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La ragazza copertina Maddalena Boso Pagina

La ragazza copertina

di Armando Munao’

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MADDALENA BOSO,bellezza e semplicità

“Una persona è davvero bella quando ispira e suscita sensazioni positive e piacevoli in chi la circonda”.

Incontrando per strada Maddalena si è subito attratti dalla sua bellezza e dai lineamenti del volto che istintivamente ti coinvolgono e che, senza alcun dubbio, rispecchiano i tradizionali canoni della nostra italianità. Poi, quando la conosci e conversi piacevolmente con lei, ti accorgi che la sua non è solo bellezza, ma è un insieme di semplicità, genuinità e grande voglia di vivere. All’inizio forse è un pochino timida, ma, poi, con il passare del tempo, si dimostra socievole e particolarmente simpatica con un sorriso spontaneo, smagliate e accattivante che non solo riesce a trasmettere allegria e buonumore, ma anche quella particolare empatia che non è facile trovare. Come tutte le sue coetanee anche Maddalena ha molti sogni nel cassetto che in cuor suo, desidera vedere realizzati, anche se, come lei stessa sottolinea nell’intervista, rimane con i “piedi ben piantati per terra” e quindi non si lascia facilmente coinvolgere da ciò che potrebbe essere di non facile realizzazione. Nel dialogo, la “nostra” esprime una particolare predisposizione per i contatti umani che non sempre si trova nei ragazzi e ragazze della sua età, ma che in lei si concretizzano con il fatto che facilmente riesce a diventare amica e buona conoscente con le persone, che per i più ovvi motivi, la circondano e con le quali intraprende buone e costruttive relazioni. Una cosa, però, Maddalena, ci tiene a sottolineare ovvero il “fantastico” rapporto che ha con la sua famiglia, che ama tantissimo e che è l’unico e vero concreto punto di riferimento del suo vivere, grazie e per effetto di quei sani principi, morali e di educazione, che i genitori le hanno saputo infondere.

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mia crescita e formazione. Credo che poter contare su una “bella” famiglia e un buon rapporto con tutti i componenti, sia fondamentale per avere una buona visione della vita. Quando si ha la famiglia si ha tutto.

In questa nostra società sembrerebbe che molte ragazze abbiano perso il concetto del valore morale. A tuo avviso, per il raggiungimento di alcuni obiettivi è più facile dire SI’ oppure NO a una proposta particolare in cambio dell’ottenimento di qualche lavoro?

A mio avviso per dare una giusta risposta a questa domanda è necessario considerare sia la personale concezione

L’INTERVISTA Maddalena, quanto conta la bellezza per una ragazza?

Credo che oggi, in questa nostra società e secondo gli attuali canoni, la bellezza e l’aspetto fisico, non solo nella nostra quotidianità, ma anche in moltissimi campi sono importanti e molto considerati. Ed è indiscutibile, infatti, che “essere belli” quasi sempre aiuta il percorso di vita lavorativa anche se, purtroppo, e non di rado, per alcune ragazze e in tanti campi può o potrebbe essere una scorciatoia per percorrere la tradizionale “strada” e ottenere quindi particolari risultati altrimenti difficilmente raggiungibili. Aggiungo che essendo la bellezza una considerazione soggettiva credo sia veramente difficile stabilire cosa è bello e cosa non lo è.

Quanto sono importanti i valori della famiglia nella crescita e nella formazione, anche morale, di una ragazza?

Per me la famiglia conta tantissimo. E’ un vero punto di riferimento. E sono i miei genitori che con il loro esempio, i loro insegnamenti anche educativi hanno contribuito e contribuiscono alla

di morale che si ha e sia gli insegnamenti che si sono ricevuti. Sono del parere che nell’accettare o rifiutare la proposta, entrano in gioco non solo gli elementi prima citati, ma anche e credo principalmente la dignità e l’onesta della ragazza stessa. Non desidero fare la moralista, ma sono fermamente convinta che se tutti questi elementi fanno parte del suo DNA, la risposta deve essere una e una sola: NO.

Maddalena, hai mai partecipato a sfilate o a concorsi di bellezza?

No. Non ho mai sfilato ne partecipato ai concorsi. Magari in futuro se capi-

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tasse l’occasione…chissà. Tuttavia, se lo facessi, mi piacerebbe avere alle spalle una persona esperta, non solo di supporto e d’incoraggiamento ma anche per ricevere i necessari consigli onde evitare di cadere nei facili errori che potrebbero capitare. Si’, credo che un giorno potrei anche provarci.

A tuo avviso l’esibizionismo può essere considerato un pregio o un difetto?

Secondo me entrambe le cose. Se è moderato ed espresso con una certa classe, quindi non volgare, credo possa andare bene. Se invece non rientra in questi canoni ed è fatto solo e solamente per attirare sguardi, attenzione e apprezzamenti allora non lo approvo. Personalmente non amo l’esibizionismo, anche se qualche complimento piacevole e “carino” può essere accettato. Sono del parere che chi decide di esibirsi e quindi farlo anche in maniera sfacciata, è una scelta dettata dalla personalità di ognuno, che non mi sento mai di condannare o criticare. Magari non lo approvo, ma rispetto le idee e i comportamenti altrui.

In questi ultimi anni la nostra società e il nostro modo di vivere sempre di più sono condizionati dalla presenza del social, di internet e del Web in genere. A tuo avviso i comportamenti delle ragazze e dei ragazzi appaiono sempre più disinibiti, spesso anche con l’esposizione dei propri corpi con foto e video a volte osè?

Personalmente, e lo so che sarà difficile crederlo, sono una persona anti social. A mio parere i social hanno creato e purtroppo creano personaggi che quasi sempre non rappresentano la realtà. Le ragazze e i ragazzi che usano i social sono accomunati da un “idem sentire” e se per caso non rispetti alcuni canoni o non sei d’accordo con la maggioranza, diventi subito il soggetto di derisione, di commenti negativi e offese che non raramente rasentano la più spinta volgarità. Ecco perché, a mio modestissimo avviso, molte ragazze e ragazzi scelgono di omologarsi ai canoni richiesti per fare parte “dei più”. E capita anche, e non di rado, che molti, nascondendosi nell’anonimato, sfogano le loro frustrazioni attaccando e offendendo gli altri.

Quindi, in merito a quello che hai detto, le ragazze e i ragazzi concretizzano più l’apparire che l’essere?

Assolutamente sì. L’apparire è di facile costruzione perchè si possono creare canoni e aspetti inesistenti, ma che spesso trovano riscontri positivi. L’essere invece mette in mostra la propria personalità, la propria educazione, i propri comportamenti e i propri valori. Capita infatti che molte ragazze per ottenere parere positivi si fanno fotografare in pose sex, magari in ambienti particolarmente accattivanti, facendo vedere oggetti di valore o usando altri accorgimenti che attirano l’attenzione. Poi alla fine scopri che è tutto un quadro falso volto al solo ottenimento dei famosi like. Capita anche che in occasione di una cena in compagnia, invece di riprendere l’allegria e la gioiosità dei partecipanti, si preferisce riprendere i piatti oppure il vino che si sta bevendo o l’ambiente circostante.

Quando una ragazza assume atteggiamenti non educati e non ortodossi e che, a volte, anche nel linguaggio, possono rasentare la volgarità credi che questo modo di fare sia imputabile in primis alla famiglia che forse non ha saputo dare i giusti insegnamenti e poi alla nostra società?

La maleducazione e il linguaggio triviale sono cose che decisamente non tollero. Una ragazza può essere la più bella del mondo ma se manca dei principi educativi e di moralità e assume comportamenti volgari credo che debba rivedere

il suo modo di vivere e di essere. E’ mia opinione che su tutto questo la famiglia possa avere inciso, perché magari, per i più svariati motivi, che non condanno, non è stata in grado di imprimere nella mente dei propri figli i concetti fondamentali di vita. Come ho detto prima la famiglia è e deve essere un vero punto di riferimento. Spetta ai genitori dare l’impronta di vita. E se ciò non accade allora, non di rado, si piò crescere nel non rispetto della vita altrui e concretizzando valori e comportamenti decisamente errati.

Maddalena, entriamo nel privato: sei fidanzata?

Sì, sono fidanzata e ho una stupenda relazione che va avanti da oltre nove anni. Io e questo ragazzo ci siamo conosciuti quando eravamo molto piccoli e la nostra storia sta continuando in maniera veramente meravigliosa. Purtroppo ci vediamo poco perchè lui studia all’estero, ma questa lontananza non sminuisce per niente il nostro volerci bene. Anzi lo cementa e lo rafforza perchè non è solo il sentimento che ci unisce o il grande reciproco rispetto o la sincerità, ma anche il fatto che condividiamo molti ideali e molti aspetti della vita tra i quali, e in maniera prioritaria i valori della famiglia e dell’educazione.

Che cosa pensi dell’amicizia. Di quella vera ovviamente.

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Questo sentimento è uno degli elementi portanti e fondamentali del mio essere anche se mi preme sottolineare che le vere amicizie devono essere decisamente poche che non devono essere confuse con le conoscenze, gli amici delle feste, delle ricorrenze e dei divertimenti. Le faccio una piccola ma vera confidenza: i miei amici si contano sulle dita di una mano. Siamo cresciti insieme dall’asilo a oggi. E a distanza di anni il nostro legame è più solido che mai. E anche in questa domanda mi permetta di citare due vecchi adagi: il primo dice che: “ I veri amici si vedono nel bisogno”. Il secondo: “I veri amici sono come le stelle, non sempre si vedono ma sai che ci sono e sono presenti”.

E qual è il tuo piccolo o grande sogno nel cassetto?

Sogni e desideri tanti, ma siccome credo di essere una ragazza con i piedi per terra cerco di vedere la vita e il mio futuro con gli occhi della realtà. Ci sono sogni che a volte si possono avverare e si tenta di farlo, ma ci sono anche desideri che non di rado rimangano nel cassetto di ciò che poteva essere, ma non è stato. Al momento sono felice di dare una mano alla mia famiglia. Poi se potrò rendere concreto qualche mio sogno di certo non mi tirerò indietro e m’impegnerò con tutta me stessa per realizzarlo nel migliore modo possibile.

Il personaggio di casa nostra

NILO PICCOLI

La sua famiglia abitava in fondo a via Maggiore, a Borgo, a quel tempo meglio conosciuta come via Giamaor. Più che Nilo, tanti lettori, di certo, conoscono il fratello Flaminio. Parliamo della famiglia Piccoli e di quando, esattamente il 10 settembre del 1911, quindi 110 anni fa, a Borgo venne alla luce Nilo Piccoli, un personaggio molto conosciuto a Trento e in Trentino. Infatti, dal 13 giugno del 1951 e per tre mandati consecutivi venne eletto sindaco del capoluogo della Provincia. Come ci racconta don Armando Costa nel suo ultimo libro “Cives Burgi Ausugui memoria digni”, il piccolo Nilo nasce il 10 settembre da papà Bennone, a quell’epoca segretario distrettuale, e mamma Teresina Rigo. A soli quattro anni, poco dopo lo scoppio della Grande Guerra e la dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria, l’intera famiglia raggiunse, assieme a tanti altri profughi del paese, il comune austriaco di Kirchbichi, nel distretto di Kufstein, nel Tirolo. Qui, il 28 dicembre del 1915 nacque Flaminio Piccoli. “Una volta finita la guerra – ricorda don Costa – la famiglia rientrò in Trentino e si spostò da Borgo Valsugana nel capoluogo di Trento dove Nilo frequenta il liceo Prati e, poco dopo, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza all’Università di Pavia. Negli anni a seguire divenne presidente degli universitari cattolici trentino. Di orientamento antifascista, nell’autunno del 1944 decide di partecipare, assieme al fratello Flaminio, al Comitato di liberazione nazionale provinciale in rappresentanza dei cattolici trentini”. Nilo Piccolo divenne successivamente un dirigente delle Poste e dei Telegrafi e, come esponente della Democrazia Cristiana, come già ricordato, ricoprì per tantissimi anni il prestigioso incarico di primo cittadino di Trento. Ancora don Armando Costa. “Fu quello il periodo del boom edilizio, dello sviluppo turistico del monte Bondone ma anche di investimenti nell’industria del comune e della realizzazione della casa di riposo”. Nilo Piccoli viene ancora oggi ricordato in quanto diede il via al primo piano regolatore generale, contribuì alla ricostruzione legata all’assistenza ospedaliera e per i suoi ripetuti interventi in difesa dei tanti posti di lavoro nelle aziende che chiudevano in città. Come riporta ancora don Costa “nel 1953 riuscì a far anticipare, previsto per il 1956-57, l’arrivo della televisione in Trentino con l’installazione di un ripetitore sulla Paganella. Nel 1963, durante il suo ultimo mandato da sindaco, sostenne ed appoggiò convintamente la nascita del Villaggio Sos del Fanciullo”. Il volume riporta anche una piccola curiosità. “Quando era sindaco di Trento, in occasione di una trasferta romana, Nilo Piccoli venne colto da un attacco di appendicite. Ricoverato in una clinica, venne curato con ogni premura. Qualche settimana arriva la fattura per l’operazione e la degenza, non a Trento ma al comune di Borgo dove era nato nel 1911”. Nilo Piccoli muore a Trento il 18 dicembre del 1996 all’età di 85 anni.

di Massimo Dalledonne

Curiosità in cucina

di Francesco Zadra

4 GRILLI IN PADELLA

Davide Rizzoli è un giovane chef Perginese, classe ‘97, ideatore della start-up “Mini’s Food”, una cucina alquanto curiosa...

Davide, come diamine t’è venuto in mente di cucinare insetti?

Terminata la scuola alberghiera e due anni di lavoro in cucina, mi sono diplomato per poter proseguire gli studi in ambito universitario. A novembre mi laureerò in “tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro”, un corso che mi ha permesso di acquisire competenze anche in ambito di igiene e sicurezza degli alimenti e grazie al quale ho sentito parlare per la prima volta di insetti commestibili. Un mondo davvero innovativo e poco conosciuto, ma che in futuro prenderà sempre più piede (nel 2027 raggiungerà un valore di mercato di 4,5 miliardi). Essendo una persona curiosa per natura mi sono detto: so cucinare e studio igiene alimentare, uniamo queste due competenze! Così è nato Mini’s Food.

In famiglia come l’hanno presa?

Mio padre e una mia sorella mangiano tranquillamente cavallette; mia mamma e la sorella più piccola ancora non sono riuscito a convincerle, ma pur tenendosi alla larga da larve e grilli (per ora) mi appoggiano comunque nella mia iniziativa imprenditoriale.

Di cosa si occupa la tua start-up?

Sto proponendo un servizio di personal chef con serate a domicilio in cui cucino e intrattengo gli ospiti con aneddoti legati al mondo degli insetti. Il menù si compone di 4 portate, 3 salate e un dolce, tutte a base di insetti. Per venire incontro ai palati più “cauti” stiamo pensando di organizzare anche degli apericena a base di insetti, con un brand tutto mio di pasta o biscotti con farina di insetto!

Qual è il principale pregio di questa cucina?

Il più importante a mio avviso è la sostenibilità, ma gli insetti hanno degli incredibili valori nutrizionali, sono super ricchi di proteine e hanno un’efficienza nella produzione proteica altissima rispetto agli altri animali d’allevamento.

Una cucina green, dunque?

Infatti, vi è un indice di conversione di massa che indica quanto mangime devono assumere gli animali in generale per aumentare di 1 kg. Per le mucche questo indice è di circa 10, cioè deve mangiare 10 kg di mangime per aumentare di un chilo. I grilli, invece, hanno un indice di 2,5, quindi vuol dire che (diversi grilli) devono mangiare 2,5 kg e mezzo di mangime per aumentare di un chilo, cioè sono 4 volte più efficienti delle mucche, e con un notevole risparmio di suolo poiché allevati in piccole vasche poco ingombranti e con alta redditività, circa 100 Kg di proteine al mese.

Se tu fossi un insetto cosa saresti?

Pensandoci bene direi il grillo, agile e scattante e, a sentire i commenti dei clienti, è l’insetto che dà più soddisfazione a tavola, e se poi non ti viene l’acquolina in bocca, alla peggio ti darà qualche buon consiglio, come quello di Pinocchio...

Da pioniere, come ti sei documentato per avviare la tua impresa?

Impossibile trovare altri “colleghi” a cui chiedere consiglio. Mi sono dovuto arrangiare leggendo pubblicazioni scientifiche per capire quanto siano sostenibili gli insetti, riguardo a tematiche quali la deforestazione, il consumo di suolo, la produzione di gas serra e CO2 negli allevamenti. A livello culinario, dovevo capire come realizzare ricette a base di insetti. Questa è stata la parte più difficile perchè , nonostante i diversi blog dedicati all’entomofagia (il cibarsi di insetti, ndr.), si trovavano ben pochi tutorial pratici per cucinarli. Ho deciso quindi di crearli io e caricarli sulle mie pagine youtube e instagram.

Ma veramente preferisci un piatto di cavallette a ‘na bella carbonara?

Ciò che spaventa le persone, quando sentono dire che gli insetti sono il cibo del futuro, è pensare che saranno la nostra unica dieta, ma secondo me è sbagliato. Potrà succedere di trovare alimenti a base di farina di insetti, molto ricchi di proteine, come è già per la pizza a base di canapa o carbone vegetale;

Davide Rizzoli - Mini's 2

gli insetti saranno qualcosa che si potrà integrare o affiancare alla nostra cucina, non sostituirla. Non sarò mai che mangeremo la carbonara coi grilli.

Ma che sapore hanno gli insetti?

Nella mia cucina utilizzo larve, grilli e cavallette. Le prime hanno meno sapore, poiché si cibano esclusivamente di cereali e verdure, molto versatili e adatte a qualsiasi genere di piatto, dolce o salato che sia. Le cavallette invece hanno un sapore che spazia dalla noce con retrogusto amarognolo fino al gusto rosolato simil pelle di pollo, se fatte saltare in padella. I grilli richiamano il barbecue affumicato, ma in genere tendiamo ad associarli a gusti già conosciuti; il fatto che siano essiccati, toglie loro parte del sapore.

Che reazioni stai riscontrando da parte dei tuoi commensali?

Molto entusiasmo e curiosità, a giudicare dalle 25 cene fatte finora (130140 persone circa), in media giovani attorno ai 25-30 anni, ma anche più grandi. Alcuni fanno più fatica di altri all’inizio, ma dopo l’antipasto solitamen-

Curiosità in cucina

Risotto, rapa rossa, albicocca e grilli in agrodolce

te abbandonano i pregiudizi e si lasciano andare. Alcuni si lamentano perchè si aspettavano di vedere più insetti a tavola, anche se penso che l’ostacolo principale al consumo di insetti sia la vista, per questo ho studiato anche un menù più soft per chi non se la sente di trovarsi subito un insetto intero nel piatto.

Dunque quello del consumatore di insetti è un target piuttosto giovanile?

La nostra generazione grazie ai social è più abituata a vedere cose nuove, ma in generale si tratta di persone curiose, non schizzinose. Un certo interesse viene dai vegani e vegetariani, che non mangiano carne per via dell’impatto ambientale degli allevamenti intensivi; consumare questo tipo di alimenti, poi, compenserebbe la carenza proteica di quelle diete.

Il piatto “insettoso” che preferisci?

Il mio cavallo di battaglia è un risotto “gourmet” in cui combino la rapa rossa con la confettura di albicocche in agrodolce, che ne esalta il sapore. Il tutto accompagnato da grilli croccanti rosolati. Un’esplosione di gusto!

IVAN FADANELLI PROMOSSO BRIGADIERE

Promosso a Brigadiere per i meriti ottenuti durante il suo servizio reso allo Stato. È quanto ha deciso il comando regionale della Guardia di Finanza a Ivan Fadanelli, finanziere deceduto nel 2018 a soli 48 anni. Il documento ufficiale è stato consegnato ai genitori. Renzo Fadanelli e Cristine Deghenart hanno poi voluto condividere la gioia di questo riconoscimento con il vicepresidente del Consiglio regionale Roberto Paccher che li ha ricevuti nel palazzo della Regione. “Non posso che condividere l'emozione dei coniugi Fadanelli per questa importante e significativa promozione che viene assegnata al figlio Ivan che con il suo senso del dovere, la sua dedizione al lavoro e con il suo spirito di sacrificio ha dato lustro al corpo della Guardia di Finanza. Provo grande ammirazione e spero possa essere un esempio concreto per le generazioni future e che ha dato lustro e onore al corpo della Guardia di Finanza”.

I consigli di

agricoltura orticoltura giardinaggio

Migliora la qualità della produzione con la concimazione autunnale

Inquadra il codice con lo smartphone e guarda il video

La concimazione autunnale o frazionata è una tecnica ancora poco utilizzata nel nostro territorio. SAV da tempo ne promuove la diffusione con convinzione, perché apporta numerosi vantaggi alla produzione: aumenta la qualità dei frutti, ne aumenta la resa, previene l’invecchiamento del frutteto o del vigneto. La concimazione autunnale permette di coprire le esigenze nutri-

tive delle piante fino alla fioritura

inoltrata, in modo tale che possano affrontare la ripresa primaverile con un adeguato livello di elementi nutritivi, migliorandone il risultato produttivo. In particolare il vigneto, terminata la vendemmia, necessita di nutrienti per reintegrare gli elementi chimici persi. In media, una pianta consuma 87 kg di Azoto, 46 kg di Fosforo e 128 kg di Potassio per produrre 150 quintali di uva, motivo per cui la concimazione autunnale diventa fondamentale per il raccolto futuro. Per conoscere le quantità di concime da distribuire è opportuno richiedere un’analisi del suolo, con la quale potremo regolare il dosaggio: questo procedimento viene eseguito da appositi laboratori. Con i dati alla mano, successivamente, si potrà procedere con la concimazione in modo più preciso. Il terreno necessita di elementi nutritivi e ammendanti, che vanno interrati per integrarsi al suolo e fornire nutrimento alla pianta fino all’arrivo della primavera, quando inizierà a fiorire. Una buona integrazione di ammendante organico pellettato con 2% di Azoto si aggira intorno ai 10 quintali/ ettaro. Elementi come il Fosforo e l’Azoto

vengono assorbiti in autunno

per poi venire utilizzati in primavera, mentre il Potassio ha un assorbimento più omogeneo. Un altro fattore importante è la cura dell’apparato fogliare, che deve essere sano e senza peronospora, un fungo infestante che attacca le foglie e gli acini d’uva, compromettendo il raccolto. Tutti questi accorgimenti fortificano la pianta e apportano un miglioramento qualitativo dei frutti in gusto e aromi. Nei punti vendita SAV trovi tecnici esperti che potranno aiutarti nella scelta di prodotti per il tuo vigneto e frutteto e sapranno consigliarti sulle modalità di distribuzione. Inoltre, nel nostro canale YouTube è disponibile l’intervista all’esperto agronomo Ermanno Murari sul tema della concimazione autunnale. (P.R.)

I premiati del concorso fotografico

di Massimo Dalledonne

“INQUADRA IL QUADRATO”

La cerimonia di premiazione si è svolta nella piazza di Olle. Un concorso, quello promosso dal Circolo Fotografico Gigi Cerbaro di Borgo, che, nei mesi di luglio e agosto, ha coinvolto diverse persone ed appassionati in una serie di scatti ed istantanee per immortalare i tantissimi lavori che, in questi ultimi mesi, abbelliscono la frazione. Una iniziativa, quest’ultima, promossa dalle donne volontarie del progetto “Speranza al quadrato” e che, in questi ultimi anni, ha coinvolto tantissime persone sia della Valsugana che di tutta Italia. Durante i giorni di reclusione forzata, a causa dell’emergenza sanitaria, hanno lavorato stoffa, lana, ferri e uncinetto per passare il tempo e, soprattutto, mantenere i contatti. Ognuna nelle proprie case con le tecniche più diverse. Ma con una sola regola da rispettare: i quadrati dovevano avere tutti la stessa misura 13x13 centimetri. Nei mesi scorsi, tutto il materiale prodotto è stato utilizzato per realizzare diversi lavori. Su tutti un bellissimo albero di Natale, esposto durante le feste in piazza a Olle. Con tante decorazioni che hanno abbellito i muri delle case ed i luoghi pubblici della frazione. È stato davvero un bel modo per mantenere viva la comunità in tempo di quarantena. Ora gran parte del lavoro prodotto è stato immortalato con il concorso “Inquadra il quadrato”. Nei giorni scorsi, in piazza a Olle, la cerimonia di premiazione alla presenza del presidente del Circolo Cerbaro Emilio Marzaroli, Wilma Dandrea, Rosanna Compagno e Lorenza Denicolò del progetto “Speranza al quadrato”. Il primo premio è stato assegnato a Daniela Ferronato, seguita nell’ordine da Barbara Pascolini, Gianni Abolis, Lucia Furlan e Walter Tomio. Ai vincitori è stata consegnata una targa ricordo. Il concorso è stato organizzato in collaborazione con Valsugana Web Tv, la rivista Valsugana News, Speranza al Quadrato, il Museo Casa Andriollo di Olle e la Cassa Rurale Valsugana e Tesino. Al termine della premiazione, per tutti i presenti, un piccolo rinfresco presso il Molinari’s bar di Olle.

I premiati

Momenti “rilassanti”

di Laura Mansini

Vieni a prendere un caffè?

Buon giorno Direttore, con questa mia lettera vorrei invitarti a bere un caffè assieme al presidente del WWF Trentino Aaron Iemma. Vi inviterei in un piccolo, delizioso, Bar della spiaggia di Tenna che oltre ad una bella vista sul lago di Caldonazzo offre squisiti caffè e cappuccini, ottime brioche, e volendo anche aperitivi notevoli. A questo si aggiunge la gentilezza del personale, ma, come in tutte le belle cose, vi è un punto nero: fra il Bar e la spiaggia di Tenna scorre la Strada Statale 47. Premetto il Bar non è mio e neanche di amici, tuttavia questo non è un invito disinteressato; vorrei solo farvi toccare con mano o meglio vedere e sentire che cosa accade ogni giorno, ogni ora, su questa strada, pericolosissima, a due corsie, così forse sarà chiaro, osservando le targhe e le iscrizioni sulle centinaia di camion che la percorrono ininterrottamente, che non si tratta di traffico “stanziale”, come qualcuno sostiene. Certamente se venite fra le sette e le otto del mattino, avete l’idea di che cosa sia il traffico stanziale; migliaia di automobili che si dirigono verso Trento o verso Borgo o il Veneto, però a quell’ora il Bar è chiuso, apre alle nove, per ovvi motivi. Ancora uno volta, noiosamente, scrivo di questa strada, che va messa in sicurezza, questo si, ma non voglio si pensi che denunciando tale situazione si sponsorizzi la Valdastico. Non credo che se costruissero la famosa Valdastico le cose per la Valsugana migliorerebbero molto. Migliorerebbero se si pensasse seriamente a togliere la strada dal lago, a potenziare mezzi elettrici di collegamento fra Trento ed i paesi della vallata. Progetti ce ne sono, l’importante è realizzarli. L’invito è valido e sarebbe bello trovarci anche con chi ama il Trentino e la nostra bellissima Valle. Chiaro se si è in troppi si paga alla romana.

Cara Laura, accetto molto volentieri il tuo invito e non solo perché sono un vero amante del caffè, ma anche e principalmente per il piacere di stare in vostra compagnia e dialogare, con Voi, del più e del meno. Certo, sarebbe un gradito incontro, ma da quello che hai scritto, ho idea che il nostro dialogare sarà sicuramente disturbato dai rumori dei motori di questi camion che scorrazzano su e giù e l’aroma della nostra “tazzulilla e cafè”, come dicono i napoletani, sarà imbevuta dai disgustosi gas di scarico che riempiono la salubre aria dei dintorni. Io avrei un’idea: cosa ne dici se invitassimo Fugatti, Presidente della Giunta provinciale e Stefania Segnana, Assessora alla Sanità trentina? Cosa ne dici se facessimo vivere anche a loro un piacevole e spensierato momento di vero relax tra gas di scarico, fumi e rumori vari?

L’avvocato risponde

PATENTE o CARTA d’IDENTITÀ

di Erica Vicentini *

Altra domanda molto interessante di un lettore, che pone una questione inerente i poteri di accertamento della Polizia Municipale e, più in generale, sull’obbligo di fornire i documenti di riconoscimento a richiesta delle Forze dell’Ordine.

Si tratta di una domanda per nulla banale che mi permetto di riassumere come segue: il nostro lettore aveva parcheggiato la propria vettura e, al suo ritorno dopo aver fatto delle commissioni, notava un addetto della Polizia Locale mentre gli esponeva una contravvenzione per aver parcheggiato la vettura fuori dalle righe che delimitano i posteggi. L’operante della Polizia Locale dapprima chiedeva al lettore se l’automobile ivi parcheggiata fosse effettivamente di sua proprietà e, dopo aver ricevuto risposta affermativa, chiedeva l’esibizione di patente e libretto: il lettore opponeva un rifiuto, sostenendo di non essere obbligato a fornire i documenti di circolazione, penso sulla base del fatto che non stava, appunto, circolando. Il lettore, solo a fini identificativi, si rendeva disponibile a fornire il proprio documento di identità ma l’addetto della Polizia Locale insisteva nel richiedere i documenti di circolazione. Il buon senso di entrambi ha condotto poi a risolvere bonariamente la questione ma il dubbio al nostro lettore è rimasto. Dal punto di vista giuridico, è opportuno comprendere preliminarmente i poteri degli addetti della Polizia Locale. La Polizia locale (o municipale) indica un corpo o servizio di polizia prettamente territoriale, nel caso di specie comunale, che si occupa di assicurare il rispetto delle leggi, regolamenti e norme in genere nel territorio di prossimità: la prima disciplina organica nazionale si rinviene nella Legge 7 marzo 1986, n. 65, che rinvia poi alle normative di settore e locale per la specificazione delle attività e competenze. Può assolvere a compiti di polizia amministrativa, di pubblica sicurezza, di polizia giudiziaria quando delegata nell’ambito delle indagini afferenti ad un procedimento penale ma anche del mantenimento dell’ordine pubblico, a seconda delle specifiche

attribuzioni dell’ente cui dipende il corpo e dei vari reparti di cui si compone l’organo di Polizia locale. In sostanza, di regola svolge le attività che assicurano la vigilanza, la prevenzione, l’accertamento e la repressione degli illeciti amministrativi, comminando le sanzioni che comunemente chiamiamo “multe”. Esercita, inoltre, la funzione di vigilanza e controllo sulle materie delegate all’ente territoriale di appartenenza, da parte delle vigenti leggi nazionali e regionali. Quando gli operanti della Polizia locale fanno perlustrazione sul territorio, ovviamente possono essere chiamati a svolgere funzioni di polizia stradale, amministrativa, d’ordine pubblico a seconda delle esigenze concrete e dei comandi ricevuti. Nello stretto esercizio delle funzioni di polizia stradale, che ineriscono cioè il rispetto delle norme disciplinanti la circolazione stradale, effettivamente la Polizia locale non può chiedere – senza che sussistano altri e diversi elementi, come ad esempio il fondato sospetto di reato – l’esibizione del documento di identità, che infatti nel caso di specie l’operante non ha richiesto: l’identificazione avviene in primo luogo attraverso il mezzo guidato e in funzione di esso. Ciò in quanto, a differenza di Polizia e Carabinieri, gli addetti della Polizia

L’avvocato risponde

locale non sono in c.d. servizio permanente. La disciplina dell’esibizione di “patente e libretto” si ritrova all’art. 192 Codice della Strada, che espressamente stabilisce come “1. coloro che circolano sulle strade sono tenuti a fermarsi all’invito dei funzionari, ufficiali ed agenti ai quali spetta l’espletamento dei servizi di polizia stradale, quando siano in uniforme o muniti dell’apposito segnale distintivo; 2. i conducenti dei veicoli sono tenuti ad esibire, a richiesta dei funzionari, ufficiali e agenti indicati nel comma 1, il documento di circolazione e la patente di guida, se prescritti, e ogni altro documento che, ai sensi delle norme in materia di circolazione stradale, devono avere con sé […]”. L’ordine di esibizione di patente e libretto di cui al comma 2 dell’art. 192 C.d.S. deve, a parere di chi scrive, essere letto in rapporto al comma 1, sede ove è previsto l’obbligo di fermarsi ad intimazione dell’ALT degli operanti. Qui infatti è circoscritta la categoria di destinatari dell’obbligo a coloro i quali “circolano sulle strade”. Ma chi sono coloro che “circolano sulle strade”? L’interpretazione di tale concetto non è univoca, anche se potrebbe sembrarlo: la nozione di circolazione stradale, da un lato, può essere intesa in senso stretto come momento nel quale siamo alla guida di un veicolo in movimento sulla pubblica via; dall’altro, può essere inteso in senso più lato, abbracciando non solo il momento della guida in senso stretto ma anche le circostanze accessorie come la sosta, il parcheggio sulla pubblica via (che si assume avvenire durante la circolazione, appunto) e tutti gli eventi connessi. In effetti, un’interpretazione troppo letterale potrebbe condurre, per assurdo, a ritenere che le norme del Codice della strada non si applicherebbero quando i veicoli sono fermi, pur sulla pubblica via: e ciò ovviamente non può accadere, dato che esistono le norme che regolano la sosta, la fermata, il parcheggio. Ne deriva la necessità di aderire ad un’interpretazione più estesa, nell’ambito della quale anche la condotta di chi parcheggia la vettura lungo la pubblica via sta comunque “circolando”; quindi la richiesta di documenti al nostro lettore, che aveva dapprima confermato di essere il proprietario dell’auto in sosta, può ritenersi legittima nei modi e nei termini in cui è stata effettuata. Diverso sarebbe stato se, ad esempio, l’automobile fosse stata parcheggiata in un posteggio privato, ove chiaramente l’addetto della Polizia locale non avrebbe potuto constatare violazioni al Codice della Strada.

*Avvocato Erica Vicentini, del Foro di Trento, Studio legale in Pergine Valsugana, Via Francesco Petrarca n. 84)

Chi desiderasse avere un parere su un problema o tematica giuridica oppure una risposta su un particolare quesito, può indirizzare la richiesta a: direttore@valsugananews.com

Per vivere bene e in salute

di Nicola Maschio

Salute: pericolo obesità, tra rischi concreti e stili di vita

Uno stile di vita sano, equilibrato e senza eccessi è fondamentale. Uno strappo alla regola ogni tanto, va inteso, è concesso; tuttavia, quando mangiare male e senza freni diventa una scomoda abitudine, ecco che possono insorgere problemi legati al sovrappeso o all’obesità. Ma quali sono i numeri nel nostro Paese? E soprattutto, quali rischi corrono le persone che rientrano in questa particolare categoria? Partiamo innanzitutto da un dato non italiano, non europeo ma addirittura globale: l’obesità tra bambini e ragazzi, stima l’Organizzazione Mondiale della Sanità riguarda oltre 340 milioni di individui con età compresa tra 5 e 19 anni. I dati, aggiornati alla fine del 2019, vengono evidenziati con particolare enfasi dall’ISTAT, che prosegue: “Nei paesi dell’Ue, in media, è obeso quasi un bambino su otto tra i 7 e gli 8 anni. Cipro (20%), Italia (18%), Spagna (18%), Grecia e Malta (17%) mostrano i valori più elevati; Danimarca (5%), Norvegia (6%) e Irlanda (7%) quelli più bassi”. Insomma, nel nostro Paese la problematica è presente in modo decisamente importante. Ma l’Istituto di ricerca continua nell’analisi dei propri dati statistici: “Nel biennio 2017-2018, in Italia si stimano circa 2 milioni e 130 mila bambini e adolescenti in eccesso di peso, pari al 25,2% della popolazione di 3-17 anni (28,5% nel 2010-2011). Emergono forti differenze di genere con una più ampia diffusione tra i maschi (27,8% contro 22,4%). L’eccesso di peso tra i minori aumenta significativamente passando da Nord a Sud (18,8% Nord-ovest, 22,5% Nord-est, 24,2% Centro, 29,9% Isole e 32,7% Sud). Le percentuali sono particolarmente elevate in Campania (35,4%), Calabria (33,8%), Sicilia (32,5%) e Molise (31,8%)” . Elemento particolarmente interessante riguarda dunque la diffusione dell’obesità nel nostro Paese: se infatti nell’area del Nord le percentuali tendono a restare mediamente attorno al 20%, sono ben dieci (o più) i punti percentuali in meno rispetto a quanto registrato in alcune zone del meridione, dove il culmine lo tocca sicuramente la regione campana. Ma cosa fare quindi per contrastare la crescita di questo fenomeno? Le strade sono diverse, ma alcune più sicure delle altre. In primis, il consumo di frutta e verdura che, come evidenziato ulteriormente dall’ISTAT, spesso è associato ad un più eleva-

to grado di istruzione: “Anche con riferimento alle abitudini alimentari appare evidente l’influenza delle caratteristiche socioculturali dell’ambiente familiare: più elevato è il titolo di studio conseguito dai genitori più accurato è l’aspetto nutrizionale dei bambini in termini sia di consumo quotidiano di frutta e verdura e sia di adeguatezza nelle quantità consumate giornalmente. Nel periodo 2016-2017, il 74,2% dei bambini e degli adolescenti consuma frutta e/o verdura ogni giorno, ma solo il 12,6% arriva a consumarne 4 o più porzioni (11,4% nel 2010-2011)”. Sostanzialmente, ad un titolo di studio elevato sembra corrispondere una maggiore consapevolezza del “mangiare sano”. In secondo luogo, l’attività sportiva: in questo caso, l’ISTAT evidenzia come siano diversi i ragazzi impegnati nel praticare sport di qualsiasi tipo, spiegando che “Nel 2017-2018 sono circa 5 milioni 30 mila i ragazzi di 3-17 anni che praticano nel tempo libero uno o più sport (59,4% della popolazione di riferimento). Il 52,5% lo fa con continuità e il 6,9% saltuariamente”. A testimonianza di quanto sia importante seguire uno stile di vita sano, è il Centro per la Cura e Chirurgia dell’Obesità dell’Istituto per la Sicurezza Speciale italiano a dare qualche ulteriore dato rispetto ai rischi legati all’obesità. Sono diverse infatti le situazioni che, a causa dell’eccesso di peso, possono comportare pericoli nei confronti della persona interessata. “Se consideriamo le patologie e i rischi per la salute che si associano all’obesità – scrive il sopra citato CCCO, – appare chiaro che l’obesità possa costituire un importante fattore di mortalità. Secondo le stime effettuate, ogni anno in Europa 320.000 persone muoiono per cause legate direttamente all’obesità; la mortalità correlabile all’eccesso di peso rappresenta pertanto un serio problema di salute pubblica in Europa dove circa il 7,7% di tutte le cause di morte

Per vivere bene e in salute

sono riconducibili all’eccesso di peso. L’aspettativa di vita nella popolazione severamente obesa è ridotta (si parla di un accorciamento dell’aspettativa di vita di 7-10 anni) con un rischio di morte che cresce all’aumentare dell’indice di massa corporea e della circonferenza addominale”. Il rischio concreto di perdere la vita, legato all’obesità, è dunque da tenere in assoluta considerazione. Ma sono anche altri i fattori che possono portare ad una grave difficoltà nell’affrontare la quotidianità e la vita di tutti i giorni: “Il rischio di sviluppare malattie cresce all’aumentare dell’indice di massa corporea – prosegue il Centro. – In particolare, i pazienti con obesità grave presentano spesso severe malattie cardiocircolatorie (ipertensione, malattie cardiovascolari) e respiratorie quali dispnea, cioè mancanza di respiro, per sforzi anche modesti, la sindrome di Pickwick (facilità ad addormentarsi durante le comuni attività giornaliere), le apnee notturne (Sleep Apnea Sindrome). Infine, è bene sottolineare il problema dell’obesità nei bambini e negli adolescenti: sono infatti esposti fin dall’età infantile a difficoltà respiratorie, problemi articolari, mobilità ridotta, ma anche disturbi dell’apparato digerente e di carattere psicologico”.

Poesia dedicata alla “ LOCANDA IN BORGO”

“Borgo belo Borgo bon vegnè qua che ste benon!”

A Borgo, oltre a la Brenta gh'è na Locanda la è tanto bela, la è tanto granda, e so per el Corso l'è sempre quela tuti i la varda disendo: “Che Bela!”.

In Valsugana, de cossì no ten trovi gnanca da paragonar a quele coi travi le è rusteghe e bele, ma senza pretese sta qua l'è stupenda, no i ha badà a spese!

Ben dosentoesinquanta anni presto l’a g’ha anca l’ocio la so parte el la vol, quelo sel sa, gestia da un gran signore molto cortese e gentile che con i so genitori se è trattai in gran stile!

Pensè che quando Napoleone l'è da Borgo passà lù el voleva dormir tanto ben e proprio là ma purtroppo in quei giorni la era serada perchè i era drio farla bela, i l'ha sbiachesada.

Magari la nostra fortuna quela la è anca stada perché, a me parer, se pol dir la monada che se el “piccoletto” là el so lettin l’avesse trovà magari morto, ma el begarolo el saria ancor qua.

Ma della Locanda torneremo a parlar bison ancor tante robe specificar: i ve offre i biglietti per “Arte Sella” con comodi sentieri te na valle “assia bella”

I ve indica le escursion ai monti e al lago dove veder el mondo e goder ogni svago e le robe più bele che el paese el por darve sti bravi gestori i sa ben sa consigliarve.

La Valsugana la offre posti mai visti su sta terra meravigliosi castei, musei e luoghi de guerra e co l’è sera se sempre visini alla Locanda rivar na bona sauna per ritemprarse e in forma tornar. El dì dopo via 'naltra volta, bisogna ‘ndar cambiando strada stavolta, ma sempre sognar perchè i deve aprofitarne chi vol veder de tuto e via con slancio, sia col belo che col bruto.

Del personale oltre al Dennis gh’è papa e mamma perché aver sti doi per lu l’è na vera manna podemo definirli el so braccio sinistro e destro in quanto i è sempre attivi e de gran estro!!

El babbo Renzo sempre con la batua pronta la mamma brava e gentile, la colasion l’è pronta, la è bona, ben presentada con leccornie a balon tanto che quasi per tutto el dì te ste benon!

SERGIO

Medicina & Salute

di Erica Zanghellini

Sei proprio bravo! Non ti si sente nemmeno.

Quanti genitori non desidererebbero avere un figlio accomodante, che non protesti, che ubbidisca immediatamente a quello che in quel momento gli diciamo? Spesso e volentieri è anche la nostra società che rinforzerebbe dei comportamenti così, ma veramente sono “sani”? Veramente un bambino che non dice mai di no, che non fa capricci sta seguendo uno sviluppo che gli permetterà sicuramente di essere un adulto felice? Ebbene sappiate che non è così, quei comportamenti che tanto ci mettono alla prova sono in realtà dei comportamenti che alimentano l’autodeterminazione che in futuro sarà una capacità fondamentale per nostro figlio. Come definito da Wehmeyer Michael l’autodeterminazione è la capacità di sentirsi agente della propria vita, di poter prendere decisioni riguardanti la propria esistenza al di là di possibili interferenze come le influenze esterne. Una persona autodeterminata spesso e volentieri sarà una persona che riuscirà a dire la propria opinione, i propri bisogni e non accettare passivamente quello che l’altro ci chiede. Questo si traduce in una abilità che ci protegge da possibili soprusi indipendentemente dalla fase di vita in cui avvengono. Capite perché è importante cercare di sviluppare questa attitudine? Le preoccupazioni dei genitori di bambini remissivi di solito si manifestano con l’ingresso del proprio figlio in un ambiente sociale extra-famigliare ovvero scuola, attività sportiva o ancora gruppi extra-scolastici. Bambini che non riescono a far fronte alle offese dei compagni, che non riescono a esprimere i propri bisogni e che come conseguenza, magari si isolano, o diventano il compagno di classe del quale tutti si approfittano. Questi sono bambini e ragazzi che spesso soffrono in silenzio, che magari mostrano qualche malessere fisico, difficoltà nel sonno o con l’alimentazione ma, anche che apparentemente sembrano non aver problemi pervasivi. La prima cosa da fare dopo aver capito che c’è un problema di remissione è capire cosa possiamo modificare del sistema che ruota attorno al bambino e come promuovere il cambiamento anche in lui. Per esempio bisogna chiedersi se ci possono essere degli stili genitoriali che facilitano oppure no questo tipo di caratteristiche, oppure monitorare e capire se la problematicità risiede nella difficoltà di gestione emozionale. Il bambino non sa come gestire situazioni di contrasto per cui cerca di evitare qualsiasi tipo di litigio e quindi diventa accondiscendente in tutto e per tutto. O ancora verificare il clima famigliare. Un clima particolarmente teso per i più svariati motivi può portare a convincere il bambino a provare di “aggiustare” la situazione cercando di essere il più remissivo e servizievole possibile. Si convincerà che se non crea problemi i suoi genitori potrebbero beneficiarne, essere più tranquilli e quindi ristabilire la tranquillità famigliare. Capite bene che solo il capire la motivazione per cui il nostro bambino mette in atto questo tipo di comportamento stabilirà il tipo di intervento, ma al di là dell’eventuale provvedimento specialistico, posso indicare qualche suggerimento ai genitori da applicare nella quotidianità. Prima cosa, cercate di evitare qualsiasi intromissione da parte vostra se il bambino sta avendo un litigio. Questo perché anche se la prima reazione di quasi tutti noi genitori sarebbe quello di difendere il proprio bambino, se interveniamo noi adulti il rimando che arriva a nostro figlio potrebbe essere quello che se non c’è l’adulto lui non può cavarsela da solo. Questo a sua volta non farà altro che far sviluppare un’idea di inadeguatezza del sé. Inoltre potrebbe far arrivare anche ai bulletti che effettivamente il bambino da solo non riesce a cavarsela e quindi affermeranno ancora di più il loro atteggiamento da prepotenti. Cercate di spronarlo a manifestare le sue opinioni, emozioni e bisogni. Cercate di accogliere qualsiasi intervento di questo tipo e rinforzatelo, incoraggiatelo. Attenzione alle critiche, il bambino deve poter contare sulla comprensione dei genitori e anche se ha sbagliato o non ha gestito il contrasto con un compagno correttamente, cercate sempre di rinforzarlo per il fatto di essersi esposto e poi delicatamente cercate un comportamento alternativo più funzionale per la prossima volta.

* Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel- 3884828675

Fra storia e leggenda

di Walter Laurana

DIAVOLI

DEL TRENTINO

Per condanna divina Lucifero, il più splendente degli Arcangeli fu cacciato da Dio , dal Paradiso perché reso superbo dalla sua stessa bellezza. Alla cacciata provvide il suo pari grado Arcangelo Michele. Ma Lucifero, il cui nome significa portatore di Luce, non ne fu certo contento e per vendetta o maledizione da allora cerca di sottrarre al Creatore le anime di noi poveri mortali. Non è un collezionista, se ho capito bene, lo fa per dispetto a Dio e il suo è un lavoro relativamente facile visto che la sua forza si basa sulla nostra debolezza ovvero la trasgressione e gli uomini sono molto inclini a trasgredire i Comandamenti, regole di vita piuttosto strette, tese a limitare molti piaceri. Qualche volta tuttavia il demonio, nei Vangeli lo si chiama anche con questo nome, per conquistare anime importanti e particolarmente savie deve offrire una contropartita, quali la scienza, l’arricchimento senza fatica, la bellezza e la giovinezza. La letteratura su queste tentazioni è vasta. L’esempio più classico e noto è sicuramente il Faust, dramma in versi scritto nel 1808 da Wolfgang von Ghoethe, al quale Mefistofele, quanti nomi per il demonio, fece la promessa di un viaggio dono fra i piaceri e le bellezze del mondo. Il dottor Faust, scettico ed annoiato dalla vita, dirà a Mefistofele “Se all’attimo dirò resta sei bello, allora ti sarà concesso precipitarmi... all’inferno”, in pratica fammi vedere qualcosa di veramente importante, irrinunciabile e io ti darò la mia anima. La carne è debole e il diavolo vincitore, esige il pagamento del pegno. Non si sfugge all’Arcangelo maledetto che pur si era presentato con terribili parole: “Sono lo spirito che tutto nega, aveva detto a Faust e poi aggiunto una severa, blasfema riflessione, meglio sarebbe se nulla al mondo venisse al mondo e tutto quanto nasce merita solo di venire a fondo.” In sintesi estrema, la vita è solo un passaggio verso l’inferno e la creazione una pura, amara, dolorosa illusione. Lo stesso concetto è presente in Dorian Gray, pittore di chiara fama ideato da Oscar Wilde, pronto a cedere l’anima in cambio dell’eterna giovinezza e bellezza. Detto fatto il suo aspetto giovanile diventerà immutabile e sarà il quadro, un suo ritratto, a cambiare con il trascorrere del tempo. La triste fine è nota.

Fra storia e leggenda

Il tema della vendita dell’anima è parte integrante della vita umana e in letteratura si è presentato in forme diverse. Anche in Trentino. Due esempi fra tutti. Il primo intervento del diavolo in cambio dell’anima accade proprio in Valsugana, vicino ad Ospedaletto, dove troviamo il Ponte dell’Orco. Si tratta di un importante manufatto, un arco perfetto di oltre 40 metri di luce, completamente staccato dalla parete rocciosa. Il ponte ha un piano parabolico superiore di oltre 70 metri, larghezza di 4 metri, spessore di 12 metri e arco interno di 60 metri con un salto sottostante di 50 metri. E’ probabile che ancor oggi gli ingegneri incaricati della progettazione e costruzione del ponte sullo stretto di Messina potrebbero ispirarsi al ponte dell’Orco e certi politici venderebbero l’anima pur di vederlo costruito. Ma forse il diavolo ha già la loro anima. Pare che il ponte di Ospedaletto si sia formato in seguito a crolli successivi della volta di un covolon, o grotta aperta, verso l’esterno dovuta a fenomeni carsici. Non potendo verificare l’autenticità scientifica ci accontentiamo, per il momento, delle credenza popolare e della leggenda il cui protagonista è un pastorello. Un giovane dall’anima semplice, il quale, mentre scendeva con il gregge, dalle balze del monte Lefre, si trovò la strada bloccata e invocò l’aiuto dell’Orco, ancora lui il demonio, per raggiungere sano e salvo il paese. Il suo desiderio fu esaudito ma nulla sappiamo di cosa offrì in cambio e se rispettò il patto. L’astuzia e l’intelligenza salvarono l’anima del banchiere tedesco Georg Fugger quando patteggiò con il diavolo la costruzione dell’enorme palazzo di via Manci a Trento. La leggenda è nota ed è raccontata nel 1786 anche dal grande poeta Goethe. Il giovane Fugger invaghito della bella e nobile Elena Madruzzo la chiese in sposa ma, i genitori appartenenti alla potente famiglia di cardinali, avevano per lei programmi ambiziosi. Chiesero perciò al pretendente sposo di costruire in tempi brevissimi una dimora degna del Cardinale, Principe Vescovo, Madruzzo. Poteva essere una beffa ma il banchiere innamorato promise al diavolo la propria anima se in cambio gli fosse stato costruito, in tempi brevi, il palazzo. Evidentemente il Fugger aveva un’anima di valore perché il demonio volle accontentarlo ma, per essere certo che la promessa fosse mantenuta, volle la firma di un contratto. E così fu, in appena una notte il palazzo Fugger, diventato poi Galasso, fu costruito. Lucifero chiese il premio pattuito ma il banchiere, che appartiene a una categoria che, come si dice, ne sa una più del diavolo, lo invitò a leggere tutte le clausole. Nel contratto era previsto che il diavolo raccogliesse tutti i chicchi di grano sparsi dal Fugger nella casa. Finita la raccolta ne mancava solo uno, messo volontariamente sotto un crocifisso e dunque irraggiungibile per il genio del male. La storia è altrettanto nota. Siamo nel 1602 e su disegno dell’architetto bresciano Pietro Maria Bagnadore fu costruito il grande palazzo, in stile classico. La dimora venne acquistata più tardi dal maresciallo imperiale Mattia Galasso. Si interessò del palazzo nel 1816 anche il pasticcere Felice Mazzurana alla ricerca di luogo per edificare il teatro, costruito poi in Palazzo Festi e oggi chiamato Sociale. All’interno del palazzo Fugger, nel 1607 fu edificata una piccola cappella dedicata ai santi martiri Anauniesi e siamo convinti che il demonio, se mai avesse avuto losche intenzioni, dovette, a quel punto, abbandonarle tutte.

Ieri avvenne

di Andrea Casna

L’inizio della GUERRA AEREA

e il Campo di aviazione al Cirè di Pergine

Correva l’anno 1903 e a Kitty Hawk, in North Carolina, (USA), due fratelli, esattamente due ingegneri di professione e produttori di biciclette, Wilbur e Orville Wright stavano per cambiare, in un certo senso, il mondo. Il 7 dicembre del 1903 fecero alzare in volo, per pochi secondi, il primo aereo della storia. La notizia si diffuse, ma nell’opinione pubblica regnava molta diffidenza. Anche in Trentino giunse sui giornali del tempo la notizia di questo primo esperimento destinato a dare una svolta alla storia dell’umanità. La Voce Cattolica, (l’organo di stampa della chiesa trentina), nell’edizione de 1906, pubblicò un articolo dal titolo «La macchina per volare. Una grande invenzione o una americanata?». L’articolo, infatti, riporta la cronaca di un corrispondente, un certo “Enrico Weaner”, il quale scrive di non aver «potuto assistere ad alcun esperimento perché i Wright avevano esaurito la provvista di benzina». Per sgombrare ogni dubbio Orville e Wilbur decisero di ripetere la sfida. Questa volta nel vecchio continente a Le Mans, in Francia, su una pista per automobili. Lì l’8 agosto del 1908 il loro aeromobile si alzò in volo per un minuto e 45 secondi, dando inizio, così, ad una nuova era per l’umanità: la conquista dell’aria. L’aeronautica era agli albori ma già nel 1911 l’aereo fu utilizzato in operazioni belliche. Fu in Libia, durante la guerra Italo-Turca del 1911-1912 che l’Italia utilizzò per la prima volta nella storia l’aereo per scopi bellici. Nel 1911, con la dichiarazione di guerra alla Turchia, furono inviati in Libia anche mezzi aerei di vario tipo che andarono a costituire il primo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. Ricognizioni aeree furono effettuate in Tripolitania e in Cirenaica contribuendo, con i rilievi fotografici, a una maggiore conoscenza del territorio e alla compilazione di carte topografiche precise e sempre aggiornate. L’osservazione aerea, inoltre, consentì di acquisire informazioni utili sulle posizioni nemiche: un aspetto che contribuì a limitare le perdite fra i soldati e fornire migliore conoscenza del campo di battaglia. I piloti degli aerei, inoltre, svolsero anche piccole azioni di bombardamento contro campi e posizioni nemiche, tramite il lancio da parte del pilota di granate a mano di vario tipo. Per esempio, fra i velivoli usati in Libia troviamo il Bleriot: lunghezza 7,05/8,40 m; apertura alare 7,81/10,30 m; altezza; 2,52/2,60 m; superficie alare; 14,00/20,33 m²; peso a vuoto 345 kg; peso massimo al decollo 320/585 kg; velocità max 74/95 km/h; autonomia 3,30 ore; altezza di volo 1.000 m (3.300 piedi). Durante la Grande Guerra (19141918), le nazioni coinvolte si dotarono di reparti di aviazione. Con lo scoppio del primo conflitto mondiale, l’aviazione infatti entrò effettivamente a far parte dello scenario bellico. Grazie alla ricognizione area, infatti, era possibile studiare meglio le posizioni nemiche. Vi furono anche i primi bombardamenti. Verona, per esempio, subì un bombardamento aereo nel novembre del 1915: un’incursione austriaca colpì infatti il cuore della città, piazza Erbe, in pieno giorno, con il mercato affollato. Le vittime furono 37 e 48 i feriti. Anche Riva

del Garda fu più volte bombardata dall’aviazione italiana nel 1915: il 23 e il 31 di luglio, il 2 e il 25 di agosto e il 25 di ottobre. In Trentino, durante la prima guerra mondiale, vi furono fra i principali campi di aviazione dell’Impero di Francesco Giuseppe d’Austria. Romagnano, Gardolo e Cirè di Pergine sono forse fra i principali aeroporti militari dai quali, fra il 1915 e il 1918, si alzarono in volo caccia da combattimento, bombardieri e caccia per la ricognizione. Nelle immediate retrovie della zona degli altipiani, infatti, in Valsugana, esattamente nella località Cirè di Pergine, l’Imperial-Regia Aviazione (k.u.k. Luftfahrtruppen) costruì uno dei suoi più importanti aeroporti. Si trattava di un’area collocata in posizione strategica, quasi al centro del fronte su cui operare. Negli hangar dell’aeroporto militare austro-ungarico di Cirè stazionavano 42 aerei da guerra usati per la ricognizione o per bombardare le linee italiane dell’altopiano di Vezzena, Vicenza, Verona e Bassano del Grappa. Nell’aeroporto di Cirè di Pergine operarono due famose squadriglie: la Flik 24 e la Flik 55J, in cui furono destinati a incontrarsi tre dei più famosi assi,: Josef von Maier e Julius Arigi e Josef Kiss. Il campo militare, infine, fu incendiato nel 1918 nel corso della ritirata. L’ultimo decollo di un aereo dal campo di aviazione del Cirè fu nel 1985, usando come pista di decollo l’asfalto della Strada statale 47 della Valsugana, non ancora aperta al traffico.

Ieri avvenne

La visita dell'Imperatore al campo di Ciré di Pergine

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Tra passato e presente

Ottobre in festa

di Chiara Paoli

Si è conclusa il 12 settembre scorso la nona edizione di “Trento e la baviera”, nota anche come “Oktoberfest Trento”, evento sorto per celebrare Andrea Michele Dall’Armi, banchiere di origini trentine, ma trasferitosi in giovane età in Germania, considerato l’ideatore della famosissima Oktoberfest di Monaco di Baviera. La manifestazione ebbe origine tra il 12 e il 17 ottobre 1810, per onorare il matrimonio del principe ereditario Ludovico I di Baviera Baviera con la principessa Teresa di Sassonia Hildburghausen; il programma prevedeva a quel tempo una corsa di cavalli al Theresienwiese, prato “ribattezzato” con questo nome in onore della sposa. Per questo motivo nel 1824 ricevette la Medaglia d’oro al valore civile. La festa venne riproposta poi negli anni successivi, prevedendo la gara equestre fino al 1960, ma apportando in ogni edizione leggere modifiche. Già l’anno seguente venne proposta anche una fiera agricola, chiamata “Festa centrale dell’agricoltura”, che ora si svolge solamente una volta ogni quattro anni. Le prime altalene sono state costruite nel 1818, all’epoca la birra veniva servita in piccole baracche. La statua della Baviera trova collocazione nella piazza a partire dal 1850, mentre il bicchiere super capiente da un litro, detto Mass è stato introdotto nel 1892. Leggenda vuole che i camerieri debbano essere capaci di portarne ben dieci contemporaneamente. Nel 1896 ha avuto inizio il cambiamento più radicale, quando un gruppo di osti e produttori di birra

vollero sostituire le vecchie barac-

che pericolanti, con i primi tendoni. La prima metà del ventesimo secolo è un periodo scandito da guerre, crisi economica e indigenza, non è tempo di festeggiare. l’Oktoberfest si ferma, come avviene anche quest’anno a causa della pandemia. Nel 1950 si aggiunge un nuovo tassello con “O’ Zapft is!”; il primo cittadino in carica in quell’anno, Thomas Wimmer, propose la principale tradizione giunta sino ai giorni nostri: a mezzogiorno in apertura della festa, il sindaco stappa con l’ausilio di un martello il primo barile e i fiumi di birra iniziano a scorrere. Le celebrazioni solitamente prevedono una sfilata ed un corteo di persone vestite con i tipici abiti tradizionali, chiamati Lederhosen quello maschile e Dirndl quello femminile. La birra che viene servita è di varietà Maerzen e prodotta seguendo rigorosi standard che risalgono al 1516; i quattro ingredienti utili alla produzione sono: orzo, luppolo, malto e lievito. Soltanto sei fabbriche di birra possono servire altre quelità: Augustiner, Hacker Pschorr, Hofbräu, Loewenbraeu, Paulauner, Spaten. Questa del 2021 è la seconda edizione che salta a causa della pandemia, ma l’organizzazione ha già fissato le date per il 2022 e se tutto va bene, potremo celebrare il 187° Oktoberfest a partire dal 17 settembre e fino al 3 ottobre 2022. Le date prevedono solitamente che la manifestazione prenda il via il sabato che segue il 15 settembre e si prolunga sino alla prima domenica di ottobre, ma se questa cade l’1 o il 2 del mese, viene prorogata al 3, giorno di festività nazionale. La birra si può degustare fino alle 22.30, dopo quell’ora il servizio rimane attivo solo al “Käfer Wies’n-Schänke” e al “Kufflers Weinzelt”. Bancarelle e giostre chiudono più tardi, molti sono gli oggetti caratteristici di questa festa che vengono proposti ai turisti, perché possano portare a casa qualcosa a ricordo di questa esperienza. I più caratteristici e amati sono sicuramente i cuori di pan di zenzero, conosciuti con il termine tedesco di Lebkuchen decorati con glassa, fiori e iscrizioni per tutti i gusti. Gli innamorati (schatz) esibiscono il loro dolcetto, grazie alla confezione con i caratteristici nastri che permettono di tenere il biscotto al collo. Ovviamente per “asciugare” tutta la birra che si beve e per godere al meglio della giornata, sotto i tendoni si possono degustare le immancabili salsicce affumicate, carni arrosto, crauti e pretzel. E se rotolate a terra, a causa di una pinta di troppo, nessun problema, a salvarvi ci pensano loro: i “corpi della birra” o “Bierleichen”.

Novaledo in cronaca

di Mario Pacher

LA CHIESA E IL MASO DEL CUCO

Fino al secolo scorso, le comunità religiose per poter essere “promosse” Parrocchia, dovevano dimostrare di avere un certo beneficio, una proprietà cioè in grado di garantire il sostentamento del sacerdote e tutte le spese per una buona gestione della chiesa. Fra quelle “povere” che non potevano aspirare a questo ambìto titolo, c’era anche quella di Novaledo. Ma un fortunato giorno, ecco la persona, quasi inviata dalla Provvidenza, che ben pensò di alienare un suo bene che possedeva proprio qui a Novaledo, per aiutare, con il ricavato, la nostra comunità religiosa perché potesse divenire “Parrocchia”. Siamo nell’anno 1730 e questo buon uomo, del quale non è ricordato il nome, pensò di vendere con questo preciso intento, casa e campagna che costituivano il “ Maso del Cuco “, situati a mezza montagna nella parte Nord del paese. Il ricavato sarebbe stato donato alla nostra comunità religiosa che poté così divenire Parrocchia. Il Maso sarebbe stato acquistato, come ci ha raccontato lo storico “Minico” da un certo signor Gozzer di San Francesco di Fierozzo, che dopo l’acquisto

Ezio Amistadi - Presidente MDCT

si stabilì a Torcegno. Si conosce che questo signore aveva una figlia che diede poi in sposa ad un giovanotto di cognome Oberosler proveniente da Fierozzo e la coppia andò ad abitare questo Maso. All’epoca il fabbricato aveva dimensioni molto più contenute di quelle che molti ancora ricordano quando, qualche decennio fa, si poteva vedere in distanza fra i vigneti all’epoca coltivati, dal centro abitato di Novaledo. Verso l’anno 1850 a quella casa sarebbero state fatte, nella parte est, due aggiunte strutturali a cura dei proprietari di terreni adiacenti, legati fra loro da vincoli di stretta parentela. Negli anni successivi la parte vecchia dell’edificio sarebbe stata abitata da Daniele, Abramo e Francesco Oberosler: quest’ultimo era il padre di Luigi Oberosler, da tutti conosciuto come il “Gigio Cuco”. Nella parte verso mattina abitava la famiglia di Domenico Oberosler con i figli: Maria, classe 1883, conosciuta in paese come la “cappellana”; Angelo del 1882, Clementina della classe 1884 e Giuseppe nato nel 1892. Dopo il 1900 e fino all’anno 1938 il “ Maso del Cuco “ continuò ad essere abitato dai discendenti Oberosler ma solo durante il periodo dell’alpeggio del bestiame i quali, tutti agricoltori, scendevano giornalmente in paese, a piedi, per conferire il latte al caseificio tournario. Ma dopo la seconda guerra mondiale quel fabbricato fu usato solo come stalla per ospitare le pecore che Federico Gozzer portava al pascolo. Occasionalmente fu utilizzato anche dagli altri figli di Clementina e da alcuni discendenti di Guglielmo Gozzer. Da qualche decennio quell’immobile si trova in stato di totale abbandono, il tetto è crollato e della sua lunga storia è rimasto un mucchio di sassi in mezzo alle sterpaglie e, fra i più anziani, qualche lontano ricordo.

Meteorologia oggi

di Gianpaolo Rizzonelli

L’iceberg A68 (il più grande del mondo) si è sciolto quasi del tutto

Facciamo un passo indietro tra il 10 e il 12 luglio 2017, quando l’iceberg A68 si era staccato dalla piattaforma antartica e precisamente dalla penisola antartica Larsen C (nome questo legato al navigatore norvegese Carl Larsen che a fine ‘800 raggiunse questo ramo del continente), aveva una superficie di 5.180 chilometri quadrati, circa le dimensioni della Liguria, insieme ad A68 si erano staccati anche altri 11 “piccoli iceberg” che in realtà erano lunghi più di 10 km. Questo singolo evento ha modificato per sempre la ‘forma’ di quella regione (Larsen C) dell’Antartide che, con questo distacco, ha perso circa il 9/12% della sua estensione.

Il processo che porta alla formazione degli iceberg, dovuto allo scioglimento dei ghiacci, è noto come “calving”, un fenomeno di per sé non preoccupante perché legato al ciclo vitale di luoghi estremi come l’Antartide. Senza gli iceberg, per intenderci, l’Antartide non farebbe altro che espandersi riportandoci all’era glaciale. D’altra parte, l’aumento della formazione di iceberg registrato negli ultimi decenni da ricercatori e scienziati è correlato al cambiamento climatico in atto. Casi simili riguardano non soltanto il Polo Sud, ma anche i ghiacciai di Groenlandia, Patagonia e Alaska, tuttavia va detto che all’epoca del distacco di A68 non tutti gli scienziati hanno legato il distacco al cambiamento climatico, ad esempio il prof. Adrian Luckman, professore di glaciologia alla Swansea University era convinto che fosse “troppo presto per spiegare

la formazione dell’iceberg A68 puntando il dito contro il cambiamento climatico”. Larsen A e Larsen B sono le altre aree della stessa penisola antartica interessate dal fenomeno degli iceberg. All’epoca il professor Valter Maggi, docente di “Cambiamenti climatici” e “Geografia fisica” all’Università Bicocca di Milano, testimoniò a StartupItalia (da cui è stata estrapolata parte di questa intervista) l’importanza della ricerca in ambienti simili, soprattutto perché è da qui che si legge la storia del clima sul pianeta. Maggi vanta 10 spedizioni in Antartide tra gli anni ’90 e il 2008, con periodi di permanenza che si potevano spingere fino a tre mesi. «In Antartide è molto complesso stabilire il cosiddetto bilancio di massa – spiegava il professore – perché si tratta di confrontare il livello di precipitazioni, e quindi di nuova acqua, con la quantità di quella che si stacca con gli iceberg. Parliamo di analisi su un continente che è grande una volta e mezzo l’Europa». Restano i satelliti come strumenti a disposizione della ricerca per monitorare la geomorfologia di questi luoghi. «È vero però che il processo di calving ha subito una accelerazione negli ultimi trent’anni». Secondo il professore Valter Maggi la situazione più critica riguarda proprio la regione da cui si è formato l’iceberg A68 nel 2017. «Larsen A, B e C sono già di per sé regioni più “calde” rispetto a quelle interne dell’Antartide, ma dietro gli iceberg che qui si formano c’è anche l’aumento delle temperature degli ultimi decenni». Riassumendo, pareri non proprio allineati tra gli studiosi. Dopo il distacco l’iceberg per circa un

Fig. 1 - Iceberg A68

Meteorologia oggi

anno rimase quasi fermo, galleggiando nelle acque del Mare di Weddell, allontanandosi di soli 200 chilometri dal luogo di “nascita”, le correnti marine e i venti hanno poi iniziato a spingere con maggior vigore questa gigantesca piattaforma di ghiaccio sempre più a nord e a febbraio 2020 si era ormai spostato di 900 km, a luglio 2020 era a 1050 km dal punto di distacco come evidenziato dall’immagine satellitare in fig. 2 (Copernicus Sentinel-1)

Va detto che l’iceberg ha perso un pezzo di ghiaccio quasi immediatamente dopo essere stato generato, con il risultato che è stato ribattezzato A-68A, e la sua “prole” è diventata A-68B. In seguito nell’aprile 2020, A-68A ha perso un altro pezzo: A-68C. In modo piuttosto poco romantico, gli iceberg antartici prendono il nome dal quadrante antartico in cui erano stati originariamente avvistati, quindi un numero sequenziale, pertanto se l’iceberg si rompe si aggiunge una lettera sequenziale. La figura n. 3 è molto interessante in quanto mostra il percorso dell’iceberg nei tre anni intercorsi tra il distacco a luglio 2017 e luglio 2020 Dopo il luglio 2020 l’iceberg ha preso definitivamente il largo verso l’Oceano Atlantico in direzione della Georgia del Sud attirando l’attenzione del pubblico mondiale, in quanto il passaggio di un iceberg di quelle proporzioni avreb-

be messo a rischio le aree dove si nutrono le locali colonie di pinguini. Fu quello il momento in cui milioni di persone, preoccupate per la sorte degli animali, iniziarono a seguire il percorso dell’iceberg attraverso i satelliti. Dal punto di vista scientifico, il viaggio di A68 ha consentito invece agli scienziati di studiare meglio la struttura delle piattaforme di ghiaccio e i processi, come l’idrofrattura, attraverso i quali l’innalzamento della temperatura distrugge il ghiaccio. In questa occasione il professor Adrian Luckman dell’Università di Swansea ha ribadito che il distacco di A68 non è stato legato ai cambiamenti climatici ma il risultato del normale processo con il quale le piattaforme di ghiaccio si mantengono in equilibrio, liberandosi della massa in eccesso in seguito alle nevicate o all’ispessimento del ghiaccio, affermando tra l’altro che “è durato quattro anni ma alla fine si è spezzato in quattro o cinque pezzi che poi si sono frantumati a loro volta» ed è incredibile che A68 sia durato così tanto».

Fig. 2 - Iceberg A68 a luglio 2020 Fig. 3 percorso Iceberg luglio 2017 – luglio 2020.

Ultim’ora

L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) in una nota del 20 maggio 2021 informa che un enorme iceberg, il più grande del mondo, si è staccato da una piattaforma di ghiaccio in Antartide e sta galleggiando attraverso il Mare di Weddell. L’iceberg, chiamato A-76, è lungo circa 170 chilometri e largo 25, con un’area di 4.320 chilometri quadrati, leggermente più grande dell’isola spagnola di Maiorca. Le immagini del distacco sono state riprese dai satelliti, riferisce ancora l’Esa.

Tra passato e presente

CALDONAZZO... ieri avvenne

La nostra affezionata collaboratrice maestra Agnese Agostini, anche per questo mese di ottobre ha trovato per noi una simpatica storia che riportiamo con grande piacere: “Siamo ai Sadleri, frazione di Centa San Nicolò, piccolo nucleo di abitazioni, poche persone, una vecchia strada comunale che sale verso i Menegoi e si immette nella statale della Fricca dopo aver costeggiato l’orto forestale e aver salutato quell’antico capitello protagonista di momenti importanti durante la Grande Guerra. Dai Sadleri un sentiero fra i boschi mi porta in pochi minuti al “Doss del Poster”, una vasta balconata, coltivata, che si affaccia sul vallone del Centa, balconata collegata al greto del torrente da un viottolo agibile. La tradizione, avvallata anche dal ritrovamento in loco di certi oggetti preistorici come un’ascia serpentino, una lancia in ferro ed altri oggetti da lavoro in selce indicavano il Poster come sede di un “castelliere” ossia una dimora stabile fatta da rozze capanne e recinzione circolare in pietra squadrata. Trascorrono gli anni, tanti anni, e la zona viene inglobata in quella giurisdizione “feudale” della quale i Sicconi prima, e i conti Trapp poi, erano i proprietari assoluti. Ai Sicconi si deve la costruzione di quello stabile seminascosto fra le piante ai margini del prato. Raccontano che i signori se ne servissero per i loro momenti liberi. Nella seconda metà dell’800 la casa abitata dalla famiglia di Sadler Pietro ammoliato con prole. Nel 1870 nasceva il figlio Giovanni che fattosi adulto e rimasto solo mal sopportava la vita al Poster. I nostri vecchi raccontavano che un giorno sistemò una candela accesa nel fienile e poi si allontanò. Riferì una signora del posto: io l’ho visto camminare svelto, fermarsi, osservare la casa avvolta nel fuoco per nulla preoccupato. -Sono stato io - confessò e continuò per la sua strada. Poco dopo emigrò in America e di lui non si seppe più nulla. (..) Durante la seconda guerra mondiale quando si doveva allontanarsi dalla città per i continui bombardamenti e cercare posti più tranquilli il signor Emilio Parolari da Trento si trasferì con la famiglia, moglie e 3 bambini piccoli, proprio al Poster, ristrutturò alla meglio la casa e costruì una strada per accedervi con la vetuura. Ha raccontato la

Marcellina dei Sadleri che li aiutava nelle faccende domestiche la moglie Italia, mentre il marito si nascondeva negli anfratti del vallone vicino. Per molti anni anche dopo si videro i parolari soggiornare al Poster.

Verso gli anni ‘70 la proprietà venne acquistata dal signor

Mario Gasperi da Caldonazzo (Perlon) che provvide a sistemare tutta la zona compresa una sommaria ristrutturazione del casale facendo intervenire Tecilla Gioacchino e Martinelli Rino con i loro uomini. Ora Mario Gasperi è scomparso ma c’è la moglie americana dell’Oregon Caroline che ogni tanto si fa vederre. Chi si reca oggi al Poster trova la zona coltivata e il casale deteriorato sì, ma ancora in grado di raccontare la sua storia millenaria a chi la sa ascoltare.

Il casale come si presenta oggi.

di Mario Pacher

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