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ANNO 6 - giugno 2020
Periodico gratuito d’informazione e cultura
La malagiustizia: INNOCENTI COLPEVOLI Fatti e misfatti: le odiose accise
In ricordo di un amico: Giovanni Battista Lenzi
LEVICO TERME - Via Claudia Augusta, 27/A - Tel. 0461.707273 - Fax 0461 706611 ALTRE INFORMAZIONI SU TUTTE LE NOSTRE AUTO, MOTO E FUORISTRADA NEL SITO WWW.BIAUTO.EU Auto, Moto & Fuoristrada di tutte le marche
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Punto & a capo di Waimer Perinelli
Il bambino col cerino acceso
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iamo arrivati a giugno, la metà di un anno bisesto e funesto. Sui lidi dei laghi di Caldonazzo e Levico ombrelloni e sedie a sdraio schierati come pedoni di una partita a scacchi, attendono quelli che non s’arrendono mai, quelli che hanno fatto della speranza la ragione di vita, quelli che credono nel potere della scienza o nell’incompetenza della politica. Per gli irriducibili, gli operatori turistici hanno allestito una scenografia che senza di loro è solo natura malinconica, immagine metafisica o surreale. Il tempo si ferma o muta come nelle opere statuarie di De Chirico o liquefatte di Salvador Dalì. Il primo vero caldo porterà sui laghi i bagni senza spruzzi d’acqua, le veleggiate con la mascherina al gomito, le grida dei bambini, le passeggiate sui sentieri, le arrampicate sulle Falesie. Fra i vacanzieri mancheranno buona parte dei turisti stranieri da molti anni diventati di casa. Venire in Italia , un paese dove il corona virus pericoloso di suo è diventato arma di terrorismo politico, richiede una doppia dose di coraggio e fiducia, più di quella di cui abbondano tanti italiani in qualche caso diventati incoscienti.
La pandemia Covid 19 ha portato molti cambiamenti, purtroppo non ha cancellato la stupidità, la cattiveria. La Grecia ha emanato una legge con cui dal 15 giugno apre il territorio ai turisti stranieri ma non agli italiani, rimandati al primo luglio, ma, scrive il Corriere della Sera, la chiusura non riguarda la nazionalità degli ospiti bensì il paese di provenienza. I fanatici dell'insalata con Feta e della Moussaka, potranno decollare da qualsiasi altro aeroporto di paese non censurato ed atterrare ad Atene o Salonnico. Pure la Croazia chiude le frontiere agli italiani ma non se arrivano con prenotazione alberghiera, con grande angoscia per i nostri diportisti abituati ad attraversare con la barca, oggi sicura dalla pandemia come un’isola in mezzo al mare, l’Adriatico per approdare sulle coste dell’Illiria e Dalmazia. Ma di che dovremmo lamentarci noi italiani che fatichiamo ad aprire i confini delle nostre regioni? La Pandemia ci ha rivelato che l’Italia è un paese di vecchi ma non per vecchi. Ne sono morti tanti di anziani! I più numerosi fra le vittime. La maggior parte è stata sorpresa nella Case di riposo dove scontavano gli ultimi anni, forse mesi o giorni, di vita. Con loro ci ha lasciato una generazione di cui ci restano pochi scampoli. Età media oltre 85 anni, quelli nati negli anni Trenta. Le statistiche sociali ed economiche ci raccontano di una generazione fortunata, sfiorata dalla
seconda guerra Mondiale, vissuta negli anni d’oro del boom economico, quelli della ricostruzione, dello Stato dove liberale e sociale hanno spesso collaborato,. dissipato poi da una classe politica inetta se non infedele. Questa classe dirigenziale, in parte eclissatasi, senza lasciare rimpianti, in qualche caso rabbia, ha consumato il tempo sociale ed economico non solo proprio ma anche dei figli propri, e spesso solo degli altri, per giunta rimasti senza lavoro e con montagne di debiti da spartirsi. A questa generazione nata negli anni Sessanta è rimasto il cerino acceso fra le dita e il compito di far quadrare il bilancio ai cui soldi, per aiutare le terza generazione nata negli anni Novanta, si accede raschiando il fondo del barile. Il Covid 19 ha sfondato la botte e i soldi, per ora solo a parole lanciate a pioggia dall’alto su scheletri di progetti, buone intenzioni, grandi riforme e promesse di sussidi. Mentre si gioisce, pur con timore, per la solidarietà europea, si guarda ai più piccini risparmiati dalla Pandemia ma che già si scottano le dita con il cerino acceso.
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SOMMARIO ANNO 6 - GIUGNO 2020 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 2815103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Chiara Paoli - Elisa Corni COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser COLLABORATORI Waimer Perinelli - Roberto Paccher - Erica Zanghellini Katia Cont - Massimo Dalledonne - Francesca Gottardi Maurizio Cristini - Laura Mansini - Alice Rovati Giorgio Turrini - Laura Fratini - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover - Veronica Gianello Giampaolo Rizzonelli - Mario Pacher CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE - GRAFICA - STAMPA Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN)
PER LA TUA PUBBLICITÀ cell. 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a GRAFICHE FUTURA srl, le loro pubblicità, le loro immagini i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.
Punto & a capo 3 Sommario 5 In ricordo di un amico: Giovanni Battista Lenzi 7 La malagiustizia in Italia 8 La malagiustizia in USA: innocenti colpevoli 9 A parere mio: cosa accade in Valsugana 14 Ieri avvenne: lo scandalo dell’Edilizia Valsuganese 18 In ricordo di Enzo Bosso 21 Scuola e Società: la scuola digitale 22 A ciascuno il suo 23 Umana-mente: ritorneremo alla normalità? 25 I più grandi ballerini della storia 27 Il passato in cronaca: la peste in Valsugana nel 1630 30 Come eravamo 31 Uomo e Natura: le teorie del linguaggio parlato 33 Ieri avvenne: 21 giugno 1280 - I Savoia 34 Fatti e misfatti: le odiose accise 37 In memoria di Raffaello Sanzio 42 Conosciamo il territorio: la Madonna della Rocchetta 44 L’artista in controluce: Arnaldo Pomodoro 46 Storie di casa nostra: Strigno e l’illustre stirpe 49 Arte di casa nostra: Grand’Hotel per venti artisti 52 La pagina della poesia: Maria Campregher 54 Fatti di casa nostra: il cannone della Val Caldiera 55 In controluce: ripartire tornando alle origini 56 Conosciamo il territorio: splendido Lagorai 58 Italia Oggi: le vacanze del boom economico 61 Trentino Young Scientist Challenge 62 Economia e Finanza 63 Storie di casa nostra: i valsuganotti prigionieri in America 64 La pagina della poesia: Daiana Berloffa 66 Medicina & Salute: come sarà la vita dopo la pandemia? Medicina & Salute: bambini il virus e gli affetti Medicina & Salute; le regole per l’igiene visiva
Il personaggio Massimo Tononi Pagina 16
Medicina & salute Sole amico e nemico Pagina 69
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In Valsugana: è nata Genius 73 Che tempo che fa 76 Il glossario della meterologia 77 Giocherellando 78
Girovagando Castel Trauttsmandorff Pagina 74
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In ricordo un amico di Marco Nicolò Perinelli
Giovanni Battista Lenzi A undici anni dal tragico incidente aereo sul quale hanno perso la vita il Consigliere provinciale originario di Samone, l’ex sindaco di Canal San Bovo, Luigi Zortea e il direttore della Trentini nel mondo, Rino Zandonai
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ravamo seduti al solito caffè, quello aperto da un paio d’anni all’angolo tra via Torre Verde e Vicolo Adige, proprio vicino al suo ufficio a Trento. Con lui, che avevo conosciuto appena eletto nel 2003, quando svolgevo la mia professione di giornalista in una televisione privata trentina, avevo poi lavorato per più di due anni all’interno del Consiglio provinciale e avevo stretto un rapporto di reciproca fiducia e stima. Da pochi mesi ero stato selezionato come responsabile dell’Ufficio stampa del Consiglio regionale e anche in quel ruolo avevo mantenuto con lui, alla sua seconda legislatura, un rapporto di sincera amicizia. E quella mattina mi aveva chiamato per parlare del viaggio che avrebbe intrapreso da lì a poco, un viaggio che desiderava fare: Gianni era entusiasta di quella opportunità. L’indomani avrebbe potuto incontrare in Brasile i discendenti dei trentini emigrati alla fine del XIX° secolo, per portare un messaggio di vicinanza e rafforzare quel ponte invisibile che
Foto di gruppo a Piraquara
unisce figli della stessa terra a migliaia di chilometri di distanza. Non era la prima volta che attraversava l’Oceano Atlantico, ma ora lo faceva in veste ufficiale, come rappresentante della Provincia di Trento e del Consiglio regionale e sentiva su di sé la responsabilità Giovanni Battista Lenzi di quel ruolo. E questo lo riempiva di orgoglio. Gianni era una persona genuina, capita che, guardando l’aula dalla un uomo che credeva profondamenmia postazione durante le sedute del te nella politica come missione, aniConsiglio regionale, il pensiero vada a mato dallo spirito autentico di chi si Gianni, alla sua figura imponente, alla avvicina all’amministrazione per dare sua camminata un po’ dinoccolata, al il proprio contributo alla società in suo modo di affrontare con il sorriso cui vive. Mi raccontò di cosa avrebbe anche le difficoltà. “Sempre in ordine fatto, dei luoghi che avrebbe visitato e a testa alta” - come ricorda la moglie e degli incontri che avrebbe fatto. Gli - “Era un uomo generoso che ha chiesi di fare fotografie e di prendere dedicato la sua vita alla politica. Una nota, che al suo ritorno avremmo povolta – racconta Maria Grazia Dalfollo tuto raccontarlo attraverso la stampa. - quando era Sindaco, una signora Lo salutai augurandogli buon viaggio andò in municipio a chiedere se ci e lui mi rispose con il suo ampio sorfosse un contributo per il figlio che riso, incorniciato dai grandi baffi neri. avrebbe voluto partecipare a un corNon avrei mai pensato che quella so di musica, ma non aveva soldi per sarebbe stata l’ultima iscriverlo. Gianni non esitò e iscrisse volta che lo salutavo. di tasca propria il ragazzo al corso”. Sono passati undici È solo un esempio, tra i tanti che si anni da quel malepotrebbero fare, del modo di fare di detto volo Air France Giovanni Battista Lenzi, un uomo che che, insieme a Gianni, ha sempre agito sostenendo che a ha portato via l’ex fare la differenza è come ciascuno sindaco di Canal San vive la propria vita. E certamente Bovo, Luigi Zortea, lui ha saputo fare la differenza per e il direttore della molte persone, per le quali ha speso Trentini nel monil proprio tempo e la propria energia, do, Rino Zandonai. lasciando una traccia indelebile in Eppure ancora oggi coloro che lo hanno conosciuto.
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La malagiustizia in Italia di Waimer Perinelli
Ingiusta detenzione - Errori giudiziari 740 milioni di risarcimenti in 7 anni
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lessandro Manzoni nel saggio “La colonna infame” racconta della condanna a morte inflitta a due cittadini milanesi nel 1630 accusati di avere diffuso con unguento la peste. Oggi sia l’accusa che la condanna non avrebbero motivo d’esistere, tanto che il ministro alla giustizia Alfonso Bonafede ha affermato che in Italia gli “innocenti non finiscono in carcere” Una verità tanto evidente da apparire banale se pensiamo alla giustificazione dello stesso ministro davanti alle polemiche: è chiaro che chi lo Stato assolve in carcere non ci va. Ma il problema sorge quando l’imputato aspetta in carcere il processo, che dura tre gradi di giudizio, in qualche caso molti anni ed è innocente, in primo luogo perché in base all’articolo 27 della Costituzione “ l’imputato non considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. La custodia cautelare è tuttavia una misura prevista come
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prevenzione contro altri reati ma questa, se l’imputato viene poi assolto, diventa “ingiusta detenzione”. Il problema non è qualitativamente e quantitativamente cosa da poco. Pensiamo ad alcuni casi clamorosi come Enzo Tortora, celebre presentatore televisivo, per sette mesi in carcere, condannato a dieci anni di carcere e poi assolto, o Pietro Valpreda, tre anni di carcere, per la strage di
piazza Fontana a Milano, poi assolto. Vengono chiamati errori giudiziari. Dal 2012 esiste l’Associazione Italiana Vittime di Malagiustizia, una Onlus che in sette anni di attività ha classificato oltre settemila vittime. Una goccia, per quanto dolorosa, nel mare delle 150 mila persone che finiscono ogni anno sotto processo. Per quanto vengono ingiustamente detenuti lo Stato prevede dal 1992 un risarcimento che, alle tasche degli italiani, è costato finora 740 milioni di euro. Di questi sono 46 milioni quelli che, tra il 1991 ed il 2017, sono stati risarciti per errori giudiziari: quindi non solo per ingiusta detenzione bensì per errori conclamati di cui i giudici, se ritenuti colpevoli di dolo, risarciscono di tasca propria, se invece essi stessi in “Bonafede” non hanno obblighi economici. Oggi, le vittime di errori giudiziari devono considerarsi fortunati visto che nel 1630 i due presunti untori Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Piazza furono condannati a morte e giustiziati. Né andò meglio ai due emigranti italiani Sacco e Vanzetti che nel 1927 furono giustiziati a Charlestown, salvo poi essere riabilitati.
Qui USA di Francesca Gottardi è la nostra corrispondente dagli USA
LA MALAGIUSTIZIA Il problema degli errori giudiziari in America e nel mondo
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econdo dati del 2019, il sistema di giustizia penale americano ha una popolazione carceraria di 2,3 milioni di persone, suddivisa tra 1.719 carceri statali, 109 carceri federali, 1.772 strutture di correzione minorile, 3.163 carceri locali e 80 carceri tribali, nonché in carceri militari, ed in ospedali psichiatrici statali. Ciò ammonta ad un tasso di 698 persone incarcerate per 100.000 abitanti. Un numero elevatissimo. Si stima che tra il 2,3% ed il 5% dei prigionieri che stanno attualmente scontando una pena siano innocenti. Ciò equivale ad un numero compreso tra 52.900 e 115.000 di individui finiti dietro le sbarre senza colpa, persino nel braccio della morte. L’ Innocence Project è la più importante e prestigiosa orga-
nizzazione mondiale che si batte per liberare gli innocenti in carcere. Il movimento ha dato vita ad un vero e proprio Innocence Network, che è presente in tutto il mondo, compresa l’Italia, dove ha nome Italy Innocence Project. Ad oggi, il movimento ha contribuito al rilascio di 2.622 prigionieri soltanto negli USA. Questo per un totale di 23.000 anni di pena ingiustamente scontata. Uno degli istituti legali di maggior successo nell’ambito della scarcerazione di prigionieri ingiustamente condannati è l’Ohio Innocence Project, guidato dal Prof. Mark Godsey, con sede a Cincinnati. Dalla sua fondazione, l’Istituto ha permesso la scarcerazione di oltre 30 innocenti, per un totale di 600 anni di carcere ingiustamente scontati.
INNOCENTI COLPEVOLI Una vita in carcere per un errore giudiziario
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’intervista esclusiva, che segue, è frutto della testimonianza di due di queste persone, per i quali è stata poi dimostrata l’estraneità ai fatti loro contestati: Dean Gillispie Ohio, USA (condannato nel 1991 a 56 anni di carcere per stupro, rapimento e rapina a mano armata. Assolto nel 2017 all’età di 46 anni, dopo 20 anni di detenzione) e Jerry McMeans, Ohio, USA, (condannato nel 1989 all’ergastolo per violenza carnale, assolto nel 2020, all’età di 85 anni, con libertà condizionale dopo 31 anni di carcere). Entrambi erano detenuti nel Warren Correctional Institution nella città di Lebanon (Ohio-USA). Inoltre, questa intervista, fa riflettere circa la situazione di un nostro conterraneo, Chico Forti, che da vent’anni si trova in prigione negli Stati
Uniti e si sta battendo per ottenere giustizia. Nonostante l’intervento della Farnesina e di importanti testate televisive non è ancora riuscito ad ottenere
giustizia. Ma questo è un altro capitolo, che sta a dimostrare quanto sia difficile nel sistema giudiziario (in America e non) ammettere i propri errori.”
Da destra Mark Dean e Jerry
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Qui USA LE DOMANDE E LE RISPOSTE Quando è stato rilasciato dal carcere? Dean Gillispie (“DG”): Nel 2011 con libertà condizionale, ma sono stato assolto solo nel 2017. Sono stato il primo caso dell’Ohio Innocence Project, nel 2003. Ho trascorso 20 anni in prigione per un crimine che non ho commesso. Jerry McMeans (“JM”): Il 6 marzo 2020, con libertà condizionale, ad 85 anni compiuti. Ho trascorso 31 anni in prigione da innocente. Se non fosse stato per Dean [Gillespie] e per l’Ohio Innocence Project, sarei probabilmente morto in prigione. Di quali crimini è stato accusato? DG: Nel settembre del 1990, sono stato arrestato per rapimento, stupro e rapina a mano armata. La giuria mi ha poi dichiarato colpevole di tutte le accuse, tranne che per la rapina a mano armata. Questo sulla base della testimonianza delle tre vittime coinvolte. JM: La mia figliastra mi ha accusato di stupro. Senza prove tangibili. E sono stato condannato solo sulla base della sua testimonianza. Potrebbe descrivere il Suo arresto e cosa ha pensato in quei momenti? DG: Ho pensato che nessuno va in prigione per qualcosa che non ha fatto. Avevo un alibi e persone che avevano testimoniato dov’ero al momento del fatto. Invece di lì a poco mi sono trovato in tribunale, sotto processo. Le discrepanze erano moltissime. Ad esempio, la vittima ha affermato che l’attaccante non aveva capelli grigi (io ,invece, avevo capelli visibilmente grigi fin dalle superiori) e che era molto abbronzato. Io ho sempre avuto una carnagione chiarissima, non mi sono mai abbronzato in vita mia. E l’elenco delle discrepanze ha continuato. E io mi chiedevo:, perché sono ancora su questa sedia? Perché siamo qui? Cosa sta succedendo? Ero veramente incredulo. JM: Un giorno sono tornato dal lavoro, era a febbraio, ricordo che faceva molto freddo. Mi sono sdraiato e ho fatto un
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Jerry Mc Means
pisolino. Sono stato svegliato dalla polizia. Mi hanno ammanettato e hanno detto che mi stavano arrestando per stupro. Mi hanno messo in prigione a febbraio, ma il caso non è stato sentito fino ad agosto. E mai avrei creduto di essere condannato. Ho solo pensato: “quando vado in tribunale, vedranno cosa sta succedendo e mi lasceranno andare”. E invece ho trascorso 31 anni dietro le sbarre. Molti di coloro che finiscono per essere condannati ingiustamente confessano di aver commesso il reato a seguito di coercizione o per farla finita, in un fenomeno noto come “falsa confessione”. È qualcosa che Le è mai passato per la testa? DG: È vero. Il Tribunale mi ha offerto
La nostra Francesca che intervista in video conferenza Jerry
una riduzione della pena a 30 giorni in cambio di una mia ammissione di colpevolezza. Ho risposto: “30 giorni, 30 minuti, 30 anni, non confesserò mai qualcosa che non ho fatto!” JM: No, mai. Avrebbero potuto tenermi lì fino al giorno della mia morte. Mi hanno offerto da 8 a 15 anni se mi fossi dichiarato colpevole. Il mio difensore d’ufficio voleva che confessassi. Ho rifiutato. Ho detto: “Non sono colpevole e non mi dichiarerò colpevole”. Lui [l’avvocato] ha detto: “beh, ti condanneranno comunque.” Mi hanno condannato a 3 ergastoli. Quale è stata la reazione della Sua famiglia e dei Suoi amici a seguito della Sua condanna? Come l’hanno supportata? DG: La mia famiglia ed i miei amici sono stati fantastici. Sono sempre stati al mio fianco. Nessuno ha mai messo in dubbio la mia innocenza. Non riuscivano a credere a ciò che stava accadendo davanti ai loro occhi. In questo senso, sono stato molto fortunato. JM: La mia famiglia aveva piena fiducia in me, non si capacitavano di quello che stava accadendo. Mi hanno supportato come potevano. Non avevano molti soldi, quindi non potevano aiutarmi a pagare un bravo avvocato. Sono
Qui USA
Sede OIP dall’interno
finito con un difensore d’ufficio oberato di lavoro, e senza il tempo materiale per perorare la mia causa. È solo un sistema corrotto, specialmente per chi non ha soldi. Quali sono stati gli errori più eclatanti nell’indagine del Suo caso? DG: Talmente tanti errori che ho perso il conto! Ti faccio un esempio. Nell’identificazione fotografica da parte delle vittime, la mia foto aveva uno sfondo giallo, mentre le altre foto avevano uno sfondo blu. Inoltre, la mia foto aveva una finitura opaca ed era un primo piano del volto, le altre foto no. Il giudice ha comunque consentito di presentare la formazione fotografica come prova, nonostante fosse stata condotta in maniera chiaramente suggestiva. JM: Nel mio caso, non penso che ci sia stata una vera e propria indagine. La mia figliastra mi ha accusato di stupro e le hanno creduto. Questo nonostante lei avesse già in precedenza accusato falsamente almeno altre 18 persone dello stesso crimine. Poiché era una minorenne, ed aveva un ritardo mentale, si trovava in una situazione di particolare protezione giuridica. Che sentimenti nutre oggi nei confronti delle vittime che l’hanno ingiustamente identificata come l’autore del crimine? DG: Non ho nessuna animosità verso le vittime perché sono state ingannate. Erano giovani e come me sono state a loro volta vittime del sistema. Non hanno mai ottenuto giustizia. Nutro invece sentimenti avversi nei confronti degli avvocati, dei poliziotti e del giudice. Loro si che dovrebbero essere
ritenuti responsabili, perché sapevano esattamente cosa stavano facendo. Sapevano che stavano prendendo la vita di qualcuno - la mia. JM: Mi dispiace per la mia figliastra. Era solo una bambina. Aveva già accusato falsamente diverse persone. E si sapeva che aveva una qualche forma di ritardo mentale. A parer mio, se avesse ricevuto adeguato supporto medico e psicologico, probabilmente oggi sarebbe una cittadina produttiva. Invece è stata a sua volta arrestata per prostituzione e droga. E quindi mi dispiace per lei, anche se mi ha fatto soffrire così tanto. Non si è comunque mai esplicitamente scusata con me, ma mi ha scritto delle lettere molto belle mentre ero in carcere, cose che non scriveresti mai a qualcuno che ti ha stuprato. Ha mai perso la speranza? DG: No, mai. Sapevo di essere innocente. Mia madre e i miei amici erano là fuori a combattere come dei matti. Per i primi 10 anni i miei genitori si sono sepolti nei debiti per pagare gli avvocati. Poi quando l’Ohio Innocence Project ha cominciato ad aiutarmi sapevo che sarebbe stata solo una questione di tempo. JM: Non credo di aver mai perso completamente la speranza. Alcuni giorni mi sentivo terribilmente giù di morale e pensavo che non sarebbe mai finita. Sapevo,però, di essere innocente e non potevo accettare il fatto che non avrei ricevuto giustizia prima o poi. La speranza è ciò che mi ha tenuto in vita in prigione. Ci sono voluti 31 anni per tornare un uomo libero, ma alla fine eccomi qui, grazie all’Ohio Innocence
Project. Durante il suo periodo di detenzione, avrà sicuramente vissuto molte esperienze difficili. Ci racconta? DG: Oh, ho visto tutto. Ho visto ragazzi pugnalati con le matite. Ho visto ragazzi sbattuti al suolo da altri detenuti in modo così violento che si sentiva il rumore della loro testa esplodere al suolo come un melone su un pavimento di cemento. È un suono che non vorresti mai udire; ed io l’ho sentito più volte. Ho visto un ragazzo prendere un pugno in faccia così forte che l’occhio gli è uscito dalla cavità oculare ed era lì, sospeso sulla sua guancia. Le carceri sono luoghi violenti. La vita dei detenuti non ha nessun valore, soprattutto se hai l’ergastolo. D’altra parte, se sei destinato a marcire in carcere, perché dovrebbe importargliene a qualcuno della tua vita? La gente non si rende conto di quante persone vengono uccise in prigione ogni giorno in America. JM: Sì, il suicidio del mio compagno di cella. Un giorno sono rientrato dal lavoro e sulla porta della cella c’era il cartello che di solito si appendeva quanto il compagno di cella usava il bagno. Ho aspettato ed aspettato, ma niente. Dopo circa 30 minuti ho socchiuso la porta, aspettandomi di trovare il mio amico a guardare la tv. Invece lo ho trovato impiccato al letto a castello con un laccio per stivali. Si era lasciato soffocare. È stata un’esperienza
Dean Gillispie con il Prof. Mark Godsey
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Qui USA traumatizzante, soprattutto perché ho continuato a rimanere in quella stessa cella dopo il fatto perché non mi hanno trasferito. Il Suo è stato un terribile errore giudiziario. Cosa pensa della giustizia, delle leggi che la regolano, e di chi la rappresenta? DG: Non tollero la polizia. Non sopporto di vedere l’uniforme. Ho alcuni amici con cui sono cresciuto che sono poliziotti. Gli ho detto di non venire a casa mia in uniforme. JM: Penso che il sistema sia completamente marcio. Fino a quando non l’avrai sperimentato in prima persona, è difficile credere che una persona venga condannata per un crimine che non ha commesso e che il sistema giudiziario possa fallire. Non ci avrei creduto nemmeno io. Per esempio, mi ricordo che prima che capitasse a me, quando vedevo per televisione qualcuno che veniva condannato per omicidio ma si dichiarava innocente pensavo: “Oh, dai, sei stato condannato. Devi averlo fatto!” Ora so che non è sempre così. Come è stato tornare alla “vita normale” dopo decenni trascorsi in prigione? JM: Sono stato rilasciato così di recente, che mi sto ancora abituando a questa nuova normalità. Mi trovo a guardare fuori dalla finestra, e sto semplicemente
La sede della Corte Suprema USA
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lì seduto a sorridere, solo per il fatto che sto guardando fuori da una finestra. Mi sono ritrovato in un mondo completamente nuovo rispetto a 30 anni fa. DG: Avresti dovuto vedere Jerry la prima volta che hai fatto la spesa! Quando siamo entrati in un supermercato, era lì ad ammirare quanto fosse grande il negozio. Perché, sai, lui era abituato ad andare al piccolo alimentare sotto casa prima di essere incarcerato. Sono cambiate così tante cose! JM: Ricordo che ad un certo punto Dean mi ha dato il suo cellulare. Non avevo idea di cosa farne. Non sapevo nemmeno dove parlare con questo FaceTime e tutto il resto. Quando sono stato incarcerato nessuno aveva un computer o un cellulare. Non c’era tutta questa tecnologia. Cosa Le è mancato di più in prigione? DG: Le cose semplici. Ricordo come il suono delle forchette e dei coltelli che tintinnano sui piatti al ristorante mi ha sopraffatto la prima volta che sono andato a mangiar fuori. Non lo sentivo da tanto tempo perché in prigione si mangiava dai piatti di plastica. Nessun altro poteva sentire quel rumore tranne me, per me era speciale. Oh, e gli odori ... Sento il profumo della pizzeria dietro l’angolo ad un miglio di distanza ora. In prigione tutto puzzava, di piedi sporchi e sporcizia in generale. JM: Beh, per me andare in macchina. In 31 anni di prigione sono salito in macchina solo un paio di volte per andare dal dottore. Il ragazzo che ci è venuto a prendere quando sono stato liberato,
aveva una macchina bellissima, una Mercedes. Ci siamo fatti un giro e poi ci siamo fermati in un ristorante. Era tutto così diverso… ma è stato meraviglioso, mi mancavano quelle cose semplici. Come promuove il caso degli ingiustamente condannati oggi? DG: Continuando a spargere la voce. Questo è quello che voglio continuare a fare. Ora sono membro del consiglio dell’organizzazione che mi ha salvato la vita [l’Ohio Innocence Project]. Per me, non c’è onore più grande. JM: Tutto ciò che posso fare per aiutare chiunque sia stato ingiustamente condannato e per far conoscere questo problema al pubblico. In carcere sono diventato un para-legale, ed ora spendo intere giornate in biblioteca, utilizzando questo expertise per aiutare altri detenuti senza le risorse per pagarsi un buon avvocato. Che messaggio vuole dare ai giovani di oggi e alle generazioni future? DG: Prima di tutto, di essere coraggiosi e di non fermarsi davanti ad un “no”. Quando sentite di avere ragione, prima formulate la vostra opinione, poi decidete ed agite. Non lasciate che qualcun altro vi dica come pensare. E non mollate mai! JM: Ai giovani consiglio di battersi per la giustizia, e non per il Dio Soldo. Ci sono già troppi che si preoccupano solo di potere e denaro. Ed è per questo che il sistema è così corrotto. Quindi, Non arrendetevi mai nella lotta per la giustizia!
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A parere mio
di Laura Mansini
Che cosa accade in Valsugana? Che cosa accade in Valsugana? Niente di speciale, appena si riparte con il traffico, che, al tempo di chiusura della viabilità, causa Corona virus, si era quasi fermato del tutto, spiace dirlo, con grande vantaggio dell’atmosfera e dei laghi, ora è ripreso e sulla SS47 si tornano a vedere le grandi file di camion, di automobili, forse anche maggiore perché si mantiene così il distanziamento sociale.
A
ccade anche di notare il grande fermento degli operatori turistici dei campeggi e delle strutture adiacenti ai laghi che con grande professionalità, stanno igienizzando, pulendo le strutture, attrezzando gli ingressi con guanti, liquidi igienizzanti, distanziamenti segnati per terra per avvicinarsi correttamente ai banconi. Tutto questo per mettere in sicurezza gli avventori e combattere questo flagello che ci ha colpiti, tuttavia sentiamo in loro l’ansia, la paura di crollare. È vero che tutto è accaduto all’improvviso, vero è anche che per valorizzare il nostro territorio si è fatto molto poco in questi ultimi anni. Si era nei primi anni 2000 quando, capendo l’importanza della cultura, dello sport, delle bellezza della natura che il nostro territorio ci offre a piene mani, i Comuni hanno iniziato a collaborare presentando progetti importanti, condivisibili anche con il confinante Veneto degli Altipiani. Si sono scoperti i fondi Europei, ai quali si è attinto per sviluppare il territorio. È decollata ad esempio Arte Sella, nata nel 1986, si sono ristrutturate malghe, antichi monumenti, siti archeologici come la Torre dei Sicconi a
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Caldonazzo. Dal 2005 con i Comuni di Levico, Caldonazzo, Calceranica, Tenna e Pergine c’erano progetti per la riqualificazione dei sentieri, del colle di Brenta, dei vignali, c’erano progetti anche con i Comuni di Luserna, Lavarone e Caldonazzo per collegare la Valsugana con gli Altipiani. Importantissima la ciclo pedonale progettata attorno al lago di Caldonazzo. È stata realizzata solamente la ciclabile che da Calceranica porta a San Cristoforo. Poi non se ne è fatto più nulla. Un grande progetto quello presentato da Avianova, nel 2006 che prevedeva il collegamento via fune o a Cremagliera fra Levico Caldonazzo e gli Altipiani. L’idea iniziale, voluta dal Comune di Levico e presentata dall’assessore della giunta Carlo Stefenelli nel 2002 era quella di costruire una funivia che da Levico portasse agli Altipiani di Vezzena dove ci sono importanti proprietà del Comune. Esiste un Trentino di serie A ed un Trentino di serie B ? È una domanda che ritengo sia lecito porci, infatti se osserviamo come vanno le cose in altre zone della nostra bella provincia possiamo notare come le differenze siano evidenti fra la Valsugana e Riva del Garda ad esempio. A Riva del
Garda finalmente si è giunti alla fine dell’Ascensore “ Bastione” che collega la cittadina con la torre fortificata veneziana. Costo oltre 2 milioni per questa splendida opera tutta di vetro con una vista mozzafiato. Sempre a Riva sta per partire la straordinaria pista ciclabile a picco sul Lago. E via dicendo. In Valsugana si fanno progetti, si cerca di far capre che la SS47 è una vera piaga per la nostra Valle, che gli splendidi Laghi di Levico e di Caldonazzo meriterebbero maggior attenzione da parte degli enti Provinciali e soprattutto Comunali che sembrano aver dimenticato l’importanza di quanto è stato progettato in passato. C’è stato un tempo in cui fiorivano le idee, grazie a sindaci come Anderle di Pergine, Moltrer della Val dei Mocheni che sapevano coinvolgere i paesi e le Valli confinanti in progetti importanti sia sociali che turistici. Erano idee la cui realizzazione richiedeva impegno, ma che portavano benefici alle Comunità. Sempre più spesso, oggi in particolare, gli amministratori provinciali parlano di investimenti con cui rilanciare l’economia. Noi restiamo in fiduciosa attesa. Da parte di alcuni amministratori comunali in qualche caso manca purtroppo la dovuta attenzione.
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Il personaggio di Waimer Perinelli
Massimo Tononi a BPM
Profeta anche in Patria M assimo Tononi, 56 anni, uno dei maggiori esponenti dell’economia e della finanza internazionale, ha una radice valsuganotta. La madre Marisa Ciola è infatti originaria di Caldonazzo, che ancora frequenta, figlia di Giulio Ciola presidente della locale Cassa Rurale locale dal 1962 al 1977. Giulio entrato in cassa rurale come praticante, ne fu punto di riferimento per 56 anni, diventandone direttore e poi presidente. La storia di “nonno” Giulio può essere uno dei fattori importanti per la scelta di vita e lavoro di Massimo che dall’aprile scorso è presidente di BPM , terzo gruppo bancario italiano. L’altro fattore importante è il padre Giorgio Tononi, sindaco di Trento dal 1975 al 1983, presidente del Consiglio Regionale Trentino Alto Adige dal 1988 al 1989 e dal 2005 presidente della Croce Rossa regionale che gli ha intitolato il Centro di formazione di Trento. Un uomo riservato, gentile ma deciso, capace di chiudere nel 1978, per motivi ambientali, la Sloi fabbrica importante situata a nord di Trento. Massimo lo ricorda nello sguardo e nei modi; alla politica ha preferito però l’economia, la banca, la finanza. Laurea all’università Bocconi di Milano e poi gli Stati Uniti e Londra dove si è fatto le ossa. Un “emigrante”, con viaggio in Jet, e noi di trentini emigrati più meno importanti, ci occuperemo sempre più spesso in Valsugana news. Di loro si era interessato nel 2007 anche Giorgio Tononi che assieme a Ferruccio Pisoni, presidente della Trentini nel Mondo, aveva progettato un libro sui trentini famosi, lontani dalla loro terra. “ Di trentini sconosciuti a noi ma
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con un gran nome all’estero ce ne sono a bizzeffe. Il problema è trovarli e proporli nel modo giusto “. Questo il pensiero di Giorgio Tononi per un libro ch’è rimasto un sogno e noi, cogliendo il suo spirito, iniziamo un viaggio assieme a uno dei suoi figli, Massimo neo presidente del Banco-BPM. Al Gruppo, con forte radiMassimo Tononi con il Presidente Della Repubblica Giorgio Napolitano (Archivio Quirinale) camento territoriale , sedi in Lombardia, Veneto e Piemonte, Massimo Tononi della London Stock Exange (la Borsa di è giunto in seguito ad un percorso Londra). Dal 2011 al 2015 è presidente lavorativo ricco di importanti incarichi. della Borsa Italiana. Ricopre contempoNato a Trento il 22 agosto del 1964, nel raneamente diversi incarichi a Londra e 1988 si è laurea all’Università Bocconi nel 2015 vien eletto presidente di Bandi Milano in economia aziendale ; inizia ca Monte dei Paschi di Siena. Nel 2018 il suo viaggio negli Stati Uniti presso è eletto presidente della Cassa Depositi la Goldman Sachs, una delle banche e Prestiti, un’istituzione finanziaria itad’affari più importante al mondo, liana, controllata per l’83 per cento dal che poco dopo lo assume nell’ufficio Ministero dell’economia. Ancora imlondinese. Nel 1993 lascia quest’incariportanti incarichi in Italia e nel mondo co per diventare assistente di Romano ma senza dimenticare il Trentino dove Prodi alla seconda esperienza di guida per smentire il famoso aneddoto che dell’IRI, ma l’anno successivo torna alla “nemo profeta in Patria” è presente dal Goldman Sachs di cui diventa partner 2012 al 2018 quale presidente dell’Istimanaging director. tuto di Sviluppo Atesino (ISA). Lascia l’incarico nel 2006, dopo 12 anni, Tononi ha assunto la carica di presidenper adempiere al compito di sottote di BPM in piena crisi Covid 19. segretario all’economia del secondo Ha subito accettato la sfida lanciata dal governo Prodi. In questa veste nel Governo sulla liquidità e i prestiti alle ministero, guidato da Tommaso Padoimprese. “ Il decreto liquidità è certamena-Schioppa, si occupa di debito pubte apprezzabile- dichiara, appena inseblico italiano e di società partecipate diato, al Sole 24 ore- ...Ovviamente noi dello Stato. La cronaca e le statistiche stiamo lavorando al meglio delle nostre ci ricordano che nel governo in carica, capacità per utilizzare le agevolazioni il poco più che quarantenne manager governative a beneficio delle quasi 500 trentino, era fra i più ricchi. Dopo due mila imprese nostre clienti.” Fra queste anni torna alla Goldman Sachs e dal non mancano le trentine. settembre 2010 è membro del board La sfida è partita.
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Ieri avvenne di Massimo Dalledonne
Lo scandalo della Società Edilizia Valsuganese Lo scandalo ebbe un vasto eco a livello nazionale. Una storia legata alla ricostruzione al termine della Grande Guerra che, poco più di un secolo fa, l’Italia vinse contro l’Impero Asburgico, entrando così in possesso dei territori trentini dove vivevano popolazioni di lingua italiana. Quando rientrarono nelle loro case, molti profughi trovare abitazioni e paesi distrutti, una desolazione inimmaginabile. È in questo contesto che, esattamente 100 anni fa, scoppiò in zona quello che ancora oggi viene ricordato come “lo scandalo della Società Edilizia Valsuganese”.
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na storia fatta di truffe e ruin due grossi volumi e ben 1456 paberie, a suo tempo raccongine. Molte di queste dedicate anche tata nei minimi particolare alla Società Edilizia Valsuganese, costituita a Borgo il 1 maggio del 1919 da Giuseppe Smaniotto nel suo libro con gerente il tenente del Genio di “Briciole di memoria a 80 anni dalla Edilizia Territoriale Mario Gattamorta guerra -1914-1918” edito dal comune di Forlì. La società era diretta anche di Borgo. Era il 20 febbraio del 1920 dal fratello Giovanni Gattamorta e quando, dopo una prima parte della dal cavaliere Giuseppe D’Anna di ricostruzione affidata all’Ufficio del Telve, di professione commerciante Genio Militare della Prima Armata e, di legnami. Quest’ultimo, nell’agosto successivamente alla Quinta Armata del 1915 venne nominato sindaco ed alla Sezione Lavori del Genio Militare di Levico, subentrò la Sezione Lavori Pubblici del Commissariato Generale Civile. Dopo numerose segnalazioni, infatti, un’ispezione ministeriale nella primavera del 1919 aveva denunciato al Presidente del Consiglio dei Ministri “un allegro banchetto fatto di favoritismi, corruzioni, distribuzioni gratuite di merci, concessioni sospette di lavori, sottrazioni di materiale, sperperi di denari e malversazioni di ogni genere”. Ne seguì una commissione parlamentare d’ inchiesta che operò per due anni. Il Il cantiere per la ricostruzione del ponte sul torrente Moggio che porta a Olle risultato finale è riassunto
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italiano di Borgo, carica che lasciò nel maggio del 1916 per riprendere il suo posto il 4 novembre del 1918. “A questo trio di galantuomini – scrive Smaniotto – faceva capo una schiera di intrallazzatori, anche trentini. Fin dai primi mesi il commissario civile di Borgo Carlo Barbieri ricevette numerose segnalazioni di compensi a militari e personale consegnatario, da parte della Sev, per ottenere illecitamente dai cantieri militari materiali
Ieri avvenne
Lo scandalo della Società Edilizia Valsuganese (1919-1921), gli allegri anni della SEV
da costruzione. Ma i carabinieri non poterono fare più di tanto visto che avrebbero dovuto rivolgersi presso gli uffici ed i Comandi Militari dove lavorava uno dei gerenti della società, il tenente Gattamorta. Ma a scoperchiare il tutto ci pensò la commissione di inchiesta che esaminò, in primo luogo i cantieri di Telve e Telve di Sopra. “Qui la società aveva eseguito lavori su 66 fabbricati con l’impresa assuntrice che aveva, attraverso il capocantiere Ubaldo Martinelli, conseguito liquidazioni indebite ai danni dello Stato per circa 400 mila lire dell’epoca. In sette case – si legge nel libro – erano stati liquidati lavori senza che nessun operaio vi avesse mai messo piede: fra queste quelle di Giuseppe D’Anna e del barone Carlo Buffa”. Molte differenze vennero riscontrate anche nella revisione dei lavori di Castelnuovo, Borgo e Olle. “I fratelli Gattamorta avrebbero esercitato larga corruzione di funzionari dei cantieri per ottenere la regolare certificazione dei quantitativi di lavori conteggiati e per procurarsi materiali a prezzi irrisori. Per i fabbricati dei tre paesi erano state pagate indebitamente circa 200 mila lire ed il capo cantiere del Genio Militare di Borgo Egidio Morbile fu accusato di aver
percepito dalla società compensi e percentuali. I carabinieri portarono a conoscenza dell’autorità giudiziaria di Trento denunce, accertamenti, verbali e documenti. Nel comune di Telve, i lavori conteggiati in eccesso o mai eseguiti, ammontarono a 505.859 lire, a Castelnuovo 757.387 lire dell’epoca ed a Borgo e Olle per poco meno di 300 mila lire. In queste due località la Commissione di inchiesta cita le case di Domenico Dalmaso, Onorata Bonecher, Teresa Simoni e Raimondo Orsingher. Più numerose ed importanti furono le liquidazioni irregolari accertate nel comune di Castelnuovo, lavori che interessarono le case di Leonardo Brusamolin, Leopoldo Venzo, Luigi Bombasaro, Gino Lorenzini, Giuseppe Franzoi, Emilio Denicolò, Tullio Longo e la casa Tiso-Scattola. Altre liquidazioni irregolari furono accertate dagli organi civili anche nelle abitazioni di Giovanni e Leonardo Andriollo, Angelo Andriollo, Ernesto Barbato, Emanuele Andriollo, Alfredo ed Elisa Venzo, Clementina Perozzo, Samuele Dalceggio, Giovanni Lorenzin, Giovanni Lira, Antonio Lorenzin, Angelo Lorenzin e fratelli, Giovanni Venzo e Giovanni Scatola. Dietro alla Valsuganese c’erano vari associati e
cooperative di lavoro, in gran parte guidate da persone importate dal Regno, incolpate e denunciate. Associati e cooperative che eseguirono lavori a Torcegno, Villa Agnedo, Fracena, Castello Tesino, Spera, Strigno e Scurelle. Il procuratore del Re ordinò l’arresto di Giuseppe D’Anna, Mario e Giovanni Gattamorta, Egidio Morbile (capocantiere di Borgo), Giuseppe Cherubino (capocantiere di Castelnuovo), Ubaldo Martinelli (capocantiere di Telve), Agostino Magrini e Francesco Adelchi (assistenti di Roncegno), Giovanni Magnaldi (magazziniere di Borgo), dell’ingegnere Giovanni Battista Stievano e del geometra Tullio Tosi dipendenti della S.E.V. Lo Stato Italiano si dichiarò in credito verso la Valsuganese per poco più di 1,5 milioni di lire dell’epoca ed a garanzia dello stesso pose il divieto di alienazione degli immobili della Società e del suo gerente Giuseppe D’Anna. La Commissione Parlamentare di inchiesta chiuse i lavori il 30 giugno del 1922 consegnando la sua relazione alla Camera dei Deputati. Quattro mesi dopo i fascisti si impadronirono del Regno d’Italia, complice il re Vittorio Emanuele III. Al movimento aderirono prontamente tutti i protagonisti delle truffe avvenute in Bassa Valsugana e l’inchiesta finì seppellita nell’archivio del Parlamento Italiano. Molti decenni dopo i 50 faldoni con tutti i documenti, compresi quelli della Società Edilizia Valsuganese, vennero riscoperti dal professore Angelo Mojoli, docente di storia economica all’Università di Trento. “In questo modo – scriveva don Giuseppe Smaniotto – si riuscì ad avere un po’ di luce su una vicenda che solo oggi ci consente di fornire dati più precisi rispetto a chi ebbe notizie monche ed imprecise. Una ultima constatazione, decisamente amara:” La mala pianta della corruzione nella pubblica amministrazione ha radici lontane e forse anche inestirpabili”.
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Il personaggio di Katia Cont
Enzo Bosso “Il ricordo di un uomo libero” Prima di iniziare, premetto che in questo articolo non voglio parlare dell’uomo e della sua malattia. A tal proposito ne è stato scritto fin troppo, e non credo sia giusto ricordarlo soltanto per quello. Ezio Bosso era ben altro, molto altro. Era il tramite con cui la musica e la sua essenza più pura arrivavano a noi. Chiunque lo abbia visto davanti ad un’orchestra o dietro ai tasti di un pianoforte, non può non aver notato la naturalezza con cui lui e la musica si fondevano e si ispiravano vicendevolmente. Era come se lui, ad ogni tocco, modificasse la partitura secondo lo stato d’animo del momento.
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ato a Torino, Bosso si appassionò alla musica all’età di quattro anni, e ancora adolescente esordì come solista in Francia. Dopo aver studiato Composizione e Direzione d’Orchestra all’Accademia di Vienna, la sua carriera subì ben presto una rapida ascesa, infilando un successo dietro l’altro: iniziò ad esibirsi come direttore d’orchestra in templi della musica come la Carnegie Hall di New York e la Sidney Opera House; diresse la London Symphony Orchestra e l’Orchestra di Santa Cecilia, e infine diventò il Direttore del Teatro lirico Giuseppe Verdi di Trieste. Un momento magico, improvvisamente disturbato da un’inaspettata diagnosi. Una sentenza difficile da accettare, che però Bosso elaborò in un modo esemplare, andando avanti a testa alta e regalando al mondo la sua grande musica, la sua passione per la vita e per il tempo. Sì, perché è il tempo, oltre alla sua musica, quanto di più bello Bosso ci ha insegnato ad appezzare attraverso la libertà. Lo ha fatto in modo eccezionale, raccontando l’origine della musica e delle parole che sono divenute il simbolo dell’Italia. Nel commemorare i settant’anni della Re-
i pregiudizi, nonostante un talento pubblica Italiana, ne ha reinterpretato fuori dal comune. «Fin da bambino le note in un’esclusiva versione per il ho lottato col fatto che un povero non Corriere della Sera. Ci ha raccontato può fare il direttore d’orchestra, perché “Il Canto degli Italiani”, la storia di due il figlio di un operaio deve fare l’operaamici che hanno scritto di Libertà. io» - amava ripetere - «Credere nella «La musica è una necessità, come musica non è unicamente un processo respirare, è come l’acqua». – ha dichiadi allegria, ma è un processo faticoso rato nella sua ultima intervista - «La che a volte ti consuma. Lasciarsi guibacchetta mi aiuta a mascherare il dare dalla musica è anche un gesto di dolore e non è una cosa da poco». «Sul umiltà, riconosci la grandezza dell’altro palco sono senza spartito, faccio tutto e diventi grande assieme a lui». a memoria. Quando dirigo è come se Ezio Bosso parlava davvero a tutti, avessi tutti i suoni scritti, primi e secondi emozionava tutti perché arrivava dritviolini, violoncelli, bassi, flauti, io li ho to al cuore. Mai retorico, a volte crudo davanti, per me è un contatto visivo, dicome un pugno nello stomaco. Ma rigere con gli occhi, con i sorrisi, mando di lui ci ricorderemo tutti perché ci ha anche baci quando qualcuno ha fatto insegnato che «essere leggeri e prenbene». Nella serata evento trasmessa da dersi in giro è una cosa seria». Rai3 il 9 giugno dello scorso anno, incentrata sulla Quinta e la Settima sinfonia di Beethoven, e vista da oltre un milione di spettatori, Bosso è apparso come un uomo libero. Un uomo libero nonostante tutto. Un uomo che ha dovuto Ezio Bosso (da Yahoo Notizie) combattere contro
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Scuola e Società di Patrizia Rapposelli
La scuola digitale: parlano i prof (D.A.D didattica a distanza) Le lezioni si fanno a distanza. L’Italia spinge la scuola al digitale. Come è noto, la situazione di emergenza sanitaria ha costretto i docenti italiani a rivedere le modalità d’insegnamento: una didattica a distanza organizzata in modo rapido e imprevedibile, fra compiti assegnati, valutazioni e piattaforme su cui collegarsi. Gestibile per quegli istituti con un percorso digitale già avviato e difficoltoso per quelli più analogici. Fattibile per coloro affini alla tecnologia, complicato per quella classe insegnante con meno esperienza smart.
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i siamo domandati quale sia la condizione all’interno del mondo scolastico a partire dai professori. Una ricognizione “a distanza”, fatta sul suolo trentino spostandoci verso il Centro-Sud, racconta la storia dei diversi contesti formativi e la riflessione che ne segue degli insegnanti. I nostalgici. “All’inizio degli anni Novanta, quando ho cominciato a lavorare come insegnante, non immaginavo che un giorno avrei incontrato gli studenti soltanto attraverso il PC. A quell’epoca, del resto, io non possedevo nemmeno un computer.” Parla una docente di un Istituto Superiore Trentino e racconta come è cambiato il suo modo di fare lezione. “Ho dovuto sostituire i vecchi strumenti del mestiere, gesso e lavagna, con slide colorate, frutto di grandi sforzi da parte mia, senza l’illusione che possano essere tanto efficaci quanto le tradizionali scritte alla lavagna, tracciate sotto lo sguardo attento dei ragazzi.” I promotori. “La mia didattica – scrive un docente di materie tecniche- era già impostata in una modalità tale per cui dopo una lezione frontale utile per gli stimoli e gli elementi teorici, lasciava spazio agli studenti per orga-
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nizzarsi autonomamente o in team. Con la D.A.D. è possibile continuare il percorso iniziato in classe con buoni risultati. Quello che manca è l’immediatezza del linguaggio non verbale e la possibilità di percepire al volo l’interesse o la noia dello studente.” Si comprende come lo sperimentare una didattica totalmente improntata sul parlare ad un’aula vuota mette in luce criticità e punti di forza. Manca il rapporto diretto con gli studenti e la possibilità di interagire con loro in modo costante per coinvolgerli il più
possibile. C’è invece chi nota l’aspetto positivo. “Non ci sono le tipiche interruzioni delle chiacchiere e delle distrazioni dei meno diligenti. Gli studenti partecipano con puntualità, alcuni timidi e riservati emergono con evidenza nell’interazione e nei risultati grazie al loro costante impegno, altri non interagiscono e probabilmente fanno altro, ma questo, si sa, succede anche in classe.” Gli snervati. “Didattica digitale come insegnamento del futuro, ma quello che manca è il rispetto degli alunni per il lavoro che
Scuola e Società svolgiamo. Per loro questo è stato un modo per anticipare le vacanze, il loro disinteresse ora ha raggiunto valori esponenziali. – ci dice un’insegnante del Centro -Sud - La scuola deve impugnare di nuovo il suo ruolo educativo, bocciare quando si deve e responsabilizzare l’alunno.” La D.A.D passa in secondo piano e mette solo in evidenza un problema di base già esistente. Nella scuola online modi di pensare, disuguaglianze e formazioni differenti devono scendere a patto in una stretta relazione di condivisione, coordinazione e controllo. Niente di diverso dalla “scuola normale”, ma a distanza tutto è amplificato. “Una vera baraonda- racconta una docente di lingue nel Lazio- scopri che non tutti sono così capaci di usare il computer, scrivere mail, allegare, scaricare. E ci sono poi le classi delle impazzite. Questo modo d’insegnare futuristico
è capitato tra capo e collo e tutto è stato lasciato al buon senso e non tutti lo hanno avuto.” Emergono differenze tra territori, contesti ed insegnanti. Ci sono i qualunquisti coloro che criticano e polemizzano indistintamente, i tradizionalisti e gli ottimisti, ci sono poi i professori contenti della partecipazione dei ragazzi e convinti che le attività che stanno portando avanti, seppur limitate rispetto alla didattica tradizionale, siano importanti. “Mi meraviglio che si riesca a realizzare una didattica a livelli differenziati fra studenti più o meno preparati, mi stupisco dell’interazione docente /studente paragonabile o migliore rispetto a quanto si otteneva in classe.” I docenti stanno
ATTENTI AL VIDEO: PUÒ NUOCERE AL BORSELLINO
compiendo un gran lavoro. La D.A.D chiede investimento di energia, tempo, innovazione e ore al Pc. La figura del docente all’opinione pubblica a volte è stata oggetto di poca riconoscenza del lavoro e dell’impegno. Si deve tornare a dare più credito a questa figura. Le scuole si sono riadattate a nuove modalità, esigenze e competenze. L’innovazione è sforzo.
A ciascuno il suo
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l Comune di Pergine gioisce: non ci saranno più buche sui marciapiedi e nelle strade e aumenteranno le strisce zebrate. Tutto questo grazie agli automobilisti indisciplinati che nel corso del 2019 hanno realizzato un considerevole monte di sanzioni . Il contributo maggiore viene dagli automobilisti frettolosi quelli che il limite di velocità del varco video sorvegliato di Pergine Centro sulla statale 47 della Valsugana lo considerano rivolto solo agli altri. Grazie a loro davanti alle telecamere il conta soldi, una sorta di slot machine, è scattato per un monte “premi” pari a quasi due milioni di euro, totalizzato con 43.594 violazioni. Di questi soldi tuttavia ne sono finora stati incassati solo un milione e 430 mila perché il 35 per cento dei sanzionati, i cosiddetti corridori d’azzardo, non ha ancora pagato sperando nella lunghezza della burocrazia, l’affollamento dei tribunali e un guasto al contachilometri. Molti sono stranieri, o italiani con targa straniera, e dunque rintracciabili e punibili solo attraverso complicate pratiche internazionali. Attorno a questo tesoretto, una salata torta con manna, si affacciano la Provincia di Trento, la società di gestione dell’arteria e il Comune di Pergine. La Giunta del capoluogo dell’Alta Valsugana ha deliberato d’investire la propria fetta, ovvero 715.549 euro, nel miglioramento della circolazione cittadina. Più cartelli, maggiore illuminazione, idranti e impianti semaforici. Da questi ultimi arrivano i soldi di chi ha troppa fretta per fermarsi con il segnale rosso o preferisce passare con il giallo. C’è poi chi considera le strisce zebrate solo il segnale di un tirassegno ma per fortuna fallisce il più delle volte il pedone in palio. Un circuito virtuoso previsto dal codice della strada e sostenuto da apparati di videosorveglianza pensati per educare i guidatori ma costretto a bocciarne molti, spesso ripetenti e dunque finanziatori di chi rileva le loro malefatte. (W.P.)
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Umana-mente di Chiara Paoli
Ritorneremo alla normalità? Nel mese di maggio si respira finalmente aria di ritorno alla normalità; eppure di normale non c’è nulla! Ci si muove con la mascherina sempre appesa alle orecchie, seppure abbassata per respirare quando si va a passeggiare e in lontananza non si scorge nessuno.
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a poi qualcuno arriva e… bisogna alzare la mascherina, mi sento un po’ bandito pronto per una rapina, è necessario tenere le distanze e si tiene d’occhio l’altro e i suoi movimenti, inevitabilmente con sguardo minaccioso. Diciamocelo, questo ritorno alla socialità ha qualcosa di inquietante! Vedere dopo tanto tempo parenti ed amici e non poterli abbracciare e baciare lascia l’amaro in bocca. I bambini poi sono quelli che più di tutti hanno dovuto pazientare e che ancora non possono tornare alla normalità. I genitori sono tornati al lavoro, ma i bambini sono ancora a casa da scuola, possono uscire a passeggiare, ma soltanto ora, dopo molte polemiche e decisamente a scoppio ritardato, possono riappropriarsi dei giochi del parco, che finalmente iniziano a essere fruibili. La primavera del 2020 è un periodo da dimenticare, una reclusione
forzata che ha portato molte tensioni e frustrazioni, perdita del lavoro e di guadagni per chi ha un’attività. Un anno decisamente funesto per molti, che rimarrà indelebile nella storia e nella memoria di chi lo ha vissuto. L’estate è ormai alle porte, ma molti ancora non hanno prenotato le vacanze. Andare al mare dopo questa pandemia appare un azzardo, l’imposizione di restrizioni spaventa e fa apparire le vacanze già sbiadite, marchiate a fuoco dal virus, come se non valessero la pena di essere vissute. Un capitolo triste della vita quello delle vacanze estive ai tempi del Covid-19. Sicuramente le uscite in montagna sul nostro territorio, si stanno rivelando in questo frangente una terapia utile a tutti per ricominciare, un toccasana di cui nutrirsi, splendidi panorami, canti di uccellini, fiori dai colori vivaci e con intensi profumi che aiutano a nutrirsi di natura e bellezza. E forse per molti l’estate sarà
fatta di vacanze di prossimità, rimanendo in Trentino e organizzandosi per gite in giornata. Ma quanto tempo ancora ci vorrà per ritornare alla normalità? Intendo quella vera, parlo delle giornate senza mascherine, dei momenti conviviali vissuti senza timore della vicinanza, fatta di abbracci e di baci scambiati. Il percorso appare ancora lungo e tortuoso; impossibile scordarsi la paura e l’ansia vissute, la cicatrice rimarrà indelebile sulla pelle di tutti, più o meno profonda, ma sicuramente visibile e incancellabile. Moltissimi, anzi praticamente tutti vorrebbero dire addio alla “museruola per umani”, soprattutto chi la deve tenere tutto il giorno per lavoro e alla sera si ritrova con le orecchie in fiamme. Questa pandemia ci ha segnati nel profondo e sarà difficile relegarla nel dimenticatoio, anche se nel tempo si spera di poter togliere quell’appendice che ci copre bocca e naso.
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Tra passato e presente di Elisa Corni
I più grandi ballerini della storia Il mondo delle punte è costellato di grandi, grandissimi nomi. Ballerine e ballerini che sono stati l’idolo di tutti, capaci di incantare pubblici interi con la loro forza, grazie ed eleganza. Alcuni di loro hanno danzato sulle note dei grandi classici, ma non dimentichiamo che la danza trascende le barriere del genere: tra jazz, moderna e hip-hop il panorama si fa davvero ricco e articolato. Ma chi sono? Ve ne presentiamo 10, forse i più famosi, sicuramente tra i più bravi. Molti di loro provengono dall’Europa dell’Est: famoso il balletto russo, ma anche la scuola polacca non è da meno. A quella russa appartiene Vaslav Nijinsky, nato a Kiev nel 1890 e morto nel 1950. Delle sue entusiasmanti performance purtroppo non esistono riprese o video, ma la sua capacità di sfidare la forza di gravità è arrivata comunque fino a noi. Ai salti e balzi spettacolari si affiancava la capacità inusuale per i ballerini maschi di ballare sulle punte. Fu un astro che attraversò il cielo della danza troppo in fretta. A soli 29 anni, dopo aver ballato per le truppe russe sul fronte orientale della Grande Guerra, abbandonò le scene. La causa fu probabilmente l’insorgere di malattie di ordine psichico che gli fecero finire i suoi giorni in manicomi e ospedali. Una ballerina che invece solcò le scene per quasi settant’anni, tra danza e coreografia, fu la statunitense e madre della danza moderna Martha Grahm (1894-1991). Fu lei, infatti, a codificare le norme di questo nuovo stile di danza, costruendo le regole con le quali la si distingueva da quella classica. Quando abbandonò le scarpette si dedicò alla coreografia,
Vaslav Nijinsky (da Pintarest)
Martha Graham
Gene Kelly
diventando così ambasciatrice culturale per gli Stati Uniti d’America . Altro grande innovatore fu l’americano Gene Kelley: una delle più grandi star di Hollywood ma anche un ballerino eccezionale. Solo lui riusciva a mescolare così bene danza classica e moderna; fu in grado di portare il musical dal teatro al grande schermo e di impossessarsi di ogni centimetro libero della ripresa. Grazie a lui e al suo movimento continuo anche le tecniche di ripresa sono cambiate: si sono fatte più fluide, dinamiche, realistiche. Un genio del ritmo ma anche dell’arte cinematografica! Ma prima di lui un altro grande ballerino ha portato il ballo su pellicola: come non citare Fred Astaire (Frederik Austerlitz 1899-1987) in questa nostra piccola classifica. Lo statunitense iniziò la carriera nei primi anni Dieci del Novecento, esibendosi in cabaret e film assieme alla sorella Adele. I due approdarono ben presto a Broadway e già negli anni Trenta Fred consuista Holywood: nel 1933 è infatti a fianco di attori del calibro di Clarck Gable, Joan Crwford e Ginger Rogers. Noto come il ballerino della Hollywood classica, Astaire significa balletto e musical, ma secondo alcuni critici il suo ruolo nella danza non fu meno importante di quello del suo coevo Vaslav Nijinsky. Muscoli scattanti e rapidi, elegante interprete e indimenticabile attore. In quegli stessi anni sui palcoscenici di tutto il mondo si esibiva una grandissima ballerina Russa, Anna Pavlova (1881-1931), tra le altre cose madrina dell’omonima e gustosa torta inventata proprio in suo onore. Nata in una povera famiglia russa,
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Tra passato e presente Anna decise di voler diventare una ballerina quando, da bambina, fu portata dalla madre ad assistere al balletto. E così fu: a dieci anni entrò nella prestigiosa Scuola dei Balletti Imperiali e ne uscì come una delle più grandi danzatrici del suo tempo. Il suo ruolo principale fu quello di aver cambiato la visione della ballerina: fino alla fine dell’Ottocento le ballerine erano muscolose e compatte, ma Anna era magra, longilinea ed eterea, come le ballerine nel nostro immaginario contemporanea. “La danza è mia moglie e la mia unica donna”. Lo ha dichiarato un altro grandissimo ballerino: Joaquin Cortes. Lo spagnolo “caliente” è stato capace di unire le più alte capacità artistiche con quella sensualità tipica degli uomini mediterranei. Sex symbol grazie anche alla sua danza di competenza, il flamenco, Cortes continua a ballare, facendo palpitare i cuori di molte donne (ma anche di alcuni uomini). Ma è lui “il Ballerino” con la B maiuscola: Rudolf Nureyev. Nato nella Russia comunista, questa molla sulle punte è presto scappata in Occidente, dove affascina e trascina le folle come nessuno prima. Celebre è la sua rappresentazione di “Romeo e Giulietta”: intensità, ritmo, espres-
Fred Astaire (1962)
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Anna Pavlova (1912)
(JoaquIn Cortes)
Rudolf Nureyev
Mikhail Baryshnikov (da Wikiwand)
sività, capacità tecniche mescolate assieme per dare origine a qualcosa di perfetto, unico, indimenticabile. Bisogna però essere onesti: su un ipotetico podio Nureyev dovrebbe fare un po’ di posto sul gradino più alto per un ballerino altrettanto famoso e bravo. Il confronto con il lettone Barysnikov è stato uno dei grandi eventi del mondo della danza. Primi a pari merito, questi due ballerini incredibili riuscirono a rendere “pop” la danza classica, ad avvicinarla a tutti, al punto che ancora oggi se diciamo danza non possiamo che pensare a uno di questi due grandissimi, immensi artisti. Pochi anni prima sulla scena mondiale un altro ballerino dell’Est, il lettone Michail Barysnikov (1948) fu notato già attorno ai sedici anni da coreografi ed esperti di balletto per la prestanza fisica ed eleganza: il famoso critico Clive Barnes del New York Times lo definì “il più perfetto ballerino che abbia mai visto”. Ben presto oltrepassò la cortina di ferro (scappò durante una tournée in Canada) per migrare verso lidi dove la sua bassa statura e la sua voglia di innovazione fossero apprezzate. Tra le altre cose, fu a lungo compagno della bella Jessica Lange. E cosa dire della nostra Carla Fracci,
Tra passato e presente
Carla Fracci (2014)
universalmente riconosciuta come una delle più grandi ballerine del ‘900 e vera indiscussa regina dei palcoscenici mondiali. Nasce a Milano il 20 agosto 1936. Il papà era un tranviere dell’ATM (Azienda Trasporti Milanesi).
Nel 1946 inizia a studiare ballo classico alla Scuola di danza del Teatro alla Scala Si diploma nel 1954, per continuare gli studi e stage avanzati a Londra, Parigi e New York. Dopo solo due anni dal diploma diviene solista. Nel 1958 è già prima ballerina. E fantastico è il suo cammino. Una “Etoile” come poche. Tra i grandi ballerini che sono stati suoi partner sul palcoscenico si annoverano Rudolf Nureyev, Vladimir Vasiliev, Henning Kronstam, Mikhail Baryshnikov, Amedeo Amodio, Paolo Bortoluzzi e soprattutto il danese Erik Bruhn. E per chiudere sul suolo italico non possiamo non menzionare il “nostro” Roberto Bolle: fisico perfetto, sguardo d acerbiatto, abilità e professionalità magistrali, simpatico e telegenico. Ci ha raggiunti portando il balletto, classico e moderno, in televisione, con quel fare sornione ed elegante,
simpatico e serio che lo contraddistingue. La sua bravura come ballerino è riuscita a fargli coinvolgere attori, comici, cantanti e altri ballerini per portare questa grande storica arte anche nelle nostre case.
Roberto Bolle (da Caffeina Magazine)
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Il passato in cronaca di Chiara Paoli
La peste del 1630 in Valsugana… …circoscritta a colpi di schioppo L’epidemia di peste che imperversa nell’Italia settentrionale tra il 1629 e il 1633 è conosciuta anche con l’ appellativo di peste manzoniana, perché narrata nelle pagine del suo più famoso romanzo “ I promessi sposi”.
L
a malattia raggiunge il Trentino nel 1630 e gli strascichi si protraggono sino al 1636, moltissime sono le vittime, più di 1200 nella città di Trento e 889 a Rovereto. Nel 1632, dopo l’ondata pestilenziale, prese forma quale ex voto, l’urna che ancora oggi viene utilizzata il 26 giugno per portare in processione le spoglie mortali di San Vigilio, patrono della Diocesi. Orlando Tonelli, nobiluomo di Levico e provveditore alla sanità nel 1636, scrisse nove anni dopo una “Cronaca”, pubblicata soltanto nel 1889 per volere di don Domenico Libardoni. In questo scritto egli racconta di come la terribile peste che stava flagellando tutte le valli del Trentino, non attecchì a Levico: “Per gratia di Dio, qui in questa vale non si sentì mal di sorte.” Risparmiata dalla peste del
San Rocco Borgo
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Chiesa Santa Giuliana, Levico
1630-31 la comunità levicense, fece realizzare una statua d’argento che venne portata alla Madonna di Loreto dall’eremita Tomaso. Il grande male sembrava scampato, quando il 12 luglio del 1636, venne scoperto il “male contagioso”, che in una sola giornata mietè 4 vittime. Per 8 giorni non vi furono morti “…ma la Domenica seguente la gente andò a messa alla Madonna e lì si mescolarono tutti e tutti furono infettati tanto che in valle non si potevano scavare altre tombe. Fu tenuta una riunione della Regola giù alla Brozara e si decise di fare un altro lazzaretto che fu poi realizzato a Santa Giuliana e lì furono sepolti i morti…” (Il Trentino dei secoli dannati. Epidemie e sanità dal XIV al XX secolo, Alberto Folgheraiter, Curcu & Genovese, Trento 2011). L’epidemia a Levico comportò il trapasso di 355 tra uomini e bambini, mentre 307 furono i decessi femminili, per un totale di 662 morti, su 1459 abitanti. “Questo contagio durò sei mesi […] i viandanti passavano in su e giù per la
strada di Santa Giuliana, cioè di là dal Brenta, e in questo contagio ogni giorno veniva dentro [al lazzaretto?] gente da ogni parte, e io Orlando Tonelli con l’aiuto di Dio e della Beata Vergine Maria restai sano e non ebbi mai la peste, e neppure mia moglie; morirono (invece) mia madre, mio padre, due sorelle…” (Idem, p. 133) Il Vicario, il dottor Antonio Avancini appena avuta notizia del diffondersi della peste nel paese, inviò lettere per dare comunicazione della pestilenza e quindi la comunità venne isolata fino all’8 maggio del 1637. Molti corpi trovarono collocazione sotto il sagrato della chiesa e nel lazzaretto di Santa Giuliana, fosse comuni furono ricavate a Santa Croce, in zona ospedale e nel campo della famiglia Antoniolli. Per accertare la morte degli infetti veniva utilizzato “il botto del fuoco”, che prevedeva l’uso di un’asta arroventata che veniva appoggiata alla salma. “… si faceva ricorso anche a un altro sistema, meno allucinante rimasto in voga fino ai primi decenni del Novecento: quello del pizegòto, persona estranea alla cerchia familiare. Pagato dai congiunti del morto, vegliava la salma, pizzicandola di tanto in tanto. Le cose erano fatte con arte: prima le cosce, quali strumenti del moto; poi la parte sinistra del costato, sede del cuore (coraggio e affetti); quindi in basso a destra, sede del fegato e pertanto della forza e del coraggio” (A. Folgheraiter, p. 134).
Il passato in cronaca
Strendardo votivo per la peste del 1630 (Duomo di Trento)
L’epidemia provoca una strage anche a Vigolo Vattaro, mentre Borgo Valsugana viene risparmiata, grazie all’operato del medico Girolamo Bertondelli, che fece prontamente controllare dalle guardie, tutte le strade di colle-
gamento con Levico, come riporta in una relazione successiva, in cui viene narrata anche la morte per mezzo di archibugio di un fuggitivo, scappato dal lazzaretto attraverso la Brenta. Tali pene vengono menzionate anche nel proclama del 7 agosto 1636, diramato dalle autorità di Telvana, Castellalto e San Pietro: “[…] quindi si ordina che in ogni caso di rottura di confini, durando il tempo di contagio debba essere moschettato, e passato il tempo di tal sospetto sia impiccato a una eminente forca per il ministro della giustizia ita che mora, dichiarando i suoi beni confiscati e condannato nelle spese. Pertanto niuno ardisca ricettare, dare ajuto, favore al medesimo Gianmaria nelle dette Giurisdizioni di Valsugana in tempo alcuno, sotto pena della vita” (Idem, p. 134-135). Nell’agosto del 1636 viene imposta ai capifamiglia di Borgo una tassa per
pagare le guardie che controllano gli accessi e nel mese di settembre viene emanato anche un provvedimento nei confronti del postribolo, tutto ciò ha permesso di preservare la comunità della bassa Valsugana da questo grande male.
Urna processionale di S. Vigilio
Come eravamo
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Uomo e natura di Elisa Corni
Nuove teorie sull’origine del linguaggio parlato
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ra noi e le altre specie animali esistono molte differenze, ma una di quelle che saltano subito all’occhio riguarda una capacità che è esclusivamente umana (o quasi): il linguaggio. Quasi perché alcune specie animali dalle capacità cognitive particolarmente articolate, soprattutto le scimmie antropomorfe, hanno mostrato in cattività di poter sviluppare sistemi comunicativi anche dotati di veri e propri vocaboli e di grammatiche anche se molto semplici. Ma questi sistemi, per quanto sorprendenti, sono lontani anni luce dalla complessità del nostro parlato. Vista la peculiarità del nostro sistema comunicativo gli scienziati e gli specialisti da decenni dibattono su quale sia l’origine del linguaggio. Si tratta di un fenomeno reso possibile dalle peculiari capacità cognitive della nostra specie? O forse sono stati fattori fisiologici come la posizione del collo e il conseguente sviluppo delle corde vocali a renderlo possibile? C’è chi sostiene che anche il fatto di essere degli animali sociali che vivono a
stretto contatto abbia partecipato alla nascita delle lingue umane. Altri ancora fanno ricadere la responsabilità sul sistema dei neuroni specchio, quelli che fanno sì che vostro figlio imiti le vostre azioni. Insomma, moltissime teorie nessuna delle quali ha ancora trovato una conferma definitiva. A complicare la situazione un articolo pubblicato su una prestigiosa rivista americana nella quale un gruppo di studiosi ha presentato una nuova ipotesi. Il team internazionale di ricercatori ha scoperto una connessione particolare tra la parte del nostro cervello che si occupa di proferire le parole e quella che le ascolta. Fino a qui nulla di strano, in fin dei conti le parole devono essere ascoltate; eppure la cosa particolare è che quel collegamento cerebrale è presente anche in altre specie di primati ma con funzione molto diversa. In particolare questo collegamento nei nostri cugini si occupa primariamente dell’ascolto, fa quindi parte del sistema uditivo. Nella nostra specie, per qualche ragione, questo pon-
te mette in collegamento aree del cervello deputate a funzioni molto diverse. Questo studio, per quanto controverso, confermerebbe alcune teorie sull’origine del linguaggio. Gli evoluzionisti definiscono questo fenomeno exaptation (exattamento), per distinguerla dall’adattamento. Nella prima, infatti, organi e caratteri specifici non cambiano per adattarsi a nuove necessità, ma, se inutili, vengono riutilizzate per funzioni più utili. Certo questa è solo una teoria, ma è stata accolta con entusiasmo dagli esperti del settore perché, con buona pace di alcuni teorici che ritengono che il linguaggio sia esclusivamente umano e non abbia precursori in altre specie animali, getta le basi per l’esistenza di primitivi e abbozzati organi del linguaggio anche nei nostri antenati. Addirittura i ricercatori si spingono ad affermare che il precursore del nostro articolato e complesso sistema per la produzione e l’ascolto del parlato potrebbe essere quindi presente in altre specie, anche potenzialmente molto lontane dalla nostra.
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Ieri avvenne di Chiara Paoli
21 giugno 1280, Torino ai Savoia Torino vuol dire Savoia, quando si pensa a questa grande e bellissima città, ricca di sontuosi palazzi e preziosi scrigni dell’arte, non si può non legare gran parte della committenza architettonica e artistica alla dinastia che ottenne il dominio sulla città il 21 giugno del 1280.
È
quello il giorno d’inizio estate in cui la città venne ceduta ai Savoia dal marchese Guglielmo VII del Monferrato, signore di molte città del nord, che venne fatto prigioniero da Tommaso III Savoia e dalle sue truppe, che lo assalirono nelle campagne e lo costrinsero a firmare l’accordo per la cessione dei territori. Con il sopraggiungere dei Savoia, sfuma l’autonomia politica del Comune di Torino, anche se l’organismo dirigente comunale continua a esistere sotto il controllo dal patriziato urbano. Nel 1294 il regno passa a Filippo d’Acaia, figlio di Tommaso, che nel 1334 deve fronteggiare diversi tentativi di insurrezione; nello stesso periodo incoraggia la costituzione della Società popolare di San Giovanni, ente creato al fine di bilanciare il potere dei cittadini ragguardevoli, ampliando l’apertura verso nuove categorie di produttori. Uno dei primi lavori architettonici è quello portato avanti da Filippo d’Acaia, il cui titolo deriva dal matrimonio con Isabella, figlia del principe d’Acaia Guglielmo II di Villehardouin, che fece restaurare il castello di Porta Fibellona, oggi noto come Palazzo Madama e sede del Museo Civico d’Arte Antica e patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO, come parte del gruppo delle Residenze Sabaude. Il Palazzo deve il suo nome alle Ma-
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dame Reali Cristina di Francia e Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, che promossero la realizzazione dello scalone e della raffinata facciata, capolavoro di Filippo Juvarra. Intorno alla metà del secolo Giacomo d’Acaia, primogenito figlio maschio di Filippo I, signore del Piemonte e Principe di Acaia e della sua seconda moglie, Caterina de la Tour du Pin, si ribella, muovendo contro Ivrea e scontrandosi con Amedeo VI, detto il Conte Verde. Giacomo viene quindi dichiarato decaduto e arrestato, mentre il Principato viene occupato. Il colore delle maglie delle nostre rappresentative sportive mondiali,
pare essere giunto sino a noi, proprio grazia ad Amedeo VI di Savoia, che il 20 giugno del 1366, fece issare sulla propria galea veneziana una bandiera azzurra, insieme allo stendardo rosso-crociato in argento dei Savoia, in partenza per la crociata promossa da papa Urbano V, per accorrere in aiuto all’imperatore bizantino Giovanni V Paleologo, cugino di parte materna del conte sabaudo. L’uso del colore azzurro si consolida nel tempo in Casa Savoia e con l’unità d’Italia nel 1861, viene riconosciuto come colore nazionale, e tale viene mantenuto anche in seguito alla nascita della Repubblica Italiana nel 1946. Nel 1572, Torino fu eletta capitale del Ducato di Savoia, all’epoca era ancora una città di stampo medievale, che si preparava grazie all’operato di Emanuele Filiberto detto “Testa di ferro” e dei suoi successori, ad ottenere un nuovo volto. Il primo intervento messo in atto fu l’erezione della cittadella di Torino, fortezza pentagonale che trovava collocazione lungo l’antica cinta muraria torinese e di cui oggi rimane solo il Mastio, sede del Museo storico nazionale dell’artiglieria. Questa roccaforte, costruita tra il 1564 ed il 1577, su progettazione di Francesco Paciotto, è nota soprattutto per essere stata teatro della Guerra di successione spagnola nel 1706. Non rimane purtroppo traccia di quello
Ieri avvenne che era il Regio Parco con il castello del Viboccone, detto “Palazzo di Delizie”, opera dell’architetto milanese Croce, entrambi distrutti dal già citato assedio francese. Un’altra residenza facente parte del patrimonio UNESCO è il Castello del Valentino, acquistato da Emanuele Filiberto, su suggerimento del noto architetto Andrea Palladio e oggi sede universitaria. La residenza nobiliare è frutto dei lavori portati avanti da Maria Cristina di Borbone, moglie di Vittorio Amedeo I di Savoia e figlia del re di Francia, Enrico IV e si protrassero per quasi 30 anni, dal 1633 al 1660, su progetto di Carlo e Amedeo di Castellamonte. Il “Testa di ferro” fu anche promotore del cosiddetto Teatro Ducale o Teatro Galleria, una sorta di Wunderkammer, dove collocò una ricca collezione di libri, antichità, dipinti, rarità della
Torino - Palazzo Reale
natura e oggetti scientifici, creando una prima raccolta museale. Nel 1578 Emanuele Filiberto provvede anche al trasferimento della Sacra Sindone in città. E nei secoli le opere realizzate per volere dei Savoia si susseguono con
la costruzione di Palazzo Reale, Villa della Regina, Palazzo Carignano, la Tenuta di Pollenzo, la Reggia di Venaria, il Borgo Castello de La Mandria, la Palazzina di caccia di Stupinigi, il Castello di Rivoli, quello di Moncalieri, di Agliè, di Racconigi e di Govone.
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Fatti & Misfatti di Armando Munao’
Le odiose accise… …“da una tantum a una semper” È oramai risaputo che le tasse sono le più odiose “gabelle” che quasi sempre, anzi senza il quasi, sono accettate solo “obtorto collo” dagli italiani. Se poi ci riferiamo ad alcune di esse, allora la cosa diventa un qualcosa di veramente fastidioso, illogico e per certi aspetti incomprensibile. Il voluto riferimento e per le “famigerate” accise che senza tema di smentita sono le tasse più odiate dai consumatori.
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e accise, per una definizione più precisa e descrittiva, comprendono sia le imposte di fabbricazione e sia quelle di consumo. Le prime scattano quando il prodotto ha completato il ciclo produttivo ed è pronto per essere messo in commercio. Le seconde si applicano dal momento in cui il prodotto viene effettivamente messo in vendita. Quindi, nel primo caso si tassa il prodotto, nel secondo l’uso del prodotto. In dettaglio, e nello specifico, le accise riguardano la fabbricazione o la vendita di carburanti (benzina, gasolio, GLP e metano, utilizzati e per l’autotrazione), oli minerali e derivati, tabacchi, alcolici, fiammiferi, energia elettrica, gas metano e oli lubrificanti. È utile però sottolineare che questa particolare tassazione non è una esclusiva italiana, ma esiste in tutto il mondo, specialmente in quei paesi non produttori di petrolio e affini. E anche in questi paesi, come nel nostro, si tratta di balzelli che ogni Stato utilizza per fare fronte a particolari esigenze ed emergenze di ogni genere e tipo. Tornando alla incidenza che esse hanno sul prezzo del carburante, va detto
che in Italia il costo finale si compone di tre parti: il costo netto (che include anche il guadagno del gestore della pompa), l’Iva (22%) che viene calcolata non solo sul prezzo netto ma anche sui vari balzelli, e infine, appunto, le accise. Ma quanto incidono queste particolari “gabelle” sul costo finale dei carburanti? Rifacendoci ad alcuni dati forniti dal Ministero dello Sviluppo Economico, sia ha la seguente quantificazione: 1) benzina 728,40 euro ogni 1000 litri; 2) gasolio 617,40 euro per ogni litro;
3) GLP 267,77 euro per ogni litro; 4) metano 4,4 euro per ogni 1000 litri. Il calcolo percentuale delle accise ci specifica che attualmente incidono per circa due terzi del valore del carburante che acquistiamo (per la precisione, qualcosa in più per la benzina e qualcosa in meno per il diesel). Secondo gli ultimi dati riferiti alla fine del 2017 il totale delle accise, applicate ai vari carburanti, ha portato nella casse dello Stato una somma di poco inferiore ai 26 miliardi di euro alla quale deve essere aggiunta l’IVA.
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Fatti & Misfatti E sempre analizzando i numeri conosciuti, si evidenza che, negli ultimi 10 anni, le accise hanno visto un loro incremento di circa 5,5 miliardi ovvero il 27% in più che in precedenza. Ecco perché tutti i governi, nessuno escluso, hanno fatto, fanno e faranno certamente “fatica”, ad eliminare dal bilancio queste “inaccettabili”, ma facili entrate. Tornando all’origine delle accise, forse non molti sono a conoscenza che la prima di queste tasse sui carburanti, fu introdotta dal Regno d’Italia nel 1935 e serviva per finanziare la guerra in Etiopia. Nel maggio del 1936 la guerra è finita ma da allora e a distanza di 84 anni tutti noi la stiamo ancora pagando! E cosa dire di quella per il finanziamento della crisi di Suez del 1953? E il disastro del Vajont, l’alluvione di Firen-
ze e a tutte le altre? Il ricorso a questo strumento, che sembrava essere “una tantum” ma che di fatto è diventato “una semper” ha visto un’accelerazione nel corso degli anni : in sessant’an-
ni – tra il 1936 e il 1966 – sono state introdotte nove accise, le altre dieci in soli dieci anni ( tra il 2004 e il 2014). Nel solo 2011 ne sono state introdotte altre quattro e due nel 2014.
QUESTO L’ELENCO DELLE NOSTRE ACCISE 1) 0,000981 euro:
finanziamento per la guerra d’Etiopia (1935-1936);
2) 0,00723 euro:
finanziamento della crisi di Suez (1956);
3) 0,00516 euro:
ricostruzione dopo il disastro del Vajont (1963);
4) 0,00516 euro:
ricostruzione dopo l’alluvione di Firenze (1966);
5) 0,00516 euro:
ricostruzione dopo il terremoto del Belice (1968);
6) 0,0511 euro:
ricostruzione dopo il terremoto del Friuli (1976);
7) 0,0387 euro:
ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia (1980);
8) 0,106 euro:
finanziamento per la missione del Libano (1983);
9) 0,0114 euro:
finanziamento per la missione in Bosnia (1996);
10) 0,02 euro:
rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri (2004);
11) 0,005 euro:
acquisto di autobus ecologici (2005);
12) 0,0051 euro:
terremoto dell’Aquila (2009);
13) da 0,0071 a 0,0055 euro:
finanziamento alla cultura (2011);
14) 0,04 euro:
emergenza immigrati dopo la crisi libica (2011);
15) 0,0089 euro:
alluvione in Liguria e Toscana (2011);
16) 0,082 euro (0,113 sul diesel):
decreto “Salva Italia” (2011);
17) 0,024 euro:
terremoto in Emilia (2012)
18) 0,005 euro:
finanziamento del “Bonus gestori” (2014)
19) 0,0024 euro:
finanziamento del “Decreto fare” (2014)
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Fatti & Misfatti Sommando poi il fatto che alle Regioni è concesso applicare ulteriori accise, è ancora da imputare l’imposta di fabbricazione sui carburanti e che va inoltre applicata l’IVA, si arriva a un importo totale di 85 centesimi per ogni litro di benzina acquistato. Ricordo bene, quando il 23 maggio 2014, il nostro presidente del consiglio Matteo Renzi aveva dichiarato che tutte le vecchie accise, specialmente quelle più ridicole, sarebbero state eliminate. Eppure a oggi, le accise sono ancora presenti, ci fanno l’occhiolino e, purtroppo per noi, incidono per oltre il 50% sul prezzo della benzina Certo, si può anche essere d’accordo sul fatto di stanziare alcune accise per le calamità naturali degli ultimi anni, ma farci ancora finanziare le guerre del 1935 o la crisi di Suez del 1956 a me pare una logica da fantascienza. La promessa “da marinaio, però non è stata fatta solo da Renzi bensì da tutti i governi che lo hanno preceduto. Per la cronaca e per quanto riguarda l’Unione Europea, l’Italia si attesta al secondo posto per il “caro accise” (solo i Paesi Bassi le hanno più elevate), mentre a livello mondiale siamo al quinto posto a parità con la Grecia. In conclusione c’è da precisare, per dovere d’informazione, che da quando è stato istituito il Testo Unico delle Accise (negli anni Novanta), le vecchie imposte di fabbricazione utilizzate per finanziare specifiche iniziative (guerre, ricostruzioni ed emergenza varie) sono state inglobate in una unica accisa indifferenziata, entrata nella fiscalità generale, senza più riferimenti agli scopi originali per cui erano state istituite. È quindi è letteralmente improprio affermare che stiamo ancora finanziando alcune vecchie decisioni governative (come la guerra d’Etiopia, la crisi di Suez e tutte le altre), ma di fatto, anche se hanno cambiato nome, sono costi che dal 1936 gravano ancora sugli italiani.
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PROMOZIONE PER
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L’arte nel Passato di Elisa Corni
In memoria di
Raffaello Sanzio Era il 6 aprile del 1520 a 37 anni esatti d’età, uno dei più grandi geni del suo tempo esalava, lasciava questo mondo: Raffaello Sanzio. Nato a Urbino quello stesso giorno del 1483 attraversò l’Italia Centrale per approdare a Roma, capitale dell’arte e del Rinascimento, dopo un percorso fatto di grandi maestri e incredibili creazioni.
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i sicuro da stimolo furono gli illustri natali: il padre, l’artista Giovanni Santi, lo iniziò alla pittura e allo studio dei grandi maestri come il concittadino Piero della Francesca le cui opere abbellivano la città nella quale Raffaello nacque e trascorse l’infanzia. Stimoli e studi di prospettiva e tecnica lo resero, fin da giovanissimo, un pittore sopra la media, così il padre lo affidò all’esperienza di uno dei pittori più noti del tempo, il Perugino. Raffaello si trasferì così a Perugia e cominciò a lavorare per la bottega del suo maestro, che lasciò all’età di diciassette anni con il titolo di magister che gli permetteva di esercitare la professione di pittore. Da lì in poi fu un successo dietro
Pala Baglioni, La deposizione
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l’altro. La sua attività artistica può essere distinta in diversi periodi. Nel primo lavorò principalmente, ma non solo, per le città umbre: Città di Castello, Urbino, Perugia. Ma anche altre città delle regioni centrali lo invitarono a realizzare delle opere per loro. È il caso, ad esempio, di Siena; la Libreria Piccolomini lo ingaggiò per realizzare un ciclo di affreschi con soggetto scene di vita di Pio II. Nel 1504 Raffaello realizzò l’opera che lo rese famoso tra i suoi coevi, e che oggi è ospitata alla Pinacoteca di Brera. Si tratta dello Sposalizio della Vergine, nel quale l’allievo rielaborò un dipinto del Perugino, superandolo in tecnica, qualità e capacità espressiva. Ma quello fu l’anno del trasferimento a Firenze, città culla del Rinascimento, dove operò per lungo tempo. Ciò non significò però un allontanamento dalla sua città: per la Corte d’Urbino continuò a dipingere, realizzando importanti ritratti e scene sacre come il San Giorgio che uccide il Drago. Firenze fu per Raffaello luogo di incontri importanti: qui infatti conobbe Leonardo da Vinci (1452 – 1519) e Michelangelo Buonarroti (1475 - 1564) con i quali intrecciò rapporti di dialogo, scambio e condivisione. E
Madonna col bambino
così in alcuni dipinti di quegli anni si percepisce la presenza di Leonardo, come nella famosa Madonna Terranuova, un olio su tavola circolare datato dagli esperti tra il 1504 e il 1505 e che oggi è ospitato alla Gemäldegalerie di Berlino, commissionata da duchi di Terranuova; l’intreccio costruito ma naturale di sguardi tra i personaggi e il paesaggio rimandano fortemente allo stile di Leonardo. Probabilmente ciò influenzò profondamente la fase successiva che è quella delle grandi figure monumentali che si stagliano, isolate, su un paesaggio idilliaco. È il caso, ad esempio, della Madonna del Cardellino. Michelangelo Buonarroti ebbe invece
L’arte nel Passato un altro influsso sull’urbinate, e riguardò soprattutto i ritratti e le tavole di devozione privata realizzate per le nobili famiglie fiorentine dell’epoca. Ma è soprattutto nella raffigurazione delle figure umane, come quella della Ritratto di giovane con la mela o della Dama col Liocorno (nel quale il liocorno sostituì un cagnolino in un restauro successivo). È a questo punto che la fama del pittore arrivò a Roma, dove fu convocato per realizzare alcune delle sue opere più famose. Papa Giulio II licenziò tutti gli altri pittori e lo incaricò di decorare le stanze vaticane (oggi parte integrante dei Musei Vaticani). Tra il 1508, anno di inizio dei lavori, e il 1520 anno della sua morte, Raffaello realizzò per il papa affreschi indimenticabili che giocano un ruolo fondamentale nella storia dell’arte: la Disputa del Sacramento, la Scuola di Atene, il Parnaso sono oggetto di
studio e di ammirazione ancora oggi. Mentre lavorava per il Papa, Sanzio continuò a accettare incarichi dalle altre famiglie nobili di Roma e non solo; suoi dipinti e affreschi si ritrovano a Palazzo Chigi, nelle collezioni private di molte famiglie della nobiltà dell’epoca (alcuni dei quali sono finiti in importanti musei internazionali come La Madonna del Velo, oggi a New York). Anche il pontefice successivo, Leone X, gli assegnò il titolo di architetto della fabbrica di san Pietro, mantenendo il proficuo sodalizio tra Vaticano e Raffaello. È alla pinacoteca Vaticana che è ospitato uno degli ultimi lavori del pittore Umbro, la Trasfigurazione che fu esposta alla sua camera ardente; Raffaello Sanzio morì a Roma il 6 aprile del 1520 a soli 37 anni. Troppo giovane abbandonò il mondo, lasciando un profondo dolore e rammarico nei suoi contempo-
ranei che lo avevano ammirato come artista. Non iniziò una scuola, ma molti artisti successivi, come Correggio o Giulio Romano, mossero i loro primi passi studiando la sua pittura.
Pietro Bembo
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Conosciamo il territorio di Chiara Paoli
Il santuario della Madonna della Rocchetta A Ospedaletto nel verde dell’imbocco della Val Bronzale sorge il santuario della Madonna della Rocchetta, termine inteso con il significato di piccolo fuso. Questa costruzione venne eretta nel 1663, su una preesistente edicola o cappella di inizio secolo, in seguito all’apparizione della Vergine, che si presentò ad un giovane pastore sordomuto.
“È
tradizione che qui verso la metà del 1600 sia apparsa a un pastorello sordo e muto Maria S.S. con il fuso in mano da lei guarito il fanciullo annunziò al popolo il voto della Vergine che qui sorgesse questo tempio edificato l’anno 1663 restaurato nel 1962.” Questa è l’iscrizione che compare sulla facciata, collocata in alto tra gli spioventi del tetto, sopra il piccolo oculo. La facciata si presenta arricchita da un grande e colorato affresco, opera del pittore trentino Marco Bertoldi, che lo realizzò nel 1988, mettendo al centro della scena miracolosa uno scorcio del paese e sullo sfondo le montagne. Questa è solo l’ultima rappresentazione del miracolo, che da un tempo imprecisato trovava spazio sul fronte della piccola chiesetta e nei
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secoli è stata più volte rimaneggiata. L’interno del santuario è costituito da un’unica navata, presenta un altare maggiore che incuriosisce lo spettatore, perché costruito attorno al sacro affresco con la Madonna della Rocchetta. L’altare come riporta Vittorio Fabris nella sua scheda dedicata venne rimaneggiato nel 1924 dall’intagliatore Giovanni Marches, utilizzando alcune parti lignee e le sculture appartenenti al precedente altare seicentesco. L’affresco è opera di Lorenzo Fiorentini senior (Borgo Valsugana, 1580 ca. † 1644) e rappresenta la Madonna col Bambino in trono tra i Santi Francesco d’Assisi e Carlo Borromeo. La rappresentazione di Maria Ausiliatrice, cui la chiesa è intitolata risale all’edicola, la cui costruzione pare risalire al 1625, come confermerebbe un documento conservato nell’Archivio della Curia di Feltre e
individuato dallo studioso Massimo Ropele. Oltre alle 14 stazioni della Via Crucis, opere litografiche a colori di inizio XX secolo, all’interno troviamo un lavabo di epoca barocca in pietra, la cui cornice appare decorata da due teste d’angelo, mentre a lato dell’ingresso è collocata un’acquasantiera in marmo riportante la data 1663. Vi è poi una cappella votiva fabbricata nel 1945, che presenta un piccolo altare e una scultura lignea della Vergine. Così viene raccontata nel sito del Comune di Ospedaletto la leggenda della Madonna della Rocchetta: «Era l’anno 1640. Al disopra di Ospedaletto andava pascolando alcune pecore un povero ragazzo, sordomuto dalla nascita, che però era molto intelligente, e si faceva capire benissimo dalla popo-
Conosciamo il territorio
lazione con certi suoi motti delle mani e della bocca. Il ragazzo sopportava pacificamente la sua disgrazia, neppur sognando che un giorno sarebbe guarito dalla sua infermità. Or ecco ciò che si racconta. Un giorno di estate il ragazzo si trovava al solito luogo del pascolo con le sue pecorelle, quando all’improvviso gli parve di vedere una viva luce venir verso di lui… Le pecore si sbandarono impaurite; ma lui non temette e guardò. E vide in mezzo ad una candida nube una giovane signora, avvolta in bianchi indumenti, la quale teneva nella sinistra una rocca da filare e che con la destra gli fece cenno di avvicinarsi. Il sordomuto si levò il cappello e si accostò tutto rispettoso. La signora sorrise benevolmente al pastorello, gli mise la mano sul capo e disse: “Caro ragazzo mio! Tu eri sordomuto; ma ora tu devi sentire e parlare. Non senti-
sti quello che ho detto? Parla!”. E il ragazzo: “Sissignora – rispose con giubilo; – ho sentito e posso parlare. Ma chi siete voi e che cosa volete?”. “Io sono la Madonna, e sono venuta dal cielo per guarirti. Lascia pure le tue pecore qui; esse andranno a casa da sole; tu corri al paese e dì alla gente che ti è apparsa la Madonna e che ti ha guarito. Qui poi edificherete una cappella in mio onore; e mi farete dipingere con la rocca che vedi in mia mano, simbolo del lavoro casalingo”. Detto ciò, la Madonna disparve, dopo di aver benedetto il pastorello. Il ragazzo, abbandonate le pecore, corse giù per il pendio, gridando: “La Madonna mi ha guarito! La Madonna mi ha guarito!”. Figurarsi lo stupore di quei contadini!’ Tutti corsero a vedere e ad interrogare il pastorello già sordomuto, che sentiva e parlava! Si gridò, naturalmente, al miracolo; e da tutta la valle fu un pellegrinare ad Ospedaletto per vedere il miracolato, e molti andarono anche sul luogo dell’avvenimento.» (https://www.comune. ospedaletto.tn.it/Vivi-Ospedaletto/Il-paese/ Il-folklore/La-leggenda-della-Madonna-della-Rocchetta).
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L’artista in controluce di Giorgio Turrini
Arnaldo Pomodoro e le sue sfere Mostro, gigante dell’arte contemporanea, maestro del bronzo, colui che ha portato l’Italia della vera arte in giro per il mondo. Le sfere monumentali dalle straordinarie volumetrie, visibili nelle maggiori piazze del mondo vivono di lui e della sua anima nello spazio. Oltre alle tantissime iniziative per rendere ‘comoda la nostra mondiale quarantena, non solo per il corpo ma anche per lo spirito, la fondazione Arnaldo Pomodoro e lo Studio Marconi ’65 hanno inaugurato una campagna di raccolta fondi a favore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri a sostegno della ricerca sul Covid19. Non è la prima volta che le strade della Fondazione Pomodoro e dello Studio Marconi si incontrano per concretizzare iniziative umanitarie. Infatti, è già attivo da oltre 15 anni un programma di dialogo tra arte e ricerca scientifica. «Noi sentiamo, come artisti, il desiderio di essere col nostro lavoro partecipi di un’iniziativa collettiva e autonoma per la ricerca medica e scientifica e per il bene dei malati», scriveva Arnaldo Pomodoro, nel 2003.
A
rnaldo Pomodoro è nato nel Montefeltro a Morciano di Romagna il 23 giugno nel 1926. Ha vissuto l’infanzia e la formazione a Pesaro. Dal 1954 vive e lavora a Milano ed è considerato uno dei più grandi artisti contemporanei italiani. Noto e apprezzato anche all’estero per quelle opere caratterizzate dalle sue documentate basi orafe che sono gli aspetti della sua prima ricerca: disegni, gioielli, grafiche, studi progettuali, arti applicate e progetti scenici. In parte nato come Orafo, Arnaldo Pomodoro quest’anno supera la bellezza dei 90 anni. Famoso soprattutto per le sue monumentali sfere di bronzo dal perfetto equilibrio, Pomodoro ha ricevuto i più prestigiosi riconoscimenti mondiali. Tra pareti esterne lucenti e complessi meccanismi nascosti, le sue opere bronzee vivono di un proprio spazio dentro lo spazio maggiore dove si muove l’anima meccanica dell’atomo e della materia. Stratificazioni di memoria, resti e ostacoli spaziali, spazi intertemporali di nuclei nell’universo. La struttura delle sue opere sono ottime
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Arnaldo Pomodoro (da il Messaggero)
linee guida per la ricerca scientifica e soprattutto per trovare soluzioni alternative a questa quarantena, contrastando l’ inappartenenza di queste nuove forme di malessere o malattia che ci ostacolano la vita. Solo alla vista le opere più monumentali di questo grande artista ricordano e richiamano a grandi linee quello che è la struttura al microscopio del nostro maledettovirus. Il materiale prediletto da Pomodoro è il bronzo che considera «un metallo bellissimo, come l’oro» prezioso e costosissi-
mo: purtroppo sempre meno utilizzato dice l’artista. Pomodoro rimane uno degli ultimi maestri orafi a saperlo lavorare. La sfera è il solido più interessante, che scava, separa, toglie e fa esplodere come l’atomo, ripete lo stesso. Nei primi anni Sessanta affronta la tridimensionalità e sviluppa la ricerca sulle forme della geometria solida: sfere, dischi, piramidi, coni, colonne, lucidi cubi in bronzo squarciati, corrosi, scavati nel loro intimo, con l’intento di romperne la perfezione e scoprirne il vero mistero
L’artista in controluce
Arnaldo Pomodoro (1975)
alle Nazioni Unite a New York, nella sede parigina dell’Unesco, nei parchi culturali della Pepsi Cola a Purchase e dello Storm King Art Center a Mountainville, poco distanti da New York City. Numerose opere ed esposizioni itineranti si sono susseguite in Europa, Stati Uniti, Australia e Giappone. Ha ricevuto molti premi e importanti riconoscimenti: i Premi di Scultura alle Biennali di São Paulo 1963 e Venezia 1964 Il Praemium Imperiale per la Scultura. 1990 Japan Art Association e il Lifetime Achievement in Contemporary
che racchiudono. Nel 1966 gli viene commissionata una sfera di tre metri e mezzo di diametro per l’Expo di Montreal, ora collocata a Roma di fronte alla Farnesina. Qui l’artista ridisegna le misure del ‘passpartout alle sue opere, passando, riversandosi, alla grande dimensione. Questa è la prima delle numerose opere dell’artista che hanno trovato collocazione in spazi pubblici di grande suggestione e importanza. (Milano, Copenaghen, Brisbane, Los Angeles, Darmstadt), di fronte al Trinity College dell’Università di Dublino, al Mills College in California, nel Cortile della Pigna dei Musei Vaticani, di fronte Sculpture,International Sculpture Center di San Francisco 2008. Nel 1992 il Trinity College dell’Università di Dublino gli ha conferito la Laurea honoris causa in Lettere e nel 2001 l’Università di Ancona quella in Ingegneria edile-architettura. Sempre nel 1992 il “Disco Solare”, dono della Presidenza del Consiglio all’Unione Sovietica, a Mosca è stata installata un’opera di grandi dimensioni “Papyrus” nei giardini del nuovo Palazzo delle Poste e Telecomunicazioni a Darmstadt. Nel 1995 ha realizzato per incarico del Comune di Rimini una scultura in memoria di Federico Fellini. Nel 1998 ha ricevuto l’incarico di realizzare il portale del Duomo di Cefalù.
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Storie di casa nostra di Massimo Dalledonne
Strigno e l’illustre stirpe Storico, cronista ma anche valente giureconsulto dotto nel diritto, capitano e vicario vescovile. Ricorre quest’anno l’anniversario dei 500 anni dalla nascita di Giacomo III de Castelrotto che, come lo definisce nel suo libro “Strigno – i signori di Castelrotto” Adone Tomaselli “è il più illustre della sua stirpe a cui la comunità di Strigno ha dedicato anche una delle vie centrali della borgata”.
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ato nel 1520 nel castello di Mechel, a Cles, dove il padre Biagio II era capitano dei conti Firmian, studiò giurisprudenza a Bologna e nel 1543 diventa vicario del Principe Vescovo Cardinale Cristoforo Madruzzo nel castello di Selva di Levico. Successivamente passò anche a Castel Telvana e Castellato, come capitano e luogotenente imperiale per il conte Carlo Welsperg. Come ricorda ancora Tomaselli “nel 1556 fu ad Innsbruck dove tornò sei anni più tardi per l’incoronazione di Massimiliano, figlio primogenito di Ferdinando II, a re dei Romani. Per quattro anni, dal 1564 ebbe il comando del castello della Preda nel Primiero dove, nel 1565, stese anche un prezioso urbario o libro catastale. Una raccolta degli atti di gestione di un contado, feudo o comunità la fece anche per Strigno, documentazione che però andò persa in occasione della distruzione degli archivi della borgata durante la Grande Guerra 15-18. Nel 1569 Giacomo III de Castelrotto arrivò anche nel castello di Ivano come vicario dei Wolkenstein-Rodenegg succedendo nell’incarico a Battista Rippa. Pochi anni più tardi, esattamente nel 1573, iniziano i viaggi e le ispezioni che lo portano fino a Feltre, Rovereto ed altri luoghi dove raccoglie notizie e documentazione che daranno corpo alle sue “Cronache”. Per quanto riguarda la sua vita
privata, Adone Tomaselli nel 2005 ricordava come “sembra sia passato più volte a nozze. Certo è che ebbe in moglie anche una discendente dei Roccabruna. Conosceva il latino, l’italiano ed il tedesco oltre al diritto ed alla storia. Per i suoi tempi possedeva una cultura eccezionale. Era un uomo acuto di mente e fermo di volontà attenendosi, nelle sue descrizioni, ai fatti con facilità espressiva e sobrietà di giudizio”. Giacomo III de Castelrotto diventa capitano del castello di Ivano nel 1586 per conto dei Duchi d’Austria, Conti del Tirolo. Ed è proprio nell’antico maniero che porta a termine le sue “Cronache” composte da 162 fogli. Il volume rimase di proprietà della famiglia Danieli, erede dei Castelrotto per poi scomparire del tutto durante il Primo Conflitto Mondiale. Nelle Cronache di Giacomo III de Castelrotto si narrava, oltre che della storia della sua famiglia e dei castelli della Valsugana, tutti gli avvenimenti successi a Trento ed in zona. Trovavano posto anche le vicende dei nobili casati, degli imperatori di Germania anche di papi, dei guelfi e ghibellini, degli ordini dei francescani e dominicani, delle guerre dell’epoca così come dei fatti della storia del Tirolo. Il più illustre della stirpe dei Castelrotto, secondo quello che riporta Tomaselli, muore, probabilmente, verso la fine del secolo nel
castello di Ivano. Esiste ancora un suo manoscritto, l’ultimo che ha composto, conservato al Landesarchiv di Innsbruck. Si tratta di una relazione sul restauro della cappella del castello. Le sue “Cronache” restano di grande valore in quanto sono la più antica ed unica documentazione storica sulla Valsugana ed il suo casato. Lo studioso e suo concittadino Guido Suster riuscì a consultare il testo originale e nel 1883 così si espresse in merito: “Tale cronista, scrittore e uomo fu il Castelrotto che è benemerito della sua valle alla quale conservò, con attivo amore e con diligenti cure, le memorie storiche che, altrimenti, sarebbero rimaste nel buio dei secoli”.
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Arte di casa nostra di Waimer Perinelli
Grand Hotel per venti artisti “Al presente a mio avviso, la parola sembra essere diventata l’oggetto artistico in primo piano”, parola di Aldo Pancheri, ideatore di Arte Timbrica, ottant’anni appena compiuti, freschi di maggio, e artista irrequieto come un giovinetto.
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ancheri in collaborazione con il Centro d’Arte La Fonte e Barbara Cappello presidente della Fida (Federazione italiana degli artisti), il patrocinio del Comune di Trento e la collaborazione della Cassa Rurarle Alta Valsugana, ha allestito nelle sale del Grand Hotel Trento, la mostra dal titolo “Per chi ci cammina accanto” la cui inaugurazione era prevista per il 14 marzo ma sulla quale è calato, inatteso, il sipario del Covid 19. Una vittima in più anche senza spargimento di virus e sangue. Le opere d’arte appese alle pareti del grande albergo, simbolo culturale di Trento, hanno atteso pazientemente l’attenuarsi del pericolo e la fine del lockdown, ed ora le riaperture introdotte dalla fase due, le rendono nuovamente e pienamente visibili. Per i più prudenti Barbara Cappello ha creato un post per ogni artista e le opere sono visibili sul sito Fida di facebook. Esposte ci sono le opere di venti artisti trentini nostri contemporanei. Aldo Pancheri, con un dipinto a pastello dedicato alla maternità, descrive il doppio sogno di protezione realizzato e suggellato dal timbro. Elena Fia Fozzer nell’opera “Il triangolo Madì” ritrova l’antico amore artistico e con le sue regole scompone e ricompone figure geometriche realizzando un puzzle della vita. Quella vita in cui Pietro Verdini si aggira come in un bosco e si perde come novello Pollicino: senza paura, perché conosce l’ uscita. Anna Maria Zen si abbandona al colore in un’opera dove s’intrecciano segni geometrici. Diego Bridi dipinge il paese di Lilliput. Alessan-
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dro Goio traccia scie di colore come note sullo spartito. Romano Furlani intreccia mappe colorate di strade e siepi; sentieri della mente. C’è un sottile filo a unire, senza legare, questi sette artisti: tutti sfiorano, e in un caso superano, gli 80 anni e per almeno 60 hanno operato con molte angosce, dubbi, lacerazioni e ricomposizioni nel mondo della ricerca artistica. Li unisce anche l’umiltà, dote rara nell’arrogante mondo creativo, con cui si confrontano, nelle sale del Grande Hotel, con altre generazioni confermando la loro capacità di convivere e comunicare. Appartengono a mondi simili e si esprimono con segno e colore, gli architetti Roberto Codroico, sintetico e geometrico, e Francesca Libardoni, sognante e materica, mentre procedono per propri sentieri Barbara Cappello introspettiva analista della mente e del corpo; Luciano Olzer il fotografo della luce; Angelo Dimitri Morandini che mescola immagini virtuali con la steganografia; Nadia Cultrero, Arianna Lonardi, Graziella Gremes e Luciana Antonello, artisti capaci di immaginifiche e fantasiose creazioni cromatiche. Una ricerca singolare appartiene a Matteo Boato la cui arte è un giocoso puzzle dove si specchiano l’uomo e la Aldo Pancheri, natura. Monica Doppio sogno, 2019 Pizzo ha inven-
tato l’armonioso gioco di volti e corpi prigionieri del colore. Alla generazione più recente appartengono Alessandro Gretter tenebroso punk, nel senso più nobile, della pittura dark e Rosanna Pellegrini, pittrice tormentata, ora giunta ad un tratto di corda dalla vetta che può raggiungere solo staccandosi dalla cengia. Entrambi giovanissimi hanno esposto una decina d’anni fa a Caldonazzo, ospiti della Fonte, e dopo qualche nuovo guizzo sembrano essersi adagiati. Nel mare dell’arte contemporanea, troppe volte fatto di conformismo, la mostra “ Per chi ci cammina accanto” vuole essere un omaggio alla ricerca e impegno di 20 talentuosi pittori. Un refolo, una increspatura, capaci a volte di dare la visibilità così necessaria al lavoro degli artisti. La mostra, colpita dal Virus, ma non affondata, doveva chiudere a maggio e invece prosegue fino ad ottobre. Con il sole di luglio Barbara Cappello e Aldo Pancheri progettano una sontuosa inaugurazione ufficiale: anche la tradizione vuole la sua parte.
Mateo Boato, Bielefeld St Jodokus - 3, 2019
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Tra poesia e prosa di Laura Mansini
Rosa Maria Campregher
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on Rosa Maria Campregher iniziamo questo viaggio nella poesia contemporanea della Valsugana e dintorni. Rosa Maria Campregher è nata a Caldonazzo nel gennaio del 1947. E ‘ una poetessa timida, sensibile, innamorata della poesia fin dalla più tenera età. Lei racconta di essere stata una bambina sola, schiva, che ritrovava nelle filastrocche o nelle poesie per bambini lette dalla mamma o all’asilo le sensazioni provate nel guardare gli animaletti, le nuvole, i piccoli fiori dei prati. Crescendo ha trovato nella poesia dei grandi autori, ma anche in quelli semplici della nostra terra, la risposta alle sue ansie ed alla propria
visione del mondo e ad averne un tale rispetto da non aver mai osato mettere su carta la propria poesia. Studiava i grandi poeti che l’hanno accompagnata nella vita. “ Ho sempre un libro di poesie nella mia borsa o sul comodino della mia stanza da letto. Solo dopo i cinquant’anni ho osato scrivere ” mi dice sorridendo ed ha fatto bene perché è una poetessa molto apprezzata, attenta alla natura, alle piccole cose, incline al romanticismo. La vita del paese, la sua gente entrano dolcemente nelle sue riflessioni, come in “...a proveder.. “ scritta nel 2006, nella quale racconta una Caldonazzo degli anni 50 con le sue botteghe, la sua gente. Uno spaccato di vita molto interessante.
... a proveder... Digo la verità, me piaseria tornar ‘ndrè, solo per ‘n momento ‘n te i anni zinquanta o zo de là, ‘n compagnia de la zente de alora e riveder ancora la cara Caldonazzo de quel tempo e po’ ... nar a proveder ‘n le vecie boteghe (e le era tante) sparpaiade qua e la tra le strade e le piaze del paese. ‘L Pola, i Borti, ‘I Sbrega, ‘I Giacomelli, l’Ernesto Piva, ‘I Biti, ‘I Valentin, Grarie, Coperativa el tabachin de l’Italo, la Nella, quel dei Prati, ‘I Dante e le sò scarpe e ‘n po’ pù soto la bela merceria de le Franzie, quela del Selvarato e ancor la speziaria, ‘I bazar dell’Albina Monegata, ‘I panificio e quatro becarie. Togo su la me sporto/a de paia, tre quatro zento lire ‘n te! tacuin me meto anca ‘na maia nova e sgolo via come gavessa le ali. Generi alimentari - Coloniali Olio di sansa e oliva - Idrolitina Malto Kneipp, gh’eia scrito li ‘n fianco a la vedrina e l’era qua
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pù o men alora la publicità, quela che ades ne stomega che mai. Drè a quel bancon de legno, tra i casseti i vasi, i sachi, le boze e la balanza dala matina a sera tuti i d1 senza mai ‘na vacanza, col lapis su ‘na recia, ‘I steva li ‘I botegher, a servir, a pesar, ‘ncartar sù, a far conti e ciacerar zirevol con pazienza: “arivederci, la me staga ben, saluti a casa, ehi si gh’è tante spese” A segnar sul libreto e far credenza per mese dopo mese. Nando avanti cossi, me ven destrani de la zente, i profumi e dei saori che i è nadi persi col passar dei anni. Compro quele zirele a do colori al gusto de rabarbaro e limon, da momolar pian pian, cossi ‘I magon ‘I se deslegua adasi’n sieme a /ore tassando ‘n drè quel gusto dolz-amaro. Zirele de rabarbaro e limon dal saor caro e bon lo stesso antico, amaro e dolzo gusto de la vita. destrani = nostalgia far credenza = fare credito zirevol = gentile, cordiale di Rosa Maria Campregher
Fatti di casa nostra di Massimo Dalledonne
Il cannone della Val Caldiera e le nuove campane di Olle Un lavoro certosino. Per raccogliere informazioni, foto e ricordi di un avvenimento che segnò la vita dell’abitato di Olle, la sola frazione di Borgo. Nelle scorse settimane, finalmente, la preziosa ricerca di Edoardo Rosso è stata resa pubblica. Una ricostruzione che ha permesso di dare volti e nomi ai protagonisti di un episodio che resterà nella storia della piccola comunità.Ma veniamo ai fatti.
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el 1915 per ordine del governo austriaco furono requisite le campane di tutte le chiese per ricavarne cannoni da impiegare nelle battaglie che stavano imperversando sulle nostre montagne. Da questa retata non fu ovviamente risparmiato il paese. Ma subito dopo la fine della guerra fu forte l’auspicio di ripristinare il concerto campanario, da sempre simbolo di unità identitaria della comunità. Fu questo forte desiderio a spingere il 16 maggio 1920 una ventina di robusti giovanotti sotto i dirupi della Val Caldiera, e precisamente nella piazzola sottostante lo “Stollen del prete”. Lì era rimasto il mortaio da 150 mm che poteva servire per la fusione delle nuove campane di Olle. Smontato sul posto dal proprio supporto, il cannone, del peso di 530 kg, venne trascinato a valle e nascosto nella cella campanaria. Il regio Governo infatti ne avrebbe rivendicato la proprietà come bottino di guerra. Ecco i nomi e l’età di tutti protagonisti: Giuseppe Tomio 55, Agostino Armellini 41, Remigio Roat 22, Erminio Roat 18, Antonio Roat 20, Ernesto Roat 24, Eugenio Tomio 29, Guerrino Rosso 19, Arturo Giacometti 17, Andrea Faisingher 18, Emilio Faisingher 17, Luigi Rosso 22, Roberto Tomio 19, Stefano Armellini 23, Angelo Giacometti 18, Marco Tomio 20, Egidio Molinari 18, Aleodato Tomio 25, Firminio Rosso 14, Giovanni
Rosso 19. Le nuove campane vennero rifuse dalla ditta Colbacchini di Trento, trasportate a Olle e benedette il giorno della Sagra di S. Antonio dell’anno successivo, 26 giugno 1921. “Per dare giusto rilievo all’importante ricorrenza dei cento anni da quell’evento, del quale si può dire che in ogni casa di Olle esiste l’eccezionale (per quei tempi) documentazione fotografica – ricorda Edoardo Rosso - avevo organizzato una degna seppur sobria cerimonia di commemorazione. Ne avevo già parlato con le associazioni locali e con il Parroco, per una speciale celebrazione da tenersi domenica 17 maggio. Per l’occasione era pronta la presentazione di una approfondita ricerca storica, che in qualche modo avrebbe fatto rivivere l’epica avventura dei nostri ragazzi. Con molta pazienza ed attingendo da molteplici fonti, ad ognuno dei 20 protagonisti sono riuscito ad attribuire con esattezza nome ed età. Alcuni discendenti, figli o nipoti, abitano tuttora ad Olle, altri sono emigrati. Il lockdown ha impedito questo evento, che tuttavia è da considerarsi solo rinviato a quando le condizioni generali lo permetteranno. Ecco come don Giuseppe Sma-
niotto, per 32 anni parroco di Olle, a suo tempo ricordava l’accaduto. “I nostri giovani forse si meravigliano che il campanile e i sacri bronzi abbiano potuto infiammare talmente gli animi da far loro assumere il ruolo di emblema della comunità. Il fatto da considerare è l’alto valore simbolico che è connesso alla loro presenza nel paese. Il suono che viene dall’alto non scandisce soltanto il susseguirsi delle ore e dei giorni in modo maestoso e pubblico, ma suscita anche sensazioni, emozioni, ricordi, nostalgia di avvenimenti personali, familiari e sociali, impressi profondamente nel vissuto della gente “. Quei giovani sapevano di aver compiuto un’impresa importante, nel segno della ritrovata pace, della serena convivenza, della sincera reciproca amicizia. Valori fondamentali cento anni fa, come ai nostri giorni, come lo saranno certamente per chi verrà dopo di noi.
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In controluce
di Veronica Gianello
Ripartire tornando alle origini: immaginare il teatro post-covid
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mmaginatevi a teatro. La fila per comprare o ritirare il biglietto, gli incontri programmati o casuali con qualche amico, due chiacchiere e magari un bacio al volo mentre ci si accomoda in sala. Attenzione agli scalini, caccia al tesoro per trovare il proprio posto. “Scusi, permesso, grazie!”, e con calma, senza fretta, si compie il catartico rito dell’andare a teatro. Un appuntamento fisso per alcuni, una noia mortale, per altri; per altri ancora il teatro è lavoro. Così, mentre ci si sfila cappotti e si affievolisce il vociferare mano a mano che le luci in sala si spengono, si muovono passi agitati dietro al sipario ancora chiuso. Chi respira profondamente, chi beve un goccio d’acqua, chi scherza con tutti perché non si agita mai… o sa celarlo bene. C’è chi ripassa disperato, chi sta in un angolino, chi, tranquillo, aspetta. Riti, scaramanzie, silenzio. E poi ancora ci sono luci, e microfoni e pezzi di nastro adesivo a terra. Ci sono pulsanti, scale, e mattinate e pomeriggi di monta, smonta e risistema. Questo non si vede mai, eppure c’è. Dire “Vado a teatro” implica molto più di una semplice, vuol dire far vivere un mondo, più o meno nascosto, di professionisti che meritano la stessa dignità di qualsiasi altro lavoratore. In questi mesi di
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quarantena per alcuni lavori è stato abbastanza semplice riorganizzarsi, per altri un po’ più brigoso, per alcuni, nonostante tutto, impossibile. Per chi si puntano le luci se nessuno sale sul palco? Per chi regoliamo l’audio, se nessuno parla? Lavori immobili e silenziosi, lavori essenziali. Così mentre c’è chi non può lavorare, c’è chi parla, e pensa, sì, è proprio questo l’ordine,e poi, ahimè, scrive. Si pensa al proprio orticello, al togliere agli altri pur di non restare senza acqua per le proprie piante. “Ripartenza Spettacolo Trentino” è in cima alla lista delle proposte-barzelletta che invece di far ripartire il mondo del teatro, lo fa retrocedere. In questa lettera si supplicano Provincia ed enti finanziatori di ripensare i contributi destinati al mondo dell’intrattenimento trentino. Nello specifico i firmatari, capitanati da Agostino Carollo, chiedono di rivedere i finanziamenti a soggetti che non siano professionisti o imprese e soprattutto di revocare i contributi già stanziati a quei professionisti che comprano spettacoli fuori provincia, come se territorialità facesse sempre rima con qualità. C’è incertezza, c’è timore a tornare al “prima”, che sicuramente sarà comunque un “prima” diverso. Eppure bisogna ricominciare, e chissà, ma-
gari non vedremo Giulietta baciare il suo Romeo, ma riscopriremo un nuovo modo di vivere il teatro. Si stanno muovendo i primi passi per organizzare eventi estivi all’aperto. All’aperto, com’era in origine: tornare indietro per andare avanti. Le proposte che sono state avanzate dagli esperti del settore sono diverse, ma l’unica davvero percorribile, per ora, è quella proposta da Gabriele Vacis: tornare al teatro seicentesco, al teatro elisabettiano. Vacis immagina uno spazio senza poltrone, con una capienza massima e il giusto distanziamento. Con sedie mobili, per chi vuole, e con una vicinanza—non in senso fisico—che troppo spesso manca. Soprattutto, sottolinea la necessità di vivere il teatro tenendolo aperto tutto il giorno, con più repliche, con eventi e attività che coinvolgano davvero lo spettatore. Propone anche un teatro, saltuariamente, notturno, e non serve cercarlo lontano: eventi come le maratone teatrali, l’ormai conosciuta “Lunga Notte del Teatro” dei Figli delle Stelle di Ospedaletto, è già un esempio collaudato e di successo. “Ma servono i finanziamenti”, ha controbattuto qualcuno. Eppure i soldi ci sono, tutto sta nel ripensare una distribuzione funzionale ai nuovi bisogni del teatro.
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Conosciamo il territorio di Chiara Paoli
Splendido Lagorai
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a Catena del Lagorai è il gruppo montuoso che contraddistingue la Valsugana e la collega alle altre vallate. Il massiccio montuoso lungo circa 70 km, si estende tra il monte Calisio e il passo Rolle, e per la zona nordest, è ricompreso nel parco Naturale Paneveggio-Pale di San Martino, che garantisce protezione e sorveglianza, soprattutto per quanto concerne le specie anche rare di volatili e mammiferi. Secondo una interpretazione il nome il nome Lagorai pare derivare dal termine prelatino aur, inteso come luogo erboso attorno all’acqua; “Aurai” dovrebbe dunque avere il significato di luogo pianeggiante, intorno ad un lago e collocato tra i monti; questo è quanto riporta Franco de Battaglia, nel suo volume intitolato “Lagorai”. Questa zona rimane quasi incontaminata e di una bellezza selvaggia, sebbene sia stata abitata sin da tempi lontanissimi, come dimostrano i ritrovamenti risalenti all’epoca neolitica, rinvenuti al passo Rolle, nei pressi dei laghetti di Colbricon, a un’altitudine che si aggira intorno ai 2000 metri. Qui gli impianti a fune sono limitati al numero di quattro; quelli del Cermis, del passo Rolle, di San Martino di Castrozza e della Panarotta. Il paesaggio alpino rimane quindi in gran parte immutato e l’attività prevalente, che modifica lentamente il paesaggio è l’antica pratica dell’alpeggio, che conduce al pascolo mucche, cavalli e pecore e il taglio periodico del legname. I passi percorribili in auto o in moto con l’avvento della bella stagione, sono passo Rolle, che congiunge la zona del Primiero con la valle di Fiemme, collegata a sua volta quest’ultima
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Lagorai
attraverso il con la Valsugana sebbene l’apertura sia limitata ai mesi caldi con la chiusura invernale dal 1º novembre al 30 aprile. Vi è poi il fresco passo Redebus, che mette in comunicazione la valle dei Mocheni con l’altopiano pinetano. Dal punto di vista geologico e strutturale il Lagorai fa parte della regione dolomitica, e le sue rocce si inseriscono nel gruppo Vulcanico Atesino, che consiste in una vigorosa successione di rocce e resti di eruzioni vulcaniche emerse e poi depositatesi nel periodo Permiano, in un lasso di tempo che va dai 290 ai 274 milioni di anni fa. Questa catena si innesta in un articolato sistema vulcanico, che collega le Dolomiti al lago Maggiore.
Lago delle stellune
Passo_manghen
Conosciamo il territorio Le principali cime che si trovano a sud e quindi più frequentate dai valsuganotti sono quelle che si dislocano tra il passo Manghen e la val Sadole, come il Monte Ziolera con i suoi 2478 metri sul livello del mare, con il rifugio Manghen e la vista sul lago delle Buse. Vi sono poi cima Pala del Becco (2421 m.s.l.m.), che sovrasta l’incantevole Lago di Montalon, con l’omonima forcella (2435 m.s.l.m.), Cima delle Buse Tedesche (2574 m.s.l.m.) con le sue postazioni militari, Cima delle Stellune (2597 m.s.l.m.) con l’omonimo e splendido specchio d’acqua, cui si aggiungono i laghi di Rocco o Buse Basse. Tra i rifugi più noti ed amati del Lagorai, troviamo quello di Erdemolo, il Sette Selle, il Serot, il Refavaie e l’amato rifugio Giovanni Tonini, che sarà ricostruito e riaprirà probabilmente nel 2022.
Su queste montagne si possono percorrere numerosi trekking, alcuni dei quali studiati anche su più giornate, come avviene la translagorai, che permette di percorrere 80 km, partendo dalla Panarotta per giungere sino a Passo Rolle, tra mulattiere, trincee e Lago delle Buse (Translagorai) tracciati risalenti alla Grande Guerra. Un luogo dove gli apPasseggiando sul Lagorai, si può passionati di questo periodo storico ammirare la splendida flora e la fauna riescono ancora a recuperare piccoli che connotano questa zona inconresidui bellici, ancora lassù dopo più taminata ed apprezzare i bellissimi di un secolo. La croce è un segno forlaghi che costellano queste montate e presente su quasi tutte le cime, gne in un misto di colori che vanno assieme ad ud libro di vetta, dove è dal blu delle acque, al verde di prati e possibile apporre la propria firma, a alberi, per giungere alla tonalità grigia ricordo della sommità raggiunta. delle rocce.
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Italia Oggi di Elisa Corni
C’era una volta… le vacanze del boom economico Nell’estate del Covid 19 ci domandiamo tutti “come faremo ad andare in vacanza quest’anno?”, dando per scontato che nei mesi estivi si vada al mare o in montagna per fuggire dallo stress del lavoro e prendersi una bella pausa. Lo diamo per scontato perché la maggior parte di noi ha sempre fatto vacanza, eppure non è sempre stato così.
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e ferie sono cominciate nell’era del boom economico, quella degli sfavillanti anni Sessanta. E prima cosa c’era? Beh, ben poco, soprattutto in paese largamente contadino come l’Italia a cavallo tra Otto e Novecento. In Trentino ma soprattutto in Alto-Adige durante la fase asburgica l’idea di villeggiatura era già arrivata con la costruzione di località turistiche come la Levico imperiale o le ville e gli alberghi - ad esempio il Seehof - sul Lago di Caldonazzo. Ma sia in questi contesti che nel resto della penisola i passatempi e le vacanze erano riservate a pochissimi fortunati: nobili e alta borghesia erano gli unici a godere delle vacanze. Solo negli anni Venti, tra cinema e dopolavoro le persone iniziarono a dedicare il loro tempo libero ad attività ludiche e di intrattenimento. Durante il fascismo vennero addirittura organizzati dei treni - i Treni Popolari di Ferragosto - per portare anche le famiglie delle classi meno abbienti al mare o in gita per una giornata. Ma bisogna aspettare il secondo do-
poguerra, gli anni Cinquanta, perché le cose cambino davvero. L’industrializzazione e il generale benessere economico acquisito dopo la guerra permisero a una “pericolosa” idea di farsi strada nell’immaginario comune: quella del tempo libero. I lavoratori con le loro famiglie ne avevano diritto e dovevano poterlo trascorrere al meglio. È in quegli anni che si sviluppò uno dei più importanti e famosi litorali del pianeta: la Romagna. Tra alberghi, spiagge attrezzate, locali per il liscio è così che nacque il turismo per tutti gli italiani. Anche grazie alla diffusione sempre più capillare dell’automobile, che permetteva spostamenti più rapidi per le famiglie, dalle città e dalle campagne ci si spostava per trascorrere qualche giorno in vacanza. In generale tutta la costa adriatica divenne la meta prediletta di queste nuovi vacanzieri appartenenti a tutte le classi sociali. Ecco il turismo di massa, reso possibile dai prezzi sempre più bassi ed abbordabili e incentivato dalla chiusura simultanea delle fabbriche nei mesi estivi.
Viaggi organizzati in pullman, automobili stracariche di bagagli, alberghetti a conduzione familiare, campeggi e roulotte fanno parte del nostro immaginario collettivo, veicolati anche da film e canzoni. E così gli italiani andavano tutti al mare a prendere il sole o in montagna per godere dell’aria pura e dei panorami alpini. Chi non poteva permettersi di fare vacanze lunghe non rinunciava certo alla gita della domenica: tutti pronti la mattina presto con ombrelloni e vettovaglie sufficienti a nutrire un esercito pronti a passare una bella giornata in compagnia. Ma sono soprattutto le vacanze al mare a rappresentare per l’Italia degli anni Sessanta una vera e propria conquista sociale per le classi più basse che erano disposte a indebitarsi per poter andare in villeggiatura. Oggi le cose sono profondamente diverse. Il turismo di massa è stata la modalità di andare in vacanza per più di mezzo secolo; ora forse saremo costretti a fare qualche passo indietro. Verso un turismo moderato, controllato e sostenibile.
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Il coronavirus non ferma l’Istituto Pergine 2
Trentino Young Scientist Challenge
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el pomeriggio di venerdì 15 maggio 2020, nonostante l’emergenza coronavirus, grazie alla didattica a distanza, la scuola Secondaria di Primo grado Garbari è riuscita a svolgere, in modalità online, la terza fase delle TRENTINO YOUNG SCIENTIST CHALLENGE (TYSC). L’iniziativa, ideata dall’Università di Trento e ispirata al successo internazionale di Young Scientist, ha avuto l’obiettivo di avvicinare studenti e studentesse di scuola secondaria di primo grado al mondo scientifico attraverso l’approccio metodologico del learning by doing (imparare facendo). L’esperienza, basata sul lavoro in gruppi efficaci e cooperativi, è finalizzata a sviluppare competenze cognitive attraverso la tecnologia e le scienze con l’obiettivo di stimolare creatività, pensiero critico, collaborazione e comunicazione. La partecipazione al progetto aveva come precipuo compito quello di permettere a studenti e studentesse di acquisire una maggiore familiarità con il mondo scientifico, con il lavoro di gruppo e i rapporti interpersonali tramite il metodo sperimentale e l’esperienza diretta. La prima fase del progetto si era svolta nel mese di dicembre dove giovani ricercatori e ricercatrici dell’Ateneo di Trento hanno realizzato laboratori nelle scuole per avvicinare la classe al mondo della ricerca. Quindi i gruppi si sono messi al lavoro per sviluppare dei progetti sperimentali con il supporto di insegnanti della scuola. Gli alunni ostacolati dall’emergenza coronavirus non si sono arresi, nelle
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settimane precedenti l’Open Day, supportati tramite sportelli pomeridiani dalle insegnanti Scarcipino Pattarello Rita (tecnologia) ed Borga Elisa (matematica e scienze) con appuntamenti in classroom e incontri in meet, hanno portato a termine i loro progetti Gli studenti non potendosi trovare fisicamente per ultimare gli esperimenti si sono scambiati i materiali e quindi hanno presentato i propri elaborati ai loro compagni e alle relative commissioni, tramite video e/o presentazione della durata di 5 minuti. Elaborati che sono stati esaminati da due sottocommissioni in cui erano presenti la Dirigente scolastica, Antonella Zanon, Francesca Fiore, Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione dell’Università di Trento e coordinatrice del progetto, Marianna Moser, consulente ambientale e vicepresidente dell’Associazione H2O+, Chiara Cateni, insegnante di Matematica scienze e vicepresidente
GRIMeD (Gruppo di Ricerca Matematica e Difficoltà), i docenti dell’Istituto Samantha Manco ed Elisa Borga ( entrambe docenti di matematica e scienze), Scarcipino Pattarello Rita e Sara Roccabruna (entrambe docenti di tecnologia). L’Open Day ha visto la partecipazione di circa 58 ragazzi, con la presentazione di 21 progetti. La quarta fase che avrebbe dovuto vedere gli studenti sfidarsi con le altre scuole che avevano aderito al progetto è stata sostituita da un incontro (4 giugno 2020) in meet, aperto anche ai genitori, durante il quale le squadre vincitrici hanno proiettato i loro video.
Economia & Finanza di Armando Munao’
Dopo la tempesta ritorna sempre il sereno
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n questo particolare momento, per effetto della situazione sanitaria che sta vivendo, non solo il nostro paese, ma anche tutta l’Europa, il mercato azionario e gli investimenti privati hanno subìto una flessione che ha determinato il calo del loro momentaneo valore. Momentaneo perché, ed è indiscutibile, e come già accaduto in passato, le cose tenderanno a normalizzarsi. Quindi, a detta dei più competenti operatori finanziari, potrebbe essere grave errore farsi condizionare dalla “naturale “ paura e disinvestire i propri risparmi. È vero che in questi momenti il panico la fa da padrone, ma
come disse Dean Witter, che è stato il più grande investitore della costa pacifica degli States, poche settimane che finisse la Grande Depressione USA del 1929, con il Crollo di Wall Street… “C’è chi dice di voler aspettare una visione più chiara del futuro. Ma quando il futuro tornerà ad essere chiaro, le occasioni saranno svanite. Chi pensa che i prezzi rimarranno sui livelli odierni una volta che la fiducia sarà stata pienamente ristabilita?” Ed oggi i più grandi studiosi ed esperti dei mercati e degli investimenti sono concordi nell’affermare non solo che “Il naturale andamento dei mercati finanziari è verso l’alto, perché servono a
creare valore. E nessuna volatilità potrà mai cambiare questo fatto, per alta che possa essere”, “ma anche che il tempo è il miglior alleato per non perdere soldi e per poter avere un sicura e valida situazione economica destinata a migliore”. È indiscutibile che dal punti di vista matematico-statistico i mercati sono effettivamente sistemi complessi e come tali sono soggetti e condizionati da eventi a volte anche estremi, ma ciò non toglie che dopo una qualsiasi terremoto finanziario, il panorama economico tende sempre a normalizzarsi e quindi riprendere la strada interrotta dall’evento che ne ha determinato la non positività.
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Storie di casa nostra di Massimo Dalledonne
Valsuganotti
prigionieri in America
Durante la Seconda Guerra Mondiale gli italiani fatti prigionieri furono 1 milione e duecento mila. Esattamente la metà dai nazisti, dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, quando si ruppe l’alleanza con la Germania. Qualcosa come 600 mila italiani vennero catturati dalle truppe alleate: più di 400 mila finirono nelle mani degli inglesi, diverse decine di migliaia dall’esercito sovietico, molti fatti prigionieri dai francesi. Gli italiani catturati dagli americani furono 125 mila: cinquantamila soldati furono inviati negli Stati Uniti, ospitati nei tanti campi di prigionia allestiti nei vari stati sul suolo americano.
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opo l’Armistizio e il successivo riconoscimento dell’Italia quale paese cobelligerante, gli Alleati non solo non liberarono gli italiani ma continuarono a mantenerli nel loro status di prigionieri per tutta la durata del conflitto. Avviando un programma di collaborazione volontaria che prevedeva anche lavori vietati dalla Convenzione di Ginevra. Per trasferire i prigionieri italiani negli Stati Uniti gli americani utilizzarono per lo più le navi EX-2, del tipo Liberty, adattate in fretta per il trasporto e carenti dal punto di vista dei servizi igienici, degli alloggiamenti e dell’acqua potabile. Il 70% dei 50 mila prigionieri italiani sul suolo statunitense fu utilizzato come cooperatori, organizzati in 192 Unità di servizio italiane (ISU) e dislocati in 70 campi di prigionia definitivi. In uno di questi, quello di Letterkenny, a Chambersburg, in Pennsylvania, tra il 1944 ed il 1945, ci finirono 1.230 soldati italiani. Il deposito militare in questione era uno dei più importanti campi di detenzione. Classificato con il numero militare 3219 si trovava a 8 chilometri a nord di Chamersburg, nella contea di Franklin, in Pennsylvania, e precisamente nella Cumberland Valley, nella zona meridionale dello Stato. Organizzati nel 321° battaglione di coope-
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ratori, tra loro anche tre valsuganotti, assieme ad altri cinque trentini. Giovani arruolati nell’esercito, originari di Brez, Mori, Villazzano. Tre di loro era nati in Valsugana: a Borgo e nella conca del Tesino. Al campo di Letterkenny è dedicato anche un libro. Lo hanno scritto lo storico italiano Flavio Giovanni Conti, da anni impegnato sul tema dei militari italiani prigionieri degli Alleati durante il secondo conflitto mondiale, e quello americano Alan R. Perry, docente di letteratura italiana, studioso della cultura italiana della Guerra Fredda e direttore del Center for Language and Intercultural Communication del Gettysburg College di Gettysburg. Si intitola “Prigionieri di guerra italiani in Pennsylvania. 1944-1945” edito dal Mulino, un lungo lavoro di ricerca negli
Foto Aldo Duro
archivi americani, italiani e vaticani con l’elenco completo di chi era stato
Foto Aldo Duro
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Storie di casa nostra
Foto Aldo Duro
Foto Antonio Cappello
in quel deposito americano di armi e munizione e in generale materiale militare. I cooperatori indossavano uniformi americane prive di simboli, con la sola scritta “Italy” sulla manica sinistra della divisa e sulla bustina. Molti di loro avevano aderito per senso del dovere militare, altri per guadagnare un po’ di soldi (ricevevano 24 dollari al mese) ed altri ancora perché antifascisti. In quei mesi diedero un contributo importante all’economia bellica americana, fornendo una manodopera utilissima in un periodo di carenza a causa dell’utilizzo
degli uomini in guerra. Contribuendo, con il loro lavoro, anche ad accelerare la fine del Secondo Conflitto Mondiale. A Letterkenny, come detto, c’erano anche tre soldati originari della Valsugana. Uno di loro si chiamava Aldo Duro. Era nato a Cinte Tesino il 24 marzo del 1911, figlio di Irene Buffa e Attilio Duro. Arruolato nella 83° Compagnia, soldato artigliere, venne fatto prigioniero in Sicilia e condotto in nave in America. Come ricorda ancora oggi la figlia “durante la traversata papà aveva sentito parlare un soldato con accento trentino...... gli si era avvicinato ed ha riconosciuto in quel soldato, Urbano Buffa, credo suo coscritto e grande amico”. Una storia incredibile. “Mio padre gli ha dato una bella pacca sulla spalla, provocando immediatamente una reazione abbastanza negativa da parte di Urbano Buffa, anche lui arruolato nella 83° Compagnia ma con il grado di sergente: una volta, però, riconosciuto il suo grande amico, tutto è finito in uno stretto abbraccio, increduli e commossi di questo insperato incontro”. Aldo Duro e Urbano Buffa hanno trascorso insieme la prigionia. A Letterkenny era finito anche Antonio Germano Giovanni Cappello, soldato artigliere sempre della 83° Compagnia. Nato a Borgo il 15 dicembre del 1922, il papà si chiamava Luigi Cappello, calzolaio (1889-1961), la mamma era Elvira Dalfollo, nata nel 1903 a Carzano. Dalle ricerche condotte presso l’archivio della parrocchia di Borgo risulta cresimato a Borgo il 20 ottobre 1935. Una volta tornato dal campo di prigionia, Antonio Cappello si trasferisce in Svizzera con la sorella Elda per lavorare in fabbrica. Qui conosce e si sposa con Anna Gasperat il 3 ottobre del 1953 a Berna dove, purtroppo, muore il 24 settembre dell’anno seguente. Antonio Cappello era il primo di sette fratelli: lui era nato nel 1922, Elio Carlo Giovanni (1924) sposato con Irma Trentinaglia di Telve, Adolfo Albino (1927), Elda Teresa Carla (1930), Giuseppino Vittorio (1933)
sposato con Agnese Cappello, Carla Raimonda (1939) e Ines (1944). Un libro ricco di storie, che inquadra qual era la vita in un campo in cui gli italiani erano prigionieri, ma lavorarono per farsi apprezzare. A Letterkenny i soldati furono usati per lavorare e rafforzare l’Esercito americano. In cambio potevano contare su un regime non oppressivo e razioni alimentari più che buone. Come ricordano i due storici, complessivamente gli italiani furono occupati per 18 milioni di giornate lavorative. Utilizzando materiali di recupero costruirono una chiesa con il campanile, inaugurata dal cardinale Amleto Cicognani, allora Nunzio Apostolico negli Stati Uniti, che ancora oggi viene indicata come simbolo della loro operosità ed è diventata monumento nazionale. Gli italiani riuscivano anche a organizzarsi per fare feste con orchestre e balli ed abbordare le ragazze del luogo. Diversi di loro ci riuscirono facendo breccia in molti cuori. C’è chi se ne è tornato a casa, altri trovarono moglie decidendo di restare in Pennsylvania a vivere con i loro nuovi amori. Di recente è stata costituita anche un’associazione dei familiari dei prigionieri di Letterkenny: la sua denominazione è A.M.P.I.L (Associazione per la Memoria dei Prigionieri Italiani di Letterkenny).
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Tra poesia, pittura e prosa di Armando Munao’
Daiana Berloffa, artista di casa nostra
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oesia, pittura e prosa. Sono questi i tre elementi che rappresentano e sintetizzano la creatività Daiana Berloffa “artistica” di Daiana Berloffa. Un insieme che sin dalla sua infanzia è presente in lei e che, nel tempo e con il tempo, si è fortificato e potenziato fino a diventare vera essenza di vita. Ed è stata sua madre, nella sua semplicità, ci dice, la sua prima consigliera che la indirizzò a meglio riflettere per poter realizzare ciò che nella sua mente prendeva corpo e dare concretezza alla sua idea di esistenza. Sua madre che ancora oggi rappresenta la poesia d’amore più bella. E la “nostra“ Daiana, nella sua maturità, ha saputo unire scrittura, arte, musica e poesia, in una composizione dai toni e dai colori indiscutibilmente “unici”, nella consapevolezza che l’amore, per lei, era ed è, in effetti, la chiave di tutto. Un sentimento che l’ha sempre predisposta verso gli altri, indistintamente, e l’ha portata a guardare e a vedere con i suoi occhi anziché accorgersi di come guardassero gli altri. I suoi racconti, le sue poesie e i suoi disegni, infatti, sono rappresentazioni di vita vissuta, di quotidianità, nei diversi aspetti, e dove la gioia, la tristezza, la malinconia e l’allegria sono vere e “reali” espressione di quella particolare voglia e desiderio che Daiana ha di comunicare, agli altri, il suo dinamico e mai domo mondo. Ed è proprio attraverso la scrittura, l’arte, la musica e la poesia, le sue migliori amiche, che Daiana riesce a canalizzare il grande ed inesauribile amore che porta dentro di se e che, come un caldo fluido, riesce ad orientare in un qualcosa destinato a rimanere impresso nella mente. Ed è grazie a questo suo modo di essere che Ella riesce a comunicare e a interagire con gli aspetti più reconditi delle persone, spesso, troppo abituate, a indossare maschere di convenienza per sopravvivere in un luogo comune, dove gli interessi sociali ed economici diventano, quasi sempre, e purtroppo, gli aspetti prioritari e a volte anche deleteri.
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AGLI ANZIANI E AI MALATI VITTIME DI MALTRATTAMENTI Io ti guardo con gli occhi della sofferenza, sono prigioniero del mio corpo malato, della mia mente che a volte perde il controllo… ma so ancora percepire le emozioni, so percepire l’amore, so trovare riposo negli occhi di qualcuno che mi ama e mi regala pazienza. Tu sei travestita da un camice di speranza ,ma mi colpisci con la tua indifferenza, deridi le mie deformità e mi giudichi. Tu infierisci su di me che sono indifeso e aggredisci colei che mi sa guardare con gli occhi del cuore, accecata dalla tua meschinità e dalla tua incapacità di essere come lei. Tu sei più debole del mio corpo, la latente deformità che nascondi ti induce a distruggere tutto ciò che porta alla luce la tua vera identità. Lei accarezza la mia condizione per farne ricchezza mentre tu riempi il tuo lavoro di chiacchiere e le orecchie ignare ascoltano le tue infamie. Io ti vedo con gli occhi di un povero vecchio che allunga il suo passo verso la morte, e in quest’oblio di paura e di rassegnazione l’unica consolazione rimane il sorriso di chi mi sa ancora ascoltare. E oggi io ti posso vedere con gli occhi di un uomo che non sa più distinguere una parete, guardo nel buio e rivivo con la primordiale istintività di un neonato, tocco con mano la distesa di cenere dove tu brancoli mentre bruci ogni cosa che ti circonda. Ma noi siamo piccoli fiori che sappiamo rinascere dalle tue ceneri, mentre tu non sai comprendere la bellezza dei nostri petali. di Daiana Berloffa
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Medicina & Salute di Laura Fratini *
Stiamo uscendo dalla pandemia?
Come sarà la nostra vita dopo la pandemia? Tornerà tutto come prima?
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uesti e tanti altri interrogativi frullano nelle nostre menti e le risposte che ci diamo non sono mai delle risposte “certè’. E l’incertezza è ciò che più, in questo periodo storico, ci sta comprimendo e nel dubbio spesso è difficile stare. Io sono una psicoterapeuta che da qualche settimana ha iniziato a lavorare nuovamente nel proprio studio. Molte cose sono cambiate, in primis il contesto in cui posso accogliere i miei pazienti: distanze, plexiglas, disinfettanti e mascherine. L’accoglienza, però, è sempre la stessa, cerchiamo di ripartire e far sorridere gli occhi per poter affrontare insieme i problemi che già c’erano ma anche quelli nuovi che si sono presentati in questi mesi. Nella lenta ripresa delle nostre vite, ho notato quali sono le maggiori difficoltà che le persone incontrano. Sicuramente, come dicevo poco sopra, l’incertezza del futuro che può creare diverse tipologie di problemi: disturbi d’ansia dovuti proprio alla mancanza di certezze e di controllo
La dott.ssa Laura Fratini
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della propria routine che prima era perfettamente organizzata come noi volevamo; disturbo depressivo per aver perso qualcosa o qualcuno – e con questo intendo perdita di lavoro e qui di stabilità economica - ma anche lutti per la perdita di una persona cara. Non ultimo, il trauma che tutta questa situazione può aver creato in un soggetto. Proviamo a capire meglio nello specifico ciò che ho visto direttamente con la mia esperienza in studio. Ci sono persone che nella quarantena hanno vissuto benissimo, in una oasi di protezione, sicurezza e pace. Tutti aggettivi che stonano con ciò che ha invece provocato il COVID-19.: eppure, proprio per merito di questo lockdown, chi soffriva di ansia generalizzata, disturbo da ansia sociale, attacchi di panico prima che tutto questo avvenisse, con questo “stop’’ ha trovato una propria dimensione. È come se insieme al congelamento della quotidianità si fosse congelato per loro anche l’insieme di quelle emozioni negative che normalmente li affliggevano durante la giornata. A casa l’ambiente è sicuro, prevedibile, non giudicante e molto confortevole. Essere obbligati a stare fuori da questo mondo, per loro pieno di insidie, per lo più vissuto da tutti allo stesso modo
quindi “autorizzato”, è qualcosa che crea stabilità. La ripresa, il periodo in cui ci troviamo adesso, la famosa fase 2, diventa per chi soffre di disturbi d’ansia molto difficile e ostile, in quanto costretto a tornare a fare i conti con ciò che ci aspetta fuori. Ma nulla è come prima e la situazione non è delle più rosee. Non dobbiamo sottovalutare l’impatto che tutto questo ha avuto sulle persone, soprattutto coloro che si sono trovate ad affrontare un lutto inaspettato, perché nessuno si aspettava che il COVID-19 potesse portarsi via il proprio padre o la propria madre, molto spesso senza neppure avere la possibilità di dare loro l’ultimo saluto e quindi di elaborare la perdita. Questo crea un forte squilibrio con il quale adesso dobbiamo fare i conti e ristrutturare la nostra vita con una nuova consapevolezza e una nuova mancanza. Prendersi il tempo per se stessi, fare un percorso psicoterapeutico in sicurezza, per poter affrontare i propri fantasmi, le proprie sofferenze, aiuta a tornare in carreggiata, perché concedersi una terapia non vuol dire essere sbagliati ma vuol dire che c’è bisogno di chiarezza, bisogno di prendersi “cura’’ della propria interiorità, ciò che spesso non ci permettiamo mai di fare. Riprendiamoci le nostre vite, affrontiamo le paure perché solo così potremo dirci “giù la maschera’’ davvero. * Dott.ssa Laura Fratini Psicologa - Psicoterapeuta Studio, Piazzale Europa n°7 - Trento Tel. 3392365808
Medicina & Salute di Elisa Corni
Sole, amico e nemico della pelle L
’estate sta arrivando; magari questa estate 2020 sarà diversa dal solito, tra regole, limitazioni e qualche impiccio, ma se c’è una cosa che non cambierà è la nostra passione per il sole. Che sia al mare sdraiati su una spiaggia in costume o in montagna mentre ci si inerpica su sentieri suggestivi, la nostra pelle sarà baciata dalla sua luce e dal suo calore. Il risultato è, nel migliore dei casi, una bella tintarella. Ma ci sono anche aspetti negativi attorno all’abbronzatura, dai quali, in realtà, è molto facile difendersi. Base di partenza per evitare fastidiose scottature o peggio è conoscere il proprio fototipo. Per prima cosa dobbiamo rispondere a una domanda: perché ci abbronziamo? I raggi solari sono aggressivi nei confronti della nostra pelle, sia essa più o meno scura; e così, per difendersi, produce la melanina. Questa è un filtro naturale, uno schermo, in grado di impedire ai raggi solari dannosi, i famigerati UVA e UVB, di penetrare negli strati profondi della pelle e danneggiarla. Ognuno di noi ha una produzione di melanina molto soggettiva: c’è chi ne produce tanta e scura, e chi invece è meno reattivo. Gli scienziati hanno così individuato sei diversi fototipo, categorizzati in ordine crescente sulla base della capacità di difendersi dal sole, da 1 a 6. I benefici dell’esposizione al sole sono molti e valgono per tutti, e hanno ad esempio effetto sull’umore dato che si stimola il rilascio della serotonina,
uno degli ormoni del buonumore. Aumenta anche la sintesi di vitamina D e, di conseguenza, l’assorbimento del calcio nelle ossa rendendole più forti. Infine, come sa bene chi soffre di insonnia, la melatonina ha importanti effetti nella regolazione del ciclo sonno-veglia; in alcuni casi i medici suggeriscono l’elioterapia (ovvero l’esposizione al sole) per porvi rimedio. E poi i raggi solari vengono in aiuto di chi soffre di patologie dermatologiche: psoriasi, vitiligine, acne ed eczemi sono alleviati dall’azione antibatterica dei raggi UV. Studi recenti indicano che l’esposizione moderata al sole potrebbe addirittura aiutare memoria e apprendimento. Veniamo ora al rovescio della medaglia, perché anche l’abbronzatura porta con sé dei rischi. Chi di noi non ha mai provato la sgradevole sensazione di bruciore collegata all’eccessivo sole preso? Per quanto fastidiosa questa è una situazione poco grave e destinata a passare in fretta. Ciò a cui si deve prestare maggiore attenzione
sono invece i danni a lungo termine. C’è la questione dell’invecchiamento cutaneo: la comparsa di profonde rughe e la perdita del tono e dell’elasticità della pelle si accelerano con la scorretta esposizione al sole. Questa è inoltre associata all’alto rischio di sviluppare tumori della pelle. Possono essere meno gravi, come la cheratosi attinica e l’epitelioma basocellulare, o lesioni ben più serie come il carcinoma squamocellulare e il melanoma. Il consiglio degli esperti è quello di concentrare il tempo dedicato all’abbronzatura nelle ore meno calde della giornata; suggeriscono poi di proteggersi bene anche in montagna, dato che i raggi passano attraverso meno strati di atmosfera vista l’altitudine. Bisogna poi fare attenzione ad acqua e neve: superfici riflettenti che intensificano l’effetto dei raggi solari. Ma soprattutto è importante usare creme protettive, con schermo chimico ma anche fisico, ed evitare i rimedi casalinghi, spesso inefficaci se non addirittura dannosi.
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Medicina & Salute di Erica Zanghellini *
Bambini Il virus e gli affetti
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ra il 9 marzo quando il Premier Giuseppe Conte annunciava il lockdown in Italia. Una notizia che ha cambiato radicalmente le nostre abitudini, le nostre vite, nonché le nostre certezze. La categoria sociale a cui per primi si sono manifestate le differenze, è stata quella dei bambini. I genitori si sono ritrovati a ritirare i loro figli più piccoli e non sapere se l’indomani avrebbero potuto frequentare o meno un giorno in più di scuola. Tutto era ancora in via di definizione e l’incertezza iniziava così. Poche ore dopo si sarebbe invece, stabilito che la chiusura della scuola sarebbe stata necessaria e i nostri piccoli si sono ritrovati catapultati in una nuova dimensione. Se all’inizio questo per loro poteva essere anche vissuto come un momento felice, un momento di vacanza, ben presto si sarebbe capito che le cose si sarebbero definite in
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un contesto, se pur giusto e necessario, di privazioni anche significative. Nella primissima fase infatti, i bambini potevano ancora svolgere alcune delle loro attività, come andare a fare qualche passeggiata, usufruire delle aree verdi, vedere i loro affetti, in un secondo momento anche questa minima attività è resa impossibile dalla necessità di tutelare la nostra salute. Ci siamo trovati quindi con bambini faticosamente gestibili, con molti capricci, con problematicità nella gestione nelle emozioni negative o magari con tratti di iperattività importanti soprattutto la sera. Per non parlare dei ritmi sonno-veglia, faticosamente consolidati che sono andati rovinosamente in fumo. La vita diventa complessa e il far rispettare le regole diventa una lotta senza precedenti. Innanzitutto voglio cominciare col dirvi, che non siamo solo noi adulti
a fare i conti con questo periodo faticoso emotivamente e psicologicamente e che proprio perché i bambini non sono dei piccoli adulti in miniatura, hanno delle differenze sostanziali nel gestire situazioni così complesse. Quelle che vi ho descritto sovrastante possono essere viste come manifestazioni dovute proprio a questo periodo di deprivazione. Per loro la gestione delle emozioni è un compito evolutivo che si acquisisce col tempo, per cui non sapendole gestire a livello cognitivo spesso i loro disagi si possono manifestare a livello comportamentale ed ecco comparire aggressività, impulsività, fastidi, capricci, comportamenti dirompenti o per esempio tic di vario genere. Certo, la cosa deve essere monitorata nel tempo, ma se non sono entrati in gioco ulteriori fattori, o già erano presenti prima dell’emergenza sanitaria, possiamo ben sperare che
Medicina & Salute con una corretta gestione pian piano tutte queste esternalizzazioni rientrino e quindi possano lasciar spazio al bambino che conoscevamo prima del lockdown. Ricordiamoci che comunque tutti i bambini ne avranno risentito, sia quelli che purtroppo avevano delle difficoltà già prima, sia quelli che si inserivano in un ambiente senza particolari difficoltà. Sicuramente per i bambini che già presentavano delle complessità di gestione deve essere tenuto conto, e che per loro forse i tempi di “decantazione” potrebbero necessitare di maggior lunghezza, ma nessuna speranza è persa. COSA FARE? Posso darvi qualche consiglio generale, che a prescindere dalla diverse difficoltà presentate dai vostri bambini, se attuate possono aiutarvi. Innanzitutto cercate di mantenere una routine, per i bambini è importante. L’organizzazione della giornata che si ripete per loro è un elemento che dà sicurezza e rimanda normalità, cosa che ai tempi del corona virus è fondamentale. Capisco che le regole usate e applicate fino a qualche tempo fa non sono più attuabili,
cerchiamo però di mantenere quelle trasferibili a questa nuova realtà. Cominciamo col scandire le attività, un tempo per alzarsi, uno per le attività, uno per la scuola, per l’alimentazione e infine per il divertimento. Questi a grandi linee potrebbero essere le aree prese in considerazione e che poi ogni famiglia potrà personalizzare al suo modo di vivere. Attenzione però, non eccediamo di rigidità, come abbiamo detto sopra, se vediamo nostro figlio in particolare difficoltà, cerchiamo di accompagnarlo nel riequilibrare prima il suo stato emotivo e poi eventualmente ricominciare le attività. La parola d’ordine sarà pazienza, e anche se già sappiamo quanto è fondamentale per crescere un bambino in questo periodo deve proprio diventare un nostro mantra. LA SOCIALITA’ RITROVATA Cerchiamo il più possibile, nel rispetto delle ordinanze, di mantenere attivi i loro contatti sociali, che siano relativi alla scuola o agli amici. Spesso basta anche una videochiamata per far cambiare l’umore alla giornata. D’altra parte nell’infanzia i rapporti sociali sono molto importanti, per
cui possiamo trovare bambini molto in difficoltà perché non possono più giocare con gli amici o con i cuginetti. Cerchiamo di spiegare ,con parole adatte alla loro età, che la situazione è temporanea e necessaria e che se tutti rispettiamo le regole le cose cambieranno in fretta. Cerchiamo comunque di fargli fare qualche attività fisica, che sia con semplici giochi come “sacco vuoto o sacco pieno”, qualche passeggiata o un piccolo giro in bici non importa, ma è importante che venga svolta. Ricordiamoci e questo vale anche per noi adulti, che il movimento sprigiona endorfine, famose per essere alla base del buon umore. Infine proviamo a concentrarci anche su quello che questa situazione ha permesso di fare, come l’aver passato per esempio più tempo in famiglia, aver giocato assieme o qualsiasi altra cosa che abbiate apprezzato, aiuterà a far vedere anche una visione alternativa che supporti l’accettazione di quanto avvenuto. * Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel. 388 4828675
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Medicina & Salute di Rolando Zambelli titolare dell’Ottica Valsugana, è Ottico Optometrista e Contattologo
Delle semplici regole per una buona igiene visiva per i bambini
È
fondamentale già in età scolare fare una buona prevenzione. Questo prevede l’attenzione da parte dei genitori ad insegnare al bambino una corretta postura di studio, poiché un’efficace igiene visiva facilita l’apprendimento e il rendimento. Di seguito una serie di semplici accorgimenti per ridurre lo stress visivo cognitivo, che rappresenta spesso la causa di mal di testa, affaticamento visivo, bruciore agli occhi e lacrimazione, tutti segnali di un sistema visivo che ha bisogno di aiuto. Alzare lo sguardo: a intervalli regolari, durante un prolungato lavoro da vicino (es. lettura di un libro) è necessario distogliere lo sguardo e guardare lontano per alcuni minuti per rilassare il sistema visivo e mantenerne la flessibilità. Corretta distanza di lavoro: la giusta distanza per poter leggere o scrivere si ottiene appoggiando il mento sulla mano chiusa a pugno con il gomito appoggiato sul banco. Evitare le posizioni distese: quando si legge o si guarda la tv ci si deve
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sedere correttamente evitando posizioni sdraiate o piegate in avanti o di lato. È difficile mantenere distanza e visione equilibrata stando sdraiati sul letto o sul divano. Impugnatura nella scrittura: una scorretta impugnatura della penna o della matita può portare il bambino ad assumere una postura non idonea, che potrebbe causare problemi muscolo-scheletrici o di visione binoculare. È quindi opportuno tenere la penna o la matita a 2 cm dalla punta, in modo tale da poter vedere la punta senza inclinare di lato la testa o il busto. Si consiglia di utilizzare matite triangolari o pencilgrip per ottimizzare l’impugnatura. Piano di lavoro: per mantenere una corretta postura è utile e consigliabile utilizzare un piano di lavoro inclinato di circa 20°/30°. Illuminazione: non leggere o scrivere mai con un’ unica lampada accesa, ma utilizzare una luce che viene dall’alto e una lampada posizionata dal lato opposto della mano con cui si scrive. Televisione: per quando riguarda
la tv, si consiglia di guardarla ad una distanza pari a 7 volte la diagonale dello schermo (almeno 3 metri) in un ambiente illuminato. Poiché l’utilizzo della TV, dei videogames e di tutti i dispositivi elettronici in generale sviluppa pochissime capacità visive, pertanto si consiglia vivamente di incentivare il bambino a svolgere attività all’aperto. Con queste semplici regole è possibile ridurre molti problemi visuo-posturali cherappresentano un’importante fonte di stress visivo cognitivo nel bambino.
In Valsugana di Massimo Dalledonne
È nata Genius, la consulta dei giovani della Valsugana e Tesino Ora Genius (acronimo di Giovani E Non In un’Unica Sfida) è ufficialmente realtà. La consulta dei giovani rappresentanti della Valsugana e Tesino ha consegnato il proprio statuto alla Comunità di Valle. Il documento è frutto di un lungo percorso di partecipazione, iniziato nel settembre 2019 e proseguito con costanza e coraggio, nonostante le non poche difficoltà, culminate con la reclusione a cui la pandemia di corona virus ha costretto tutti.
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a nemmeno l’impossibilità di incontri fisici ha potuto fermare la voglia di impegno maturata in mesi di condivisione e lavoro. E così l’elaborazione dello statuto che definisce in concreto scopi e modalità di lavoro della Consulta dei giovani della Valsugana e Tesino è proseguita attraverso vari incontri in videoconferenza, giungendo infine alla sua approvazione. La Comunità Valsugana e Tesino, che aveva chiamato a responsabilità i suoi giovani chiedendo loro di farsi protagonisti delle politiche giovanili e di aiutare il dialogo intergenerazionale sul territorio, da oggi può contare su una nuova risorsa. E la vicepresidente Giuliana Gilli, prima convinta sostenitrice del progetto, sulla scia di questa volontà, non nasconde la sua soddisfazione: “Era un obiettivo a cui tenevo particolarmente perché i giovani devono essere protagonisti attivi dello sviluppo del territorio di appartenenza. Attraverso la Consulta sarà possibile dar voce alle loro istanze, ai loro bisogni, alle loro proposte. Potranno intervenire, con i loro pareri, nelle decisioni della Comunità volte a migliorare il benessere dei cittadini, contribuendo a costituire una società che sappia rispondere, in modo adeguato, anche alle loro aspettative”.
È stata coinvolta la Fondazione Trentina Alcide DeGasperi, chiamata a coordinare il progetto sostenuto anche dalla Scuola di Preparazione Sociale. Dopo una attenta fase di ascolto e coinvolgimento delle numerose realtà che animano il territorio, si sono così organizzate molteplici attività, che hanno portato a far emergere un gruppo di lavoro che potesse dare vita ad una consulta stabile. Un organo vero e proprio, chiamato a rappresentare con regolarità e poteri effettivi le tante voci dei giovani del territorio. Il percorso ha anche comportato dei momenti formativi, volti ad approfondire la funzione ed il funzionamento delle politiche giovanili e a prendere coscienza delle possibilità della partecipazione attiva dei cittadini alla vita delle proprie comunità. Un’esigenza emersa dagli stessi partecipanti, che fin da subito hanno dimostrato grande determinazione ma anche la lucidità di riconoscere “che per poter essere davvero utili alla comunità non ci si può improvvisare: serve studiare,
capire, ascoltare. E poi agire”. I ragazzi sono stati così chiamati a prendere progressivamente le redini del progetto, passando da fruitori ad attori protagonisti, inseguendo gli obiettivi stabiliti nella Carta europea della partecipazione dei giovani alla vita locale e regionale, promossa dal Consiglio d’Europa, che riconosce “la partecipazione attiva dei giovani alle decisioni e alle attività a livello locale e regionale” come elemento “essenziale se si vogliono costruire delle società più democratiche, più solidali, e più prospere”. Ora la sfida della Consulta Genius sarà quella di collaborare con le istituzioni mantenendo un dialogo costante con i propri coetanei ma anche con il mondo degli adulti, per esprimere una visione integrata ed inclusiva del territorio.
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Girovagando di Veronica Gianello
La bella stagione: gita a Castel Trauttsmandorff Abbiamo passato una primavera insolita: quest’anno ad attenderci all’uscita dall’inverno non abbiamo trovato nessun picnic in compagnia, nessuna biciclettata, nessun timido caffè con gli amici ai tavolini esterni di un bar. E poi disagi, scuole chiuse, viaggi annullati, sospesi, programmi pronti da mesi svaniti in un foglio di carta: tutti a casa. Abbiamo cercato soluzioni, magari stupide scappatoie, distrazioni e svaghi al chiuso, e dopo aver tanto brigato, piano piano stiamo ricominciando ad assaporare quella primavera che è scappata via senza che potessimo nemmeno accorgercene. Siamo usciti di casa ed era praticamente già estate: vestiti leggeri, vento sulla pelle, e il sole che ci aiuta a ripartire. Torna anche la voglia di muoversi, di esplorare, e quale migliore modo per rimettersi in moto se non quello di una gita fuori porta? Abbiamo la fortuna di vivere in un territorio che ci regala paesaggi mozzafiato, anche se spesso ce ne dimentichiamo: tutti pronti quindi alla volta di Castel Trauttmansdorff a Merano!
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Merano ci siamo passati un po’ tutti, che sia per un giretto ai mercatini di Natale, per una passeggiata sulle sponde del Passirio o per una giornata di relax alle rinomate terme. Cittadina di 40.00 abitanti dal medievale centro storico, Merano è simbolo di una longeva convivenza di lingue, culture e religioni. Adagiata in una naturale conca ai piedi delle montagne, gode di un clima molto mite grazie alle tante ore di sole e alla protezione delle montagne dai venti freddi del Nord. Questa sua caratteristica l’ha portata ad essere conosciuta già alla fine dell’Ottocento come “città di cura”. Fu proprio a Merano infatti che l’imperatrice Elisabetta d’Austria, meglio nota come Sissi, soggiornò per diversi mesi di convalescenza, e la città la ricorda ancora oggi con grande affetto. Tra le molte case di cura che vennero aperte a questo scopo, resta oggi, imponente e maestoso il Kurhaus, dell’architetto Ohmann, adesso trasformato in un centro congressi ed eventi. Il centro storico di Merano si snoda
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Castel Trauttsmandorff
attorno ai suoi portici, dove si respira ancora un’aria di altri tempi. Da secoli, sotto alle proprie arcate, i portici— divisi tra inferiori e superiori—ospitano gli scambi commerciali della città, gli incontri d’affari, e i tacchetti delle belle signore che si danno appuntamento per un caffè all’elegante Cafè König. Uscendo dal centro, costeggiando le rive del fiume Passirio, troviamo poi la meravigliosa passeggiata Tappeiner. Considerata tra le più belle passeggiata d’Europa, questo sentiero nel verde lungo quattro chilometri, avvolge i visitatori con una vegeta-
zione molto varia, un mix tra piante alpine e mediterranee, regalando soprattutto, mano a mano che si sale, una splendida panoramica della città dall’alto. CASTEL TRAUTTMANSFORFF Simbolo indiscusso di Merano è il Castel Trauttmansdorff. Nato nel XIV come Castello di Neuberg, ha attraversato nel corso della sua lunga storia vicissitudini e modifiche che l’hanno portato al suo aspetto odierno. L’abbiente famiglia Trauttmansdorff acquista la proprietà nel 1543, dopo aver deciso di trasferirsi dalla Stiria al
Girovagando Tirolo. Per due secoli il castello venne abbellito ed ampliato, finché, influenzata dalla crescente urbanizzazione di fine ‘700, la nobile famiglia cadde in rovina e abbandonò il Castello che iniziò il suo primo periodo di decadenza in cui crollarono diverse parti della struttura. Soltanto nel 1846, un lontano parente della famiglia, attratto dai poteri curativi meranesi, ricomprò il castello, rinvigorendolo con elementi nuovi e originali: il castello entrerà così nella storia come primo castello neogotico del Tirolo. Morto scapolo, Joseph von Trauttmansdorff lasciò in eredità la proprietà al cavaliere Moritz von Leon, probabilmente suo figlio illegittimo. Fu proprio in questo periodo, sul finire dell’800, che l’imperatrice Elisabetta d’Austria iniziò i suoi soggiorni a Merano, ospitata con le figlie e un seguito di un centinaio di persone, nelle stanze di Castel Trauttmansdorff. Fu sempre qui che l’imperatrice tornò, sola, dopo il suicidio del figlio Rodolfo. Dopo la caduta in rovina del cavaliere, sarà il barone von Deuster a rilevare l’intera proprietà, compresi gli ampi poderi circostanti. Sarà sempre lui ad ampliare l’ala orientale del castello con un salone in stile neo-roccocò. Il barone inoltre prese parte attivamente alla vita della città di Merano, entrando anche nella direzione dell’ippodromo, ma so-
I giardini di Castel Trauttsmandorff (da Montagna di Viaggi)
prattutto allestendo frutteti e piante tutt’intorno al castello, intuendone già allora il valore. Con l’arrivo della guerra però la situazione cambiò drasticamente: il barone, come molti tedeschi in Italia venne spodestato e il castello diventò proprietà dell’Opera Nazionale dei Combattenti. Durante la seconda guerra mondiale poi, le sorti del castello peggiorarono ulteriormente: degradato a mero deposito militare perse tutti gli arredi e gli abbellimenti costruiti negli anni. Solo nel 1977 l’amministrazione provinciale riuscì a recuperare la proprietà, utilizzando i suoi spazi come sede del Museo del Turismo. Unico nel suo genere, il museo, aperto ancora oggi,
racconta con scenografie mobili, filmati e modelli fedeli alla realtà, due secoli di storia del turismo. GIARDINI Estesi per 12 ettari su un dislivello di oltre 100 metri, i Giardini di Castel Trauttmansdorff, o Giardini di Sissi, altro non sono che un enorme giardino botanico contenente oltre 80 ambienti botanici differenti, con piante provenienti da tutto il mondo. La cornice in cui si inseriscono conferisce ancora maggior pregio alla visita: la sua posizione crea un vero e proprio terrazzo panoramico sulla città e sull’ambiente alpino circostante.
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Che tempo che fa di Giampaolo Rizzonelli *
Inverno 2019/2020
Ancora all’insegna del caldo E non si vede un’inversione di tendenza, ancora deficit pluviometrico
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ome avevamo avuto modo di illustrare nel numero di marzo della rivista, il 2019 si era chiuso a livello planetario come uno degli anni più caldi di sempre, al 139° posto su 140 anni di dati disponibili, nello stesso numero avevamo fatto un accenno alle temperature del mese di febbraio, ancorché parziali ma con valori decisamente sopra media, ora abbiamo un quadro completo per l’intero inverno 2019/2020 che si è concluso il 29 febbraio (le stagioni dal punto di vista meteorologico hanno date di inizio e fine diverso rispetto a quelle astronomiche, l’inverno inizia il 1° dicembre e finisce a fine febbraio, la primavera inizia il 1° marzo e termina il 31 maggio) e che ha fatto registrare valori ancora una volta sopra la media. In Italia (fonte CNR/ISAC) vedi fig. 1, la temperatura media dell’inverno ha fatto rilevare un’anomalia di +2,03°C rispetto ai valori normali del periodo 1981/2010, registrando il secondo inverno più caldo su 221 anni di dati, il più caldo fu l’inverno 2007/2008 con un’anomalia di +2,13°C, il più freddo con un’anomalia di -5,37°C il 1830, come dire “l’inverno di quest’anno è stato di ben 7,5°C più caldo dell’inverno 1830” (si veda fig. 1). Anche a livello planetario l’inverno 2019/2020 è stato “caldo”, dal 1880 ad oggi è risultato essere il secondo
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Fig. 1: temperature medie Italia inverno 2019/2020
Fig. 2: grafico temperature pianeta inverno
Che tempo che fa più caldo di sempre dopo quello del 2016 (dati disponibili a partire dal 1880, vedi fig. 2) con un’anomalia di +1,12°C (rispetto alla media 1901/2000), il più caldo fu il 2016 con un’anomalia di +1,19°C, il più freddo il 1893 con un’anomalia di -0,6°C (si veda fig. 2). Se torniamo in Valsugana la situazione non migliora, a Levico Terme l’inverno 2019/2020 ha fatto rilevare una temperatura media di +2,8°C a fronte di valori normali per il periodo (1939/2019) di +1,2°C quindi anche a Levico Terme valori sopra media di +1,6°C. Anche aprile ha continuato su questa tendenza, nuovamente a livello planetario il secondo più caldo di sempre, ed abbiamo registrato il 424° mese consecutivo con una
temperatura superiore alla media del ventesimo secolo. A Levico Terme aprile si è chiuso con una temperatura media di +12.4°C, con una media delle massime di +21,2°C e delle minime di +3,5°C, se la media del mese è stata di soli 1,2°C rispetto ai valori normali fa piuttosto clamore vedere come le minime siano state inferiori di 1,8°C ai valori medi mentre le massime superiori di ben +4,2°C. In particolare aprile è stato interessato da assenza di precipitazioni dal giorno 1 fino al giorno 25 compreso, con giornate soleggiate e forti escursioni termiche diurne. Introducendo il tema precipitazioni, se ci fermassimo a calcolare le stesse a fine aprile (mentre stiamo scrivendo questo articolo il mese di
maggio non è ancora concluso), le precipitazioni dei primi 4 mesi del 2020 ammontano a mm 155 (un mm per metro quadrato equivale ad un litro), con un deficit di ben 91 mm rispetto alle precipitazioni normali per il periodo. Fortunatamente c’è stato un recupero delle precipitazioni nel mese di maggio che al giorno 25 (mentre stiamo scrivendo questo articolo) si attestano a 95 mm, per ora poco sotto la media, ma manca quasi una settimana alla fine del mese. *Elaborazioni di Giampaolo Rizzonelli anche su dati forniti da Provincia Autonoma di Trento e da Associazione Meteotriveneto giampaolo.rizzonelli@meteolevicoterme.it cell: 346/8411490
GLOSSARIO menti PLUVIOMETRO uta. Esso fa parte della dotazione di stru cad a ggi pio di à ntit qua la re ura mis È lo strumento utilizzato per rettamente il livello delle Il pluviometro, per poter registrare cor ica. olog tere me ione staz une com dardizzato principali di una ro da ostacoli. Il primo pluviometro stan libe e rto ape o luog un in to alla inst precipitazioni, deve essere nde cipe Munjong, figlio del re Sejong il Gra fu costruito in Corea nel 1441 dal prin in meteoroBAROMESTRO rica e le sue variazioni, ed è impiegato osfe atm ne ssio pre la are isur di m tte È lo strumento che perme ometro si deve ad Evanni del tempo. La prima versione di bar visio pre le per utili i dat di nto ame rilev logia per il ntato il barometro a mercurio. gelista Torricelli che nel 1644 ha inve IGROMETRO detti “psicrometri”, si presente nell’aria. Quelli professionali idità um di à ntit qua la ura mis che nto in una pezza bagnata. È lo strume secco, l’altro a bulbo umido avvolto bo bul di ato dot uno , etri om term compongono di due nell’aria, è indicata dalla bo umido, che indica il livello di umidità bul dal ua ’acq dell ne azio por eva di La velocità velocità di raffreddamento del bulbo. ANEMOMETRO misurata tramite tre coppette direzione del vento. La velocità viene la e cità velo la ura mis che nto me o un dispositivo È lo stru può essere mostrata su un quadrante che dia me una ata rilev e vien uti rotanti e in pochi min elettronico. ne temperatura e SCHERMO DI STEVENSON biente adatto per misurare con precisio l’am isce forn , gica rolo teo me ina ann È detta anche cap umidità.
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CATENA DI PAROLE Ricollegate la prima parola con l’ultima elencata, disponendo, a destra, nel giusto ordine le parole (date alla rinfusa nella colonna a sinistra) e ricordando che ognuna di esse: A - può essere l’anagramma della parola precedente; B - può essere ricavata aggiungendo/togliendo/cambiando/spostando una lettera della parola precedente; C - può essere un sinonimo o un contrario della parola precedente; D - può essere unita alla parola precedente in una similitudine, in una metafora, in un modo di dire, per associazione di idee; E - unita alla precedente, può formare il nome di una persona celebre, di un luogo famoso, reale o fantastico; F - può trovarsi associata nel titolo, nella trama di un libro, di un lavoro letterario o cine-teatrale o in altri componimenti comunque celebri di qualunque genere essi siano. Per Vs. promemoria segnate tra parentesi, accanto ad ogni parola inserita, la lettera (da A ad F) che spiega quale tra le regole suddette avete applicato nel procedere. Ad esempio: MOLARE -> DENTE (C) -> DANTE (B) -> TENDA (A), ecc. 1. FROSINONE 2. ALT 3. CORRIDA 4. DISNEY 5. BRUTTA 6. CAMOMILLO 7. PISCINA 8. BAMBI 9. FRUTTA 10. ALTO 11. SPINACI 12. TORERO 13. SONNIFERO 14. BIMBA 15. WALT 16. VERDURA 17. PICCINA 18. CAMOMILLA 19. ORRIDA 20. BASSO
1. FROSINONE 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. BASSO
SOLUZIONI NR. DI MARZO 2020 CRUCI... TRENTINO
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A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il nome di un percorso che sale con la più lunga gradinata d'Italia, dalla Valbrenta-Bassa Valsugana, all'altopiano di Asiago. A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il ORIZZONTALI: 1. Il mese a Levico Terme - 8. ... e cosìd’Italia, sia! - 12. dalla Sono adorati dai pagani - 13. Una nome di un percorso chedella saleStrozegada con la più lunga gradinata Valbrenta-Baspersona come San Romedio - 15. La piccola valle trentina percorsa dal torrente Moggio - 16. Nota del redattore (sigla) sa Valsugana, all’altopiano divinti Asiago. 17. E' formato da almeno sei games - 18. Una struttura come l'INPS - 19. Creatori, inventori - 20. Alta Tensione -
21. La capitale francese del vino Champagne - 22. La sigla che in Fisica indica un miliardo di elettronvolt - 23. Bevanda alcoolica derivata dalle mele - 25. Letto due volte... diventa un navigatore - 26. Ha scritto Il nome della rosa - 27. Il più
ORIZZONTALI: 1. Il mese Levico Terme 8. ... Stato e così - 12. alto Comune della Valsugana - 28. Ildella fallo diStrozegada rete nel tennis -a30. Per superficie è il -settimo dellasia! Terra - 33. Dura e faticosa come dai la salita ciclistica del Bondone - 36. Nel grappolo sono pochi - -38. Spesso sono le calze Sono adorati pagani - 13. Una persona comespàrgolo San Romedio 15. La lopiccola usate dai bambini per giocare sui pavimenti in casa - 42. Ne' miei, ne' tuoi - 43. La Provincia piemontese del vino valle trentina percorsasul dalluogo torrente Moggio - 16. Nota del redattore (sigla) - 17. Moscato - 45. Precipitarsi dell'incidente - 49. Eccessiva produzione di saliva nell'assaggiare vini Ètroppo aciduli. da almeno sei games vinti - 18. Una struttura come l’INPS - 19. Creatori, formato inventori - 20.1.Alta Tensione La capitale del vino Champagne - 22.- 4 . La VERTICALI: Il significato della-D21. nel termine COVID francese - 2. Simili, uguali - 3 . Un'arma da film western ne ha in quattro - 5. La Martini... mi appartiene 6. Chi l'ha garantita ci può anche vivere - 7. Un laghetto La libellula sigla che Fisica indica unchemiliardo di -elettronvolt - 23. Bevanda alcoolica vicino al 27 orizzontale - 8. Aeronautica Militare - 9 . Hanno caratteri maschilisti - 1 0 . Un liquido dall'odore derivata dalle mele - 25.ospedaliero Letto due diventa un -navigatore - 26. Ha scritto caratteristico usato nell'ambito - 11. volte... La rappresenta il Presepe 14. Un Programma didattico riservato agli studentidella universitari Si ripetono ischemie - 21. La della provincia polesana (sigla) - 24. AIDO e AVIS ne contano Il nome rosa- 19. - 27. Il piùnelle alto Comune Valsugana - 28. Il fallo di rete tanti - 27. L'erba brusca (o acetosa) in Valsugana - 29. La valuta non materiale da cui derivò l'euro - 31. Seicento due nelromani tennis - 30. Per superficie è il settimo Stato della Terra - 33. Dura e faticosa - 32. Istituto d'Istruzione Superiore (sigla) - 34. Un camice o una vestaglia da casa... a Pergine - 35. Con Lona è come la salita ciclistica del Bondone - 36. Nel spàrgolo sono pochi 38.Spinto, la Capitale trentina del porfido - 37. L'ultimo Giovanni Paolograppolo - 39. La provincia col Gennargentu (sigla) -- 40. ma nonlo osceno - 41. perusate oche e galline - 44. Tante per sono giocare le Grazie - 45. - 46.in Il calciatore numero 7 Spesso sono leSpazi calze dai bambini suiAlessandria pavimenti casa - 42. Nè miei, nè tuoi - 43. La Provincia piemontese del vino Moscato - 45. Precipitarsi sul luogo dell’incidente - 49. Eccessiva produzione di saliva nell’assaggiare vini troppo aciduli. VERTICALI: 1. Il significato della D nel termine COVID - 2. Simili, uguali - 3. Un’arma da film western - 4. La libellula ne ha quattro - 5. La Martini... che mi appartiene - 6. Chi l’ha garantita ci può anche vivere - 7. Un laghetto vicino al 27 orizzontale - 8. Aeronautica Militare - 9. Hanno caratteri maschilisti - 10. Un liquido dall’odore caratteristico usato nell’ambito ospedaliero - 11. La rappresenta il Presepe - 14. Un Programma didattico riservato agli studenti universitari - 19. Si ripetono nelle ischemie - 21. La provincia polesana (sigla) - 24. AIDO e AVIS ne contano tanti - 27. L’erba brusca (o acetosa) in Valsugana - 29. La valuta non materiale da cui derivò l’euro - 31. Seicento due romani - 32. Istituto d’Istruzione Superiore (sigla) - 34. Un camice o una vestaglia da casa... a Pergine - 35. Con Lona è la Capitale trentina del porfido - 37. L’ultimo Giovanni Paolo - 39. La provincia col Gennargentu (sigla) - 40. Spinto, ma non osceno - 41. Spazi per oche e galline - 44. Tante sono le Grazie - 45. Alessandria - 46. Il calciatore numero 7 più famoso (iniz.) - 47. Adesso... in breve - 48. Fra do e mi.
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LE GIUSTE ASSOCIAZIONI: CULACCINO
ORIZZONTALI: 1. Libro con le istruzioni necessarie per imparare a leggere e scrivere - 10. Una delle prove in cui è divisa una manifestazione sportiva - 13. La Ida, trentina che diede un figlio a Mussolini - 15. Un tipo di Società (sigla) 1 6 . Lusingata, elogiata - 17. Uno storico Palazzo di Mantova - 18. Un mare della Calabria - 20. Si ripetono nell'unguento - 21. Una lista di nomi - 23. Lo schiocco delle dita nei fumetti - 24. Una volta vendeva anche il Chinino di Stato - 26. Un Bill nei fumetti western del dopoguerra - 28. L'Ente Nazionale per l'Addestramento Professionale (sigla) - 31. Vigile, accorta - 33. Redigono atti - 35. In quel luogo - 36. L'autore di questo gioco (iniz.) - 38. Il suo vero nome è Giulio Rapetti - 40. In mezzo al crocevia - 41. Insetto molto tutelato in Trentino - 42. E' protagonista di una famosa parabola citata da Luca - 45. Italiana Petroli - 46. Il Bruno già Presidente del Consiglio regionale del Trentino - 47. Fu la vincitrice del primo Festival di Sanremo nel 1951 (iniz.) - 48. Io... a Pieve Tesino - 49. Si ripetono nell'esonero - 50. Lo studioso della struttura e dell'evoluzione della crosta terrestre.
1) Furto di bestiame: ABIGEATO (C) 2) Ritrovamento casuale di una cosa non cercata mentre se ne cercava un’altra: SERENDIPITA’ (U) VERTICALI: 1. La cittadina austriaca gemellata Pergine Valsugana - 2. La gà una sola roda e laFLORILEGIO se spenze - 3. Fa 3) Raccolta letteraria diconbrani scelti, antologia: (L) parte del Gruppo BNP PARIBAS (sigla) - 4 . Trasformano pari in pecari - 5. Sono sempre circondate da pulcini - 6. Escursionisti Esteri - 7. Lo sono le belve ammansite - 8. Era l'Unione di Egitto e Siria (sigla) - 9. Sono ben diverse dalla 4) chimico: GADOLINIO (A)- 14. L'extraterrestre che... vuole realtà!Elemento - 10. Un inno al Signore - 11. Quelle trentine sono tra le più pregiate e diffuse telefonare a casa! - 16. Preposizione articolata - 18. Deludere, scontentare - 19. Un'articolazione delle dita - 22. Il CT che ha vinto con l'Italia il Campionato del Mondo di Calcio nel 1982 (iniz.) - 25. E' caldo per gli inglesi - 27. Sono tanti 5) Incrocio tra un cavallo ed un’asina: BARDOTTO (C) quelli sui laghi di Caldonazzo e di Levico - 29. Il Complesso pop da anni legato a Levico Terme - 30. Essenzialmente è costituito da protoni ed elettroni - 32. Un fatto importante - 34. Il padre di Mila Di Codro - 37. Si consuma al fuoco nel camino - 39. Maligni... senza mani Termine inglese molto usato sui Social Network senso di "identificatore" 6) Rientranza del- 43.fondo delle bottiglie dicolspumante: PICURA (C) 44. Lubrificante... inglese. 7) Battere un cuscino per meglio distribuirne l’imbottitura: SPRIMACCIARE (I) 8) Insieme di armi varie appese a trofeo come ornamento: PANOPLIA (N) 9) Geranio: PELARGONIO (O)
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A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il nome di un illustre cittadino di Selva di Levico Terme.
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