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Punto & a capo
La guerra del Covid fra scuola e ballo
Mi piacerebbe che questo giornale fosse letto oggi nelle scuole trentine, ma mentre scrivo non è ancora certo quante scuole saranno aperte e per quanto tempo lo resteranno. Non è facile amministrare in tempo di guerra ed è innegabile lo stato di necessità in cui si trova la nostra società.
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Raccontano i libri di storia e la memoria dei nostri padri e nonni, dei bombardamenti, dell’oscuramento delle case, dei coprifuoco durante il Secondo conflitto mondiale.....Oggi la difesa dal Covid 19, il nemico invisibile, subdolo, spietato, interclassista e non razzista, ci costringe a valutare ed adottare misure altrettanto drastiche. Gli economisti parlano di economia di guerra con massicci finanziamenti pubblici, investimenti. Tutte le guerre convenzionali hanno portato all’aumento delle fabbriche di armi con cui paradossalmente sono aumentate le risorse individuali. Questa guerra richiede in primo luogo investimenti nella ricerca e produzione di vaccini, ma e soprattutto, nelle infrastrutture per la società del futuro: trasporti, energie rinnovabili, digitalizzazione, alternative alimentari. Questa economia deve avere come obiettivo parallelo ma, come direbbe Giulio Andreotti, convergente, la lotta alla miseria, sia economica che morale. Come accade spesso nella storia, nei momenti peggiori si trovano le persone migliori, fortuna ha voluto, che, pur fra mille distinguo e piccoli egoismi, il Consiglio dell’Unione Europea presieduto da Angela Merkel, abbia varato misure economiche e finanziarie importanti. “ Dovremmo evitare di sollevare troppo spesso il tema dell’esistenza dell’Unione e limitarci a fare il nostro lavoro” ha detto in Parlamento la cancelliera tedesca, alla presentazione del piano per la “solidarietà” o debito comune per i 27 paesi dell’Unione. L’ esperienza insegna che un buon accordo è quello in cui nessuno dei contraenti è pienamente soddisfatto. E così è accaduto a luglio in Europa dove tutti hanno ricevuto qualcosa, ma non tutto, e da poco più di un mese si è iniziato a lavorare, anche per chi ha smesso di lavorare. Aziende in crisi ma e soprattutto modelli sociali e comportamentali devastati. Come nel bel romanzo di Pinocchio i più colpiti sono quelli maggiormente frequentati: il paese dei balocchi e la scuola. Nel bel paese di Lucignolo si balla, si canta, si dialoga spalla a spalla. Nulla di male se si tengono le distanze isolando il virus ma se dovessi immaginare oggi una nuova danza la titolerei “Io ballo da solo”. A scuola, di cui Pinocchio farebbe volentieri a meno, non si può ballare da soli nemmeno davanti al computer al quale ci si può affidare per un tempo limitato come surroga dell’educazione. Perché scuola non significa solo apprendimento di nozioni, ma scambio di informazioni, confronto di idee, creatività, educazione civica. E se alle discoteche, fatti salvi i diritti dei lavoratori, si può rinunciare per qualche tempo, alla scuola no. Da sognatore immagino la nostra scuola dotata di due milioni di banchi individuali, di milioni di mascherine,
di Waimer Perinelli da cambiare ogni quattro ore, indossate dagli alunni e professori in caso di mancanza delle distanze di sicurezza; sogno la Scuola promessa quella che nemmeno Mosè potrebbe darci in così poco tempo dopo cento anni di riforme attese e disattese. Sogno che questo giornale possa essere letto in classe perché vorrebbe dire che pur nella sua precarietà ha trovato le scuole aperte e funzionanti, studenti felici di ritrovarsi, professori sani e poco ansiosi. Nell’attesa credo nel lavoro dei ricercatori, nel vaccino anti Covid che solo può portarci alla normalità. Mi auguro tuttavia una normalità diversa, più consapevole, più attenta ai bisogni della gente e della Terra. Spero infine che i sogni non muoiano all’alba e di risvegliarmi nel paese dove Collodi ha fatto convergere le vite parallele della scuola e del divertimento: il nuovo Pinocchio.