior parte dei minatori vittime della tragedia di Monongah sono italiani. Le stime ufficiali parlano di circa 200 morti anche se il numero reale pare sia vicino ai 500. La maggior parte sono molisani, seguiti dai calabresi e dagli abruzzesi. Povera gente analfabeta che i “bosses” ha prelevato dai porti americani che nei primi anni del Novecento accolgono una cifra altissima di nostri connazionali in cerca di lavoro e di fortuna. Gli addetti della compagnia mineraria anticipano le spese del viaggio fino al giacimento, dove guardie armate controllano gli accessi al villaggio per impedire fughe prima del saldo del debito contratto. Le famiglie vivono di stenti. Anche il cibo si compra allo spaccio gestito dai padroni e il costo viene detratto dallo stipendio, che in questo modo torna in gran parte alla compagnia senza dare ai minatori modo di liberarsi. La memoria del disastro viene ripresa molto più tardi, nel 1956, dal sacerdote cattolico Everett Francis Briggs che è nato due anni dopo la tragedia e, cresciuto nel racconto di quei momenti, cerca di dare un nome alle vittime, anche se spesso senza fortuna. Nel 2007, centenario del disastro, il Molise dona una campana in ricordo delle sue vittime e viene eretta negli Stati Uniti la statua “All’eroina di Monongah”, per ricordare le vedove e gli orfani dei minatori. Tra loro Caterina Davia, un’italiana sconvolta dal dolore che ogni giorno, per 29 anni, ha prelevato un sacco di carbone dalla miniera dicendo di voler alleviare il peso del terreno sotto cui il marito era sepolto. Svuotando i sacchi accanto alla sua casa, la donna ha creato nel tempo un’impressionante testimonianza del proprio dolore e dell’immane sacrificio dei minatori scomparsi. San Giovanni in Fiore Monumento ai caduti di Monongha
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MEDICINA&SALUTE
Chi di noi non si è mai scattato un
SELFIE? N
ella nostra società è diventato di uso comune, mi è capitato di vedere bambini dell’asilo giocare a far finta di farsi i selfie e questo però, dovrebbe farci riflettere. Questi autoritratti fotografici fatti con i nostri smartphone, hanno il compito di dire qualcosa di noi: magari farò vedere un determinato particolare di me o del posto dove sono, le persone con cui sto condividendo il pomeriggio o ancora mostrerò agli altri che emozione sto provando in quel momento cimentandomi in facce di ogni tipo. Ma che funzione psicologica hanno? Che cosa voglio manifestare con i miei selfie? Spesso e volentieri vogliono comunicare che ci cimentiamo in tante cose e che quello che facciamo è straordinario, interessante o ancora stravagante, ma soprattutto che ci rende felici. In realtà, non c’è scritto da nessuna parte che per essere felici bisogna fare tante cose, ma che soprattutto la vita sia realmente così. La vita è fatta anche di attesa, noia e soprattutto assenza. E a dirla tutta, solo se riusciamo a gestire anche questa parte di quotidianità saremo delle persone soddisfatte della propria esistenza. I bisogni psicologici che possono spingerci a farci dei selfie e mostrarci possono essere di svariati tipi, dal bisogno di apparire, al bisogno di essere accettati dal gruppo o ancora dal bisogno di essere agli occhi degli altri sempre in un certo modo. Spesso e volentieri non ci pensiamo ma, quella foto è un’istantanea, un minuto della nostra vita e può addirittura anche non corrispondere alla realtà. Proviamo a pensare: magari ho appena
finito di litigare con il mio fidanzato, ma per apparire sempre al top pubblico una foto di io e lui sorridenti e felici. Nessuno potrà mai scoprire la verità, ma soprattutto le persone che lo vedranno potranno pensare che vivo in una favola e che nella mia vita tutto è perfetto; poca importa se è una bugia, tanto quello che voglio è rimandare una certa immagine di me agli latri. O ancora provate a pensate a un giovane che magari è in difficoltà con la socialità, che cerca di compensare la propria vita sociale precaria, con quella virtuale.
Magari si ritrova a carica sui propri profili social, foto meravigliose che condivide con centinaia e centinaia di amicizie virtuali. Di sicuro né le foto, né il numero di amici, rispecchieranno la realtà ma, all’apparenza tutto sembrerà perfetto. Alcune volte è solo proprio questo che interessa, apparire in un certo modo, essere popolare e poco importa se poi dentro di noi ci sono sentimenti di inferiorità o di malessere. Intendiamoci non sto condannando a priori i selfie, sto
di Erica Zanghellini
mettendo in discussione quando l’intera vita gira attorno al mostrarsi per compensare i propri bisogni e una delle modalità usata è proprio questa. Ricordiamoci che stiamo parlando di un mondo virtuale, dove tutto può essere modificato, truccato. Ci sono persone che usano “Photoshop” per ritoccare le proprie foto. Dobbiamo cercare di far capire ai nostri figli, che la loro autostima non deve girare attorno a quanti “mi piace” ha quella foto postata sul social. La vita è esperienza, uscire, parlare con gli altri, conoscere gente e anche se si prendono delle cantonate, elaborarle e rimettersi in piedi. E ancora, diventa necessario far capire ai giovani che le cose vanno accettate per come sono, non bisogna cercare l’attività più eclatante, o ancora mentire per apparire in un certa maniera. Non tutte le giornate possono essere la migliore della nostra vita. Ci sono giorni in cui non c’è niente da fare, giorni in cui gli amici non possono passare il tempo con noi per cui l’unica cosa da fare è annoiarsi. Sembrerà strano ma, anche quello è importante. Se i bambini non si annoiassero non svilupperebbero mai la propria fantasia e questo vale anche per gli adolescenti o anche per noi adulti; niente è più stimolante di una sana insoddisfazione. Dobbiamo accettare che la felicità è fatta di momenti e non andare in ansia con ricerche spasmodiche per provarla. Essere sicuri di chi siamo e quanto valiamo ci libererà dalla smania di mostrarsi all’altro. Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento - Tel. 3884828675
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ALBERTO SORDI
di Sabrina Mottes
“Mi esibisco solo davanti alla telecamera, quando esco dal set ho finito de lavorà, non vado in giro a farmi fotografà dai paparazzi.” Con i risparmi di un’incisione discografica per bambini, a soli 16 anni, parte per Milano rande professionista, emblema e si iscrive all’Accademia Filodella romanità e della commedia drammatici, da dove viene all’italiana, Alberto Sordi ha in- però espulso per la forte interpretato in modo splendido, mesco- flessione romanesca. Nel lando con grande talento recitazione, 1999, la stessa Accademia canto e comicità, il ruolo del cosiddetto gli consegnerà il diploma ho“italiano medio”: un po’ vile, un po’ noris causa in recitazione, riprepotente, un po’ servile, sempre diviso parando all’errore di più di tra dubbio, arroganza, senso di colpa sessant’anni prima. Dopo il e paura. ritorno da Milano, nonoAlberto nasce a Roma, nel quartiere stante non abbia la minima Trastevere, il 15 giugno 1920. La famiglia esperienza, vince un connon è ricca ed è composta dal padre, corso della MGM come concertista al Teatro dell’Opera di Roma, doppiatore di Oliver Hardy (l’allora la madre, maestra elementare e, a parte non ancora celebre Ollio di Stanlio e lui, da due sorelle ed un fratello. Fin Ollio). Nella sua carriera di doppiatore, dalle elementari, Alberto si appassiona che si conclude nel 1956, presta la alla recitazione oltre a cantare nel coro voce a molti attori famosi tra cui Andelle voci bianche della Cappella Sistina thony Quinn e Robert Mitchum. Alla sino allo sviluppo della voce da basso fine degli anni Trenta, inizia a lavorare che lo caratterizzerà per tutta la vita. nell’avanspettacolo ma è grazie alla radio che ha inizio la sua carriera vera e propria. Il programma “Vi parla Alberto Sordi”, dove presenta i suoi personaggi e canta canzoni da lui scritte, è un successo e gli apre le porte verso il cinema e la TV, dove si esibisce come presentatore e cantante. Nel 1952, Sordi interpreta un ruolo minore ne “I vitelloni” di Fellini e da qui in poi la sua fama cresce talmente da portarlo a girare, negli anni Cinquanta, fino a 10 film all’anno. Scena degli spaghetti nel film: Un americano a Roma - (1954)
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Alberto Sordi con Vittorio De Sica - Il conte Max
Nella sua intera carriera, partecipa a più di 150 pellicole, molte delle quali conosciutissime come i celebri duetti con Monica Vitti. In molti casi, collabora anche a sceneggiatura e soggetto. La svolta verso il cinema drammatico inizia nel 1959 con “La grande guerra” di Monicelli, per il quale riceve il David e il Nastro d’Argento. Di questo periodo “Detenuto in attesa di giudizio”, con cui vince l’Orso d’argento a Berlino. E poi “Il malato immaginario”, “L’avaro” “Nell’anno del Signore” “Il marchese del Grillo” e, nel 1977, “Un borghese piccolo piccolo”, diretto da Monicelli e ritenuto dalla critica il film migliore della sua carriera. Come regista, gira ben 19 pellicole delle quali spesso cura anche la sceneggiatura, oltre ad esserne l’attore principale. Particolarmente sensibile alla condizione degli anziani, nel 1994 Sordi dirige, interpreta e cura la sceneggiatura del film “Nestore – L’ultima corsa”, scelto dal Ministero della
accudiscono, il fratello suo amministratore, e la fedele segretaria. Nel 2001 si ammala di tumore ai polmoni e si ritira quasi completamente, salvo qualche rara apparizione pubblica. La morte sopraggiunge nel febbraio del 2003, a 82 anni, e la sua lapide al cimitero del Verano riporta la scritta “Sor Marchese, è l’ora”, battuta tratta da “Il marchese del Grillo”, uno dei suoi film più famosi. La “sua” Roma gli ha dedicato la galleria Colonna, che oggi porta il suo nome, oltre ad un viale a Villa Borghese. Due notti con Cleopatra, con Alberto Sordi e Sofia Loren
Pubblica Istruzione per una campagna di sensibilizzazione sulle problematiche degli anziani e sul rispetto verso gli animali. Dopo la morte, lascia come mission alla Fondazione che porta il suo nome l’assistenza e la ricerca applicata alle patologie della terza età. Estroverso nell’immagine pubblica, nel privato è un cattolico praticante di saldi principi e grande rigore, molto schivo
e riservato. Nonostante i numerosi flirts, custodisce gelosamente la sua intimità, della quale poco si sa. Non si sposerà e non avrà figli, definendosi in modo scherzoso un infedele per costituzione. Conosciuto per l’oculatezza con cui gestisce il proprio grande patrimonio, a parte la breve parentesi milanese trascorre tutta la vita a Roma, prevalentemente nella villa che condivide con le sorelle che lo
Alberto Sordi nel film “Gastone”
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Accadde ieri La prima donna dell’auto
Bertha Benz
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ertha Benz è la donna che ha compiuto il primo vero viaggio in auto della storia. Lo ha fatto per quasi 200 km al volante della Patent Motorwagen (la prima vettura di sempre) progettata dal marito. Bertha Ringer nasce a Pforzheim (Germania) il 3 maggio 1849. Terza di nove figli di un carpentiere, conosce Karl Benz (che nel 1886 inventerà la prima automobile) nel 1870, lo aiuta finanziariamente a sviluppare la sua attività nel periodo di fidanzamento, e lo sposa il 28 luglio 1872. Nello stesso anno assiste alla nascita del primo motore a scoppio, mentre l’anno successivo vede la luce il suo primo figlio, Eugen. Seguiranno Richard (1874), Clara (1877), Thilde (1882), ed Ellen (1890). L’attività del marito inizialmente non ha successo, dopo il brevetto depositato nel 1886, lo sviluppo dell’auto languiva e la famiglia Benz attraversa una crisi finanziaria fino a divenire nullatenenti. Con un’intuizione geniale, nel 1888,
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all’insaputa del marito, Bertha carica i due suoi figli più grandi sulla Patent Motorwagen ideata da Karl e percorre il lungo tratto di strada che separa Mannheim da Pforzheim. Un viaggio tutt’altro che facile su quel veicolo a tre ruote dotato di un motore monocilindrico quattro tempi da 1660 centimetri cubi e 2,5 Cv a 500 giri che raggiungeva la velocità massima di circa 16 km/h, e con un consumo medio di 10 l/100 km, a fronte di un serbatoio di soli 4,5 litri. Durante il viaggio, Bertha si dovette improvvisare meccanico, pulendo i carburatori con gli spilloni dei capelli e chiedendo a un calzolaio di sistemare le ganasce dei freni. Per fare il pieno di carburante si reca in una farmacia di Wiesloch che ancora oggi è considerata il primo distributore di benzina della storia, e non mancano le soste presso bagni pubblici e fontane per l’acqua necessaria al raffreddamento. Il motore da 2,5 Cv è inadatto a sopportare le salite, per questa ragione Eugen e Richard devono spesso scendere dalla vettura e spingere. In seguito a questa esperienza Bertha consiglia al marito di inserire una marcia più corta per superare meglio le pendenze. Solo dopo l’arrivo a Pforzheim informa il Bertha Benz's Hall of Fame - da Automotive News
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Bertha Benz
marito con un telegramma e torna a casa il giorno seguente. L’impresa di Bertha Benz porta moltissima pubblicità a Karl e alla sua vettura: nel giro di breve tempo i mezzi di trasporto dotati di propulsore a scoppio entrano a far parte della quotidianità e vengono acquistati anche dai più irriducibili oppositori. La Patent-Motorwagen fu prodotta fino al 1894 in 25 esemplari, con motori da 1,5 a 3 Cv, diventando così anche il primo modello costruito in serie. Fu poi sviluppata anche in versione quattro ruote in esemplare unico, con sterzo con fuso a snodo. L'esemplare guidato da Bertha Benz è giunto fino a oggi ed è conservato al Museo dell'Automobile Dr. Carl Benz di Ladenburg, in condizioni originali. La vettura è di proprietà dello Science Museum di Londra. Rimasta vedova nel 1929, Bertha muore il 5 maggio 1944 a Ladenburg (Germania). Nel 2008, in suo onore, viene creata la Bertha Benz Memorial Route: una strada turistica di 194 km che passa per i luoghi attraversati da Bertha. Nel 2016 Bertha Benz è stata insignita dell’onoreficenza 'Automotive Hall of Fame, l’associazione mondiale che raccoglie le figure che si sono maggiormente distinte nel campo dell'industria dell'automobile, tra nomi quali Ferdinand Graf von Zeppelin, Ferdinand Porsche, e Giovanni Agnelli. (F.Z.)
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LA RESPONSABILITà SOCIALE D’IMPRESA R
esponsabilità sociale d’impresa (R.S.I.) Nei mesi passati queste parole sono state ripetute centinaia di volte da politici e telegiornali. Ma cos’è la responsabilità sociale d’impresa? Cosa rende questa tematica tanto attuale? Quali conseguenze ha sull’economia e sulla società metterla in atto? Per rispondere a queste domande mi sono rivolta ad un gruppo di studenti che frequentano un indirizzo economico dell’Istituto Alcide Degasperi di Borgo Valsugana, che da poco meno di due anni hanno fondato una cooperativa scolastica di nome Giovani Cooperatori Uniti (G.C.U.). I ragazzi sono impegnati in molti progetti, uno tra i quali, quello di far conoscere la responsabilità sociale d’impresa agli imprenditorilocaliefarlirifletteresull’impatto chepotrebbeaverel’applicazionediquesta politica alle loro strutture. Gentilmente una di loro si è offerta di chiarire l’argomento, sul quale questi ragazzihannofattomoltericerche,studiando ed analizzando le normative a livello europeo ed italiano.
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Daniela Puecher, si presenti brevemente. Sono una studentessa e frequento l’indirizzo Relazioni Internazionali dell’Istituto Alcide Degasperi di Borgo Valsugana e sono uno dei sindaci della cooperativa scolastica Giovani Cooperatori Uniti. Ricopro il ruolo di rappresentante all’interno del gruppo che si occupa della responsabilità sociale d’impresa. Cos’è la responsabilità sociale Daniela Puecher d’impresa? Responsabilità sociale d’impresa, in parole povere, significa che le imprese decidono di propria iniziativa di contribuire a migliorare la società e rendere più pulito l’ambiente, ponendo lo scopo del profitto in secondo piano. Le imprese cosa fanno concre-
di Irene Chin
tamente per mettere in atto questa politica? Le imprese possono applicarsi in vari ambiti: nei rapporti con la comunità, per esempio, finanziando una squadra di calcio del territorio, nei rapporti con i lavoratori, aprendo un asilo aziendale per le neomamme. Oppure possono battersi per la sostenibilità ambientale, per la qualità dei prodotti o in ambito della Corporate Governance, per limitare le differenze tra le paghe dei manager e quelle dei dipendenti. Nel campo dei diritti umani, per esempio preoccupandosi oltre dei lavoratori interni, anche di quelli esterni, scegliendo di acquistare la merce o le materie prime solamente da fornitori che non sfruttino i proprio dipendenti.
Semplicemente anche solo assumendo dei nuovi dipendenti, facendo delle scelte che non discriminino soggetti “svantaggiati”, come persone con un diverso orientamento sessuale, che praticano altre religioni o le donne, tutelando così la diversità e le pari opportunità. Evitare attività nei settori contestati come il gioco d’azzardo, può essere un’altra possibilità. Perché le imprese dovrebbero seguire la politica della responsabilità sociale d’impresa? Non posso negare che inizialmente l’impresa per mettere in atto questa politica dovrà affrontare delle spese non indifferenti, ma spesso questi sforzi si tramutano in benefici e vantaggi per la società. Per esempio, probabilmente i lavoratori saranno più produttivi, perché saranno più soddisfatti e si sentiranno più coinvolti nell’attività dell’impresa. Questa “nuova” economia permetterà di raggiungere un vantaggio competitivo a tutte le imprese che avranno introdotto innovazioni nella salvaguardia dell’am-
biente, precedentemente rispetto ai propri concorrenti. Un altro obiettivo che si può raggiungere è quello di convincere che responsabilità sociale d’impresa sia sinonimo di qualità, quindi avvalorare i propri prodotti e di conseguenza attribuire alla propria impresa maggiore prestigio, trasformando il consumatore qualunque in consumatore responsabile, cosciente di quello che acquista. Qual è l’obiettivo della responsabilità sociale d’impresa? L’obiettivo di questa corrente di pensiero economica alternativa è quella di diventare l’economia più dinamica del mondo, trasformandosi nell’economia della conoscenza. Un’economia sana, capace di una crescita sostenibile, dell’aumento dell’occupazione e caratterizzata da una maggiore coesione sociale. Ho saputo che il vostro gruppo della responsabilità sociale d’impresa ha proposto un questionario a quasi tutti gli imprenditori che hanno partecipato all’edizione
Expo Valsugana 2018. Potrebbe parlarcene? Abbiamo proposto a molti imprenditori di compilare in maniera del tutto anonima il questionario europeo della responsabilità sociale d’impresa, che chiunque può trovare su internet, per poterne analizzare i risultati. Il vero scopo era quello di far conoscere questa nuova politica economica e far riflettere su tematiche importanti sulla quale non si è solitamente stimolati a pensare, sollecitando gli imprenditori a porsi delle domande. “Ho mai fatto delle discriminazioni mentre assumevo i miei dipendenti?” “I miei dipendenti si sentono parte integrante dell’impresa?” “Mi sono mai realmente preoccupato della sostenibilità ambientale?” È questo a cui miriamo! Il nostro scopo è informare, far riflettere, proporre un’economia alternativa, dare degli strumenti per permettere alle imprese di poter fare delle scelte consapevoli.
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Giulio Bertoletti
Une vie en Rose 1919-1976
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Giulio Bertoletti, Une vie en Rose 1919-1976”, questo il titolo del volume a cura di Giacomo Lodetti e Donatella Bertoletti, per l’editore Bocca, dedicato all’illustratore di origini perginesi che con i suoi lavori ha saputo dare forma e colore soprattutto alle copertine del settimanale Grand Hôtel, ma anche a molte altre riviste, copertine di libri e manifesti pubblicitari.
Giulio nasce a Pergine Valsugana il 17 giugno 1919, la madre è Ida Pinter, mentre sul padre permane un anelito di mistero, c’è chi ritiene si trattasse di un ufficiale dell’esercito di passaggio nel rientro dal fronte della prima guerra mondiale. Diversa è la versione narrata da Luigi Fontanari nel volume “Contrada Taliana”; qui viene menzionato Luigi Bertoletti, carabiniere presso la caserma di Pergine che dopo la prima guerra mondiale aveva sposato Ida Pinter e aveva avuto da lei tre figli: Giulio, Gino, e Cesira. Orfano di madre a soli 10 anni, viene mandato in collegio a Sant’Ilario di Rovereto, qui è la maestra Sittoni che per prima si rende conto delle capacità artistiche del giovane e gli dona i primi
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colori. A 17 anni si dirige a Milano in cerca di fortuna, trovando casa in zona Brera; ma qui viene colpito da una tremenda polmonite che mette a repentaglio la sua vita, miracolosamente tratta in salvo dalla signora Crespi, proprietaria del negozio di prodotti per il disegno dove Bertoletti era solito rifornirsi. La vita a Milano non è delle più semplici, senza un soldo, è costretto a mangiare all’Opera Cardinal Ferrari, per sdebitarsi assieme allo scultore Giacomo Manzù, si impegna a decorare la cappella della chiesa. In quegli anni collabora con figure di rilievo della grafica, della pubblicità e del design italiano come Gino Boccasile, Marcello Dudovich, e Marcello Nizzoli. Nel 1940 incontra per la prima volta Leonilde Morselli a una festa dell’amico Osvaldo Giardino, convoleranno a nozze il 10 aprile del 1943. In questi anni è il Ministero delle Propaganda Fascista che gli impone di de-
di Chiara Paoli
dicarsi al disegno di manifesti e cartoline rappresentanti temi militari; a quest’attività affianca la realizzazione di cartoline disegnate per la Tipografia Moneta che gli vengono pagate 100 lire l’una. Il 24 marzo 1945 nasce il primogenito Luca che prenderà le qualità artistiche del padre, e con il soprannome datogli in famiglia, Dodi, firmerà con lo Studio Pagot, tra i vari personaggi di Carosello, il celebre pulcino nero di nome Calimero. Finita la guerra viene chiamato a lavorare a Grand Hôtel dai fratelli Mimmo e Alceo Del Duca, qui si occupa di rendere con le illustrazioni gli avvenimenti della settimana, ricorrenze, feste e curiosità della vita di ogni giorno. È il 29 giugno 1946 quando esce nelle edicole il primo numero del settimanale con quarta di copertina illustrata da Giulio Bertoletti. La rivista avrà un successo strepitoso, i fumetti aiutano la popolazione ancora in gran misura analfabeta a comprendere e leggere, una comunicazione sem-
plice e immediata che viene apprezzata dal pubblico. Così compare il primo romanzo in 26 puntate intitolato “Le lagrime d’oro”, scritto da Elisa Trapani e illustrato da Bertoletti. L’illustratore è all’apice della carriera, diviene il più pagato degli illustratori italiani, sebbene costretto a ritmi stressanti per soddisfare le molteplici e continue richieste. Si moltiplicano le copertine dei romanzi
da lui illustrate e il 24 maggio 1948 nasce la secondogenita, Donatella. Nel 1952 conosce, sempre grazie all’amico Osvaldo, Vittoriana Brioschi che diventerà la sua nuova compagna e lo vedrà quindi separarsi dalla moglie. Il 1955 è anche l’anno in cui illustra il Decamerone; a 41 anni si trasferisce a Ginevra, chiamato dal colonnello Otto Weil, azionista del Gruppo Grand Passage per cui Bertoletti lavora, dedicandosi principalmente alla moda, sino al 1972. In quell’anno, con la morte del colonnello, il suo contratto non viene rinnovato e Giulio decide di ritornare in Italia. È in questo periodo che si dedica alla pittura, e l’anno successivo scopre la truffa perpetrata ai suoi danni da Grand Hôtel, con la compiacenza della sede parigina di Nous Deux, che inviava sue illustrazioni violando il diritto d’autore. Giulio Bertoletti si spegne il 13
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settembre 1976 a Sant’Angelo Lodigiano; Pergine ha dedicato all’artista due esposizioni, allestite in sala Maier, rispettivamente nel 1978 e nel 2002. «Giulio Bertoletti è un “cantastorie”, un narratore alle prese con l’eterna dialettica tra immagine e parola. Per il suo “raccontare” della vita, per il modo in cui lo crea, potrei definirlo l’”alfiere della normalità del quotidiano”» (“Giulio Bertoletti, Une vie en Rose 1919-1976”, a cura di Giacomo Lodetti e Donatella Bertoletti, 2002 ed. Bocca, pag. 34).
Immagini tratte dal volume
Il Ristorante Sapori D’Abruzzo si trova a Canzolino di Pergine Valugana. Rappresenta il luogo ideale dove trascorrere dei rilassanti momenti in famiglia in compagnia di amici all’insegna del buon cibo italiano preparato come tradizione culinaria insegna per riscoprire i sapori autentici della cucina tipica abruzzese mediante i migliori piatti tipici preparati seguendo le antiche ricette e utilizzando esclusivamente ingredienti freschi, genuini e provenienti da piccole aziende abruzzesi. E’ possibile gustare i fantastici primi piatti di carne e di pesce, gli appetitosi secondi integrati dai famosi arrosticini di filetto di pecora fatti a mano, dagli affettati, dal tipico formaggio pecorino, assaporando l’eccellente vino rosso Montepulciano D’Abruzzo. Per poi concludere con i deliziosi dessert preparati dalle sapienti mani dello chef.
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I miracoli della
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Madonna del Feles
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oco sopra l’abitato di Bosentino si innalza quella che oggi è la chiesetta della Madonna del Feles, detta così per le felci che crescono tutt’attorno alla costruzione. Costruita sopra un precedente capitello che pare sia stato eretto come voto per grazia ricevuta. Narra J.A. Falger di un giovane pastorello muto, di nome Janesèl, che intorno al 1620, sarebbe salito sul colle per pascolare le sue pecore. Il ragazzo venne abbagliato da una grande luce e vide allora una figura di bianco e azzurro vestita che gli disse di essere la Madonna. La Vergine guarisce il fanciullo ridandogli la voce, e gli chiede inoltre di andare in paese a chiamare tutti in processione e di procedere con la costruzione di una cappella in quel luogo, per venerare una sua immagine. Leggenda vuole che mentre Maria di Nazareth stava parlando, appoggiò la sua mano su una pietra, lasciando a testimonianza del suo passaggio l’impronta sulla roccia, ancor oggi visibile. Tra i molteplici racconti prodigiosi, si narra che nelle vicinanze scorra una "fonte miracolosa”, sopra di essa è ap-
posta una statua con la figura di Cristo che recita: «Chi ha sete venga a me e beva». Si narra che a partire dal 1622 la comunità di Bosentino e Migazzone, per commemorare l’apparizione della Madonna, fece voto di suonare ogni sabato all’ora stabilita l’Ave Maria, ognuno era tenuto ad abbandonare il proprio lavoro per dirigersi in processione verso il capitello. Pare che quest’usanza sia stata osservata per lunghissimo tempo, fino alla fine del XIX secolo. Le due comunità nel 1632-33, mentre infuriava la peste vennero risparmiate, il primitivo capitello si ampliò divenendo una vera e propria cappella, per ringraziare la Vergine. In Pergine caso di bisogno, come avvenne il 13 Valsugana giugno 1657, quando la siccità rischiava di rovinare il raccolto, i vigolani si dirigono in processione dalla loro Madonna a chiedere aiuto. L’attuale chiesa viene costruita nel 1729, grazie all’opera dei parrocchiani; si susseguono ulteriori lavori nel 1932, quando la chiesetta viene dotata di un piccolo campanile e della tettoia antistante la facciata. In questo periodo è grazie al parroco don Clemente Deflorian che si realizza anche la sagrestia, si acquistano 5 piccole campane e si affida al veneziano Duilio Corompai, la decorazione della chiesetta. Il tempo passa, le guerre lasciano il segno e il piccolo santuario è abbandonato a sé stesso; finché tra il 1983 e il 1984, si procede a un importante intervento di restauro, utile a porre rimedio ai danni causati Bosentino - Madonna del Feles dall’umidità. È proprio in
Madonna del Feles - Statua del Cristo
occasione di questi lavori che vennero riscoperte la pietra con la cosiddetta “Mano della Madonna” e il più antico capitello. I capitelli della Via Crucis, dislocati lungo la via che porta alla Madonna del Feles vengono abbelliti da graffiti, grazie alla mano del professor Carlo Bonacina, pittore e incisore di origini milanesi, chiamato a operare in Trentino dall’amico Gino Pancheri. Entrati nel santuario lo sguardo cade sull’altare barocco, risalente al 1742, nella cui nicchia è collocata una pregevole statua lignea della Madonna con bambino. Sulla destra si scorge l’antico capitello con i due affreschi, purtroppo danneggiati: quello centrale, opera cinquecentesca, rappresentante una “Madonna con bambino”, mentre quello laterale, seicentesco, descrive l’apparizione della Vergine al pastorello. L’apparizione è rappresentata anche su un quadro a olio che sovrasta la porta, mentre a destra dell’altare trova posto un Crocifisso ligneo opera del Lunz. Nei pressi del Santuario si trova la cosiddetta “Zona del Silenzio”, un luogo delimitato pensato per il raccoglimento e la preghiera.
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Il Brenta
s torto e m u fi
L
a Valsugana di due secoli fa aveva un aspetto profondamente diverso da quello odierno, con problematiche per noi oggi inesistenti. Forse uno dei problemi maggiori era collegato all’acqua, per la cui soluzione ci fu bisogno di molto ingegno e molto tempo, dato che la discussione si apri già nel XVII secolo e si protrasse fino al XIX secolo. È anche una discussione che s’intrecciò saldamente con i terremoti politici che sconvolsero queste terre. Ma procediamo con ordine. All’inizio di questa vicenda tutte le rive del lago, nel Seicento, avevano un aspetto molto diverso. La sponda settentrionale, quella verso Pergine, era una vasta palude malsana e umida che si protraeva fino all’odierno Spiaz delle Oche; un ampio territorio pianeggiante che spesso e volentieri era sommersa dalle acque del lago, rendendolo così
inadeguato alla coltivazione. Non a caso la zona era chiamata Palù (palude) all’epoca. Pensate, addirittura, che la chiesetta di San Cristoforo si trovava su un isolotto raggiungibile solo con barche e altri natanti. La sponda occidentale, dove oggi passa la Strada Provinciale del lago, era completamente sommersa, e per raggiungere Caldonazzo e Calceranica da Nord era necessario inerpicarsi sulle rive di Santa
di Elisa Corni
Caterina e dell’odierna zona dei masi alti di Valcanover. Ma anche sulla sponda meridionale le cose non andavano certo al meglio. L’ampia pianura che si dirama da Caldonazzo verso Levico e verso la parte orientale della Valsugana (verso la “Bassa”) era spesso soggetta a allagamenti e, si sa, negli acquitrini non cresce granché. Il problema risiedeva nel fiume Brenta che nasce proprio dal lago di Caldonazzo oggi come allora, ma che a differenza del XVII secolo oggi ha un aspetto profondamente diverso. Questo grazie alle misure che vennero attuate per rettificarne il corso nel primo tratto, facilitando così l’uscita dell’acqua dal lago. Ma come era il Brenta dell’epoca? Be’, tanto per cominciare il suo corso era tutt’altro che rettilineo. Una serie di anse facevano zigzagare le acque dolci, che quindi si muovevano lentamente e con difficoltà. In particolare durante i mesi più piovosi il regime d’uscita delle acque del lago attraverso questo suo unico lento emissario provocava alluvioni importanti, dato che il 60% dell’acqua del lago dipendeva (e ancora dipende)
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dalle acque meteoriche - il restante 40% proviene dal fiume Mandola a Calceranica. Erano quindi due le comunità interessate dal problema delle acque del lago: quella perginese, le cui paludi da San Cristoforo arrivavano fino a Susà e lambivano l’abitato di Pergine, e quella di Caldonazzo, saltuariamente interessata da alluvioni e allagamenti e sul cui territorio era situato il problema. I Perginesi lo sapevano bene, come sapevano che pulizia e manutenzione costanti dello sbocco del Brenta avrebbero potuto tenere sotto controllo, se non ridurre, il problema. Solo che dall’altra parte del lago dimostrarono ben poco interesse per il tema in questione. Diverse volte (nel 1600 e nel 1646, per esempio) arrivarono da Pergine ai Conti Trapp, feudatari di Caldonazzo, richieste per pianificare la sistemazione idrica del territorio. Qualcosa sembrò muoversi nel 1652, quando un emissario vescovile notificò ai Trapp e alla Comunità di Caldonazzo l’obbligo di scavare il letto del Brenta per mantenere costante il deflusso d’acqua, obbligo che fu ri-
spettato: i Trapp ripulirono il tratto di loro competenza e la comunità di Caldonazzo fece la sua parte, con un contributo economico da parte dei vicini sulla sponda settentrionale del lago. Ma solo nove anni più tardi un secondo “niet” bloccò sul nascere la proposta perginese di effettuare lavori più massicci e magari permanenti: il conte Trapp non ravvisava nessuna emergenza sanitaria e non voleva che fossero eseguite opere sul suo dominio che ne «pregiudicassero il libero esercizio». Ovvero non voleva che fosse apportata alcuna modifica alla peschiera dove egli si riforniva di pesce fresco e che si trovava proprio all’imbocco del Brenta. Ma com’è che si è giunti, infine, alla realizzazione dei lavori? Con l’arrivo di Napoleone in Trentino nel 1797 e la fuga dei Trapp, Caldonazzo divenne un comune e le comunità poterono iniziare
i lavori: furono eliminate tre anse e rifatto il ponte di pietra, lavori che comportarono un abbassamento di 2 piedi del livello del lago (circa 70 cm). Ciò permise di bonificare le paludi perginesi, mentre la piana di Caldonazzo non fu più soggetta a inondazioni; inoltre, lungo la sponda occidentale del lago fu costruita una comoda strada che congiungesse le due comunità che non poterono che trarre importanti benefici dai lavori di rettificazione del Brenta.
COMUNICATO COMMERCIALE Ha aperto a Borgo Valsugana un nuovo negozio modà
Mo.Mo. A,...i vantaggi degli acquisti Il panorama commerciale della Valsugana, e nello specifico quello della moda, si è arricchito di una nuova insegna. Ha aperto, infatti, a Borgo, in Via Roma, Mo.Mo.A (A sta per Armellini) un particolare e moderno negozio di abbigliamento che nella nostra zona, come ci sottolinea Lara Parziani che di Mo.Mo.A è la titolare, presenta e offre alcune specifiche particolarità davvero uniche. Intanto i modelli esposti all'interno del negozio non solo provengono da griffe affermate a livello nazionale, ma hanno anche l'originalità che è caratteristiche della sartoria artigianale. Il tutto a prezzi decisamente convenienti che, parafrasando un vecchio dire, sono alla portata di tutte le tasche. Di poi gli accessori che nella moda donna e giovane non devono mai mancare. In ultimo la cosa più importante che disegna Mo.Mo.A, come un vetrina davvero unica. Come, ci precisa Lara, nel corso dell'anno non si faranno mai sconti, svendite o vendite promozionali. Il vero vantaggio per i clienti è che saranno premiati per la loro fedeltà. Un premio sconto che può arrivare anche fino al 40% degli acquisti effettuati nel corse dell'anno. Una tecnica di vendita davvero innovativa che permetterà di acquistare nel vari periodi dell'anno ma di usufruire, in base alla quantità di acquisti, dei vantaggi previsti. Ogni 20 euro di spesa di avrà diritto allo sconto reale dell'1%
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Lo sport che unisce l’ America
Il Baseball in USA I
l baseball è uno degli sport più amati dagli americani. “E’ un po’ come il calcio in Italia”, dice Tyler Estes, che il baseball lo segue fin da quando era bambino. Tutti gli Stati hanno una squadra di riferimento, di cui gli americani vanno molto fieri. Questa componente locale aiuta a creare un senso di comunità tra i fan. Il baseball “ritrae i valori degli americani, la famiglia, l'amicizia e il rispetto del tuo paese. I giocatori rappresentano la tua comunità, e quando la tua squadra vince non c'è sensazione più bella!” dice Jon Tobergte, storico fan dei Cincinnati Reds. Il baseball ha radici lontane. La prima partita di cui si ha notizia, giocata nel New Jersey, risale al 19 giugno 1846. Nel 1869, i Cincinnati Reds entrano nella storia come il primo club professionistico.
LO SPORT Nel baseball, due squadre composte da nove giocatori si fronteggiano per nove riprese. I giocatori dei due team avversari si alternano per attaccare o difendere. Il lanciatore di una squadra lancia la palla al battitore di quella avversaria. Questo prova a colpirla con una mazza di legno, per poi correre in senso antiorario toccando le quattro basi del campo da gioco e ritornare quindi al punto di partenza, chiamato “casa base”. Ogni atleta che completa il giro del campo guadagna un punto. Una partita dura in media tre ore. Ogni giocatore di baseball deve indossare una divisa con il proprio numero, ed il simbolico cappellino con visiera. CURIOSITÀ Gli hot-dogs sono il simbolico cibo che si consuma negli stadi di baseball. Nel 2014 ne sono stati consumati
Jon, per che squadra tifi, e perché? Supporto i Cincinnati Reds al 100%. Non seguo altre squadre di baseball, a meno che i Reds non giochino contro di loro. Tifo per i Reds perché è una tradizione di famiglia che risale ai miei bisnonni. Anche i miei nonni erano fan sfegatati! Ci portavano allo stadio, guardavamo i Reds per televisione o ascoltavamo le partite alla radio, alla vecchia maniera. Da piccolo, mio papà mi raccontava storie e leggende sulle grandi squadre di baseball, e ad oggi è uno dei nostri modi preferiti per trascorrere del tempo insieme.
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di Francesca Gottardi
quasi 22 milioni. Unendoli tutti si coprirebbe due volte la distanza Trentino-Sicilia. Il giocatore più anziano è stato Leroy Page, 59enne. Il più giovane Joseph Nuxhall, 15 anni. La partita più lunga della storia del baseball americano è durata più di otto ore, quella più corta appena 50 minuti. Le palline da baseball vengono lanciate ad una velocità media di 145 Km/h. Nel 1920 Ray Chapman dei Cleveland Indians venne ucciso da una pallina lanciata da un giocatore degli Yankees. Il baseball è uno dei temi più popolari nella cultura cinematografica americana. È anche un business importante, con un giro d’affari annuale di più di 10 miliardi di dollari. Il fan americano Abbiamo chiesto ad un fan storico dei Cincinnati Reds, Jon Tobergte, di raccontarci cosa il baseball rappresenta per lui e per molti altri americani.
Jon con la moglie allo stadio
Le partite di baseball sono piuttosto lunghe, come ci si intrattiene quando si va allo stadio? Oltre ad assistere alla partita, per gli americani il baseball è un motivo per stare in compagnia. Quando si va allo stadio è tipico mangiare hot dogs, sgranocchiare noccioline e bersi una birretta. Cosa significa il baseball per te? Sono cresciuto giocando a baseball con gli amici e questo sport mi ha sempre appassionato. Mi ha insegnato molte lezioni di vita che porto ancora con me oggi. Ora il baseball è qualcosa che mi fa sentir parte della comunità di Cincinnati. A tutti interessa il baseball, ed è un ottimo argomento di conversazione! Cosa ti piace più di tutto del baseball? Mi piace l'atmosfera familiare che si crea allo stadio. È una buona scusa per uscire con gli amici, con la famiglia e per rilassarsi. C’è qualcosa che non ti piace del baseball? Una cosa che non mi piace del baseball è lo spropositato numero di partite che si disputano ogni anno. Sono circa 183, e questo ne diluisce l’importanza e rende difficile mantenere alto l’entusiasmo durante tutta la stagione.
IL GIOCATORE ITALIANO DI BASEBALL Abbiamo inoltre intervistato Leonardo Seminati, classe 1999. Bresciano, da un anno residente negli Stati Uniti, è un giocatore professionista dei Cincinnati Reds. Leonardo, quando hai firmato il contratto con i Reds? Lo scorso luglio. Sono un loro giocatore nelle serie minori. Complimenti! Vivi a Cincinnati? No, le squadre minori sono sparse per gli Stati Uniti. Adesso sono in Arizona. In Italia il baseball non è molto conosciuto. Come ti sei avvicinato al baseball? È stato grazie a una manifestazione chiamata “Lilliput” che ha luogo tutti gli anni nella mia città natale, Bergamo. Durante la manifestazione i giovani hanno l’occasione di provare tutti gli sport che la città e la provincia propongono! Proprio quell’anno stavano creando la nuova squadra di baseball. Da lì è cominciato tutto… Controcorrente! Ora studi in parallelo allo sport? Si, studio e mi alleno. Durante l’estate tornerò in Italia per sostenere gli esami di maturità. Poi rientrerò in America per l’inizio della stagione sportiva. Buona fortuna, Good luck! Grazie!
Leonardo Seminati in azione
Francesca Gottardi è nostra corrispondente dagli USA Leonardo Seminati alla firma del contratto
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t ei s i r vs i b i l e t in pos im
TROTULA DE RUGGIERO
di Adelina Valcanover
a, nel XI secolo. È stata la più celebre delle ann norm iglia fam le nobi da rno Sale a ue Trotula De Ruggiero nacq Salerno. o frequentato la famosa Scuola Medica di hann che e donn le a ossi ae, nitan Saler res Mulie minile, in particolare la gravidanza, fem icina med a nell tto rattu sop ò ializz Ne diventò anche insegnante. Si spec par tum sciuti: De passionibus mulierum ante e post cono più tti i scri suo i o furon Due o. part il par to e il post ia come scienze mediche e De ornatu olog ginec e tricia ’oste dell ita nasc la a segn (Trotula maior), che sposò con il medico Giovanni Plateario con Si inile. femm ica estet cura alla icato ded mulierum (Trotula minor) l’opera dei genitori. Divenne leggendaria rono tinua con che figli due e Ebb . borò cui colla Buondì, Adelina, mi chiamo Trotula e gradirei mi facessi un’intervista, se mi hai sentita almeno nominare. Dal tuo abbigliamento penso tu sia Trotula de Ruggiero, della famosa Scuola Medica di Salerno, vissuta, se ricordo bene, nel XI secolo. Hai indovinato, ai tempi di Gisulfo II. Allora posso raccontare di me ai tuoi lettori? Penso tu abbia molte cose interessanti da narrare. Per esempio come fu che diventasti medico. Una donna! Tutti parlano del Medio Evo come di secoli bui, dove regnava ignoranza, superstizione e per noi donne, soggezione assoluta. Ero della nobile famiglia normanna dei De Ruggiero, a Salerno. Come tale ho potuto accedere alla
Trotula De Ornatu Mulierum
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scuola, e non solo io. Ci chiamavano le “Mulieres Salernitanae”. Ho anche insegnato e scritto molto, ma a voi sono giunti solo due trattati, uno è di ginecologia e ostetricia e l’altro dedicato alla cura estetica femminile. Spiega per esteso di che cosa tratta il tuo “Libro unico di Trotula sulla cura delle malattie della donna prima durante e dopo il parto”. Il trattato si compone di 64 capitoli, ma so che i primi 12 sono andati persi. Ci sono precetti, prescrizioni e consigli che comprendono tutta la vita della donna: le infermità e le sofferenze che capitano al sesso femminile, la cura dei bambini al momento del parto, la scelta della nutrice e così via. Offro un quadro completo della natura femminile valorizzandola nella sua identità di genere. Riguardo alla natura della donna che cosa hai detto? Rispetto a quella maschile, la natura della donna è fredda e umida, cosa che, se da una parte permette la complementarietà dei due sessi, dall’altro favorisce certe malattie che colpiscono esclusivamente le donne. Il compito della donna medico è per esempio di diagnosticare i motivi dei problemi del ciclo e individuare i rimedi. Attraverso la farmacopea si tende a ripristinare il giusto equilibrio con bagni caldi, e infusioni di erbe, regime alimentare sano
Trotula de Ruggiero - da mediterraneaonline.eu
e stile di vita rigoroso. Riguardo alle patologie ginecologiche, ho trattato sulle cause della sterilità e ho affermato che la causa può risiedere sia nell’uomo che nella donna. Non posso certo in due parole spiegarti tutto, ma ho anche pensato a sistemi anticoncezionali. Hai sviluppato molto gli studi ostetrici. Vuoi parlarne? Tratto gli aspetti della posizione del feto nell’utero, l’individuazione dei segni di gravidanza, il regime alimentare della donna incinta e della partoriente. Il parto riveste un valore fondamentale, naturalmente; insomma, oltre a riporre fiducia in Dio, è necessario, secondo me, un’atmosfera tranquilla e rispettosa del pudore della donna, per cui coloro che assistono al parto devono evitare di guardare in volto la partoriente. Una volta nata, la creatura merita cure
e attenzioni dirette a proteggerla da stimoli sensoriali eccessivi e mantenuta in ambienti caldi, e accompagnata da “cantilene e parole facili”. Alla puerpera vengono prescritti bagni, dieta di cibi caldi, tranquillità e riposo. Ma nel caso di un parto difficile o mal condotto, cosa proponi? Anche in questo caso ho provveduto, naturalmente. Ho fatto veri e propri studi pediatrici che si trovano nella parte
finale del testo dove descrivo metodi e accorgimenti per preservare la salute del neonato e del bambino in generale. Tieni conto che mi basavo sulle esperienze dell’epoca. Mi pare che sei estremamente moderna anche dopo mille anni. E dell’altro trattato che ci racconti? Diciamo che è una raccolta di ricette cosmetiche riguardanti la pelle, il sorriso, le labbra, le mani, l’alito, ecc. Riporto
Le donne medico dell'antica Scuola Medica Salernitana, Trotula de Ruggiero - da Cinque Colonne Magazine
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l’uso di ben 96 piante e derivati, 20 preparati di origine animale e derivati, 17 minerali e sei preparati misti con 63 ricette per ottenere rimedi sia cosmetici che medicinali. Vorrei che fosse chiaro che tutto questo non è a scopo frivolo, la cura della bellezza è anche segno di un corpo sano, armonico e il tutto collegato con la psiche. Ti sei sposata? Hai avuto figli? Oh sì! Un medico come me, si chiamava Giovanni Plateario. Abbiamo collaborato e i nostri figli Giovanni e Matteo sono diventati medici anche loro e insegnanti. Vennero chiamati “Magistri Platearii”. Sono stata fortunata e mi sono realizzata in pieno. So che secoli dopo un tedesco che non nomino (così impara!) mi ha cancellata dalla storia della medicina. Anche un’altra gran donna, monaca tedesca è stata cancellata, non sono certo stata l’unica. Però, come vedi, alla fine i detrattori vengono dimenticati e chi merita, riabilitato. Con questo mi congedo, invitando tutti a curare il proprio aspetto insieme alla propria salute, e a vivere in armonia.
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Don Ferdinando Ochner agli albori dell’archeologia*
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erdinando Ochner nasce a Pergine Valsugana il 3 novembre 1837, da Domenico e Giuditta Todesco, primogenito della coppia cui seguono due sorelle Teresa e Maria Domenica, e un fratello, Giuseppe. La famiglia è originaria del monte di Fierozzo, come testimonia il cognome di origine tedesca, ma dal 1730 risulta abitare a Pergine. Il 25 luglio 1862, a 25 anni Ferdinando viene consacrato sacerdote, e sarà mandato in cura d’anime per lo più nei dintorni del perginese e in Valsugana, fino a giungere a Serso nel 1886 per rimanervi fino al 1908. Guglielmo Stefani che nello stesso anno gli succede come curato di Serso, in occasione della sua scomparsa così lo descrive nel Libro dei Morti: «Fu sacerdote pio, zelante, studioso. Compilò molti volumi di prediche, sermoni, omilie, istruzioni catechistiche da formare una biblioteca di opere manoscritte. Scrisse l’Ermete, romanzo storico religioso dato alle stampe. Compilò vari drammi e numerosissime poesie d’occasione, oltre parecchi articoli di giornale di soggetto archeologico o storico». La sua prima opera letteraria è proprio “Ermete, ovvero i Primordii della Fede nella Valsugana”, frutto della sua permanenza a Calceranica, e datato 1877. Precedentemente alla chiesa di Sant’Ermete, sul dosso vi era un antico tempio dedicato al culto pagano di Diana, prima testimonianza di fede nella zona. Per la seconda edizione dell’opera, don Ferdi-
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nando avrà anche il sostegno di don Giovanni Bosco, come da lettera conservata nell’archivio della parrocchia di Serso. L’opera lo accompagnerà per tutta la vita, riscuotendo grande successo di pubblico, sarà rivista ampliata e stampata in ben quattro edizioni. Don Ferdinando nel tempo scriverà numerosi articoli per “La voce Cattolica”, giornale religioso, politico e letterario, che esce a Trento a partire dal 1866, inizialmente a giorni alterni e divenendo successivamente quotidiano nel 1897. È il 12 maggio 1891 che compare il primo articolo archeologico che tratta dei ritrovamenti rinvenuti ai “Monticelli” di Serso, tema di cui si occuperà in maniera ricorrente, giungendo a chiedere un parere all’archeologo di origini roveretane Paolo Orsi, divenuto direttore del Regio Museo Archeologico di Siracusa. Negli anni si moltiplicano i testi per la drammatizzazione teatrale, uno strumento utile all’educazione morale della popolazione e alla diffusione del messaggio cristiano.
di Chiara Paoli
Molte anche le memorie storiche che si possono ritrovare nei suoi manoscritti, come la narrazione dell’arrivo dei garibaldini a Calceranica il 25 luglio 1866. I suoi articoli sono spesso volti a sensibilizzare le amministrazioni di fronte alle preziose testimonianze archeologiche storiche e artistiche che connotano la zona, così per esempio l’articolo dedicato all’”Antica chiesa castaldiale di S. Giorgio in Serso”. Con l’arrivo del nuovo secolo giungono per il sacerdote studioso problemi alla vista, avviandosi verso la cecità non può più portare avanti le sue ricerche e rinuncia anche all’attività di pubblicista. Don Ferdinando Ochner si spegne per “apoplessia cerebrale” il 7 agosto 1912; solo nel 1978 la Soprintendenza provvederà al recupero, restauro e valorizzazione del sito dei Montesei di Serso, di cui lui per primo si era occupato. I suoi scritti sono testimonianza fattiva della sua passione per le antichità, del suo impegno per promuovere lo studio e la conservazione di quelle testimonianze che contraddistinguono la nostra storia locale. Le immagini sono tratte dal volume citato. *Le informazioni per questo articolo derivano dalla pubblicazione curata da Nicola Degasperi e intitolata “Le memorie sepolte: Don Ferdinando Ochner e gli albori dell’archeologia nel Perginese”, edito dal Comune di Pergine Valsugana, Biblioteca Comunale nel 1999.
UNA VERA E BELLA AMICIZIA Coro Cima Vezzena e Coro Sant’Osvaldo
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e l’economia non è solo numeri ma soprattutto relazioni e fiducia, come si sostiene da più parti, allora l’attività sociale di una associazione come un Coro di montagna va tenuta in grande considerazione da ogni amministratore previdente che ne segue con partecipazione la vita e i travagli, preoccupato che questa continui sempre a rappresentare un blasone per la propria città. Vogliamo parlare del Coro Cima Vezzena, con sede da 35 anni a Barco di Levico, una lunga storia che ha visto alternarsi nel ruolo di presidente il compianto Danilo Avancini, seguito da Giorgio Avancini, Stefano Acler, Fabio Recchia, Giancarlo Filoso, Marco Fraizingher, Mario Miori, e l’attuale Osvaldo Gabrielli; i maestri sono stati Luciano Vergot, Mauro Martinelli affiancato per molti anni dal indimenticabile fratello Alberto come vice maestro, e quindi una breve supplenza del Maestro Riccardo Baldi. Ultimamente, la prima uscita fuori provincia del Coro Cima Vezzena sotto la nuova direzione del Maestro Salvatore La Rosa, e del vice maestro Roberto Sbetti, promosso sul campo per meriti canori, ha rappresentato un segnale importante
di ripresa dopo i vari movimenti al vertice causati da gravi lutti che ancora segnano la compagnia canora. Dopo quasi due anni di travaglio, il Coro, rinforzato di alcuni elementi del Coro sant’Osvaldo di Roncegno, diretto dallo stesso La Rosa, ha ritrovato la forza e la bravura di esibirsi, nella chiesa parrocchiale di Campiglia Cervo, in provincia di Biella. Ospiti del Coro Burcina che ha ricambiato una precedente visita in quel di Levico Terme, dopo il concerto davanti a un folto pubblico di turisti, pernottando in un hotel di Biella, il giorno seguente ha visitato il santuario di Oropa, dedicato alla Madonna Nera, situato una dozzina di chilometri a nord di Biella, a 1160 metri di altitudine, in un anfiteatro naturale di montagne che circondano la sottostante città, dove il Coro ha preso parte alla celebrazione della messa festiva, animandola con i canti del suo repertorio, facendosi ascoltare dai radioascoltatori di tutta la provincia di Biella nel consueto collegamento con la celebrazione eucaristica. Una uscita che ha certamente contribuito ad alimentare la fiducia in se stessi dei coristi e del novello vice maestro, ma
anche e soprattutto ha fondare l’amicizia nata con il Coro sant’Osvaldo al quale il presidente del Cima Vezzena ha voluto donare, in occasione dei recenti festeggiamenti per il 50° di fondazione celebrato nella 46a rassegna del Coro sant’Osvaldo nel salone delle feste del Palace Hotel di Roncegno, una pergamena vergata da una frase significativa nell’intento di fotografare lo stato di fatto del percorso che ha visto i due Cori sintonizzarsi in un reciproco scambio: «I Cori hanno nomi diversi, ma lo stesso cognome: “Amicizia”». Impossibile dimenticare il gesto di 4 amici del sant’Osvaldo che la sera del concerto a Campiglia Cervo, hanno affrontato i quasi 400 Km in macchina per cantare assieme al Cima Vezzena e poi ritornare subito dopo a Roncegno. Degli eroi della coralità trentina come se ne possono trovare nei nostri cori di montagna e, come è facile considerare, sono un elemento di forza per far crescere l’economia. I due cori si ritroveranno di nuovo il 15 e il 16 di questo mese per cantare assieme in quel di Hausham nel land della Baviera nella ormai tradizionale visita al comune gemellato con Levico Terme.
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Una vera autentica opera d’arte
La grande Fontana di Egidio Casagrande
di Mario Pacher
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na delle grandi opere realizzata a mano nel laboratorio del Cav. Egidio Casagrande, fu la fontana in rame, alta più di 12 metri, che per una cinquantina d’anni ha fatto bella mostra all’ingresso di Borgo Valsugana. Una importante “scultura” che tutti, per decenni, l’hanno considerata il “biglietto da visita e l’immagine di Borgo, quasi a voler dare artisticamente il benvenuto a quanti giungevano dalla parte ovest del paese. Ed era un piacere vederla e ammirarla non solo per la sua originalità o per la sua imponenza, ma anche e principalmente per la creatività del suo ideatore. Oggi quell’opera artigianale non c’è più. E’ stata, purtroppo, smontata e spostata per dare spazio ai lavori di realizzazione di una rotatoria stradale. E quel fatto e quella decisione dell’amministrazione comunale hanno creato, allora, grande rammarico e stupore fra tutti i borghesani e dei paesi viciniori al pensiero che quell’opera, costruita da un grande artista valsuganotto, Egidio Casagrande che per decenni, con il suo ingegno e con le sue capacità artistiche anche in periodi di grande crisi economica nella nostra valle, ha dato
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Casagrande Egidio
lavoro e procurò sostentamento di vita a tante famiglie della nostra zona, non sarebbe stata visibile. Noi non vogliamo entrare nel merito del perché la fontana, dopo che è stata tolta dal luogo dove era stata sistemata, non abbia potuto trovare una logica sistemazione a Borgo. Forse qualcuno avrebbe fatto bene a spiegarne i motivi. A nostro modesto avviso, quell’opera meritava di rimanere al suo posto dove era stata sistemata dal “suo” creatore e dalle maestranze della ditta, che nel lontano 1960 erano ben 115, divenuti tutti veri maestri nella lavorazione di capolavori che si sono sparsi poi in tutto il mondo a onore e vanto dell’artigianato locale del rame e dell’ottone. I passanti, italiani e stranieri, si fermavano spesso a osservarla e anche per scattare una foto da portare come ricordo. Poi su quel suolo, qualche decennio fa, venne realizzata una rotatoria e così la grande fontana è stata smontata e trasferita in altro posto. Ezio Casagrande, figlio di Egidio, per ben due volte la propose in vendita al comune di Borgo, a un prezzo di poco superiore a quelle
che sono state le spese di realizzazione e di manutenzione. L’amministrazione comunale, però, non ha mai dimostrato grande interesse all’acquisto, anche se l’intera popolazione di Borgo amerebbe rivederla nel suo paese d’origine a fare ancora bella mostra e rendere onore al suo creatore. Sono state fatte allora delle proposte ad altri comuni anche del Veneto che sembravano più disposti a una trattativa. Nulla però di fatto. E sembra di capire che il suo futuro, in quanto a destinazione, appare ancora molto incerto. Per la cronaca la grande fontana è stata divisa e portata via, con l’ausilio di autogrù e mani esperte nella lavorazione artistica dei metalli, in Via Primo Boale a Borgo nel giardino di Ezio Casagrande, figlio del grande artista Egidio, Qui è stata parzialmente restaurata fino all'altezza dello stadio del “mondo sostenuto dai giganti”,
cioè quello grasso felice e buono, e il magro avaro e perfido. Le statue delle ballerine che erano sulla parte alta assieme a quella più importante che raffigura l’Evita Peron, sono su basi di cemento con telaio inox all'interno, erette in fila all'entrata del giardino. Casagrande Ezio
La Madonna di Egidio Casagrande
STORIA DELL’ARTIGIANATO LOCALE DEL RAME E OTTONE
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a ottenuto grande successo di visitatori venuti anche da altri paesi del Trentino, la mostra rimasta aperta per due settimane presso lo spazio Klien del municipio di Borgo Valsugana ed organizzata da un gruppo di artigiani, ex dipendenti della ditta del cav. Egidio Casagrande di Borgo Valsugana e che hanno proseguito poi in proprio l’attività di cesellatori del rame. L’idea di questa mostra chiamata “Storia dell’artigianato locale-esposizione lavori artistici in rame e ottone”, era venuta da uno di loro, il cesellatore Marino Cipriani al quale si sono subito uniti alcuni colleghi: Giuseppe Camossa, Bruno Dalvai, Bruno Sordo ed il figlio del cav. Egidio, Ezio Casagrande che ha messo in esposizione anche una conchiglia con angioletto che fa parte della grande fontana che per tanti anni fu posta come insegna all’ingresso ovest di Borgo Valsugana. Di grande valore anche le opere degli altri espositori che hanno posto in mostra quadri artistici, anfore, sculture sacre e tanto altro. ”Questo progetto, come ha affermato il promotore Cipriani, è nato allo scopo di dimostrare alle nuove generazioni quanto fu importante questa attività del passato che in Valsugana, grazie all’ingegno del cav. Egidio Casagrande, portò per tanti anni lavoro e quindi sostentamento di vita a più di cento famiglie contemporaneamente, precisamente 115 nei primissimi anni ‘60. Gli artistici oggetti prodotti venivano poi esportati in tutti gli stati del mondo. Il cav. Egidio, purtroppo, concluse la sua vita terrena in età ancora giovanile, a soli 51 anni nel 1962. Proseguì poi l’attività la vedova signora Gemma Corazzari fino al 1969 e, da quell’anno, subentrò come titolare il figlio Ezio. (M.P.)
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attenti ai farmaci online
POSSONO ESSERE
PERICOLOSI
Dall’AIFA, dall’Aduc, dalla Associazione Urologi e dall’ Antitrust, un invito alla massima cautela e grande attenzione agli acquisti. Rivolgersi solo e solamente al proprio farmacista di fiducia oppure alle farmacie online autorizzate.
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uello delle farmacie false che si presentano su internet è oramai un vero business mondiale. Sempre di più si trovano siti del tutto somiglianti a vere farmacie che promettono di vendere farmaci autorizzati e invece propongono articoli e ritrovati illegali e potenzialmente dannosi per la salute. Sono tantissimi i falsi farmaci che possono avere effetti collaterali o gravi interazioni con altri medicinali assunti e che alla lunga possono diventare veri cocktail micidiali. Secondo una recentissima ricerca relativa agli acquisti on line di farmaci e medicamenti vari, è dimostrato che un italiano su due si avvale di questa particolare e non sicura metodologia affidandosi a non certificati siti che reclamizzano l’acquisto a basso di prodotti farmaceutici che nulla hanno di certo e garantito. Non solo ma i numeri evidenziano anche che più del 40% degli intervistati dichiara di considerare il web un canale sicuro per l'acquisto di medicinali poiché, a loro dire, lo fanno perché sui siti visitati è presente la parola 'farmacia' e quindi certezza di garanzia. Nulla di più falso perché per
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essere certi di essere in presenza di una farmacia online attendibile e sicura è necessario che sulla Home Page sia presente un "bollino" rilasciato direttamente dal Ministero e che certifica e garantisce la serietà e l'affidabilità del rivenditore. Oramai il web è diventato il luogo più frequentato per acquisti e gli scambi commerciali e purtroppo i danni e la pericolosità alla salute di questa prassi sono testimoniati anche dalle affermazioni del Presidente di Federfarma Servizi, Antonello Mirone, il quale oltre a sottolineare che alla base vi è una totale mancanza di consapevolezza circa i potenziali rischi che si corrono acquistando indiscriminatamente medicinali via internet evidenzia che questi farmaci sono prodotti senza nessun controllo di sicurezza e di qualità. Non solo, ma se questi prodotti
costano poco significa che per la loro preparazione non sono usati i richiesti principi attivi che ogni farmaco dovrebbe avere. Da qui il risultato che nel 100% dei casi presentano qualche anomalia, più o meno dannosa. Un’analoga indagine ci dice anche che in oltre il 30% dei farmaci venduti su internet non ci sarebbe il principio attivo e che il circa il 20% il principio attivo richiesto darebbe diverso oppure presente in dosi sbagliate oppure presente in piccolissime quantità e che potrebbero contenere elementi potenzialmente dannosi. Un altro dato significativo è che ad acquistare online sono principalmente gli uomini e lo fanno per avere a bassa costo (ma non certificati) sia farmaci per la disfunzione erettile (Viagra, Cialis e similari) sia anabolizzanti o prodotti per migliorare le prestazioni fisiche, di non certa provenienza. Le donne, seppur con minor frequenza, per le creme di bellezza, tinte e coloranti o prodotti per dimagrire.
I “Borghi più Belli d’Italia” in Trentino di Chiara Paoli
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ltimo acquisto tra i Borghi più Belli d’Italia in Trentino, il Comune di Bondone che vanta, su di uno sperone roccioso a picco sul Lago Sommo, un bellissimo maniero: il castello di San Giovanni. La sua storia si lega all’antica arte dei carbonai che passavano gran parte dell’anno in montagna con tutta la famiglia per portare avanti l’attività. A loro è dedicato un monumento nella piazza principale del paese, e una mostra è stata allestita nelle sale del castello; la figura del carbonaio viene ricordata ogni anno il 9 di settembre. Ma quali sono i borghi più belli d’Italia in Trentino? Quasi sicuramente la maggior parte dei trentini conosce i bellissimi borghi medievali di Rango e Canale di Tenno, ma la lista non si esaurisce qui. Nella sola provincia di Trento i paesi meritevoli di menzione sono ben sei, ai quali se ne aggiungono cinque in provincia di Bolzano, per un totale di undici in Trentino Alto-Adige. Oltre all’ultimo arrivato e ai due già citati paesi, molto noti, vi sono Mezzano, San Lorenzo Dorsino, e Sén Jan di Fassa. Il primo si inserisce nello splendido Parco di Paneveggio Pale di San Bondone - Monumento al carbonaio
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Martino, un paesaggio caratterizzato da malghe, tabià (fienile) e lisiere, gli antichi lavatoi dove le donne andavano a fare il bucato con lisciva di cenere. El Tabià del Rico è un museo privato e visitabile gratuitamente che rispecchia un piccolo mondo antico, è possibile immergersi anche in due su tre Stoli, si tratta di gallerie che servivano per intercettare Case vacanze a Mezzano di Primiero - Casa Marcella l’acqua utile ad approvvigionare le fontane. Quassù si assapora un paesaggio molto gra una sua identità storica». legato alle tradizioni, dove alcune stalle “Cataste e Canzei”, è il titolo di una sono ancora in funzione e si dedicano nuova iniziativa che promuove la reaalla produzione della tosella, specialità lizzazione di cataste di legno artistiche e monumentali, che vanno aumentipica locale. L’abitato si contraddistingue per il sus- tando di anno in anno e sanno attirare seguirsi di tetti sporgenti, per la pre- l’attenzione dei visitatori. San Lorenzo senza di ballatoi in legno e dei Dorsino, detto anche in Banale, dincaratteristici bovindi (balconi chiusi e fi- nanzi alle splendide Dolomiti di Brenta nestrati); i vicoli si presentano lastricati ha conservato la tradizionale architeta “salesà”, mentre le assi dei rustici ap- tura alpina e si contraddistingue per gli paiono ingrigite dal sole e dallo scor- stretti vicoli del centro, archi e avvolti. rere del tempo.«Qui si celebra il rurale Il centro abitato si anima all’inizio di no– troviamo scritto nel vembre grazie alla sempre più nota sito borghipiubellidita- Sagra della Ciuìga, oggi presidio Slow lia.it - con l’itinerario food. Il salume che un tempo, a causa “Segni sparsi nel ru- della povertà e con la penuria di carne, rale” , dedicato ad vi mescolava assieme la rapa per poacqua, orti, architet- terne produrre di più. Oggi il salume titura, incisioni, affreschi: pico della zona è prodotto in quantità 20 pitture murali, oltre limitata e va letteralmente a ruba; lo si 100 iscrizioni, circa 400 può degustare negli avvolti durante la orti, un particolare si- sagra o acquistare sotto vuoto da porstema di distribuzione tar via. “C’era una volta” è il nome idrica e le architetture dell’ esposizione etnografica permadel paese. Il borgo, gra- nente allestita nell Parco Naturale Adazie a restauri filologica- mello Brenta; qui sono stati raccolti mente corretti e riusi alcuni utensili dei tipici lavori agricoli e rispettosi, mantiene inte- silvo-pastorali di un tempo.
Sèn Jan di Fassa, ai piedi del Ciampedie, che in ladino significa letteralmente “campo di Dio”, si contraddistingue per la presenza della minoranza linguistica, tutelata dall’Istitut Cultural Ladin. Questo linguaggio e la cultura
Vigo di Fassa - Cappella S. Maurizio
locale sono il frutto della stratificazione di differenti culture che nel tempo hanno conquistato la zona, vi si mescolano componenti “barbare”, retiche, e romane che si sono conservate nelle zone più isolate nelle vallate intorno al massiccio del Sella. Il centro è stato oggetto di una più moderna urbanizzazione, mentre le frazioni d’intorno mantengono intatta l’atmosfera di un tempo perduto, che si può ritrovare anche nel Museo Ladino di Fassa collezione etnografica che si colloca negli spazi dell’antico fienile, Tobià de la Pieif. In ognuno dei sei piccoli centri ricorrono crocifissi ed edicole votive, agli incroci delle strade, ma anche nei campi; al visitatore si prospettano inoltre numerose festil, fontane in ladino, e tobié, fienili in legno.
LE CRONACHE LEVICO TERME
IN RICORDO DI LUCIANO
È
rimasta aperta per una decina di giorni presso la sala Cine Città di Levico Terme, la mostra collettiva di opere pittoriche del Gruppo Belle Arti “La Fontana” di Gardolo, ispirate da liriche del poeta e scrittore Luciano Decarli recentemente scomparso, intitolata “Fora fora per la Valsugana”. Una esposizione di oltre trenta dipinti prodotti da 17 soci del Gruppo che hanno cercato di illustrare con il colore una poesia di Decarli e che è stata inaugurata alla presenza di gran parte degli stessi artisti, dei famigliari di Decarli, tanti cittadini e diverse autorità. Il presidente del Gruppo Luigi Bevilacqua ha così sintetizzato: “Era la sera di venerdì 29 settembre dello scorso anno quando il nostro amico poeta e scrittore Luciano, graditissimo ospite presso la rinnovata sede sociale del Gruppo Belle Arti “La Fontana” di Gardolo, proponeva a noi pittori un singolare progetto: interpretare con il colore qualche sua armoniosa lirica riguardante la storica ferrovia della Valsugana e la relativa attuazione di una rassegna pittorica collettiva dei lavori sul tema in quel di Levico Terme. Questa sua stimolante indicazione venne accolta molto positivamente dal Gruppo e subito fatta propria per il programma di attività di quest’anno. Ora eccoci qui con questi nostri dipinti, sperando di aver rispettato il desiderio dell’amico Luciano che purtroppo non è più fra noi, interpretando con il colore, gli autentici dialettali versi delle sue armoniose liriche “Fora fora per la Valsugana”. Sono state recitate anche alcune poesie di Decarli e si è tenuto pure un breve concerto musicale. (M.P.)
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DIEGO ORECCHIO poeta di casa nostra “Come un sogno di una dolce estate”
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questo il titolo dell'ultima fatica letteraria di Diego Orecchio, uno scrittore che la critica ha giustamente definito” il poeta della natura, del mare, e dell'amore per la sua terra”. Un’opera che segue il “Canto delle Sirene e i “Canti di un poeta mediterraneo” che dopo gli attestati, sono stati conservati nel cassetto dei ricordi più belli. Di origini calabresi, ma trentino di adozione, nel tempo e con il tempo Diego ha saputo maturare una crescita poetica che gli ha permesso di ottenere unanimi riconoscimenti e premi di assoluto valore. Il suo è uno scrivere decisamente dinamico perchè dai suoi versi e nei suoi versi si concretizza un qualcosa che appartiene al nostro quotidiano, dove la vita è reale, concreta e non immaginata. Biagio Di Meglio , storico del cinema, lo ha definito “autore polivalente poiché, sottolinea, della vita traccia una di-
mensione personale, legata al sociale, dedita al prossimo, proiettata nei riflessi emotivi della sua indole, che lo inducono a vivere il senso delle cose con amore”. E di amore, le poesie del “nostro” Diego, sono stracolme perchè non solo sintetizzano la sua infanzia e la sua gioventu' combatDa destra- Il poeta orecchio con accanto la moglie Fernanda tendo e superando i problemi e le difficoltà della vita, ma bene riescono a dare la vera sintesi del premi (elencarli tutti ci vorrebbe una suo pensiero rivolto sempre alla fami- pubblicazione a parte): 1° Classificato glia, al prossimo che lo circonda e alla nel concorso Lettere e Arti “ Due Sicilie fede che quotidianamente lo sostiene. con il tema “ A mio padre; ” 1° Premio E sono certamente questi elementi e il al Concorso letteraio Internazionale “ suo modo “semplice” di scrivere che La Fenice”;1° Premio Concorso Interne hanno motivato i numerosi ricono- nazionale - sezione Web in dialetto cascimenti. E citiamoli alcuni di questi labro-reggino con la poesia “A me A destra: Diego Orecchio
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terra”. 1° Premio al XV Meeting della Fede; Encomio Solenne nella 18esima edizione del “ Premio Ginestra”; Assegnatario della nomina di Accademico di Lettere e Arti da parte dell'Accademia Internazionale Vesuviana. Il quotidiano di Orecchio, però, non è solo fatto di poesia o scrittura perchè la sua è un’attiva partecipazione alla vita sociale e della comunità dove vive. Convegni e dibattiti culturali, mostre, raduni e confronti aperti lo vedono sempre presente e dove spesso, declamando le sue poesie con la semplicità e spontaneità, riesce a rendere partecipi gli ascoltatori e coinvolgendoli nella sua mai doma essenza di vita. (A.M.)
ADOTTA UNA MUCCA premia la Transumanza di Pace
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na serata inconsueta per “Levico incontra gli autori” ha visto protagonista, non un autore ma un forestale in pensione, Gianni Rigoni Stern, figlio del più famoso e compianto Mario, scomparso 10 anni fa. Lisa Orlandi della Piccola Libreria ha portato in città questa volta il promotore di una campagna di solidarietà tra le più urgenti, quella di ricostruire nel dopoguerra della Bosnia, «ricostruire che non significa – ha detto l’assessora provinciale Sara Ferrari – semplicemente dare denaro e tirare su case, ma occorre lavorare per ricreare una economia, rifare il tessuto sociale di un popolo decimato dalla guerra, al quale è stato tolto tutto». Proprio con questo obiettivo, nel 2009 è nato il progetto “La transumanza della pace” sponsorizzato dalla Provincia di Trento e dalla Chiesa Valdese, coordinata da Rigoni Stern di Asiago, Altipiano dei Sette Comuni, donando, ma sarebbe meglio dire affidando, a una cinquantina di famiglie della comunità montana di Susceka sull’altopiano di Srebrenica, delle manze per poter ripartire con una economia di sostentamento e sopravvivere in un territorio martoriato dal terribile genocidio di 23 anni fa, ricordato come il massacro più brutale e sanguinoso dalla fine della seconda guerra mondiale. Levico in qualche modo ha dato il suo contributo, «onorato di ospitare questa tappa ideale della transumanza della Pace», ha detto in sintesi il sindaco, Michele Sartori prima della proiezione del documentario che ne racconta gli sviluppi dal 2010 fino a oggi, nominando una a una le manze donate dagli allevatori e dalle allevatrici della val Rendena, vacche razza Rendena tra le più longeve e resistenti anche se non grandi produttrici di latte. E il recupero socio-economico e ambientale, realiz-
zato da Rigoni Stern, lo si vede nell’ambiente che cambia, nei sorrisi dei bambini, negli abbracci con le anziane allevatrici della Bosnia che ricominciano a vivere e a sperare che i loro figli trovino una alternativa all’emigrazione. «Nel 2009 con la regista Roberta Biagiarelli – racconta Gianni - ho visitato Srebrenica, e dal momento che sono laureato in scienze forestali e sono in pensione, mi è stato chiesto di dare una mano per potare le piante. Ho trovato pascoli abbandonati, infestati di felci aquiline, mortali per le vacche, e la gente, tutti avevano almeno 4-5 lutti in famiglia, era allo stremo. In settembre, grazie alle sovvenzioni ottenute dalla Provincia di Trento, sono partito con un primo carico di manze della Val Rendena, fornendo alle famiglie le informazioni necessarie ad allevare i bovini. Grazie alla solidarietà di tanti e di amici veterinari, il progetto è proseguito con attività di formazione e assistenza tecnica. Sono state costruite stalle ampie e moderne e stiamo compiendo un passo avanti verso la realizzazione del
di Franco Zadra
caseificio». Con Rigoni Stern, gli amici trentini del progetto, Daniele Zovi, amico d’infanzia di Gianni, generale del Corpo Forestale dei Carabinieri, massimo esperto di fauna alpina e scrittore, già noto a Levico poiché aveva presentato un suo libro “Alberi sapienti e antiche foreste” proprio all’inizio della rassegna “Levico incontra gli autori”; e Andrea Lamalfa, presidente Arci Trentino. Un progetto che è costato a Gianni una cinquantina di viaggi, con quasi 140mila chilometri percorsi, circca 300 giorni di presenza in Srebrenica, bevendo quasi duemila caffè e altrettanti rakije offerti dalle famiglie, dalle quali ha ricevuto anche numerose “pape” (babbucce di lana”, bottiglie di rakija, di pecmes, e marmellata. Un progetto che ancora continua, a dimostrazione della sua qualità, e che ora ha ricevuto anche il piccolo contributo di Adotta una Mucca nella sua 14a edizione. A consegnare l’assegno di 2000 euro a Gianni Rigoni Stern, il vice presidente di Apt Valsugana Roberto Crivellaro.
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Grande riconoscimento “mondiale” per la Banda Folk di Castello Tesino
DA CASTELLO TESINO A SHANGHAI L
a Banda Folk di Castello Tesino è stata invitata a partecipare, come unico gruppo italiano degli ultimi anni, al Tourism Festival di Shanghai che si terrà dal 13 al 20 settembre 2018. Uno dei più importanti avvenimenti di tutta la Cina con una visibilità di oltre 11 milioni di spettatori e la diretta mondiale sulla TV nazionale cinese. Per i “nostri” rappresentanti un’eccezionale opportunità perché, grazie alle loro capacità artistiche sono stati scelti, un avvenimento da racchiudere nel cassetto dei ricordi più belli, per rappresentare l’intera nazione italiana e in particolare la cultura e le tradizioni del Trentino in una spettacolare vetrina
come la Cina, in una metropoli come Shanghai! «Come tutti potranno immaginare - ha detto il presidente Claudio Costa, siamo stati da subito pervasi da un entusiasmo travolgente per questa storica trasferta. Infatti, in questi mesi ci stiamo impegnando davvero moltissimo per prepararci al meglio nelle esibizioni e ben figurare in questa rassegna internazionale. Noi, che arriviamo da un piccolo paese ai margini della provincia di Trento che negli ultimi anni sta vivendo, come molte realtà periferiche di montagna, difficoltà legate all'economia e allo spopolamento, cerchiamo di resistere, ancorati sì alle nostre tradizioni, ma con
lo sguardo rivolto anche al futuro, orgogliosi di indossare e di far conoscere il costume tradizionale della valle del Tesino, uno dei più antichi e belli dell'arco alpino». «Credeteci - ha concluso Costa -, ancora non ci pare vero… da Castello Tesino fino all’estremo oriente, sulle orme dei nostri avi, quei coraggiosi e lungimiranti Tesini, venditori ambulanti arrivati in tutto il mondo con il loro carico di stampe da vendere e i loro tanti sogni».
Nota di redazione: Nel numero di ottobre e al loro rientro in Italia, realizzeremo un ampio servizio sulla trasferta in Cina della Banda Folk di Castello Tesino.
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van o i g i e d che o i n o m i Un patr
e r a z z i r o val o n o i l g i vo
Le miniere dimenticate
della Valsugana Orientale
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tefano Marighetti, classe 1990, è un geologo e abita in Valsugana, più precisamente a Selva di Grigno. Lo sentiamo telefonicamente mentre si trova a Bolzano per lavoro. Una perizia, dice. L’immagine che si ha del geologo è invece quella di una persona che, armata di martelletto e casco con torcia, s’addentra nelle viscere della terra per uscirne solo coperto di fango. E in parte Stefano ricalca questa idea: in alcune fotografie che corredano lo studio che ha inviato qualche giorno fa è effettivamente intento a esplorare un buco nel terreno insieme a un gruppo di amici. Sono i ragazzi dell’associazione Armo che in quei buchi hanno passato parte della loro infanzia, e che sperano di costruire qualcosa d’interessante per il futuro. Non sono infatti buchi qualsiasi: si tratta del complesso delle miniere di lignite costruita a Ospedaletto. La lignite è un sedimento organico e combustibile, un carbone fossile. Circa 10 milioni di anni fa, nel Miocene Superiore, al posto di questi materiali c’erano rigogliose foreste. Si tratta però di un combustibile non particolarmente pregiato perché, a causa della sua alta umidità e della carbonificazione mai totale, non ha una resa ottimale.
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Per decenni fu importantissima nell’economia italiana e per questo motivo era estratta in ingenti quantità. Ma poi dopo la crisi dell’attività mineraria e l’introduzione di nuove forme energetiche, molte delle miniere di lignite furono abbandonate e, poi, dimenticate. «Qui c’era inoltre solo uno staterello di carbonfossile» spiega Stefano al telefono. È il caso, per esempio, della miniera di lignite protagonista dello studio di Stefano Marighetti in una ricerca condotta in collaboraione con Muse, in particolare con il geologo Paolo Ferretti. La ricerca collegata al suo tirocinio universitario non è però partita dall’esplorazione del territorio che Stefano conosce bene, bensì dagli archivi storici.
Miniera 3C Binari - Stefano
di Elisa Corni
Se la memoria della miniera era sempre rimasta viva nella popolazione di Ospedaletto che, a partire dal 1829, visse per decenni di quel processo estrattivo, si era in parte perduto il ricordo preciso di dove fosse l’accesso alle numerose miniere - si parla nel complesso di chilometri di tunnel. Il geologo ha quindi passato giornate presso l’Archivio Provinciale, l’Archivio di Stato e l’Archivio del Servizio Minerario in quel di Trento alla ricerca di informazioni, mappe, carte e carteggi che testimoniassero la presenza di questi trafori nel terreno. «Ho ricostruito così la storia della ricerca – dice ancora - e dell’estrazione della lignite in quell’area della Valsugana attraverso l’analisi e lo studio di mappe storiche, grazie alle quali ho anche potuto ricostruire il complesso sistema di trasporti che collegavano quest’area del Trentino con le principali vie di comunicazione». Il passo successivo è stato quello di tornare a casa e, incrociando le informazioni raccolte in archivio con quelle fornite dagli abitanti della zona, Marighetti ha potuto individuare l’accesso alle miniere. In questa fase, come in
Prima visita a Miniera con Ospedalotti
quella di esplorazione, il geologo si è avvalso del prezioso aiuto degli speleologi del Gruppo Grotte di Selva, con i quali si sono individuati tutti gli accessi alle numerose miniere che puntellano il territorio nei dintorni di Ospedaletto. Ma non è stata un’esplorazione in solitaria: nella sua avventura ha infatti coinvolto gli amici di sempre, tra i quali Fabio Agostini, vicepresidente della neonata associazione locale Armo che sta costruendo un importante progetto culturale attorno alle miniere di lignite quasi dimenticate. Ma cosa ha spinto un giovane geologo come Stefano ad approfondire una storia quasi dimenticata? «In questa nostra avventura – risponde -, ricerca scientifica e passione per l’esplorazione si fondono assieme alla riscoperta di qualcosa che era dimenticato». Passioni che Stefano condivide con i suoi coetanei dell’associazione Armo. «Stiamo lavorando - spiega il vicepresidente Fabio - per il recupero delle miniere di Ospedaletto, una cosa nata quasi per caso ma che adesso sta prendendo corpo». Anche grazie alla fiducia dei comuni di Ospedaletto e Castelnuovo, dicono, la Cassa Rurale Valsugana e Tesino, ma soprattutto alla vittoria di un Bando Caritro con il quale si sono trovati i fondi per questa prima fase di ricerca. E i passi successivi? «In autunno - conclude Fabio Agostini prevediamo di fare un primo passo concreto nella divulgazione della storia di queste miniere, ma guardiamo anche più avanti: alla valorizzazione del territorio e allo sviluppo culturale e turistico in collaborazione con le amministrazioni locali e con una particolare attenzione per identità del nostro territorio». Non possiamo che augurare a questi ragazzi buona fortuna e continuare a seguirli. Si parlerà ancora molto di loro e delle miniere di Ospedaletto.
MEMORIAL SILVIO GIUSEPPE PERUZZI Festa del Cacciatore
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nche quest’anno, in località Vezzena, Malga Sassi, si è tenuta la Festa del Cacciatore, organizzata dalla Riserva Cacciatori Levico Terme, all’interno della quale è stato disputato il 14esimo Trofeo Memorial Silvio Giuseppe Peruzzi, per ricordare un personaggio che ha fatto parte della quotidianità e delle Istituzioni di Levico Terme. Un uomo la cui correttezza preparazione sociale e onestà intellettuale sono state da tutti riconosciuti. Un personaggio che in quel di Levico ha occupato ruoli e cariche di vero e assoluto prestigio: Assessore alla Sport, Presidente del Calcio Levico, degli Artigiani e dell’Associazione Cacciatori. Ed è sicuramente per quanto da lui fatto e per quello che ha rappresentato che i cacciatori, gli appassionati e la comunità levicense, hanno pensato di organizzare una particolare manifestazione “paesana”, e dedicare a Silvio Peruzzi il memorial a lui intestato. Una grande riunione e di aggregazione sociale, la “Festa del Cacciatore” fermamente voluta per trascorrere e vivere insieme alle famiglie, momenti di spensieratezza e di vera amicizia, gustando anche le specialità preparate da esperti cuochi. E nel corso della piacevole manifestazione è stata, appunto, organizzata una gara di tiro con carabina ad aria compressa mt 15 con appoggio, aperta a tutti. E alla fine del confronto agonistico cui hanno partecipato giovani e adulti, è stato assegnato il tanto ambito Trofeo “Peruzzi”. In chiusura, e da parte della famiglia Peruzzi, i più sentiti ringraziamenti all’Associazione Cacciatori di Levico Terme, ai partecipanti e a quanti, con il loro indefesso impegno, hanno fattivamente contribuito alla organizzazione e riuscita di questa “Grande Festa”.
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Tante nuove attività ed iniziative dedicate alle famiglie della Valsugana
PERGINE VALSUGANA: APERTURA CENTRO FAMIGLIE
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artedì 11 settembre ha riaperto il Centro Famiglie di Pergine Valsugana, (Vicolo delle Garbarie 6/a) uno spazio d’incontro seguito dal Gruppo Famiglie Valsugana che dal 2010 ha come scopO principale il favorire la creazione di una rete sociale di sostegno al nucleo familiare, al fine di aumentare il benessere e la coesione delle famiglie nel territorio della Valsugana. Il Centro Famiglie fa parte di un progetto territoriale denominato FAMIGLIE… AL CENTRO che rappresenta, sul nostro territorio, una realtà di supporto alla maternità e alla paternità. E’ infatti un concreto spazio di incontro che offre a genitori, futuri genitori, nonni e bambini, da 0 a 6 anni, la possibilità di partecipare ad incontri ed attività ad ampio spettro tematico; di condividere momenti di relazione, confronto, dibattito, scambio sul ruolo genitoriale o semplicemente chiacchierare e rilassarsi in un ambiente accogliente e pedagogicamente studiato. Il Centro Famiglie funziona con i seguenti orari: martedì e giovedì dalle 09.30 alle 12.00 e dalle 15.30 alle 18.00 e il venerdì dalle 09.30 alle 12.00 esclusivamente per i bimbi più piccoli: da 0 a 12 mesi, ad accoglierli sarà sempre presente una Peer
Counselor sull’ allattamento! Per l’ anno 2018/19, oltre alle aperture, il Centro Famiglie propone, con la collaborazione di professionisti, molte attività pensate per tutti:per bambini,gioco-laboratori specifici per varie fasce d’ età, letture, corsi di lingua, massaggio infantile e molto altro; per adulti, attività come cucito e laboratori di autoproduzione, corsi di rilassamento, yoga e tai chi, incontri formativi su psicologia e manovre salvavita! E si è pensato anche alle donne in dolce attesa: con laboratori, incontri e corsi di yoga per gestanti. È possibile visionare tutte le attività sul programma online all'interno del sito web http://www.famiglievalsugana.it/ e tra gli eventi della pagina Facebook: “Gruppo Famiglie Valsugana”. Il Centro Famiglie inoltre, mette a disposizione per i soci, alcuni servizi: una sala con giardino per feste o compleanno; la custodia di bambini; una prima consulenza gratuita psicologica, legale e di massaggio infantile. Tutte le informazioni su come associarsi sono reperibili sul sito, presso il Centro Famiglie oppure telefonando al numero 0461-511168 negli orari di apertura o scrivendo a: attivitagfv@gmail.com
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iccole lanterne illuminano alcune zone del grande parco del villaggio SOS Kinderdorf di Caldonazzo. Sembrano lucciole nella sera di mezza estate. Sono luci create dai ragazzini ospiti, oltre mille, della struttura nell'ambito dello workshop ideato da Ubuntu l'associazione internazionale che ha in Walter Anyanwu un grande animatore e in Peter Geppetto, naturalmente falegname come il babbo di Pinocchio, il consulente tecnico. Alla proposta di Anyanwu ha risposto positivamente Carmen Eberle, direttrice del Villaggio ed è nato il progetto: Una luce, una Via. Già perchè le lanterne, a gas, elettriche o ai led che siano, illuminano fisicamente le vie, senza dimenticare che le collaborazioni, la creatività illuminano le menti. Le aprono alla comprensione, all'amicizia alla fratellanza. Per il prossimo anno in programma la collaborazione con il Centro d'Arte La Fonte e alcuni artisti per un concorso che premi la migliore ed originale lanterna e poi tutte quelle costruite saranno installate nella via che porta alla Casa della Cultura. Saranno speriamo, anche luci per la mente. (W.P.)
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Luce e gas, come difendersi dai contratti-inganno? C
hiamano a casa e ci convincono ad accettare un'"offerta imperdibile". Ci fermano per strada e ci fanno la proposta "più conveniente al mondo". E in realtà? Presi alla sprovvista e senza essere ben informati, ci ritroviamo un nuovo fornitore di luce e gas. Il settore dell’energia è uno dei più a rischio per l’attivazione di contratti non richiesti. Spesso, al posto della solita bolletta di luce e gas ci arriva quella di un nuovo operatore! Capita, ma vuol dire che - probabilmente ingannati a dovere abbiamo sottoscritto un nuovo contratto. Di fronte a tecniche di marketing aggressive e poco chiare, meglio un po’ di cautela. Le probabilità di abboccare aumentano, in particolare, quando si è presi alla sprovvista, magari da abili venditori adeguatamente istruiti. Le tecniche di vendita più usate dai fornitori di energia e in cui il consumatore è particolarmente vulnerabile sono: Vendita porta a porta; Vendita in “esterna” (per strada o con banchetti in vari punti vendita); Vendita tramite telefono. E’ importante fare attenzione, perché in molti casi, non verrà spiegato chiaramente che ciò che stanno proponendo è un contratto con un nuovo operatore, anzi: spesso metteranno fretta, dicendo che “l’imperdibile offerta è quasi scaduta” e convincendo, così, i consumatori a mettere una firma o a rispondere affermativamente alle
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domande di una telefonata, che si scoprirà poi essere stata registrata per dimostrare l’assenso. Difficilmente, se ci propongono qualcosa per strada o per telefono, saremo già informati su quella offerta: per cui, prima di aderire, è sempre meglio attendere e informarsi.
E’ bene visitare il sito dell’operatore che ci ha intercettato, quello del proprio fornitore e di altri eventuali concorrenti per capire – effettivamente – qual è la scelta migliore. E se invece ci siamo fatti trascinare e abbiamo già aderito? Niente paura, è possibile tornare indietro. Esiste il “diritto di ripensamento”, lo strumento ideale se ci si accorge subito che qualcosa non va perché non avevamo capito di aver aderito a un’offerta oppure il contratto che abbiamo sottoscritto non ci convince più.
Quando si aderisce a un’offerta al di fuori di una sede commerciale, si hanno 14 giorni solari di tempo per sciogliere il contratto stesso e annullarne tutti gli effetti. È questa la norma prevista del Codice del Consumo che vale per tutti i tipi di contratto, non solo per la fornitura di luce e gas. Attenzione perché, dunque, si è tutelati solo nei casi in cui si viene contattati a casa o in qualsiasi altro luogo che non sia la sede della società, oppure tramite telefono o via internet. Come si contano i 14 giorni? Nel caso di vendita via telefono, il termine parte dal momento in cui si riceve il contratto a casa, in forma cartacea; in tutti gli altri casi, si parte dalla data della firma stessa. In caso di contratto o attivazione non richiesta, per annullare ogni effetto del contratto, si dovrà inviare un reclamo scritto al fornitore, con raccomandata A/R. L’indirizzo dei reclami si trova nelle condizioni generali di fornitura o sul sito della società. Le società che vendono servizi energetici porta a porta, in altri luoghi esterni o tramite telefono hanno degli obblighi nei confronti dei consumatori. Prima di subentrare a tutti gli effetti come nuovo fornitore, il venditore che ha concluso il contratto fuori dai locali commerciali deve consegnare al cliente una copia del contratto firmato o la conferma del contratto su un supporto cartaceo o, previo accordo, su un altro
mezzo durevole (come ad esempio una mail, un cd). Se invece si tratta di un contratto da concludere per telefono, il professionista deve innanzitutto confermare l'offerta al consumatore, che sarà vincolato solo dopo averla firmata o comunque accettata. Per tutti contratti a distanza, poi, al cliente deve essere data conferma su mezzo durevole prima che la fornitura inizi. Può capitare che venga attivato un contratto non desiderato per la fornitura di luce e gas. I modi in cui ci si accorge dell’errore sono essenzialmente tre: • Si riceve una copia del contratto; • Si riceve la conferma del contratto su supporto cartaceo e su altro mezzo durevole; • Si riceve la prima bolletta. A questo punto è necessario inviare il reclamo entro 30 giorni solari dal momento in cui si è venuti a conoscenza del contratto o dell'attivazione non richiesta, allegando alla lettera tutte le prove necessarie per dimostrare questa data. Sapere il giorno esatto in cui si ha formalmente preso atto dell’attivazione del contratto è fondamentale: da quella data si dovranno infatti contare i 30 giorni entro cui inviare la lettera di reclamo. Le regole per definire questa data sono: Dal decimo giorno successivo alla conferma del contratto su supporto carta-
ceo o comunque su mezzo durevole. Se il venditore non ha confermato il contratto, si conta dalla data di scadenza del pagamento della prima bolletta. Una volta che è stato fatto il reclamo, il fornitore non potrà “tagliare” luce e gas se non si pagano le bollette: potrà farlo solo dopo la risoluzione della controversia. Ricevuta la richiesta di annullamento del contratto, le possibilità per il venditore sono due. Accettare il reclamo e ripristinare il contratto precedente. Rifiutare il reclamo (perché pensa di essersi comportato correttamente), comunicando il rigetto al cliente e motivandolo e inviando una copia di questa risposta allo Sportello del Consumatore presso l' ARERA (Autorità Regolazione Reti e Ambiente). Accertato l’inganno da parte dello Sportello del consumatore, si può procedere per tornare al vecchio operatore. A questo proposito, le garanzie per chi è stato raggirato, sono state rafforzate. Per il cliente sarà possibile tornare al precedente operatore in modo automatico e senza costi, ma solo se il venditore non richiesto ha aderito alla procedura di ripristino definita dall'Autorità Garante (ARERA). Fortunatamente, anche se non è obbligatorio, gran parte dei fornitori sul mercato italiano ha aderito. E’ possibile consultare l’elenco completo delle società aderenti sul sito di ARERA www.arera.it.
Ecco come funziona la procedura nei due possibili casi: • Se il contratto non richiesto non è ancora diventato operativo, il cambio del fornitore verrà semplicemente annullato e il cliente continuerà ad avere il suo solito operatore, senza nessun cambio di tariffa; • Se il contratto è già operativo, invece, quanto pagheremo per il periodo in cui l’offerta non desiderata è stata attiva? Usufruiremo, fortunatamente, di una tariffa agevolata (pari a quella di maggior tutela, stabilità dall’Autorità per i clienti domestici che non sono sul mercato libero, a cui inoltre viene applicato uno sconto). Se il fornitore che ci ha raggirato non aderisce alla procedura di ripristino, le cose sono un po’ più complicate: non si può far altro che recedere dal contratto, tornare alla tariffa del mercato tutelato stabilita dall’Autorità e poi, se si vuole, tornare alla precedente o a un’altra società che opera sul mercato libero. Informazione utile: al seguente link è possibile scaricare, tra i vari modelli di lettere, quello per esercitare il diritto di ripensamento nei contratti di servizi e quello per chiedere l’annullamento di un contratto di energia non richiesto di luce e gas: https://www.altroconsumo.it/vetrina?ty pe=standard-letters
Rubrica a cura di Altroconsumo. Rappresentante per la Provincia di Trento: ALICE ROVATI (rappresentantetrento@altroconsumo.it)
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PENSIONATI E ASSEGNI SOCIALI IN VALSUGANA
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n pensionato ogni quattro abitanti. Neonati e minorenni compresi. Oggi in Bassa Valsugana e Tesino sono quasi 8mila i pensionati che ogni mese ricevono l’assegno di pensione dall’Inps. Altri 2622 ne beneficiamo nei cinque comuni del Primiero (26%), poco meno di 1800 i pensionati levicensi (22,3%). Sono i dati resi noti dall’ente. Nella Comunità Valsugana e Tesino sono quasi 5mila le pensioni di anzianità erogate, di cui 514 nei tre comuni del Tesino. Poco più di 1100 risiedono a Borgo (con un importo medio mensile di 1065,76 euro), 601 a Castel Ivano, 456 a Grigno, 477 a Roncegno e 401 a Telve. Quanto agli importi versati dall’Inps spiccano i 101 assegni di vecchiaia erogati a Carzano per un importo medio di oltre 1300 euro. È quello più alto tra tutti i 18 comuni della valle, l’importo minore arriva ai 109 aventi diritto di Samone con 852,79 euro al mese. Sono in 1187 i levicensi che si vedono accreditare, ogni mese, la pensione di vecchiaia: l’importo medio è 1066,87 euro. Una
media simile a quella assegnata ai 902 di Primiero San Martino di Castrozza, ai 276 di Canal San Bovo, ai 275 di Mezzano. Ricevono qualcosa in più i 183 di Imer (1183,63), decisamente meno i 46 pensionati per vecchiaia di Sagron Mis (852,79 euro). Nei 23 comuni gestiti dall’agenzia di Borgo arrivano anche 628 pensioni di invalidità: 155 nei cinque comuni del Primiero, 85 a Levico Terme e 404 in Bassa Valsugana e Tesino. In quest’ultimo caso da segnalare come solo gli 8 residenti a Telve di Sopra superano i 1000 euro al mese, tutti gli altri “navigano” tra i 630 e i 780 euro al mese. Tranne i 7 aventi diritto di Ronchi: il loro assegno mensile è di 467,16 euro. Capitolo pensioni di reversibilità. In Valsugana e Tesino sono ben 2358 quelle erogate al coniuge superstite, 720 in Primiero e 456 a Levico, in questo caso l’importo medio mensile è di 585,81 euro. Nel capoluogo di Borgo ne arrivano, ogni mese, 422 (636,06 euro) con la media più alta, secondo i dati
dell’Inps, riservata agli 80 aventi diritto di Imer con 680,58. In Bassa Valsugana gli assegni al coniuge superstite più pesanti sono quelli versati a Novaledo: in 58, ogni mese, riscuotono quasi 650 euro. Per quanto riguarda le pensioni e gli assegni sociali ne sono attivi ben 56 nel comune di Levico (importo medio di 419,22 euro) e ben 176 nei 18 municipi della Comunità Valsugana e Tesino. Solo a Borgo ne vengono erogate 47, altre 29 a Castel Ivano, 27 a Roncegno, 15 a Telve e 13 a Grigno. Gli assegni sociali più alti sono quelli che arrivano a Carzano: quasi 600 euro al mese. Gli importi più bassi sono riservati agli aventi diritto di Bieno (368,91 euro) e Telve di Sopra (375,3 euro). Nei cinque comuni del Primiero sono 68 le pensioni sociali in essere: 12 a Canal San Bovo, 8 a Imer, 10 a Mezzano, 34 nel municipio di Primiero San Martino di Castrozza e 4 a Sagron Mis. L’importo più basso arriva a Imer (348,16 euro), quello più alto a Canal San Bovo (435,01 euro). (A.D.)
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di Perugia Casa del Diavolo è una frazione del comune
Damiano Stenico un migrante d’altri tempi
La visita a Telve di una sua discendente, Maria José Viré Stenico
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a storia di Damiano Stenico è scomparso sul molo di Buenos Aires snonno, Damiano Stenico, nato a Telve tutta da raccontare. Tutto è suc- nel 1880. Poi, una trentina di anni fa, il 25 luglio 1864 e di cui si persero le cesso ben 138 anni fa, una vicenda qualcuno si fece vivo dal Paraguay, as- tracce, pochi anni dopo, sul molo di che, grazie all’interessamento dei suoi serendo di essere un suo discendente. Buenos Aires. discendenti (sia in Italia che in Suda- Le verifiche e il carteggio dimostrarono «A prendere i primi contatti con la merica) è stata ricostruita con l’arrivo a che era vero!». nostra famiglia – prosegue Valerio SteTelve, nei giorni scorsi, di Maria José Nei giorni scorsi a Telve è arrivata Maria nico – era stata Graciela Stenico Wood, Viré Stenico direttamente dal Paraguay. José Viré Stenico, lontana parente di la moglie di Robin Wood, un fumettista Era il 1880 quando Tito Stenico decise Damiano, che ha incontrato in municipio e sceneggiatore argentino di fama mondi tentare la fortuna, destinazione la il sindaco Fabrizio Trentin e Valerio Ste- diale per aver dato vita a diversi perso“Merica”. Se ne andò con tutta la fa- nico nell'ambito di un progetto gestito naggi famosi come Dago, Nippur di miglia. Arrivati sul molo di Buenos dalla Trentini nel Mondo. Per l’occasione Lagash, Savarese, Gilgamesh, Martin Aires, tra migliaia di persone e una ba- ha fatto visita anche in canonica, foto- Hel, I Legionari, Amanda, Pepe Sànchez. bele di lingue, il primogenito Damiano, grafando l'atto di nascita del suo tri- Ha dato alle stampe anche il nono albo 16 anni, sparì per sempre. gigante di Dylan Dog». «Dopo pochi anni – racconta Un’ultima considerazione. «DaValerio Stenico - ritornarono a miano Stenico, allora, poteva essere Telve dove nacquero altri figli, considerato, e lo era effettivamente, fra cui Fedele, mio nonno, che un minore non accompagnato. Il ai primi del Novecento intraprese suo sbarco, avvenuto 148 anni fa lo stesso viaggio, forse per cersul molo di Buenos Aires – concare il fratello maggiore, mai clude Valerio – non è poi così conosciuto». Ma il tentativo non tanto diverso da quelli che, ministro andò bene, e Fedele tornò per Salvini permettendo, avvengono finire ammazzato, pochi anni anche oggi in Italia. Allora erano i dopo, da un cecchino italiano trentini che sbarcavano e non sul Pasubio. sempre andava tutto liscio. La «Noi sapevamo solo questo di ruota della storia gira, questo non Damiano Stenico – dice ancora bisogna scordarselo mai!». (A.D.) Telve - Maria José in comune con Valerio Stenico ed il sindaco Trentin Valerio -, fratello del nonno,
LE CRONACHE VIGOLO VATTARO
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ra i vari gruppi che nei pomeriggi delle domeniche si alternano per rallegrare gli ospiti di Casa Santa Maria a Vigolo Vattaro, una particolare menzione merita anche il gruppo “I mai Straki” formato da tre pensionati tanto appassionai di musica: Sergio Muraro alla fisarmonica, Fernando Tezzele alla chitarra e Giancarlo Targher al basso elettronico. Questo piccolo complesso nato tre anni fa, sembra proprio non essere mai stanco come lo dice anche il nome che hanno amato attribuirsi, perché è sempre disponibile ad allietare le case per anziani del territorio come Casa Laner di Folgaria dove si reca ogni 15 giorni e tante altre. Coi costumi del “Coro Marinella” il gruppo era apparso anche in TV nel 1985 nel programma “Il buon paese” con Claudio Lippi. Particolarmente orgogliosa di questo bravo complesso è anche l’animatrice e coordinatrice dell’Istituto Luisa Tamanini, che sempre applaude con esultanza le loro esecuzioni tanto gradite agli ospiti.
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Una casa per conoscere il bosco di Chiara Paoli
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Castello Tesino nasce nel 2001 il Centro documentazione del Lavoro nei Boschi (CDLB), con sede nel centro storico dell’abitato all’interno dello splendido Palazzo Gallo. Si tratta di una realtà che come dice lo stesso nome intende promuovere la conoscenza del bosco, delle sue ricchezze, dei manufatti che da esso si possono ricavare. Qui vengono inoltre portate avanti ricerche e studi sull’attività boschiva per individuare le diverse sfaccettature di questa grande risorsa, a partire da quelli che sono i risvolti economici, sociali, e legati alla storia locale. Il bosco è una grande e immensa risorsa per il Trentino, sapientemente sfruttata in tempi lontani, quando essa rispondeva a numerosi bisogni, a partire dalla costruzione della propria casa. Ma di legno erano fatti
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anche gli arredi e la maggior parte degli attrezzi che si usavano quotidianamente, un elemento indispensabile e ampiamente sfruttato. Il bosco un tempo era luogo conosciuto per il lavoro e per quello che aveva da offrire, si imparava a conoscerlo e a sfruttarne le ricchezze; mentre oggi le sue risorse sono sconosciute alla maggior parte delle persone, è piuttosto luogo di escursioni e meta prediletta nel tempo libero, per godere del fresco e dei panorami che ha da offrire. Il Centro è il frutto dello sviluppo di quella che era inizialmente una mostra permanente dedicata agli strumenti forestali. Questa esposizione predisposta a fini didattici, venne realizzata dal professor Pietro Piussi per gli studenti della Facoltà di Scienze Forestali e Ambientali dell’Università degli studi di Firenze. L’esposizione può contare sul ricco repertorio strumentale della prestigiosa Scuola forestale di Vallombrosa, oltre agli utensili di ambito fiemmese e tesino. A partire dal 2015 nelle sale al secondo piano di Palazzo Gallo trovano spazio le opere vincitrici del Simposio internazionale di scultura "luci ed Ombre del legno", iniziativa che ha visto la sua prima edizione nel 2002. Il Simposio porta gli artisti selezionati, quest’anno erano 24 provenienti da tutto il mondo, a lavorare nella borgata di Castello tesino, direttamente sotto gli
occhi dei curiosi e dei passanti, nell’ultima settimana di luglio. La manifestazione nasce a sostegno della scultura lignea contemporanea, linguaggio in continua evoluzione, promosso anche attraverso una mostra itinerante che va a toccare diverse località in Trentino e in Italia. Queste le parole che nel sito del Centro Documentazione del lavoro nei boschi, narrano di un mestiere che si lega indissolubilmente all’antico, ad attività che potrebbero essere considerate di altri tempi, una scultura del legno che ha perso d’interesse con il fiorire di materiali più resistenti come la pietra e il marmo. Ma il legname in questo caso diviene nuovamente risorsa che torna a vivere e farsi portatrice di un messaggio artistico: «Il legno e la sua scultura si affacciano al di là delle vallate alpine abituali. Nel proporsi soddisfano la curiosità di ricerca, di scambio, di dialogo; alimentano l'immaginazione, il desiderio "di novità", di scoperta. Portano a conoscenza realtà e persone con i loro racconti e, in questo caso, contraddizioni, che parlano di un'arte antica e radicata che non si è perduta, che, nella tipicità delle Alpi è ricercata, vive con sorprendente vivacità e varietà; lo fa rispettando sottili e delicati equilibri in un rapporto intenso e vissuto con il proprio territorio». (www.luciedombredellegno.it) Per la visita: informazioni presso la Biblioteca comunale di Castello Tesino tel. 0461 593 232.
Trenta scatti di Gios Bernardi raccontano frammenti di vita
LA FOTOGRAFIA
radiografia della vita L
a vita, qualunque vita merita di essere vissuta. Certo alcune sono difficili, altre insopportabili eppure per tutte c'è un frammento di luce, di speranza e per tutti c'è il traguardo in cui si affogano sogni, cattiverie, generosità. Gios Bernardi, noto medico radiologo, giunto a 95 anni d'età, ci racconta con gli scatti della fedele macchina fotografica quanto ha fermato, documentato, interpretato. A volte prima con la mente, altre solo d'istinto. "Spesso con un pizzico di fortuna" egli ammette. E' la fortuna che permetteva a Dino Panato di arrivare dopo l'inizio della partita di calcio, perchè impegnato in un fatto di cronaca: in ritardo ma giusto in tempo per fermare su pellicola o digitale l'unico gol dell'incontro. La fortuna che ha permesso a Robert Capa di immortalare la morte di un volontario colpito nell'attimo della massima energia. Quella di Gios è meno drammatica tuttavia importante per descrivere la solitudine dell'emigrante italiano in Germania, della partenza di altri verso mondi sconosciuti. Scatti angoscianti come quello della gomena
che trattiene la nave annodata alla bitta; quella dell'ombra incollata al muro senza che vi siano altri segnali di presenze umane e quella della bimba che da quello scatto in poi aspetta che la palla, sospesa in alto, ricada nelle sue mani. Chissà dove è ricaduta! Ma poi c'è la speranza del contadino sorridente circondato dalla famiglia e la speranza rappresentata dal nonno a passeggio che ha una mano al bastone per sostenersi mentre con l'altra racchiude e protegge quella della nipotina. Frammenti di vita, titolo della mostra, presentata a Palazzo Roccabruna di Trento e alla Casa della Cultura di Caldonazzo, raccolti da una persona, un medico, che la vita ha affrontato salvandola spesso dalla morte. Le immagini sono rigorosamente in bianco
e nero con mille sfumature di grigio. Fotografie che raccontano il giro della Ruota della vita, come quella del mulino dove l'acqua proviene dalla stessa sorgente ma è sempre diversa e il tempo macina lentamente ma fine come i mulini del Signore. Gios Bernardi 95 anni è stato cofondatore e presidente della Fondazione Pezcoller, ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti internazionali fra i quali quello dell'Associazione Americana per la ricerca contro il Cancro di Chicago. (W.P.) A sinistra: Gios Bernardi
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- Arezzo Località Omomorto - Municipio a Pratovecchio Stia
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Lo sguardo rivolto alla produzione artistica contemporanea
CONTEMPORARY ART FESTIVAL Maria Giovanna Speranza | Viviana Puecher | Teresa Lopez-Arias | Loreta Fruet | Luigi Siviero
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al 4 all’11 agosto la Sala Maier di Pergine Valsugana e lo Studio d’Arte Astrid Nova, hanno ospitato la terza edizione del Contemporary Art Festival, un particolare, significativo, e qualificato evento dedicato al panorama artistico contemporaneo. Promosso dal Comune di Pergine Valsugana, e co-prodotto da Area Arte La Musa & Studio d'Arte Astrid Nova, il Festival si è presentato non solo come intervento di fruibilità visiva da parte del visitatore, ma lo ha coinvolto in prima persona rendendolo partecipe dei processi artistici e creativi dell'arte contemporanea, alla scoperta di nuovi metodi di consumo
Il mare di Jesolo di Maria Giovanna Speranza
e produzione di cultura. La manifestazione ha previsto nell'arco di sette giorni, un’articolata mostra su due sedi; una negli spazi di Sala Maier e un’altra nello Studio d'Arte Astrid Nova, entrambe nel centro storico di Pergine Valsugana, affiancandovi una serie di interventi serali di incontro e confronto con gli artisti. Contemporary Art Festival nasce dal co-working di Area Arte La Musa e Studio d'Arte Astrid Nova, due entità costantemente attive su più fronti del panorama contemporaneo, che ritrovandosi nell'obbiettivo comune di creare una rete tra gli artisti selezionati, galleristi e collezionisti, pongono in primis l'attenzione all'eccellenza dell'operato degli stessi. I qualificati artisti di questa edizione 2018 sono stati: Maria Giovanna Speranza, Viviana Puecher, Teresa Lopez Arias, Loreta Fruet, e Luigi Siviero. Mediante un approccio progettuale dal carattere flessibile, il festival ha
Dreamers di VIviana Puecher
presentato ai visitatori, una panoramica della produzione artistica del proprio territorio, nelle diverse modalità di creazione e realizzazione, dalla pittura nelle sue più variegate forme e tecniche di esecuzione, con due artisti affermati, Speranza e Puecher, che hanno recentemente esposto anche a Los Angeles, e due artisti emergenti, Lopez Arias e Fruet, fino alla letteratura, con il nuovo libro di Siviero, “Il tramezzino” edito da CentoParole Magazine, appena uscito. (A.M.)
LA PAROLA AI LETTORI Chi fosse interessato alla pubblicazione di uno scritto o un articolo riguardante una opinione personale, un fatto storico, di cronaca o di un qualsiasi avvenimento, può farlo indirizzando una email a: direttore@valsugananews.com. Il testo, di massimo 3.500 battute, dovrà necessariamente contenere nome e cognome dell'articolista l'indirizzo di residenza e un recapito telefonico per la verifica. Il direttore si riserva la decisione della non pubblicazione in caso l'articolo non dovesse rispettare l'etica giornalistica o d'informazione.
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LA VELICA TRENTINA IN TRASFERTA
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'ultimo fine settimana di luglio, nella splendida cornice del Lago di Molveno, si è svolto il Campionato Italiano Master della classe velica “Snipe”. L'organizzazione a cura dell Associazione Velica Trentina Asd, ha visto impegnato tutto il suo staff, umano e tecnico, nella prestigiosa trasferta. L'evento, supportato dal Comune di Molveno, dalla Molveno Holiday con l'attivissimo presidente Alessandro Bettega, dalla Fiv (Federazione Italiana Vela), dalla Scira (Snipe Class International Racing Association), con la collaborazione dei Vvff, associazioni locali e alberghi, ha visto la partecipazione di una quarantina di imbarcazioni provenienti da tutt'Italia e anche tre equipaggi dall'estero, a contendersi l'ambito trofeo. Sabato si è svolta una sola prova valida,
e una annullata viste le instabili condizioni meteo. Domenica altre due prove con vento accettabile che hanno consentito di aggiudicare il premio Master Assoluto a Enrico Michel con in prua Giovanni Turazza, della Av Cosulich di Monfalcone, completano il podio della classifica generale sul secondo gradino Corrado Perini e Daniela Berto Cn Chioggia, il bronzo per l'armo trentino Alberto Schiaffino e Gianpietro Pasquon dell'Av Lago Ledro. Gli altri tre premi contemplati dal regolamento di classe, in funzione dell'età dell'equipaggio, sono andati per categoria Appendice (45-55 anni) a Francesco Scarselli e Marco Rinaldi del Cus Bologna, ai già citati Michel e Turazza (55-65 anni) e per i Gran Master (dai 65 ai 75 anni) a Roberto Tozzi e Giuseppe Borelli del Planet Sail Bracciano.
La premiazione è stata presenziata dal Sindaco di Molveno, Luigi Nicolussi, dal presidente della Molveno Holiday e dalla presidentessa del Coni Trentino, Paola Mora. Per l'Associazione Velica Trentina, molto bene si sono piazzati gli equipaggi Gabriele Bernardis con Maddalena Piffer quinti assoluti, Marco Dei Rossi con Gianluca Burlon dodicesimi, e primi della graduatoria Over all. Zuanelli-Giraudo, al sedicesimo posto. Il Presidente Roberto Emer con Margherita Bensa ventiduesimi e via via gli altri atleti master della Velica. Sul sito della Avt (velicatrentina.it) le classifiche e le foto della manifestazione.
LE CRONACHE LEVICO TERME
FESTA D’ESTATE
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lmeno cento iscritti al Gruppo Pensionati e Anziani di Levico Terme, hanno partecipato un sabato di agosto scorso alla “Festa d’estate” che si è svolta presso Malga Sassi sull’altopiano delle Vezzene. Dopo le parole di benvenuto del presidente Marco Francescatti, il primo cittadino di Levico Terme Michele Sartori ed il consigliere provinciale Gianpiero Passamani hanno elogiato il direttivo e tutti gli iscritti per l’intensa attività. Poi a tutti è stato servito un ottimo piatto casalingo preparato da bravi cuochi e cuoche, sotto la direzione del maestro cuoco Mario Giovanella. Il pomeriggio è stato poi rallegrato dalle musiche di Marco. (M.P.)
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e t s e v n i l a r t s n i La F o r u e i d i n o i l i m 0 1
lsugana a V o g r o B ento di im il b a t s o l orso nel c in o t n e mpliam I lavori di a
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instral, che costruisce finestre dal nucleo in Pvc da oltre 50 anni, è un’azienda produttrice di serramenti di rilievo europeo, con ben 1400 dipendenti e 1000 rivenditori partner in 14 Paesi. La sede principale dell’azienda – fondata e gestita dalla famiglia altoatesina Oberrauch – si trova ad Auna di Sotto, Bolzano. Nei 14 stabilimenti di produzione, di cui due in Trentino (Scurelle e Borgo Valsugana, oltre allo Studio di Calliano sede di una moderna sala esposizione) si sviluppano e realizzano finestre, porte d’ingresso, e verande. L’ampliamento attualmente in corso d’opera per il nuovo impianto che entrerà in funzione nella primavera del 2019 e darà lavoro a una ventina di dipendenti, andrà a incrementare gli spazi produttivi dedicati all’alluminio nello stabilimento di Borgo Valsugana, ingrandendo il magazzino centrale e le aree dedicate al taglio centralizzato dei profili, installando una nuovissima linea di verniciatura delle superfici in alluminio. Dopo quello del 2015, quindi, un altro investimento complessivo, questa volta di 10 milioni di euro, permetterà di realizzare un nuovo capannone con
Florian Oberrauch
La Finstral a Borgo Valsugana
una superficie totale di 10mila metri quadrati in cui troveranno impiego una ventina di nuovi collaboratori, dando continuità all’impegno della Finstral in tema di sostenibilità attraverso il miglioramento della propria gamma finestre come anche dei processi produttivi. Innovazione del prodotto e sostenibilità ambientale, sono infatti connessi direttamente alla qualità, alla funzionalità e sicurezza degli ambienti di lavoro. Nello stabilimento di Borgo, la cui attività è stata avviata nel 2000, Finstral riunisce la produzione di finestre e portoncini in alluminio della gamma FinProject e Fin-Door. In questa sede si concentrano inoltre tutte le competenze aziendali relative all’intera gamma di semilavorati in alluminio, utilizzati per
completare i prodotti dell’assortimento Finstral anche di altre sedi. «Grazie a questo nuovo impianto – ha detto Florian Oberrauch, membro della direzione - Finstral ora sarà anche in grado di nobilitare direttamente le superfici in alluminio. La realizzazione di un nuovo impianto per la verniciatura a polvere è un ulteriore passo verso il nostro obiettivo, quello di realizzare direttamente più componenti possibili dei nostri serramenti. Con questo investimento rispondiamo a una richiesta di mercato in forte crescita, relativa a serramenti rivestiti in alluminio sulla parte esterna oppure interna. L’alluminio è un ottimo materiale, molto resistente e di facile pulizia. È inoltre in grado di soddisfare al meglio le richieste di personalizzazione dei clienti, grazie alla vastissima selezione di colori e superfici che offre».
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prov Purgatorio è una frazione del comune di Custonaci, in
incia di Trapani
Qwan Ki Do, l
a forza dell ’unione
Igor europei Spagna
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Borgo Valsugana, complice anche la disponibilità del M° Giovanni Rampelotto che tutti i mercoledì sera di luglio presiedeva nella palestra delle elementari gli allenamenti estivi del club Tantg Lang, sta aumentando la voglia di Qwan Ki Do. Un’arte marziale codificata dal Maestro Pham Xuan Tong che ormai fa parte della grande famiglia delle arti marziali del Vietnam. Come tutte le arti marziali il Qwan Ki Do è una disciplina che pratica l’arte di vivere del corpo-mente e dello spirito. La sua pratica regolare sviluppa le qualità che permettono di progredire sulla via della serenità. Per praticare il Qwan Ki Do non occorre avere dei fisici superallenati dato che è adatto a tutti, bambini, ragazzi, adulti con programmi specifici per ogni età e sesso. Il Qwan Ki Do oltre ad allenare il fisico crea unione, amicizia, ma soprattutto aiuta a credere molto in se stessi. Entrare nel mondo
Foto di gruppo
del Qwan Ki Do significa tuffarsi in un mondo dove l’amicizia e l’unione sono al di sopra di ogni considerazione razziale, politica, e religiosa. È bene ricordare che il Qwan Ki Do punta alla formazione di un individuo equilibrato sul piano fisico (salute e sicurezza personale) e mentale (rispettare i valori morali e credere in se stessi). Il maestro Giovanni Rampelotto è molto soddisfatto di come è andato l’anno sportivo 2017-18 perché ha visto crescere i piccoli guerrieri, è riuscito a trasmettere la sua passione, è riuscito ad allenarli per le gare con
buoni risultati. Ultima notizia, ma non per questo meno importante, il club Tang Lang era presente ai campionati Europei per club in Spagna a Gandia. In quella competizione ha vinto la medaglia d’oro come primo club europeo nella categoria gradi maschili con l’allievo Igor Rampelotto. I corsi riprenderanno a settembre presso la palestra delle scuole elementari di Borgo. Per info chiamare il numero 348 870 8016 (Giovanni) o 333 207 0545 (Barbara) o mail a: giovannirampelotto@gmail.com. (F.Z.)
LE CRONACHE QUAERE DI LEVICO
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omenica scorsa 19 agosto, più di duecento persone venute da Levico, Caldonazzo ed altri centri vicini, ha partecipato alla “Festa amici monte Cimone”, organizzata dall’omonima associazione e svoltasi in un grande prato a Lochere sotto le fronde delle ombrose piante. Dopo il saluto di benvenuto da parte del presidente Andrea Curzel è seguita la concelebrazione di una S. Messa da parte del parroco don Emilio Menegol e don Luigi Roat. Quindi a tutti è stato servito un buon piatto casalingo preparato dai cuochi volontari. (M.P.)
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Pellanda e Mezzanotte
Gruppo organizzatore
La partenza della gara
La 1^ Edizione Tesino Lagoray Cross Country
È
UN VERO GRANDE SUCCESSO
andata di scena Venerdì 10 Agosto la prima edizione della manifestazione denominata 1^ Edizione Tesino Lagoray Cross Country ideata da due noti sporti della Valsugana Orientale, Mirco Mezzanotte e Sunil Pellanda che hanno voluto riportare così un grande evento sportivo legato alle due ruote nella Conca del Tesino appoggiandosi alla preziosa collaborazione del Team Sella Bike presieduto da Ingrid Tezzele in stretta sinergia con l'amministrazione di Cinte Tesino che ha ospitato a braccia aperte questa manifestazione sportiva sul proprio territorio Successo di partecipanti e di pubblico che si è riversato da tutto il Trentino e Veneto nel piccolo comune della Conca che conta poco più di 354 abitanti per assistere a questa spettacolare corsa serale che si snodava nelle piccole vie del paese tra passaggi suggestivi e porticcioli
caratteristici lastricati. Un percorso apprezzato da molti e disegnato dal "camoscio del Tesino Mirco Mezzanotte" al quale è stato inserito anche un tratto di sabbia come nelle più prestigiose corse XC del Nord Europa che ha creato notevoli difficoltà ai concorrenti supportati dal folto pubblico a bordo strada. Per la cronaca la vittoria assoluta e andata a Kevin Fantinato astro nascente di questa stagione 2018 che difende i colori della Polisportiva Oltrefersina che ha percorso nei 40 minuti prestabiliti di gara ben 16 giri. Alle sue spalle Umberto Pezzi portacolori del Team Supreme Cycling Team seguito da Tomaso Caldonazzi del Team New Team Asd. Nella categoria femminile successo per Alessandra Sassano del Team Sella Bike seguita da Barbara Bertoldi Dragon Bike Strigno e Diana Curjojs portacolori
del Team Adventure Bike. Numeri importanti per questa prima edizione grazie che anche al grande senso di volontariato che ancora oggi contraddistingue la Conca del Tesino ha visto mobilitarsi il Copro Volontari dei Vigili del Fuoco di Cinte Tesino insieme alla Pro Loco locale che ha offerto la cena a tutti i partecipanti ed organizzatori. Gran lavoro anche per il Circolo Fotografico Cerbaro di Borgo Valsugana che con i suoi sei fotografi sparsi lungo il percorso ha immortalato tutti i concorrenti dal primo all'ultimo al quale si aggiunge un video sintesi dell'intera gara a breve disponibile su Valsugana Web Tv. La Tesino Lagorai Cross Country così punta a ritornare a tutti gli effetti un grande evento che accomuna sport e turismo.
LE CRONACHE CALDONAZZO
80 ANNI DI VITA
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nati nell’anno 1938 di Caldonazzo, Calceranica e Centa hanno festeggiato recentemente il raggiungimento dei loro 80 anni di vita. Il gruppo si è ritrovato presso il ristorante “Al Brenta” di Levico Terme per l’immancabile pranzo collettivo. L’idea di un’unica festa fra quei comuni, è venuta dal fatto che nel 1938 i tre paesi costituivano un’unica comunità. In quell’occasione lo storico e coscritto Andrea Curzel ha fatto dono a tutti gli intervenuti del suo ultimo libro: “Caldonazzo nei ricordi e nelle letture di Andrea Curzel”. (M.P.)
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La chiesa
di Santa ZitaALTOPIANO DELLE VEZZENE di Mario Pacher
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l decimo anniversario della ricostruzione della chiesa di Santa Zita, sull’altopiano delle Vezzene, è stato festeggiato alla grande, domenica 5 agosto 2018, dalle migliaia di persone venute non solo da tutto il Trentino ma anche da diverse altre regioni italiane e dall’estero. Tantissimi gli Alpini che sono stati i veri protagonisti dell’evento sin da quando si progettò la ricostruzione di quella piccola chiesa. Molti anche i rappresentanti di altre associazioni combattentistiche e d’arma con i loro gagliardetti. La solenne cerimonia è iniziata con il ritrovo nei piazzali di Passo Vezzena a cui ha fatto seguito la sfilata fino alla chiesetta, capeggiata dalla Fanfara degli Alpini di Trento. Qui, dopo l’alzabandiera dei vessilli italiano, austriaco ed europeo, sono state deposte al vicino monumento alcune corone d’alloro e benedette dell’arcivescovo mons. Lauro Tisi. Sono seguiti i discorsi ufficiali delle autorità: il sindaco di Le-
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vico Michele Sartori, il presidente della Provincia Ugo Rosi, un rappresentante dei Kaiserschutzen e della Croce Nera Austriaca, Cristine Spielmann matrina della campana, il vice presidente nazionale ANA Alfonso Ercole ed altre ancora. Terminati gli interventi è stata concelebrata una solenne Messa presieduta dal Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato del Vaticano e dall’arcivescovo di Trento mons. Lauro Tisi. Hanno solennizzato l’intera cerimonia la fanfara e il coro sezionale ANA di Trento. Quell’edificio sacro era stato costruito nel 1917 durante il primo conflitto mondiale dagli austroungarici e andato poi in rovina alla fine degli anni cinquanta sia per la mancata manutenzione che per il tanto tempo trascorso. Era stato intitolato a Santa Zita probabilmente anche per ricordare Zita, la moglie dell’Imperatore Carlo 1° d’Asburgo che resse l’Impero subito dopo la morte dell’Imperatore
Francesco Giuseppe, cioè dal novembre 1916 e fino al termine delle ostilità nel 1918. L’idea della ricostruzione con le caratteristiche di un tempo e la stessa superficie di circa 60 metri, venne una dozzina di anni fa dalle autorità austriache unitamente al pensiero degli Alpini di Trento ed di altri Gruppi come Levico Terme e Borgo Valsugana. Nasceva allora un comitato formato da una decina di persone anche dell’altopiano di Asiago e, per la parte tecnica, fu incaricato l’Ing. Pier Luigi Coradello che donò il progetto. Nel frattempo il comune di Levico Terme cedeva alla parrocchia di Luserna il suolo necessario alla sua riedificazione e anche per l’antistante parcheggio. I lavori furono eseguiti da alpini, volontari ed amici sostenitori provenienti da molte zone del Trentino con il sostegno anche delle Sezioni ANA del Veneto, di diversi Comuni, di numerose ditte e dai gruppi Kaiserschűtzen dell’Austria. Circa 150
persone che prestarono la loro opera gratuita coordinati dal presidente sezionale ANA Maurizio Pinamonti e dal consigliere sezionale ANA Paolo Slaghenaufi. La chiesetta venne inaugurata e benedetta il 17 agosto del 2008 nel corso di una solenne concelebrazione presieduta dall’Arcivescovo Trento mons. Luigi Bressan alla presenza delle rappresentanze italiane ed austriache e della famiglia Asburgo. Maurizio Pinamonti: “Questa chiesetta ha per noi un senso di pace, di umiltà, di solidarietà e di riconciliazione con tutti; una prospettiva di un mondo più unito e sereno”. Anche nell’occasione dei dieci anni è stato più volte ribadito come “con questo simbolo cristiano sullo stesso suolo che un tempo fu teatro di battaglia fra due nazioni nemiche, oggi rappresenta la memoria di tutti i Caduti e vuole essere simbolo di concordia e fratellanza fra gli uomini nel ricordo dei nostri padri e nonni che sacrificarono la loro vita nel compiere il loro dovere.
LE CRONACHE OLLE DI BORGO E NOVALEDO
I CADUTI DELLA ZOPARINA
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a festa in ricordo dei Caduti della Zoparina organizzata come per tradizione dagli Alpini di Olle, Borgo Valsugana e Novaledo è iniziata anche quest’anno con la deposizione di una corona ai piedi della grande croce nel piccolo cimitero realizzato nella parte bassa del monte dagli Alpini di Olle. Il capogruppo Danilo Ferronato nel suo intervento: “Siamo qui per ricordare quei poveri soldati morti in questo luogo e anche i Caduti di tutte le guerre. Noi come Alpini dobbiamo cercare di diffondere sentimenti di pace per essere da esempio alle nuove generazioni e per divulgare, come hanno fatto questi nostri fratelli, gli stessi valori di fratellanza e di pace”. Prima di passare la parola all’assessore comunale Edoardo Rosso, ha voluto ringraziare il consigliere e già assessore del comune di Borgo Rinaldo Stroppa “per essersi adoperato affinchè questo luogo sia diventato un giardino degno di questa festa”. Presenti anche alcuni rappresentanti dell’ANFI di Borgo. Poi tutto il gruppo ha raggiunto la parte alta del monte Zoparina dove la festa è proseguita a cura degli Alpini di Novaledo. Il parroco don Paolo Ferrari ha celebrato una S. Messa mentre il capogruppo Domenico Frare ha recitato la preghiera dell’Alpino. Il primo cittadino di Novaledo Diego Margon, dopo aver ricordato pure lui il sacrificio di tanti giovani soldati, ha ringraziato gli Alpini per il costante impegno verso l’intera comunità e anche per l’organizzazione di questo significativo appuntamento. Un grazie ha rivolto anche ai Vigili del fuoco del paese che hanno provveduto al trasporto di tante persone da Sella fino alla sommità del monte, distante circa quattro chilometri. A mezzogiorno gli Alpini di Novaledo, con l’aiuto anche di alcuni volontari, hanno preparato ed offerto a tutti un buon piatto di pasta. (M.P.)
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Il Tridentinosaurus antiquus prima dei dinosauri in Trentino
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bbene sì, prima dei dinosauri, c’era già la vita, ma soprattutto ci sono tracce che ci dicono che la vita era proprio sulle montagne vicino a noi. Stiamo parlando di un periodo lontanissimo nel tempo, quello che nella scala dei tempi geologici viene definito Cisuraliano, o Permiano Inferiore, è la prima delle tre serie o epoche geologiche in cui viene suddiviso il periodo definito appunto Permiano. Tale periodo si colloca tra 299 e 270 Milioni di anni fa all’incirca. È in questo periodo che troviamo i più antichi reperti fossili, come quello rinvenuto nel 1931 nei dintorni di malga Stramaiolo, a Bedollo, verso il Passo Redebus che collega il pinetano con la Valle dei Mòcheni. Marco Avanzini e Michael Wachtler nel saggio “Dolomiti – storia di una scoperta- Dinosauri nelle Dolomiti”, parlano del ritrovamento nel pinetano e di questa nuova specie che viene ribattezzata Tridentinosaurus antiquus . «Il Tridentinosaurus, il più antico rettile delle dolomiti. Nell’estate del 1931, Gualtiero Adami, ingegnere del Regio Genio Civile di Trento e collaboratore del Museo di Scienze Naturali della Venezia Tridentina, raccolse, durante uno dei suoi sopralluoghi tecnici sull’altopiano di Pinè una pietra sulla quale era chiaramente impressa la sagoma di un animale simile ad una lucertola; una diceria, non verificabile, racconta che si trattasse di una pietra destinata ad essere eretta ai lati della strada a mo’ di paracarro. Il reperto venne consegnato al Museo, che consapevole dell’importanza del ritrova-
mento ne diede pubblica notizia indicando che lo studio sarebbe stato affidato al Professor Giorgio Dal Piaz dell’Università di Padova ed allora Conservatore Onorario dell’istituzione. Fu così che G. Dal Piaz diede risalto ufficiale alla scoperta in una riunione della Società Italiana per il Progresso Scientifico tenutasi a Milano nel settembre dello stesso anno comunicando "la scoperta di un nuovo genere probabile di paleolacertide raccolto nei pressi di Pinè in un sottile letto di tufo compreso entro il porfido permiano”. Dal Piaz aggiungeva che il fossile, ancora in corso di studio, rivestiva una grande importanza sia dal punto di vista paleontologico che da quello paleogeografico». Il reperto trova collocazione nel Museo di Geologia e Paleontologia di Padova, in una vetrina all’interno della sala W, con cartellino che lo vede catalogato come nuovo genere e nuova specie. Il fossile non gode ancora di uno studio
di Chiara Paoli
paleontologico approfondito che viene affidato nel 1959 a Piero Leonardi. Il Tridentinosaurus si rivela essere il più antico dei vertebrati fossili ritrovato nelle Alpi meridionali. La particolarità che lo contraddistingue è che non si sono conservate come in tutti gli altri casi soltanto le ossa, ma anche tracce di pelle e parti molli del corpo, che ci consentono di ammirare la sua sagoma scura. L’animale assomiglia a una lucertola, lunga 25 centimetri con collo e corpo allungati e mani e piedi muniti di 5 lunghe dita. I dati forniti dallo studio del Leonardi ci consentono di ritenere che si tratti di un proto sauro, seppure non corrispondente ad altri ritrovamenti e quindi classificato ancora una volta come genere nuovo. Un ritrovamento eccezionale e unico al mondo che ci riporta indietro nel tempo di oltre 250 milioni di anni, e che l’amministrazione comunale di Bedollo vorrebbe riportare in Trentino. La mozione è stata firmata il 31 maggio 2016 dal consigliere Damiano Mattivi, che auspica che il reperto grazie alla collaborazione della sovrintendenza competente, possa ritornare a casa e trovare spazio e degna collocazione all’interno del Muse; museo delle scienze che potrebbe vantare un ulteriore e importantissimo tassello della nostra storia.
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LE CRONACHE LEVICO
Un ritratto al giorno
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quanto sta facendo, dall’inizio dell’anno, nella sua casa di Olle, nel Comune di Borgo, il giovane Manuel Tomio. Al primo piano (e come poteva essere altrimenti?) ha allestito un piccolo studio fotografico. Manuel, 25 anni, da sempre è appassionato di fotografia. Socio del Circolo Fotografico Gigi Cerbaro di Borgo, con il passare del tempo ha acquistato una attrezzatura davvero professionale. Poi, a un certo punto, si è chiesto cosa poteva fare per utilizzarla al meglio. Come spesso accade, da cosa nasce cosa. «Proprio così – dice Tomio -. L’intuizione l’ho avuta negli ultimi giorni del 2017. Così, per caso, un giorno ne stavo parlando con i miei e ci siamo detti: perché non provare a fare una foto al giorno, magari per un anno intero? Vediamo che succede!». Oggi il progetto sta prendendo sempre più piede. A fine agosto sono poco meno di 250 le persone coinvolte, con il primo scatto fatto alla cugina. Poi è toccato al piccolo nipote e, giorno dopo giorno, l’album si è via via arricchito di nuovi volti: genitori, parenti, amici. In poco tempo la voce si è sparsa a Olle, ha fatto il giro delle case, e a casa di Manuel via via si sono presentati amici, conoscenti e persone che volevano partecipare alla sua iniziativa. In questi mesi Manuel Tomio ha immortalato tante persone. Non sono mancati gli alpini. «Quasi ogni sera – racconta Manuel -, quando torno dal lavoro, arriva qualcuno da fotografare. Il mio non è solo un fotoritratto, mi piace parlare, confrontarmi con le persone e, prima di fare la foto, sono curioso di conoscere chi si mette davanti all’obiettivo. Oggi vanno di moda i selfie e gli autoscatti, tutto è così veloce. Ma per me una foto è molto di più». Da gennaio ad agosto i volti immortalati a Olle sono così variegati. Per vederli basta andare sulla sua pagina di Instagram (instagram.com/manueltomio_por-
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traits/) dove, ogni giorno, a partire dalle 20 viene inserita una foto. «Una cosa è farsi un selfie – dice ancora Tomio -, ben altro lasciarsi immortalare. Davanti all’obiettivo mi piace cogliere l’attimo, fotografare quando le persone sono più vere, più spontanee. In poche parole, sé stessi». Non mancano le foto di mamma e papà, così come quella fidanzata. «Questo progetto – continua - mi piace davvero. Nato così, per caso, sta occupando gran parte del mio tempo libero, ma mi dà anche grandi soddisfazioni». C’è anche la sorella, fotografata da Manuel, vestita da sposa, poco prima di andare all’altare. Le foto hanno tutte una loro logica: un giorno con lo sfondo bianco, il successivo con quello nero. L’iniziativa sta avendo successo. Nel suo piccolo studio sono arrivati in tanti. Molti hanno già prenotato la foto. Chi per il giorno del suo compleanno, altri per ricordare una data bene impressa nella memoria. «A ogni soggetto ho chiesto anche di lasciarmi un commento - dice Tomio -, un suo pensiero sulla foto che lo ritrae, sull’esperienza vissuta. È un modo anche per andare oltre alla foto, al semplice scatto e dare voce alle sensazioni, ai sentimenti delle persone». Su di un foglio Excel Manuel ha annotato così tanti nomi. «Non dovrebbero esserci problemi per arrivare al 31 dicembre – conclude – poi, una volta finito, vedremo cosa fare». Dopo il 2018, ci sarà anche “Un ritratto al giorno” nel 2019? (M.D.)
Alcuni dei soggetti fotografati da Manuel Tomio
TANTI AUGURI
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l traguardo dei 90 anni di vita di Rina Bonvecchio sono stati recentemente festeggiati alla grande presso un noto ristorante di Levico Terme. Attorno a lei si sono stretti i famigliari, amici e rappresentanti di associazioni di volontariato. Nel corso della serata sono stati ricordati i suoi incarichi in particolare all’interno dell’Unione Famiglie Trentine all’Estero di Trento dove ricoprì, per oltre un ventennio, la carica di vicepresidente. Fra i presenti oltre ai massimi rappresentanti dell’Unione, anche il senatore Franco Panizza, che fu uno dei fondatori di questa Associazione e il consigliere dell’Unione Giancarlo Filoso. (M.P.)
La 17 edizione di a
LUCI ED OMBRE DEL LEGNO
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bbene sì, prima dei dinosauri, c’era già la vita, ma soprattutto ci sono tracce che ci dicono che la vita era proprio sulle montagne vicino a noi. Stiamo parlando di un periodo lontanissimo nel tempo, quello che nella scala dei tempi geologici viene definito Cisuraliano, o Permiano Inferiore, è la prima delle tre serie o epoche geologiche in cui viene suddiviso il periodo definito appunto Permiano. Tale periodo si colloca tra 299 e 270 Milioni di anni fa all’incirca. È in questo periodo che troviamo i più antichi reperti fossili, come quello rinvenuto nel 1931 nei dintorni di malga Stramaiolo, a Bedollo, verso il Passo Redebus che collega il pinetano con la Valle dei Mòcheni. Marco Avanzini e Michael Wachtler nel saggio “Dolomiti – storia di una scoperta- Dinosauri nelle Dolomiti”, parlano del ritrovamento nel pinetano e di questa nuova specie che viene ribattezzata Tridentinosaurus antiquus . «Il Tridentinosaurus, il più antico rettile delle dolomiti. Nell’estate del 1931, Gualtiero Adami, ingegnere del Regio Genio Civile di Trento e collaboratore del Museo di Scienze Naturali della Venezia Tridentina, raccolse, durante uno dei suoi sopralluoghi tecnici sull’altopiano di Pinè una pietra sulla quale era chiaramente impressa la sagoma di un animale simile ad una lucertola; una diceria, non verificabile, racconta che si trattasse di una pietra destinata ad essere eretta ai lati della strada a mo’ di paracarro. Il reperto venne consegnato al Museo, che consape-
vole dell’importanza del ritrovamento ne diede pubblica notizia indicando che lo studio sarebbe stato affidato al Professor Giorgio Dal Piaz dell’Università di Padova ed allora Conservatore Onorario dell’istituzione. Fu così che G. Dal Piaz diede risalto ufficiale alla scoperta in una riunione della Società Italiana per il Progresso Scientifico tenutasi a Milano nel settembre dello stesso anno comunicando "la scoperta di un nuovo genere probabile di paleolacertide raccolto nei pressi di Pinè in un sottile letto di tufo compreso entro il porfido permiano”. Dal Piaz aggiungeva che il fossile, ancora in corso di studio, rivestiva una grande importanza sia dal punto
di vista paleontologico che da quello paleogeografico». Il reperto trova collocazione nel Museo di Geologia e Paleontologia di Padova, in una vetrina all’interno della sala W, con cartellino che lo vede catalogato come nuovo genere e nuova specie. Il fossile non gode ancora di uno studio paleontologico approfondito che viene affidato nel 1959 a Piero Leonardi. Il Tridentinosaurus si rivela essere il più antico dei vertebrati fossili ritrovato nelle Alpi meridionali. La particolarità che lo contraddistingue è che non si sono conservate come in tutti gli altri casi soltanto le ossa, ma anche tracce di pelle e parti molli del corpo, che ci consentono di ammirare la sua sagoma scura. L’animale assomiglia a una lucertola, lunga 25 centimetri con collo e corpo allungati e mani e piedi muniti di 5 lunghe dita. I dati forniti dallo studio del Leonardi ci consentono di ritenere che si tratti di un proto sauro, seppure non corrispondente ad altri ritrovamenti e quindi classificato ancora una volta come genere nuovo. Un ritrovamento eccezionale e unico al mondo che ci riporta indietro nel tempo di oltre 250 milioni di anni, e che l’amministrazione comunale di Bedollo vorrebbe riportare in Trentino. La mozione è stata firmata il 31 maggio 2016 dal consigliere Damiano Mattivi, che auspica che il reperto grazie alla collaborazione della sovrintendenza competente, possa ritornare a casa e trovare spazio e degna collocazione all’interno del Muse; museo delle scienze che potrebbe vantare un ulteriore e importantissimo tassello della nostra storia.
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Autunno stagione di Quattro chiacchiere con i Custodi Forestali
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Funghi
’estate volge al termine, i boschi imbruniscono gradualmente, i turisti lasciano piano piano la Valsugana. Ma non tutti: come nei mesi di luglio e agosto, molti vengono in Trentino soprattutto dal Veneto per quei frutti della terra così desiderati e apprezzati anche per la fatica di trovarli: sono i funghi. Il loro profumo penetrante che si diffonde nei boschi in questa stagione richiama non solo veneti lungo i sentieri tra gli alberi, anche moltissimi trentini hanno la passione per la raccolta dei funghi. Capita di incontrarli la mattina presto, vestiti di tutto punto e muniti di cestino, mentre lasciano le loro macchine a bordo strada per inoltrarsi nella vegetazione. Ma non sono le uniche presenze umane collegate ai funghi: con il loro occhio vigile, ecco guardie forestali e custodi forestali. Li incontriamo nel loro ufficio in quel di Levico Terme. Marco e Nicola che altre volte sulle pagine della nostra rivista ci hanno portato a scoprire con sguardo nuovo e diverso il nostro territorio.
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di Elisa Corni
Loro non sono in giro per i boschi a raccoglierli i funghi, ma per proteggerli. Esistono infatti delle normative piuttosto rigide per la raccolta dei funghi, e loro, come in altri campi, anche questa volta fanno i controllori. Vista la particolare stagione estiva di questo 2018 così piovoso, il loro lavoro in questo ambito è cominciato fin da metà luglio, e da più di un mese pattugliano i boschi per controllare che la raccolta dei saporiti prodotti della terra avvenga nel pieno rispetto delle regole. Non sono tante, ma per preservare la ricchezza del nostro territorio naturale devono essere rispettate. «Per esempio - spiega Marco - per andare a funghi bisogna dimenticarsi sacchetti di plastica e zaini. La normativa, come il buonsenso dei nostri nonni, dicono che si va a funghi con cestini di vimini traforati». Questo perché i funghi
non sono delle piante, ma degli organismi particolari che si riproducono grazie alle spore diffuse sul loro corpo. Grazie ai fori del tradizionale cestino di vimini, queste vengono sparse dal fungaiolo e permettono ai funghi di riprodursi. «Per lo stesso motivo - incalza Nicola bisogna sempre pulire i funghi raccolti in loco e non a casa». E quindi, il bravo raccoglitore di funghi porta sempre con sé anche un coltellino utile tanto per raccogliere quanto appunto per pulire i funghi quando si è ancora nel bosco. Non è questione di outfit o di tradizione, e i trasgressori di queste norme possono incorrere in multe che superano i 20€. «È nostro compito mentre pattugliamo i boschi verificare che chi raccoglie i funghi abbia appunto il cestino e abbia ripulito il raccolto da terra e parti danneggiate del fungo, lasciando quindi sul terreno spore e parti di fungo utili affinché il ciclo della vita continui», spiegano i due custodi forestali.
In queste ultime settimane la loro guardia si sta spostando dall’altipiano dove fino a qualche giorno fa spuntavano porcini ogni dove alla zona di Vetriolo, dove clima e terreno sono ideali per la crescita dei chiodini. «A seconda del periodo – racconta Marco - i nostri fungaioli si spostano a destra o manca. Mi ricordo il mio primo anno di lavoro; ero assegnato a Vetriolo e una mattina vedo decine di macchine che fino al giorno prima non c’erano. Era cominciata la stagione dei chiodini!». Mi rivelano addirittura l’esistenza di blog e chat dove gli appassionati si scambiano informazioni a proposito del dove e cosa raccogliere, se un terreno ha finito la sua produzione o se l’ha appena cominciata. «Sono attrezzatissimi e organizzatissimi - commenta Nicola - e ogni tanto sono anche furbi». Sì, perché esistono anche delle regole ben precise sul quando e quanto raccogliere. Intanto la raccolta non è possibile oltre la fascia oraria 07-19; e poi c’è un tetto massimo giornaliero di funghi che possono essere raccolti. 2 chilogrammi a testa. Oltre, le multe diventano davvero salate: tra i 44 e i 56€ ogni chilo o frazione di chilo eccedente il limite massimo previsto. «Ci è capitato di trovare persone – dicono ancora - con ben più dei 2 chili permessi. Tra permessi mancanti, sacchetti e sovra raccolto, la multa ha raggiunto le tre cifre, ma accadeva soprattutto anni fa. Ora le cose sono cambiate». Mi sorge spontaneo chiedere perché. «Noi facciamo tanta prevenzione – conclude Nicola -.La mattina arriviamo ai punti dove sappiamo che parcheggiano le macchine nell’orario in cui arrivano e iniziamo a farci vedere. Controlliamo documenti e permessi, ricordiamo le regole e invitiamo chi è senza permesso e dichiara di essere intenzionato a raccogliere funghi a munirsi del medesimo. Grazie a questo controllo capillare, quasi nessuno infrange più le regole». I non residenti in Provincia, infatti, devono essere in possesso del permesso valido entro il territorio del Comune. Si possono trovare presso i Comuni, pagare alle Poste o anche recuperare in locali e bar, il costo è contenuto e permette di evitare multe così salate da rendere indigeribili i funghi.
LE CRONACHE LEVICO
LA “LEVICO CURAE”
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on l’approvazione di tutti gli ospiti, i dipendenti, le autorità locali e l’assessore provinciale Luca Zeni, è nata ufficialmente a Levico Terme, la “Levico Curae” (Centro Unico Riabilitativo Assistenziale ed Educativo) il piccolo Ente conseguente alla fusione dell’APSP San Valentino e il Centro don Ziglio, le due aziende che sul territorio levicense si occupano della cura delle persone. Come ha
spiegato il direttore Fabrizio Uez, si tratta di un passo importante dal momento che in Trentino sarà il primo ad unire i servizi che si dedicano alla persona anziana e alla disabilità. Da ricordare anche che l’APSP San Valentino è la terza per potenzialità sul territorio trentino con i suoi circa 300 dipendenti per una ricaduta sul territorio pari a 3 milioni di euro. I servizi resteranno diversificati tra loro ed ognuno manterrà, come ha spiegato la presidente Martina Dell’Antonio, la propria identità anche se si identificheranno come unica realtà che unirà la professionalità delle due realtà per valorizzare al meglio la qualità della vita delle persone. Apprezzamenti per questo importante passo sono venuti dal primo cittadino Michele Sartori nel significare che si tratta dell’unione di due aziende sane che con questo legame si sono arricchite anche dal punto di vista umano. Già lo scorso mese di marzo si erano mossi i primi passi per la nascita di “Levico Curae” con l'approvazione dello statuto e del logo indicativo della nuova realtà da parte di Ferdy Lorenzi. L’assessore Zeni ha anche auspicato che Levico Curae possa essere da esempio per altre iniziative simili sul territorio. (M.P.)
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Che tempo che fa a cura di Giampaolo Rizzonelli
IL CALDO ANOMALO CHE HA COLPITO I PAESI SCANDINAVI NELL’ESTATE 2018
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n questo numero andremo un po’ fuori dai nostri confini “valsuganotti”, andando a vedere cosa è successo questa estate in Nord Europa. La foto delle renne che fanno il bagno in mezzo ai turisti in Lapponia ha fatto il giro del mondo quest’estate (vedi fig.1). In questo articolo analizzeremo il perché di questo caldo anomalo che ha colpito i paesi Scandinavi e in genere il Nord Europa dove spesso si sono registrate temperature massime molto più elevate che non a latitudini inferiori. Per avere fonti autorevoli riprenderemo anche alcuni passaggi degli articoli scritti al riguardo dalla professoressa Jennifer Francis ricercatrice alla Rutgers University. Per quanto riguarda il caldo nel Nord Europa, va innanzitutto detto che oltre alle temperature elevate l’ondata di caldo (nb: l'Organizzazione Meteorologica Mondiale definisce un'ondata di calore come cinque o più giorni consecutivi quando le temperature massime
giornaliere sono almeno 5° C sopra la media per quel periodo dell'anno) è stata caratterizzata da una siccità record, che è stata la “benzina” per numerosi e vasti incendi, in particolare in Svezia, zone peraltro poco attrezzate per questi eventi essendo rari. Responsabile del Fig. 1 (Renne al bagno) caldo arrivato fino ai paesi scandinavi è un cosiddetto “blocco anticiclonico”, in fig. 2 ne è mostrato uno tipico ad “omega” per via della forma, mentre in fig. 3 è riportato esattamente quello presente a fine giugno 2018, in sostanza sono delle figure bariche che provocano una circolazione di masse d’aria calda dall’Africa fino ai Paesi Scandinavi, con permanenza di bel
Fig. 2 (tipico blocco ad omega sull’Europa, con aria calda che dall’Africa affluisce fino al Nord Europa)
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tempo per settimane, per questo motivo le temperature rilevate in Norvegia erano spesso più elevate di temperature rilevate nell’Europa Meridionale. Le temperature massime hanno superato i 33°C anche oltre il circolo polare artico, ma la cosa eccezionale sono state le temperature dell’acqua di superficie del Mar Baltico che ha raggiunto valori di 26°C, più tipici del
Fig. 3 situazione barica a fine giugno 2018
Mediterraneo. Perché si verificano questi fenomeni? E’ una domanda con molte risposte, tali fenomeni sono oggetto di studio da parte degli scienziati, una parte ovviamente la ritiene risultato dei cambiamenti climatici causati dalle emissioni di gas serra.
Fig. 4 Corrente a getto
La professoressa Francis, citata nella prima parte dell’articolo, sostiene che il motivo principale sia dovuto all’indebolimento della corrente a getto (Jet Stream).
COSA È LA CORRENTE A GETTO? (Vedi fig. 4) È un flusso d'aria che si forma nell'atmosfera terrestre alla quota di circa 11 km dalla superficie ai confini tra masse d'aria adiacenti con significative differenze di temperatura, come quella tra la più fredda regione polare e la più calda regione verso l'equatore. Quest’estate, secondo la prof. Francis, la corrente a getto è rimasta in una posizione diversa dal solito a latitudini più elevate, ha sostanzialmente bloccato aree anticicloniche per lunghi periodi nel Nord Europa. Per la prof. Francis il riscaldamento sempre più evidente dell’Artico sta portando a modificare la circolazione atmosferica nell’emisfero nord favorendo questi fenomeni, il jetstream in effetti è generato dal divario di temperatura tre le masse d’aria fredda discendenti dall’artico e da quelle calde che risalgono dall’equatore come citato poc’anzi. Altri scienziati stanno studiando da tempo le modificazioni che sta subendo la velocità delle correnti, note con la sigla Amoc (Atlantic meridional overturning circulation, ovvero Capovolgimento meridionale della circolazione atlantica vedi fig. 5), quelle responsabili della “mitigazione” del clima dalle coste atlantiche del Sud Europa fino al Mar Glaciale Artico. Gli studi pubblicati
Fig. 5 Amoc Capovolgimento meridionale della circolazione atlantica
dalla rivista “Nature” dimostrano un forte indebolimento dell’Amoc, a livelli di 1600 anni fa, i risultati indicano che le correnti sono state relativamente stabili tra l’anno 400 e il 1850, poi, in concomitanza con l’inizio dell’era industriale, il flusso ha cominciato a diminuire di intensità. Tale calo della velocità è una conseguenza dello scioglimento della calotta artica e dei ghiacciai montani di tutto il mondo, che provocano a loro volta il riversamento di acqua dolce nei mari, soprattutto nell’Atlantico settentrionale. In questo modo la Corrente del Golfo si indebolisce poiché il mescolamento impedisce all’acqua di diventare sufficientemente densa da scendere nei fondali. La circolazione permanente oceanica, infatti, consiste in una risalita delle acque calde nelle zone tropicali dell’Atlantico verso Nord, grazie alla corrente del Golfo, questo garantisce un clima temperato all’intera Europa occidentale ma anche alle latitudini più estreme, fino alle Svalbard per capirci. Una volta arrivata nelle zone più settentrionali dell’oceano, l’acqua si raffredda progressivamente, diventa più densa e pesante, scende nei fondali e riparte verso Sud. Secondo la Woods Hole Oceanographic Institution, che ha contribuito agli studi sul fenomeno, se il meccanismo continuerà a rallentare, questo potrebbe modificare le condizioni meteorologiche dagli Stati Uniti all’Europa, fino al Sahel, nonché accelerare il processo di innalzamento del livello dei mari, soprattutto sulla costa orientale americana. Ma non si tratta della sola conseguenza del cambiamento di ritmo dell’Amoc, infatti esiste il rischio concreto che venga colpita la capacità degli oceani di immagazzinare anidride carbonica, ovvero il principale gas responsabile del riscaldamento globale, la cui concentrazione nell’atmosfera potrebbe così crescere ulteriormente con gli effetti che ben conosciamo. Elaborazioni di Giampaolo Rizzonelli anche su dati forniti da Meteotrentino Provincia Autonoma di Trento e Fondazione Edmund Mach.
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o d n a l l e r e h c o i G
Cristini io iz r u a M a cura di
RICOSTRUZIONE Ricostruite dieci frasi unendo a tre a tre i gruppi di lettere sotto elencate e scrivetele nelle righe, dove i puntini corrispondono alle diverse parole. Le lettere sui puntini ingrossati daranno un proverbio molto noto in Alta Valsugana.
1._______________________________________________ 2._______________________________________________ 3._______________________________________________ 4._______________________________________________ 5._______________________________________________ 6._______________________________________________ 7._______________________________________________ 8._______________________________________________ 9._______________________________________________ 10. ______________________________________________ ALLAC, ANTEDIO, APPORTI, CIARER,
AREAS, AVEREP,
EMOEU, ESTRAPO, ETID, FACOLT, IGIOVE, ILNOST, LIEVI, LIFONICA, LISSE, LUCID, NAPIZZA, OCHEM, ONETE, ONETTO, ORCH, OSOBAR, PECCHIO, PIAN, POLIF, QUADR, ROLOGIO, ROSCHIET, TAREU, TOPARERE.
A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il nome della varietà di alberi che formano la Cattedrale vegetale del percorso Arte Sella. ORIZZONTALI: 1. Era il dio egizio del Sole - 2. Accoglie fra i suoi soci tanti appassionati della montagna (sigla) - 4. Dottore nelle sigle - 6. Centro Addestramento Reclute - 9. La pronuncia per il termine inglese cheek - 10. Si farcisce tipicamente con lo squaquerone - 11. Arnese di origine australiana che si lancia - 14. Servono a convalidare i biglietti di viaggio - 18. E' buona quella di chi lavora sodo - 19. Minerale che provoca carcinomi polmonari - 20. La prima nota musicale - 21. 49... ai tempi di Nerone - 22. Può erogare aria o carburante - 23. La coniuge del roi - 25. … si muove! esclamò Galileo - 27. Antica città della Mesopotamia - 28. Ente Nazionale per il Microcredito- 30. Il prefisso che vale sette - 31. La classica parola magica degli illusionisti - 34. Donna colpevole - 35. Il Frassica, Maresciallo in Don Matteo - 36. Articolo per... altri - 37. Triste, mesta - 40. Con esse... creano l'oste! - 41. Un'espressione di meraviglia - 42. Uno dei sensi umani - 43. Lago formato dal fiume Oglio - 44. La Yoko coniuge di J. Lennon. VERTICALI: 1. Vino trentino ottenuto incrociando il vitigno Merlot con Teroldego - 2. Scarica i fumi della fabbrica - 3. Sostanze profumate presenti nel vino - 4. L'invenzione di Pacinotti - 5. Genere musicale di fine '800 dal quale derivò il jazz - 6. I bordi dei... camici - 7. Targa di Ancona - 8. Tale è l'esame utilizzato per visualizzare i polmoni - 9. Il Nat King di Unforgettable - 12. Dà luce alla cabina della nave - 13. Lo erano i tre Magi - 15. Un cantante come Jovanotti - 16. Lo è il desiderio dell'insoddisfatto - 17. Gian Piero Ventura lo era della Nazionale italiana (sigla) - 20. Riduzione o abolizione del potenziale bellico di uno Stato - 23. Così è definibile una abitazione in campagna 24. Nemmeno, neppure - 26. Fece coppia con Vianello (iniz.) - 29. Il Thomas, celebre scrittore tedesco, autore di Morte a Venezia - 32. Lo fu Amabile Visintainer, da Vigolo Vattaro, prima di essere Santa Paolina - 33. L'Arrigo librettista che si firmava con lo pseudonimo anagrammatico Tobia Gorrio - 38. Noi per Giulio Cesare - 39. Si dice che quando abbaia non morda.
SOLUZIONI NR. DI LUGLIO 2018
HO FATTO 13 ! Belluno - Mar Adriatico - Val di Sella - Ferruginoso-arsenicali Castel Pergine - Forte di San Biagio - n.47 - non elettrificata Primolano - mele - Sella - Marter - Alcide
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Il numero di settembre di Valsugana News è stato chiuso in redazione il 1 settembre 2018
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