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ANNO 6 - NR. 1 - febbraio 2020
Periodico gratuito
Foto © Irene Gianeselli
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AL MAESTRO GIUSEPPE CALVINO
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Punto e a Capo di Waimer Perinelli
“Tolo tolo” riso amaro Il film “Tolo Tolo” di cui Checco Zalone è interprete, sceneggiatore e regista è un grande rebus. Non sodddisfa pienamente ma fa cassetta.
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ul grande schermo Checco Zalone e poi la parola Fine. Le luci di sala si accendono. Silenzio! La platea è gremita; tutto prenotato, basta un’app del telefonino. La presenza di tanto pubblico rende più pesante la mancanza di commenti. Solo un tentativo isolato di applauso, subito spento nell’indifferenza. Forse nella perplessa riflessione, perché il film Tolo Tolo può piacere o non piacere, ma certamente ci obbliga a pensare. Si riflette sull’italiano “brava gente”, magari un po’ cialtrone come Checco il protagonista del film inventatosi ristoratore; fallito, oppresso dalle tasse e dai creditori, ai quali cerca di sfuggire emigrando in Africa dove, per non essere rintracciato, vive da clandestino. Come tale rientra in Italia sulla rotta degli immigrati. Vuole andare nel Lichtenstein, come tanti africani, extracomunitari. Viaggia con loro attraverso il deserto, sui barconi, nelle navi delle Onlus e conosce l’amore per una bella ragazza africana che poi si rivelerà essere una rivoluzionaria. Si affeziona al bambino che crede figlio di lei. Raccontata così sembra l’analisi, forse l’ autocritica dell’ italiano razzista (con un pizzico di omofobia e un po’ di fascismo), della difficoltà di essere imprenditori nell’ Italia dove un personaggio ambiguo, senza arte ne parte, si trasforma da disoccupato in prefetto, ambasciatore e ministro. La rappresentazione della miseria morale e della creatività del “genio” italiano. Qualsiasi cosa vi aspettiate: ridere,
piangere, comprendere meglio attraverso la farsa la nostra realtà, sarete insoddisfatti. È un film che delude ed accontenta tutti. Tra i molti personaggi intervistati sul fenomeno Tolo Tolo, Maurizio Nichetti, attore e regista di successo, che di film se ne intende, dice: “Andate a vedere l’ultimo film di Checco Zalone e godetevelo perché è bello. Poi riflettete su quanto può essere manipolata ad arte una promozione con un trailer fuorviante e con polemiche gratuite”. Un modo gentile per dire che se non lo vedete non perdete nulla. Tutto vero, la pubblicità è l’anima del commercio ma, attenzione perché lo studio della comunicazione pubblicitaria ci insegna che la maggiore promozione del consenso di un prodotto è il passaparola. E di parole su questo film ne sono state dette tante perché il tema è scottante ,come il sole della Puglia dove inizia e, passando per l’Africa, ritorna. Un trailer ben fatto, una campagna
pubblicitaria ben orchestrata possono fare molto, ma solo nel breve periodo, se a oltre un mese dal debutto del 27 novembre, nel periodo che va dal primo al 17 gennaio, il film ha incassato 43 milioni di euro, vuol dire che il pubblico non si accontenta delle critiche, né dei trailer, ma vi trova e diffonde qualcosa che lo rispecchia. E di spettatori Tolo Tolo ne ha avuti molti: a metà gennaio erano 6 milioni 350 mila e fra questi almeno 1milione e ottocentomila dichiarano di non essere mai andati in una sala cinematografica in tutto il 2019. Benvenuti dunque alla cattedra di Checco che di spettatori con ” Quo Vado?” ne ha fatti 65 milioni. Come nel film diretto da Gennaro Nuziante la tentazione è di schierarsi fra sovranisti e buonisti, simpatizzanti di destra o sinistra. In realtà è un film che accontenta tutti e per fare questo finisce per non accontentare nessuno. Silenzio di fine proiezione docet.
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SOMMARIO ANNO 6 - FEBBRAIO 2020 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 2815103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Chiara Paoli - Elisa Corni COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser COLLABORATORI Waimer Perinelli - Roberto Paccher - Erica Zanghellini Katia Cont - Massimo Dalledonne - Francesca Gottardi Maurizio Cristini - Laura Mansini - Alice Rovati Laura Fratini - Sabrina Mottes - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover - Veronica Gianello Giampaolo Rizzonelli - Nicola Maschio - Mario Pacher CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE - GRAFICA - STAMPA Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN)
PER LA TUA PUBBLICITÀ cell. 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a GRAFICHE FUTURA srl, le loro pubblicità, le loro immagini i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per di tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.
Punto e a capo 3 Sommario 5 Giuseppe Calvino, premio mondiale 7 La galassia di Sgarbi 11 In controluce: Caldonazzo muore 14 A ciascuno il suo 15 Io speriamo che me la cavo 16 Le cronache locali 17 Storie di altri tempi: Alex Carrel 22 In memoria di Giordano Bruno 23 A parere mio: Tolo Tolo 24 Ieri Avvenne: La rivoluzione di febbraio 1917 26 L’Ospedale psichiatrico di Pergine 27 Antichi insediamenti in Valsugana 28 Tenna: un piccolo paese, grande realtà 29 Feste e ricorrenze: San Valentino 31 Famiglia, sport, società 33 Dalla Valsugana in Vaticano 34 SPECIALE CUORE Cardiologia e cardiochirurgia a Trento Quando nasce la cardiochirurgia La moderna cardiochirurgia Intervista al dr. Angelo Graffigna L’aritmia cardiaca Intervista al dr. Roberto Bonmassari L’infarto cardiaco Le banche del sangue
37 39 40 42 43 46 47 48
Ricordo di un artista: Fabrizio De Andrè Attori di casa nostra: Maurizio Nichetti Valsugana News si legge in Florida Arte e cultura: Castel Ivano ed Eugenio Prati Natura e Socità: sei serate per la natura La Corale di Calceranica Ricordi di Guerra Metalli in Valsugana Il personaggio: Denis Franceschini I Mercatini di Natale a Levico Terme Umana-Mente: sport invernali Insetti e parassiti: meglio prevenire Piccoli amici: 17 febbraio, evviva il gatto L’Ospedalino di Trento Le cronache locali
51 53 57 59 60 62 64 65 66 67 69 70 71 72 73
Medicina & Salute: l’ansia scolastica Medicina & Salute: Diabete e insulina Salute & Benessere: Ottica oggi Salute & Benessere: il dimagrimento non ha età
74 77 78 79
Il Fast food: qualità e prezzo Le cronache locali Le cronache locali Le cronache locali Che tempo che fa Le cronache locali Giocherellando Gli annunci immobiliari
80 81 82 83 84 85 86 87
Il personaggio Mario Rigoni e la RAI Pagina12
Dal Palazzo On/le Mauro Sutto Pagina 19
Tradizioni valsuganotte Biagio delle Castellare Pagina 56
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Il Maestro di casa nostra Foto © Irene Gianeselli
di Armando Munao’
Giuseppe Calvino Premio Mondiale
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l compositore e direttore di banda trentino Giuseppe Calvino ha ottenuto il 3° Premio alla seconda edizione del W.A.S.B.E. International Composition Contest, uno dei concorsi di composizione per orchestra di fiati più rinomati al mondo, promosso su scala internazionale dalla stessa World Association for Symphonic Bands and Ensembles (W.A.S.B.E.). Come espressamente indicato nel bando, lo scopo del concorso aperto a compositori di qualunque età e nazionalità, è quello di incentivare la composizione e l’esecuzione di nuova musica originale per banda dall’elevato merito artistico e qualitativo, espressione delle più disparate culture e tradizioni, promuovendo una collaborazione efficace, proficua e duratura tra musicisti, direttori di banda e compositori di
tutto il pianeta. Il concorso era articolato in quattro categorie: Category 1 (composizioni originali per banda di grado di difficoltà 2-3, su una scala internazionale di riferimento che va da 1 – estremamente facile – a 6 – estremamente difficile): Category 2 (composizioni originali per banda di grado di difficoltà 4-5): Category 3 (composizioni originali per ensemble – formazioni, cioè, in cui vi è solitamente un solo esecutore per ciascuna parte – di grado di difficoltà 5-6) e Category 4 (composizioni originali per strumento a fiato solista con accompagnamento della banda). Giuseppe Calvino è risultato essere l’unico compositore italiano finalista nella propria categoria. Il suo brano “DNA” (D ‘n’ A): 3 Rhythmic and Melodic Inventions on D & A – suddiviso nei
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Il Maestro di casa nostra
Concerto al Muse
3 movimenti: I. RonD&Au; II. BatucaD-A; III. Polymetric Canon (On the RonD&Au Themes); per una durata di circa sette minuti – concorreva nella Category 1, che richiedeva la composizione di opere con un livello di difficoltà medio, eseguibile quindi dal maggior numero di compagini strumentali, ed era presumibilmente la categoria con il più alto numero di compositori partecipanti. Una giuria internazionale, presieduta dallo stesso Presidente WASBE, M° Dario Sotelo (Brasile), ha selezionato 3 composizioni per ciascuna categoria, che hanno avuto accesso alla fase finale del concorso; questa, avvenuta lo scorso 10 luglio a Buñol (Spagna) in occasione della Conferenza Mondiale WASBE, prevedeva l’esecuzione in concerto delle opere finaliste per le categorie 1 e 4 da parte della Banda Juvenil del Conservatorio Profesional de Música “San Rafael” di Buñol, diretta dal M° Francisco J. Haro de la Iglesia, e delle opere finaliste per le categorie 2 e 3 da parte della Banda Sinfónica del Conservatorio “San Rafael”, diretta dal M° Eduardo Carrascosa Carrascosa. A esibizioni concluse, una giuria allargata, sempre presieduta dal M° Sotelo, ha decretato le opere vincitrici. I Paesi rappresentati dalle dodici opere sono: Italia, USA, Spagna, Francia, Belgio, Svezia e Giappone. Le opere finaliste saranno promosse e reperibili tramite il sito internet WASBE: l’associazione
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Il Palacio de la Musica, sede del concorso
La Banda Giovanile del Conservatorio esegue DNA
intende infatti incentivarne la diffusione e l’esecuzione in tutt’e cinque i continenti. Pluridiplomato presso il Conservatorio “F. A. Bonporti” di Trento, Giuseppe Calvino ha conseguito i titoli accademici tradizionali in “Saxofono”, “Percussioni” e “Strumentazione per Banda”, oltre ai diplomi accademici di secondo livello in “Nuove Tecnologie e Multimedialità” e “Composizione”. Nel 2006 ha conseguito il Diploma Triennale in Direzione di Banda presso l’Istituto Superiore Europeo Bandistico (I.S.E.B.) di Trento, sotto la guida del M° Jan Cober (NL), e – nel 2008 – anche il Diploma Superiore Biennale. Dal novembre 1996 al maggio 2004 ha insegnato presso la Cooperativa Musicartista Trentina S.c.a.r.l. e dal settembre 2004 a tutt’oggi è docente di Saxofono, Percussioni e Formazione Musicale presso la Civica Scuola di Musica S.I.M. di Borgo Valsugana, Levico Terme e Caldonazzo (TN). Per l’anno 2006 è stato Direttore della Banda Rappresentativa Giovanile della Federazione Corpi Bandistici della Provincia di Trento. Nel maggio 2012 ha suonato con il Wind Ensemble della rinomata Stanford University (California), diretto dal M° Giancarlo Aquilanti, prendendo parte a due concerti in cui era in pro-
Il Maestro di casa nostra
gramma anche la propria composizione “African Ritual”. Nel marzo 2014 ha diretto la Banda Rappresentativa della Federazione Corpi Bandistici della Provincia di Trento in occasione della prima esecuzione assoluta della sua composizione “Music of the Muse”, Sinfonia Multimediale e Multisensoriale per Grande Ensemble di Fiati, Coro di Montagna, Chitarra Elettrica e Suoni Elaborati Elettronicamente, dedicata al Muse di Trento ed eseguita presso gli spazi del Museo con i musicisti disposti sui vari piani
dell’edificio. Ha al suo attivo svariate pubblicazioni e incisioni di musica per banda per le Edizioni Musicali Scomegna di La Loggia (TO), alcune delle quali sono state selezionate come brani d’obbligo o a libera scelta in importanti concorsi bandistici internazionali, ed eseguite in Europa, USA e Taiwan. Nel 2018 ha ottenuto il 2° Premio (1° non assegnato) – Sez. A (Grado 1) al 7° Concorso Internazionale di Composizioni Originali per Banda Giovanile “André Waignein - Città di Sinnai”, con
l’opera “Of Tales and Love”. Dal gennaio 2003 ricopre l’incarico di Maestro e Direttore Artistico dell’Ensemble Giovanile e della Banda Cittadina di Levico Terme (TN). Con quest’ultima formazione, nel 2004 ha partecipato al VII Concorso Bandistico Internazionale di Dunabogdány (Ungheria), ottenendo il massimo punteggio nella propria categoria con “Premio d’Onore”. Per l’anno scolastico in corso è docente di Tecnologie Musicali presso il Liceo Musicale “Andrea Maffei” di Riva del Garda.
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Attualità di Waimer Perinelli
La galassia di Sgarbi avvolge la Valsugana “Bruna, la Valsugana si apriva davanti a noi, creata da Dio come uno squillo di tromba”, così Roberto Musil, soldato della Grande Guerra sul Lagorai, vedeva la bella valle oggi riscoperta da Vittorio Sgarbi. A modo suo, impetuoso, affettuoso, artistico e produttivo.
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garbi è arrivato in Valsugana nei giorni della befana e in 24 ore ha visitato i siti di Castel Ivano, la chiesa di Sant’Apollonia a Spera, le Terme di Roncegno, Arte Sella, il Forte delle Benne e il Grand Hotel Imperial di Levico e il Castello di Pergine. Un vero Bliz, avrebbe detto Musil, i frutti del quale vedremo nell’arco di uno o più anni, ma le cui riflessioni sono già oggi preziose. Sgarbi non visita, esplora. È per questo che quanto annuncia nella breve pausa compiuta nella fredda, invernale sala di Villa Sissi, è un viaggio della Valsugana alla scoperta della propria arte. Con un piccolo mistero. Partiamo dalle cose note. Il Comune di Castel Ivano, nato dalla fusione di Spera, Strigno e villa Agnedo, darà vita ad una Casa delle Arti, in cui saranno esposte le quindici opere, già acquisite, di Eugenio Prati , pittore nato a Caldonazzo nel 1841 e morto a Ivano Fracena nel 1907. Le opere, guarda caso, si trovano oggi in deposito al Mart. Nella sede del prestigioso museo troverà riposo invernale anche una
tela di Ardengo Soffici, artista toscano che Roncegno sta riscoprendo e valorizzando. La tela s’intitola “Dante e Beatrice” e si trova attualmente esposta nella Sala del Caminetto del Palce del Grand Hotel. È il medesimo luogo nel quale, come scrive lo stesso artista nell’autobiografia, fu dipinta ed esposta nel 1905-06. Un quadro ad olio di 3,40 metri per 2,20, firmato A.S. in basso a destra. dove è raffigurato l’incontro, lungo la riva dell’Arno, fra il Sommo Poeta e la donna amata, a cui si era ispirato nel 1883 il preraffaelita inglese Hanry Holiday. L’opera di Soffici faceva parte di un trittico, collocato sulla parete alta della sala delle feste di fronte all’ingresso, dove avrebbe dovuto testimoniare l’italianità della cittadina irredenta. La tela era una delle undici commissionate dai Waiz, proprietari dell’Hotel e delle terme, al polacco Serge Jastrebzoff , il quale chiese la collaborazione di Soffici. I due artisti soggiornarono per due anni al Palace, assieme alla comune compagna Yadwiga e terminarono il lavoro a Parigi. Il mistero a cui ho accennato inizia dieci anni dopo, con la Grande Guerra, ma questa volta Robert Musil non c’entra; c’entrano, eccome, le cannonate che Austriaci e Italiani spararono. Miravano alle trincee, ma colpirono soprattutto le case, Palace compreso, distruggendo, si dice, le opere di Soffici; tale fatto solleva dei dubbi a Paolo Monelli che esprime nel suo
libro “Le scarpe ale sole”. Diamole ora per annientate tranne una e probabilmente almeno due. “Della seconda, data per distrutta” ci dice l’assessore alla cultura del Comune di Roncegno Giuliana Gilli” abbiamo notizia in una lettera scritta da Alfonso Froner direttore delle Terme negli anni ‘50”. Si tratta dell’opera “Bagnanti nude nelle acque di un fiume” ricomparsa non molto tempo fa sul mercato. Agli esperti giudicare se è la stessa, ma certamente il blitz di Sgarbi ha aperto nuovi scenari. Nuove prospettive anche per la Valsugana turistica. Gente difficile da coordinare i Valsuganotti, “Peccato,” dice Stefano Ravelli ad. dell’Apt “ Abbiamo Castelli, Ville, Terme, Grand Hotel, laghi e monti... dobbiamo solo conoscere meglio la nostra realtà e valorizzarla”. L’Arte ci può aiutare.
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Il personaggio di Waimer Perinelli
Nascita della Rai a Trento La creatura di Mario Rigoni Mario Rigoni c’era quando a Roma nasceva la Rai. È stato lui ha rendere la Rai di Trento forte ed autonoma. Oggi è un signore trentino di 85 anni, asciutto di fisico, il volto segnato dal sole. Mi accoglie con un ampio sorriso, cosa rara per un uomo severo, riservato, abituato a comandare. Io l’ho conosciuto bene, è stato lui ad assumermi come giornalista nella sede di Via Perini, in quella struttura che proprio Rigoni ha voluto e imposto a Roma. “Già, dice, era il 1974 quando, grazie al professore trentino Giorgio Gregori, influente consigliere di Amministrazione, la Rai romana si convinse dell’utilità di trasformare gli uffici aziendali di Trento in sede autonoma rispetto a Bolzano impegnata prevalentemente in programmi di lingua tedesca ai quali i trentini davano sporadici contributi radiofonici. Il Trentino era una vera Cenerentola. Basti ricordare che durante l’alluvione del 1966 le notizie da Trento erano quasi inesistenti”. Ma tu eri a Trento? “Si c’ero e ho tempestato Roma di telefonate e servizi. Poi, passato il momento critico, ho iniziato la mia battaglia per costruire una redazione giornalistica Rai a Trento”. A Roma lo conoscevano bene. Durante gli studi di ragioneria Rigoni ha sco-
Mario Rigoni al telefono
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Mario Rigoni oggi
perto la passione per la cinematografia e nel 1954, abbandonata l’idea di impiegarsi nell’azienda di famiglia, ha presentato il documentario “In tenda sul ghiacciaio” al Trento Film Festival Internazionale e ha iniziato la collaborazione come cinereporter (riprese e testo) con la Sede della Rai-Radiotelevisione Italiana di Bolzano . “Due stanze più un magazzino per i tecnici, ricorda Rigoni, dove si contribuiva alla realizzazione del primo e unico neonato Telegiornale nazionale dell’unica Rete Televisiva della Rai e, per i servizi dei salvataggi o aerei caduti in montagna in luoghi lontani, ore di cammino; sulle
immagini in onda c’era scritto: “Dal nostro inviato Mario Rigoni.” Tutto come da copione. Tanto lavoro, incarico da inviato e contratto precario con il quale approda a Roma nel 1956, appena due anni dopo la messa in onda del primo telegiornale delle Radio Audizioni Italiame, dove ha la fortuna di conoscere giornalisti che diventeranno i massimi dirigenti dell’Azienda. Nel 1958 finalmente un contratto a tempo indeterminato, ma alla sede di Palermo. “Da Trento ventisei ore di treno e più di due ore d’attesa per una telefonata nazionale), ricorda. Stipendio 68.000
Il personaggio Lire con costo d’affitto per un piccolo appartamento di Lire 38.000.“ Nel 1961 torna a Roma in via Teulada e nuovi viaggi per servizi in tutto il mondo. “Si giravano i filmati in pellicola come nel cinema. Ci vuole tecnica esperienza e attenzione perché la pellicola costa cara e il montaggio è laborioso. Ora con i mezzi digitali tutto è più facile”. Nel 1966 viene ampliata la sede Rai di Bolzano e sono aperti gli studi a Trento. Nel 1970 Rigoni è nella redazione di Cronache italiane e viene promosso inviato speciale e nel 1974 con la riforma e la creazione di tre Reti, rientra a Trento. La sua missione è organizzare una sede Rai a Trento. “Doveva diventare la più importante della regione, perché, il primo agosto 1976 il Consiglio d’Amministrazione della Rai con un Ordine di Servizio trasforma gli Studi di Trento in Sede Regionale e la Sede di Bolzano in Sede Provinciale. “ Nel 1978 viene nominato Caporedattore e l’anno dopo deve dare vita al primo telegiornale regionale. “Non avevo giornalisti, né scrivanie e macchine da scrivere, in compenso erano a Trento a controllare, il direttore Biagio Agnes e il condirettore Sandro Curzi”. È l’esame di maturità superato alla grande con i reportage del 19 luglio 1985 davanti alla tragedia di Redazione Rai - 1992
Mario Rigoni al lavoro
bar in centro a Trento. Cordiale quanto raramente era dietro la scrivania di via Perini dove si muoveva con decisione, impegnato nell’organizzazione del lavoro per i giornalisti che la professione vuole autonomi e la natura ambiziosi e vanitosi. “Una professione difficile che richiede sacrifici. Sai sempre quando inizi il lavoro, quasi mai quando lo terminerai”. Negli anni Novanta viene promosso Vicedirettore giornalistico e Direttore di sede e cerca di unire le due realtà dell’informazione e dei programmi. Il tentativo viene frenato dall’Azienda sommersa a livello nazionale dai conflitti sindacali e giudiziari. “ Nessun rimpianto dice il Rigoni pensionato. Ho fatto quello che andava fatto; forse ho dato troppa fiducia a persone inadeguate, forse qualcuno poteva dimostrare un po’ di riconoscenza.” La sede Rai di Trento negli anni Duemila e cresciuta. “Ma Roma è un po’ più lontana, chiosa Rigoni. O forse no, è solo Trento che si è allontanata e da qualche tempo si Seduti da destra: Waimer Perinelli, Alberto Tafner, Lillo Gullo, Laura Strada, Giorgio Lunelli In Piedi Da Sinistra: Marco Zeni, Alberto Folgheraiter, Nereo Pederzolli, Mario Rigoni, Maria parla un po’ meno trentino Concetta Mattei, Maurizio Crovato, Massimo Baldi, Adriano Morelli, Carlo Andreotti. in redazione”. Stava. A potenziare la sede di Trento lo aiutano la stima e le conoscenze acquisite a Roma e gli onorevoli trentini Flaminio Piccoli e Bruno Kessler. “Allora il Trentino contava qualche cosa a Roma, dice Rigoni, non andavamo in Parlamento a ricevere ordini. Dettavamo delle condizioni.” Tra un impegno e l’altro, Mario Rigoni realizza documentari come Valsugana Express, I Mocheni dei Monti Pallidi, Gli Eredi della Solitudine, America/ America, Ritorno sul Don con Mario Rigoni Stern. Lo osservo seduto serenamente nel
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In controluce di Laura Mansini
Caldonazzo muore
“L
o spazio per gli anziani si può utilizzare... salvo restando che i piani superiori al piano terra dovranno essere interdetti all’accesso”. Questo è scritto nella certificazione di idoneità statica dell’ex albergo Giardino, che da un paio di mesi ospita le sale del Centro Girasole e del Circolo Pecoretti, di Caldonazzo, scritta dall’ingegner Paolo Giacomelli. La ristrutturazione parziale di questo edificio è, scrivono Marco Motter e Ce-
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sare Ciola sul Notiziario Caldonazzese, l’esempio evidente del modo di amministrare negli ultimi dieci anni il paese: “ dove ci si è limitati a gestire il presente con interventi spot troppo spesso scoordinati, casuali e propagandistici”. È per questo che, dicono a Caldonazzo, il paese muore. Il Centro è un deserto, la sua descrizione è un bollettino di guerra. Chiude il ristorante albergo Aquila d’oro, simbolo e storia del paese; chiude il Millennium, negozio di abbigliamento. Ha chiuso il negozio di alimentari di Mimma in via Polla. Alcuni esercizi si sono spostati in viale Trento. Il centro storico, ammesso che ancora si possa parlare di tale fulcro di identità sociale, si sta desertificando e il paese si trasforma sempre più in dormitorio dove nemmeno i nottambuli trovano più conforto nei bar , di cui fino a trent’anni fa era ricco. Bepi Toller, storico sindaco di Caldonazzo, ne elenca almeno una quindicina. Giorgio Schmidt, che da dieci anni amministra Caldonazzo, si lamenta della decadenza di un paese che avrebbe dovuto crescere nel tempo e attribuisce
la colpa alla concorrenza dei grandi magazzini e alla strada provinciale che l’attraversa. Una strada la cui circolazione a senso unico ha da subito destato forti contrarietà, soprattutto a causa del senso di marcia che divide il centro dalla Chiesa, intasando e inquinando via Roma. È noto che un paese vive se l’Amministrazione Comunale si sa attivare seriamente valorizzando tutto ciò che di bello ed importante esso può offrire. E
In controluce A ciascuno il suo Caldonazzo ha molto da proporre. Se ne parla nelle caneve dove l’argomento principale sono le mele. Fuori fra i giovani si parla invece di nuove tecnologie e delle opportunità che potrebbero offrire sia all’agricoltura che al turismo. Sulla collina di Brenta stanno sperimentando nuovi impianti di vigna, e nella piana si potrebbero sviluppare moderne attività ricettive. Il turismo è un punto di forza dell’economia ma l’offerta del lago svuota il centro del paese. L’attuale amministrazione è stata travolta dalla gestione associata dei comuni con Calceranica e Tenna a cui si è presentata impreparata. Dopo cinque anni non è nemmeno riuscita a darsi una sala consiliare decente e i banchi del Consiglio giacciono nella Casa della Cultura e nella vecchia e decorosa sala del Municipio gli scaffali dell’anagrafe coprono il bel dipinto di Luigi Prati Marzari. Si va spegnendo il Trentino Festival Book, il cui ideatore ha già annunciato che a primavera getterà la spugna. La manifestazione era diventata un polo di attrazione turistica e culturale quali dovevano essere i siti archeologici della Torre ed il Giardino dei Sicconi e Corte Trapp. E i turisti che affollano le spiagge non trovano motivi per frequentare il paese dove anche la sede dell’ Apt sta per lasciare il Centro per un sito che si affaccia direttamente sul lago dove è naufragata la scorsa estate la Balena Blu fatta di cantinelle e cartapesta. Triste presagio per la vita del paese; infatti tutte le iniziative culturali e sportive vivono grazie al lavoro ed all’impegno delle Associazioni, le quali lamentano la mancanza di partecipazione e di ascolto da parte dell’amministrazione. Caldonazzo cresce soprattutto nella periferia con case nuove più vicine al lago, seconde case o appartamenti per immigrati da Trento e dintorni, che svuotano il Centro dove le antiche abitazioni a loro volta abbandonate degradano e crepano Crepe pesanti per una comunità che sta perdendo la propria identità: ma la ricetta non è avere un paese senza turisti, senza foresti, come ancora qualcuno sostiene, nelle serate buie, nel silenzio cupo della notte, mentre dicono i malpensanti, nelle caneve si brinda con polenta e fette di luganeghe alla Caldonazzo che fu.
di Waimer Perinelli
IL TRENINO DIRIGIBILE
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é Leonardo da Vinci, né Giulio Verne l’avevano ìmmaginato: un trenino a idrogeno. Leonardo cinquecento anni fa aveva disegnato il veicolo con le ali; Verne immaginato il sottomarino e un siluro per la luna. A Borgo un’azienda, non priva di esperienza internazionale, ha illustrato le molte possibilità dell’idrogeno e fra queste un treno alimentato con questo gas e adatto anche alla Valsugana. Il nuovo carburante non inquina, ed entro il 2050 la sua produzione ed utilizzazione potrebbe creare nel mondo 5 milioni di nuovi posti di lavoro. In Trentino un’azienda, con un volume d’affari di 14 milioni di euro, studia queste problematiche da 12 anni e sarebbe in procinto aprire un nuovo stabilimento a Pergine mentre proprio nella città del Fersina. L’idrogeno ha debuttato nel trasporto nel 1908 quando il conte Von Zeppelin, sfruttando un progetto del 1897, ideò il dirigibile. La produzione è crollata nel 1938 dopo il disastroso incendio dell’ Hindenburg , l’ammiraglia della flotta tedesca. Il tallone d’Achille del trasporto a idrogeno è proprio l’elevata infiammabilità del gas. In Valsugana la gente per tradizione è scettica ma dopo la ferrovia elettrificata e la Valdastico infinita qualcuno potrebbe cominciare a vedere i treni sollevarsi da terra e volare.
TIROLOANDATA SENZA RITORNO
N
el recinto dell’autonomia ci dimentichiamo spesso di quanti la giustificano con la propria opera e di quanti sono fuggiti dal cancelletto aperto. Alla prima categoria appartiene la famiglia Sottsass che dal Tirolo ha dato al Trentino e al mondo due architetti omonimi e inimitabili. Ettore Sottsass senior nato a Nave San Rocco nel 1892, come Degasperi e Battisti studia prima nel Welschtirol e in Tirolo che insieme compongono parte dell’Austria. Dopo la Grande Guerra torna in Trentino, diventato parte dell’Italia e progetta edifici pubblici a Trento, Varena, Merano, Bolzano. Emigra a Torino nel 1929. In Tirolo, a Innsbruck nel 1917 era nato il figlio Ettore junior. Anche lui studia da architetto a Torino e progetta grandi opere. Entra nel gruppo Mac, Movimento arte concreta, diventa art director di Poltronova, infine la collaborazione trentennale con Olivetti e la progettazione di un nuovo stile per i computer. Vince il Compasso d’oro. Walter Veltroni ha ricordato recentemente i due trentini d’esportazione. Oggi in Trentino si parla soprattutto di geni importati: da Renzo Piano, a Stefano Zecchi, a Mario Botta, Vittorio Sgarbi. Un altro Walter che di cognome fa Pruner, figlio di Enrico fondatore del PPTTue, ci ricorda che oggi il Tirolo e forse l’autonomia sono più lontani. Il recinto è più piccolo e dal Veneto importiamo autostrade e facoltà di medicina.
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In giro per il mondo di Francesca Gottardi è la nostra corrispondente dagli USA
“Io, speriamo che me la cavo!” Lavorare sulle navi da crociera: L’intervista ad Andrea S.
Andrea , 20 anni, di Roma, lavora sulle navi da crociera da diversi anni. Andrea mi ha raccontato com’è la vita sulle navi, di curiosità (ed inciuci tra personale e viaggiatori) e di come funziona la gerarchia tra personale. Andrea, come si entra a far parte della crew di una crociera? Nel dipartimento ristorazione si entra in base a curriculum, alle lingue (molto richieste sono l’inglese ed il francese), a formazione ed esperienza. Io ho fatto l’alberghiero a Bari, mi sono diplomato specializzandomi in servizio in sala. Ho poi collezionato diverse esperienze lavorative in ristoranti e bar. Parlavo già l’inglese, ma una volta a bordo si impara molto relazionandosi con i passeggeri, che vengono da ogni parte del mondo. C’è una gerarchia interna nella crew di una crociera? Certamente. Si parte da essere membro dell’equipaggio semplice, fino a diventare maître. Si inizia a servire alla mensa dell’equipaggio, poi si passa a gestire una sezione del buffet. Da lì si diventa assistenti per un cameriere, poi cameriere, caposala, assistente maître, ed infine maître. Il maître è responsabile di ogni ristorante e buffet sulla nave. Da lí si può ulteriormente fare carriera come ufficiale di bordo, come “Food Manager” (che ha responsabilità di tutto il cibo e le bevande di bordo) o come “Deputy”, responsabile di tutti gli imbarchi e sbarchi. Apice della carriera è diventare Hotel Director (la crociera è un hotel sul mare), ed infine Capitano. Ma per quello ci vuole tantissima gavetta!
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Andrea S.
Qual è la durata media del contratto? 5-8 mesi prolungabili. Nel corso del contratto il lavoratore rimane sulla stessa tratta, che include in media 6-7 fermate in diversi stati. Poi chiaro, ogni crociera è diversa. Per esempio, ce n’è una di 4 mesi che fa il giro del mondo, per la modica somma di 20.000 € a persona, e lì il discorso cambia …Wow! Chi fa una crociera del genere? Si tratta per la maggior parte di anziani pensionati molto benestanti. Dopo qualche settimana a bordo, cominciano ad impazzire (ride). I miei colleghi mi hanno raccontato di persone che litigano per un posto
a tavola, che si lanciano posate, accade di tutto in crociera! Qual è il cliente-tipo ideale? Il cliente ideale ti saluta, ti tratta con rispetto e capisce se i piatti sono in lieve ritardo. In fin dei conti a bordo abbiamo solo una cucina e servire migliaia di persone nella stessa fascia oraria è un’impresa! …e quello che ti infastidisce di più? Quello che continua a fare richieste al cameriere di cibo extra che poi non consuma e dobbiamo buttare. È incredibile quanto cibo venga gettato ogni giorno perché al ristorante o al buffet i viaggiatori si riempiono i piatti di cibo che non mangiano. Questo spreco mi infastidisce. La noti la differenza di nazionalità dei passeggeri? Si, tantissimo. Gli italiani sono difficili…i russi invece, basta che gli dai da bere e sono contenti (Ride)! Gli americani sono molto graditi perché lasciano tantissime mance. Qual è la giornata tipo? La mattina mi prendo cura delle colazioni, per due ore e mezza circa. Poi pausa, ed altre 2 ore e mezza per pranzo. Pausa di nuovo e poi è il turno della cena. Si lavora durante tutto il corso della giornata. Abbiamo diritto ad un giorno di riposo a settimana. Qual è l’aspetto che ti piace di
In giro per il mondo più del lavorare in crociera? Le persone. Qui in crociera si è esposti a tantissime personalità e nazionalità, è molto arricchente! Poi ho la possibilità di visitare posti incredibili nelle ore di pausa o nei giorni di riposo. …e quello più difficoltoso? Questa vita a bordo ti frena molto. Viaggiando così tanto, e con assenze così prolungate i rapporti interpersonali ne risentono molto. Tanti lavoratori sposati finiscono per farsi l’amante a bordo, con altri membri dell’equipaggio o con scappatine occasionali con i passeggeri. Raccontaci un aneddoto… Ti dico soltanto che molti passeggeri sposati, con tanto di consorte a bor-
do, non sono molto fedeli…spesso capita che lascino il numero di cabina su un fogliettino al tavolo per il cameriere. Ne ho ricevuti diversi. C’è molto contatto tra personale di bordo? Dipende. C’è molta competizione tra i vari reparti sulla nave. Per esempio, tra ristorante e bar non ci si parla molto. Tutti noi abbiamo dei target mensili da mantenere, e questo ci mette in competizione. Come vedi la tua vita dopo la crociera? Programmi per il futuro? Nonostante le difficoltà, per ora questa vita mi piace. Quanto al futuro, per citare un noto film… “Io speriamo che me la cavo!” Andrea, a nome mio e della
rivista Valsugana News ti sono molto grata per aver condiviso la Sua storia con i nostri lettori. Grazie! Grazie a voi!
LA SAT IN CRONACA
I
n tutto 24 escursioni. Con una partecipazione media di almeno 50 soci per ogni uscita. È solo una parte dell’intenso programma messo in campo, nel corso del 2019, dalla sezione della Sat di Borgo e dal direttivo presieduto da Andrea Divina. Gite sciistiche, incontri, serate a tema ed escursioni in notturna. Ma non solo. “In settembre abbiamo proposto la tradizionale festa alla baita Lanzola – ricorda Divina - e i festeggiamenti settembre, ogni due per il cinquantesimo della croce di sede e il pranzo sociale”. Da giugno a in ata agn cast la con ione stag la o impegnaCima 12 concludend “Quest’anno è stata particolarmente i. tier sen ne nzio ute man alla e icat i impegnati. Con domeniche al mese sono state ded un totale di 640 ore lavorative e 42 soc per na ima sett la ante dur he anc ni tiva occupando più sati alla sistemazione del tetto del Baisidente – abbiamo provveduto anche pre il ue seg pro – ro otte ’elic dell nto one giovanile, prima l’interve Vaia”. Lo scorso anno è decollata la sezi ta pes tem a dall o giat neg dan e ent to di Cima 12 fortem rsa un apposito comitato si è messo erare i 50 iscritti e dalla primavera sco sup poi per zzi raga di na dici quin con una quest’anno i 100 anni eventi e manifestazioni per celebrare di e seri una e mar gram pro e zare con la al lavoro per organiz a, la nostra sezione ha fatto un servizio volt a prim la “Per 0. 192 del ile ’apr della sezione, costituita a Borgo nell uito la collaborazione con ve feste degli alberi, abbiamo proseg etti risp alle bili disa bini bam dei o sidente joelette trasportand catori. La nostra sede – conclude il pre edu loro i e ori min rto ape tro cen gli istituti scolastici ed i ragazzi del 20.30 alle 23”. (M.D.) e 10 alle 11 e tutti i venerdì sera dalle è aperta tutti i mercoledì mattina dall
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Dal Palazzo di Armando Munao’
Mauro Sutto… dalla Valsugana a Roma Mauro Sutto, classe 1980, è nato a Motta di Livenza(TV). Sposato, ha un figlio (Kevin) e da moltissimi anni risiede ad Ospedaletto. All’attività lavorativa di libero professionista ha sempre affiancato la politica, dapprima come semplice cittadino e poi con un impegno attivo da militante nelle fila della Lega. Nel 2015 ha deciso di scendere in campo appoggiando la lista della Lega nel suo paese per le elezioni comunali. È stato eletto capogruppo e da lì ha iniziato a rappresentare la sua comunità nel consiglio comunale. Nelle ultime elezioni nazionali del maggio 2019 è stato eletto, nel collegio della Valsugana, alla Camera dei Deputati dove è membro della XII Commissione Affari Sociali.
Mauro Sutto
On.le Sutto, quali sono state le Sue sensazioni quando ha saputo di essere diventato Deputato della Repubblica? Innanzitutto devo ringraziare i cittadini, che con il loro voto mi hanno permesso di ricoprire una così prestigiosa carica istituzionale, la Lega per la fiducia riposta nella mia persona e tutti i militanti, sostenitori e simpatiz-
zanti presenti durante tutta la campagna elettorale. Ho passato la notte dello spoglio elettorale sveglio nella sede della Lega di Trento. La tensione era tanta. Poi, quando sono arrivati i risultati definitivi, la gioia è esplosa coinvolgendo tutti i presenti che mi erano accanto. E quali le emozioni nel momento in cui è arrivato a Roma e si è
sentito chiamare Onorevole? Nella parola Onorevole è racchiuso un forte senso di responsabilità, verso i cittadini e la Nazione. L’onore di rappresentare il Trentino a Roma è qualcosa di indescrivibile sotto tutti i punti di vista. L’emozione poi è stata ed è ancora tanta, ma la si affronta giorno per giorno con la consapevolezza di crescere e di fare qualcosa per il proprio paese. A Suo avviso perchè gli italiani sempre di più si allontanano dalla politica? Non credo siano gli italiani che si allontanano dalla politica, ma più alcuni politici distanti dalla realtà. Personalmente in questo ultimo periodo sto vedendo, da parte dei giovani, un ritrovato interesse per la politica di qualsiasi schieramento. Segno questo che fa ben sperare per il futuro. Il suo parere sul fatto che i tutti i sondaggi testimoniano che il Centro Destra è destinatario di circa il 50% dei consensi mentre il nostro paese è governato da 2 partiti politici (5 Stelle e PD) che nelle ultime elezioni europee e regionali sono stati bocciati dagli italiani? La Lega, secondo tutti i sondaggi, è il primo partito del paese e questo da
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Dal Palazzo A Roma in Vaticano
alcuni non viene digerito. I due partiti che lei ha citato hanno perso tutte le ultime tornate elettorali. L’alleanza tra Pd e 5 Stelle è basata su meri interessi personali e non vere proposte politiche. È un binomio “strano” che la sera prima litigava su tutti con giudizi al limite della decenza e poi hanno fatto l’accordo per non perdere la poltrona. Nel mese di dicembre, e anche prima, l’attività parlamentare ha trattato temi importanti tra cui il decreto Fiscale e il Bilancio. Cosa ci può dire in proposito? Ricordo che i due citati decreti sono tra i più importanti per il paese e il messaggio qual’è? Due decreti basati su tasse e manette. Il governo non ascolta le associazioni di categoria che vivono il territorio e sanno quali Alla Camera
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esigenze servono per le imprese. Abbiamo toccato il fondo con le manette agli evasori: gli imprenditori e chi fa impresa sono considerati dei delinquenti se non riescono a pagare le tasse. Per non parlare dell’abolizione della prescrizione mei processi che concretizzerà il famoso “fine processo MAI”. La sugar-tax e la plastic-tax, sono delle vere follie introdotte da questo governo. Il Sole 24 ore analizza la vicenda affermando che i posti di lavoro che perderemo saranno migliaia e che penalizzerà in modo significativo il settore. Hanno di fatto stoppato gli investimenti ed è anche per questo che ogni giorno assistiamo alla fuga all’estero di imprenditori e alla delocalizzazione di imprese e ditte. Oggi, il suo impegno politico si concretizza con la presenza a Roma, in Trentino e in Valsugana. A Roma Lei ha presentato e fatto approvare un Ordine del Giorno su “Tutela dell’Autonomia in materia di sanità”. Ci può spiegare meglio? La legge di bilancio per far capire meglio ai lettori, è arrivata in aula blindata e non emendabile, ovvero senza la possibilità di porre correzioni e con un maxiemandamento. Esprimo soddisfazione per l’appro-
vazione del nostro ordine del giorno alla legge di bilancio che impegna il governo a tutelare la nostra autonomia in materia sanitaria. Con questa manovra il governo giallorosso aveva infatti esteso l’applicabilità dei tetti di spesa per il personale sanitario anche alle province autonome di Trento e di Bolzano. Una decisione inappropriata e in palese violazione delle competenze del nostro territorio, del Testo Unico delle leggi costituzionali sullo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e della giurisprudenza costituzionale. Sono il primo firmatario dell’ordine del giorno insieme ai colleghi trentini e a tutti i commissari degli Affari Sociali della Lega. Continueremo a vigilare e ad incalzare il governo fin quando non manterrà l’impegno assunto, ossia chiarire che la norma introdotta non incida sull’autonomia finanziaria delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano. A Suo avviso c’è un particolare e urgente tema che la politica dovrebbe prendere in considerazione? Visto la commissione a cui appartengo, cerco di riassumerle i concetti principali sulla famiglia e sulle politiche sociali. Dobbiamo continuare con quota 100 fortemente voluta dalla Lega e l’estensione dei requisiti anagrafici e contributi per “l’opzione donna”. L’Italia soffre l’inverno demogra-
Con Salvini
Dal Palazzo Giorno alla camera
fico: sono 439.747 i nati nel 2018 (-18mila sul 2017), 1,29 in media i figli per donna, 32 anni l’età al parto, una misura introduttiva è l’assegno unico per i figli a prescindere dal reddito. Abbassare l’Iva su pannolini e omogeneizzati, quindi prevedere una riduzione dell’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto relativa ai beni e servizi essenziali per la prima infanzia, per la disabilità e la non autosufficienza. Investire sui consultori familiari, ovvero, uffici sanitari ai quali possono accedere tutti i cittadini residenti in Italia, per usufruire di diverse prestazioni sanitarie. All’interno di essi si possono trovare il ginecologo, il pediatra, l’assistente sociale, gli infermieri, lo psicologo, a cui possono affiancarsi talvolta altri professionisti quali un sociologo, un neuropsichiatra infantile, un legale. Sostegno per i nonni che si occupano dei nipoti: ormai in Italia entrambi i genitori lavorano, quindi una famiglia spesso si affida all’aiuto offerto dai nonni. Colgo l’occasione della sua intervista per salutare tutti i nonni che ci leggono e ringraziarli per il prezioso ruolo che svolgono nella vita quotidiana. Maggiore trasparenza sugli affidi dei minori. Puntare sul fondo e bonus per le adozioni internazionali perché per migliaia di famiglie italiane, la scelta di adottare un bambino, spesso,
La giornata del No Tax Day
si trasforma in un incubo, se non addirittura in un miraggio. Mai come oggi, infatti, l’adozione internazionale è diventata un percorso ad ostacoli, costellato da difficoltà oggettive, carenze legislative, da blocchi e revisioni improvvise. Incremento bonus asili nido. Il carico medio di una famiglia per il servizio di asilo nido è allarmante. Nel 2018 sono il 12,4 % i genitori di bambini 0-2 anni non iscritti che dichiarano di non averlo fatto per costi eccessivi. Ricordo poi che il nuovo governo, con un semplice colpo di spugna, ha cancellato il ministero della famiglia e della disabilità. La Lega lo aveva introdotto con sani principi, con un concetto chiaro e sensibile. Maggiore attenzione proprio alla disabilità. Ora la delega è in mano al Presidente del Consiglio, è chiaro però che avere un ministro che lavora a 360 gradi è tutta un’altra cosa. Prima con il Ministro Fontana e poi con il Ministro Locatelli stavamo introducendo maggiori accortezze, poi sapete com’è finita. E per quanto riguarda il Trentino e la Valsugana ovvero la vicinanza alla “sua” terra e ai suoi elettori? Sono alla Camera dei Deputati per
cercare di creare una sintonia perfetta tra la Provincia di Trento e gli organi governativi del Parlamento. Attualmente la giunta provinciale sta facendo un ottimo lavoro verso le famiglie, nel welfare, nelle infrastrutture, nel territorio, nella scuola e nel turismo. Massimo sostegno alla realizzazione della Valdastico, ricordando che a breve verrà aperto il casello di Bassano del Grappa della Pedemontana e il traffico verso nord inesorabilmente si riverserà tutto nella Valsugana. Conosco i progetti della Provincia per quanto riguarda la messa in sicurezza della ss47, in particolare nella retta di Ospedaletto. C’è poi la volontà di portare avanti l’elettrificazione della Valsugana. Importanti soluzioni che aiuteranno concretamente un territorio che per troppi anni ha aspettato, invano, risposte da parte dei precedenti governi provinciali. Abbiamo sempre creduto che la vicinanza verso i cittadini sia al primo posto nel nostro modo di fare politica ed è per questo che regolarmente siamo presenti nel territorio e nelle piazze con gazebi e incontri. “Con la gente e per la gente” è la nostra parola d’ordine e ogni giorno lavoriamo per portarla avanti.
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Storie di altri tempi di Chiara Paoli
Alexis Carrel,
un medico da Nobel
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lexis Carrel, ottiene nel 1912 il Nobel per la medicina, grazie ai suoi studi sulle suture dei vasi sanguigni, sui trapianti di organi e la coltura di tessuti e organi in vitro. Ha 35 anni e conduce una vita difficile dedicata alla scienza e all’uomo. Carrel nasce a Sainte – Foy – les – Lyon, in Francia, il 28 giugno 1873 e viene battezzato con il nome del nonno paterno, Augusto. Cresce in una famiglia cattolica e benestante, che commercia stoffe e tessuti, ma perde il padre Alexis, di cui prenderà il nome, quando ha solo 5 anni e due fratelli più piccoli. La madre lo manda a studiare dai Padri Gesuiti, dove ottiene due diplomi in 10 anni, in lettere e in scienze. Nel 1891 si iscrive alla facoltà di medicina dell’Università di Lione, dove decide all’ultimo di specializzarsi in chirurgia. Il concorso d’interno però non va bene e questo fallimento, lo spinge ad affrontare il servizio militare, che termina con un periodo da assistente medico al Frejus. Ritorna a dedicarsi alla chirurgia vascolare e ai carcinomi e con le prime pubblicazioni ottiene il prosettorato. Poco dopo la laurea nel 1902, un collega chiede ad Alexis di sostituirlo nell’accompagnare a Lourdes un pellegrinaggio di ammalati, e qui assiste alla miracolosa guarigione di Marie Bailly, malata di peritonite tubercolare, che narra in “Viaggio a Lourdes”, uscito postumo nel 1949. Segue la conversione di Alexis al cristianesimo, fede che era stata accantonata, per aderire al positivismo. L’ostilità dei colleghi
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lo induce a trasferirsi nel 1904 in Canada, dove in un allevamento porta avanti i suoi esperimenti. Trasferitosi a Chicago avvia una collaborazione con il noto chirurgo Guthrie, trampolino di lancio per New York, dove entra a far parte dello staff del nuovo Rockfeller Institute, nel reparto di chirurgia sperimentale, di cui diverrà direttore. Alexis torna spesso in Francia e nell’estate del 1910 è nuovamente a Lourdes, dove assiste ad un ulteriore miracolosa guarigione, che fa recuperare la vista ad un neonato di sei mesi, cieco dalla nascita. Qui conosce l’infermiera vedova Anne La Motte, con cui avvia una relazione e che si trasferisce in America per lavorare al suo fianco; si sposeranno a Parigi tre
anni dopo.Nel 1912 giunge il Nobel, ma nel 1914 è tempo di guerra e il medico viene richiamato alle armi per portare i soccorsi. Lascia la moglie incinta, che perderà il bambino a causa di un’infezione e deciderà quindi di affiancare il marito nell’ospedale da campo, “Ambulanza Carrel” nei pressi di Lione. La situazione peggiora e Alexis è costretto a spostarsi al fronte, ma riesce ad ottenere sovvenzioni per l’ospedale mobile dal Rockfeller Institute. Grazie alla collaborazione con il chimico Henry Drysdale Dakin, arrivano a produrre un’efficace soluzione antibatterica e acido ipocloroso, con cui salva moltissime vite. All’inzio del 1919 i Carrel riprendono la loro attività al Rockefeller Institute di New York. Provato fortemente dalla guerra, conosce l’ex gesuita Padre Cornelius Clifford, sua guida spirituale; il bisogno di tranquillità lo porta ad acquistare l’isola di Saint-Gildas in Bretagna. Continuano le ricerche, assieme al noto aviatore Charles Lindbergh, realizza una pompa di perfusione utile a nutrire i tessuti e diviene membro delle più importanti Accademie di Medicina. Scrive altri due libri: “L’uomo questo sconosciuto” e “La condotta della vita”. È nuovamente tempo di guerra ma a causa dell’età avanzata, non può più portare avanti la ricerca a New York, né andare al fronte in veste di medico. Ritornato in Europa, è testimone dell’occupazione nazista e sotto il governo di Vichy dirige la Fondazione Francese per lo Studio dei Problemi Umani, muore il 5 novembre 1944.
Storie di altri tempi di Elisa Corni
In memoria di
Giordano Bruno E
ra il 17 febbraio del 1600 quando il filosofo e scrittore Giordano Bruno morì a Roma bruciato sul rogo dall’Inquisizione. Al secolo Filippo, cambiò il nome in Giordano quando, all’età di diciassette anni entrò a far parte dell’ordine dei domenicani. Giordano Bruno (Nola 1548 - Roma 1600), filosofo italiano. Entrato a diciotto anni nell’ordine domenicano ne uscì nel 1576 perché sospettato di eresia per la negazione della dottrina trinitaria. Quell’anno a Napoli, infatti, discutendo con Agostino da Montalcino a proposito di arianesimo esprime alcune dichiarazioni eretiche. Da quel momento in poi cominciò il suo errare senza meta per l’Europa del dopo Riforma. Fu a Ginevra, Tolosa e Parigi, poi Oxford e Londra. È nella capitale d’Inghilterra che comincia a pubblicare alcuni scritti nei quali emerge la sua filosofia riconducibile al naturalismo rinascimentale. Sono i famosi Dialoghi Italiani che si affiancano alla produzione parigina di scritti mnemonici nei quali la sua filosofia prende forma. Nel pensiero e negli scritti dell’ex frate fuggiasco appare chiaro come Dio e Natura siano una cosa sola, un’unica realtà da amare alla follia, nei quali pensiero e materia si fondono inesorabilmente e indissolubilmente. L’infinità di Dio è provata dall’infinità del cosmo. E così, nella sua filosofia, l’ipotesi ultima è che Dio-Natura sia l’infinito. Più in generale la filosofia di Giordano Bruno per essere
compresa deve essere inserita nel contesto dei grandi eventi storici del suo tempo: la rivoluzione copernicana e la riforma protestante: Entrambi questi avvenimenti pongono nuovi orizzonti e nuove prospettive alla gente dell’epoca, rompendo in maniera anche molto drastica con il passato. Nonostante il pensiero del filosofo muti nel tempo, esiste un filo rosso che conduce, anno dopo anno, spostamento dopo spostamento, alla comprensione del pensiero di Bruno, ed è l’idea dell’infinità del mondo, della sua unità e animazione. Questa cosmologia antitolemaica (la Terra e l’uomo al centro dell’universo) si pone in netto contrasto con l’autoritarismo dottrinario della Chiesa.
La sua visione filosofica basata sulle scoperte scientifiche dell’epoca si traducono quindi in una nuova prospettiva attorno all’uomo e al proprio agire. Bruno afferma che l’uomo giusto deve puntare alla ricerca della verità, obbedendo solo alla razionalità: questo percorso non può che portare naturalmente alla contemplazione della natura e alla comprensione che siamo tutti natura. Né il cattolicesimo né le varie forme protestanti come il calvinismo sono in grado di accogliere un pensiero che, ancora ai giorni nostri, si rivela nella sua modernità. La rottura con le religioni dell’epoca si concretizza a Venezia. Nel 1591 Giordano torna in Italia su invito del patrizio veneziano Mocenigo che lo assume come precettore. Il rapporto tra i due, però, non va a buon fine, e il nobile lagunare denuncia il filosofo al Santo Uffizio di Roma. Le accuse erano pesanti: blasfemia, rifiuto della trinità e della transustanziazione, e altro ancora. Bruno è arrestato e condotto a Roma. Qui, nonostante una strenua difesa, nulla può contro i suoi accusatori e l’8 febbraio 1600, al cospetto dei cardinali inquisitori è costretto ad ascoltare in ginocchio la sentenza che lo scaccia dal foro ecclesiastico e lo consegna al braccio secolare. Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il crocefisso il 17 febbraio è condotto in piazza Campo dè Fiori a Roma e arso vivo. Le sue ceneri saranno gettate nel Tevere. Oggi una statua incappucciata ci ricorda questo grande, moderno pensatore.
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A parere mio di Katia Cont
Tolo Tolo Un film che fa discutere S
i può decidere di andare al cinema a guardare un film senza sapere di cosa parla, senza nemmeno aver guardato il trailer. Si può decidere di fidarsi del regista, del consiglio dell’amico che lo ha visto qualche sera prima, o più semplicemente si può scegliere di andare al cinema per lasciarsi stupire. Altri, al contrario, decidono di andare a vedere un film conoscendo il regista, gli attori, lo scenografo, il compositore delle musiche, e dopo aver visto anche il trailer, letto le recensioni e ascoltato le interviste ai protagonisti, al pubblico e ai vari opinionisti. Una sola cosa è certa nel cinema, nel teatro, nei concerti, e più in generale nello spettacolo: la soggettività dell’opinione del pubblico! L’opinione è personale, deriva da un background di situazioni, di conoscenze, troppo articolato perché sia comparabile dal pubblico “comune”. Altra cosa sono invece i giudizi degli addetti ai lavori, che in qualche modo dovrebbero avere l’oggettività di valutare gli elementi essenziali per la buona riuscita di un film: regia, drammaturgia, fotografia, musica, senza chiaramente dimenticare gli attori, protagonisti e non. Senza nessuna presunzione mi permetto di fare una riflessione sul film “Tolo Tolo” di Checco Zalone uscito nelle sale cinematografiche il primo giorni di gennaio 2020 – non tanto sulla qualità o i contenuti della pellicola, quanto piuttosto su tutto quello che ne è stato detto a riguardo prima e dopo la sua uscita. Si è criticato molto il trailer che, a
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detta di alcuni, poco aveva a che fare con il film stesso. Altrettanto è stato detto sul fatto che Zalone facesse meno ridere del solito. Ho sentito molti pareri contrastanti, alcuni non erano soddisfatti di quello che avevano visto, altri invece sì. Legittimo. Le molte critiche che ho ascoltato, però, si limitavano solamente ad un: «Non mi è piaciuto!» Ma perché, cosa non ti è piaciuto? domandavo io. Quali fra le aspettative che nutrivi sono state disattese? Ma niente, nessuno sapeva darmi una risposta valida. Mi sono fermata a pensare come mai ci fossero visioni tanto discordanti su un film che, di fatto, affrontava temi attualissimi e riportava dati e fatti reali. È vero che, forse, Zalone faceva ridere meno rispetto alle sue precedenti pellicole, ma è altrettanto vero che con “Tolo Tolo” Checco è riuscito
anche a commuovere parte del pubblico. E allora come mai aleggia quest’aura di scetticismo? Personalmente credo che “Tolo Tolo” sia un film che fa pensare. Non che gli altri film di Zalone non lo facciano, ma in questo suo ultimo lavoro ci ha obbligato a cambiare il punto di vista, ci ha reso partecipi di situazioni che difficilmente ci vedono come protagonisti. Mi chiedo se non sia semplicemente una forzata presa di coscienza che può infastidire. Una risata in meno e un pensiero in più non erano forse di buon auspicio per il nuovo anno? Può essere che le persone non abbiano voglia di mettersi in discussione, di crearsi un’opinione personale rispetto ad un argomento così delicato? Se fosse andata così, direi che questo potrebbe essere il più grande successo di questo film.
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Ieri avvenne di Elisa Corni
Febbraio 1917:
la Rivoluzione di Febbraio e il crollo della Russia
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urante il febbraio del 1917 una serie di eventi portarono all’uscita dalla Prima Guerra Mondiale di una delle potenze schierate in campo. Dopo l’offensiva che nell’estate del 1916 aveva fatto cadere in empasse il fronte orientale, l’Impero Russo patì sempre di più la carenza di cibo e dei beni di prima necessità; la situazione era molto critica soprattutto in città come Pietrogrado dove arrivavano solo 49 degli 89 carri ferroviari giornalieri di vettovaglie necessari a far sopravvivere la popolazione. Poco più della metà. Buona parte del raccolto sempre più scarso, a causa di una diffusa carestia era assegnato all’esercito, privando la popolazione di ciò che serviva per vivere. Se si considera che, proprio grazie alla guerra e all’industria bellica, la Russia era stata l’unica delle nazioni belligeranti a mostrare una crescita economica durante la guerra, con la sempre maggior urbanizzazione della popolazione attratta dai centri produttivi, si ha la formula perfetta per una crisi profonda. Il regime zarista non era più in grado di far fronte alle crescenti esigenze di una società complessa. Se a questo si aggiungono gli 8.750.000 di morti, feriti e dispersi dall’inizio del conflitto, le ragioni del malcontento sono chiare. Fu così che il 23 febbraio 1917 scoppiarono i primi disordini a Pietrogrado: migliaia di donne scesero in strada sancendo così la nascita del movimento rivoluzionario. Lo Zar autorizzò l’uso della forza, cui molti soldati risposero rifiutandosi di fare
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fuoco. Diversi edifici pubblici furono occupati da interi reparti che disertarono e contemporaneamente i bolscevichi assunsero il controllo dei lavoratori insorti e nasceva anche il Soviet di Pietrogrado, che riuniva operai e contadini. A questi si affiancarono i soldati e così le truppe filogovernative furono presto tagliate fuori dai rifornimenti di armi e di vettovaglie. Febbraio non era ancora finito, eppure gli Zar avevano perso il controllo di Pietrogrado. Dopo aver raggiunto un accordo il Soviet degli operai e dei soldati il 15 marzo fu varato un governo presieduto dal liberale Georgij E. L’vov, di cui faceva parte anche Aleksandr Fëdorovic Kerenskij, esponente dell’ala moderata del socialismo rivoluzionario. Atterrito dagli eventi lo zar abdicò quello stesso giorno: era la fine della dinastia Romanov e della Russia imperiale. Interessante notare come nonostante
alle origini della rivoluzione russa vi fosse il cattivo andamento della guerra, a crollare fu lo Stato zarista ancor prima dell’esercito. Infatti mentre all’interno del paese e nei reparti di retrovia la rivolta montava, la maggior parte dei reparti di prima linea schierati al fronte rimasero ai propri posti, con ammutinamenti, defezioni e diserzioni poco rilevanti se messe in relazione alla totalità degli uomini schierati (circa 150 mila uomini su oltre 7 milioni di soldati). La formulazione delle Tesi di Aprile e il ritorno di Lenin in Russia avrebbero dato vita ad un ben più ampio movimento rivoluzionario. In ogni caso, con gli eventi di febbraio i semi della successiva Rivoluzione d’Ottobre erano stati gettati e l’ostinazione dei governi provvisori nel proseguire una guerra impopolare e disastrosa avrebbe radicalizzato ulteriormente il nascente movimento rivoluzionario.
Storia di casa nostra di Francesca Gottardi
L’ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana
I
naugurato il 19 settembre 1882, l’ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana è stato fino a novembre 2002 destinato alla degenza di malati mentali del Trentino-Alto Adige. Negli anni il manicomio di Pergine ha segnato la storia e l’immagine della comunità locale nonché della regione. Ha alimentato stereotipi, miti, ma anche il dibattito circa l’importanza di fornire cura e assistenza alle persone affette da una malattia mentale. Il manicomio ha inoltre svolto un significativo ruolo socioeconomico, visto il gran numero di personale medico ed infermieristico che vi ha lavorato nel corso dei decenni. Il “Manicomio provinciale tirolese di Pergine” viene istituito con deliber della Dieta di Innsbruck nel 1874 per ricoverarvi i pazienti del Tirolo italiano, ovvero i trentini. Entra in funzione 8 anni dopo, ed è inizialmente amministrato dall’amministrazione della Contea principesca del Tirolo. Nel 1905 l’ospedale viene ampliato per far fronte alle crescenti richieste di ammissione. Furono così aperti due nuovi padiglioni presso il Maso San Pietro e la vicina colonia agricola di Vigalzano. I posti letto passarono da 200 a 340. Durante la prima e la seconda guerra mondiale l’ospedale psichiatrico venne adibito a ospedale militare. I pazienti psichiatrici vennero trasferiti in altri istituti, tra i quali figurano quello di Zwiefalten in Germania. Nel dopoguerra cominciarono le critiche alle strutture manicomiali. Si riteneva che gli ospedali psichiatrici non provvedessero un’adeguata terapia al paziente, ma che piuttosto avessero l’effetto di segregare il malato dalla società. Presero piede forme di assistenza psichiatrica incentrate
Manicomio provinciale Tirolese a Pergine (da architetture manicomiali - Altervista)
sulla maggiore responsabilizzazione e mobilità dei malati stessi. Nel 1978, la legge Basaglia, n. 180 del 13 maggio decretò la chiusura dei manicomi. La legge inoltre regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio, limitandolo a casi clinicamente gravi ed urgenti. A novembre 2002 avvenne la chiusura ufficiale dell’ospedale psichiatrico di Pergine tramite deliberazione del direttore generale dell’Azienda provinciale servizi sanitari n. 1314 del 29 ottobre 2002. La struttura smise quindi di ammettere nuovi pazienti, pur continuando la sua attività con quelli già ricoverati. Ad oggi rimangono attivi alcuni padiglioni. La struttura è stata poi in parte riconvertita ad edificio scolastico ed ora ospita l’istituto Marie Curie di Pergine. Malattia mentale e nazismo All’inizio del novecento si diffusero le teorie sull’igiene della razziale, volte al miglioramento della specie impedendo ad individui affetti da disabilità fisica o mentale di riprodursi. Negli anni della seconda guerra mondiale (1939-1945), molti dei pazienti dell’ospedale psichiatrico di Pergine vennero trasferiti a Zwiefalten, in Germania. Nel 1940, cominciarono a trapelare le prime notizie riguardanti il programma nazista Aktion
T4, che prevedeva l’eliminazione di disabili e malati di mente con uccisioni di massa effettuate col gas. È difficile definire esattamente quanti dei pazienti di Pergine siano stati coinvolti dal programma Aktion T4, ma la mortalità risultò essere elevata. Ida Dalser: La moglie di Mussolini internata a Pergine Ida Dalser nasce a Sopramonte nel 1880. Nel 1909, conosce Benito Mussolini a Trento. Tempo dopo i due cominciano una travagliata relazione sentimentale dalla quale nasce un figlio, Benito Albino. Il Duce si era al contempo sposato con Rachele Guidi, ed i rapporti tra la Dalser e Mussolini si erano incrinati. Nel 1918 la Dalser scrive al direttore del Corriere della Sera che Mussolini vuole disfarsi di lei, che “Mussolini ha deciso di internarmi [al manicomio di Pergine] col piccino” [il figlio Benito Albino]. Nel 1922 scatta l’ordine restrittivo nei confronti della Dalser, la quale viene successivamente internata all’ospedale psichiatrico di Pergine. A seguito di una fuga dalla struttura di Pergine, La Dalser viene trasferita a Venezia. Lì Muore per emorragia celebrale all’età di 55 anni, in circostanze sospette che alcuni ritengono siano compatibili con un “delitto di regime”.
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Conosciamo il nostro passato di Elisa Corni
Antichi insediamenti della Valsugana
L
a nostra bella valle oggi è fortemente antropizzata: guardandola dall’alto delle montagne che ne fanno da limite geografico non possiamo non notare come sia un susseguirsi di case, edifici e campi. Ormai di “naturale” poco è rimasto. Eppure qualche millennio fa le cose erano molto diverse, nonostante i primi insediamenti umani nel nostro territorio sono abbastanza antichi. Gli archeologi hanno fino a oggi individuato solo due siti certi di antico insediamento: il famoso Riparo Dalmeri e la Grotta di Ernesto. Purtroppo non è semplice stabilire se tale esiguità di testimonianze dipenda da una rara frequentazione del territorio valsuganotto da parte dei nostri antenati oppure dall’insufficiente ricerca archeologica compiuta in questa zona del Trentino da parte di studiosi e archeologi. Sostanzialmente non possiamo sapere se non c’è altro da scoprire o se non è stato cercato abbastanza. Il Riparo Dalmeri, individuato nella primavera del 1990 da Giampaolo Dalmeri sul margine della Marcesina, si trova in comune di Grigno; si tratta di un sottoroccia di epoca paleolitica frequentato stagionalmente tra i 13.200 e i 12.000 anni fa da gruppi umani, forse nomadi, che lo utilizzavano quale base per le attività di caccia in determinati e specifici periodi dell’anno. Secondo l’archeologo, infatti, a utilizzarlo furono popolazioni provenienti dall’Altipiano che scendevano di quota con la cacciagione. Lo scavo del sito ha restituito abbondanti materiali, alcuni dei quali davvero sorprendenti: resti di animali quali lo
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stambecco, il cervo, il capriolo, l’orso, la volpe e poi uccelli, fagiani, pernici e quaglie, e infine pesci come il luccio, il barbo, il cavedano e la trota; gli archeologi hanno anche trovato strumenti in selce dai grattatoi alle lame e ai raschiatoi per la lavorazione dei prodotti della caccia; e poi le armature in selce per gli strumenti di caccia e arnesi in osso sempre finalizzati all’attività venatoria. Nell’area sono stati individuati segni di una probabile struttura abitativa di impianto semicircolare. Ma, soprattutto, quasi per caso chi lavorava agli scavi ha scoperto delle particolari e singolari pietre; apparentemente facevano parte di una pavimentazione ante litteram, ma, rovesciandole, hanno scoperto che il lato rivolto verso il basso di molte di queste pietre era dipinto con ocra rossa. La particolarità del ritrovamento, come anche i soggetti ritratti alcuni dei quali astratti e simbolici, ha avuto echi internazionali. Scoperta casualmente nel 1983
Il riparo Dalmeri (da commons.wikimedia.org)
da un ragazzino di nome Ernesto, l’omonima Grotta si trova anch’essa in comune di Grigno, sul versante orientale del Colle dei Meneghini, sempre sulla Marcesina. Questa è una cavità carsica ricca di stalattiti e stalagmiti, lunga più di 60 m, all’interno della quale furono rinvenuti resti di ossa di stambecco, cervo e orso. Ma non solo: gli archeologi vi individuarono strumenti in selce microlitici per la caccia, oltre a un focolare e resti di torce. Il sito fu frequentato stagionalmente per la caccia durante il Mesolitico, circa 9000 anni fa. La Grotta di Ernesto è visitabile da giugno a ottobre; per info e prenotazioni: Gruppo Grotte di Selva di Grigno, Tel. +39 (347) 7879221 oppure +39 (339) 3350430, gruppogrotteselva@virgilio. it. Il Riparo Dalmeri, invecie, è stato danneggiato dal maltempo nell’ottobre del 2018. Per informazioni:Riparo Dalmeri. Piana di Marcesina – Grigno Tel. +39 0461 270311 museinfo@ muse.it.
Paesi e Comuni di Marco Nicolo’ Perinelli
Tenna: piccolo paese grande realtà
“P
overa Tenna, fra due laghi e senza acqua, fra due boschi e senza legna”. Malignità di vicini scomodi - per fortuna non tutti lo sono - e soprattutto un detto che chiunque può facilmente smentire. A demolire la teoria della mancanza d’alberi ci ha pensato purtroppo Vaia, la tempesta di vento che ha sradicato boschi, tanti come abbiamo potuto vedere. Per quanto riguarda l’acqua le testimonianze, anche storiche, assicurano che il contenimento e convogliamento dell’acqua sorgiva è uno dei problemi annosi delle amministrazioni comunali. Il vecchio motto diventa pericoloso solo se sono i tennarotti a credere ai maligni. La lingua collinare che separa i due laghi più belli del Trentino, condivisa con i comuni di Caldonazzo e Levico, è in realtà una terra promessa. Ce lo ricordano i tanti vagoni ferroviari inviati ad inizio Novecento in Austria per alimentare l’industria del vino. Le vecchie fotografie ci mostrano il colle di Tenna ricco di vigneti con uve bianche e rosse pregiate, muretti a secco, pruni, mele cotogne, ciliegi e castani soprattutto nelle parti elevate, dove da un po’ di anni hanno trovato fortuna anche le mele Golden e altre qualità pregiate. La coltivazione della terra è faticosa e la pendenza elevata rende poco utilizzabili i moderni mezzi tecnologici da impiegare nella semina, difesa e raccolta dei prodotti. Sia la Provincia di Trento che la Regione da qualche anno incentivano l’agricoltura collinare la cui competizione sul mercato è legata alla elevata qualità. Alcuni agricoltori storici e alcuni giovani lungimiranti, attirati da
una vita lontana dallo stress della città, ci stanno pensando seriamente. E lo stanno facendo in un’ottica nuova, con la consapevolezza che occorre reinventare anche l’imprenditoria agricola, puntando sull’innovazione e sul cambiamento. Importante per le piante e per l’uomo è poi il sole. Se i maligni possono avere accusato la collina di Tenna di mancare d’acqua, non possono che invidiare la grande ricchezza di sole. Non potendolo denigrare si limitano spesso ad invidiarlo. Il sole è fonte di luce, calore ma anche di reddito. Guardiamo al turismo locale e internazionale. La Valsugana, nella sua interezza, è un luogo dalle enormi potenzialità: laghi e montagne, ma anche un fondovalle ricco di storia e cultura, troppo a lungo dimenticate in favore di altre realtà. Oggi però le presenze superano il milione di turisti all’anno, concentrati proprio nell’area dei laghi. E Tenna ha saputo nel tempo mantenere una propria forte identità: pochi paesi possono vantare in uno spazio ridotto un negozio di alimentari, un
servizio postale, uno sportello bancario, un teatro, esercizi commerciali che offrono bar e ristorazione. Il tutto al servizio di una vivace comunità. Un nucleo abitativo antico con più di mille abitanti, dove i nuovi arrivi hanno contribuito al restauro delle vecchie abitazioni del centro. Per chi percorre gli splendidi sentieri, tra cui quelli che ripercorrono il tracciato che fu dell’antica Via Claudia Augusta, non è raro imbattersi in testimonianze di un passato importante: dalla Chiesetta di San Valentino, oggi di pertinenza di Caldonazzo, alle antiche mura del Castelliere, passando per il Forte per arrivare poi nella splendida spiaggetta affacciata sul lago, dove in un assolato pomeriggio d’estate, non è difficile immaginarsi in qualche isola del Mediterraneo. Ma il cuore di Tenna è la sua scuola, una realtà dove nuovo e antico, presente e passato s’incontrano. Come ha scritto Cesare Pavese: “Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo”. E tuo rimane se sai conservare e rinnovare.
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Feste e ricorrenze di Elisa Corni
14 febbraio San Valentino
Non solo amore S
tate correndo a comprare cioccolatini? Avete prenotato un tavolo per due al vostro ristorante preferito? Avete comprato il biglietto di auguri per il/la vostro/a Valentino/a? Beh, che lo festeggiate o che siate meno romantici, sappiate che la storia di San Valentino ha davvero poco di romantico. San Valentino è protettore degli innamorati già in epoca romana, più precisamente dal 496 d. C.. Fu proprio in quell’anno che l’allora papa Gelasio Primo volle porre fine ai lupercalia, gli antichi riti pagani dedicati al dio pagano Luperco, dio della fertilità che si collocava all’interno di quei riti pagani che il cristianesimo voleva soppiantare una volta per tutte. In particolare Luperco era celebrato il 15 febbraio con festeggiamenti sfrenati, certamente non graditi dalla morale cristiana. Pensate che il culmine della festa era il momento in cui le matrone si offrivano sulla pubblica piazza alle frustate dei giovani seguaci del fauno Luperco, che correvano nudi per la città. Papa Gelasio I decise quindi di anticipare
la festa dell’amore di un giorno e di dedicarla a San Valentino: in questo modo non si allontanava dalla tradizione - le due date erano vicine - pur discostandosene nettamente per contenuto. Ma a quale Valentino fece riferimento l’allora Papa? Esistono, infatti, molti Santi di nome Valentino, e, a parte il fatto che tutti furono martiri, non si sa molto di loro. Due sono i favoriti. Il primo, nato a Interamna (oggi Terni) nel 176, è descritto dalla letteratura religiosa come il “protettore degli epilettici e difensore delle storie d’amore”. Secondo quanto dicono i testi sacri, infatti, questi proteggeva gli innamorati, li guidava verso il matrimonio e li incoraggiava a mettere al mondo dei figli. Il secondo Valentino sarebbe invece morto a Roma il 14 febbraio del 274, decapitato. Martire cristiano, potrebbe essere stato il vescovo di Terni o un altro martire cristiano, ma non è ancora stata fatta chiarezza sulla sua identità. Quello che è certo è che questo Valentino sarebbe stato giustiziato perché aveva celebrato il
matrimonio tra una cristiana e un legionario romano pagano. Entrambi i coniugi, insieme al santo, sarebbero morti subito dopo la celebrazione del matrimonio per mano dei soldati romani, contrari ai matrimoni in un momento in cui l’imperatore li aveva vietati perché “i giovani uomini erano più utili sui campi di battaglia”. Addirittura, Valentino, sarebbe stato decapitato. Una fine decisamente poco romantica. Secondo gli studi più recenti, a dire il vero, il colpevole sarebbe molto più vicino a noi in termine di tempo. A consacrare San Valentino come patrono degli innamorati ci avrebbe pensato lo scrittore inglese Geoffrey Chaucer. Più noto per il ciclo dei Racconti di Canterbury, lo scrittore e poeta avrebbe scritto The Parliament of Fowls, (Il Parlamento degli Uccelli). Si tratta di un poema in 700 versi che associa Cupido a San Valentino, e lo avrebbe realizzato sul finire del XIV secolo in occasione delle nozze tra Riccardo II e Anna di Boemia. In ogni caso, qualunque sia la storia, non possiamo che augurarvi buon San Valentino!
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Famiglia, sport e società di Veronica Gianelo
“Ma mio figlio è più bravo”: il precario confine tra genitore e allenatore
“M
i raccomando, non dia regole a mio figlio quando viene in palestra, poverino, che le deve già seguire a scuola”, o ancora “Perché mio figlio non gioca? È più bravo dell’altro bambino”, oppure “Non serve che riprenda mia figlia se non sta attenta, è in palestra, si deve divertire”. Queste sono solo alcune delle tante frasi che chi lavora in associazioni sportive si sente dire ogni giorno da alcuni genitori che accompagnano—tante volte, diciamolo pure, scaricano—i propri figli alle attività pomeridiane e serali. Psicologi, baby-sitter, autisti, animatori: gli allenatori, secondo questi genitori, sono tante cose, ma sicuramente non degli istruttori all’altezza del loro bambino. Evitiamo generalismi: non tutti i genitori, per fortuna, sono così. Eppure, anche in altri ambiti, c’è una tendenza a proteggere e difendere il proprio bambino a spada tratta sempre e comunque. Vediamo questo fenomeno inquietante già nelle scuole, dove gli insegnanti non sono più autorevoli rappresentanti di un’istituzione essenziale per la formazione, bensì persone inadatte a prescindere. Figuriamoci quindi che rispetto bisogna portare a delle persone che, per passatempo, fanno fare sport ai bambini. Sì, perché spesso alla base c’è proprio questo tipo di ignoranza. Cosa ci vorrà mai per insegnare a un bimbo a calciare un pallone? A saltellare, a fare una capriola? Lo può fare chiunque. Così se un allenatore fa saltare un turno a un bambino che non si comporta bene, lascia in panchina un bambino che non è ancora pronto, o che quel giorno non
è pronto, se l’allenatore riprende un bambino che chiacchiera, è comunque in torto, e il genitore si sente in dovere di intervenire. Raramente si chiedono spiegazioni, il più delle volte si sentenzia l’errore dell’allenatore senza possibilità di difesa. Ancora peggio, si affrontano questi discorsi in presenza dei bambini stessi, che vivono un conflitto interno tra due figure di riferimento per lui essenziali: il genitore e l’allenatore. Quando lo sport praticato piace al bambino, quest’ultimo tende a vedere nel proprio allenatore un modello positivo di cui fidarsi. Se in questo rapporto però si intromette il genitore che parla in maniera negativa dell’allenatore, il bambino si sente confuso: a chi credere? Alla mamma o all’allenatore? Troppo spesso, tuttavia, si vedono situazioni ancora diverse: genitori che proiettano nei figli i propri sogni. Capita così di ritrovarsi in palestra bambini che praticano uno sport che arrivano a odiare, solo perché piace ai genitori. Anche in questo caso le indicazioni possono essere contrastanti, e a un allenatore che consiglia di fare uno sport che piaccia, si oppone un genitore che “so io cos’è meglio per mio figlio”. Esistono poi situazioni comuni a ogni sport, che tristemente si ripetono, e che fanno capire quanto, a volte, quell’ora in palestra sia poco considerata. Troviamo così bambini che vengono ingozzati di patatine sulla soglia della palestra e che poi “Maestra, ho mal di pancia”, genitori scocciati perché non possono assistere agli allenamenti del proprio bambino, gruppi Whatsapp intasati di lamentele e commenti sulla scarsa utilità di un tipo di allenamento,
bambine con capelli chilometrici che “Ho dimenticato l’elastico”. Gli spalti delle competizioni poi sono un mondo a parte, un piccolo teatrino tragicomico davvero preoccupante. Settori giovanili e amatoriali con genitori pronti a insultare e a insultarsi, con ansie e tensioni davvero poco adatte a un ambiente che dovrebbe prima di tutto insegnare lealtà e rispetto. Certo, lo sport può essere duro, richiede volontà a sacrificio e più si va avanti nel praticarlo più diventa impegnativo. È giusto essere rigorosi e precisi in ciò che si fa, ma è altrettanto giusto lasciare lo spazio adatto ad ogni età per un corretto sviluppo psicomotorio basato sulle attitudini di ognuno. Fare un passo indietro per farne due avanti. Bisogna scegliere con cura a chi si affidano i propri figli, questo è certo: esistono realtà poco professionali, disoneste, ma questo, si sa, succede in ogni ambito. Una volta trovato però un luogo e un gruppo bisogna rispettare i ruoli di ognuno: il genitore deve fare il genitore, l’allenatore deve fare l’allenatore, e soprattutto il bambino, perché alla fine è proprio di lui che ci si dimentica, dev’essere il soggetto principale attorno cui ruota questa complessa ma meravigliosa macchina.
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Dalla Valsugana di Patrizia Rapposelli
Dalla Valsugana al Vaticano, emozioni Trentine a Roma È noto il dono a Papa Francesco del comune di Scurelle. Il Sindaco Fulvio Ropelato con l’amministrazione comunale e una serie di volontari locali si sono adoperati per rendere vivo un simbolo culturale, artistico e sociale del Paese.
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ra il 5 dicembre 2019. In quella data ha preso vita il Presepe di Scurelle nella Città Papale. Da oltre 20 anni ha rappresentato i valori cristiani che hanno guidato la vita semplice e solidale di chi abitata in montagna e con orgoglio la sua tradizione dei primi del Novecento è stata portata fino a Roma nella Piazza di San Pietro. Noi ci siamo stati in quella Piazza, forse la più monumentale del mondo, degna cornice al maggior tempio della cristianità. Abbiamo osservato da vicino la bellezza delle statue a grandezza naturale, chiacchierato con i turisti e parlato con il direttore artistico, assieme al consiglio comunale di Scurelle e al Sindaco, coordinatore delle relazioni con il Vaticano, Lanfranco Fietta. Ci siamo immersi in un mondo di emozioni, atmosfere e sensazioni personali. “Mi sono portato a casa un’esperienza, al di là del risultato estetico, forte sul piano umano e delle relazioni con tutte le persone che hanno collaborato. Sintonia che si è venuta a creare
Papa Francesco in visita
anche con l’atteggiamento fattivo e amicale degli operatori del Vaticano.” Afferma Lanfranco. L’amministrazione comunale lo ha coinvolto per gli aspetti tecnici ed estetici, essendo particolare la collocazione. “Era inevitabile l’esigenza di adeguare l’opera alle finiture e alle strutture della Piazza.” C’è stata l’idea di portare un messaggio, ci sono state difficoltà nell’allestimento e uno studio del dettaglio. Infatti a differenza di tanti altri Presepi questo di Scurelle è stato pensato e Dir. artistico Lanfranco Fietta e Sindaco di Scurelle Fulvio Ropelato costruito da tutte le persone che lo hanno messo in scena. Ogni personaggio era comunicatore di messaggio e in egual modo l’aspetto tecnico; il direttore artistico
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ci spiega come il solo allestimento dell’illuminazione sia stato pensato come un racconto all’interno della rappresentazione. “Sono state inserite e curate ex novo 100 faretti led comandati da una centralina che illuminavano in sequenza le diverse scene. Diverse angolazioni per un effetto dinamico del Presepe. Una sequenza che portava l’occhio a sostare maggiormente davanti all’opera.” Il direttore servizio tecnico del Vaticano, molto vicino al Pontefice, Don Rafael Garcia de La Serrana Villalobos è stato poi il vero interlocutore tra i trentini e il Papa, in un rapporto amichevole si è interessato al significato di ogni singolo personaggio del Presepe,dice: ”Ritrovare l’anima di ognuno per rendere vivo il suo messaggio.” Lo ha trasmesso poi al Santo Padre accompagnato in visita. Il Pontefice riflettendo su ciò rammenta che ogni giorno nel
Dalla Valsugana
Coppia di turisti
mondo si fabbricano tante immagini violente. Il Presepe è invece un’immagine artigianale di pace e famiglia. Per questo è un Vangelo vivo e Papa Francesco ricorda che fare il Presepe è prima di tutto un modo semplice di prepararsi al Natale, richiama la vicinanza di Dio: “un amore umile disceso sull’umanità”. Ci sono scene della vita quotidiana ad indicare “una vita concreta” e quindi la realtà. “Se lui abita la nostra vita allora la vita rinasce ed è davvero Natale.” Il Papa invita quindi alla sua- NOV contemplazione, lorenzon 19.qxp_Layout 1esortando 04/02/20 08:35
a sostarci di fronte per raccogliere i pensieri ed accogliere tale vicinanza. Gli alpigiani trentini hanno raffigurato con umiltà e semplicità una vita concreta, di vicinanza a Dio per i fedeli e per i non cristiani una rappresentazione tradizionale-culturale affascinante. “Bellissimo, le persone hanno il volto di chi sta contemplando un tesoro meraviglioso” ci viene detto da una suora del Vaticano. Ed una coppia concentrata sulla didascalia in dialetto su un leggio vicino all’opera era curiosa di comprendere le singole parole ed osservare quei volti, a detta loro, così reali nell’espressione. Riuscire ad avvicinarsi non è stato facile, la folla sembrava non finire mai e ciò che in quello spazio traspariva era l’emozione. Un’atmosfera particolare data dalla condivisione Pagina 1
della gente di quel momento fatto di fotografie, domande e silenzio riflessivo. Non ne restano che belle parole per il Presepe di Scurelle e a detta di chi ha lavorato un bagaglio personale ed emozione. “Insieme siamo riusciti a vivere l’espressione e lo spirito tipico del Natale.” Lanfranco con soddisfazione ci lascia con le voci sentite in quella Piazza: ”I Trentini si sono dimostrati veloci e organizzati come non mai.” La folla
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I
n Trentino è nato il Team del Cuore, un’equipe mista di medici specialisti (cardiologi e cardiochirurghi) per la cura del nostro unico e fantastico motore. Un team dalle indiscusse capacità che in settembre 2019 ha effettuato due nuovi interventi per la risoluzione della fibrillazione atriale, problema che affligge il 2 per cento della popolazione (si tratta dell’aritmia cardiaca più frequente) con una prevalenza nella fascia di età superiore ai 55 anni. Una nuova metodologia, quella di Trento, attualmente praticata solo in tre centri europei: Bruxelles, Maastricht e Amsterdam e che ha preceduto centri più grandi e più importanti nel panorama nazionale. Una particolare terapia e una innovazione tecnologica che permette all’ospedale di Trento di essere all’avanguardia per metodologia, competenze, professionalità e risultati. Un vero grande passo in avanti per
una nuova frontiera cardiochirurgica che è stato notato, apprezzato e condiviso da Mark La Meir, inventore di questa tecnica e massimo esperto mondiale nel trattamento per le aritmie, che è venuto nel capoluogo non solo per conoscere il team, ma anche per assistere a un intervento. Per la cronaca, la squadra trentina, per tutti “Heart team”, è stata invitata a parlare per la prima volta al congresso mondiale a Parigi. I nostri cardiologi e cardiochirurghi hanno aperto, quindi, un nuovo capitolo e una nuova terapia che indiscutibilmente offre e garantisce maggiori risultati nel trattamento della fibrillazione atriale e che aumenta i successi dal 30% al 90%. Una sinergia e un approccio multidisciplinare, quello del “team del cuore” che unisce, in unico corpo, le esperienze, le capacità, e la professionalità dei diversi medici che quotidianamente si impegnano per migliorare la qualità e la prospet-
tiva di vita di tante persone. Sempre per la cronaca è utile ricordare che già due anni fa, il “team del cuore” aveva stabilito un vero primato italiano che dava certezza e speranza ai pazienti, affetti da fibrillazione atriale, che per tanti motivi non potevano assumere farmaci anticoagulanti. Per tutto questo e per dare il giusto e meritato riconoscimento, abbiamo realizzato lo “Speciale cuore” e approfondito il tema con le interviste al dott. Angelo Graffigna direttore della U.O. cardiochirurgia dell’Ospedale Santa Chiara di Trento e al dott. Roberto Bonmassari, direttore della S.C. di Cardiologia sempre del Santa Chiara.
Un particolare ringraziamento al dott. Giovanni D’Onghia (cardiologo al Santa Chiara) per la preziosa collaborazione.
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Speciale “Cuore”
di Chiara Paoli
Quando nasce la
cardiochirurgia P
are che le prime operazioni al cuore possano farsi risalire al XVI secolo ed in particolare alla figura di Ambroise Paré, che dovette curare i molteplici feriti dopo l’accerchiamento del castello di Avigliana. In questa occasione ebbe modo di sperimentare una nuova tecnica che prevedeva di stringere le vene sanguinanti, anziché utilizzare l’olio bollente, prima di applicare il rimedio necessario alla guarigione. In questo modo osservò che i pazienti guarivano più velocemente ed il loro stato di salute era visibilmente migliore rispetto a chi subiva la cauterizzazione con olio caldo. Eppure c’era già chi nel IV secolo aveva individuato una modalità simile e molto valida per intervenire sugli aneurismi, si tratta del medico greco Antillo, che aveva sperimentato la legatura dell’arteria ai lati dell’aneurisma, per consentire così lo svuotamento di esso, senza estirparlo. Altro illustre precursore della chirurgia fu lo scozzese John Hunter, che operò nella seconda metà del ‘700 e per primo scoprì il principio della circolazione collaterale, tramite un test effettuato sui palchi dei cervi del Richmond Park di Londra e attraverso questa nuova conoscenza riescì a trattare e curare gli aneurismi. Tra i suoi studenti si annovera Astley Cooper, anticipatore dei tempi, che contribuì in maniera sostanziale al perfezionamento Antonio Parrozzani della chirurgia vasco-
lare, riuscendo nel 1817 ad effettuare la legatura dell’aorta in un paziente con aneurisma dell’arteria ipogastrica. La prima vera e propria operazione al cuore della storia venne portata a termine il 4 settembre 1895 in Norvegia, nell’ospedale di Oslo, dal cardiochirurgo Axel Cappelen che ricucì una lesione al ventricolo destro di un paziente ventiquattrenne, purtroppo il giovane spirò poco dopo l’intervento a causa di un’infezione. Perciò si considera il 9 settembre 1896, quale data di nascita della disciplina, grazie all’intervento del professor Ludwig Rehn che sottopose un giovane, profondamente lacerato al petto a un intervento d’urgenza. Il chirurgo praticò un’incisione nella parete toracica, evidenziando il pericardio e ricucendo la ferita con tre punti di sutura, fermando così l’abbondante sanguinamento; richiuse quindi la fenditura aperta nell’organismo, consentendo al ragazzo di ritornare alla quotidianità, dopo un intervallo di tempo dedicato al recupero. La prima operazione cardiaca in Italia, venne praticata dal chirurgo romano Antonio Parrozzani nella notte tra il
James Bertrand - Ambroise Paré
18 e 19 aprile del 1897, sul facchino Adolfo Barboni, operato presso l’ospedale di Santa Maria della Consolazione a Roma. L’uomo era stato ferito all’uscita dell’osteria intorno alle 23, con tre coltellate ed aveva cercato di inseguire il proprio aggressore, accasciandosi a poca distanza e venendo trasportato al nosocomio alle 5 del mattino in pessime condizioni. Parozzani diagnosticò immediatamente un’emorragia interna e nelle sue memorie scriveva: «Ritenni urgente l’intervento chirurgico quantunque i colleghi fossero di opinione che il paziente non vivesse sino alla fine dell’operazione e perciò mi sconsigliassero dall’operare». Il paziente venne posizionato sul tavolo operatorio, con due robusti infermieri che lo trattenevano in assenza di anestesia venne aperta la gabbia toracica troncando quattro costole aprendo un varco tenuto aperto dall’assistente, il dottor Galli. Il ventricolo sinistro del cuore sanguinava copiosamente e venne quindi ricucito grazie ad un ago ricurvo con filo di seta. Nel giro di due mesi l’uomo aveva recuperato le forze ed era ritornato al proprio lavoro.
John Hunter (da La Storia della Medicina)
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Speciale “Cuore”
di Chiara Paoli
La moderna
cardiochirurgia L
a prima operazione chirurgica sull’aorta completamente riuscita, viene effettuata nel 1925 dal professore statunitense Rudolph Matas (1860-1957). Il chirurgo tra il 1888 ed il 1940, aveva eseguito 620 interventi vascolari, 101 dei quali sono tentativi di ricostruzione delle arterie e per la maggior parte legature. Matas è inoltre l’autore del capitolo dedicato alla chirurgia vascolare, all’interno del V volume “Keen’s System of Surgery” del neurochirurgo William Williams Keen, edito nel 1909. Anche per questo motivo William Osler definì Matas “il padre della chirurgia vascolare”.
Rudolph Matas
La chirurgia moderna prende avvio con l’invenzione della macchina cuore-polmone, che permette di isolare il muscolo cardiaco nel corso delle operazioni più complesse. John Heysham Gibbon Junior è noto nell’ambito medico per aver
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inventato nel febbraio del 1931 la macchina cuore-polmone dopo una notte passata al capezzale di una paziente, e per aver praticato la prima operazione a cuore aperto. «Durante le diciassette ore in cui fui al fianco della paziente, continuava a venirmi in mente che il suo stato estremamente precario sarebbe molto migliorato se il sangue non ossigenato nelle sue vene fosse stato dirottato in un’apparecchiatura che gli permettesse di assorbire ossigeno e cedere anidride carbonica, per poi essere di nuovo pompato nella circolazione arteriosa» Dopo la guerra Gibbon si impegna a potenziare il suo strumento per permettere ai pazienti una sopravvivenza a lungo e riesce a dimostrare il potenziale del suo macchinario, realizzato con l’aiuto della moglie. Nel 1953 descrisse 4 casi di pazienti operati con l’aiuto della macchina cuore-polmone, ma i risultati erano scoraggianti, 3 dei 4 pazienti, morirono a causa di complicazioni e lui decise di desistere. Saranno i giovani John Webster Kirklin e Richard Jones, entrambi della Mayo Clinic a Rochester nel Minnesota, a migliorare l’ossigenatore di Gibbon, realizzando la macchina cuore-polmone di Mayo-Gibbon. La mortalità si ridusse così al 30% e negli anni a seguire venne sviluppato un modello più sofisticato del macchinario, prodotto grazie al sostegno economico e tecnologico di Thomas J. Watson, fondatore dell’IBM. Gibbon esegue il primo bypass cardiaco in data 6 maggio 1953, fermando per 26 minuti il cuore e i polmoni di Cecelia Bavolek, diciottenne vittima di una
grave malformazione, dandole così una nuova vita. Il 3 dicembre 1967, all’ospedale Groote Schuure a Cape Town, in Sud Africa, Christian Barnard effettua il primo trapianto di cuore su un essere umano. Un avvenimento eccezionale che suscita entusiasmo dando il via a numerosi programmi di trapianto che però vengono sospesi quando ci si rende conto che i pazienti morivano a distanza di pochi mesi a causa del rigetto. Norman Shumway della Stanford University in California, decide di dedicare i suoi studi all’elaborazione di una valida terapia utile a tenere sotto controllo il problema del rigetto, consentendo di ottenere ottimi risultati post operatori.
Christian Barnard (da Città della Salute - Roma)
Nel dopoguerra tra i protagonisti della cardiochirurgia vi è lo statunitense Denton Cooley, celebre per aver compiuto il primo impianto di cuore un essere umano, effettuato il 4 aprile 1969 a Houston. Ciò avvenne anche grazie all’importante contributo di Michael Ellis DeBakey, colui che a soli 23 anni aveva ideato, la pompa peristaltica, che solo 20 anni dopo, viene identificata quale componente fondamentale della macchina cuore-polmone, che in breve tempo
Speciale “Cuore” si diffonderà in tutti gli States e in Europa. «Essere compassionevole, preoccuparsi dei propri compagni, fare tutto il possibile per aiutare la gente; questo è il tipo di religione che seguo» queste le parole di DeBakey che diviene uno dei più competenti specialisti di aneurismi al mondo. Il macchinario di DeBakey fornisce un flusso ininterrotto di sangue nel corso degli interventi chirurgici, permettendo le operazioni “a cuore aperto”. DeBakey nella sua carriera ha operato presso il Methodist Hospital di Houston in Texas; nel 1950 per la prima volta esegue la rimozione di un blocco dall’arteria coronaria ed è tra i primi chirurghi a effettuare interventi di bypass sull’arteria coronarica
nel 1964. Una strada in salita, con successi alterni, che dopo due tentativi falliti porta al primo caso di paziente con pompa cardiaca esterna, Esperanza De Valle Velasquez, operata il 10 agosto 1966, per aiutare nella quotidianità il suo cuore malato, il macchinario svolge il 50% del lavoro. Il suo innovativo approccio prevede la sostituzione del tratto malato con uno sano e considerata la necessità di “pezzi di ricambio”, costituisce la “Vascular Bank”, prima banca di vasi sanguigni realizzati in Dacron, materiale di recente scoperta e testato per non causare il “rigetto” degli innesti da parte dell’organismo. I suoi innesti artificiali aiuteranno moltissimi malati di tutto il pianeta a ritrovare la salute.
Michael DeBakey
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Speciale “Cuore”
di Armando Munao’
Cura della fibrillazione atriale Trento è un’eccellenza europea Intervista al dottor Angelo Graffigna, direttore della U.O. cardiochirurgia dell’Ospedale Santa Chiara di Trento. Dott. Graffigna, in questo momento, grazie ad un particolare intervento la cardiochirurgia e la cardiologia del Santa Chiara sono considerate delle eccellenze alla pari di Bruxelles, Maastricht e Amsterdam. Di cosa si tratta? L’intervento in questione si chiama Maze e nello specifico riguarda la fibrillazione atriale che normalmente viene trattata con dei cateteri dedicati. Purtroppo questa aritmia può recidivare e pertanto i pazienti trattati sono costretti a rifare altre procedure oppure possono essere sottoposti a questo trattamento chirurgico, meno invasivo, che viene effettuato mediante telecamere ovvero in toracoscopia, Ciò permette di lasciare cicatrici molto limitate sul corpo del paziente e quindi impattare in maniera molto leggera sulla loro condizione. L’intervento ha una percentuale di successo che può arrivare fino all’80-90%. Quindi una maggiore possibilità di guarigione e il non uso di farmaci particolari? Questo tipo di tecnica chirurgica in generale viene associata ad un’altra procedura che stiamo sviluppando praticamente soltanto noi in Italia e che si chiama chiusura dell’auricola sinistra, sempre per via toracoscopica. Così facendo i pazienti non solo possono recuperare il ritmo sinusale, ma sono anche al sicuro dal rischio di embolia arteriosa e pertanto possono
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Dottor Angelo Graffigna
sospendere i farmaci antiaritmici o quelli anticoagulanti. Come sta in salute la nostra sanità con particolare riferimento alla cardiologia e cardiochirurgia? La cardiochirurgia di Trento è stata sviluppata nel 1997 e da allora abbiamo trattato circa 8500 pazienti. Tra questi anche pazienti che provengono dall’Alto Adige e da altre regioni (Lombardia e Veneto). Questo ci pone ai primi posti della sanità italiana. Sappiamo che le patologie cardiache sono la prima causa di morte non solo nel nostro paese ma anche a livello mondiale. A suo avviso cosa si può fare per migliorare questa drammatica situazione? Le cardiopatie possono avere diverse
e molteplici origini. In generale si può dire che la malattia aterosclerotica, che è la più frequente che colpisce l’apparato cardiovascolare, risente moltissimo e spesso delle nostre cattive abitudini di vita quotidiana, quali il fumo, la mancanza di attività fisica, ma soprattutto la cattiva alimentazione. Lei ha parlato di alimentazione e fumo. In che termini quantitativi possono incidere per dare origina a una cardiopatia? Entrambi agiscono in maniera eccezionale. Il fumo che ha il potere di infiammare tutto il rivestimento interno non solo dei polmoni ma anche delle arterie e delle vene e quindi la possibilità di formare placche arteriosclerotiche e successivamente dei trombi.
Speciale “Cuore” Per l’alimentazione bisogna stare attenti ai grassi, carboidrati e alcool. Il fumo va eliminato completamente. Riguardo al cibo, oltre alla qualità è molto importante la quantità. Dr. Graffigna, ci risulta che circa 2 anni fa il Santa Chiara e nello specifico la cardiologia e la cardiochirurgia avevano stabilito un primato in Italia e rivolto ai pazienti soggetti a fibrillazione atriale che non potevano assumere farmaci anticoagulanti. È esatta questa affermazione? Si, è esatta. Siamo l’unico centro in Italia che effettua la tecnica che consiste nel posizionare una specie di molletta, una clip, sull’auricola sinistra che è la fonte, nel 90% dei casi di embolia. Ci sono pazienti con fibrillazione atriale che debbono quotidianamente assumere anticoagulanti orali. Può succedere che in alcuni pazienti si possano determinare complicazioni quali emorragie digestive o emorragie di diverso tipo comprese quelle
celebrali. In questi casi è necessario sospendere gli anticoagulanti e quindi si ritorna al rischio di embolie. Purtroppo questi pazienti, non hanno via di scampo se non sottoposti a questa particolare tecnica. C’è qualcosa di necessario da fare per migliorare la cardiochirurgia del Santa Chiara? Queste particolari tecniche richiedono un lavoro di equipe formata da cardiologi, cardiochirurghi e chirurghi vascolari. Questo rende necessario, direi indispensabile, la creazione e lo sviluppo di una struttura che si chiama “sala ibrida” che è una vera sala operatoria con la possibilità di effettuare tutta una serie di studi radiologici che normalmente non è possibile fare nelle normali sale operatorie. Al contempo è possibile effettuare studi di elettrofisiologia di morfologia del cuore e soprattutto radiologici che permettono di risolvere in maniera meno invasiva i possibili problemi clinici che fino
adesso richiedevano grosse procedure. E mi creda ne abbiamo profonda necessità per dare le migliori risposte ai nostri pazienti.
ARITMIA CARDIACA
più comune causa un battito irregolare. La forma che iaco card o ritm del e zion ltera ’aritmia cardiaca è un’a ttro cavità cardiache) dove ina nell’atrio di sinistra (una delle qua orig che le atria ione illaz fibr la è ia incidenza di di aritm za (circa 300/500 battiti al minuto). L’ uen freq a sim altis ad e olar irreg ione provoca una contraz iungendo il 6% nelle persoall’1%, ma aumenta fino al 6-7%, ragg rno into ira agg si ione olaz pop a nell sta aritmia
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que ne con più di 60 anni. ) o persistente (episodi pro(brevi episodi che si risolvono da soli tica ssis paro , po) tem nel bile (sta ica ure avvertita Può essere cron L’aritmia può essere non percepita opp ti). rrot inte re esse per dico me nto lungati, che richiedono l’interve temibile di questa aritmia è la dolore toracico. La complicanza più e iro resp di za can man , ioni itaz palp sotto forma di stra. mbi) all’interno della cavità atriale sini i formazione di coaguli di sangue (tro sando l’occlusione acuta di vasi arterios cau olo rovvisamente in circ imp rano ent ed o can stac si olo bi circ trom Sovente questi . L’improvvisa interruzione del vello, cuore, intestino, reni, milza e arti) (cer ani org i eros num ano ent alim che us celebrale, l’infarto mioorto di ossigeno) che può causare: l’ict app cato man ( ia em isch di one dizi provoca una con la milza) e degli arti. cardico, intestinale, renale, splenico (del diagnosi viene fatta mentre basta controllare il polso. Talvolta la le: faci i assa è olta talv mia ’arit dell o o di riconoscere Il riconosciment nti con dei software dedicati in grad me stru no usa si se nte me cial spe a si misura la pressione arterios unque l’esecuzione di un clinico, è indispensabile sempre e com etto sosp del a ferm con la per , caso i l’aritmia. In ogn elettrocardiogramma.
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Speciale “Cuore”
di Armando Munao’
Se il cuore soffre attenti ai sintomi Intervista al dottor Roberto Bonmassari, direttore della S.C. di Cardiologia dell’ Ospedale Santa Chiara di Trento. Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte non solo in Italia ma anche a livello globale. A cosa è dovuto? Fondamentalmente le cause sono due e di rilevante importanza: l’allungamento della vita media e le quotidiane abitudini, specialmente nei paesi occidentali. Per quanto riguarda l’allungamento della vita, sappiamo che oggi in Italia, mediamente, sia uomini che donne, vivono più di 80 anni per cui si ha un incremento significativo delle condizioni che predispongono alla malattia . E i fattori ereditari sono aggravanti o condizionanti per l’insorgere di malattie cardiovascolari? Sicuramente ci sono molti fattori che sono legati alla ereditarietà. È ormai accertato che fattori genetici o poligenici possono maggiormente predisporre allo sviluppo della malattia cardiaca e quindi alcuni soggetti sono più predisposti rispetto ad altri. Oltre a questi fattori, quali altri, possono fare aumentare il rischio di contrarre malattie cardiovascolari? Le abitudini di vita, il fumo, l’alcool, la non corretta alimentazione, la poca attività fisica, lo stress, l’assunzione di farmaci quando non necessari. Sono cause che possono e devono essere combattute. È esatto affermare che un paziente che ha avuto un infarto o una vera problematica cardiaca diventa un paziente cronico e
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Dottor Roberto Bonmassari
come tale deve essere trattato? È assolutamente corretto quello che lei dice. La cardiopatia ischemica è una malattia che può essere curata molto bene, purtroppo è una malattia cronica dalla quale non si guarisce, ma si può tenere benissimo sotto controllo. Dott. Bonmassari, ci sono malattie o particolari sintomi che permettono di diagnosticare in tempo una seria problematica cardiaca? Certo, spesso le cardiopatie danno avvisaglie, ma è necessario imparare ad ascoltarsi e a conoscersi, ma soprattutto a non sottovalutare mai un sintomo. Per esempio l’improvviso dolore toracico, il male al braccio sinistro, oppure mancanza di fiato, la sensazione di un battito irregolare che si manifesta per più volte, o anche uno svenimento non motivato e improv-
viso. Sono sintomi che necessitano di approfondimenti clinici. È buona regola interpellare prontamente il proprio medico oppure rivolgersi al 112 o al centro più vicino, in particolare in caso di forte e improvviso dolore toracico. È d’accordo sul principio fondamentale che è meglio prevenire che curare? E, a Suo avviso, è possibile creare una campagna di prevenzione cardiaca come si fa con i tumori al colon, alla prostata, al seno? Questa è una domanda che mi sta particolarmente a cuore e La ringrazio. Le nostre società scientifiche e in particolare l’Associazione Nazionale dei medici cardiaci ospedalieri e la Fondazione per il cuore, da anni creano delle campagne di sensibilizzazione che, purtroppo, hanno una risonanza minore rispetto alle campa-
Speciale “Cuore” gne che lei ha citato e che nello specifico riguardano il campo oncologico. Una di questa campagne, “La settimana del cuore” sarà attivata proprio adesso, in febbraio e anche noi, come cardiologia e carGli ambulatori diochirurgia della nostra provincia parteciperemo a questa importante campagna facendo degli incontri orientati alla popolazione e alle associazioni. Cercheremo di coinvolgere nel nostro ambito anche i cardiopatici parlando e informando la popolazione dei progressi e i cambiamenti migliorativi che sono stati fatti nella cura del cuore e di quelle che sono le regole base da rispettare per ridurre il rischio di essere colpiti da cardiopatie. Dott. Bonmassari, in questi ultimi anni sono stati fatti significativi
progressi nel campo della cardiologia, della medicina specifica e della strumentazione. Ci può specificare meglio? Grazie per questa domanda che mi permette di presentare una nuova procedura che è stata introdotta nel nostro centro cardiologico del Santa Chiara negli ultimi mesi del 2019. È una procedura di cardiologia interventistica strutturale che attraverso l’introduzione di un particolare catetere ci permette di andare a riparare,
almeno parzialmente, la funzione di una valvola, la valvola mitrale. Questa può funzionare male e quindi il sangue rifluisce dove non dovrebbe. In questa situazione, fino a poco tempo fa, quello che si poteva fare era affidarsi alla mani del cardiochirurgo che doveva programmare un intervento specifico a torace aperto. Purtroppo ci sono tantissimi pazienti che questo intervento non lo possono tollerare e quindi, già da diversi anni, è stata realizzata una particolare tecnica che attraverso un catetere, che non è affatto invasivo, ci permette di posizionare una piccolissima molletta e quindi ridurre questa disfunzione valvolare. È una tecnica molto delicata avviata come dicevo verso la fine dell’anno e mi creda siamo molto contenti dei risultati ottenuti nei nostri pazienti.
INFARTO CARDIACO
iaco) per una improvvisa interru(morte di una parte del muscolo card rosi nec la nde inte si iaco card rto er infa zione del flusso sanguigno (ischemia). tringimento) delle arterie che occlusione o da una stenosi critica (res una da sato cau è cit defi sto que to Di soli si, una malattia dopatologia è causata dalla aterosclero a issim grav sta que di sa cau la nte portano il sangue. Normalme pareti delle arterie coronarie. e che porta alla vuta all’accumulo di grasso lungo le scando un processo di coagulazion inne o pon rom si e) cch (pla uli um acc In alcune circostanza questi so sanguigno, se non ripristinte la coronaria. L’ interruzione del flus ame plet com lude occ che bo trom un arto. In Italia, ogni formazione di ata dalla coronaria occlusa. Da qui l’inf ent alim re cuo del te par lla que di rte nato in tempo, causa la mo pre nel nostro paese la mortalità cui una grandissima parte letali. E sem di rti infa di casi mila 130 e oltr no la prevenzione, anni, si verifica liori diagnosi, sia per le terapie e sia per mig le per sia , una fort Per . 12% il a per attacco di cuore è di circ e potrà essere dimezzata. secondo gli esperti, questa percentual I sintomi più comuni dell’infarto sono: sazione di costrizione, come una ro lo sterno che da origine ad una sen diet e to pet del tro cen al iso rovv e anche quando 1) Dolore imp braccia ed è quasi sempre prolungato le e lle spa le a, cell mas la ere volg morsa. Il dolore può coin te che il soggetto non aveva mai ad una sensazione di morte imminen na pag om acc si o ent viol e ent larm non partico avvertito prima. fredda. 2) Stordimento, capogiro e sudorazione re irregolare. 3) Mancanza di respiro e battito del cuo , nelle donne e nei diabetici, il letale. Talvolta, soprattutto negli anziani ia aritm una con e rdir eso può arto Purtroppo l’inf dolore non è avvertito. tività dell’intervento (il tempo è a cura e terapia dell’infarto è la tempes prim e com che ere sap da a sim ntis e URGENTEMENCosa importa to accesso ai servizio medico, chiamar edia imm ha si non se e i om sint sti miocardio). In presenza di que vicino ospedale. TE il 112 e farsi accompagnare al più
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Speciale “Cuore”
di Chiara Paoli
Come nascono le
banche del sangue F
ondamentale per lo sviluppo della cardiochirurgia e per salvare milioni di pazienti è l’individuazione dei gruppi sanguigni, frutto degli studi di Karl Landsteiner, patologo nato a Vienna e Premio Nobel per la medicina del 1930. Si rivela l’importanza della compatibilità fra donatore e ricevente, che devono avere lo stesso gruppo sanguigno, affinché la trasfusione possa apportare i benefici sperati. Landsteiner scoprì anche il donatore universale, il gruppo 0 può infatti essere trasfuso a chiunque ne abbia bisogno, eppure in occasione degli esperimenti si osservarono ancora casi di complicazioni. Nel 1902 due suoi colleghi, Alfred von Decastello e Adriano Sturli, individuarono il quarto gruppo sanguigno AB, favorendo la comprensione del fattore compatibilità. Nel 1907 venne effettuata da Reuben Ottenberg con esito positivo la prima trasfusione, secondo le indicazioni di Landsteiner, all’interno del Mount Sinai Hospital di New York. Le trasfusioni venivano effettuate da due secoli e mezzo, eppure le reazioni all’immissione di nuovo sangue erano frequenti e spesso mortali. Forte impulso alla diffusione e al miglioramento delle trasfusioni, diede l’intuizione dei medici Albert Houstin, Peyton Rous e J.R. Turner, che riuscirono ad elaborare un’efficace metodo di conservazione a lungo termine del sangue. La soluzione di citrato di sodio e glucosio individuata, si rivela efficace non solo nella conservazione ma anche per le proprietà anticoagulanti che evitano
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Karl Landsteiner
la formazione di coaguli. Queste novità si rivelarono fondamentali per il medico statunitense, Robertson che nel corso del primo conflitto mondiale si servì di sangue del gruppo zero per intervenire sui feriti. Per il trasporto del liquido vitale, nell’ospedale da campo, realizzò un contenitore refrigerato riutilizzando alcune casse di munizioni, salvando così molte vite e guadagnandosi il titolo di “padre delle banche di sangue”. Anche in Unione Sovietica, grazie all’operato di Alexander Bogdanov, si procede nello studio dei gruppi sanguigni e nel 1925 viene istituita a Mosca la prima accademia consacrata allo studio delle trasfusioni di sangue. Lo stesso studioso sovietico nella sua esistenza si era praticato ben 11 trasfusioni sanguigne, fino alla morte sopraggiunta nel 1928. La prima banca del sangue apre i battenti a Chicago nel Cook County
Hospital, il 15 marzo 1937 grazie a Bernard Fantus, qui il sangue dei donatori viene conservato per un tempo massimo di 10 giorni, grazie all’addizione dell’anticoagulante e ad una temperatura di 4 gradi centigradi. Le banche del sangue in breve tempo si diffondono in tutti gli Stati Uniti d’America, ma anche in Unione Sovietica e Gran Bretagna. Soltanto nel 1940 Landsteiner, assieme all’immunologo Alexander Wiener, individuò un antigene il fattore sanguigno Rh o Rhesus, presente anche nel sangue umano e modificato rispetto ai nostri progenitori, le scimmie. A dieci anni di distanza Carl Walter e Wp Murphy Jr. propongono l’uso del sacchetto plastico per rimpiazzare le bottiglie in vetro e nel 1963 il chirurgo americano Charles E. Huggins trova un espediente per surgelare il sangue a tempo indefinito, inserendo glicerolo che consente di non deteriorare i globuli rossi. Nel 1979 si diffonde l’uso del conservante e anticoagulante CPDA-1, che permette un periodo di conservazione ulteriormente prolungato all’interno delle banche del sangue che permette annualmente la raccolta di circa 15 milioni di unità di sangue trasfuse.
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In ricordo di un artista di Elisa Corni
Fabrizio De Andrè (Faber) 80 anni dalla nascita
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oeta, cantautore, sognatore, di buona famiglia, scapestrato, fuori dal comune, forte bevitore, padre, amico… fragile. Fabrizio De Andrè è stato e ancora è, una figura unica nel panorama musicale italiano. Nessun genere è in grado di definire - o meglio imbrigliare - appieno la sua musica, sempre che di musica si tratti; canzoniere e poeta, irriverente osservatore della fragile e complessa realtà solo lui era in grado, con parole tanto dure e oneste, di offrire una descrizione così aderente dei fenomeni umani. O lo si ama, o lo si odia, ma tutti nella vita abbiamo canticchiato almeno una volta “Via del Campo” o “Bocca di Rosa”. Raccontare la vita e l’arte di De Andrè non è impresa facile. La sua figura, la sua vita, il suo carattere tendono inesorabilmente a sgusciare via, sfuggire alle definizioni, rifuggire gli aggettivi; solo lui sapeva trovare le parole giuste, l’ordine perfetto, lo stile adatto. E allora solo i fatti possono restituirci un ritratto di questo grande cantautore attivo tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta. Nasce il 18 febbraio 1940 a Genova, nel quartiere di Pegli da Giuseppe, uomo di origini modeste ma che era riuscito a costruire un piccolo impero, e da Luigia, figlia di viticoltori. Fin dalla prima infanzia vive in un ambiente costruttivo: il padre è ad esempio ricercato da fascisti per aver protet-
to gli studenti ebrei iscritti al suo istituto. Il suo comportamento fuori dagli schemi, in grado di dare alla sua musica quel quid in più, gli creò problemi fin da giovane; tormentato e inquieto, come lo definisce il suo caro amico Paolo Villaggio, Faber non
riesce a essere ridotto all’interno di categorie, comportamenti e schemi. Ma è l’incontro con la musica dello chansonnier francese Georges Brassens che permette a Fabrizio di trovare la creatività necessaria per trasformare il tormento in qualcosa di unico e ancora oggi insuperato. Tra anarchia, pacifismo, letture libertarie e musica francese nel corso degli anni Cinquanta Fabrizio diventa Faber
e inizia a scrivere musica. Nel 1960 è autore di quella che lui definisce la sua prima canzone: La ballata di Miché. Da lì sarà un continuo scrivere, produrre, suonare, cantare, registrare. Nella sua lunga carriera di canzoniere e cantautore fabrizio De André pubblica quattordici album in studio oltre a numerose antologie e registrazioni “live”. Molti dei suoi testi, già negli anni Settanta, sono inserite nelle antologie scolastiche e sono oggetto di studio nelle scuole di tutta Italia. I testi così creativi, unici, a cavallo tra antico e moderno non smettono mai di stupire; al contempo Faber è il primo autore a dare spazio agli emarginati, ai reietti, ai diseredati, ai rifiutati dalla società. Diceva di lui la grande Fiorella Mannoia:“Mi ha mostrato l’altra faccia della medaglia che io non conoscevo. Con lui ho scoperto che esistevano i diseredati, gli esclusi, la droga e le prostitute. Tutto quello che c’è dall’altra parte della luna”. Lei e altri grandi autori e musicisti del panorama italiano degli anni Novanta si sono riuniti dopo la morte di Fabrizio, avvenuta nel 1999 a causa di un carcinoma polmonare, il 12 marzo del 2000 al Teatro Carlo Felice di Genova. Hanno cantato le sue canzoni, reinterpretandole e dando loro un’interpretazione personale e unica, riportando Fabrizio tra noi per qualche ora…
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I DENART... E LA TRADIZIONE CONTINUA
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Attori di casa nostra di Adelina Valcanover
Maurizio Nichetti Nostra intervista esclusiva
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ttore, sceneggiatore, regista e produttore cinematografico, nato a Milano, dopo il liceo scientifico si laurea in architettura nel 1975. E durante gli studi inizia a muovere i primi passi nel mondo dello spettacolo. Dopo l’esperienza di mimo al Piccolo Teatro di Milano ha scritto e realizzato cartoni animati per Bruno Bozzetto con cui ha lavorato per più di otto anni. Fonda il gruppo teatrale “Quelli di Grock” in cui perfeziona la caratteristica mimica surreale che caratterizzerà la sua carriera artistica. Poi l’avventura e il successo nel cinema, il teatro, la televisione. Nel 1979 il suo primo film, “Rataplan”, che ottiene un grandissimo successo anche a livello internazionale grazie al quale inizia la sua carriera di attore-regista. Molti lo hanno definito il Woody Allen italiano. Altri successi con “Ho fatto spalsh (1980)”, “Ladri di saponette (1989)”, “Volere e volare ( 1991). Nel 1984 recita con Sordi e Ugo Tognazzi ed è stato uno dei protagonisti di “Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno” del grande Monicelli. Nel 1991 riceve il premio Davide di Donatello per la migliore sceneggiatura. Nel 1998 è stato membro della giuria del Festival Internazionale del Cinema di Berlino e nel 1999 di quelle del Festival di Cannes. Dal 2004 al 2010 ha diretto il Festival Internazionale Film della Montagna di Trento. Nel 2013 è stato premiato con il riconoscimento speciale “Leggio d’oro Alberto Sordi. Nei vari anni ha svolto attività didattica presso il Centro Sperimentale di Cinematografia – Sezione Animazione di Torino, all’Università di Torino, l’Università Cattolica di Milano e la Civica Scuola di Cinema di Milano che ha diretto nell’anno 2009-2010.
Nichetti, Lei ha recitato e interpretato moltissimi ruoli. Le hanno permesso di sviluppare le Sue capacità? Pensandoci bene sono solamente uno curioso che ama le sfide nuove. Non mi è mai piaciuto ripetermi. Di tutti mi suoi incarichi: regista, attore, insegnante, disegnatore, ecc., a quale non rinuncerebbe mai? All’ultimo in ordine di tempo, perché agli altri ho già rinunciato… E perché? Perché accettare una nuova sfida mi permette sempre di imparare. I cartoni animati con cui ha lavorato con Bruno Bozzetto, come hanno inciso nella sua carriera? Moltissimo. Ogni esperienza confluisce in quella successiva, creando sempre delle avventure originali. I suoi film hanno riscosso molto successo. In “Volere volare” Lei, per amore si trasforma in un cartone animato. Un film estremamente divertente. Come è nata l’idea? Dal mimo, da cartone animato, dalle mie idee sull’amore che, per me, non deve mai imporre all’altro un comportamento diverso dalla sua natu-
ra. Le coppie più felici sono quelle complementari, con caratteri molto diversi tra loro. Lo Stato devolve emolumenti per realizzare film italiani, ma spesso sono fallimentari. Cosa ne pensa? Lo Stato ha il dovere di aiutare la Cultura, purtroppo non tutti i film appartengono a questa categoria. Detto questo, non vorrei mai essere inserito in una commissione delegata a decidere cosa è Cultura e cosa no! … Nei Suoi vari ruoli, quali sono le difficoltà maggiori che incontra? Senz’altro fare film. Quando va tutto bene puoi presentare una pagina bianca con un titolo astruso RATATAPLAN o TOLO TOLO , tanto per fare due esempi, e te lo fanno fare. Quando il vento gira il titolo non va mai bene, il soggetto è incompleto, la sceneggiatura andrebbe riscritta…e a deciderlo, normalmente, sono persone che non ne hanno mai scritta una in vita loro. E quali sono di maggiore soddisfazione? Quando si riesce a portare a termine un progetto contro il parere di tutti. L’opera Lirica e l’operetta? Per me sono state delle parentesi bellissime. Lavorare in mezzo alla musica è un sogno. La lirica un piacere assoluto con arie immortali, l’operetta ancora più difficile, perché gli interpreti devono avere qualità liriche e capacità recitative da consumato teatrante. Il regista deve trovare un equilibrio tra le parti cantate e quelle recitate, per cui l’esito finale non è mai garantito da una partitura musicale che copre l’intera rappresentazione.
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Tradizioni valsuganotte di Massimo Dalledonne
Biagio delle Castellare, il tiranno del Tesino
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a oltre 650 anni la valle del Tesino porta in scena, una volta annualmente, ora ogni 5 anni, la rievocazione storico carnevalesca di fatti realmente accaduti tra il 1356 e il 1365. Si rappresenta la storia di Biagio delle Castellare era all’epoca condottiero al soldo dei Carraresi, una famiglia aristocratica padovana. Inviato da Francesco da Carrara a difendere la Valsugana dalle incursioni degli alleati di Carlo lV di Lussemburgo cercò di organizzare in fretta e furia un esercito con le risorse disponibili in loco, ma il Tesino si rifiutò di inviare i propri uomini, cavalli e vettovaglie. Nel 1356 Biagio fu sconfitto a Selva di Levico da Siccone di Caldonazzo (alleato di Carlo lV), il quale, forte di alcune vittorie in quel di Pergine, mirava ad appropriarsi della Valsugana. Deluso per l’insuccesso bellico ed arrabbiato per il mancato aiuto da parte delle comunità locali, Biagio si ritirò nei castelli di Ivano e Grigno (il
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secondo detto anche “delle Castellare”) ed incominciò a vessare gli abitanti della valle, saccheggiando e bruciando il Tesino, che rimarrà sotto la sua tirannia per nove lunghi anni. Tuttavia quando Rodolfo d’Austria dichiarò guerra a Francesco da Carrara, il condottiero Biagio voltò gabbana al proprio protettore e si alleò con i nemici austriaci. Fu in seguito a questo tradimento militare che le truppe dei Carraresi mossero alla volta della Valsugana per punire l’infedele capitano. La tradizione vuole che, avendo saputo dell’assedio in corso al maniero “delle Castellare”, i tesini, armati di forche e bastoni, raggiungessero Grigno per appoggiare l’esercito carrarese. La fortezza fu espugnata rapidamente, ma nel frattempo Biagio era fuggito nel vicino castello di Antonio d’Ivano di Ivano Fracena. Dopo alcuni giorni di dura battaglia, anche i difensori di Castel Ivano capitolarono ed il
conte Biagio, Antonio D’Ivano e le loro famiglie che vi si erano asserragliati all’interno vennero catturati. Nonostante le insistenti richieste, Francesco da Carrara preferì lasciar morire Biagio nelle proprie carceri, senza darlo in pasto ai tesini che si dovettero accontentare di sottoporre al giudizio della comunità un fantoccio di paglia con le sembianze del conte. Venne così istituita la tradizionale celebrazione della liberazione dalla tirannia, rievocazione simbolica dell’antica sommossa, la quale assunse ben presto il significato di fiero rifiuto di sottomissione, sentimento ancora oggi fortemente radicato nel carattere della popolazione tesina. Questa rappresentazione popolare rappresenta un unicum non solo in Trentino, ma costituisce uno dei più antichi e tipici carnevali del panorama storico italiano; solo in pochissime località dell’arco alpino, infatti, si è riusciti a tramandare una tradizione
Tradizioni valsuganotte
che è resistita nei secoli anche ai severi tentativi di soppressione dovuti a ragioni religiose o a divieti. Anche nel 2020 si rievocherà tra storia e leggenda la vicenda del Conte Biagio delle Castellare. Per questa edizione gli organizzatori hanno pensato di allestire una mostra fotografica. Le foto, selezionate e stampate da un gruppo di giovani volontari, saranno distribuite negli esercizi pubblici del Tesino. La “mostra diffusa” con le foto esposte in vetrina è un modo per coinvolgere la popolazione e rendere più attrattive le attività economiche presenti sul territorio. Quello messo insieme dagli organizzatori è un calendario davvero intenso. Si parte domenica 23 febbraio con
una serata di storie e musiche in libertà: appuntamento alle 20.30 a palazzo Gallo a Castello Tesimo con “Raccontando e musicando il Biagio” insieme al maestro Dorigato ed Antonio Giuffrida. Il giorno dopo, lunedì 24, la serata di apertura della settimana dedicata all’antico tiranno mentre il martedì grasso, alle 10, la prima rievocazione storica con l’assalto al castello di Ivano Fracena alla ricerca del Biagio delle Castellare. A seguire, a mezzogiorno, la bigolada in piazza a Strigno “per festeggiarne la cattura”. L’edizione 2020 prosegue venerdì 28 con lo spettacolo di balli celtici con il gruppo Zivirel alle 18.30 in piazza Plebiscito a Castello Tesino e la zuppa d’orzo gratuita per tutti a chiudere la
serata. La giornata di sabato 29 febbraio si apre alle 10 con la presenza di arcieri, giochi e allestimenti d’epoca in piazza Molizza a Castello ed alle 18 la notte di fuochi e di leggende antiche con “Feuernacht” in piazza Maggiore e presso il palazzetto dello sport di Pieve Tesino. A seguire, alle 19, la cena medievale “Sapori e profumi del Medioevo” al centro polifunzionale con musica dal vivo e camerieri con vestiti d’epoca. Domenica 1 marzo il momento clou: il giorno del processo. Alle 9 la sfilata delle comparse, partenza da Castello fino a Pieve dove, alle 10.30, in piazza Maggiore si terrà il processo al Conte Biagio del Tribunale Speciale di Pieve. Dopo il ritorno a Castello, alle 13 la seconda parte del processo in piazza Crosara con protagonisti il Biagio e la Biagia, la Suprema Corte, il procuratore e l’avvocato della difesa, i testimoni dell’accusa (Toni Renga e Jijo Mescola) e della difesa (Nane Narò) oltre al popolo tesino. A seguire, alle 14, l’impiccagione del Conte Biagio e la grande festa in piazza con pastasciutta e musica. L’edizione 2020 si concluderà, nel pomeriggio, con l’estrazione dei biglietti vincenti della lotteria.
Benjamin Ferencz lettore di Valsugana News
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el numero di settembre di Valsugana News avevamo intervistato l’ultimo Procuratore capo ancora in vita dei processi di Norimberga, l’avvocato Benjamin Ferencz. All’età di quasi 100 anni e con la sua testimonianza, il signor Ferencz ci aveva raccontato della sua esperienza e dei sentimenti vissuti durante uno dei periodi più brutti e tristi della nostra storia. L’intervista, dal titolo “Dio, dove sei” è reperibile online. Ricordiamo che Ferencz è considerato uno dei più grandi esperti al mondo sui crimini di guerra e contro i diritti civili. È stato inoltre fondatore e promotore di un organismo sovranazionale di giustizia, la Corte Penale Internazionale. Questo mese il signor Ferencz ci ha ringraziato con questa foto scattata dalla sua casa in Florida, campeggia una copia del giornale. Cogliamo nuovamente l’occasione per ringraziarlo per aver condiviso la sua storia con i lettori del Valsugana News in un modo così sincero e toccante. (F.G.)
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Arte e cultura di Massimo Dalledonne
Castel Ivano: una casa delle arti e quindici opere di Eugenio Prati
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i chiama Casa delle Arti Eugenio Prati. È il nuovo progetto culturale messo in campo, nelle scorse settimane, dal comune di Castel Ivano con il Consiglio comunale che ha dato il via libera all’acquisto di 15 opere dell’artista ed all’accordo di comodato con il Mart di Trento e Rovereto per la realizzazione delle attività culturali. Una iniziativa che ha già dato un primo risultato. In occasione della sua recente visita in Valsugana, Vittorio Sgarbi ha dato il suo placet al progetto. Lo ha fatto visitando sia l’antico maniero di Castel Ivano che la sede municipale di Villa Agnedo dove, secondo le intenzioni dei promotori, troverà posto la Casa delle Arti Eugenio Prati. “Oggi concretizziamo un sogno – ricorda l’assessore alla cultura Giacomo Pasquazzo – per custodire ciò che è giunto fino a noi dal passato, soprattutto l’estro, il talento e la genialità dell’arte. E rendere fruibile al pubblico un patrimonio artistico, finora custodito da privati”. L’investimento messo in campo dal comune è di poco inferiore al mezzo milione di euro: 231.500 serviranno per l’acquisto dei quadri, altri 250 mila euro per riorganizzare i locali dove sorgerà la Casa delle Arti Eugenio Prati. La figura dell’artista ottocentesco Eugenio Prati è nota: nato a Caldonazzo nel 1841, si trasferisce ad Agnedo dopo aver sposato Ersilia Vassellai. “Oltre ad avere progettato il campanile della chiesa parrocchiale della Beata Vergine della Mercede, descrive con un talento cristallino l’ambiente e l’epoca coeva. Il suo quadro Nozze d’oro – prosegue Pasquazzo - è custodito a Vienna al
Castel Ivano, l’ex municipio di Villa Agnedo
Museo Belvedere dopo essere stata acquistata dall’Imperatore Francesco Giuseppe come regalo per l’Imperatrice Elisabetta”. Le opere saranno acquistate dall’unica erede in vita, la nipote, che ha già dato il suo assenso affinche altre 40 opere dell’artista, alla sua scomparsa, venissero messe a diposizione del nuovo polo culturale. “L’accordo con il Mart è stato fatto anche per valorizzare il patrimonio e la proprietà pubblica di queste opere permette ai vari musei nazionali ed internazionali di poterle richiedere in prestito. Queste opere – prosegue Pasquazzo - potranno viaggiare ed essere ambasciatrici nel mondo del territorio di Castel Ivano”. Inizialmente saranno ospitate in comodato dal Mart che, successivamente, collaborerà alla realizzazione delle attività culturali presso la Casa delle Arti Eugenio Prati – CAP. Il futuro modello di gestione vuole prendere come punto di riferimento la Galleria Civica Giovanni Segantini di Arco. Già a partire dal 2020 si lavorerà per progettare e realizzare una sede espositiva permanente nell’ex municipio di Villa Agnedo. Per finanziare l’operazione Castel Ivano presenterà una domanda al Gal con le realtà amministrative del Tesino. “Pensiamo ad una rete museale comune anche per
valorizzare le vocazioni di ogni realtà coinvolta. Nella Casa delle Arti non ci saranno solo le opere di Eugenio Prati, ma anche lavori del Marchioretto, di Albano Tomaselli come dei fratelli Weiss oppure del pittore Danieli e dei fratelli Guardi. Uno spazio culturale a 360 gradi, un progetto in costruzione che vuole fare fin da subito rete fra tutte le realtà del territorio. “Un progetto in fieri per costruire numerose altre collaborazioni e rendere la Valsugana un punto di interesse culturale e artistico, come accaduto con Arte Sella”. Al taglio del nastro della Casa delle Arti Eugenio Prati, prevista entro il 2020, ha garantito la sua presenza anche il presidente del Mart e noto critico d’arte Vittorio Sgarbi.
Eugenio Prati
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Natura e società di Elisa Corni
Sei serate per conoscere l’ambiente e la natura
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n attesa della bella stagione e della tradizionale riapertura pasquale del Forte delle Benne, l’omonima associazione culturale di Levico Terme si è spostata in fondovalle. Non contenta, accantona - anche se solo parzialmente - anche il suo cavallo di battaglia, la storia, per cominciare un nuovo percorso nel quale giovani ricercatori e studiosi di biologia, zoologia e botanica condurranno alla scoperta di ambiente e natura. Il ciclo di incontri, sostenuto dal Comune di Levico e dalla Cassa Rurale dell’Alta Valsugana, è realizzato in collaborazione con la Rete di Riserve Fiume Brenta e con il WWF Trentino. Obiettivo degli incontri è quello di esplorare attraverso le scienze naturali aspetti del nostro territorio e della storia recente grazie a chi le mani nella scienza le mette direttamente. Il primo relatore è stato Stefano Mayr lo scorso 21 gennaio. Tema dell’incontro sono stati la Valle del Centa e i suoi valloni. L’accompagnatore del territorio e responsabile tecnico scientifico dell’Oasi WWF di Valtrigona, ha analizzato di fronte a un pub-
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blico incuriosito come l’acqua che scende dagli Altipiani lungo la valle del Centa costruisca un vero e proprio spaccato di storia naturale e umana. Se da un lato mette infatti a nudo le nostre montagne, a disposizione dell’occhio esperto e geologo, dall’altro rivela come i luoghi siano stati importanti per lo sviluppo umano nel corso del tempo oltre che luogo di passaggio per animali e viandanti. Il martedì successivo è stato il turno del conservatore presso il Museo Civico di Rovereto Filippo Prosser che ha invece unito storia e natura. Questi si è infatti a lungo dedicato allo studio dei mutamenti della flora Trentino causati dalla Prima guerra mondiale. Attraverso le derrate alimentari o per scopi prettamente bellici gli austro-ungarici introdussero a volte involontariamente specie aliene nel nostro territorio. Il pubblico presente in sala ha scoperto come molte di queste siano sparite, mentre alcune sono ancora diffuse attorno a noi. Il 4 febbraio i presenti in sala consiliare hanno seguito Roberto Bozzo, vicentino e appassionato di entomologia, all’interno di forti e trincee della Prima Guerra Mondiale: insetti, ragni, muffe regnano in microcosmi in cui la bellezza
si perpetua e si rinnova proprio là, dove hanno dominato le tragedie della guerra. Il fotografo ha proiettato una serie di incredibili fotografie per esplorare in compagnia questi mondi sconosciuti. Sempre di ragni, ma non solo, si occupa il giovane Ivan Petri, relatore del prossimo incontro che avrà luogo l’11 febbraio. Trentino doc, il naturalista si è occupato in maniera originale e inedita di studiare aracnidi e insetti della zona di Levico. Per la prima volta ne parlerà in sede pubblica proprio in occasione di questo ciclo di incontri. Il valsuganotto di adozione Karol
Natura e società
Tabarelli de Fatis stupirà tutti il 18 febbraio con una serata dedicata a sfatare una serie di miti dal titolo “Facile dire “vipera”: imparare a conoscere e riconoscere i serpenti del Trentino. La serata sarà l’occasione per imparare qualcosa in più su questi affascinanti (quanto bistrattati) animali, parlando della loro biologia e del loro comportamento. Il ricercatore ed erpetologo è un esperto del settore, e lavora per il MUSE, oltre che membro attivo di
storico bolognese. Oltre a essere un soldato l’autore del diario fu importante naturalista italiano, le cui ricerche echeggiano ancora oggi. Questo ciclo di incontri, però, non si esaurisce qui. Perché l’associazione vuole offrire la possibilità di mettere mano nella scienza. Per questo, a conclusione del progetto, è prevista per il 4 aprile una gita organizzata con l’accompagnatore di territorio Maurizio Fernetti. Questi guiderà i visitatori alla scoperta di un tesoro nascosto: la Riserva Naturale Provinciale delle Inghiaie. “Vorremmo che questo ciclo aprisse le porte a altri interventi di questo genere” hanno dichiarato gli organizzatori, entusiasti della collaborazione con enti di rilievo come la Rete di Riserva e il WWF. “È importante parlare di scienza, ma soprattutto darle voce attraverso chi la fa!” hanno concluso.
numerose società naturalistiche del Trentino. L’ultima serata, quella del prossimo 28 febbraio, ci porta lontano. Nel tempo e nello spazio. Innanzitutto per il relatore, che in realtà è uno storico e non uno scienziato. Ma che presenterà la storia di una figura estremamente interessante del passato. Si tratta dell’ardito Alula Taibel, un soldato che di guerre ne ha combattute due, il cui diario è stato preso in esame dallo
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La corale di Calceranica
La loro storia raccontata in prima persona
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l nostro emozionante viaggio inizia nel Natale del 1970 con la nostra prima uscita in occasione della Solenne Messa della Natività che all’epoca veniva celebrata a mezzanotte, eravamo tutti molto giovani, felici e emozionati di cantare quei brani natalizi che il maestro Angelo Martinelli con tanta passione ci aveva insegnato. Questo è stato il nostro debutto come coro parrocchiale prestando il nostro servizio alle celebrazioni liturgiche della parrocchia: Messa domenicale, feste di precetto, processioni, matrimoni e funerali; un servizio che non è mai stato interrotto e continua tutt’oggi. Col passare degli anni il piccolo gruppo si andava sempre più allargando e il maestro Angelo, che era anche il nostro direttore, cominciò gradualmente a farci studiare anche pezzi popolari, sia per darci più stimolo, ma anche per preparare il coro a esibizioni in occasione di manifestazioni ed eventi laici. La nostra prima fotografia risale al 1972, eravamo stati invitati a solennizzare un matrimonio e ci accompagnava con l’organo Gianni Martinelli il figlio più giovane di Angelo; nello stesso anno il nostro maestro iniziò ad avere problemi di salute e quindi l’insegnamento passò nelle mani del figlio Gianni, mentre a lui rimase la direzione che nonostante gli acciacchi riuscì a portare avanti ancora per qualche anno, fino al 1977, anno in cui la bacchetta passò definitivamente nelle mani di Gianni. Da quel momento nasce la Corale Polifonica di Calceranica e si iscrive alla Federazione dei Cori del Trentino. Tantissimi i concerti e le rassegne
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Angelo Martinelli - 1960 c.a.
nelle quali si è esibita da allora fino ad oggi, trasferte in varie regioni della nostra penisola e all’estero partecipazioni a Concorsi Nazionali e Interna-
zionali alcuni coronati anche da primi e secondi premi. Dal 1979 organizza la Rassegna Nazionale Corale, un appuntamento estivo che è arrivato alla 40° edizione, in tutti questi anni abbiamo ospitato più di settanta formazioni corali provenienti da tutta Italia, numerose le collaborazioni con orchestre e solisti di prestigio proponendo pagine di A. Vivaldi, M.A. Charpentier, W.A. Mozart, G.Rossini, Gabrieli, Haydn, J.Rutter e tanti altri. Tanti sono i coristi che hanno fatto parte di questa nostra bella realtà, chi per brevi periodi, chi per tempi più lunghi, tutti hanno contribuito a portare la Corale a festeggiare questo importante compleanno, gli unici superstiti di quel lontano Natale sono i figli del maestro fondatore Angelo : Gianni in qualità di maestro e diretto-
Spazio libero alle Associazioni Concerto del 40° Gianni Martinelli - 18.12,2010 (Foto E. Gremes)
re, Luciano come corista e Ferruccio corista e Presidente della Corale per oltre trent’anni, sempre presenti, con una grande passione ereditata dal papà e che hanno saputo coltivare in maniera esemplare. Un pensiero va anche a coloro che purtroppo non sono più tra noi, ma che ricordiamo con tanta stima e nostalgia Bruno, Luciano, Livio, Angelo, Antonio, Marco e Vittorio. Attualmente la Corale è composta da una trentina di elementi provenienti da diversi paesi del nostro territorio. Sicuramente non si pensava che la nostra storia potesse arrivare a questi traguardi, partiti senza troppe pretese, senza interruzioni e ne siamo
molto fieri, il merito sicuramente in primis va alla famiglia Martinelli per l’ instancabile impegno e in particolare al maestro Gianni, che appena quindicenne accompagnava il coro con l’organo per poi assumere l’impegno di docente autodidatta e direttore del coro, non ha potuto avere la possibilità di frequentare il Conservatorio Musicale, però ha voluto migliorare e approfondire le sue conoscenze musicali sotto la guida del Maestro Camillo Moser, interrotte nel 1985 per la prematura scomparsa del musicista. 50 anni di serietà di grande determinazione e impegno costante, nel 1980 ha dato vita anche al coretto dei giovani ora trasformato in EnsemCalceranica maggio 1972 - Matrimonio Mattuzzi-Busana
ble Giovanile con il quale ha ottenuto veramente delle grandi soddisfazioni e gratificazioni partecipando a vari concorsi e portando a casa risultati al di sopra di ogni aspettativa. Ha tenuto parecchi concerti d’organo, per un breve periodo ha diretto anche il coro San Valentino di Borgo Valsugana e dal 2016 dirige anche il Coro Voci in Accordo di Povo. Questa in sintesi è la storia della nostra Corale, un traguardo che si deve assolutamente festeggiare e abbiamo pensato di farlo con una serie di appuntamenti che hanno avuto inizio il 21 dicembre con un concerto a Calceranica, molto apprezzato dal
Gianni, Ferruccio e Luciano Martinelli
pubblico presente, e termineranno il 27 dicembre del 2020, coinvolgendo altre realtà musicali. Vi aspettiamo numerosi. Ci auguriamo anche di poter proseguire ancora nel nostro cammino, reso problematico dalla mancanza di ricambio generazionale soprattutto nel settore maschile, gli ultimi ingressi importanti risalgono al 2004 quando si sono aggiunti alcuni coristi provenienti dal disciolto Coro Polifonico G. Mattioli di Caldonazzo, inoltre si aggiunge anche la non più giovane età media dei coristi, quindi facciamo un appello, le nostre porte sono aperte se qualcuno vuole provare ad unirsi al nostro coro, non esitate a contattarci…
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Ieri avvenne di Massimo Dalledonne
Ricordi di Guerra
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l libro è stato pubblicato lo scorso anno. Un volume, quello scritto da Oswald Mederle ed Elio Moltrer, in cui si racconta la Prima Guerra Mondiale (1915-1917) sui monti della Valle del Fersina. In tutto 318 pagine dove trovano posto i precedenti storici, le suddivisioni militari ed il corso del fronte lungo il crinale sud-orientale della Valle del Fersina anche con l’ausilio di alcune mappe d’insieme. Trovano posto, e non avrebbe potuto essere diversamente, gli eventi bellici narrati in ordine cronologico con un breve prospetto dell’unità di Standschutzen che prestarono, come si legge nella breve descrizione in ultima copertina, “con abnegazione il loro servizio nella zona”. Ma è nella parte dedicata alle Appendici che si trovano notizie che, di riflesso, riguardano anche quasi tutti i paesi della Valsugana. Infatti, oltre a raccontare delle carriere di alcune figure militari e dei teatri del Fronte così come delle retrovie di guerra, gli autori hanno riportato anche un lungo elenco di nomi “di lavoratori – scrivono Mederle e Moltrer – tenuti a prestare servizio nell’industria bellica o di lavoratori militarizzati provenienti dalla valle del Fersina,
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compresa Pergine, e il suo circondario. Da Civezzano fino a Carzano”. Si tratta di uomini, in età dai 17 ai 50 anni, recuperati da una lista del 20 luglio 1915 che lavorarono alla costruzione della strada tracciata sul lato destro orografico della valle, che portava a Palù del Fersina attraverso S. Orsola. Centinaia e centinaia di uomini con la lista delle donne che non è stata recuperata dagli autori. Tutti lavoravano ala dipendenza della Direzione Lavori Militari di Palù. E tra gli innumerevoli nomi di persone residenti nella zona di Pergine, Valle dei Mocheni e zone limitrofe sono stati recuperati anche diversi residenti in Bassa Valsugana. Circa una cinquantina di persone. Una decina erano quelli che, all’epoca, risultavano residenti a Borgo Valsugana: Vittorio Orsingher, Marco Battisti, Roberto Benetti, Giuseppe Benetti, Guido Dandrea, Bortolo Orsingher Giulio Bastiani, Vittorio Simoni, Giovanni Cappello e Tullio Boniatti. Altri nove erano stati reclutati nel paese di Strigno: Giovanni Dallafior, Vittorio Petrelli, Antonio Tomaselli, Vittorio Petreli, Antonio Tomaselli, Filippo Voltolini, Silvestro Berlanda, Secondo Volner e Primo Tomaselli. Diversi lavoratori erano stati
“militarizzati” anche a Telve (Giuseppe Stroppa, Giuseppe Bolleck ,Faustino Agostini e Tomaso Stroppa), a Grigno (Egidio Bellin, Giovanni Delucca ,Adriano Marighetti e Mateo Cappello), a Castelnuovo (Angelo Tiso, Pio Battisti, Carlo Brusamolin e Francesco Brendolise) ed a Scurelle (Desiderio Paoletto, Eustachis Bresaninni, Ermanno Bresaninni e Luigi Romagino). Arrivavano da Pieve Tesino Giuseppe e Giacomo Granello, da Carzano Sigismondo e Gustavo Degan, da Samone Emanuele Giampiccolo e Ambrogio Tiso e da Villa Agnedo Egidio Floriani e Giuseppe Sandonà. Nella lista troviamo anche Emanuel Pocher di Roncegno, Albino Melchiori di Bieno, Eugenio Giongo e Arcangelo Dalmaso di Levico così come Vittorio Gremes di Caldonazzo. Quasi tutti hanno lavorato alla strada “sulla quale – ricordano gli autori – fu trasportato il mortaio Skoda da 30,5 centimetri, poi collocato in una postazione subito davanti a Palù, mortaio che probabilmente partecipò al bombardamento del Monte Collo nel maggio del 1916”. Il libro è nato grazie all’idea del gruppo alpini di Fierozzo ed è stato dedicato alla memoria di Diego Moltrer e dei soldati caduti sul fronte della Valle del Fersina durante la Prima Guerra Mondiale.
Storie di casa nostra di Massimo Dalledonne
Metalli in Valsugana Le vene metallifere della Valsugana Orientale nella carta settecentesca di Antonio de Buffa.
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ell’ultimo numero della rivista Strenna Trentina un interessante articolo del ricercatore locale Franco Gioppi tratta della Mapa Geografica Speciale delle Tre Giurisditioni Ivano Telvana et Castell’Alto, edita tra il 1761 e il 1765 e conservata presso il “Gabinetto disegni e stampe” del Museo Civico di Bassano del Grappa. La tavola, disegnata da tale Giuseppe Antonio de Buffa e dedicata all’imperatrice Maria Teresa d’Austria, intende rappresentare in modo schematico la localizzazione delle vene metallifere presenti all’epoca nell’ambito vallivo e, quasi sicuramente, costituisce una delle prime informazioni complessive sul tema delle risorse minerarie e dello sfruttamento del sottosuolo in Valsugana Orientale. Circa l’autore dell’opera, nella sua attenta ricostruzione Gioppi ricorda come il Buffa sia stato un “vicino” della villa di Pieve Tesino - per nulla apparentato con la più conosciuta nobile famiglia dei Buffa di Castellalto - ove avrebbe ricoperto anche la carica di sindaco nella seconda metà del Settecento. Come registra Gioppi, da un esame sommario della carta e seguendo la numerazione progressiva assegnata dall’autore risulta che all’epoca i Monti
mappati in cui era stata accertata la presenza di “,,, Vene Metalica Minerali” erano ben 17: nove nella conca Tesina, le rimanenti in Valsugana. La prima di queste, contrassegnata con il toponimo di Radisa (attualmente Regaìse), si trovava a monte dell’abitato di Samone mentre la seconda era ubicata in località Cengello Rosso, nell’alto bacino del Grigno; un terzo giacimento, invece, era posto a valle di Cinte Tesino mentre la vena numero quattro era presente attorno alla piana di Pradelan, alla confluenza tra il rio Gallina ed il torrente Chieppena. Al giacimento di Sant’Osvaldo presso Roncegno Terme il de Buffa assegnava il numero cinque mentre le due vene a seguire marcavano possibili le attività estrattive in località Piazzo (oggi Spiado) in quel Pieve Tesino e nella parte superiore della valletta di Montalon, in destra orografica del Maso di Spinelle. Seguono i filoni dei Cengiotti di Spera nonché quelli di Valpiana in sinistra Val Calamento. Ai siti di Conseria e di Sorgazza localizzati nelle omonime località della Val Campelle e dell’alta Val Malene l’autore attribuiva i numeri otto e nove mentre le tre numerazioni successive contraddistinguevano i filoni denominati Quaraza, Valmendrame (oggi
Val Vendrame) e Val Regana, toponimo probabilmente collegato alla presenza di una fornace circolare a cielo aperto. Altre aree estrattive prive di numerazione, inoltre, erano state individuate nella Val Tolvà, località Lorena (oggi Orena), a Savaro di Borgo e ai Masi di Novaledo. Come sottolinea Gioppi, invece, il de Buffa non menziona i giacimenti di Sella, Civeron, Val Bronzale e Cavè ma nemmeno la miniera della Val d’Argento, posta sulla montagna di Roncegno e attiva fino agli inizi del XX secolo. Interessanti, infine, sono i 150 toponimi riportati dall’autore settecentesco che si attiene sempre alle forme popolari espresse dalla tradizione orale del tempo. “Solo per citare qualche esempio - osserva sempre Gioppi - il de Buffa registra il villaggio di Olle presso Borgo Valsugana con il toponimo Le Ole, scritto al plurale e con una sola elle com’è pronunciato ancora oggi dai residenti”. Stessa cosa dicasi per la vetta di Cima d’Asta che viene marcata con il nome, certamente più appropriato di Cima Lasta [derivante] dalla peculiarità morfologica dei suoi versanti rocciosi: le laste granitiche, ovvero gli imponenti liscioni glaciali che precedono questa splendida vetta”.
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Il personaggio di Waimer Perinelli
Denis Franceschini
da Borgo a New York
C’è anche Ivanka Trump fra i clienti di Denis Franceschini Chef nel suo Bar Italia sulla Avenue 66 a New York. La storia di Denis è quella di un valsuganotto di successo.
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arà raccontata nei minimi particolari, sia per le orecchie che per il palato, il 19 febbraio a Levico Terme dove trent’anni fa Denis ha frequentato il biennio della scuola alberghiera. Il primo passo della magica professione che dalla Valsugana l’ha portato a Mezzocorona e poi all’ Harry’s Bar di New York il locale vicino al Central Park e all’ hotel Plaza dove Neil Simon ha ambientato la commedia e sceneggiatura del film “A piedi nudi nel parco”. Denis, nella Grande Mela ha perfezionato la passione per la cucina e scoperto la vocazione di imprenditore, così, dopo avere lavorato come cuoco per la prestigiosa catena dei fratelli Cipriani, inaugurando per loro una trentina di locali in tutto il mondo, il 3 marzo del 2011, assieme a due ristoratori francesi ed un ex collega egiziano, ha aperto un locale sulla 66° Madison Avenue. Lo ha chiamato Bar Italia ma è a tutti gli effetti un ristorante di prestigio, un locale frequentato da molti divi dello spettacolo come Pierce Bronsnan e Claudia Cardinale; campioni dello sport come Roger Federer, Andrea Pirlo, Roberto Baggio. Con loro si trovano a tavola milionari, più o meno famosi, e fra questi Robert Tischman un importante immobiliarista proprietario fra l’altro del Rockfeller Center. Non mancano i protagonisti della politica e fra loro Ivanka Trump, manager e figlia del Presidente degli Stati Uniti.
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Ariunirli nel ristorante di Denis è la comune passione per la cucina. Quella italiana in particolare. Personaggi famosi anche per quanto apprezzano la buona tavola. “Per loro, dice Denis, cucino fegato alla veneziana, tagliolini al tartufo, carpaccio di branzino con peperoncino alla messicana e la piccata di vitello ma propongo anche menù alla trentina. Canederli, funghi, polenta. I prodotti li faccio arrivare dall’Italia”. La sua è una cucina semplice ma raffinata. Anche per sé non prepara piatti complicati. “Il mio piatto preferito dice è spaghetti con olio d’oliva e formaggio grana”. A quarantacinque anni, di cui più della metà passati in giro per il mondo, moglie americana e due figlie, ha lasciato il cuore in Valsugana e nella sua Borgo. Per questo ha accettato l’invito dei Lions club di raccontare la propria esperienza a Levico in un incontro pubblico e una cena a pagamento il cui ricavato andrà per buona parte in beneficenza. “Il mio, dice, non è un lavoro: è un’arte” Una passione che richiede tuttavia molto impegno, tempo, attenzione,
ricerca della perfezione. Non a caso in Europa i principali chef vengono premiati con delle stelle.” E Negli Stati Uniti? “No, in America a premiarti sono i clienti.” Anche Denis Franceschini ha delle preferenze I suoi cuochi preferiti non sono però Cracco o Marchesi. “Per me dice la migliore cuoca era la mia mamma, da lei ho ereditato la passione per la cucina e la forza per lavorare.”
In Valsugana di Mario Pacher
Grande risultato per i Mercatini di Levico Terme
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i è conclusa nel giorno dell’Epifania a Levico Terme, la 18^ edizione del “Mercatino di Natale” svoltosi nel parco secolare asburgico del centro termale dove erano state posizionate ben 58 casette in legno e date in affitto a commercianti ed artigiani perché possano offrire i loro prodotti. Durante gli oltre 40 giorni di apertura, era iniziato il 23 novembre, si sono avuti anche momenti musicali ed altre attrazioni per rendere ancor più incantevole ed attraente l’ambiente. A visitare i mercatini di Levico Terme sono giunti in migliaia da tutta Italia, in particolare dalla Lombardia, Veneto, Emilia e Toscana e tutti hanno raggiunto le bancarelle alla ricerca del prodotto desiderato o anche semplicemente per curiosare fra le tante varietà di proposte legate soprattutto ai gusti e sapori della Valsugana e all’artigianato trentino. Un momento importante anche sotto l’aspetto economico per Levico Terme quello dei mercatini natalizi, un evento che era iniziato ancora il 23 novembre
2019 ed organizzato dal Consorzio Levico Terme in centro in collaborazione con il Comune, l’APT, l’associazione degli Albergatori e tutte le altre categorie economiche di Levico. Il sindaco Gianni Beretta: “la qualità dei mercatini che in questi ultimi anni è stata seguita, ha funzionato. Quest’anno, a parte l’inizio rallentato dalle condizioni meteo, hanno avuto un buonissimo riscontro. Molto buono anche il post feste di Natale. In Comune sono giunte diverse e-mail di gente che è stata molto contenta per l’accoglienza, delle iniziative fatte e questo ci dà anche una forza maggiore. Ciò sta a significare che siamo sulla strada giusta e questo servirà anche per i prossimi anni. La volontà è poi quella di crescere anche come paese. Quest’anno ha funzionato anche la Panarotta
grazie al contributo del Comune ma soprattutto della società che ha tanta voglia di crescere ed è quindi riuscita ad avere una stagione positiva. In quanto a presenze?: “Probabilmente leggermente inferiori nel periodo prenatalizio ma superiori dopo Natale. Penso quindi che saranno state in linea con gli anni scorsi. Qualche idea per la prossima edizione? “Pensiamo sicuramente qualcosa per il paese che dobbiamo farlo crescere di più sul periodo invernale”.
LEVICO TERME
Echi di Natale
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l Gruppo Pensionati di Levico Terme presieduto da Marco Francescatti con il patrocinio del comune di Levico Terme, ha organizzato presso il teatro dell’Oratorio, l’11^ edizione di “Natale insieme”. Vi hanno partecipato la Corale Pio X^, il Piccolo coro Arcobaleno, Andrea Galler e la sua fisarmonica. Poi poesie e racconti di Erica Gabrielli, Ruggero Martinelli, Fabio Recchia e Giorgio Valentini. E per lo sketch finale “il ritorno di Vincenzo” del Gruppo “A volte ritornano”. Ha presentato l’intero pomeriggio di festa Umberto Uez.
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Borgo Valsugana
Gusto per le cose buone e genuine
Pane appena sfornato anche nel pomeriggio
BORGO VALSUGANA
via Gozzer, 9/A Vicino al Bar caffè Pavesi, Salone Fashion e Palazzetto dello sport
Abbiamo l’esclusiva vendita di detergenti industriali per la pulizia della casa 68
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Umana-Mente
di Chiara Paoli
“Sport invernali da brivido”
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eriodo di neve e di sport, il sole e le belle giornate invitano le famiglie a trascorrere le giornate all’aria aperta, anche se in agguato può esserci sempre un pericolo. I genitori devono avere mille occhi ma non possono essere dappertutto e a volte il destino è inevitabile. Il piccolo Diego, il suo fratellino ed i suoi genitori avrebbero semplicemente voluto passare un momento di svago sulla neve della Valtellina a bordo del bob, per provare l’ebbrezza di questo sport invernale amato da grandi e piccini. Tutto ciò però ha preso una brutta piega ed oggi Diego non c’è più; la sua vita è terminata addosso ad un larice. Il periodo invernale appare a volte come un bollettino di guerra, che miete morti, come avvenuto anche in Alto Adige nel gennaio 2019, quando Emily e la sua mamma hanno imboccato una pista vietata agli slittini, che si è rivelata fatale per la piccola di 8 anni. A volte sottovalutiamo i rischi che si corrono sfrecciando sulle piste con lo slittino, eppure il caso sarebbe già un ottimo alleato per la sicurezza
dei bambini e non solo. La neve così bianca e ovattata appare innocua, ma quando si prende velocità è facile perdere il controllo e uscire di pista, a volte anche a causa di imprevedibili tratti ghiacciati. Questi eventi ci fanno riflettere su come ogni vita sia appesa ad un filo, ci si rende conto che anche una bella giornata di divertimento può trasformarsi in un incubo. Tanti i genitori che sui social che si sono scagliati contro questi genitori ritenuti imprudenti, se non addirittura incoscienti, ma nessuno di loro era presente e a volte nella vita capitano momenti di distrazione o errori di valutazione perché siamo umani, per natura imperfetti e soggetti ad errori. Tragedie di questo tipo in realtà forse ognuno di noi le ha evitate solo per fortuna e finchè non ci toccano, non possiamo capire quale sia lo stato d’animo dei genitori, sepolti dai sensi di colpa, dai se e dai ma. In questi casi di immensa sofferenza, chi sa essere umano esprime soltanto il proprio cordoglio e la propria vicinanza ad una famiglia spezzata,
che si accinge a raccogliere i pezzi in frantumi. Forse è qualcosa di difficile da fare, perché giudicare appare sicuramente più facile e in alcuni casi ci induce a sentirci genitori migliori, eppure sono convinta meglio chi pensa a migliorare sé stesso e la vita di chi lo circonda, senza usare come parametro di confronto gli altri, soprattutto quando si tratta di persone in evidente difficoltà. Questo è quello che io definirei “vincere facile”, una strada in discesa che può dare soddisfazione nell’immediato, ma non garantisce risultati a lungo termine. Meglio una strada in salita, fatta di tanta buona volontà, magari anche inciampando, con qualche caduta, ma tutto frutto del nostro sacco, senza bisogno di calpestare il prossimo per elevarci. Le istruzioni per l’uso consigliano di contare almeno fino a 10 prima di pubblicare giudizi azzardati sui social network, per quanto si tratti di un ambiente intangibile, la rete porta messaggi che possono ferire più di un pugno allo stomaco.
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In collaborazione con PEPE – BORGO VALSUGANA
Insetti e parassiti degli animali Prevenire è meglio che curare
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nostri piccolo amici durante la stagione primaverile-estiva, specialmente quando sono impegnati a giocare nel giardino di casa oppure durante le passeggiare, possono attirare ogni tipo d’insetti e parassiti (pidocchi, pulci, acari, zanzare, pappataci e zecche) molto pericolosi perché possono provocare malattie a volte anche letali. In questo periodo, anche per effetto della situazione metereologica che ci fa vivere giornate non tipicamente invernali, è possibile che i molti parassiti comincino prematuramente la loro “attività”. Da qui è consigliabile iniziare per tempo e anticipatamente un’opportuna e necessaria prevenzione volta a rendere attive le difese degli animali. Prevenzione e cura che solo il veterinario o i negozi specializzati possono suggerire affinchè si ottenga il massimo risultato. Da ricordare che i
parassiti sono piccolissimi organismi che attaccano l’animale e trascorrono la loro vita attaccati al pelo (esterni) oppure, non di rado, introducendosi nell’organismo (interni) e causare, come abbiamo sottolineato, malattie che possono condurre anche alla morte, soprattutto se la cura non viene fatta in modo adeguata e in tempi rapidi. L’azione dei parassiti esterni provoca sempre prurito, fastidio, bruciore e a volte dolore. Altri, quelli interni, invece, e sono i
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più pericolosi, si sedimentano nelle vene o nelle arterie nutrendosi di sangue a volte producendo sostanze tossiche e nocive che sono causa di patologie gravissime. Da ricordare che non in molti casi, i parassiti si possono trasferire anche dall’animale all’uomo causando problemi e patologie di varia entità. Anche in questo caso, per comprendere se la malattia che ha colpito l’animale è di origine parassitaria o altra natura è sempre consigliato di rivolgersi al proprio veterinario di fiducia che saprà individuare il tipo e le cause della malattia e quindi proporre la cura migliore. Tutti i parassiti esterni possono essere facilmente combattuti con opportuni prodotti, quali collari e antiparassitari, nei vari formati e tipo, che si possono trovare in tutti i negozi specializzati.
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Piccoli amici di Elisa Corni
17 febbraio
Evviva il gatto I
n Italia ogni 17 febbraio si celebra una festa davvero particolare. Niente torte, ma crochette; al bando la musica, ma evviva le fusa; basta alcolici, sì al latte. Oggi si festeggia il gatto! Non tutti li amano, spesso si preferisce il cane perchè “più fedele”, “meno egoista”, “il vero amico dell’uomo”. Eppure quella del rapporto tra i felini domestici e noi esseri umani è una storia molto lunga! A dirlo è un paleogenetista italiano, Claudio Ottoni, che da anni si dedica allo studio di questo animale. Secondo i dati raccolti in numerosi studi sul DNA dei nostri amici ruffiani reperito in alcuni scavi archeologici nell’area della Mezzaluna Fertile il processo di domesticazione sarebbe cominciato almeno diecimila anni fa. Si tratta del neolitico, il tempo della pietra nuova, nel quale gli esseri umani del Nord-Africa e del Medio Oriente cominciavano a stanziarsi in villaggi, dedicandosi così ad allevamento e agricoltura. L’ipotesi è che siano stati proprio i cereali e il loro stoccaggio a far avvicinare i silenziosi cacciatori all’uomo: nei granai i gatti selvatici potevano infatti trovare il loro cibo preferito, i roditori. Come gli Egizi poi, già queste prime popolazioni stanziali si resero presto conto dell’importanza di questo micidiale cacciatore, in grado di mangiare migliaia e migliaia di topi ogni anno, aiutando così l’uomo
nella salvaguardia delle risorse alimentari. E così l’uomo ha cominciato a tollerare la presenza di gatti; e viceversa. Essere ruffiani gli permetteva di non essere scacciati e avere quindi a disposizione un sacco di cibo. Se nelle epoche più antiche si trattava di un rapporto meramente utilitaristico, poco dopo e lungo le sponde del Nilo il rapporto cambiò profondamente. Al punto che i gatti
erano considerati alla stregua di divinità e avevano nella dea-gatta Bast la loro protettrice. Questo proprio per la loro funzione di contenimento dei “parassiti” dei granai. Ancor di più furono gli antichi Romani a scegliere il gatto come compagno di vita domestica e non solo per le sue funzioni di perfetto cacciatore. Nel Medioevo, invece, cominciarono le prime selezioni con la comparsa, come hanno chiarito alcuni studi genetici sui resti
di gatti domestici ritrovati in alcuni scavi archeologici in Europa, di diversi mantelli come quello tigrato e quello a macchie. Lo studio di Ottoni e colleghi ha inoltre portato in luce un’interessante verità. Sia esteticamente che a livello genetico gli altri animali addomesticati dall’uomo sono cambiati moltissimo nel corso dei millenni di domesticazioni. Si pensi ad esempio al maiale: la sua versione non domestica è il cinghiale. I due animali sono profondamente diversi proprio perché gli allevatori hanno selezionato gli individui con meno peli, tendenti ad ingrassare di più, più mansueti e senza zanne perché questo era ciò di cui avevano bisogno. Oppure pensate al cane: la maggior parte delle razze canine non assomiglia nemmeno lontanamente al lupo. Gatti selvatici e gatti domestici, invece non si differenziano poi così tanto. Questo perché nonostante sia un animale domestico da millenni, il gatto si è sempre e comunque incrociato con individui selvatici, mantenendo così quelle caratteristiche che tanto piacciono ai gattari. E così, il risultato è che accanto a noi nel letto o sulla sedia a fianco alla nostra vive un animale fiero, elegante e bello; ma soprattutto un animale che non si è fatto piegare troppo dai nostri capricci.
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Storie trentine di Chiara Paoli
“C’era una volta... l’Ospedalino di Trento”
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a mostra dal titolo “C’era una volta...l’Ospedalino di Trento, storie di bambini e di mamme, di cure, di speranza e di vita 1919-2019”, curata dall’Associazione “Amici della neonatologia trentina”, con la collaborazione della Fondazione Museo storico del Trentino, rimane aperta fino al 25 febbraio nello spazio del foyer del teatro Santa Chiara. Nasceva nel 1919 l’”Ospedale Infantile principessa Maria di Savoia”, inizialmente ubicato all’interno dell’asilo Tambosi, per iniziativa di “tre pie donne trentine della Lega Nazionale”: Teresa Cannella, Maria Mazzi e Luigia Brugnara, sostenute da Giuseppe Bacca, Ferrante Giordani, Cesare Cristofolini e Innocenzo Rizzi. Qui si stabilirono due suore di Maria bambina per assistere i piccoli pazienti. Nel 1922 giunse in visita alla struttura la Regina Elena e successivamente furono accolte anche la Regina Madre Margherita e la duchessa Elena di Aosta. L’ospedalino venne trasferito nel 1924 nella “Casa Rossa” in via della Collina, offerta da Ginevra Santoni e dal dottor Bacca, struttura che in tanti ancora ricordano. Questa realtà nasce in un’epoca in cui la mortalità era molto alta e vedeva spegnersi precocemente un bambino su 4. Bisogna pensare che i bambini che vi entravano negli anni ’30 e soffrivano di tubercolosi, vi rimanevano in cura per 2-3 anni e ancora negli anni ’60, chi si ammalava di poliomelite, vi passava diverse primavere, senza poter vedere i propri genitori, se non in alcuni brevi momenti. Questa la testimonianza di Emanuela, 10 anni, ricoverata all’ospedalino nel
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1963; “Ero ricoverata in una stanza con 6 letti. Mia mamma e mio zio venivano a trovarmi il giovedì e la domenica pomeriggio. Non ho mai potuto incontrare i miei fratelli più piccoli di me. L’orario delle visite per i parenti era rigidissimo: quando la suora caposala passava da una stanza all’altra suonando un campanellino, i visitatori dovevano salutarci e uscire subito dalla stanza. E io iniziavo a bagnare le gote di lacrime, mentre al di là della finestra intravvedevo i volti dei miei cari che controllavano il mio stato d’animo; io, dopo un sorriso forzato, nascondevo il volto sotto le lenzuola…” Quella raccontata in mostra e attraverso il catalogo non è solo la storia di una struttura o delle innovazioni mediche in campo neonatologico, ma vuole essere soprattutto memoria di quanti sono stati curati all’interno di questo centro che nel tempo ha saputo evolversi fino a chiudere i battenti nel 1991, vista la forte riduzione dei piccoli pazienti che sempre più possono essere curati in casa, circondati dall’affetto e dal sostegno della famiglia. I racconti sono anche quelli delle mamme di bambini prematuri, che si sono viste portare via subito dopo il parto la loro creatura, non sapendo se avrebbero avuto modo di riabbracciarla, come avvenuto nel 1968 a mamma Rosanna, con
la piccola Donatella: “Mia figlia è nata nel vecchio Ospedale S. Chiara in via S. Croce, dopo appena 29 settimane di gravidanza. Dopo il Battesimo in reparto, il papà l’ha portata all’Ospedalino in una valigetta termica e con i propri mezzi. Il peso della piccola Donatella era 1350 g. È così iniziato un periodo di 75 giorni di ansia e preoccupazioni, perché la bambina non si alimentava bene. Ogni mattina telefonavamo per sapere il peso raggiunto dalla piccola. Il papà della piccola ha cominciato a farle visita subito dopo il ricovero, mentre io ho dovuto aspettare otto giorni dopo il parto per esser dimessa dall’ospedale e poter vedere finalmente mia figlia. Ci era concesso di vederla solo per 30 minuti al giorno attraverso il vetro che ci divideva dalla stanza in cui era situata l’incubatrice.”
Le cronache locali IN VALSUGANA
Serata attorno al lupo
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o scorso 22 gennaio in una gremita sala dell’Oratorio di Barco si è tenuta una serata attorno al ritorno del Lupo sulle Alpi. Da tempo si registra la presenza di un branco stanziale che vive, girovaga e caccia in un territorio che da Barco, seguendo la destra Centa, arriva fino alla Vigolana. I rilevamenti del DNA, come hanno spiegato i rappresentanti della stazione forestale di Levico presenti in sala, hanno permesso di determinare che si tratta di un branco composto da 6-7 individui che quest’inverno sono scesi in valle seguendo il loro pasto: gli ungulati selvatici. “Il 90% circa della dieta di un lupo è composta da ungulati selvatici” ha spiegato Claudio Groff coordinatore del settore grandi carnivori della Provincia di Trento che ha analizzato il fenomeno del ritorno del lupo. Di ritorno, infatti, si parla dato che gli esemplari che hanno cominciato a ripopolare il Trentino negli anni Duemila sono arrivati in autonomia ove le condizioni ambientali lo hanno permesso (bassa antropizzazione, disponibilità di prede, assenza di altri branchi). Questo ripopolamento è avvenuto in maniera naturale in tutta Europa: “Di incontri con i lupi se ne registrano quotidianamente in tutta Europa” ha spiegato Groff “eppure non si è ancora mai registrata un aggressione all’uomo”. Come hanno evidenziato i relatori la possibilità che questo animale faccia danni esiste, è pur sempre un animale selvatico, eppure la probabilità sembra essere minima. Anche i danni all’allevamento possono essere ridotti grazie all’utilizzo di sistemi che sono forniti dalla Provincia in comodato gratuito. Ove presenti stalli notturni, reti elettrificate e cani da guardia, gli episodi di uccisione di animali domestici e da allevamento è drasticamente ridotta. L’Assessora Provinciale Giulia Zanotelli e il Sindaco Gianni Beretta hanno annunciato altri incontri sul tema. Indicazione generale per la popolazione del luogo è quella di evitare comportamenti scorretti: l’abbandono di carcasse o resti da macellazione è un fattore che può mettere in pericolo animali e umani, oltre a essere vietata per legge. In caso di avvistamento o di necessità si possono contattare i seguenti numeri: Reperibilità PAT 335-7705966 e Responsabile di zona Vettori Gabriele 3351370972. (E.C.)
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Gli auguri degli Alpini
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li Alpini di Novaledo con capogruppo Domenico Frare, hanno voluto anche quest’anno augurare buone feste alla popolazione del paese organizzando un concerto di canti popolari e natalizi. L’appuntamento si è svolto presso la chiesa parrocchiale, particolarmente gremita, e si sono esibiti il coro Valbronzale di Ospedaletto diretto da Davide Minati e gli scolari delle elementari del paese, abilmente preparati ed accompagnati alla fisarmonica da Pierino Debortolo. Al termine del concerto gli alpini hanno preparato ed offerto a tutti, presso la sala don Evaristo, un signorile rinfresco. (M.P.)
“Concertoalpini”: Il coro Valbronzale e gli scolari
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Medicina & Salute di Erica Zanghellini
L’ansia scolastica
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a scuola è il luogo in cui i bambini e i ragazzi passano una grande fetta di tempo della giornata e che contribuisce a plasmare la loro personalità. Concorre infatti, a supportare oppure a minare l’autostima o ancora il senso di sicurezza che si prova. Queste componenti si formano in base ai rapporti sociali che si instaurano, sia tra i pari ma, anche con gli insegnati e grazie ai risultati scolastici che si riescono ad ottenere. Le delusioni o le soddisfazioni possono essere tante e quindi nei casi negativi possono sfociare a difficoltà anche importanti nei ragazzi. Possiamo immaginare che queste problematicità si muovono lungo un continuum che va da un leggero disagio a un vero e proprio rifiuto ad andare a scuola. Logicamente in quest’ultimo caso, non solo c’è un
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malessere maggiore, ma ci saranno delle ripercussioni anche sulla qualità della vita in generale e della vita scolastica (mettendo anche a rischio la promozione). Non esulano possibili conseguenze nella socialità e nei rapporti con la famiglia di origine. Si parla di fobia scolastica tecnicamente quando c’è un rifiuto a recarsi a scuola ed è correlata ad una condizione emotiva di disagio, che può manifestarsi, da forti stati ansiosi, a timori eccessi e/o una combinazione tra i due ambiti. Possiamo identificare cinque comportamenti che la caratterizzano: 1. Assenza scolastica anche per lunghi periodi; 2. Frequenza discontinua, non solo come giornate, ma anche uscite a metà giornata scolastica, come per esempio saltare alcune lezioni oppure uscire a ricreazione;
3. Spesso sono evidenziati ritardi e lentezza cronica; 4. Nel caso soprattutto dei bambini, messa in atto di comportamenti problema, come rifiuto a muoversi o veri e propri capricci, in modo da ritardare o evitare l’ingresso a scuola, 5. Ed infine una eccessiva angoscia, che si manifesterebbe solo nei giorni scolastici. Le difficoltà emotive si possono manifestare prima di recarsi a scuola (ansia anticipatoria) o durante la permanenza scolastica. Questi stati ansiosi si caratterizzeranno con delle risposte somatiche e comportamentali ben specifici. L’ansia e le preoccupazioni potranno mostrarsi anche sotto forma di ruminazioni. Questi sintomi possono durare molte ore e possono iniziare a manifestarsi già anche la sera prima, solo al pensiero
Medicina & Salute che il giorno dopo si dovrà andare a scuola. Una possibile conseguenza di ciò, sarà problemi nel riposare adeguatamente, sia come incapacità ad addormentarsi tranquillamente, sia nel mantenere il sonno. Non è infatti infrequente, rilevare incubi oppure risvegli bruschi ed improvvisi. Un’ultima modalità di manifestazione del disagio può essere evidenziata da sintomi psicosomatici, infatti molti bambini o ragazzi riportano sintomi fisici che accompagnano l’ansia scolastica. Si passa dal mal di pancia, dolori al torace oppure al mal di testa tanto per fare degli esempi. Logicamente quanto più importanti sono i sintomi tanto più si rischia che venga compromessa la frequenza regolare delle attività. L’esordio di questo tipo di malessere di solito coincide con il passaggio da un grado scolastico ad un altro,
quindi non è infrequente riscontrarli, dal passaggio dalla scuola primaria di primo grado alla scuola primaria di secondo grado per esempio, oppure dalla scuola primaria di secondo grado alla scuola secondaria. Dalla letteratura si evince che possono essere identificati dei fattori che maggiormente possono predisporre e/o scatenare un rifiuto scolastico. Sembrerebbero infatti, importanti i fattori ambientali, quali eventi di vita stressanti che si sono verificati nei contesti che il ragazzo frequenta. La terapia cognitiva-comportamentale si è dimostrata molto efficace per la cura dei disturbi d’ansia. Nel caso specifico la terapia consisterà come prima cosa a capire la situazione ed evidenziare che cosa causa tale malessere, verranno analizzati i pensieri e i comportamenti che il ragazzo fa. In generale, possiamo dire che l’inter-
vento sarà personalizzato e prevedrà vari step e tecniche, per permettere un percorso graduale di esposizione allo stimolo temuto, dove saranno coinvolti genitori e insegnanti. Dopo un primo momento psicoeducativo dove saranno condivisi gli elementi utili per comprendere la natura e il processo dell’ansia, inizierà la fase di “ristrutturazione cognitiva” dei pensieri, mettendo in evidenzia dove c’è necessità, l’irrazionalità dei pensieri disfunzionali. Ed infine, l’ultima tappa verrà dedicata al ritorno a scuola, che verrà concordato nei tempi e nelle modalità con gli insegnanti asseconda i bisogni del ragazzo.
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Medicina & Salute di Armando Munao’
Diabete e insulina
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l 14 novembre del 1891 nasceva in Canada Frederick Grant Banting lo scopritore dell’insulina. Una scoperta grazie alla quale nel 1923 ha ricevuto il Premio Nobel in Fisiologia e Medicina, assegnatogli insieme a Macleod (suo compagno di ricerca). Premio che Banting condivise con Charles Herbert Best il quale a sua volta lo condivise con James Bertrand Collip. Nel 1934 Re Giorgio V d’Inghilterra lo nomino’ Sir. La sua scoperta, all’età di 32 anni, ha rivoluzionato la medicina perché grazie all’insulina sono stati salvati migliaia di diabetici sino ad allora destinati a sicura morte. Una patologia, purtroppo, “inarrestabile” e subdola, perché quando ci si accorge di essere diabetico oramai si è dentro. E sono i numeri legati al diabete che non solo ci presentano un panorama decisamente allarmante, ma, purtroppo, ci confermano il continuo e progressivo aumento di coloro i quali sono colpiti da questa malattia. Basti pensare che in quasi 50 anni i diabetici nel mondo sono quadruplicati e oggi, secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanita’), sono oltre 430 milioni mentre in Italia, quelli affetti da diabete tipo 2, sono circa 3,8 milioni con una spesa sanitaria che grava sul nostro bilancio per oltre 10 miliardi di euro. A questi numeri devono essere aggiunti quelli relativi al “sommerso” ovvero le persone malate che non sanno di esserlo e che, secondo le ultime stime, rappresentano il 2%, della nostra popolazione, ovvero circa 1 milione e 300 mila italiani. La Società Italiana di Diabetologia evidenzia, nei suoi rapporti, che il 65% delle persone affette da diabete è di età pari o superiore ai 65 anni; uno su
Frederick Grant Banting
5 di età pari o superiore agli 80 anni; il 2% invece ha un’età inferiore ai 20 anni mentre un 35% e più dei soggetti, si trova in età lavorativa ovvero tra i 20 e i 64 anni. Riguardo al sesso si ha una prevalenza di donne affette da diabete tra i 20 e i 50 anni mentre è maggiore tra i maschi (dai 50 agli 80). Il diabete, purtroppo, è una malattia cronica, molto frequente nella classi socialmente svantaggiate che, come detto, è destinata ad aumentare in maniera significativa, anche per il progressivo invecchiamento della popolazione. Di questa patologia si conoscono: Diabete di tipo 1 detto anche giovanile, insulino-dipendente ( circa il 10%
Charles Herbert Best
dei casi diagnosticati). Diabete di tipo 2, dell’adulto (circa il 90% dei casi diagnosticati). Diabete gestazionale che si manifesta nelle donne in gravidanza. Queste tre patologie sono molto distinte poichè hanno differenti e diverse cause d’insorgenza, sintomatologia, prevenzione e terapia. Il tipo 1 è difficilmente prevenuto a differenza del tipo 2 che è prevenibile e curabile a condizione di modificare gli stili di vita e più specificatamente con la prevenzione del sovrappeso, con una corretta alimentazione e una regolare attività fisica. Cosa importantissima da sapere è che, se il diabete (di tipo 1 e 2), è curato male oppure trascurato, specialmente nelle persone predisposte, può generare le famose complicanze che possono essere lievi, moderate ma anche gravi, disabilitanti e fatali. Complicanze che colpiscono diversi organi del corpo quali l’occhio (retinopatia), il rene (nefropatia), i nervi (neuropatia), le arterie (vasculopatia) e il cuore (cardiopatia). Per evitare quindi di essere colpiti da questa patologia è necessario anticipare la diagnosi precoce di diabete con controlli frequenti della glicemia, specialmente in coloro i quali hanno familiari già colpiti da diabete e in quelli obesi.
James Bertrand Collip
John James Rickard Macleod
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BENESSERE&SALUTE
Rolando Zambelli è titolare dell’Ottica Valsugana con sede a Borgo Valsugana in Piazza Martiri della Resistenza. È Ottico, Optometrista e Contattologo
Visione , schermi e luce blu N
egli ultimi anni c’è stato un incremento consistente di dispositivi multimediali (smartphone, tablet, laptot), e di conseguenza le attività di tuttii giorni sono cambiate in funzione di essi. Per esempio l’uso giornaliero degli smartphone continua a crescere tra gli adolescenti: attualmente il 91,5% trascorre più di 2 ore al giorno davanti allo schermo (studio di Netpublic, 2012). Secondo invece uno studio dell’AOA (American Optometry Association) del 2015 circa il 62% delle persone passa 5 o più ore utilizzando i loro dispositivi digitali, e il 14% passa fino a 10 ore al giorno. Fissare uno schermo per un periodo prolungato può provocare oltre ad un affaticamento visivo anche un alterazione della vista, in parte a causa delle posizioni adottate nell’utilizzo dei dispositivi, e in parte dall’emissione di luceblu. Che cos’è la luce blu? La luce blu è una porzione specifica della luce solare, che però viene emessa in particolar modo dai sistemi di illuminazione a basso consumo energetico (led e Xenon) e dai dispositivi LCD e LED. Tecnicamente la luce blu fa parte della luce visibile compresa tra i 380 e i 500nm ed è generalmente conosciuta per l’alta energia emessa e per la sua influenza sulla regolazione del ciclo sonno-veglia (ritmo circadiano). Per tali motivi, un’eccessiva esposizione può avere effetti nocivi sia sul benessere
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visivo (occhi affaticati, irritati, arrossati e secchi), che sul sonno. La luce blu ha caratteristiche sia benefiche e nocive a seconda della lunghezza d’onda: La porzione compresa tra i 465 nm e i 495 nm (blu-turchese) è essenziale per la nostra vista, per il funzionamento del riflesso pupillare e in generale per la nostra salute. Ed è la porzione di luce blu che regola il ciclo circadiano del sonno. La porzione compresa tra i 415 nm e i 455 nm (blu-violetto) è invece considerata dannosa per la i nostri occhi, in particolare per la retina e le cellule epiteliali pigmentate retiniche. Consigli per la prevenzione I riflessi dello schermo possono rendere difficoltosa la lettura. È possibile regolare il contrasto nelle impostazioni del computer. Orienta computer e televisione perpendicolarmente alla finestra e non di fronte per evitare un’intensità luminosa eccessiva. Avere sempre una fonte luminosa e non lavorare con i dispositivi al buio. Utilizzando smartphone o tablet,
di Rolando Z
ambelli
cerca di mantenere una distanza adeguata dallo schermo, circa 40 centimetri Lavorando al computer è consigliabile avere lo schermo ad almeno 60 centimetri. Ogni ora allontanati e non guardare lo schermo per 5 minuti. Utilizzare lenti che filtrano la luce blu benefica (blu-turchese), le quali favoriscono un corretto ritmo circadiano, riducono l’affaticamento degli occhi, migliorano il contrasto, riducono l’abbagliamento e il riverbero. Nell’attività all’esterno è sempre consigliabile indossare occhiali con protezione UV. Fare controlli della vista regolari presso l’optometrista o il medico oculista.
References http://www.aoa.org/news/clinical-eye-care/battling-blue-light?sso=y http://www.optometry.org.au/blog-news/2016/6/20/blue-light-guidelines-coming/ https://www.reviewofoptometry.com/ce/the-lowdown-onblue-light-good-vs-bad-and-its-connection-to-amd-10 9744 https://www.health.harvard.edu/staying-healthy/blue-lighthas-a-dark-side https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4734149/ https://www.scientificamerican.com/article/q-a-why-is-bluelight-before-bedtime-bad-for-sleep/ https://www.healio.com/optometry/contact-lenses-eye-wear/ news/online/%7B1b29c5c8-3b62-4041-9707-acc a28c3aaab%7D/filtering-blue-light-may-help-regulate-melatonin https://www.reviewofoptometry.com/article/seeing-blue-theimpact-of-excessive-blue-light-exposure www.essiloritalia.it www.zeiss.it
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In collaborazione con VINTAGE - Borgo Valsugana
Il fast food
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etteralmente significa “cibo o mangiare veloce” e secondo alcuni studiosi sembra essere nato nel 1860 quando in Inghilterra è stato aperto il primo “fish & chips”. E’ una particolare ristorazione di derivazione anglosassone non solo da cucinare o consumare in maniera rapida ma anche a prezzi economicamente convenienti. Negli ultimi tempi il fast food, che in moltissimi paesi veniva consumato anche per strada, si è potenziato perché numerosi locali sono in grado di offrirlo ai loro clienti. Questa particolare cucina o modo di mangiare è costituita principalmente da hot dog, hamburger, cotolette, sandwich e patatine fritte. Con il
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passare del tempo a questi alimenti si sono aggiunti anche altri cibi derivati da cucine etniche, kebab e il massiccio utilizzo di particolare salse. Il fast food è in genere caratterizzato da un costo relativamente modesto anche perché i maggiori consumatori sono i giovani ai quali oggi, e sempre di più, si aggiungono gli adulti che per motivi essenziali legati al tran tran quotidiano, al lavoro e anche all’economicità, si avvicinano a questo modo originalissimo di cibarsi. Una cosa però deve essere evidenziata e che riguarda appunto il rapporto
-qualità-prezzo. Molti, infatti, abbinano al basso costo e ai contenuti di principi nutritivi una scarsa qualità dei cibi. Forse potrebbe essere così quando si consuma il “fast food” per strada, altra cosa invece è quando ci si reca in una pizzeria, ristorante o altro locale. In queste realtà il fast food non solo è garantito dal rispetto delle norme igieniche, ma anche è soprattutto dalla qualità degli alimenti.
Le cronache locali CASTELNUOVO
Un bravo al Cantoria Sine Nomine
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l gruppo corale Cantoria Sine Nomine, diretto da Carlo Andriollo, si riconferma sul podio del concorso polifonico nazionale di Arezzo. Ben tre sono stati i premi vinti dalla compagine trentina, che, oltre ad ottenere il secondo premio (con primo non assegnato) nella categoria gruppi vocali e il terzo posto nella categoria cori misti, si è aggiudicato anche il Premio speciale Feniarco. Il coro si è esibito con due formazioni: il gruppo madrigalistico, composto da 16 cantori, e il coro misto di 36 elementi, partecipando quindi ad una doppia competizione. Il repertorio presentato in concorso, che doveva comprendere brani dal periodo rinascimentale fino agli autori contemporanei, ha voluto dare lustro anche a due compositori trentini, i maestri Roberto Di Marino e Nikos Betti, di cui sono stati presentati due brani sacri. La giuria, presieduta dal maestro Peter Broadbent e composta dai maestri Walter Marzilli, David Bandelij, Debora Bria e Luigi Leo, ha apprezzato particolarmente la scelta di repertorio del maestro Carlo Andriollo, volendo quindi assegnare al coro anche il premio speciale per il miglior repertorio presentato. Ottimo il livello della manifestazione che, come ha sottolineato il maestro Broadbent al momento della premiazione, denota la grande crescita qualitativa che la coralità italiana ha avuto negli ultimi anni, anche grazie all’operato di Feniarco, che promuove scuole ed accademie di direzione in tutta Italia, preparando maestri sempre più competenti e sostenendo la coralità giovanile. (M.D.)
NOVALEDO
Il restauro della chiesa
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econdo i tempi previsti, sono stati portati a termine a Novaledo i lavori di restauro della chiesa parrocchiale Sant’Agostino, sia quelli dovuti ai danni della tempesta Vaia, come altri tanto interni che esterni da tempo ritenuti necessari. In particolare, secondo il progetto redatto dall’architetto Cristina Mayr, si è trattato della rimozione e sostituzione del manto di copertura in tegole e lamiera e sostituzione della parte lignea. Sono stati rifatti poi gli intonaci esterni e ritinteggiato tutto l’interno. L’importo dei lavori si è aggirato intorno ai 300 mila euro oltre ad altri 100 mila per spese tecniche ed è stato finanziato con somme a disposizione della Parrocchia, con l’indennizzo dei danni da parte dell’assicurazione per 80 mila euro e con il contributo della Provincia Autonoma di Trento per 242 mila euro. Data la situazione economica della Parrocchia, è stato chiesto anche un contributo alla CEI ( 8 X 1000 ). Durante il periodo di esecuzione dei lavori, durato quasi tre mesi, le funzioni religiose si sono svolte presso la sala polivalente di Casa Zen. Con le solenni Messe di Natale e capodanno, celebrate dal parroco don Paolo Ferrari, si è inteso anche inaugurare il rinnovato tempio sacro dove davvero sembrava di respirare un’aria nuova in un ambiente festoso e pieno di luce. (M.P.)
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Le cronache locali SELVA DI LEVICO
Tanti cari auguri
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rande festa a Selva di Levico per Alba Quaglieri che recentemente ha raggiunto, per prima nella frazione, il secolo di vita. La festa è iniziata con una Messa celebrata da don Ernesto Ferretti nella chiesa di Selva alla quale hanno partecipato gran parte dei cittadini della frazione. All’uscita c’era, sul sagrato, la banda cittadina che ha intonato il “tanti auguri” e l’ha poi accompagnata, come in una processione, alle vicine ex scuole, ora sede delle associazioni. Qui, dopo le felicitazioni e gli auguri da parte del sindaco Gianni Beretta, del suo vice Patrick Arcais e del neo assessore Paolo Andreatta, la festa è proseguita con omaggi floreali e tanti dolci caserecci. (M.P.)
PERGINE
Viva gli Sposi
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arco Devigili e Luciana Casagrande hanno festeggiato allegramente in ambito familiare, i loro 58 anni di vita assieme. A far festa con loro c’erano, oltre alla figlia Lorena, i nipoti, pronipoti ed amici. Marco e Luciana si erano conosciuti in Svizzera, dove in gioventù hanno lavorato per circa 20 anni. Sono poi ritornati nella loro terra d’origine, lui nativo di Segonzano e lei a Nogarè, e sono andati ad abitare a Pergine in via Regensburgher dove risiedono tuttora. Nei giorni scorsi Marco e Luciana sono stati festeggiati anche dal locale Gruppo Pensionati del quale fanno parte ormai da tanti anni. La presidente Carmen Osler ha formulato loro a nome dell’intero Gruppo, le felicitazioni e gli auguri di una ancora lunga e felice vita assieme. (M.P.)
LEVICO TERME
Nozze d’oro
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ccompagnati dai figli, nipoti ed altri parenti, gli sposi Marco Francescatti e Adriana Moschen hanno festeggiato allegramente i loro 50 anni di vita assieme. Marco ricopre da tanti anni la carica di presidente del locale Gruppo Pensionati e così, in occasione di una festa dei soci, gli sposi sono stati festeggiati anche dal direttivo del Gruppo. Eccoli in questa foto con l’omaggio floreale donato alla sposa dal direttivo dei pensionati. (M.P.)
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Le cronache locali NOVALEDO
La festa dell’anziano
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lmeno novanta persone del paese e venute anche da fuori, iscritte al Gruppo Pensionati di Novaledo, hanno partecipato alla recente “Festa dell’Anziano” organizzata dall’Amministrazione comunale in collaborazione con il Gruppo. L’appuntamento si è svolto nella sala don Evaristo dove i dirigenti di questa associazione, con l’ausilio pure di altri volontari, hanno preparato e servito a tutti i partecipanti un ottimo pranzo accompagnato da tanti dolci caserecci. Dopo il saluto di benvenuto da parte della presidente Bruna Gozzer, del sindaco Diego Margon e del parroco don Paolo Ferrari, anche il presidente del consiglio regionale Roberto Paccher è giunto al termine del momento conviviale per un saluto e per complimentarsi per l’attività che questo piccolo ente svolge in favore delle persone non più giovani del paese. In concomitanza con questo appuntamento si è proceduto anche al tesseramento per il 2020. A tutte le donne è stato donato un fiore. (M.P.)
CALCERANICA AL LAGO
Evviva la Patrona
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on una festa estesa anche ai familiari, il Gruppo Culturale Miniera di Calceranica al Lago, ha festeggiato anche quest’anno la sua Patrona. Un appuntamento organizzato dal Gruppo stesso guidato da Carlo Martinelli, in collaborazione con l’amministrazione comunale per ricordare soprattutto la lunga pagina di storia di un paese che nei trascorsi decenni era conosciuto soprattutto per la sua miniera, per quel giacimento della Montecatini all’interno del quale trovarono sostentamento di vita centinaia di operai, non solo di Calceranica ma di tutta la valle, ma che, nel contempo, fu anche causa di tante malattie e di morte. E per ricordare questa lunga e memorabile pagina di storia, diversi anni fa è stato realizzato, nel sottotetto dell’edificio comunale di Calceranica, il “Museo del minatore” con tanta strumentazione dell’epoca. La festa per la Santa Patrona è iniziata con una S. Messa al termine della quale è stata deposta una corona d’alloro al vicino monumento al Minatore ed è poi proseguita con un pranzo collettivo presso l’hotel Paoli di Lochere, al quale hanno partecipato una settantina di famigliari degli ex minatori e anche i minatori che a distanza di 55 anni dalla chiusura dello stabilimento avvenuta nel 1964, sono ancora in vita. (M.P.)
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Che tempo che fa di Giampaolo Rizzonelli *
Selva di Grigno in Valsugana
In un inverno “mite” il suo micro clima ci “regalano” un po’ di inverno
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i 265 metri di Selva di Grigno l’inverno “dura di più” che da altre parti del Trentino, in realtà è una battuta, ma il fatto che per 100 giorni consecutivi non sorga il sole a causa delle montagne troppo vicine al centro abitato, rende questo posto particolarmente freddo, inoltre essendo posizionato sul fondovalle, permette all’aria fredda di accumularsi per giorni, creando forti inversioni termiche rispetto alle zone circostanti soleggiate. Nel 2018 l’Associazione Meteotriveneto ha installato presso le abitazioni di Claudio Maccabelli e Graziano Martello una stazione meteorologica Davis che invia ogni pochi secondi i dati meteo sul web. Gli stessi sono liberamente consultabili a questo indirizzo https://www.wunderground.com/dashboard/pws/IGRIGNO4 Il susseguirsi di numerose giornate con cielo sereno, ha favorito in questo mese di gennaio l’accumulo, non solo di aria fredda, ma anche la formazione di strati di brina e galaverna, così come documentato dalle fotografie n. 1, n. 2 e n. 3 (foto Claudio Maccabelli), che rendono il paesaggio veramente “invernale”, un “piccolo regno di Frozen”. In realtà quel che più colpisce del sito di Selva di Grigno non sono tanto le minime, che comunque sono interessanti, e molto più basse della maggior parte delle stazioni meteo poste a quote medio basse del Trentino, e in genere d’Italia a parità di altitudine, ma le massime che per giorni sono spesso inferiori allo zero. Se nel caso di minime inferiori o uguali allo zero (0°C) si parla di giorno di gelo, in caso di temperatura che rimane inferiore o uguale a 0°C per l’arco delle 24 ore si parla di giorno di ghiaccio. Ad esempio a Levico Terme o a Trento i giorni di ghiaccio in un anno sono rari, molte volte non si verifica nemmeno un solo giorno di ghiaccio in un intero anno. A Selva di Grigno invece i giorni di ghiaccio (giorno in cui la temperatura =< 0°C) sono molto frequenti, ad esempio nel solo mese di gennaio, dal 1° al 23 abbiamo rilevato ben 20 giorni, solo i giorni 4, 18 e 19 hanno registrato massime superiore agli zero gradi.
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Foto n. 1 - Selva di Grigno
Foto n. 2 - Selva di Grigno
Foto n. 3 - Selva di Grigno
Che tempo che fa Nel grafico, vengono comparate le massime rilevate dalla stazione meteo di Meteotriveneto posta nel “sito freddo” Selva di Grigno, con quelle rilevate dalla stazione meteo di Meteotrentino posta a Grigno. Dal confronto appare subito evidente la differenza macroscopica tra i valori di Selva di Grigno (sempre e comunque più bassi) rispetto a quelli di Grigno. La differenza media nei primi 23 giorni di gennaio è di ben 6,9°C (Selva di Grigno più fredda di Grigno) con una punta di 11,4°C di differenza nelle massime del giorno 20 gennaio. I valori si avvicinano solo in caso di maltempo o cielo nuvoloso, come è accaduto nella giornata di sabato 18 gennaio (+1,9°C a Selva di Grigno, +3,4°C a Grigno). Da notare come a fronte dei 20 giorni di ghiaccio (su 23) di Selva di Grigno, a Grigno non si sia rilevato un solo giorno di ghiaccio, quindi a Grigno tutte le massime sono state superiori allo zero. *Elaborazioni di Giampaolo Rizzonelli anche su dati forniti da Provincia Autonoma di Trento e da Associazione Meteotriveneto
IL NUMERO VERDE È ATTIVO
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imane. Chiamando l numero verde è attivo da diverse sett zioni sui servizi alla persona, l’800980034, si possono avere informa offerti dalla rete integrata di piccoli lavoretti, trasporti e altri servizi itorio. L’iniziativa è stata promossa in Servizi Pubblici e Privati attivi sul terr del progetto “Angeli di paese” per Bassa Valsugana e Tesino nell’ambito promuovere un welfare generativo. intercettare i bisogni degli anziani e io 8-12, sarà possibile avere inforAttivo dal lunedì al venerdì, con orar tidianità, venendo eventualmente mazioni anche ai problemi della quo può dare una risposta adeguata. reindirizzati al servizio/soggetto che ti over 65 rispetto ai ragazzi/e unDal 1986 ad oggi, il numero dei residen è cresciuto di 60 punti. In Alta Valsugana e Tesino: a livello provinciale sa Bas in ti pun 80 ben di ato ent aum l’indice di invecchiader 14 è uni del Tesino (Castello, Pieve e Cinte) com tre Nei si. bas più ci indi gli na Valsugana ed in Rotalia e e Scurelle. ce si registra a Novaledo, Roncegno Term inve ia chia vec di ce indi or min il , alto nte della Comunità mento più ietà sta vivendo – ricorda la vicepreside soc tra nos la che ni azio form tras de “Alla luce delle profon itorio permette di dare delle azione da parte di vari soggetti del terr attiv di à acit cap o gioc in e tter me Gilli essere e quello di Giuliana prio domicilio, perseguendo il loro ben pro nel erle ten man di ili, erab vuln più risposte alle persone getto “Angeli di paese”, nato delle iniziative messe in campo dal pro una solo è e verd ero num Il à”. unit eme alla Comunitutta la com e più vulnerabili della popolazione. Insi fasc e dell o egn sost a one razi abo coll mid, il per creare una rete di iale, la Fondazione Romani Sette Sch Soc a ativ per Coo ietà Soc s Vale i, gian iazione Accoglienza tà di Valle ci sono l’Associazione Arti Rossa Italiana Bassa Valsugana e l’Assoc ce Cro la , ana Um ietà Soc la na, uga comune di Borgo Vals futuro le condizioni necessarie ’oggi e diventeranno sempre di più in tutt o son cità pro reci e ità tual Mu ica. Mano Am fare. (M.D.) per affrontare le sfide del nuovo wel
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o d n a l l e r e h c io
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CRUCI...TRENTINO
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Trovate le parole rispondenti alle definizioni date, aiutandovi con le sillabe qui elencate alla rinfusa. Dalle lettere nelle colonne a sfondo colorato, si otterrà una domanda alla quale dovrete dare la risposta.
Trovate le parole rispondenti alle definizioni date, aiutandovi con le sillabe qui elencate Dalle- 3.lettere 1. Sostengono i pantaloni - 2. Rimedioalla usato rinfusa. contro la malaria I modelli nelle da seguire - 4. Cittadina ligure sede del Salone Internazionale dell’Umorismo Quelcolonne a sfondo colorato, si otterrà una domanda alla- 5.quale lo italianodare comprende ventuno lettere - 6. Così è definita l’auto funzionante sia a dovrete la risposta.
benzina che a batterie - 7. Essere incerti su come agire - 8. È causa di curvatura anomala della colonna vertebrale - 9. Lo è chi è pieno di dubbi o di incertezze 1. i pantaloni - 2. sulle Rimedio usato contro malaria 10.Sostengono I due punti che spesso si trovano vocali tedesche - 11. Èla stato il decimo Presidente della Repubblica Italiana Irrigidire un arto fratturato - 13.Salone Il 3. I modelli da seguire - 4.- 12. Cittadina ligure sede del comune topolino delle cantine. Internazionale dell'Umorismo - 5. Quello italiano comprende
ventuno lettere - 6. Così è definita l'auto funzionante sia a benzina che a batterie - 7. Essere incerti su come agire - 8. E' causa di curvatura anomala della colonna vertebrale - 9. Lo è chi è pieno di dubbi o di incertezze - 10. I due punti che spesso si trovano sulle vocali tedesche - 11. E' stato il decimo Presidente della Repubblica Italiana - 12. Irrigidire un arto fratturato - 13. Il comune topolino delle cantine.
SOLUZIONI NR. DI DICEMBRE 2019 CRUCI... TRENTINO
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ORIZZONTALI: 1. Un famoso eremo vicino a Rovereto - 12. Una Provincia come quella di Trento - 13. Una abbreviazione sulla busta - 14. La sigla di una taglia molto piccola - 15. Riparano stecche e manici - 18. È famoso quello delle Benne - 20. Ammiraglio che diede il nome ad una corazzata e ad un sottomarino del secolo scorso - 21. Si discute in una riunione (sigla) - 22. Pianta erbacea del Centro/ Sud America i cui semi sono molto usati nell’alimentazione - 23. Una Valle e una città italiana - 25. Articolo romanesco - 26. Si accompagnano ai crauti - 27. Una negazione - 28. La sigla del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca - 30. Preceduta da Sine, significa senza una scadenza - 31. Una marca di benzina - 33. Aspettato da tempo - 35. Anche Madrano ne ha uno - 37. Nota forma allotropica dell’ossigeno - 38. Grossa città del Nord della Sardegna dove si parla il catalano - 40. Il conduttore di La Repubblica delle Donne su Rete 4 (iniz.) - 41. Non tutti vengono per nuocere - 42. Scopi... senza sci! - 43. L’ornitologia è quella che studia gli uccelli - 46. La fine delle bugie - 47. Non qui - 48. Tante sono le virtù teologali 49. Zelo, alacrità - 52. L’ultimo Giovanni Paolo - 53. Si cita quello classico o quello scientifico - 54. Balena nella mente. VERTICALI: 1. Strumento tipico delle orchestrine jazz - 2. Il lager più spesso nominato - 3. Si ripetono nell’intento - 4. Como - 5. La Yoko moglie di J. Lennon - 6. Una Mezzo... in Trentino - 7. Dicesi di cavalli facili a spaventarsi - 8. Il nome della Patuzzi famosa violinista svizzera - 9. Svolge i compiti del Servizio Sanitario Nazionale (sigla) - 10. Il più lungo fiume africano - 11. Regione del Corno d’Africa contesa fra Etiopia e Somalia - 16. Un istituto con personalità giuridica - 17. Si dice di sostanza che assorbe facilmente l’umidità atmosferica - 19. Quello d’Arabia è conosciutissimo! 24. Il Dante a cui è dedicato il ponte sul Rio Maggiore a Levico Terme - 28. Nei cortei sventolavano il Libretto rosso - 29. Chimere, illusioni - 32. Il più famoso Edgard Allan - 34. Targa di Sondrio - 36. Il bulbo che si strofina sulla bruschetta - 38. Volere bene - 39. Una voce della busta paga (sigla) - 44. Il verso del grillo - 45. Un taglio netto! - 50. Il centro di Padova - 51. Edward per gli amici.
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A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il nome di un famoso ingegnere trentino progettatore di una colossale opera idraulica in Africa.
A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il nome del tradizionale ritorno 1 a valle del bestiame dopo l'alpeggio estivo. 2
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ORIZZONTALI: 1. Il fiume di Saragozza – 5. Una Piazza e un Palazzo di Trento sotto i quali è stata ritrovata una importante area archeologica – 11. Paese a nord di 3Trento che fondendosi con il limitrofo Comune di Zambana, a partire dal 1 gennaio 2019 ha dato vita al nuovo Comune di Terre d'Adige – 14. Da qui provengono le più note susine trentine – 15. Congiunzione inglese – 16. Produce le auto Duster e Sandero – 18. Una delle sue più note canzoni è Il gatto e la 4 volpe (iniz.) - 19. Il corrispettivo che si riceve in cambio della vendita di un bene – 21. Testa-coda in... Lotus! - 22. Il rame in chimica – 23. Io e te – 24. Come sopra – 27. La Negri poetessa italiana – 28. Finire... in brutte acque! - 30. La chiusura del caso – 31. Organizzazione paramilitare del partito nazista tedesco (sigla) – 33. Varietà di calcedonio 5 traslucido – 34. La religione maomettana – 36. Le consonanti di Diaz – 37. La targa di Asti – 38. Un codice bancario – 39. Aperitivo alcoolico molto diffuso nel Triveneto – 41. Insaponarsi sotto la doccia – 44. Il gruppo rock dei fratelli 7 Gallagher –645. Nome antico della Val di Non – 46. Lieve imperfezione cutanea – 47. Il Matteo le cui Novelle risalgono alla seconda metà del XVI secolo – 49. Sono doppie nei panneggi – 51. Spostandone l'iniziale in fondo, diventa saio – 52. Interpretò Spartacus (iniz.) - 53. La A di RAF. 8
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VERTICALI: 1. Un verso della Divina commedia – 2. Il nome con cui sono conosciuti i rivoluzionari cubani del Movimento 9del 26 luglio – 3. Sono pari nel trivio – 4. A inizio e fine ottobre – 5. A volte 10 si spezza a favore di qualcuno - 6. Si cavalca col surf – 7. Dottore in breve – 8. Una pianta come l'azalea – 9. Una Contrada del Palio di Siena – 10. La sigla del noleggio con conducente – 12. L'abito del monaco – 13. Olio... inglese – 17. Sono molto usate dai boscaioli – 19. Rimini sulla targa – 20. Un prodotto 11 come il Veltliner – 25. Abitante del Cairo – 26. Computer della Apple – 29. Di solito sono provocate da stimoli – 31. I sudditi di Casa Savoia – 32. Il suo nome turco è Izmir – 35. Capitale cubana – 39. L'acronimo che indica lo strato superiore della crosta terrestre – 40. Termine che letto due volte, dà il nome di un 12 tropicale – 42. Ha la gestione delle strade italiane (sigla) – 43. Fiume del Trevigiano – 48. D'accordo temibile insetto negli USA – 50. La provincia toscana con l'Argentario (sigla).
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