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ANNO 5 - NR. 7 settembre 2019
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INTERVISTA ESCLUSIVA a Benjamin Berell Ferencz, l’ultimo Procuratore Capo dei Processi di Norimberga ancora in vita
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Editoriale di Armando Munao’
L'intervista esclusiva che ci rende orgogliosi
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mbizione per una qualsiasi testata d’informazione, piccola o grande che sia, carta stampata o radio-televisiva, è quella di realizzare il tanto ricercato “scoop giornalistico” anticipando o proponendo per primi qualcosa che altri non sono riusciti a fare. Ricordo ancora, come fosse oggi, quando nella notte tra il 16 e 17 settembre del 1991, Emilio Fede, allora primo direttore di Studio Aperto su Italia 1, fu interrotto da Silvia Kramer - sua corrispondente USA - che in occasione della “ Guerra del Golfo” contro il dittatore Saddam Hussein, annuncio’, anticipando e spiazzando tutti i notiziari Rai, "gli americani e gli alleati hanno attaccato, il cielo di Bagdad e' pieno di fuochi". Fu davvero uno scoop giornalistico come pochi e che fece letteralmente gongolare il “nostro” Emilio, sempre alla ricerca di un qualcosa di eccezionale. Tutti i quotidiani del giorno dopo, infatti, erano dedicati alla prima diretta Fininvest, e a Silvia Kramer, alla quale per quel servizio, fu assegnato il premio Atkin-
Il documento identificativo di Benjamin Ferencz, al processo delle Einsatzgruppen al Tribunale Militare. Per gentile concessione di Benjamin Ferencz
son, come migliore giornalista televisiva dell'anno. E cosa dire della telefonata in diretta televisiva che Karol WoJtyla (Papa Giovanni Paolo II) fece a Bruno Vespa nel corso di un Porta a Porta. Uno scoop inaspettato ed emozionante che è rimasto nel cuore del giornalista e negli annali della Rai. Ovviamente tutti gli organi d’informazione, quotidiani e non, specialmente quelli nazionali, periodicamente realizzano i loro numerosi e importanti scoop, se, però, il fatto “clamoroso” viene riportato e pubblicato nelle pagine di un piccolo giornale di periferia allora, permettetemi di sottolinearlo, si verifica un qualcosa di veramente unico perché non solo si concretizza un evento di cui tutta la redazione andrà fiera, ma indiscutibilmente rappresenterà quella particolare medaglia destinata a essere conservata nella bacheca dei ricordi più belli e che di certo ne segnerà la storia. Ebbene, carissimi lettori, in questo numero e con grande soddisfazione, vi presento il nostro “eccezionale” scoop (scusatemi l’immodestia) con l’intervista, in esclusiva nazionale, che la nostra Francesca Gottardi, corrispondente USA di Valsugana News (a Lei va riconosciuto tutto il merito), ha realizzato per noi dialogando con Benjamin Berell Ferencz il cui nome è oggi riportato sui libri di storia perchè è stato procuratore capo in uno dei dodici processi secondari di Norimberga, quello relativo alle Einsatzgruppen, le tristemente famose squadre della morte di Adolf Hitler. Un personaggio i cui meriti sono tuttora riconosciuti tant’è che per evidenziare ciò che Egli ha rappresentato e
La nostra Francesca con Benjamin Ferencz alla conferenza ASIL (American Society of International Law) del 2018
ancora rappresenta, il regista Barry Avrich ha realizzato PROSECUTING EVIL: THE EXTRAORDINARY WORLD OF BEN FERENCZ, un particolare film-documentario su questo grande uomo che, ricordiamolo, è l'ultimo procuratore ancora in vita del grande processo ai criminali nazisti e che ancora oggi è impegnato a condurre la sua personale crociata in nome della legge, della pace e della giustizia, dedicandosi principalmente a temi quali i crimini di guerra e contro l'umanità. Una intervista, credetemi, che ci riempie di vero orgoglio perché non solo è la prima in assoluto che Ferencz, alla veneranda età di quasi cento anni (è nato nel 1920), concede ad una rivista italiana, e credo una delle pochissime in Europa, ma anche e soprattutto perché è dalla sua voce, dalla sua emozione nel rispondere alle nostre domande e dalla sua trascorsa esperienza, da Lui documentata, che oggi, dopo circa 75 anni, possiamo apprendere e meglio conoscere i sentimenti di chi quel periodo storico, nelle diverse vesti, ha “purtroppo” vissuto.
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SOMMARIO ANNO 5 - SETTEMBRE 2019 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 2815103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Chiara Paoli - Elisa Corni COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser COLLABORATORI Waimer Perinelli - Roberto Paccher - Erica Zanghellini Katia Cont - Massimo Dalledonne - Francesca Gottardi Maurizio Cristini - Laura Mansini - Alice Rovati Laura Fratini - Sabrina Mottes - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover - Veronica Gianello Giampaolo Rizzonelli - Nicola Maschio - Mario Pacher CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE - GRAFICA - STAMPA Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN)
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Editoriale Sommario Punto e a capo Dio, dove sei? Intervista a Benjamin Ferencz Il Processo di Norimberga I processi secondari di Norimberga Chi furono le Einsatzgruppen Teatro Oggi Coma etilico - Concorso di colpa Lacrime di resina Ieri avvenne. Fiuma, storia di un’impresa Sesta biennale d’arte Personaggo italiani: Franco Zeffirelli Altrismo e volontariato Ruggero Caumo, il barman dei Cipriani In ricordo di un amico: Romano Galvan La musica fatta in casa Libri e letteratura: George Orwell Matera, la città dei sassi Dove ci piace vivere: La Valsugana Una chiara dozzina Mestieri e professioni: Francesco Gubert Da festa e da magro Le cronache locali Dalla Bielorussia con amore Le cronache locali Nereo Tomaselli Oltre l’Apparenza: Jirina Nazzani Le cronache locali La storia de l’orso Le cronache locali Carzano: in ricordo dei caduti Storie di casa nostra: i gatti randagi Le cronache locali Le cronache locali I vitignio resistenti Le cronache locali
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Le cronache locali Piccoli amici: l’alimentazione dei cani e gatti Le cronache locali Le cronache locali Le cronache locali Che tempo che fa Le cronache locali Giocherellando
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Il pittore degli angeli: Don Giuseppe Tarter Pag. 52
Sport e amicizia Bocce - il viaggio americano Pag. 64
L’inchiesta di Altroconsumo Gli antibiotici Pag. 72
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Punto e a capo di Waimer Perinelli
Il male non è mai inconsapevole
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Furono gli atti dei processi di Norimberga a fornire la documentazione più consistente contro Adolf Eichmann, nel processo celebrato nel 1961 in Israele. Centoventi sedute che portarono alla condanna a morte del criminale nazista dal cui processo la giornalista scrittrice Hannh Arenat ha tratto alcune considerazioni sulla banalità del male, tema da sempre all'attenzione dei filosofi e degli storici e oggi più che mai d'attualità. La domanda corretta è: Esiste il male assoluto? Gli antichi hanno creato il mito del vaso di Pandora dal quale uscirono tutti i mali; il cristianesimo propone in alternativa la trasgressione di Eva e Adamo e la giusta punizione. Il male, dunque, esisterebbe al di là dell'uomo e lo stesso, dopo la prima trasgressione, ch'è pur sempre un male, ne sarebbe oppresso. Troppo comodo per i criminali, di ogni tipo, per i quali, come per Eichmann, si sostiene la tesi della vittima del dovere verso la Stato o della iniquità della Società. Il teologo e filosofo Vito Mancuso riprende e rilancia l' esistenza dello Spirito Immondo contrapposto al più noto Spirito Santo della Trinità divina. Lo spirito malvagio, che alcuni chiamano Diavolo, è il male assoluto di cui l'uomo diventa strumento e perché no, egli stesso vittima. Hannh Arenat si chiede che cosa sarebbe stato di Eichmann senza il nazismo. Era il figlio di un piccolo proprietario minerario del nord della Germania. Come tanti giovani aveva poca voglia di studiare e ancora meno di lavorare. Uno zio, sposato con una donna
ebrea, gli trovò un posto da rappresentante di una compagnia petrolifera. Un uomo senza qualità, quindi, fino a quando il nazismo, nel 1938, forgia l'idea dell'emigrazione forzata, sfruttando gli ebrei che, per espatriare, dovevano pagare. Eichmann ne diventa l' organizzatore. E' vero che 160 mila ebrei austriaci sfuggirono alla morte grazie a questo meccanismo ma moltissimi di più in tutta la Germania nazista e nei paesi conquistati, almeno fino al 1942, finirono comunque nei campi di sterminio. Himmler chiamava Eichmann "il ragioniere delle deportazioni". Un ragioniere; questa sarebbe l'immagine del nazista, l'immagine del male. Hannh Arenat ci descrive la percezione avuta guardandolo ed ascoltando le sue parole, spesso contraddittorie: un uomo comune, caratterizzato dalla superficialità e mediocrità. Queste manchevolezze umane e sociali non gli impedirono di organizzare la deportazione di milioni di ebrei. Ciò che l'Arenat descrive di Eichmann non è stupidità, d'altra parte ciò che ha fatto richiede ambizione e lucidità organizzativa, ma l'incapacità di pensare a ciò che di male sta facendo. Sembra cioè sostenere che i criminali sono essi stessi vittime predestinate, così come accade all' Uomo senza qualità di Robert Musil, la cui mancanza di interessi lo porta a vivere fuori del mondo reale. La scrittrice nel libro "Le origini del totalitarismo" rinforza la propria tesi ed arriva ad esprimere il concetto che per Eichmann come per la maggior parte dei tedeschi e loro alleati colpevoli della Shoah, non ci fosse un' indole maligna ben radicata nell'anima (termine
Adolf Eichmann - 1961
abusato) quanto piuttosto l'incapacità di comprendere che cosa significassero ed a cosa portassero realmente le loro azioni. Troppo comodo per tutti quelli che ancora oggi agiscono per il male, salvo poi dichiararsi vittime del "sistema". E' vero come sostiene Vito Mancuso: il Male è fra noi, è in noi, e lo si può vedere in tanti grandi e piccoli fatti quotidiani. Lo si può combattere, mai tollerare quando offende la dignità della persona, dell'uomo, della natura. Tanti nel mondo lavorano oggi per il Male, qualunque sia, come l'uso della guerra per risolvere problemi di ogni tipo, e in questi l'impiego di armi di sterminio di massa quale l' energia atomica. Se il Male prevarrà non resterà nulla di noi e della terra che ci ospita la cui salvezza dipende perfino dal sacchetto di plastica negligentemente, stupidamente gettato in mare. Non possiamo dire inconsapevolmente perché siamo informati della malattia del Pianeta di cui siamo il virus, e cura, ma ognuno ha una propria imprescindibile colpa; deve esserne consapevole. Solo così potremo smettere di segare il ramo su cui viaggiamo nello spazio.
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PER NON DIMENTICARE
di Francesca Gottardi è nostra corrispondente dagli USA
“Dio, dove sei?”
Da cbc.ca
Nostra intervista esclusiva a Benjamin Berell Ferencz, l’ultimo procuratore capo dei processi di Norimberga ancora in vita. All’età di 99 anni e con la sua testimonianza, ci racconta l’esperienza e i sentimenti vissuti in uno dei periodi più brutti e tristi della nostra storia. Ferencz è considerato uno dei più grandi esperti al mondo sui crimini di guerra e sui diritti civili. E’ stato tra i maggiori promotori della Corte Penale Internazionale.
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r. Ferencz, ora che ha compiuto 99 anni, Le capita spesso di pensare a ciò che ha vissuto negli anni '40? Beh, sì, ne parlo sempre con persone che mi chiamano per interviste, alla radio, alla televisione, su Skype, su riviste e giornali. È mai stato intervistato da una rivista italiana? No. Mr. Ferencz, ci racconti un po’ della Sua storia. I suoi genitori sono immigrati dalla Romania, erano ebrei e scappavano dalla guerra. Come è stata la Sua infanzia? Sono venuto negli Stati Uniti quando avevo 9 mesi, quindi i miei ricordi della
Romania sono inesistenti. Tra l’altro, noi ci consideravamo ungheresi. Le condizioni di vita dopo la prima guerra mondiale erano terribili, sia i rumeni che gli ungheresi erano antisemiti ed all'epoca non vi era impiego per gli ebrei. Quindi ai miei genitori è parsa una buona idea andarsene. Abbiamo viaggiato in terza classe ma solo perché la quarta classe non c’era, altrimenti avremmo viaggiato in quella. Come siete stati accolti negli USA? Le condizioni a New York erano terribili. I miei genitori non avevano soldi, né amici, non conoscevano la lingua, non avevano un lavoro. Mio padre era calzolaio, ma a New York non avevano bisogno di scarpe fatte a mano. Quindi vi-
vevamo in una cantina e mio papà faceva il bidello. Non avevamo molto e non era una bella situazione, ma erano comunque condizioni molto migliori di quelle in cui avevamo vissuto in Europa. Prima del Suo coinvolgimento nei Processi di Norimberga ha combattuto nell’esercito americano. Nel documentario biografico “Prosecuting Evil” menziona la Sua determinazione ad arruolarsi nell’esercito americano. Perché aveva un desiderio così forte di andare al fronte? Non volevo avere la sensazione di esserne rimasto fuori e di non aver fatto la
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mia parte in una guerra che stava implicando l’annientamento e la persecuzione del popolo ebraico. Mi sarei sentito molto in colpa se non ne avessi fatto parte. Feci di tutto per entrare nel corpo aereo dell’esercito, ma incontrai delle difficoltà. Come sai, sono piuttosto basso di statura, quindi mi dissero che non sarei riuscito a raggiungere i pedali [dell'aereo]. Tuttavia, gli ufficiali di rotta mi diedero una chance. Come andò? Non molto bene [ride]. Mi dissero che se mi avessero comandato di bombardare Berlino, probabilmente sarei finito a Tokyo! Alla fine, mi arruolai come soldato semplice nel battaglione di artiglieria antiaerea. Lei è stato inoltre uno dei primi americani ad entrare in un campo di concentramento liberato. Si ricorda di quale campo si trattava?
Si, era Buchenwald. Qual era il Suo compito una volta entrato nei campi? La prima cosa era non farsi ammazzare dalle SS nascoste nei campi; in secondo luogo il mio compito era quello di raccogliere le proFerencz al processo, da timesofisrael.com ve dei crimini commessi in dimenti giudiziari che seguirono. modo tale da poter identificare le parti Cosa si ricorda di quel giorno che colpevoli e metterle sotto processo. Ciò entrò in un campo di concentrasignificava principalmente recarsi nelmento per la prima volta? l'ufficio di ogni campo e impadronirsi di Lo ricordo molto bene, mia cara. Non lo tutti i documenti disponibili. Pensa che potrò mai dimenticare. Oh, fu un orrore. erano completi dei nomi di tutti i deteUn vero orrore! Fu per me difficile acnuti e di tutti gli ufficiali delle SS. Nei cettare che degli esseri umani potessecampi sono persino riuscito ad ottenero essere trattati in quel modo da altri re le dichiarazioni giurate di alcuni soesseri umani. Ha scosso la mia fede nel pravvissuti che erano ancora nelle conprofondo. Mi sono chiesto: “Dio, dizioni di poter rendere testimonianza. dov’eri? Dio, dove sei?” . Sto ancora Tutta la documentazione raccolta saaspettando una risposta. rebbe poi diventata la base per i proce-
CHI È
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ato in Transilvania, a Großhorn l'11 marzo 1920 da famiglia di orgine ebraica. Quando Ferencz aveva solo 9 mesi, la sua famiglia dovette emigrare in USA per sfuggire alla persecuzione degli ebrei ungheresi da parte del regime rumeno e ad un clima di progressiva tensione politica. In America studiò alla Harvard Law School dedicandosi anche a particolari temi e ricerche sui crimini di guerra. Si laureò nel 1943. Si arruolò come soldato semplice nel battaglione di artiglieria antiaerea, e dopo fece parte di un qualificato team dedicato ad investigare i crimini di guerra perpetrati dai nazisti sui prigionieri di guerra alleati. Forse è stato proprio per l'esperienza acquisita che fu inviato a svolgere delle indagini nei campi di concentramento subito dopo la liberazione da parte degli alleati. “Fu un lavoro duro e meticoloso — racconta — per ottenere le testimonianze e i documenti d'accusa”. Nel dicembre del 1945 fu congedato, ma dopo qualche mese, vista la sua preparazione specifica, fu richiamato a rivestire il ruolo di procuratore dell'accusa ai processi secondari Da simple.wikipedia.org di Norimberga (cominciarono il 9 dicembre 1946 e si conclusero il 13 aprile 1949), e furono successivi al grande processo, da tutti conosciuto, che vedeva imputati i maggiori criminali di guerra. A capo del gruppo dei legali dei dodici processi fu nominato il brigadiere generale Telford Taylor. Questi, vista la preparazione di Ferencz, lo nominò procuratore capo nel nono processo, quello alle Einsatzgruppen. Tutti i “suoi” ventidue imputati furono dichiarati colpevoli. A quattordici di essi venne comminata l'esecuzione capitale. Quattro furono effettivamente eseguite. Altri condannati sfuggirono alla pena di morte a seguito dell’amnistia del 1951. Dopo la guerra e dopo i processi si dedicò alla carriera di avvocato. Si impegnò poi nella promozione della nascita di un organismo sovranazionale di giustizia, la Corte Penale Internazionale. Nel 1975 pubblicò il suo primo libro, “Defining International Aggression-The Search for World Peace”. Dal 1985 al 1996 fu professore a contratto di diritto internazionale presso la Pace University. Oggi, a quasi cento anni, ci concede la sua lucida, insostituibile testimonianza.
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Bejamin con la famiglia, da-benferencz.org
Ha dei parenti che sono stati mandati nei campi di concentramento? Sì, tutti i Ferencz scomparvero e furono uccisi. Sia da parte materna che paterna. Aveva solo 27 anni quando è stato selezionato come procuratore per i processi di Norimberga. Come è stato scelto? A quel tempo ero forse l'uomo più esperto del mondo su quell'argomento [i crimini di guerra] perché prima di tutto avevo fatto ricerca per un professore della Harvard Law School, Sheldon Glueck, che aveva scritto un libro intitolato "Crimini di guerra". Avevo letto tutto ciò che era stato scritto sui crimini di guerra fino ad allora, ed avevo preparato dei riassunti per il mio professore. Pertanto, avevo un solido background accademico. In secondo luogo, sono stato il primo ad essere nominato da Washington DC a svolgere il ruolo di investigatore per i crimini di guerra verso la fine della seconda guerra mondiale. Pochi nel settore avevano la benché minima idea di cosa fossero i crimini di
Il documento identificativo di Benjamin Ferencz
guerra e di come trattarli. In quel contesto, ero l'unico esperto in materia. Non solo, ero stato nei campi, avevo contribuito a liberarli, avevo visto le vittime ed arrestato le SS. Nessuno aveva quel tipo di esperienza. Tutto questo all’epoca era già in linea con i Suoi obiettivi professionali? Sì, il mio obiettivo professionale era dedicarmi alla prevenzione del crimine. Mi sono interessato di delinquenza giovanile fin dagli albori ed avevo scritto un articolo in merito quando ancora ero un caporale nell'esercito americano, proprio all'inizio. L'articolo riguardava la riabilitazione dei trasgressori militari, ovvero di quei soldati dell'esercito americano che avevano infranto la legge ed erano in prigione. Che tipo di prove è riuscito ad ottenere a seguito delle Sue indagini? Ho ottenuto prove esaustive dei crimini commessi, dove venivano specificati il nome dell'unità responsabile, quanti ebrei erano stati uccisi, in quale città, e persino a che ora. In genere questo tipo di documenti venivano firmati dal comandante dell’unità nazista, inviati a Berlino per essere consolidati con simili documenti che pervenivano dalle altre unità e quindi distribuiti alle varie agenzie naziste. Sono riuscito ad ottenere la lista di distribuzione di 99 diverse agenzie del governo nazista. Con quel tipo di prove mi era chiaro, in ragione della mia formazione come criminologo, che avevo tra le mani il caso perfetto. Il mio ufficio era a Berlino, comprendeva circa 50 ricercatori, ma a quel punto ho subito preso un volo per
Norimberga. Li incontrai il generale Taylor, che in seguito sarebbe diventato il mio socio legale a New York, ma a quel tempo era il mio capo. Gli proposi di fare un nuovo processo. Mi disse: “Non possiamo, gli avvocati sono già assegnati e il Pentagono non ci darà più l'autorizzazione per ulteriori processi. Non possiamo proprio farlo". Quale fu la Sua reazione? Mi incuriosii e gli dissi: “Non puoi fargliela fare franca. Ho qui tra le mani i dettagli di un omicidio di massa di proporzioni incredibili. Ho i nomi, ho tutte le prove di cui abbiamo bisogno!”. A quel punto il generale Taylor mi chiese se potevo incaricarmi io del caso, ed io risposi "certo!" Fu così che venni nominato procuratore capo in quello che si è rivelato essere il più grande processo per omicidio della storia umana e ti dirò che già allora ero certo lo sarebbe diventato.
Benjamin Ferencz militare, da veterans advantage.com
Come si è preparato per affrontare i processi? Ho preparato il mio caso in due giorni. Avevo tra le mani documenti contemporanei top secret inviati a Berlino direttamente dal fronte. Avevo gli uomini che li avevano firmati, documentando minuziosamente quante persone erano state uccise, in quale città e perché. Cosa mi serviva di più? Con quelle prove schiaccianti, ero sicuro di poter otte-
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Il 99esimo compleanno di Ben Ferencz, da benferencz.org
nere una condanna oltre ogni ragionevole dubbio. È stato un problema rintracciare e determinare chi sarebbero stati gli imputati? Si, è stato complicato perché erano più di 3000 gli uomini coinvolti nell'incarico di uccidere ogni singolo uomo, donna e bambino ebreo che fossero riusciti a catturare. Pertanto, ho dovuto prendere una decisione su chi portare in tribunale. Volevo arrivare ai responsabili, ai comandanti delle unità che avevano ucciso tutte queste persone. Nel documentario evidenzia inoltre che molti dei crimini più atroci sono stati commessi da militari di alto rango, in possesso di laurea e dottorato. Uno dei generali più spietati (Otto Rasch) ne aveva addirittura due di dottorati, uno in legge. Questo fa presupporre che fossero delle persone razionali e con senso critico. Come si spiega questo paradosso a Suo parere? La giustificazione primaria che gli imputati adducevano era quella che dovessero obbedire a degli ordini superio-
La foto di quando Benjamin Ferencz ha donato $ 1 milione al museo della Shoah - Jewish News - da The Times of Israel
ri, ma si trattava di una scusa. I militari nazisti avevano il dovere di obbedire solo agli ordini legali a loro impartiti. Impossibile non sapere che sparare a delle persone indifese non sia un ordine legale. E in secondo luogo, credevano che quello fosse il loro compito. Sentivano che era nell'interesse della loro nazione sbarazzarsi di questi parassiti umani e che li dovevano sterminare. Lo hanno fatto perché erano tedeschi patriottici, nazisti patriottici. Pensa che se ne vantavano pure del numero di persone che avevano ucciso. Ha personalmente avvertito antisemitismo nei Suoi confronti durante il Processo? Sì, ma non l'ho preso sul serio. Io ero nelle condizioni di potermi difendere, non mi sono mai considerato una vittima. Le vere vittime erano morte e già sottoterra. La mia motivazione dietro l’assunzione del ruolo che ho avuto nel Processo non derivava dalla percezione di una mia lesione personale in quanto ebreo. Voglio dire, mi sono certamente sentito offeso, ma a nome di tutto il genere umano, non solo a livello personale. Come si spiega il fatto che molti criminali nazisti non si siano mai pentiti delle loro azioni e che anche durante i processi si siano opposti alla loro condanna affermando che avrebbero fatto tutto di nuovo? Beh, non pensavano di essere colpevoli. Non provavano alcun rimpianto. La mia più grande delusione è stata che nessun tedesco in tutto il tempo che sono stato lì sia venuto da me e mi abbia detto: "Mi dispiace per quello che abbiamo fatto." Nessuno! C’è stato per Lei un momento “topico”
durante il Processo? Si. Ricordo che durante il Processo un imputato nazista si rivolse alla Corte dicendo con sarcasmo: “Ma dai, degli ebrei sono stati uccisi? Lo sento ora per la prima volta!”. A quel punto avrei davvero potuto saltargli addosso e puntargli una baionetta alle orecchie, così che potesse sentire chiaramente quante persone erano state uccise dalla sua unità. Quello è stato un momento in cui mi sono arrabbiato durante il Processo. Per il resto del tempo ho sempre mantenuto la calma. Alla fine del processo che lo ha visto come procuratore capo, tutti i
La locandina del film Prosecuting Evil, da imdb.com
22 imputati sono stati condannati. Tredici alla pena di morte, di cui solo quattro sono poi state eseguite. Cosa ha provato dopo le condanne? Sentiva che giustizia era stata fatta? Pensavo che giustizia fosse stata fatta, ma allo stesso tempo mi rendevo conto che non si poteva veramente mettere sulla stessa bilancia della giustizia un milione di persone assassinate e dall'altra parte la selezione di 22 su 3000 assassini. A quel punto mi sono chiesto: “come posso rendere questo processo importante?” Il pensiero che mi ha guidato è
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stato il riconoscere che le vittime, uomini, donne e bambini, erano stati assassinati semplicemente perché non condividevano la stessa razza, la religione e l'ideologia dei loro carnefici. Ritenevo che quella fosse una cosa terribile. Ho quindi pensato che se fossi riuscito ad asserire la superiorità di un principio di legalità che affermasse il diritto di tutti gli esseri umani a vivere in pace e con dignità, indipendentemente dalla loro razza, religione o colore, se fossimo riusciti ad affermare la superiorità di questo principio e dello Stato di diritto, quella sarebbe stata la più importante vittoria. Ha sottolineato questo punto nella Sua dichiarazione di apertura del processo... "Il caso che presentiamo è un appello per rendere il diritto più umano". È così che ho esordito con la mia arringa. Per me quella era la vera essenza del processo, un appello che invocasse l'umanità del diritto per proteggere l'umanità tutta da minacce future. La Corte ha accettato ed incluso questa mia richiesta nella sentenza finale. Lei pensa sia stata fatta giustizia? Non posso parlare di giustizia. Non c'è stata giustizia. Hanno ucciso milioni di persone! Ancora una volta, per me la cosa più importante era che venisse affermato un principio che permanesse nel tempo, quello della superiorità del diritto, per tutelare le generazioni presenti e future da simili orrori. Come spiega il fatto che dopo la guerra ci siano stati governi che
hanno protetto ex criminali nazisti? Perché persistevano ancora delle notevoli divergenze politiche. Basti pensare che il mio comandante generale, quando la guerra non era ancora finita, fece un discorI quattro fondatori di Tribunali Internazionali, da sin. Luis Moreno Ocampo, so a Londra in Benjamin Ferencz, Richard Goldstone e David M. Crane cui disse che giovani che nemmeno conoscono. noi [gli Stati Uniti] stavamo combatQuesto fino a quando non si stancano tendo il nemico sbagliato. Disse che di uccidersi a vicenda. Poi si riposano avremmo dovuto combattere i russi e per un po’, dichiarano vittoria, e riconon i tedeschi. Io pensai che quella minciano da capo. E i soldi, che pofosse un'affermazione riprovevole in trebbero usare, e dovrebbero usare, un momento in cui i tedeschi stavano per sostenere le legittime invocazioni uccidendo i russi come mosche! Per d’aiuto di tutte quelle persone, che un comandante americano dire che hanno bisogno, che cercano la libertà avevamo il nemico sbagliato e che ine lottano per una vita migliore, li spenvece avremmo dovuto uccidere i rusdono in più munizioni per uccidersi a si...che affermazione vergognosa! Ciò vicenda. Penso che sia pazzesco! C’è evidenzia come fossero rimaste delle chi pensa che io sia un pazzo; ma io significative divergenze politiche, che penso che i pazzi siano loro. E spero permangono ad oggi. che i giovani come te decidano che Dopo tutto quello che ha vissuto non è possibile avere un mondo pacidurante la guerra e durante fico in queste condizioni, vale a dire i processi, come è stato tornare senza cambiare il modo in cui le peralla "vita normale" e lavorare sone pensino ai propri doveri reciproci come avvocato negli Stati Uniti? in quanto esseri umani. La mia vita non è mai stata normale, Dopo la guerra, ha svolto un ruolo mia cara! Il mio operato è tutti i giorni cruciale nella creazione della Corte motivato dal trauma che Penale Internazionale (C.P.I.) Pensa ho vissuto durante la guerche gli Stati Uniti ratificheranno ra. Ho dedicato tutta la vita mai lo Statuto di Roma della C.P.I.? a cercare di fermare la No. Non con questo tipo di governo. guerra, perché la trovo una Gli Stati Uniti si sono sempre opposti cosa così stupida, è quasi alla Corte Penale Internazionale, perincredibile! L'attuale sisteché, e questo è importante, nel sistema è strutturato in modo ma legale americano ci sono due tale che quando due capi grandi partiti [quello democratico e di Stato non sono in grado quello repubblicano], che alle elezioni di mettersi d’accordo, inviaIl palazzo di giustizia di Norimberga dove si svolse il processo si contendono fino all’ultimo voto per no giovani ad uccidere altri
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Alla luce della sua esperienza, quale consiglio si sente di dare ai governi e alle nuove generazioni? Di non arrendersi mai! Il mondo sta andando incontro all’apocalisse. Basti pensare che oggi gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, e chissà chi Membri della “Conference on Jewish Material”, da timesofisrael.com altro ancora, hanno ottenere un vantaggio sul partito rivala capacità [tecnologica e militare] di le. Quindi, [i candidati] devono stare porre fine all’umanità. Il rischio è che la molto attenti nel cercare di ottenere Terra diventi un altro pianeta morto che tutti i voti di cui hanno bisogno perciò fluttua nella stratosfera. Questo lo vedo evitano questioni di questo tipo, che come un rischio attuale. È necessario sono molto critiche. Il risultato è che usare sempre un buon giudizio, studiagli Stati Uniti, leader mondiale nella re , e comprendere che tutti noi abbiapromozione dei processi di Norimbermo l'obbligo di essere pronti a scendega, ne hanno tradito lo spirito. Gli Stati re a compromessi, a capire il punto di Uniti hanno tentato di sabotare la CPI vista dell'altra persona, a riconoscere dal giorno in cui è nata, usando argoche non è vigliaccheria trovare una somenti assurdi. Dicono che è una miluzione comune ad un problema. Sono naccia all'indipendenza americana, questi i valori che dobbiamo imparare alla sovranità degli Stati Uniti. Adducoed insegnare ad ogni livello di istruziono che il termine "aggressione" non è ne: nelle chiese, nelle sinagoghe, nelle stato sufficientemente definito nello scuole, nelle moschee, nei governi, statuto, e che quindi non si può portaovunque! Occorre condannare l'uso re a processo nessuno. Tutte queste della forza militare che è illegale stando argomentazioni non sono corrette. Ho alla Carta delle Nazioni Unite, secondo scritto ampiamente su questo tema, la quale le controversie tra Stati vanno ed i miei articoli sono accessibili sul risolte solo con mezzi pacifici! mio sito web [http://www.benfeE cosa si può fare per impedire rencz.org/]. il rischio di un’apocalisse? Opporvisi con tutte le forze, passo dopo passo! Non mollare mai! Occorre spingere questo masso su per la collina, a poco a poco finisce per salire. Io questo masso lo ho spinto per tutta la vita, e bada sono alto solo un metro e mezzo, non mi sono A sinistra Ben Ferencz, da cbc.ca mai arreso, e ancora
non mi arrendo. Pensa che ancor oggi lavoro molto, la mia scrivania è coperta di documenti, articoli, libri e così via. E chi afferma che la Carta dell'ONU non vincola direttamente gli individui… Stupidaggini! La Carta è stata formulata per dar voce a tutte le persone sofferenti del mondo! Certo, queste persone hanno parlato attraverso i loro governi, è vero, ma nulla toglie al principio fondante che le controversie vadano risolte con mezzi pacifici! E ancora questo i governi lo ignorano ed investono i loro soldi nella guerra. E chi ne paga il conto? Tu e le nuove generazioni. Non io. In tanti anni di lavoro per la promozione dei diritti umani ha ottenuto molti risultati importanti. Qual è il contributo di cui è più orgoglioso? Ne citerò uno di cui sono proprio orgoglioso. Non ne parlo mai. Sono orgoglioso di aver elaborato un sistema con il governo tedesco, il governo della Germania occidentale, per compensare i sopravvissuti alla persecuzione nazista, sia ebrei che non ebrei. Nella storia umana non era mai successo prima che una nazione sconfitta pagasse un risarcimento individuale ai sopravvissuti. Pensa che quando lasciai la Germania nel 1956 grazie a quel programma avevo già raccolto 50 miliardi di dollari da ridistribuire alle vittime. Abbiamo istituito uffici e messo a disposizione avvocati per aiutare i sopravvissuti ad asserire i loro diritti. Ecco, essere riuscito ad elaborare un sistema di compensazione complesso come quello, in un Paese che era in ginocchio dopo la guerra è stato un bel successo! Questo mi fa guardare indietro e pensare: “Ben fatto Benny!” Mr. Ferencz, a nome mio e della rivista Valsugana News Le sono molto grata per aver condiviso la Sua storia con i lettori italiani in un modo così sincero e toccante. Grazie! Ora tocca a voi portare la torcia!
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Il Processo di Norimberga Il processo di Norimberga - dal nome della città dove ebbe luogo - è tra i processi più famosi della storia. Fu celebrato contro gli ufficiali nazisti per la persecuzione e lo sterminio del popolo ebraico, ma anche di Rom, Sinti, omossessuali, disabili, Testimoni di Geova ed altri gruppi di vittime innocenti. Il processo principale si tenne nel Palazzo di Giustizia della città teutonica dal 20 novembre 1945 al 1º ottobre 1946 - quelli secondari terminarono nel 1949. La scelta cadde su Norimberga in quanto il suo Palazzo di Giustizia era una delle poche strutture istituzionali tedesche sopravvissute ai bombardamenti; ma anche in virtù del fatto che la città era stata punto di riferimento del regime nazista e sede dei raduni annuali del partito dal 1923 al 1938.
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erso il termine del secondo conflitto mondiale le forze alleate—Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, e Unione Sovietica—avvertirono la necessità di istituire un Tribunale Militare Internazionale per punire i nazisti accusati di crimini di guerra, di crimini contro la pace e contro l’umanità. L’idea prese forma a seguito di una serie di conferenze tra le grandi potenze, tra cui quella di Teheran nel 1943, e quelle di Jalta e di Potsdam nel 1945. La visione di fondare una tale istituzione si concretizzò con l’organizzazione del Processo di Norimberga, fortemente voluto dagli Stati Uniti e da Robert H. Jackson—capo dell’accusa americana. Jackson te-
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meva infatti che se non Imputati alla sbarra. Prima fila, da sinistra: Göring, Hess, von Ribbentrop, Keitel. Seconda fila, da sinistra: Dönitz, Raeder, Schirach, Sauckel fosse stata presentata la documentazione dei crimini nazisti con le relative prove durante un processo legittimo, le generazioni future non avrebbero creduto che un orrore tale fosse davvero accaduto. Affermò l’avvocato Robert Storey: “Lo scopo del processo di Norimberga non era semplicemente in realtà ad un insieme di diversi condannare i leader della Germania processi. I capi d’accusa principali funazista. La cosa più importante era rono violazione del diritto internatenere traccia per i posteri di ciò che zionale per crimini di guerra, contro aveva fatto il regime di Hitler”. la pace e l’umanità. Questi vennero Il Processo di Norimberga si riferisce definiti come “l’omicidio, lo sterminio, la messa in schiavitù [nei campi di concentramento], la deportazione o la persecuzione effettuati su base razziale, politica o religiosa.” Altro capo d’accusa fu quello di cospirazione in riferimento al programma nazista. Il primo dei processi celebrati riguardò i principali criminali di guerra, si tenne davanti al Tribunale Militare Internazionale. Vennero giudicati ventiquattro dei più importanti capi nazisti. Tra questi figurano Hermann Goering, Rudolf Hess, Joachim von Ribbentropp, Robert Conclusione del processo di Norimberga, Il Memoriale Ley, Wilhelm Keitel, Julius
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I processi secondari
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BenjaminFerencz - Oggi, da simple.wikipedia.org
Streicher, Ernst Kaltenbrunner, Alfred Rosenberg, Hans Frank, Wilhelm Frick e Albert Speer. Il secondo gruppo di processi riguardò i crimini di guerra secondari, tenuto in virtù della Legge numero 10 del Consiglio di Controllo dal Tribunale militare di Norimberga. Comprese il processo alle “Squadre della Morte” (Einsatzgruppen) presidiato da Benjamin Ferencz. Più di 400 spettatori al giorno si presentarono alle udienze, insieme a corrispondenti provenienti da 23 diversi Paesi del mondo, per un totale di 325 tra giornali, radio e agenzie di stampa. Un vero record per l’epoca. Come predisse Robert H. Jackson, i processi generarono un numero notevole di prove relative alla calcolata “soluzione finale” nazista. Furono prodotte ben 3000 tonnellate di carta tra registri e documenti. Al di là dell’esito processuale, la mole dei documenti raccolti rimane ai posteri a testimonianza e monito perenne delle atrocità perpetrate dal regime nazista.
ali processi vennero celebrati da tribunali militari statunitensi e non davanti all'International Military Tribunal (IMT), che aveva promosso il principale processo di Norimberga contro i vertici della Germania nazionalsocialista. Ebbero luogo presso lo stesso palazzo di Giustizia di Norimberga. I Processi secondari (formalmente i "Processi per crimini di guerra davanti al Tribunale militare di Norimberga" (NMT)) furono una serie di dodici processi militari americani per crimini di guerra contro i membri sopravvissuti del potere militare, politico ed economico della Germania nazista. Si tennero, sempre a Norimberga, dal dicembre 1946 all’aprile 1949 e furono così chiamati: 1) Processo ai dottori. 2) Processo Milch. 3) Processo ai giudici. 4) Processo Pohl. 5) Processo Flick 6) Processo all'IG Farben. 7) Processo degli ostaggi 8) Processo all'RSHA 9) Processo agli Einsatzgruppen 10) Processo Krupp.
Einsatzgruppen Kovno, 1942
11) Processo ai Ministri 12) Processo all’Alto Comando Inizialmente si era stabilito di tenere tutti i processi davanti al Tribunale Militare Internazionale, ma le divergenze e le diversità di vedute tra i paesi vincitori (Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Unione Sovietica) non lo permisero. Secondo documenti storici dell’epoca tutti i dodici processi richiesero oltre mille giorni di procedimenti legali e 330mila pagine dove furono trascritti gli atti relativi, senza contare centinaia di documenti, verbali e altri dossier. Dei 177 imputati che furono processati, 35 furono rilasciati e 142 condannati. Dei 142 condannati 25 furono sentenziati alla pena di morte (7 nel processo ai dottori; 4 nel processo Pohl e 14 nel processo agli Einsatzgruppen); dei 117 non condannati a morte, 20 furono condannati al carcere a vita e 97 ottennero una sentenza inferiore ai 25 anni. Dal 20 novembre 1945 a Norimberga si usò, per la prima volta nella storia, la traduzione simultanea in inglese, francese, tedesco e russo. Per undici mesi, un’équipe di tre o più interpreti, in cabine improvvisate, resero possibile la comunicazione istantanea tra giudici, procuratori, avvocati difensori, imputati e testimoni, contribuendo in questo modo a “dire” e “fare” giustizia senza equivoci e senza fraintendimenti di sorta. (F.G.)
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Chi furono le Einsatzgruppen? l processo agli Einsatzgruppen che ebbe come Procuratore Capo Benjamin Berell Ferencz, è stato il nono dei dodici processi per crimini di guerra tenuti dalle autorità statunitensi a Norimberga dopo il termine del secondo conflitto mondiale. Vide coinvolti 22 imputati che si dichiararono «non colpevoli». Vennero emanate 14 sentenze di morte delle quali solo quattro eseguite perché nel 1951 entrò in vigore un’amnistia che tramutò la pena di morte in detentiva.
Specializzazione: sterminio
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e Einsatzgruppen, conosciute anche come le “Squadre della Morte” di Adolf Hitler, erano dei corpi operativi speciali composte dalle SS, dai soldati della Wermacht e della polizia tedesca. Inizialmente ebbero compiti di polizia e difesa dei palazzi del governo, ma successivamente insieme alle famigerate SS, furono inviati in Polonia, Ungheria e Unione Sovietica. Mentre le SS si occupavano prevalentemente degli arresti di zingari ed ebrei, non disdegnando uccisioni singole e di massa, le Einsatzgruppen svolsero un truce ruolo nell’Olocausto perché avevano il compito di eliminare, in tutti i modi, sia i prigionieri che quelli che il nazismo definiva di “razza inferiore”. Il loro compito principale, secondo documentazione storica, le testimonianze di sopravvissuti e quanto dichiarato da Erich von dem Bach-Zelewski, nel corso del processo di Norimberga, consisteva nel “meto-
Un Gaswagen
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dico annientamento di ebrei, zingari e avversari politici, ottenuto mediante fucilazioni di massa. Una vera e propria pulizia etnica. I prigionieri (uomini, donne e bambini), una volta spogliati (i cui vestiti non di rado erano riutilizzati) venivano condotti sui bordi di fosse già scavate oppure davanti a burroni, e con raffiche di mitragliatrici venivano uccisi. A volte i neonati venivano lanciati in aria e utilizzati come bersaglio. Molto presto la loro brutalità d’azione fu da tutti conosciuta. Si stima che le “Squadre della Morte” furono responsabili del massacro di quasi due milioni di persone (ebrei zingari, disabili e a volte anche partigiani). Nel 1941, per lo sterminio di massa, le Einsatzgruppen utilizzarono anche i primi “Gaswagen” o “camion della morte”. Questi erano autocarri modificati in cui dei lunghi tubi di scarico facevano sì che il gas di scarico (CO, monossido di carbonio) fuoriuscito rientrasse all’interno del vano di carico, dove i condannati, ammassati, venivano avvelenati. I Gaswagen furono i precursori delle camere a gas e le stime degli storici ipotizzano che 700mila persone perirono all’interno di questi camion. Le Einsatzgruppen furono sotto il controllo
Reinhard Heydrich (Colourised by The Sheep Pimp)
di Reinhard Heydrich, comandante dell' Reichssicherheitshauptamt, ovvero l’Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich e uno dei più potenti gerarchi della Germania nazista, considerato da molti come l'uomo più pericoloso del terzo Reich, tant’è che era chiamato “il boia” e “il macellaio di Praga”. Ebbe sotto il suo controllo l'intero apparato di sicurezza e repressione delle SS. Fu il più stretto collaboratore di Heinrich Himmler nelle SS. Il nome di Reinhard Heydrich non è associato solamente ai massacri e agli omicidi commessi dalle Einsatzgruppen, ma anche e soprattutto per la sua partecipazione alla Conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942 dove si distinse per una proposta da lui avanzata e che venne poi accettata e acclamata da tutti i gerarchi nazisti: la “Soluzione Finale della Questione Ebraica”, ovvero l’eccidio in massa.
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Teatro oggi di Laura Mansini
Prospero e Shylock a Verona
I grandi vecchi Shakespeariani Due vecchi magicamente descritti da Shakespeare interpretati al Teatro Romano da due grandi attori, Eros Pagni e Mariano Rigillo. Un'occasione per meditare sulla presunta saggezza della vecchiaia.
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oria cantar Verona a una çerta ora de note quando monta su la luna ...” Queste le parole del poeta Berto Barbarani nell'incipit della sua versione in dialetto veronese della tragedia “Giulietta e Romeo” di Shaskespeare. Le stesse parole mi cantavano nella mente, mentre camminando lungo l'Adige, all'imbrunire, di fine giugno, mi avviavo verso il Teatro Romano per assistere a "La Tempesta" di William Shakespeare, uno degli spettacoli dell' “Estate teatrale veronese”. Shakespeare è la fonte della fama della città scaligera, che, pur non avendola mai vista, l'ha voluta come luogo dove ambientare due suoi capolavori “Romeo e Giulietta”(1590-95) e " I due gentiluomini di Verona”(1590-95) . E' strano ma in queste opere si ritrova lo spirito della gente veronese , si respira l'aria romantica ed aggressiva ad un tempo di questa città. Pochi panorami godono della struggente malinconia dei lungadige, che verso il tramonto si colorano di un morbido rosa tipico dei cieli di Paolo Calliari-il Veronese, con le torri, le guglie, le cupole, alle quali fanno da sfondo le Torricelle. Ed è proprio ai piedi di una delle più belle colline che si trova il “Teatro Romano”; più antico dell'Arena,costruito nel 1°secolo a.C. meno famoso, ma decisamente più roman-
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tico. Gli spettacoli che si svolgono al suo interno devono fare i conti con un palcoscenico abbastanza ridotto, circondato da una schiera di bellissimi alti cipressi che lo isolano dalla strada e dal brontolio dell'Adige che scorre lentamente. E se va bene la scena è impreziosita dalla luna che "monta su". In questa scenografia naturale, con una leggera brezza ed un borbottio vago del fiume è andata in scena " La Tempesta" l' ultima opera di Shakespeare (1611), interpretata da Eros Pagni, perfettamente calato nel ruolo, voluto dal regista Luca de Fusco. Il grande attore genovese, che per la prima volta ha interpretato Prospero, il 28 Agosto ha compiuto 80 anni, splendidamente portati. Il lavoro di De Fusco ambientata in una grande biblioteca, sembra racchiudere il mondo interiore del Mago, ormai vecchio, alle prese con le angosce, le paure , sommerso dai ricordi che si sovrappongono alla realtà. La bella scenografia ed i costumi di Marta Crisolini Malatesta sottolineano l'idea del regista : una addio al Novecento che deve subire con angoscia il Millennio che sta giungendo. Scenografia e recitazione, in particolare di Pagni, rappresentano il vecchio Prospero in un'isola che non c'è. Tutto è nella testa del conte di Milano: la tempesta che fa naufragare la barca
del re di Napoli, suo acerrimo nemico; immaginari i servitori Ariel e Calibano, splendidamente interpretati dalla bravissima Gaia Aprea che, nel doppio ruolo, pur cambiando costume, voce, ha portato sempre sul viso una maschera di gomma con le fattezze di Prospero. Lo spettacolo si è svolto in un solo atto,intenso, pieno di giochi di allucinazioni, con i personaggi che sembrano obbedire, pur ribellandosi alle pretese del Mago. Una bella regia, ricca di colpi di scena. Ritorno, in una Verona caldissima, a fine luglio per la prima nazionale del "Mercante di Venezia" interpretato da Mariano Rigillo, per la regia di Giancarlo Marinelli. La serata è stata dedicata al grandissimo Giorgio Albertazzi
La Tempesta - Eros Pagni
Teatro oggi
Davvero piacevole e divertente Job interpretato molto bene da Cristina Chinaglia. Due opere di Shakespeare che dimostrano come i tempi non cambino molto l'umanità nei pregiudizi razziali, che marchiano gli uomini colpevoli o di essere diversi: neri, come nel caso di Caliban, o ebrei come Shylock. Entrambi alla fine sconfitti dalla buona società. Comunque al di là delle rappresentazioni i personaggi di Shakespeare ci descrivono due vecchi, entrambi afflitti dall'età, ma Prospero è saggio, poco in-
a 3 anni dalla scomparsa. L'attore è stato protagonista indiscusso degli spettacoli al Reatro Romano ed inoltre fu Shylock nella prima prova registica di Marinelli. Che dire? lo spettacolo molto ben ambientato in una scenografia semplice, ma efficace, curata da Fabiana Di Marco, ha messo in evidenza la bravura di Mariano Rigillo, davvero a proprio agio nei panni di questa figura di vecchio ebreo, in lotta con Antonio, mercante di successo diremmo noi, però oppresso dai debiti contratti con lui per amore del grande amico Bassanio. E' stato un Antonio forse eccessivamente debole quello di Ruben Rigillo, mentre Romina Mondello ha dato a Porzia, figlia di Shylock ed innamorata di Bassanio, giovinezza ,allegria ed un piglio deciso nel perorare la causa di Antonio.
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cline all'odio e alla vendetta. Shylock è invece inacidito dall'età, immerso nel desiderio di vendicarsi del suo essere ebreo. Il primo passata la Tempesta tornerà agli amati studi. Il secondo subirà la ritorsione del male. E' questa la scelta che ognuno di noi, se ha fortuna di vivere a lungo, deve prima o poi affrontare. Shakespeare docet.
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Coma etilico: è concorso di colpa
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lcol senza controllo. Minori in coma etilico. Chiudono le discoteche e i questori ne sospendono l’attività temporaneamente. Così accade recentemente in una discoteca conosciuta della Riviera, chiusa per 40 giorni. La cronaca evidenzia un problema entrato nell’abitudine, ancor peggio mette in luce l’avanzata del fenomeno con le sue conseguenze. Minori dai 14 ai 16 anni ingeriscono sempre più massicce dosi di alcol tenendo occupati i servizi di emergenza e accettando un tacito patto tra lo sballo e la morte. Secondo l’osservatorio sulle dipendenze il 17% delle intossicazioni alcoliche che arrivano al pronto soccorso riguarda under 14 e una percentuale significativa non ritiene pericoloso l’uso dell’alcol. Inoltre dalle ultime indagini spicca un dato che vede al 65% venditori di alcolici in discoteca non controllare l’età al momento dell’ordinazione della bevanda, segnalando un 48% dei quali continua nella somministrazione dell’alcolico nonostante gli stati di ubriacatura evidenti. Punto di maggior criticità è da attribuire ai gestori dei locali che nel tempo hanno dimostrato una scarsa attenzione al rispetto per la normativa sulla tutela dei minori. Così la cronaca attuale denuncia prestigiose discoteche che se da sempre han-
no fatto parlare di loro come simbolo di divertimento ora sono diventate centro di discussione come focus di “movida violenta” per i minorenni. A giudicare le ultime mosse delle questure questa attualità non è semplice pressione mediatica, ma realtà. Dalla primavera scorsa sino alla fine dell’estate sono stati chiusi numerosi locali sulla base dell’articolo 100 TULPS (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza). Una linea dalla tolleranza zero, le norme ci sono e vanno rispettate, data da un allarme che richiama al poco senso di responsabilità del commercio, ad un target giovanile estremamente vulnerabile alle pressioni sociali, mediatiche e familiari, oltre a un’evidente mancanza in chi dovrebbe occuparsi di formazione. Un concorso di colpa che vede incolpati gestori dei locali, famiglia e minori. La legge sul divieto di vendita degli alcolici ai minorenni è una norma confusa e disapplicata. Disapplicata da chi ha legittimo diritto al profitto, un diritto che dovrebbe essere controbilanciato dalla protezione dei minori. Gli stessi gestori della movida notturna dovrebbero avere un senso morale tale, oltre il dovere, di garantire la tutela del giovane, ma lo scenario della vita contemporanea è chiaro, oscilla tra il consumismo, il profitto e l’individualizza-
zione. Si potrebbe parlare di un aumento dei controlli, difficile proteggere i minori in qualsiasi situazione 24 ore su 24, sarebbero forse necessarie maggiori sanzioni, ma soprattutto si dovrebbe mettere l’accento sulla formazione al rispetto della legalità degli stessi ragazzi. Responsabilità primaria va data al genitore. Mamma e papà sottovalutano la gravità delle situazioni. Nella fase adolescenziale i comportamenti a rischio rappresentano un tentativo di andare contro le regole, staccarsi dai modelli imposti dagli adulti per cercare la propria autonomia. Il genitore riveste in questa fase un ruolo fondamentale in termini preventivi e contenitivi; significa arrivare prima della condizione di rischio, accorgersi di ciò che accade e mettere un freno. Questo impone un impegno educativo basato sul dialogo, l’ascolto e una condivisione di regole con il giovane, ad oggi quindi esiste un problema. Il ragazzo beve senza limiti come segno di omologazione sociale, lo si fa per avere approvazione e riconoscimento tra i propri simili. I gestori dei locali sottovalutano i controlli sulla base di un diritto al profitto e i genitori banalizzano la loro presenza nella maturazione dell’adolescente. Minorenni in una movida violenta che non si preoccupa di loro è concorso di colpa.
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In Valsugana di Armando Munao’
“LACRIME DI RESINA”
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acrime di resina- Foreste ferite in Trentino”, è questo il titolo di una interessantissima mostra fotografica che Alberto Pattini ha voluto realizzare per rappresentare visivamente la distruzione ambientale che la tempesta Vaia, colpendo una vasta area del Trentino il 29 ottobre 2018, ha causato. Un evento, che “si è abbattuto sulla nostra provincia lasciando ferite profonde sul territorio che, purtroppo, richiederanno decenni per essere rimarginate”. Sessantaquattro scatti che raccontano i danni, la desolazione e le emozioni struggenti che la natura “impazzita” ha determinato. “Giganti caduti come birilli, una violenza distruttiva inedita per intensità e portata, sottolinea Pattini nel suo catalogo (edito da Grafiche Futura - Trento), che ha messo a dura prova un patrimonio naturalistico in un territorio di una bellezza unica. Le raffiche di scirocco più violente hanno interessato in particolare i settori orientali del Trentino, dove sono state abbattute vaste aree boscate e scoperchiate
alcune abitazioni. In particolare in montagna, continua l’autore, sono state registrate raffiche di 120 km/h con la massima di 190 km/h al passo Manghen nella catena del Lagorai. I danni stimati sono in 19.000 ettari di superficie di boschi e 3 milioni e 300 mila metri cubi di alberi caduti al suolo o spezzati dalla furia del vento. A Paneveggio, in Val di Fiemme, è stata colpita la fitta foresta di abeti rossi armonici, capaci di sprigionare note e musica, già usati da Antonio Stradivari (1644 1737) a Cremona per costruire strumenti a corde di straordinaria fattura come violini, viole, violoncelli, chitarre, arpe e contrabbassi. Il cambiamento climatico, ormai in atto, influenza in modo significativo la montagna. I cambiamenti visibili nelle Alpi sono, per elencare solo alcuni, il ritiro dei ghiacciai, l’innalzamento del limite delle nevicate, l’aumento degli eventi estremi e della vulnerabilità derivante dalle catastrofi, le minacce agli ecosistemi. Per fermare la tendenza distruttiva del clima è cruciale la responsabilità civica e tale impegno
passa per una maggiore consapevolezza della delicata situazione climatica: non possiamo dimenticare la straziante notte delle “Lacrime di resina”. La mostra fotografica, che si terrà nelle sale di Palazzo Ceschi a Borgo Valsugana dal 20 settembre al 30 novembre, sarà inaugurata mercoledì 18, (alle ore 18,00) sempre a Palazzo Ceschi.
CHI È PATTINI
Nato a Trento, amante della poesia e studioso di storia del territorio e dell’arte, è autore di 30 libri e di numerosi articoli giornalistici d’attualità in testate locali e nazionali. È stato ricercatore alacre e divulgatore di biochimica e alimentazione dello sport, pubblicando in riviste internazionali di medicina dello sport. Ha vinto alcuni concorsi nazionali e internazionali di poesia; nel 2014 ha pubblicato le sue liriche nei volumi “Il Trentino dei sentimenti” abbinando la sua poesia alla prosa di Daniela Larentis e in “Il cuore delle Alpi. Sulle ali del Trentino”. È stato direttore artistico del Concorso Nazionale di Poesia “Il lago nel cuore”. Nel 2016 ha dato alle stampe il libro con 105 liriche dal titolo “Poesia del Trentino - La melodia della Grande Madre”. Nel 2017 ha realizzato come regista il film documentario “Pastori erranti sotto le stelle – dall’Adriatico al Lagorai” e nel 2018 “Suoni vaganti in Trentino”. Tra il 2017 e il 2018 ha esposto la mostra poetica e fotografica Fiume che cammina con grande successo di pubblico al Muse di Trento, al Museo geologico delle Dolomiti di Predazzo, all’Icering di Miola di Piné e in molte altre località del Trentino. Il 27 luglio di quest’anno ha vinto, per la seconda volta il 1° Premio del Concorso Internazionale Biennale “Echi di Tradizione 2019” con la poesia “ Il falo’ delle streghe”
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Ieri avvenne di Chiara Paoli
Fiume Storia di un’impresa Dal Palazzo del Governo di Fiume, il 12 settembre 1919, si leva potente ed evocativa la voce di Gabriele D'Annunzio «Italiani di Fiume! Nel mondo folle e vile, Fiume è oggi il segno della libertà; nel mondo folle e vile vi è una sola verità: e questa è Fiume; vi è un solo amore: e questo è Fiume! Fiume è come un faro luminoso che splende in mezzo ad un mare di abiezione... Io soldato, io volontario, io mutilato di guerra, credo di interpretare la volontà di tutto il sano popolo d'Italia proclamando l'annessione di Fiume.»
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a frustrazione di una “vittoria mutilata” solleva gli animi e muove gli eserciti, che sostenuti dal poeta vanno ad occupare la “terra promessa” con il patto di Londra, firmato il 26 aprile del 1915. Bisogna tenere conto non soltanto dei patti firmati dall’Italia prima di entrare in guerra, ma anche di quelli che sono i dati che emergono dai censimenti dell’epoca, che evidenziano come circa la metà della popolazione fiumana, parlasse correntemente l’italiano, a dispetto di un quarto parlanti il serbocroato, cui si aggiungevano minoranze di lingua slovena, ungherese e tedesca. La stessa città di Fiume voleva entrare a far parte del Regno d’Italia; nell’otto-
Fiume, D'Annunzio all'alza bandiera italiana
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bre del 1918 si era già costituito a Fiume un Consiglio nazionale, con presidente Antonio Grossich, a favore dell’annessione all’Italia. Ma le trattative a Parigi, nell’aprile del 1919 non vanno come gli italiani si aspettano, a causa della forte opposizione del presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, che concede Trento e Trieste, ma non vuole cedere per quanto concerne Fiume e la Dalmazia. E' proprio in conseguenza dell’abbandono del tavolo delle trattative, da parte di Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino, che si forma il primo nucleo della Legione Fiumana, creata su base volontaria per volere di Giovanni Host-Venturi e Giovanni Giuriati, intenzionati a difendere la città dal giogo di altre nazioni. Mentre la popolazione tutta insorge fortemente a sostegno dell’italianità
Trattato di Londra
di Fiume, i militari francesi si oppongono, strappando il tricolore che le donne portavano ben in vista, scoppiano quindi tafferugli e tumulti, che a partire dal 29 giugno si protraggono per una settimana, venendo ribattezzati come “Vespri fiumani”. Gli scontri lasceranno sul campo 9 morti e molti feriti. Arriva quindi l’intervento di Parigi, che impone lo scioglimento del Consiglio Nazionale Fiumano ed il ritiro delle truppe italiane, ingiustamente accusate di aver provocato i disordini. Il presidente Grossich però non demorde ed incontra il poeta D’Annunzio a Roma il 30 giugno 1919, per chiedergli di fare da guida alla resistenza. In risposta viene chiesto l’allontanamento da Fiume dei Granatie-
Ieri avvenne
ri di Sardegna, comandati dal generale Mario Grazioli, che lascerà la città il 25 agosto, per accamparsi in quel di Ronchi, da dove venne inviata una lettera al Vate Gabriele D’Annunzio, perché li raggiunga, con il suo esercito. Un’influenza causerà qualche giorno di ritardo nella partenza del poeta, che il giorno precedente si decide anche a scrivere una lettera a Mussolini, per chiedere il suo aiuto: «Mio caro compagno, il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile... Sostenete la Causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio.» Seguiranno 16 mesi di occupazione da parte dell’esercito Dannunziano,
con l’affermazione nell’agosto del 1920, di uno stato indipendente, laReggenza Italiana del Carnaro. Tanti mesi di battaglie, porteranno infine alla firma del Trattato di Rapallo, che in data 12 novembre 1920 riconosce l’indipendenza di Fiume. Ma D’Annunzio non intende scendere a compromessi e dopo alcuni giorni rifiuta il testo, scatenando l’ultimatum da parte del generale Caviglia. Seguono quindi i giorni del cosiddetto “Natale di sangue”; il primo attacco viene infatti sferrato alla Vigilia, per proseguire nei giorni 26 e 27 dicembre; diverse decine le vittime degli scontri, che inducono il Vate alla resa di fine anno, rassegnando le proprie dimissioni, con una lettera al generale Ferrario «Io rassegno nelle mani del Podestà e del Popolo di Fiume i poteri che mi furono conferiti il 12 settembre 1919
e quelli che il 9 settembre 1920 furono conferiti a me e al Collegio dei Rettori adunati in Governo Provvisorio. Io lascio il Popolo di Fiume arbitro unico della propria sorte, nella sua piena coscienza e nella sua piena volontà... Attendo che il popolo di Fiume mi chieda di uscire dalla città, dove non venni se non per la sua salute. Ne uscirò per la sua salute. E gli lascerò in custodia i miei morti, il mio dolore, la mia vittoria.»
Trattato di Londra
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Attualità di Waimer Perinelli
Sesta biennale d'arte La ricerca dell'uomo A Trento e Bolzano trentacinque artisti della FIDA partecipano alla sesta biennale. Molto diversi i generi, unica la mèta: trovare la sintesi fra tempo, luogo e crescita dell'umanità. Ospite di prestigio Lorenzo Tugnoli premio Pulitzer della fotografia 2019. Inaugurazione Sabato 14 settembre 2019 ore 18:30 - Torre Mirana -
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n principio era il Logos scrive Giovanni l'evangelista e il termine greco viene comunemente tradotto come Parola ma, secondo Vito Mancuso, filosofo e teologo oggi in grande spolvero, può essere inteso anche come Relazione. Partiamo da questo assioma per affrontare l'arduo compito di presentare la sesta edizione delle Biennale d'Arte della FIDA (Federazione Italiana degli artisti ) di Trento e Bolzano la cui inaugurazione è prevista per il 14 settembre a Torre Mirana di Trento, per proseguire il 29 settembre e concludersi in marzo-aprile 2020 alla Galleria Civica di Bolzano. Il titolo della rassegna Kosmos, Kairos e Athropos è intrigante e ci invita ad un' analisi a tutto campo sulla creazione, sul
Lorenzo Tugnoli Foto di Omaya Malaeb
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compito dell'uomo e in particolare di quello dell'artista al quale è soprattutto rivolto il pensiero di Barbara Cappello, da sei anni presidente della Fida, e curatrice della poetica della mostra. Scrive Barbara Cappello:”Ecco che trentacinque artisti si mettono nel gioco della propria creatività per realizzare una serie di opere dedicate a questo tema, quale relazione tra Cosmo, Tempo Cairologico e Uomo, ma anche semplicemente interpretandone singolarmente uno o l’alDavide Susanetti tro(.........)uno Foto di Stefano Formaggio sguardo dalle
varie prospettive che parte dal singolo artista e si apre verso l’altro e gli altri, come una foglia di palma, quale ventaglio che diffonde quella brezza balsamica per chi la riceve.” La denominazione ci induce ad una riflessione in cui cerchiamo di interpretare il messaggio dell'iniziativa artistica. Kosmos in greco significa fra le altre cose sistema ordinato o armonico; Kairos sta per tempo di mezzo ovvero quello in cui accade qualcosa d'importante; Anthropos è lo studio dell'uomo, cultura, filosofia, biologia..in una parola Antropologia. Chi meglio di ogni attività umana realizza, racchiude, sviluppa, esprime questi tre concetti? La risposta della Fida è: l'Artista. Naturalmente il primo artista è Dio che ha creato il mondo o come dice Mancuso ha avviato il processo atomico che ha unito il tutto armoniosamente, ammesso che l'uomo sia qualcosa di armonioso, nella Relazione. Ma il disegno di Dio è imperscrutabile per cui, in questa sede ci limitiamo ad analizzare l'imperfezione qual' è l'opera dell'artista uomo. Anche la più grande opera d'arte come la Venere di Milo di Alessandro di Antiochia e con lei tutta l'arte greca che ha contaminato gli artisti romani e tutto il Rinascimento italiano, è imperfetta. Nemmeno le martellate di Michelangelo al suo Mosè hanno mutato l 'imperfezione che egli vedeva. Narrano che abbia esclamato: perchè non parli? Proba-
Attualità
Barbara Cappello Foto di Cassia Raad
bilmente è una fake news priva di fondamenti storici ma che nasce dall'infelicità, l'insoddisfazione che l'artista ha rivelato in atteggiamenti e scritti. Ciò non svilisce la grandezza della sua ricerca, dell'opera raggiunta. E' probabile che a questo, alla riflessione sulla perfezione, voglia arrivare la Biennale organizzata da Barbara Cappel-
lo e dai membri del direttivo Cassia Raad, Nadia Cultrera ed Enrico Farina. Ospite d'onore alla sesta Biennale è Lorenzo Tugnoli premio Pulitzer 2019 per la fotografia. A descrivere gli incantesimi dell'anima e i simboli del Cosmo greco sarà Davide Susanetti,dell'Università di Padova. Della parte critica si occupa Riccarda Turrina.
FIDA SCHEDA La Federazione Italiana degli Artisti nasce a Roma nel 1959 come sindacato degli artisti e acquisisce. A Trento ha visto tra i suoi iscritti tutti i maggiori artisti del secondo dopoguerra.
ARTISTI PARTECIPANTI ALLA SESTA BIENNALE Aldo Pancheri, Alessandro Gretter, Alessandro Lando Amedeo Masetti, Andrea Pozza, Arianna Lonardi | Barbara Cappello, Cassia Raad, Daniela Armani | Daniela Chinellato, Diego Bridi | Elisabetta Moretto | Elisabetta Vazzoler | Enrico Farina | Francesca Libardoni | Giovanna Da Por | Graziella Gremes | Karin Rizzieri | Luciana Antonello | Luciano Olzer | Marta Gonzalez | Matteo Boato | Milena Pedrollo | Monica Pizzo | Nadia Cultrera | Paola Bradamante | Paola Zaltron | Romano Furlani | Sarah Mutinelli | Sergio Schiavini | Silvana Ippolito | Silvana Todesco | Stefano Benedetti | Stefano Ghezzi |Valentina Niccolini.
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Personaggi italiani di Katia Cont
Gian Franco Corsi Zeffirelli "Ciao maestro" si legge sul sito della fondazione che porta il suo nome. Il regista Franco Zeffirelli se ne è andato il 15 giugno 2019 all’età di 96 anni, proprio mentre stava lavorando al nuovo allestimento della “Traviata” di Giuseppe Verdi, che lo scorso 21 giugno ha inaugurato la nuova stagione dell’Arena di Verona.
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a sua scomparsa è avvenuta al termine di una lunga malattia che non aveva però rallentato l’attività del maestro, già proiettato verso il suo nuovo progetto legato al “Rigoletto”, il cui debutto era previsto per il 2020 in Oman. Zeffirelli era infatti uomo di grande fede ed era convinto che nella vita si dovesse «continuare a sperare». Gian Franco Corsi Zeffirelli, nato nella sua amata - e mai dimenticata - Firenze il 12 febbraio 1923, era un uomo schivo che ha sempre protetto sua la vita privata, padre di due figli adottivi, Pippo e Luciano. Vincitore di cinque David di Donatello, due Nastri d’argento, in carriera ha ricevuto inoltre ben quattordici nomination all’Oscar. Oltre ai numerosi riconoscimenti artistici, Zeffirelli ha saputo distinguersi anche per il suo impegno politico, come quando fu protagonista nel varare una nuova riforma dello spettacolo italiano. Impegni che furono riconosciuti anche all’estero: basti pensare che nel 2004 venne nominato Cavaliere Commendatore dell’Impero britannico dalla regina Elisabetta I libri lo definiscono regista, sceneggiatore, scenografo e politico italiano, a testimonianza di una carriera infinita e ricca di successi. Sono molti i film che lo hanno reso immortale
nella storia della cinematografia mondiale, alla quale si avvicinò negli anni sessanta con due trasposizioni shakespeariane: “La bisbetica domata” (1967) e “Romeo e Giulietta” (1968). Sempre in quegli anni diresse alcuni spettacoli memorabili nella storia del teatro italiano, come “Amleto” (con “Giorgio Albertazzi), “Chi ha paura di Virginia Woolf?”, e “La lupa” di ”Giovanni Verga, con Anna Magnani. Tuttavia, la vera passione del Maestro Zeffirelli fu la musica, che lui stesso amava definire come «la dimensione più vicina all’eternità». Durante un’intervista all’Adnkronos del 2011 dichiarò: «Ne sono innamorato, la musica è il linguaggio dei sentimenti. E io di fronte a questi grandi capolavori mi sento spesso inadeguato perché il livello musicale è talmente alto che arrivi solo a lambirlo…». Nell’arco della sua carriera Zeffirelli diresse alcune tra le arie più celebri del panorama operistico mondiale, nei maggiori teatro del mondo, da Londra a New York. Oltre a sottolineare il lunghissimo sodalizio che il Maestro ebbe con la stagione dell’arena di Verona, merita di essere ricordata la grande amicizia che lo legava
a Maria Callas, la sua musa prediletta che diresse per ben sei volte. Zeffirelli è riuscito a trasformare in pietre miliari della storia mondiale dello spettacolo le sue “Bohème”, “Aide” e “Traviate” alla Scala e al Metropolitan Opera House di New York (1963, 1981; 1964 e 1989), adattando le versioni della “Turandot” scaligera e newyorkese per l’Arena di Verona (2010) e per l’inaugurazione della Royal Opera House di Muscat (2012). Un enorme patrimonio artistico culturale che i figli hanno sapientemente raccolto nella Fondazione di recente apertura e che si trova a Firenze.
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L’intervista di Nicola Maschio
Altruismo e volontariato Si chiama Silvia Girardi, ha 26 anni e una laurea, ottenuta un anno fa all’Università di Padova, in Human Rights and Multi-Level Governance (dopo un corso triennale in Studi Internazionali svolto a Trento presso l’Università di Sociologia). Ma soprattutto, da marzo è impegnata nel proprio servizio civile in Tanzania, dove sta aiutando persone meno fortunate di lei. La giovane trentina, nata a Fornace nel 1992, si è immersa completamente nella cooperazione internazionale. Un mondo che adesso ama e per il quale si sente di dover lottare, mettendosi in gioco in prima persona per dimostrare che, nonostante la cooperazione internazionale stia vivendo un periodo difficile, c’è sempre chi è disposto a fare quel qualcosa in più. L’INTERVISTA Silvia, per quale motivo hai scelto di fare questa esperienza? Ammetto che quando ho iniziato l’Università non avrei mai immaginato di lavorare nella cooperazione internazionale, non conoscevo il tema e non avevo idee chiare sul mio futuro. Con il tempo tuttavia ho cominciato ad interessarmi sempre di più, approfondendo il tutto con un tirocinio nell’ambito del no-profit. Mi sono candidata per un progetto estero per diversi motivi: conoscere questo mondo di cooperazione, sfruttare un’opportunità professionale, ma anche conoscere gli attori che vivono e operano in questo contesto. Siamo partiti in 4 a marzo, grazie all’organizzazione marchigiana Comunità Volontari per il Mondo (CVM), ed ora siamo un gruppo molto unito. Come ti trovi in questa nuova realtà? Raccontaci cosa stai facendo Attualmente vivo a Bagamoyo con un’altra volontaria, Laura, dove CVM ha la sede principale. E’ un’organizzazione con molta esperienza in Africa, dove opera da più di 40 anni, in particolare in Etiopia e Tanzania. In quest’ultimo Paese ha due progetti che si svolgono anche nella città di Morogoro, dove gli altri due volontari lavorano. Il primo è
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chiamato “Youth for the Future” e coinvolge un gruppo di giovani in corsi di formazione nell’ambito dell’agricoltura e allevamento per creare attività proprie. Il secondo è chiamato “Domestic Workers’ project”, e vuole migliorare la situazione socio-economica delle lavoratrici domestiche, giovani ragazze spesso costrette a lavorare in condizioni indignitose, senza contratto e salario, soggette anche a violenza verbale oltre che fisica. Io e Laura svolgiamo un ruolo di supporto nei due progetti, partecipiamo alle attività e cerchiamo di dare il nostro contributo. Ambientarsi richiede tempo, ma da subito ci siamo sentite accolte e coinvolte. Le persone per strada ci salutano, sono curiose e spesso vogliono sapere dell’Italia e della nostra cultura.
C’è qualche storia che ti ha colpito più delle altre? Si, una su tutte. Ho avuto il piacere di conoscere Deborah, una giovane ragazza oggi leader di un gruppo di “Domestic workers”. La sua storia inizia all’età di 15 anni, quando comincia a svolgere lavori domestici con orari pesantissimi, senza giorni di riposo e la maggior parte delle volte senza ricevere nemmeno un soldo. Grazie al suo coraggio, che l’ha resa un vero e proprio simbolo in questa realtà, oggi Deborah è riuscita ad ottenere un contratto scritto e regolare contrapponendosi al proprio datore di lavoro. Ma come tante altre ragazze sta ancora lottando perché le lavoratrici domestiche, categoria come detto prima particolarmente a rischio, vengano trattate alla pari degli altri lavoratori. Accanto a questo però, va ricordato il grande impegno che la Comunità Volontari per il Mondo sta mettendo costantemente in campo, giorno dopo giorno, non solo in Africa ma in tanti altri Paesi meno fortunati del nostro. Cosa ti sta insegnando questa esperienza? Il servizio civile è un percorso di consapevolezza e nel mio caso rappresenta un’opportunità per comprendere e vedere l’Africa con la propria testa, con tutte le sue sfumature e contraddizio-
L’intervista
ni. La Tanzania è un paese relativamente tranquillo, anche se nel campo dei diritti umani, educazione e salute c’è ancora molto lavoro da fare. La povertà esiste, è tangibile, per esempio nelle zone rurali l’acqua non è sempre presente, ancora molti bambini non vanno a scuola o si fermano a quella pri-
maria. Sono consapevole che il cambiamento non può essere immediato, ma voglio ancora una volta evidenziare il grande lavoro che ogni giorno persone locali, gruppi di giovani, donne e organizzazioni svolgono per poter “dare una mano”, sperando in un mondo più giusto.
Pensi di farne altre in futuro? Stiamo parlando di un “mondo”, quello della cooperazione, davvero molto vasto e variegato. Trovare il proprio posto, per poter aiutare concretamente e dare un contributo, è molto importante e spero di riuscirci. Grazie al servizio civile so che posso conoscere meglio ciò che avviene attorno a me, mettermi in gioco e fare qualcosa di concreto. In un periodo così difficile per la cooperazione internazionale in Italia, ascoltare e capire la storia che sta dietro a queste persone che arrivano da lontano potrebbe forse cambiare la testa di alcuni. Il consiglio che posso dare a tutti è di lasciarsi coinvolgere da queste esperienze, dal servizio civile: soprattutto i giovani, perché un percorso come questo può portare in loro grande conoscenza di situazioni che non avrebbero mai immaginato.
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Il personaggio di Massimo Dalledonne
Ruggero Caumo
Il barman dei Cipriani
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Borgo e in Trentino, la sua terra di origine, la scomparsa di Ruggero Caumo è passata quasi inosservata. La sua fortuna l’ha fatta lontano da Borgo, paese in cui era nato nel 1923, ma nel settore dell’hotellerie e della ristorazione è stata una delle figure più importanti e stimate. Classe 1923, Caumo se ne è andato all’età di 96 anni. Il suo nome è profondamente legato alla famiglia Cipriani ed all’Harry’s Bar di Venezia. Di quel locale il barman di Borgo è stato davvero una istituzione: così lo ha ricordato Arrigo Cipriani che lo ha definito il genio dei barman. Parole contenute in un suo recente libro. Nato in Valsugana, Ruggero Caumo arriva a Venezia dopo aver lavorato per diversi anni in parecchi hotel. E nella laguna veneziana, nel 1946, è stato al fianco di Giuseppe Cipriani nell’apertura della locanda “Al Torcello”. A soli 23 anni diventa apprendista barman e lo fa ininterrottamente fino al 1984, anno in cui decide di smettere e di godersi la meritata pensione. Dal Torrello all’Harry’s Bar il passaggio è quasi obbligato. Una intera vita dietro il bancone
Ruggero Caumo- da Italian Food Mede Simple
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Ernest-Hemingway, Giuseppe-Cipriani e Ruggero Caumo (da l'Adige)
che, lo stesso Ruggero Cipriani, mette nero su bianco con una pubblicazione “Ricordi del barmann Ruggero all’Harry’s Bar” editata da Vin Veneto nel 1999: in tutto 144 pagine dove racconti fatti e aneddoti che parlano da soli. E Arrigo Cipriano, che ha scritto la prefazione, ricorda come “questo libro deve essere letto da tutti coloro che vogliono intraprendere questa carriera, dietro il banco di un bar”. Grande amico dell’Aga Khan, Ruggero divenne famoso quando venne pubblicata una foto dove era ritratto in compagnia di Arrigo Cipriani e del famoso scrittore Ernest Hemingway. E proprio dietro il bancone inventò il Rogers’s, un long drink a base di pesca bianca dolce, una bevanda per i palati fini che in molti hanno accostato anche al famoso Bellini. Grande lavoratore e bravo insegnante che negli anni ha trasmesso la sua professionalità a decine e decine di barman. Dietro al banco era un uomo preciso, puntuale, onesto, sincero e puntiglioso, un vero gentleman: stimato e rispetta-
to, osservava tutto con precisione. All’Harry’s Bar di Venezia arrivavano personaggi famosi: clienti da tutto il mondo, famiglie reali e il “nostro” Ruggero era sempre perfetto e impeccabile. Nel settore ancora oggi viene ricordato come il mago del cocktail, assaggiati e degustati anche da famosi politici come Jimmy Carter, Margaret Thatcher, Valery Giascard d’Estaing solo per citarne alcuni. Ma, nonostante servisse cocktail e long drink, Ruggero Caumo era astemio, beveva solo acqua ed ancora oggi, a distanza di diverse settimane dalla sua scomparsa, quando lo ricordano i colleghi non possono fare a meno di sottolineare che è stato il barman che ha fatto più Martini cocktail al mondo. Ruggero Caumo era un uomo semplice, legato alla sua terra, alla Valsugana ed al suo paese nativo. Lavorava a stretto contatto con le persone più famose del mondo. Ma, una volta staccata la spina, la sua grande passione era andare in barca a pesca di orate e mormore in sandalo a Torcello. Un uomo tutto d’un pezzo.
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Ricordo di un amico di Veronica Gianelo
Romano Galvan S
ono mesi intensi per Borgo: pare che uno dopo l’altro abbiano deciso di andarsene dei pezzi di storia del paese. In un mondo che cambia, che corre, che non si ferma più a pensare, a guardare, ad assaporare la semplicità delle cose, c’è bisogno di figure che della semplicità hanno fatto un valore di vita. Ne ricordiamo diversi che sono stati e sempre resteranno simboli del Borgo, che hanno lasciato una traccia di sé incancellabile; persone buone, oneste che ci faranno sempre sorridere, nonostante tutto, quando ripenseremo a loro. Queste parole sono per loro, per i piccoli e grandi personaggi che costruiscono una comunità, e tra tutti, in questo caso, ricordiamo con stima e immutato affetto Romano Galvan. Proprio all’imbocco del Corso Ausugum a Borgo Valsugana, c’è ancora oggi una casetta, che subito ci riporta a lui. Chissà, magari ce lo immaginiamo ancora lì dietro, nel suo laboratorio-casa, che da vita a qualche sua idea. Ma la luce soffusa all’interno poco lascia sbirciare ai passanti. A ben guardare, mostra dietro alle sue finestre si intravedono chitarre, pianoforti, e gli indimenticabili flauti dalla fodera in plastica, che ci hanno regalato per qualche lezione a scuola, l’illusione di essere dei grandi musicisti. “Un negozio di musica”, penserebbe un passante distratto. Invece, dietro a quel piccolo scorcio, si nasconde un mondo sconfinato che ha reso quella piccola casetta grande nel mondo. Una bottega storica, come poche ne sono restate ormai su quella nobile strada. Un laboratorio, una fabbrica, un centro culturale, quante cose è stata—e continua ad essere—la Ditta Armonium Galvan?
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Lo sanno bene i borghesani, ma oggi, più di cento anni dopo la sua fondazione, lo sanno bene anche musicisti, artisti, appassionati ed esperti che, a livello internazionale, si affidano alla maestria di un nome che ha scritto la storia dei fabbricanti di musica. Quando chiedo a Egidio, erede dell’ormai quarta generazione dei Galvan, perché suo padre avesse scelto questo mestiere, lui esita un attimo e poi risponde “Bè, perché non sapeva fare altro”. Una risposta semplice, vera, che ci dice tanto sul lavoro di un tempo. Un lavoro da imparare, un lavoro a lungo osservato dalle mani sapienti dei padri, un lavoro aspettato e appreso con la calma e la pazienza che oggi sembrano così difficili da comprendere. Una risposta, quella di Egidio, che farà sorridere chi, come quel giovane figlio d’artigiani, l’ha conosciuto e sa che Romano Galvan è stato molto più di un lavoro capitato per eredità di famiglia. Classe ’36, Romano comincia molto presto ad entrare, silenzioso e attento, nel laboratorio prima del nonno e poi del padre Ettore, iniziando a lavorarci con continuità dal Romano Galvan 1955. Proprio a
suo padre va il merito di aver reso quella ditta non solo un luogo di lavoro, ma anche, e forse soprattutto, una casa: Casa Galvan. Romano ha superato con maestria le sfide del tempo: la crisi degli armonium, l’avvento della tecnologia, eppure si è sempre saputo reinventare affiancando addirittura al laboratorio di costruzione, accordatura e riparazione, quella bottega di strumenti musicali che oggi si affaccia sul Corso. Ma oltre al lavoro di artigiano, Romano ha saputo portare avanti con dedizione lo spirito buono e generoso del papà, sempre pronto ad accogliere senza pretendere in cambio nulla, se non il piacere di condividere
Ricordo di un amico
Romano e il figlio Egidio
l’allegria e l’amore per la musica, sempre supportato dal sorriso dall’amata Marisa. L’altro grande amore di Romano è stato senza dubbio il suo Coro Valsella, fondato proprio nell’anno in cui egli veniva al mondo—segno del destino?—di cui sarà prima tenore, poi, fino alla morte, presidente onorario. Proprio per loro, Romano inizia un’appassionata ed instancabile ricerca, non solo di canzoni, ma anche di ausili che potessero aiutare il loro lavoro. In quest’occasione è stato chiaro come Romano non sia stato affatto solo un passivo ereditiere di un’ attività di famiglia, ma sia stato, oltre che Maestro artigiano, abile e prezioso inventore. Romano osservava, studiava, e nel suo silenzio pensava e creava. Non importava l’ora, né il giorno, se arrivava l’idea, Romano scendeva nel suo laboratorio e trasferiva alle sue mani sapienti quello che nella sua testa era già abbozzato. Così è nato il tonimetro, strumento essenziale per dare l’intonazione al coro. Certo, di tonimetri ne esistevano già; l’innovazione di Romano sta nell’aver migliorato uno strumento di uso comune. Il tonimetro Galvan, oltre ad essere prodotto artigianal-
mente, con i pezzi montati uno ad uno, è ad aspirazione, a differenza dei più comuni che sono a pressione. Questo semplice accorgimento permette una minore usura dell’arnese, in quanto non entrando aria o saliva al suo interno resta più pulito e resiste quindi molto più a lungo nel tempo. Oltre a ciò, questo particolare tonimetro non produce una singola nota, bensì un accordo di 3 note, che possono essere in maggiore o in minore in base alla nota di partenza rendendo il suo impiego decisamen-
te più funzionale per un coro. Il successo di questa nuova invenzione è stato immediato. Negli anni ’90 c’è stato un boom di richieste, tanto che addirittura la Federazione Cori del Trentino ne ha riconosciuto l’importanza, ordinando la produzione per tutti i cori della provincia. Non solo il Trentino tuttavia: in tutta Italia sono giunte richieste di produzione, riconoscendo a Romano il merito di aver creato qualcosa di grande; merito di cui tuttavia, modesto com’era, non si è mai vantato: a lui interessava solo che ora il Coro Valsella avesse uno strumento utile e duraturo. Il tonimetro è un piccolo gioiello che ancora oggi viene richiesto e costruito con minuzia e dedizione dai collaboratori della ditta. Un segno, come tanti ne ha lasciati Romano, ricordato anche recentemente con un concerto del Maestro Prosseda, storico cliente della Ditta, aperto dalle parole di Piera Gasperi: “Non è necessario andare in giro per il mondo, perché, prima o poi, il mondo arriva a Borgo Valsugana”, e Romano con i suoi predecessori e successori, è senz’altro uno dei pilastri che hanno reso grande questo piccolo ma prezioso Borgo.
La vecchia bottega
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Quattro note di Nicola Maschio
La musica fatta in casa
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’amore per la musica può superare tutti i confini. Ma può anche nascere all’interno di quegli stessi confini, in un modo del tutto particolare. La storia di Gabriele Girardi (33 anni) di Pergine e Nicola Foti (29 anni) di Madrano, racconta proprio questo. E il risultato è “musica fatta in casa”, creata tra le pareti domestiche. Si perché i due giovani, il primo ragioniere ed il secondo progettista industriale, dopo aver suonato per quattro anni insieme hanno deciso di costruirsi una propria sala di registrazione in un luogo insolito: una cantina. Una stanza attualmente accessoriata con computer, controller digitale, mixer e casse, microfoni e hardware vario, oltre alla classica postazione di registrazione, ovviamente insonorizzata. Ma attenzione a non commettere l’errore di pensare che questa idea sia solo per divertimento. Dopo un primo periodo di rodaggio infatti, i due musicisti hanno avviato alcune collaborazioni con professionisti, realizzato spot commerciali attualmente trasmessi in radio e creato due siti internet, uno indirizzato a chi volesse registrare da solo o con gli amici dei piccoli demo (www.allyoucansing.it) ed uno invece,
Gabriele e Nicola
più professionale, sul quale è possibile visionare tutte le attività svolte (www.gnfrequencies.it). Il curriculum musicale dei due è infine di grande rispetto: tre anni al Centro Professione Musica di Milano, corsi base e avanzati di sound engineer alla Fonoprint di Bologna, un Workshop con Salvatore Addeo e Matteo Cantaluppi (produttore dei TheGiornalisti) e un ulteriore Workshop con Chris LordAlge, mixerista di fama internazionale, oltre alla certificazione di Pro Tools Operator, che riceveranno a breve. Gabriele e Nicola, come è nata la vostra idea? Per qualche anno abbiamo suonato insieme in alcuni gruppi locali, poi abbiamo deciso di fare qualcosa partendo da zero. Abbiamo dunque comprato la prima strumentazione elettronica, allestendo poi la sala in circa due mesi. È stata un’esperienza che ci ha permesso di imparare i vari passaggi che stanno dietro alla realizzazione di un’idea solo apparentemente semplice, ma che ci ha permesso di coltivare la nostra passione. Non siete un vero e proprio gruppo, ma vi siete dati un nome? Diciamo che abbiamo racchiuso tutto questo progetto in GN Frequencies, che è poi il nome del nostro sito internet principale. Ma online siete presenti con ben due siti, giusto? Esattamente. Il secondo è “All You Can Sing ”, sul quale è possibile trovare tutte le nostre pro-
poste per appassionati e non esperti del settore. Chiunque abbia voglia di suonare o cantare in compagnia può venire a trovarci quando vuole. Il progetto però ha uno scopo che va ben oltre il semplice divertimento. Fino ad ora abbiamo prodotto personalmente alcune canzoni: dalla dance al pop, dal progressive rock al metal. Oltre a questo però abbiamo collaborato con professionisti e realizzato spot radiofonici, che attualmente vengono trasmessi sulle maggiori emittenti locali. Non si tratta semplicemente di un passatempo, anche se ovviamente registrare e sentir cantare le persone ci permette di seguire la passione per la musica. L’impegno che mettiamo nel realizzare il prodotto finale è totale, curiamo ogni dettaglio e i risultati per ora ci hanno ripagati. Avete qualche ambizione più grande per il futuro? Sarebbe bello poter espandere questa prima, semplice idea. Comprare qualche nuovo strumento, proseguendo con i progetti attualmente avviati e sperimentarne altri, come la costruzione di effetti per chitarra e dei videoclip. E in un futuro chissà, magari trasformare questa passione in un vero e proprio lavoro: sarebbe il coronamento di tutto il nostro impegno.
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Libri e letteratura di Elisa Corni
I primi settant'anni di “1984” Orwell e' stato un profeta
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Settant’anni fa le librerie di tutto il mondo esposero per la prima volta sugli scaffali e nelle vetrine uno dei romanzi disptopici o utopia negativa, più famosi di tutti i tempi: “1984” dell’autore britannico George Orwell. Per intenderci, stiamo parlando di una delle più famosi citazioni della letteratura, “Big Brother is watching you”, ovvero “il Grande Fratello ti osserva”. Eric Arthur Blair, passato alla storia con lo pseudonimo di George Orwell, nacque in India nel 1903, ma visse in Gran Bretagna. Nel 1917 entrò al college, dove ebbe per insegnante uno dei più importanti rappresentanti della letteratura distopica, Aldous Huxley. Arruolatosi nelle milizie imperiali in Birmania, sul finire degli anni Venti inizia a sviluppare questi sentimenti di disillusione e disgusto per imperialismi e totalitarismi: l’esperienza in India lo ha profondamente scosso, e comincerà così a maturare in lui un pensiero
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fortemente anti-imperialista che lo porteranno a scrivere pungenti articoli di giornale e saggi politici, ma anche romanzi potenti e critici come “La fattoria degli animali” e lo stesso “1984”. Nel romanzo, che l’autore iniziò nel 1948 -dall’inversione delle ultime due cifre deriva il titolo del libro, un’immaginaria Terra del futuro devastata da una guerra atomica, è suddivisa in tre macro aree nelle quali vigono altrettanti totalitarismi: Eurasia, Estasia e Oceania. Queste tre potenze sono in perenne lotta tra loro per il controllo della società e del mondo intero. Già nell’ambientazione emerge la prima caratteristica di questo genere fantascientifico: i romanzi distopici immaginano un mondo futuro, ipotetico, nel quale alcuni aspetti della società, della politica o della vita quotidiana dei cittadini sono molto diversi rispetto alla realtà e, in particolare, hanno accezione negativa.
Le vicende raccontate nel penultimo romanzo scritto da Orwell prima della morte sono ambientate a Londra, capitale dell’Oceania, nella quale “il Partito”, unica realtà politica esistente, è guidato dal misterioso Grande Fratello. Nessuno lo ha mai visto, eppure manifesti con il volto del temibile dittatore capeggiano agli angoli della strada e dissuadono i cittadini dall’avere comportamenti inaccettati; è proprio attraverso i media -manifesti, giornali e radioche il Partito esercita il suo influsso sulla popolazione. La vita dei cittadini è tenuta sotto stretto controllo dagli organi di polizia, connessi con il Partito; anche le informazioni, come in ogni dittatura che si rispetti, sono soggette a controllo e censura. È questo l’ambito nel quale è impiegato il protagonista del romanzo, Winston Smith, dipendente del Mi-
Libri e letteratura
nistero della Verità. All’apparenza malleabile e prono al sistema, il protagonista in realtà nasconde un animo ribelle che svilupperà nelle pagine del romanzo grazie all’incontro con la Confraternita, organizzazione clandestina anti-regime. Se non avete ancora letto il romanzo, non saremo noi a rovinarvi il finale, vi ricordiamo solo che non siamo nel mondo delle favole, bensì in quello della critica sociale e politica. Il romanzo di Orwell si inserisce infatti in un filone letterario iniziato nel primo dopoguerra caratterizzato da un profondo pessimismo e dalla disillusione nei confronti dell’umanità e della politica: Orwell, come altri autori e intellettuali dell’epoca, rimase profondamente deluso dallo sviluppo delle ideologie politiche durante i due conflitti mondiali e subito
dopo la loro fine. Attraverso opere come “La Fattoria degli Animali”, o “Il Mondo Nuovo” di Aldous Huxley, questi scrittori diedero sfogo alle frustrazioni e delusioni che seguirono il fallimento del comunismo e del socialismo. Questi romanzi ebbero grande successo non solo tra i loro contemporanei, ma ancora oggi sono letti, apprezzati e studiati in tutto il mondo. Ma sono anche presi come spunto per nuove narrazioni, sia su pagina che su video. Questo perché molto spesso i loro autori, fini osservatori del mondo, sono riusciti a prevedere e a raccontare con estrema lucidità e lungimiranza alcune derive della nostra società le cui origini sono da ricercare proprio negli eventi che seguirono
le due guerre mondiali. Si pensi a “Il racconto dell’Ancella” che, nel 1985, prevedeva amplificandola la crisi delle nascite che stiamo vivendo oggi; nel caso di “1984”, invece, ci troviamo di fronte a una pesante critica nei confronti dei mass media, capaci di deviare il pensiero di una società intera, di anestetizzare il pensiero critico e di guidare l’opinione di un’intera società nella stessa direzione. Una previsione a dir poco attuale.
George Orwell
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Paesi e città
di Chiara Paoli
Matera, la città dei Sassi
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atera è stata eletta per il 2019, capitale europea della cultura, e come dare torto a chi l’ha selezionata? Si tratta di un luogo spettacolare, che non può che ammagliare chi la visita, con la sua storia millenaria ed il suo mondo sotterraneo. I Sassi di Matera sono entrati a far parte del patrimonio dell’umanità UNESCO il 9 dicembre 1993, proprio per la loro storia che affonda le radici nell’epoca della pietra antica. Questo luogo, ininterrottamente abitato, dal paleolitico ad oggi, mostra le grotte dei cacciatori preistorici, rivelando le tracce di consequenziali villaggi neolitici. Il primo nucleo urbano, costituitosi nell’età dei metalli, ha molto probabilmente origini greche, passa poi sotto il dominio dei Longobardi a partire dal 664 d.C e viene annessa al ducato di Benevento.
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Dall’VIII secolo iniziano a giungere in questo luogo numerosi monaci benedettini e bizantini, che mutano le grotte, trasformandole in chiese rupestri, ancora oggi visitabili. Splendide nella loro maestosità, esse meritano una visita ed una pausa contemplativa, tra loro da non perdere, il complesso monumentale di San Nicola dei greci, Santa Maria De Idris, e Santa Lucia alle Malve. Segue storicamente una fase travagliata, quella tra IX e X secolo, che vede le terre contese tra Longobardi, Saraceni e Bizantini. Nel 1043 vi è poi l’insediamento dei Normanni e con gli Aragonesi la città viene consegnata nelle mani del conte Giovan Carlo Tramontano, che avvia nel 1501 la costruzione del Castello, che non riesce però a completare. Il feudatario, non badava a spese per la costruzione del maniero e per tale motivo i materani
venivano vessati con sempre maggiori tasse, finché non venne ordita una congiura per ucciderlo, appena fuori dalla cattedrale il 29 maggio del 1514, in quella che ancor oggi porta il nome di via del Riscatto. E’ il 1663 quando Matera si distacca dalla provincia di Terra d'Otranto, di cui era parte, per divenire capoluogo della Basilicata. Durante il Risorgimento, quando le promesse per la redistribuzione delle terre demaniali non vengono mantenute, esplode la rabbia che culmina l’8 agosto 1860, nell’eccidio del conte Gattini latifondista assieme a due collaboratori. I materani, caratteri indomiti, sono stati tra i primi ad insorgere contro l’occupazione nazista e anche nel 1945 si fanno sentire, scatenando sommosse per l’attribuzione delle terre in stato di abbandono. La risoluzione giunge nei due anni successivi,
Paesi e città
grazie all’intervento di Aurelio Ponte, prefetto di Matera, anticipando quella che sarà la più annosa questione agraria. Nel 1948 viene sollevata in primis da Palmiro Togliatti e successivamente da Alcide De Gasperi, la questione dei
Sassi di Matera, che nel 1952 vengono sgomberati con una legge nazionale, che vede trasferirsi ben 15.000 persone nel nuovo quartiere residenziale. Sociologicamente parlando il trasloco è un trauma per queste persone abituate a vivere a stretto contatto con i vicini di casa, la perdita dei riferimenti, ma a quei tempi Matera veniva definita la “vergogna d’Italia” e c’era bisogno di intervenire per ridurre l’altissima mortalità infantile, che in questi luoghi era circa 4 volte superiore alla media nazionale. Lo stesso Carlo Levi con la sua opera “Il Cristo si è fermato ad Eboli”, si pone come testo di denuncia di una situazione insostenibile. Lo scrittore, pur scrivendo “Nelle grotte dei Sassi si cela la capitale dei contadini, il cuore nascosto della loro antica civiltà. Chiunque veda i Sassi di Matera non può non restarne colpito tanto è espressiva e toccante la sua dolente bellezza”, definisce questo luogo con il termine di “cratere infernale”. Il terremoto dell’Irpinia del 1980 dan-
neggia in parte anche l’abitato materano e nel 1986 viene emanata una nuova legge nazionale volta al recupero dei Sassi, da trent’anni in stato di abbandono. In questo luogo rimangono numerose testimonianze storiche che è possibile riscoprire attraverso le visite agli ipogei, come quello di Materasum o quello che si situa sotto il museo archeologico Domenico Ridola. E dopo Degasperi, anche qui trova spazio un collegamento tra Matera ed il nostro Trentino, perché nel museo sono presenti testi e documenti che portano la firma dell’archeologo e senatore roveretano Paolo Orsi. Nei sotterranei non soltanto vecchie abitazioni e nevai, ma anche il palombaro, vero e proprio contenitore delle acque, cisterna di grandi dimensioni, che sfrutta anche le sorgive sottostanti ma raccoglie anche le acque piovane, convogliando il tutto nelle cisterne più ribassate, in caso di tracimazione, come in un sistema di vasi comunicanti. Vi è poi la possibilità di scoprire come vivevano le famiglie di un tempo nei sassi, attraverso le ricostruzioni degli ambienti presenti nella Casa Sasso Barisano o in quella visitabile nel sasso Caveoso. Nel mezzo di questi due rioni antichi si staglia la Civita, con il
“piano”, le chiese e le architetture costruite in stile barocco nel settecento, che si isolano dai Sassi come “quinte scenografiche”, che nascondono abilmente la zona abitata dai poveri contadini. Da piazza Giovanni Pascoli, ove si ergeva il liceo classico in cui il poeta insegnò agli inizi della sua carriera e dove oggi si colloca il Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna di Palazzo Lanfranchi, si può proseguire fino a giungere alla cattedrale. Il duomo è un imponente costruzione romanica del XIII secolo, lavorata nella calcarenite e intitolata alla Madonna della Bruna, che viene celebrata il 2 luglio di ogni anno a partire dal 1389. Al suo interno numerosi altari e decorazioni, cui si aggiunge lo scavo archeologico che sta portando alla luce un precedente e più antico luogo di culto, il monastero benedettino di Sant’Eustachio. Merita poi la vista dall’alto del parco della Murgia, che consente alla vista
di spaziare sull’abitato di Matera e sui suoi Sassi, un panorama di eccezionale bellezza al calar delle tenebre come dice lo stesso Giovan Battista Pacichelli, nel volume “Il Regno di Napoli in Prospettiva”, perché “I lumi notturni la fan parere un cielo stellato.»
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Dove ci piace vivere
In Valsugana La Valsugana dal 24 giugno 2019 è la prima destinazione turistica in Italia, in Europa e nel mondo ad aver ottenuto il certificato di destinazione per il turismo sostenibile secondo criteri internazionali dettati dallo standard GSTC (Global Sustainable Tourism Council)
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un target qualificato di visitatori”. Facile a dirsi quanto impegnativo nella realizzazione perchè tale obiettivo richiede la crescita e diffusione di una cultura per un turismo consapevole e di qualità. La parola chiave del progetto e del risultato raggiunto è proprio questa “Cultura del Turismo”. Ne è profondamente convinto e l'ha portata avanti, Stefano Ravelli, Amministratore delegato dell'Apt Valsugana Lagorai. “Questo, dice, è un riconoscimento ottenuto grazie ad una modalità di confronto, innovativa per le dinamiche partecipative, coordinata da Etifor, che ha incoraggiato lo scambio attivo tra quanti erogano servizi a beneficio dei cittadini e dei turisti secondo modelli positivi e sostenibili: turismo responsabile, valutazione dell’impatto etico sulle strategie di sviluppo economico e sociale, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e dell’ambiente. Aspetti che ieri non rientravano a far parte della promozione turistica tradizionale ma che al contrario oggi diventano un importante elemento per aumentare il valore percepito della destinazione, dove i cittadini diventano i primi attori protagonisti e ambasciatori del territorio”. L' importante risultato non va solo a vantagLa confereanza a Caldonazzo. da sinistra gio del turismo ma Stefano Ravelli,Catie Burlando , Denis Pasqualin, Mario Tonina e Roberto Failoni dell'intera comunità,
Il riconoscimento è il frutto di un lavoro capillare, scientifico avviato dall' APT Valsugana Lagorai nel giugno del 2018 grazie all' intuizione e sensibilità dello staff coordinato dal presidente Denis Pasqualin in collaborazione con Catie Burlando della società partecipata Etifor dell'Università di Padova. “ E' un modelllo che mette la comunità al centro, sottolinea Pasqualin, con il risultato di individuare e valorizzare le caratteristiche intrinseche della destinazione turistica come sistema territoriale , ad esempio l'attenzione per l'ambiente e per i cambiamenti climatici, le esperienze di turismo green “verde, ecologico” e slow “lento riflessivo” per la tutela e il benessere della comunità. “ La scelta e soprattutto il risultato ottenuto, hanno interessato l'assessore al turismo della Provincia autonoma di Trento Roberto Failoni, che ne ha colto le potenzialità perché, ha detto “ è una grandissima novità che investe il territorio come sistema e favorisce la presenza di
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L'incontro a Roma
tanto è vero che Mario Tonina, assessore provinciale all'urbanistica, ambiente e cooperazione, in occasione della presentazione del riconoscimento sulle sponde del lago di Caldonazzo, ha lodato i molti sindaci presenti e li ha invitati ad impegnarsi per diffondere sul proprio territorio i principi e le scelte promosse dal GSTC che è un'organizzazione indipendente, neutrale e senza scopo di lucro. Vanta tra i propri membri enti diversificati e globali, comprese agenzie delle Nazioni Unite (UN World Tourism Organization UNWTO), organizzazioni non governative (tra le quali Rainforest Alliance), governi, università, individui e comunità, tutti impegnati a raggiungere le migliori pratiche nel turismo sostenibile. Progetto e risultato sono stati presentati anche a Roma ed il ministro all'Ambiente Costa, si è detto: ”Felice che l’Azienda per il Turismo della Valsugana sia stata la prima a mettere a sistema Amministrazioni, Associazioni, Musei, soggetti privati. Dire che è bello vivere nella propria terra non è scontato.” Riccardo Fraccaro, questore della Camera dei Deputati, in occasione della presentazione a Roma, ha voluto sottolineare che “La Valsugana Lagorai è un territorio di eccellenza che può e deve rappresentare un modello per tutto il Paese. Questo riconoscimento dimostra che puntare sulla crescita sostenibile è la chiave per interpretare il futuro. Vogliamo promuovere e incoraggiare questo modello di successo Trentino e in tutto il Paese!"
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Media In Ph. I.Albertini
Cucina tipica e tradizionale. Possibilità di piatti vegetariani. Forno a legna per meravigliose pizze.
Arte di casa nostra di Armando Munao’
Una chiara dozzina Dodici artisti per l'Arte alla Casa della Cultura di Caldonazzo Per la terza volta il Centro d'Arte la Fonte, con in testa il presidente Waimer Perinelli, ha organizzato e presentato una “qualificata” collettiva di pittura in collaborazione con Renzo Francescotti. Paolo Tomio (grafica) e Aldo Pancheri (coordinamento).
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protagonisti di “ Una Chiara dozzina” sono dodici artisti uniti dalla passione per l'arte ma assolutamente liberi nel pensiero e nella tecnica. Ognuno di loro si avvale di studi personali, usa metodologie conquistate a prezzo di grande lavoro applicando tecniche diverse; essi, infatti, sono animati da filosofie e obiettivi qualche volta in contraddizione. Tutto perché le loro vite affogano nella ricerca, si nutrono di speranza, comunicano originalità e libertà. L'Arte è sacrificio, studio, tecnica e soprattutto pensiero. Questa misteriosa alchimia, che definiamo Arte, la si raggiunge quando studio, tecnica, lavoro si fondono nel Pensiero e si realizza forma ed equilibrio. Hanno accettato la sfida: Claudio Rensi e Luciano Olzer, professionalmente fotografi, sono la dimostrazione delle tesi di Duchamp che, analizzando pittura e fotografia, arrivava alla conclusione che, nella diversità,
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queste arti sono complementari. All'Arte pura si ispirano tutti gli altri: il giottesco, abbondante e concreto Pietro Verdini, il filosofico Aldo Pancheri che unisce al colore il grafico dello stampo o inserisce immagini fotografiche nella tela colorata. Roberto Codroico, PaoDa sinistra, Elisabetta Wolf (vicesindaco di Caldonazzo), lo Tomio e Matteo Waimer Perinelli e Renzo Francescotti Boato costruiscono Waimer Perinelli, abbiamo voluto solo architetture con i colori. Sono uniti, infarveli conoscere nella speranza che la fatti, da studi d'architettura e ingegneloro arte entri nella vostra vita.Borgo. ria. Cristina Moggio e Cassia Raad usano materiali diversi, affondandoli nel colore, esplorando con questa tecnica diverse parti del corpo e della mente. Francesca Libardoni disegna sulla tela momenti diversi dello spazio con lacrime e scie di colore acrilico. Arianna Lonardi si esprime con la resina, un materiale difficile da modellare e fissare. Michela Molinari tratteggia volti umani e natura con segni puliti e leggeri. Non tutti hanno avuto finora il giusto riconoscimento. Noi, dice il presidente della Fonte
Mestieri e professioni di Chiara Paoli
“Francesco, maestro assaggiatore di formaggi”
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n una calda serata di agosto, incontro per un’intervista Francesco Gubert, di professione maestro assaggiatore di formaggi, attività che mi incuriosisce subito. Primierotto, classe 1984, due lauree, ha scelto la professione di malgaro ed ha pubblicato quest'anno il libro: “Novanta giorni. Diario di una stagione in alpeggio” Chiedo quindi “come è iniziata questa tua passione per i formaggi?” In realtà ho frequentato il Liceo classico a Trento, per poi studiare scienze agrarie a Vienna con il progetto di doppia laurea, che mi ha portato in Nuova Zelanda. In Austria pensavo di proseguire la carriera accademica, e ho iniziato un dottorato, ma dopo un anno e mezzo, ho deciso di mollare tutto per andare in Svizzera a Berna, a mungere le mucche e fare formaggi. Arrivo su “biotto” ignaro di cosa comporti il lavoro del malgaro e del casaro, ma imparo in fretta a mungere e gestire gli animali, come assistente del casaro. L’anno seguente, il 2010 è quello della svolta, decido di mettermi in gioco come casaro alla Malga di Roncegno. “Novanta giorni. Diario di una stagione in alpeggio”, è un libro che nasce dalla volontà di raccontare questa esperienza e che ho pubblicato a febbraio di quest’anno. “Da casaro a maestro assaggiatore di formaggi, quale è stato il percorso?” Mi sono accorto che c’è un grande bisogno di comunicare il prodotto. Un tempo il formaggio era considerato come un alimento dei poveri e di conseguenza è stato poco studiato e valorizzato. Oggi le cose sono cambiate
e il formaggio non è più appannaggio di chi lo fa. La mia scelta è stata quindi quella di divenire maestro assaggiatore di formaggi, per raccontare il prodotto; non si tratta soltanto di descrivere il formaggio e la sua consistenza, ma soprattutto di narrare la sua storia e quella di chi lo produce. Non solo una degustazione, ma uso delle tecniche di storytelling e trasmissione dei valori territoriali che il formaggio porta con sé. “In cosa consiste quindi esattamente il tuo lavoro?” Ho cominciato a fare il docente, grazie alla collaborazione con Accademia d’Impresa, portando nella scuola alberghiera e nelle scuole primarie e secondarie di primo grado il progetto “Educazione al gusto”. I percorsi proposti sono due e si incentrano ovviamente sul latte, il primo si intitola dal “Foraggio al latte” ed il secondo “Dal latte al formaggio”, entrambi prevedono degustazioni, descrizione e l’uso dei sensi. Si passa dallo yogurt, alla panna, per assaggiare vari tipi di latte, come quello di mandorle e di capra, a partire dalla vista, si lavora poi sulla consistenza e sull’aspetto tattile, per passare a quello olfattivo e infine al gusto. Sono attività che funzionano bene con i ragazzi, ma che sono apprezzate anche dagli Francesco Gubert adulti.
A queste attività si affiancano quelle di assaggiatore, in qualità di membro nelle giurie dei concorsi dedicati ai formaggi, come in occasione del “Concorso formaggi di malga della Valsugana”, rassegna che si colloca nella splendida cornice di Castel Ivano. Vi è poi una parte più divulgativa, come avviene per le serate in cui sono invitato a parlare di qualche formaggio o burro in particolare. Partecipo anche a fiere all’estero, dove propongo incontri sui formaggi trentini, quest’anno sono stato a quelle di Monaco, Norimberga e Hannover. Sono anche docente in occasione di corsi per i banconisti che vendono i prodotti al supermercato ed hanno bisogno di approfondire la conoscenza dei prodotti caseari. “Quanti siete a svolgere questo lavoro in Trentino?” Sono molti gli appassionati assaggiatori di formaggi, ma sono rari i casi in cui questa attività viene svolta a livello professionale.
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La cucina in Valsugana di Massimo Dalledonne
“Da festa e da magro” Un libro sulla storia alimentare della Valsugana, su una cucina che, fondamentalmente, è anche storia della morfologia delle pietanze, della gente che vi ha vissuto, dell’economia, della tradizione e del folclore. Un vero e proprio viaggio attraverso le materie prime, lavorazioni e piatti svelando le radici profonde della valle. Questo e tanto, tanto altro ancora è il volume “Da festa e da magro” scritto da Fiorenzo Degasperi e arricchito da un ricettario a cura di Germana Borgogno.
È
stato presentato, nei giorni scorsi, presso il parco urbano di Villa Agnedo, nel comune di Castel Ivano, un patrimonio identitario di valore promosso dal Circolo Croxarie nell’ambito del Progetto Memoria, Il quadro alimentare che esce dalla storia della Valsugana non è quello di una valle “affamata” e “povera”, come ancora oggi in molti, sbagliando, pensano. La valle, infatti, era attraversata da una delle più importanti arterie di comunicazione che collegava i paesi del nord con i Balcani e l’Oriente con tutto quello che ne consegue in termini di relazioni e contatti. “In questo volume i due autori – ricorda il presidente di Croxarie Andrea Tomaselli – hanno dato forma e parole nuove a una storia antica che può costruire traiettorie di futuro. Una storia nostra perché, in fin dei conti, vale sempre il vecchio detto: siamo quello che mangiamo”. In tutto 246 pagine dove si racconta come si è sviluppato il paesaggio alimentare in Valsugana dal medioevo fino all’età
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moderna. Si parla dei Roncadori, dei minatori, pastori e agricoltori ma anche delle figure dei carradori e zattieri. Una cucina di campagna e di montagna, quella della Valsugana, che ha attinto ai prodotti della terra ma anche alla carne e al pesce, una volta massicciamente presente soprattutto nelle acque del fiume Brenta. Nel libro trova spazio anche un capitolo riservato al passaggio dalla cucina casalinga a quella di massa: si parla dell’orto tradizionale così come dell’alimentazione durante la Grande Guerra e della pellagra. Una cucina, quella Valsugana, che, come ricordano gli autori, fonda le sue radici nelle tradizioni senza però non rinunciare a strizzare gli occhi al rinnovamento. Una valle che, in passato, ha dovuto fare i conti con l’alimentazione di massa e con nuovi modelli di civiltà, diete, farmaci e colesterolo fino alla riscoperta dei piatti tradizionali e all’economia di una cucina di ieri. Si parla, e non poteva essere altrimenti, anche della storia del formaggio della Valsugana (dell’homo selvadego e del casaro, del calendario dei pastori ma anche dei divieti religiosi, dei santi apotropaici, delle paure e delle superstizioni) e delle vie del vino tra luoghi e storie tra rossi e bianchi, vigneti scomparsi, grappe e storie di recuperi e salvataggi. Un capitolo è dedicato all’alimentazione e alla cura contadina, spazio anche alle leggende, sto-
rie, fantasie e fiabe attorno al mondo alimentare valsuganotto. In Valsugana, come ricordano gli autori, “il numero delle locande era tra i più alti dell’arco alpino, in sintonia con le strade di passo e di valico. Per secoli molte case possedevano i loro forni per fare il pane e la stessa presenza, per secoli, della comunità ebraica in paesi come Pergine, Borgo e Strigno, indica che si trattava di una valle dinamica e attenta ai cambiamenti”. Stampato da Litodelta, il libro è stato realizzato in collaborazione con l’Ecomuseo della Valsugana – Dalle sorgenti di Rava al Brenta, l’Alta Formazione Professionale dell’Istituto Alberghiero di Rovereto e Levico Terme, la Fondazione De Bellat, la Fondazione Caritro e Terre del Lagorai.
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Il pittore degli angeli di Chiara Paoli
Don Giuseppe Tarter
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on Giuseppe Tarter, viene ricordato da Renzo Francescotti, come “Il pittore degli angeli”, questo è proprio il titolo del volume dedicato alla sua opera pittorica, edito nel 1999. Giuseppe nasce a Romanore in provincia di Mantova, il 19 agosto 1885, è figlio di Eugenio e Angela Clementina, originari di Dardine in Val di Non (TN). Studia al Ginnasio di Trento, dove ottiene la maturità classica nell’estate del 1906; si dedica successivamente agli studi di Teologia presso il Seminario Diocesano di Trento e viene ordinato sacerdote il 10 luglio del 1910. Viene inviato come cappellano a Trambileno, poi a Tione e Lizzana, per approdare successivamente come curato a Sternigo. E’ questo un periodo molto florido per la sua arte; in questo luogo trova l’ispirazione e rea-
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lizza numerose opere, si tratta principalmente di ritratti o di rappresentazioni legate alla devozione. La pala dell’altare maggiore della chiesa parrocchiale di Miola di Pinè, dedicata a San Rocco conserva l’immagine della “Madonna col bambino” da lui realizzata e firmata nel 1921. Nel 1922 realizza un quadro della “Madonna col Bambino Gesù”, che trova collocazione nella sacrestia della chiesa di San Mauro a Baselga di Pinè, mentre alcuni suoi carboncini con figure di sante si conservano nella chiesetta di Tressilla. Nel 1923, don Giuseppe ottiene il “diploma di abilitazione all’insegnamento elementare”, e ottiene il ruolo di maestro a Sternigo nell’ottobre dello stesso anno. In questo stesso anno realizza la pala d’altare che si colloca nell’abside della chiesetta dedicata a San Giuseppe, in località Ferrari, frazione dell’altipiano pinetano che appare rappresentata ai piedi della Vergine. Nel 1927 viene trasferito alla scuola elementare di Pannone a Nomesino, frazione di Mori. L’anno seguente riceve dall’EIAR, quella che oggi conosciamo come RAI, un riconoscimento come pioniere della radio, egli amava le novità tecnologiche e lo si può comprendere dalle parole di ricordo inserite nel già citato volume di Renzo Francescotti. Tullio Gasperi pittore di Baselga di Piné lo ricorda con queste parole: "don Giuseppe era un eclettico, curioso di tutto: non solo degli aspetti artistici ma di quelli scientifici, tecnici. Fu tra i primi qui sull'altopiano, a procurarsi una macchina fotografica a colori, il primo a comprarsi un registratore con cui registrava concerti di cori, musiche, spettacoli. Girava con una 'Bianchina'
e dialogava con lei. 'Varda de nar drita...' le diceva”. Tra il 1941 e il 1942 si dedica all’abbellimento della chiesa di Santa Brigida a Roncegno, dove troviamo, immancabile il tema dell’ “Annunciazione”, i suoi splendidi angeli oranti, che attorniano anche la figura della santa titolare della pieve, cui si aggiungono altre figure di santi: Antonio abate, Nicolò, Agnese, Anna e Cristoforo, che campeggia sulla parete esterna. Sull’altopiano pinetano ritorna ad operare negli anni ’50 del secolo scorso, quando realizza sulla parete esterna della canonica di Miola, una raffigurazione del “Sacro Cuore di Gesù”, firmata e datata 18 agosto 1953. La settimana seguente si dedica alla decorazione del capitello che si colloca al bivio di Vigo di Pinè, dove rappresenta due angeli. Nella primavera del 1955, realizzerà anche una “Annunciazione” sull’arco trionfale, cui si aggiungono angeli e
Il pittore degli angeli
simboli della Vergine, nella zona presbiteriale della chiesa “vecchia” di Canale, dedicata oggi a San Giovanni. L’estate seguente dipinge anche due tele per la stessa pieve, rappresentanti San Luigi e Sant’Antonio da Padova. Ritornerà ad operare in questa stessa chiesetta tra il 1958 ed il 1959, per ornare anche l’abside; purtroppo in seguito ad un incendio, le pitture si sono deteriorate e ad oggi nulla rimane di questa grande opera del curato artista. Agli inizi del 1956, don Giuseppe Tarter fa ritorno nell’amata Sternigo e poco dopo dipinge gli angeli alle pareti della chiesetta della Madonna dell’aiuto, in località Ferrari a Vigo di Pinè. Realizzata nel 1968, ma attualmente dispersa è invece l’opera realizzata per la chiesa di Sant’Agnese a Civezzano, raffigurante Sant’Antonio da Padova. Per il teatro dell’oratorio parrocchiale di Baselga di Pinè, don
Giuseppe realizza anche il sipario “Era già l’ora che volge il desio ai naviganti…”, andato perduto negli anni ’70, altri realizzati per la valle di Non si sono conservati nel tempo. Molti i ritratti e rappresentazioni di temi sacri e profani da lui realizzati e conservati nelle collezioni private dell’altopiano pinetano ed anche un ex voto, richiesto da Letizia Ioriatti di Sternigo, trova posto nella sala riservata all’interno del santuario di Montagnaga. Don Giuseppe Tarter, dopo essersi dedicato alla cura d’ anime e all’arte, si spegne l’8 dicembre del 1972, nell’ospedale Santa Chiara di Trento, i suoi resti mortali trovano collocazione nel cimitero di Baselga di Pinè.
TESINO
L’arte di strada
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opo il successo delle prime due edizioni, anche quest'anno il Tesino e la Valsugana tornano ha abbracciato l’arte di strada, grazie al Per Via Buskers Festival, la manifestazione che ha reso omaggio all‘incredibile storia dei “perteganti” tesini facendo delle piazze e delle strade dei paesi dell’altipiano un grande teatro a cielo aperto. Una terza edizione che, dopo i tre comuni del Tesino (Pieve, Cinte e Castello), cuore pulsante dell’iniziativa, quest’ anno con gli spettacoli ha toccato anche i comuni di Bieno e Castel Ivano. Equilibristi, giocolieri, musicisti, teatranti e artisti d’ogni genere si sono esibiti ogni giorno. A Castello, al Teatro San Giorgio, è andato in scena Bolla Accademy, l’originale format che ha consentito al pubblico di conoscere le giovanissime promesse del circo trentino. Nel fine settimana il Festival ha trovato casa a Pieve Tesino: nonostante le bizze del tempo gli artisti hanno animato le strade e i luoghi più identificativi, alternando performance, workshops, concerti e altre sorprese finalizzate a far rivivere quella ricchezza di esperienze e stimoli che per anni risuonava per le strade della valle attraverso i racconti degli ambulanti, di ritorno dai loro viaggi. L’intero programma è stato arricchito da mercatini artigianali e street food, lezioni di yoga, visite guidate gratuite alla mostra “Lutero Per Via. Ambulanti e stampe in Trentino e Valsugana ai tempi della Riforma”. (M.D.)
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Fatti valsuganotti di Massimo Dalledonne
Dalla Bielorussia con amore Dal 2001 ad oggi, nella loro abitazione di Olle, Edoardo ed Ornella Rosso assieme ad alcune associazioni, hanno accolto 6 bambini e bambine della Bielorussia.
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ono arrivati in Valsugana dopo il 26 aprile del 1986, il tragico giorno dell’esplosione del reattore nucleare a Chernobyl, a distanza di qualche anno. Ad accoglierli privati e associazioni: a Borgo c’era la Peter Pan e, successivamente, Aiutiamoli a Vivere, a Scurelle da oltre vent’anni opera l’associazione Ciao Amico. Da 18 anni Edoardo e Ornella Rosso hanno sempre risposto presente. Oggi il più vecchio dei piccoli ospiti ha 30 anni, quello più giovane solo 10. Vivono tutti nella zona meridionale della Bielorussia. Ma la gioia più bella, per Edoardo e Ornella Rosso, è arrivata nei giorni scorsi. Invitati al matrimonio di Ivan, a Zlobyn, hanno avuto la grande sorpresa di essere accolti anche da tutti gli altri che hanno soggiornato in questi anni ad Olle. Il più giovane, Zhenja, non c’era. Il 1 agosto era ritornato a casa dopo un periodo di accoglienza ad Olle. Il primo ad essere stato ospitato dai Rosso era stato Sascja: aveva 12 anni quando è arrivato a Borgo per la prima volta. Era il 2001 ed è tornato per due anni. Oggi è sposato ed ha una
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figlia di 9 anni. Poi, dal 2002 al 2006, è toccato ad Andrej, oggi ventiseienne e quindi Ivan. “Con noi è rimasto ogni estate per dieci anni. Lo abbiamo accolto che aveva 8 anni e lo abbiamo accompagnato fino alla maggiore età. Ora si è sposato e lavora come tecnico alle Acciaierie di Zlobyn”. Ad Olle sono arrivate anche due ragazze: Marja, dal 2009 al 2015, oggi diciannovenne, sorella di Ivan, sta studiando per diventare infermiera. Poi è toccato a Lizaveta. “È rimasta con noi dal 2012 per quattro anni, oggi è una bella ragazza di 15 anni”. Nella trasferta in Bielorussia Edoardo e Ornella sono stati accompagnati dalla figlia Federica, insegnante di sostegno che, assieme a tantissimi volontari, che, in
questi anni, si sono messi a disposizione delle famiglie e delle associazioni che sostengono e promuovono questi progetti di solidarietà. “Da cinque anni, grazie al comune di Castelnuovo – ricordano Edoardo e Ornella Rosso – tutti i ragazzi bielorussi soggiornano presso la colonia estiva in località Civerone. Questo è solo un piccolo esempio di solidarietà messo in campo in Valsugana, un grande impegno portato avanti grazie alla sensibilità delle persone buone e generose della nostra comunità”.Lagorai.
Le cronache locali VALSUGANA
Fossali, campione del mondo
L
udovico Fossali è il nuovo campione mondiali di arrampicata sportiva. A Hachioji, in Giappone, il giovane valsuganotto ha conquistato il tetto del mondo battendo tutti gli avversari e mettendosi al collo la medaglia del metallo più pregiato. Ci credeva il ventiduenne atleta di Bieno ed è riuscito nell’impresa più importante dell’anno. Al termine di una buona qualifica, conclusa al 10° posto grazie ad un tempo di 5,970″ sulla parete di 15 metri, l’azzurro si migliora agli ottavi di finale nello scontro diretto vinto contro il kazaco Amir Maimuratov. Un colpo di scena dietro l’altro vede protagonista l’azzurro nei due turni successivi con due false partenze prima del cinese Qixin Zhong, ai quarti di finale, poi dell’ucraino Danyil Boldyrev, in semifinale, che permettono a Fossali di conquistare la finalissima contro il ceco Jan Kriz. Qui, dopo un’ottima partenza, i due atleti commettono lo stesso identico errore poco sopra metà. Ludovico però reagisce velocemente e riesce a fermare il crono sul tempo di 6,871″, tanto basta per avere la meglio sul ceco e conquistare il gradino più alto del podio e la medaglia d’oro. Tra i tantissimi messaggi arrivati, spiccano i complimenti del presidente del CONI Giovanni Malagò. “Era competizione più importante dell'anno, dove gareggiano gli atleti più forti del panorama mondiale e sono riuscito a stare davanti a tutti. Sapevo di potercela fare – ha ricordato Ludovico Fossali poco dopo la premiazione - e non ho mai smesso di credere nelle mie potenzialità. È stata davvero una gara particolare, ma sono riuscito a rimanere concentrato fino all'ultimo secondo”. Pochi giorni dopo il titolo iridato, Ludovico Fossali ha conquistato il pass per partecipare alle olimpiadi di Tokyo 2020. (M.D.)
TESINO
La Tesino Lagorai Cross Country
È
andata in archivio anche la seconda edizione della Tesino Lagorai Cross Country, la manifestazione ideata da Mirco Mezzanotte e Sunil Pellanda in collaborazione con il Team Sella Bike ed in stretta sinergia con l’amministrazione comunale di Cinte Tesino. Successo di partecipanti, ben 56, incrementando i numeri della prima edizione e di pubblico che si e riversato nel piccolo comune della conca per assistere ad un evento riservato alle “ruote grasse” tra le piccole vie del paese con passaggi suggestivi e zone lastricate. Per la cronaca la vittoria assoluta è andata a Davide Carnielli portacolori del Team Bsr di Meano che ha percorso i 40 minuti in testa fin dalle prime tornate. Alle sue spalle Tommaso Caldonazzi del New Team ed a seguire Jonasz Stelmaszyk atleta polacco del Team Skt 7.8. Tra le donne successo di Federica Sessenna del Team Lugagnano Of Road. La classifica per società ha visto trionfare il Team Sella Bike con 60 punti. Gran lavoro da parte dei numerosi volontari con il corpo dei vigili del fuoco di Cinte che, insieme alla Pro Loco, ha offerto la cena a tutti i partecipanti ed accompagnatori. Non sono mancati anche quest’anno gli “scatti” del Circolo Fotografico Cerbaro di Borgo Valsugana. La Tesino Lagorai Cross Country alla sua seconda edizione si conferma una manifestazione pronta a crescere con gli anni ripercorrendo i fasti della “vecchia” Tesino Bike. (M.D.)
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Arte di casa nostra di Massimo Dalledonne
Nereidi, la mostra di
Nereo Tomaselli L
aureato in arte a Firenze, con busto e braccia potenti di artigiano in cui abita un’anima sognante di ragazzo. Un sognatore, uno sperimentatore con una grande manualità. Questo e tanto altro ancora è Nereo Tomaselli, un arzillo 81enne che ha fatto dell’ecclettismo artistico la sua personale etichetta. Fino al 13 settembre palazzo Ceschi ospita la sua mostra antologica: Nereidi, proposta nei mesi scorsi anche a Gazaldo degli Ippoliti, a Mantova, in collaborazione con l’Associazione Postumia. Figlio di un falegname con una grande passione per il disegno, Nereo studia all’Istituto d’Arte di Trento dove si diploma nel 1956. Poco dopo si trasferisce a Firenze dove si laurea presso il Magistero d’Arte. Lavora come insegnante di disegno in diverse scuole della Valsugana: da Grigno a Tezze fino a Pieve Tesino e Strigno. Per qualche tempo anche all’Arcivescovile di Trento ma il richiamo dell’arte è sempre più forte. “Preferisco lavorare il legno, una passione che ho ereditato da mio padre. Mi piace soprattutto plasmarlo”. Nereo è un raffinato fotografo, pittore e scultore che utilizza diverse tecniche (disegno, tempera, aerografo, mosaico, ceramica) ma anche materiali disparati come la creta, il ferro, vetro ed assemblaggi vari. Dotato di una grande manualità, nei suoi la-
La mostra Nereidi di Nereo Tomaselli
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Nereo Tomaselli
vori spesso traspare un richiamo all’arte africana di Picasso. Allo stesso pittore si ispira spesso con geometrie dove il quadrato appare frequentemente in ogni creazione. Soprattutto nei suoi “vetri” e nelle ceramiche. La mostra di Borgo resterà aperta, presso la sede della Comunità durante gli orari di apertura al pubblico, fino al 13 settembre. All’inaugurazione, con l’artista, anche il presidente della Comunità Attilio Pedenzini, Franco Panizza e l’amico Claudio Bellin che ha curato il catalogo. “Nereo utilizza diverse tecniche e ciò può apparire disordinato ad uno sguardo superficiale. Ma il fil rouge – ricorda Bellin – c’è ed è riconducibile alla natura stessa dell’artista”. Le sue maschere, da quelle tribali alle più tecnologiche, lo rappresentano bene. Componenti meccaniche della natura umana fino ai robot per arrivare a Pinocchio “Con la sua natura intrinseca – sottolinea Tomaselli – rappresenta il robot perfetto ed è fatto di legno, la mia grande passione”. Lo usa naturale o policromo, lavorato a mano o a macchina con riferimenti a Depero, Vallazza o Brancusi. Una vita artistica dove la sperimentazione non lo abbandona mai. Usa tecniche diverse, olio e acrilico “soprattutto quando si cimenta nell’astrattismo – conclude Clau-
dio Bellin – pur non riuscendo a liberarsi completamente da forma e materia”. Un ultimo aneddoto su Nereo Tomaselli. Un giorno a scuola ha spiegato ai suoi ragazzi la prospettiva. Li ha fatti uscire dall’aula e con la classe ha deciso di fare lezione sulle rive del torrente Chieppena. “Ho spiegato loro – ricorda - che la prospettiva non serve proprio a nulla se prima non riescono a cogliere ciò che veramente li emoziona. Ai miei ragazzi ho anche detto che preferivo facessero un disegno brutto di una cosa bella che un bel disegno di una cosa insignificante”. Uno di questi alunni era Claudio Bellin. “Da quale giorno abbiamo iniziato ad amarlo tutti”. L’antologia di Nereo Tomaselli (classe 1938) resterà aperta fino al 13 settembre da lunedì a martedì dalle 9 alle 12 e dalle 14 alle 18, venerdì solo al mattino.
ISTITUTO DI ESTETICA
di Nadia Libardi
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Arte in Valsugana
Oltre l’apparenza”
“O
ltre l'apparenza” è il tema portante delle opere che la pittrice Jirina Nazzani di origine Ceca, ma levicense di adozione, ha esposto a Levico Terme dal 13 al 22 agosto. Una mostra, la sua, dai toni decisamente “unici” perchè le dinamiche composizioni e i quadri esposti presentavano,
Jirina Nazzani
all'occhio del visitatore, una indiscussa originalità, una creatività che è raro vedere e ammirare. Per Jirina l'etichetta “Oltre l'apparenza”, come Lei stessa dichiara, non è un punto di arrivo, ma, coincidendo con la piena maturazione di artista è, di fatto, la base di partenza per nuove ricerche artistiche. La sua è una ricerca continua e costante di particolari visioni. unite al forte e documentato desiderio di creare e realizzare un qualcosa di nuovo grazie al quale Ella completa lavori che riescono ad andare oltre all'immaginazione e oltre la tela. E Jirina lo fa attraverso una tecnica che non ha eguali. Nei suoi quadri gli elementi portanti ed essenziali sono una infinità di crateri che non solo interrompono i colori e la tessitura della
tela stessa, ma costringono lo sguardo ad andare più in là, “Oltre l'apparenza”, appunto. “Le fotografie, dichiara Jirina, anche se fatte nei migliori studi fotografici, non riescono purtroppo a dimostrare una delle caratteristiche essenziali della mia arte e cioè che i cerchi che costellano tutte le mie opere, sono buchi nella tela. E sono questi cerchi, queste particolari aperture e questi crateri, perfetti nella loro essenzialità e nella loro geometrica forma, che permettono alla luce di creare, all'interno del quadro, una piacevole e accattivante “terza” dimensione”. Ed è questo il vero senso di “Oltre l'apparenza” di Jirina perchè non è solo quello che si vede nella prima dimensione, ma è lo sfondo che convoglia lo sguardo ad andare oltre e creare, con la mente, nuove e più approfondire visioni d'insieme. (A.M.)
CASTEL IVANO
“Bravi ragazzi”
“S
iete la nostra eccellenza. Il vostro impegno è indice di fatica, responsabilità, dedizione e perseveranza”. Con queste parole, nelle scorse settimane. il presidente del consiglio comunale di Castel Ivano Ezia Bozzola, nella sala consiliare a Strigno, ha accolto diversi ragazzi e ragazze a cui ha voluto consegnare un attestato di riconoscimento per il loro impegno nello sport e nelle attività scolastiche. Come Daniele Tomaselli, forte atleta di orienteering, o Michela Tomaselli, impegnata nella specialità dell’orienteering in bicicletta. Premiati anche Francesco Ropelato, recente campione italiano di corsa in montagna, Aldo Andrej e Nicol Zaccaron, giovane promessa della danza. Restando sempre nel mondo dello sport sono stati gratificati Valeria Pasquazzo (promessa dello scialpinismo) e Mattia Dalla Torre, giovane pattinatore artistico. Altri riconoscimenti sono stati assegnati a Francesco Ballerin che, con altri due studenti del Galilei di Trentino, ha vinto il premio per il miglior software al campionato mondiale giovanile di robotica in Giappone. Premiati pure i due alfieri della Repubblica Enrico Cescato e Filippo Pasquazzo per l’ideazione della app My Voices, così come Lorenzo Casata ed Elia Tomaselli per aver vinto le selezioni nazionali di robotica e disputato gare internazionali sia in Svezia che in Croazia.(M.D.)
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Fatti di casa nostra di Waimer Perinelli
La storia de l'orso
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’orso della nostra storia ha un nome bellico M49, somiglia a quello di un fucile d'assalto americano o alla sigla della pistola tedesca Mauser. L'animale in questione, ricercato speciale vivo o morto, è veramente una bestia d'assalto se, come raccontano le cronache è fuggito dal recinto del suo lager, scavalcando fili elettrificati. E' astuto come una faina, ora potremo dire come un orso, visto che si è nascosto per molto tempo (mentre scrivo ancora non ho notizie della cattura) nel non vasto bosco trentino, sfuggendo a pattuglie di guardie forestali ben addestrate. E' un folletto comparso qua e là fra le more e mirtilli di Susà in Valsugana, lungo la Vigolana, ultimamente nella valle di Cembra. Una vera primula rossa: lo cercan qui lo cercan là dove si trovi nessun lo sà.... Perfino il ministro all'Ambienta Costa ha vestito la maglietta con scritto “Io sto con Papillon”,
la versione in salsa Guinea francese del fuggitivo. E' comprensibile. Come si fa a non avere simpatia per l'orso, un immigrato forzato dalla Slovenia, un deportato, dove non apprezzano la sua carne e le scorribande come nel suo paese d'origine. Povero orso e poveri noi se l'incontriamo nel bosco. Fortunatamente la poetessa di Caldonazzo Rosanna Gasperi ha ideato in rima un vademecum per gli sprovveduti cercatori di funghi.
LEVICO TERME
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l vicesindaco di Levico Terme Patrick Arcais accompagnato dall’assessore al turismo Monica Galler, ha premiato ed insigniti del diploma di “Ospiti d’Onore”, Clara Carato ed Edoardo Zamboni di Malalbergo in provincia di Bologna, che da ben 53 anni ininterrotti raggiungono la città termale per trascorrere le loro vacanze estive. Nel ringraziare per il gentile pensiero, Clara ed Edoardo hanno affermato di considerare Levico Terme la loro seconda casa.(M.P.)
ISTRUZION EN fongarol co la so zestela 'N tra finferli taoperli e morei el se gustava 'l fresco e 'l canto dei osei el bonodor del mus-cio, la fresca bavesela. Ma 'l volta l'ocio e l vede 'n po' pu 'n là n'orso che se gratava de gran gusto; E l'era grando e grosso Ben robusto, su per en lares tuto scorteza'! "madoi che pipacul Me scondo drio a n seson seno' la fao 'n le braghe per dalbon!!" El tira for el foli co scritto le istruzion, come se ga da far en te ste situazion: no corer, no far gesti, no scampar, star fermi che 'l nara'...e po': taiar! Ma l'orso furbo che 'l se la rideva, en po' 'mpaza' l'era però anca lu:... corerghe dre?... stremirlo?...nol saveva targhe do bruzi? El che pensava su. El tira for dal pel le so istruzion, po' 'l sera su e 'l pensa:" ma mi son n' orso bon!!" Così pu o men lei nada: el fongarol l'è scampa' via e pei zonti, e l'orso pianpianel drio ala so strada. Qualcos però a ste regole se poderia zontar: Prima de veder l'orso capitar strenze' le ciape e taca' a scampar e...le istruzion? De voi come vole' le vegnera' po' comode a netarve 'l dedre'!!! ( Rosanna Gasperi)
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Comitato 18 settembre 1917 di Armando Munao’
Carzano, in ricordo dei caduti C
ome ogni anno ritorna il tradizionale appuntamento a Carzano con una due giorni (14 e 15 settembre) che come sempre trova la sua conclusione nella solenne cerimonia commemorativa della domenica. Un appuntamento ormai più che tradizionale, ma allo stesso tempo sempre nuovo perché ogni passo, anche piccolo, che si compie verso la fratellanza fra i popoli, costituisce una grande tappa nel periglioso ma irrinuncia-
Il generale Cesare Pettorelli Lalatta
bile cammino che ha per traguardo il raggiungimento della pace. Incontri, convegni, dibattiti, tutti di alto livello e sempre con la partecipazione di personalità di rilievo: a questo proposito, se non interverranno impedimenti dell’ultima ora, a Carzano saranno presenti anche i vertici nazionali dell’Associazione Nazionale Bersaglieri. Partecipando al Raduno Interregionale Nord Italia dei Bersaglieri, tenutosi a Borgo Valsugana, hanno voluto rendere omaggio il 1° giugno ai Caduti di Carzano, in particolare al 72° Battaglione Bersaglieri, eroici e sfortunati protago-
nisti del “Sogno”, purtroppo infranto, della notte del 18 settembre 1917. E sono rimasti colpiti e affascinati dalla cura con cui questa piccola, ma tanto vivace e sensibile comunità della ValLa Fanfara Garibaldina di Treviolo - Brescia sulla piazza di Carzano sugana, ricorda e polto il Generale Cesare Pettorelli Lacommemora quel fatto d’ arme, dal latta perché il nome di Carzano ha quale anni fa ha preso il via l’impegno dato vita per due mesi al mio sogno per la pace fra i popoli che l’annuale più bello- Desidero riviverlo nella nocerimonia di Carzano continua a prostra bella terra in mezzo ai miei soldati muovere, riservando lo stesso amore e che sono tutti qui a ricordare a me e a lo stesso onore a tutti i Caduti, dell’uno quanti verranno dopo di me, che il soe dell’altro schieramento. gnare e l’osare per la Patria è sempre Quest’anno la commemorazione sarà bello anche se il sogno resta tale e l’odedicata all’ideatore e protagonista sare non è servito a nulla”. principale di quel “Sogno” (infranto, Appuntamento quindi a Carzano sabacome lui stesso lo definì), il Generale to 14 con inizio ore 15,00 con il conveCesare Pettorelli Lalatta, nel 50° annigno di studi “ I Giorni di Carzano” e versario della sua scomparsa. Non serconclusione domenica 15 ore 16,00 vono commenti o presentazioni: fu lui con l’ammainabandiera preceduta alla stesso, dopo aver espresso il desiderio ore 14,40 dal concerto della Fanfara di riposare nel Cimitero di Carzano, Bersaglieri” Carlo Valotti di Orzinuovi che accoglie anche le spoglie di sua (BS) moglie e di sua figlia, a dettare le parole scolpite nella lapide: “Vicino ai soldati che la notte del 18 settembre 1917 parteciparono con lui al fatto d’arme di Carzano e vi fecero olocausto della loro vita, ha Omaggio a S.A.I.R. Arciduca Martino d'Austria-este Componente d'onore del comitato voluto essere se-
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Sport e amicizia
di Waimer Perinelli
Il viaggio americano bocce e grattacieli Ci siamo lasciati a luglio con la vittoria trentina sulla squadra americana di bocce. Gli statunitensi hanno voluto la rivincita e ci hanno invitati a Chicago. Ci siamo andati e le bocce sono diventate un viaggio nella memoria.
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a Route Sixty six sembra una banale strada provinciale, come la SS 12 del Brennero, fiancheggiata in parte da grandi autostrade, highways, a sei corsie. Ma questa strada 66 è invece una leggenda per gli Stati Uniti; è quella resa storica da Jack Kerouac nel suo romanzo “On the road” pubblicato nel 1957. E' settembre del 2005, siamo sulla mitica Route 66. Il pulmann organizzato da Danny Passaglia presidente della Federazione Bocce degli stati centrali degli USA, è partito da Chicago di prima mattina. A bordo la squadra nazionale di bocce degli Stati Uniti e una rappresentanza del Trentino con giocatori di Caldonazzo, delle valli di Non e Sole. Historic Illinois 66 route Begin è scritto sul cartello che nella capitale dell'Illinois indica la partenza della strada che, con i quattromila chilometri di percorso, porta a Santa Monica in California attraversando otto Stati. Un viaggio raccontato da Kerouac nel romanzo diventato simbolo e testamento della beat generation ed al quale sono approdato a metà degli anni sessanta grazie a Fernanda Pivano. Ma oggi ho la possibilità di percorrere e vedere quei luoghi grazie allo sport delle bocce. Nessuno avrebbe scommesso un centesimo che, dai due modesti campi di bocce di Caldonazzo,
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saremmo arrivati ai bocciodromi degli Stati Uniti, dove questo sport è chiamato italy game. Il gioco italiano era praticato da immigrati e figli di immigrati dal Trentino, tirolese e italiano, ma e soprattutto, da toscani. Il sole sta sorgendo alle nostra spalle. Siamo diretti a ovest verso il Missouri, alla città di Saint Louis, quella attraversata dal Mississippi, altro leggendario fiume della letteratura americana. E' ora di colazione e Danny, figlio di un soldato statunitense di origine toscana e della levicense Prighel, ferma il pulmann in una piazzola dov'è aperto il ristorante di un Motel. Per i trentini più raffinati c'è perfino il caffè espresso, per chi vuole nuove emozioni, uova, pancetta, wur-
stel e sidro. E perfino alcune stanze adibite a museo del reggiseno. “Normale, ci spiegano, qui ne hanno dimenticati tanti”. Raccontano forse la gioia, la fretta o il senso di colpa della trasgressione a cui si legano nel leggendario quotidiano questi alberghi di strada. Sul pulmann ci accompagnano nel lungo viaggio John Belushi e Dan Aykroyd protagonisti del film The Blues Brothers di John Landis, proiettato sul televisore di bordo. Più che un percorso stradale sta diventando un viaggio nella memoria. E poi, dopo una breve sosta a Springfilds dov'era vissuto Abramo Lincoln, siamo arrivati a St Louis mentre il sole di mezzogiorno illuminava l'Arco della Porta che scavalca il grande fiume
La squadra trentina a Chicago, Augusto Baldessari (primo da sinistra) con accanto Waimer Perinelli
Sport e amicizia
ed alla cui base c'è un museo antropologico degli Stati Uniti. I campi di bocce sono un po' fuori città, in una zona periferica di un quartiere fatto di case in mattone rosso e rivestite da assi di plastica. Tutte hanno un minuscolo cortile e molte sulla ringhiera del patio, la bandiera americana per amor di patria ed i ricordo dei caduti nelle diverse guerre. La squadra di bocce statunitense, dopo l'esperienza italiana, si è rafforzata con un giovanissimo ispano americano. A punto o a tiro di raffa o al volo, non sbaglia una boccia ma per fortuna ne ha solo due. La rappresentanza trentina vince, ma a fatica. Sei giorni prima avevamo sconfitto gli americani a Chicago e successivamente a Milwakee, il capoluogo della Contea nello stato del Wisconsis a nord ovest dell'Illinois. In questa città, per merito Danny, avevamo vissuto la vita del tifoso americano di
baseball dove i leggendari giocatori di casa avevano affrontato gli Yankees di New York. Tempi di gioco infiniti, alleggeriti da cartocci enormi di patatine fritte, hot dog, il nostro wurstel, farcito senza economia da senape, maionese e altre salse rosse, bianche, blu, gialle. Non ricordo chi vinse. Ricordo il tifo degli spettatori, le majorette in campo, il grande schermo, oggi comune anche in Italia, nelle partite di calcio, dove venivano annunciati i giocatori e segnati i risultati. Ricordo la nostra vittoria nelle bocce e la grande festa, con spirito sportivo, che Danny Passaglia organizzò in un locale in vetta al grattacielo di Chicago: sembrava di essere sulla cima del Campanil basso sul Brenta, ma sotto il panorama era quello di una città alta dove i grattaceli sembrano immersi nel grande lago Michigan, quasi un mare, e la gente si agita inseguendo il sogno americano.
Anche noi abbiamo un sogno, chissà: una boccia tira l'altra.
Waimer Perinelli e Augusto Baldessari
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Storia di casa nostra di Elisa Corni
Gatti randagi, istruzioni per l’uso
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asseggiando per le strade delle città e dei paesi italiani non si può fare a meno di notare quanti cani ci siano. A confermare ulteriormente l’amore per gli animali domestici i dati raccolti da Eurispes per il 2018 ci dicono che sempre più famiglie italiane vivono con un amico a quattro zampe. Eppure i fenomeni del randagismo e dell’abbandono sono ben lungi dall’essere esauriti. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2015 in Italia si abbandonavano circa 80 mila gatti e 50 mila cani. Nella nostra Provincia, il problema dell’abbandono dei cani è estremamente contenuto: la maggior parte delle persone sa ormai a chi rivolgersi (canili, associazioni e volontari) in caso di necessità. Diversa è la questione dei gatti che, complice l’esenzione dell’obbligo di registrazione e chippatura dell’animale presso l’APSS locale, è un fenomeno ancora troppo diffuso. “Gli abbandoni sono alti anche nel cosiddetto civile trentino. Non siamo in
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grado di quantificare con precisione il numero di gatti randagi nel nostro territorio, ma stimiamo si tratti di 4-500 individui” racconta Claudia, una delle volontarie che si occupano dei mici randagi nella nostra provincia. Bisogna anche pensare a quelle che sono le conseguenze a mediolungo termine dell’abbandono di gatti non sterilizzati. Le stagioni degli amori, per i gatti, sono due o tre all’anno. A ogni gravidanza, che dura due mesi, una gatta partorisce tra i due e gli otto gattini; mediamente, dunque, cinque gattini. indicativamente, dunque, una femmina può dare alla luce fino a quindici cuccioli nell’arco di un anno. Posto che molti di questi potrebbero essere femmine che raggiungono la maturità in pochi mesi, nel giro di un anno da una singola gatta può nascere una comunità di randagi di dimensioni piuttosto rilevanti.
Oltre alla sensibilizzazione della cittadinanza di fronte ai rischi dell’abbandono di felini domestici, cos’altro possiamo fare noi comuni cittadini? Vi raccontiamo in queste pagine quanto accaduto a Caldonazzo dove, proprio a causa dell’abbandono di una gatta in dolce attesa, tra l’estate del 2018 e i primi mesi del 2019 si è formata una piccola colonia di gatti randagi. Tutto ha avuto inizio con la nascita dei tre gattini che, nel corso della scorsa estate, hanno cominciato a farsi vedere assieme alla madre in un’area protetta dell’abitato lacustre: ben difesi da grandi giardini, frutteti e case private, per lunghi mesi hanno vissuto sereni e lontani dai pericoli. I residenti della zona hanno però cominciato a notarne la presenza e, mossi dalla curiosità, a studiarne orari, comportamenti e abitudini. Una piccola indagine nel quartiere ha portato alla conferma che i gatti non erano di nessuno: la femmina è comparsa dalla mattina alla sera, probabilmente già gravida. Crescendo, i gattini sono diven-
Storia di casa nostra
tati intraprendenti e nel vicinato diverse famiglie hanno cominciato ad avvicinare loro e la madre, nutrendoli quotidianamente. Messi in sicurezza e stabilizzati, i cittadini si sono visti di fronte a un annoso problema: alla successiva stagione degli amori, quanti nuovi gatti randagi sarebbero nati? Per fortuna in Provincia di Trento esiste il gruppo di volontarie di cui fa parte Claudia che, su indicazione dell’APSS, si occupa della cattura e della successiva sterilizzazione presso i veterinari provinciali dei gatti randagi. “Siamo le Volontarie per i Gatti della Lega Nazionale del Cane, Sezione di Trento; abbiamo una pagina facebook omonima dove chi ne ha bisogno può trovare i nostri
contatti. Ci occupiamo sia della cattura e sterilizzazione di individui randagi, sia di colonie dove chi se ne prendeva cura purtroppo è venuto a mancare. Ci arrangiamo con le poche offerte che raccogliamo anche ad esempio al mercato dei gaudenti.” Per quanto riguarda la piccola colonia di Caldonazzo, è bastato recarsi agli uffici comunali -in questo caso di entrambi i comuni di Caldonazzo e Calceranica dove vige la gestione associata e la distribuzione delle mansioni; l’ente pubblico ha poi messo la spesa per la sterilizzazione a bilancio e si è quindi proceduto con la cattura dei gatti randagi. In pochi giorni i 5 individui stanziali della colonia sono stati recu-
perati e portati dal veterinario, con grande gioia dei residenti nella zona. Quattro erano femmine, con il concreto rischio che in poco tempo la colonia lievitasse, causando seri disagi ai residenti e agli animali domestici della zona. “Ora i gatti sono della comunità intera” ha dichiarato una delle volontarie “la loro presenza sarà monitorata costantemente. Ma soprattutto saranno loro stessi a controllarsi, evitando l’arrivo di nuovi individui”. Un singolo abbandono, quindi, può comportare grandi disagi e pericoli anche per gli animali stessi. Nel nostro territorio esistono realtà in grado di venire in contro a chi ha difficoltà, perciò: non abbandonate!
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Il Coro Fili d’Argento
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uando canta regala momenti di felicità e di allegria il coro Fili d’Argento del Circolo Comunale Pensionati e Tempo Libero di Borgo Valsugana. Nato 25 anni fa, il coro attualmente ha in repertorio un' ottantina di canti popolari del Trentino e di altre regioni italiane e una decina di canti natalizi. L’attività concertistica si svolge per la maggior parte nelle case di riposo delle nostre comunità, nei Centri diurni e nei vari circoli pensionati. Lo scorso anno ha partecipato ad una trentina di eventi. “Siamo un coro di pensionati - spiega il maestro Ezio Segnana - ed il numero dei nostri coristi si sta assottigliando, soprattutto a causa dell’età che avanza”. Attualmente il coro conta 24 coristi e trovarne di nuovi è sempre più difficile “anche perché non si è ancora compreso del tutto – prosegue Segnana -che il cantare insieme fa bene alla salute e regala molti momenti di serenità e soddisfazione. È nostra intenzione continuare con l’attività del coro, anche perché, con il nostro repertorio, contribuiamo a creare relazioni gioiose e momenti di incontri sereni per tanti. La gioia con cui ci accolgono, soprattutto nelle case di risposo, è la dimostrazione più bella che il nostro canto fa bene alla mente e allo spirito”. Servono forze fresche, da qui l’appello lanciato sia dallo Segnana che dal presidente del circolo di Borgo Lucia Voltolini dove i coristi si incontrano una volta la settimana per le prove. “Non è indispensabile una conoscenza musicale particolare – conclude il maestro - ma soltanto un minimo di intonazione e la voglia di cantare in compagnia. Aspettiamo fiduciosi che si avvicinino al nostro coro tante persone con la voglia di cantare insieme e di fare anche del bene”. Per informazioni e contatti la sede del Circolo Pensionati, in p.zza De Gasperi 3 di fronte al Municipio di Borgo, è aperta ogni mercoledì mattina dalle 9 alle 11. (M.D.)
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CENTRO SERVIZI CONTABILI sas Dottore Commercialista Revisore Contabile
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Le cronache locali
L’8 e il 9 febbraio 2020 diventerà la
“Città della Danza” A
febbraio 2019 Caterina Gigliotti, Stella Pegoretti, Eni Minxolli, Denise Cetto, Alice Fiorentini, Nicole Zaccaron, danzatrici valsuganotte Allieve della ASD IN PUNTA DI PIEDI guidate da Samantha Gabban e Camilla Nardelli partirono per l’avventura 2019 con l’obiettivo dei Mondiali di danza in Portogallo… La prima tappa di selezione fu Catania, nel 2019 sede delle finali nazionali., dove confluirono decine di scuole provenienti da tutta Italia. Ebbene, un lungo lavoro di intese, trattative, valutazioni con la DWC curate dalla Presidenza della ASD IN PUNTA DI PIEDI, ha portato a Levico Terme per il 2020 l'eliminatoria della Finale Nazionale delle Scuole di Danza Italiane. La notizia UFFICIALE è arrivata a fine agosto.
Ad inizio settembre 2019 la Direzione Nazionale della DWC sarà a Levico Terme per incontrare le autorità comunali, l’APT, il CSEN provinciale e gli Enti Regionali e Provinciali preposti alla promozione dello Sport e Cultura che sicuramente saranno al fianco della ASD nel realizzare un evento qualificante e di visibilità nazionale per il Trentino e per Levico Terme. L’8 e il 9 febbraio 2020 Levico Terme diventerà la “Città della Danza” dove approderà il meglio di quest’arte del Centro-Nord d’Italia: non solo classica ma anche moderno, tap, street dance, folk, hip-hop, ecc. Le eliminatorie nazionali per l’ammissione alla Coppa del Mondo a Cine-
città (Roma) fissata dal 26 giugno al 4 luglio 2020, si svolgeranno in quel weekend presso il Palalevico davanti ad una Commissione tecnica internazionale. Per IN PUNTA DI PIEDI parteciperà un team sostanzioso diviso per settori, puntando al superamento degli ambiziosi risultati ottenuti nel 2018.
CALDONAZZO
Pensionati in festa
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ensionati di Caldonazzo in festa per la “merenda di mezza estate” svoltasi sotto il grande tendone alla presenza di almeno un centinaio di iscritti al locale Gruppo. E con l’occasione è stata festeggiata alla grande la signora Carmen Sadler ved. Paoli per il raggiungimento, ancora in splendida salute, del secolo di vita. Con lei sono state festeggiate anche le nozze d’oro di tre coppie del paese: Guido Costa e Graziella Ghesla, Silvano Rigon e Natalina Casagrande, Angelo Frigerio e Lucia Conci, anche se Angelo non ha potuto essere presente. Hanno fatto gli onori di casa la presidente del gruppo Rita Girardi ed il primo citAl centro la centenaria con a fianco le coppie tadino Giorgio Schmidt, che hanno pure premiato i festeggiati Guido e Graziella, Silvano e Natalina con ricchi mazzi di fiori. Parole di partecipazione e di lode sono venute anche dalla presidente del gruppo pensionati di Calceranica al Lago Gilia Fontana e dal membro del collegio dei revisori Silvano Mattè che ha pure condotto la ricca lotteria. Hanno fatto da cornice le musiche di Roberto Murari. (M.P.)
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In collaborazione con TERRE DEL LAGORAI
di Armando Munao’
I vitigni resistenti
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uando si parla di vitigni resistenti (denominati con l’acronimo PIWI) ci si riferisce ad una particolare varierà di uvaggio “ibrido” in grado di resistere a numerose malattie e quindi abbattere l’utilizzo di agenti chimici. Il termine PIWI deriva dalla parole tedesca Pilzwiderstandfähig anche perché la maggior parte dei vitigni resistenti proviene appunto dalla Germania. Queste particolari coltivazioni si stanno sempre più espandendo e le regioni italiane che adottano impianti con vitigni resistenti sono prevalentemente in Veneto, Trentino Alto-Adige e Friuli Venezia-Giulia. Nello specifico i PIWI nascono da un incrocio tra le varietà di vitis vinifera e varietà di vite americane, quest’ultime, da sempre, molto resistenti sia gli insetti che ai funghi. Secondo dati storici i primi ibridi furono sperimentati in Francia tra il
1800 e il 1835 e lo scopo era quello di creare una varietà di uva che, mantenendo le qualità del vitigno europeo, presentasse una forte e spiccata resistenza alla peronospora e all’oidio e fosse meno sensibile agli stress idrici o ai cambiamenti climatici, Gli studi successivi sui vitigni resistenti, poi, hanno permesso di creare nuovi incroci molto più complessi tant’è che sono entrati a fare parte delle coltivazioni usuali e quindi ammessi ed inseriti anche per la produzione di vini di qualità, biologici e naturali, nel rispetto delle vigenti normativa italiane ed europee. Nella nostra regione esiste, come il loro sito evidenzia, “l’Associazione PIWI TRENTINO che fa riferimento a PIWI International ed è composta da un gruppo di viticoltori trentini attenti alla sostenibilità ambientale, i quali da alcuni anni coltivano i vitigni resistenti, conosciuti anche come “super-bio”, perché, come prima eviden-
ziato, permettono di eliminare del tutto o quasi i trattamenti anticrittogamici e di produrre quindi vini di altissima qualità nel totale rispetto dell’ambiente circostante. L’associazione, viene precisato, è il punto di incontro e di aggregazione per coltivatori professionisti ed appassionati e permette di fare la giusta informazione sui prodotti, ma soprattutto sulla filosofia di maggior sostenibilità ambientale, sia come tutela degli agricoltori che dell’ambiente e del consumatore finale. Il PIWI TRENTINO nasce non solo per promuovere lo scambio di informazioni tra istituti di ricerca, coltivatori e produttori dei vini PIWI, vini prodotti con varietà di uva resistenti, ma anche per avvicinare il consumatore finale alla conoscenza di questi nuovi vini naturali e dei suoi produttori organizzando incontri e degustazioni in luoghi simbolo del Trentino e presso le cantine associate tra le quali TERRE DEL LAGORAI in Valsugana.”
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L’inchiesta di Altroconsumo Alice Rovati
Antibiotico-resistenza
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acciamo un salto nel secolo scorso. Siamo di fronte a una guerra: quella dell'uomo contro le infezioni. La maggior parte delle battaglie ci vedono sconfitti: una banale ferita che s’infetta; una polmonite che rapidamente peggiora; un’appendicite che si perfora e diventa peritonite. Anni fa le infezioni hanno sterminato gli uomini. Poi è arrivata la penicillina e tutti gli antibiotici che conosciamo e la nostra vita è cambiata in meglio. Ma i batteri non sono stati a guardare. Come i mostri dei videogiochi, si sono rialzati e adattati alle armi che abbiamo usato contro di loro: sono diventati sempre più resistenti. E i farmaci che prima funzionavano e sconfiggevano le malattie, hanno iniziato a perdere qualche colpo, a essere a tratti inefficaci. Risultato? Ogni anno, secondo quanto diffuso dall'Unione europea, muoiono
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33mila persone a causa di infezioni dovute a batteri resistenti. Una situazione che va peggiorando: nel 2016 i decessi erano 25mila. Oltre alle perdite umane, dobbiamo fare i conti anche con i soldi: il costo della spesa sanitaria e la perdita di produttività causata dall'antibiotico-resistenza tolgono dalle tasche dell'Europa 1,5 miliardi di euro all'anno. L'attenzione alla resistenza agli antibiotici è in costante aumento. Il fenomeno nasce quando i microrganismi esposti agli antibiotici riescono a sviluppare una forma di resistenza che permette loro di sopravvivere. La causa non è solo l'uso inappropriato degli antibiotici che facciamo (per esempio prendendoli quando non sono necessari perché l'infezione è virale), ma è anche l'impiego non oculato fatto in ambito veterinario. In Italia il 70% degli antibiotici venduti è
destinato agli animali: in Europa siamo il terzo paese - dopo Cipro e Spagna - per l'uso di questi farmaci negli animali da allevamento. Fino al 2006 in Europa gli antibiotici venivano addirittura impiegati negli allevamenti allo scopo di stimolare la crescita degli animali: ora è vietato, ma anni di abusi hanno comunque lasciato conseguenze. I farmaci continuano a essere giustamente usati a scopo curativo. Il problema dell'antibiotico-resistenza non riguarda solo l'ambito medico, ma anche la sicurezza alimentare. Quando consumiamo carne di pollo (ma attenzione, anche di manzo o maiale) contaminate da questi batteri, ci esponiamo al pericolo che il meccanismo di resistenza passi da questi microrganismi, non necessariamente pericolosi, ad altri, magari già in circolo nel nostro organismo, che sono in-
L’inchiesta di Altroconsumo
vece in grado di causare malattie, in seguito molto più difficili da curare. Per vedere il livello di rischio al quale siamo esposti abbiamo portato in laboratorio 42 campioni di carne di pollo, acquistati in supermercati e macellerie di Milano e Roma. Su tutti i campioni abbiamo trovato uno o più geni portatori di resistenza (alle tetracicline e ai beta-lattamici, gli antibiotici più usati in medicina, cui appartengono le penicelline, amoxicil line...). Per fortuna sulla carne non ci sono geni di resistenza alla colistina, un antibiotico salvavita, la cui efficacia deve essere preservata. I risultati del test devono mettere in luce il problema, senza allarmismi: cuocendo bene la carne e prestando attenzione alle operazioni in cucina si evita di incappare in questo rischio. NON CONFONDIAMOCI: se l'etichetta dice che il pollo è "allevato senza uso
di antibiotici" si può stare più tranquilli? Nel nostro test è emerso qualche segnale positivo, ma purtroppo non riguarda tutti i campioni con questo claim. Non mettiamo in dubbio le buone pratiche di allevamento, ma purtroppo anche se l'animale non ha mai ricevuto antibiotici, né in incubatoio né in fase di allevamento, può essere comunque portatore di resistenza perché il problema ormai è troppo esteso. Neanche l'indicazione "allevato a terra" garantisce più salubrità. In realtà non significa nulla (l'allevamento in gabbia è vietato), perché tutti i polli da carne sono allevati a terra: è un metodo standard che prevede circa 10 polli in un mq. Se proprio vogliamo un pollo allevato con un occhio di riguardo al suo benessere dobbiamo comprarne uno "allevato all'aperto", "rurale all'aperto", "rurale in libertà" o "biologico". Questo non ci
tutelerà dall'eventuale presenza dei geni della resistenza, ma il pollo ringrazierà per avergli concesso un'esistenza migliore. Per difenderci dal fenomeno dell'antibiotico-resistenza, la prima cosa da fare è stare in guardia: corriamo il rischio di arrivare a un punto in cui saremo a corto di antibiotici efficaci e di ritrovarci nella stessa condizione in cui eravamo prima che gli antibiotici fossero scoperti. Con test e campagne, in passato abbiamo portato alla luce il problema quando ancora era sconosciuto ai più. E qualcosa si è mosso.
La dott.ssa ALICE ROVATI è rappresentante di Altroconsumo per la Provincia di Trento: (rappresentantetrento@altroconsumo.it)
LEVICO TERME
Il libro di Fabio Recchia
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’stato presentato recentemente a Levico Terme, il nuovo libro dello scrittore artista levicense Fabio Recchia “Il terzo occhio” (Magi editore, 2019) e l’appuntamento è stato organizzato dalla Biblioteca comunale in collaborazione con l’associazione “Beniamino Joppolo”-Patti. Presente l’autore, la serata è stata introdotta da Luigi Ruggeri, presidente dell’Associazione Beniamino Joppolo-Patti. Presente anche il vicesindaco ed assessore alla Cultura del Comune di Levico Terme Patrick Arcais. Fabio Recchia, come è stato detto alla presentazione, “sceglie la poesia per dipingere le sue visioni e come poeta sceglie la pittura per comunicare emozioni.” Da un estratto dalla prefazione di Luigi Ruggeri: “Il libro, pubblicato per la casa editrice Fabio Recchia Magi, e dedicato a Leonardo Da Vinci in occasione del 500° anniversario della sua morte, raccoglie più di 140 poesie scritte dal poeta e pittore Recchia”. Alle poesie si affiancano acquerelli e quadri che esprimono e accompagnano emotivamente i brevi versi. Leggendo e guardando le opere di Fabio Recchia appare chiaro come sia la pittura che la poesia, si esprimono attraverso immagini: le prime innanzi ai nostri occhi, le seconde si trovano all’interno della nostra mente. Dimensione pittorica e necessità lirica si snodano fra lo spazio e il tempo. Il quadro è nello spazio, mentre la poesia è nel tempo perché essa è movimento, progressione, passaggio”. Fabio Recchia, nato a Levico nel 1953, si è laureato in farmacia nel 1978 e da poco ha raggiunto la meritata pensione. Cavaliere al merito della Repubblica Italiana, si è sempre impegnato in politica e nel sociale. La sua passione per le arti grafiche e la poesia lo hanno portato dal 1984 ad oggi a diverse pubblicazioni e a mostre sia personali che collettive in Italia e in Germania. (M.P.)
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Medicina & Salute di Laura Fratini *
Il disturbo dell’attenzione, iperattività e Impulsività A scuola è sempre distratto, non sta mai sui libri, è sempre disordinato… e se non fosse colpa sua?
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ssere genitori a volte è faticoso, soprattutto quando i nostri figli iniziano ad andare a scuola. E’ spesso in questo contesto che si inizia a doversi confrontare con una realtà dove ordine e disciplina sono fondamentali e, in assenza della figura genitoriale, emergono comportamenti difficili da gestire. Talvolta accade che ci troviamo ad affrontare un andamento scolastico altalenante, se non negativo, che porta a pensare a indolenza e pigrizia e che magari in famiglia manchi una educazione. E se non fosse così? Certo, non si può generalizzare, perché a volte se uno va male a scuola è solo perché non ha voglia di studiare o manca la disciplina, ma esiste un disturbo neuro-comportamentale, frequentemente diagnosticato proprio nell’età dello sviluppo, che solo negli ultimi anni è diventato oggetto di studio e ha portato a comprendere che esiste un problema reale che sfugge alla volontà della bambina, del bambino o dei genitori. Nei manuali è chiamato ADHD, Attention Deficit Hyperactivity Disorder, ovvero disturbo dell’attenzione e da iperattività, si manifesta, nella prima infanzia, principalmente con due classi di sintomi: un evidente livello di disattenzione ed una serie di comportamenti che denotano iperattività ed impulsività. Chi è affetto da ADHD, di solito non riesce a seguire le istruzioni fornite, è disorganizzato e sbadato nello svolgimento delle propria attività, ha diffi-
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coltà nel mantenere la concentrazione, si fa distrarre molto facilmente dai compagni o da rumori occasionali e raramente riesce a completare un compito in modo ordinato. Le manifestazioni di iperattività e impulsività sembrano essere attribuibili ad una difficoltà di inibizione dei comportamenti inappropriati. I bambini con disturbo dell’attenzione esprimono questa difficoltà con agitazione, difficoltà a rimanere fermi, seduti o composti quando viene loro richiesto. Nello specifico ci dobbiamo soffermare sul l’osservazione di tre tipi di com-
portamento caratterizzanti l’ADHD. Disattenzione: il soggetto fatica a mantenere il focus attentivo su un compito specifico, tende alla distrazione e a vagare con lo sguardo cercando sempre nuovi stimoli che possano attivarlo. Iperattività: l’iperattività implica un’eccessiva attività motoria, un dimenarsi, la sensazione che il bambino sia “sotto pressione”, tamburellamenti, loquacità; tali comportamenti si manifestano in momenti e situazioni in cui non sono appropriati. I bambini con iperattività giocano in
Medicina & Salute
modo rumoroso, parlano eccessivamente con scarso controllo dell’intensità della voce, interrompono persone che conversano o che stanno svolgendo delle attività, senza essere in grado di aspettare il momento opportuno per intervenire; i genitori e gli insegnanti li descrivono sempre in movimento e sul punto di partire, incapaci di attendere una scadenza o il proprio turno. Impulsività: L’impulsività si manifesta con azioni estremamente affrettate e che avvengono all’istante, spesso con elevato rischio per l’individuo. L’impulsività può esprimere un desiderio di immediata ricompensa, manifestandosi anche con comportamenti invadenti, come interrompere gli altri in modo eccessivo, o prendere decisioni importanti senza riflettere sulle possibili conseguenze nel lungo termine. In età infantile è facile trovare la combinazione di questi tre sintomi quando si parla di ADHD. Ci sono quei bambini che mostrano soltanto il sintomo della disattenzione, in questo caso avranno minori problemi a livello comportamentale e minori difficoltà nelle interazioni con i pari; e questo può indurre genitori e insegnanti a trascurare la sintomatologia.
Possono stare seduti in modo tranquillo, ma la loro attenzione non è diretta a ciò che stanno facendo o a ciò che l’insegnante spiega. Questo disturbo, può protrarsi in età adulta e il tasso di prevalenza mondiale è tra l’1 e il 7% (de Zwaan et al., 2012). Spesso queste persone soffrono anche di altri disturbi in comorbilità come i disturbi dell’umore, i disturbi d’ansia, l’abuso di sostanze e i disturbi di personalità. In età adulta questo disturbo non ha un andamento ben definito e spesso la diagnosi differenziale può fare la differenza per una buona cura del problema. Ecco perché occorre essere genitori attenti e provare a capire se esiste un problema di questo tipo. Ma quali sono le cause dell’ ADHD e come si affronta? Vanno sicuramente considerate le variabili di natura biologica che si presentano in epoca pre o perinatale e che possono implicare danni cerebrali o particolari difficoltà legate al decorso della gravidanza, al parto, o che possono presentarsi nella prima infanzia. Ma non si può trascurare il legame conflittuale che si instaura tra genitori e bambino, che influirebbe aumentando notevolmente la probabilità che il disturbo si manifesti a pieno, in tutta la
sua gravità. Il trattamento del disturbo da ADHD è sicuramente un trattamento complesso, dove si prendono in considerazione la terapia farmacologica, la psicoterapia e la psico-educazione. Ma chi pensa ai genitori? Se è vero che è il bambino il primo a soffrire di queste problematiche, esiste una dimensione che talvolta viene sottovalutata: quella della madre e del padre. Non è facile per un adulto affrontare un disturbo che da una parte può farci sentire inadeguati nel nostro ruolo genitoriale, dall’altra ci pone nel vortice del giudizio altrui, perché il bambino che ne soffre talvolta viene liquidato come un “teppista” o un “somaro” e la colpa ricade immediatamente su chi lo ha educato. Ma non è così e i genitori possiedono poche strategie di gestione del comportamento del figlio. Se non sono preparati, fraintendono i comportamenti del bambino, hanno nei loro confronti aspettative negative e valutano i comportamenti problematici come intenzionali. A ciò si aggiunge la frustrazione con cui vivono la sensazione di perdita di controllo del proprio ruolo. E’ quindi fondamentale, quando ci si accorge che il proprio figlio ha un disturbo dell’attenzione e dell’iperattività, pensare anche a sé stessi: un percorso terapeutico cognitivo comportamentale è spesso un aiuto per raggiungere una piena comprensione del problema e nella gestione dei comportamenti problematici presenti, così che vi possa essere un equilibrio più duraturo nel tempo. Per poter aiutare i propri figli, occorre soprattutto capirli ed essere sereni con noi stessi.
*dott.ssa Laura Fratini Psicologa - Psicoterapeuta Studio, Piazzale Europa n°7 - Trento Tel. 3392365808
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Medicina & Salute
di Erica Zanghellini *
Conosciamo l’Alzheimer
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ivere accanto a una persona malata di Alzheimer non è semplice, spesso ci si trova impreparati. Magari i primi segni della malattia vengono ignorati, si minimizza oppure si sottovaluta, poi mano a mano che il tempo passa tutto comincia a diventare più evidente e con l’aumento prepotente delle manifestazioni si arriva anche alla diagnosi. Un primo consiglio che di solito do alle persone che vengono da me in questi casi, è di informarsi il più possibile, capire e approfondire i sintomi della malattia. Solo in questo modo si potrà far fronte al meglio delle varie difficoltà che ci si troverà ad affrontare, soprattutto se si decide di seguire il proprio caro a casa. Uno degli obiettivi importanti infatti, da perseguire è cercare di offrire un’assistenza domiciliare integrata e intervenire con l’evolversi della malattia sui bisogni più complessi con un’ équipe formata che possa prendere in carico tutti i bisogni psico-sociali che in questi casi ci si ritrova a gestire. La demenza è una sindrome clinica cioè un insieme di sintomi che derivano dalla malattia cronica e progressiva che colpisce il nostro cervello. Premesso che ogni persona è a sé, possiamo dire che i sintomi che principalmente vengono riscontrati in questa malattia si possono dividere in due grandi categorie: i sintomi cognitivi, nel quale rientrano i deficit di memoria, del linguaggio, nella matematica, a livello di grafia, di orientamento spaziale e temporale, solo per citarne alcuni, e tutti quei sintomi definiti non cognitivi, ma che hanno un grosso impatto nella vita del paziente e di chi se ne prende cura.. tra questi troviamo, deliri, allucinazioni, sintomi affettivi
(come ansia e depressione), alterazioni del ciclo sonno e veglia, agitazione psicomotoria ecc ecc. Tali sintomi come è facilmente intuibile, minano le normali attività della vita quotidiana, dalle usuali attività lavorative, a quelle famigliari o sociali. La qualità della vita e delle autonomie progressivamente vengono sempre meno, fino a rendere la persona completamente dipendente da chi se ne prende cura. Nel 2005 l’American Alzheimer Association ha pubblicato un elenco di 10 segni che possono metterci in allarme per questo tipo di patologia e anche se è un po’ datato rimane sempre molto utile da tener presente. Premettendo che non tutte le persone che presentano questi campanelli di allarme hanno questa disfunzione rimane auspicabile che chi si riconosce o che riconosce un proprio caro approfondisca con il medico di famiglia o con uno specialista del settore la situazione . Ecco l’elenco individuato da questa associazione del settore: • La persona va spesso in confusione e presenta vuoti di memoria, • La persona non è più in grado di svolgere le normale attività di tutti i giorni, • Fatica a trovare le parole giuste nei discorsi, • Ha importanti sbalzi di umore, • Il suo carattere appare cambiato, non è più quello di un tempo, • Presenta sempre meno interesse e spirito di iniziativa nelle cose, anche
quelle che una volta erano le sue attività preferite, • Appare disorientato, • Ripone gli oggetti in posti inusuali o strani, • Ha difficoltà nella gestione dei soldi e di conseguenza nei calcoli, • Incontra difficoltà a vestirsi, per esempio indossa un abito sopra un altro e non ha concezione dell’errore commesso. Come potete vedere i sintomi sono i più disparati, ma rimane importante non sottovalutarli. Ricordiamoci che anche se è vero che al momento questa malattia rimane inarrestabile, rimane altrettanto vero che soprattutto nelle prime fasi, una sollecitazione adeguata può rallentare l’evoluzione di tale malattia. Per cui non arrendiamoci, raccogliamo tutte le nostre energie e combattiamo con tutta la forza che abbiamo. Questo è il caso in cui la tempestività dell’intervento fa la differenza, per cui se vi trovate in questa situazione non abbiate paura, chiedete aiuto. *Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel. 3884828675
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Salute & Benessere di Armando Munao’
Conosciamo la pranoterapia
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a pranoterapia o bio-energia è una pratica di medicina alternativa che consiste nell'imposizione delle mani in corrispondenza della parte malata allo scopo di permettere il passaggio di una particolare energia curante chiamata “prana” (definita anche "soffio vitale"), tra il corpo del pranoterapeuta e quello del paziente. Questa energia vitale è presente in misura diversa in tutti gli esseri viventi, la differenza, però, è data dal fatto che solo certi individui sono particolarmente dotati. Il pranoterapeuta è una persona particolare dotata di un campo elettromagnetico vitale che, in modo molto più potente rispetto ad altri e in quantità più elevata del normale, è capace di trasmettere questa energia e quindi influenzare il campo elettromagnetico del paziente, provocando in esso significativi cambiamenti. L'intervento del pranoterapeuta consiste dunque nel ripristinare questo equilibrio passando le proprie mani su certe zone del corpo umano e sugli organi afflitti dal disturbo. Per saperne di più e per conoscere meglio la pranoterapia e quali malattie o disturbi si possono curare o trarre benefici, abbiamo intervistato la signora Rosanna Conci che di questa metodologia è una delle più qualificate esperte. La signora Conci, dopo oltre quarant’anni anni di esperienza professionale come pranoterapeuta, esercitati in gran parte a Torino, ma anche ad Aosta, Bari, Roma, Terni, e all’estero, è ritornata in Trentino, a Barco di Levico, suo paese natale. Un’intervista, la nostra, certamente qualificata perché moltissimi sono i periodici, le riviste e i quotidiani nazionali come La Stampa, Corriere della Sera, La Domenica del Corriere,
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zione soggettiva del paziente, nonché alla sua età e alla cronicità della malattia. In ogni caso, ripeto, la pranoterapia non deve e non vuole sostituirsi alla medicina tradizionale. A suo parere, la pranoterapia, come può essere utilizzata? In moltissimo casi si può considerare non solo come una sistema integrativo della medicina ufficiale, tant’è che nella regione Toscana è regolamentata come disciplina bionaturale (delibera n. 609 del 28 gennaio 2009), ma, non di rado, come azione preventiva poiché aumenta e favorisce le difese immunitarie. E mi creda, pur non avendo mai fatto miracoli, con le mie mani sono riuscita a portare dei benefici a delle persone che avevano o che presentavano i sintomi delle più disparate patologie, specialmente in bambini e giovani. Quindi sono i bambini e i giovani che possono trarre maggiori benefici? Sì, e ciò è confermato dalla mia lunghissima esperienza grazie ai numerosissimi casi trattati. Devo però aggiungere che non solo i giovani, ma anche gli adulti e gli anziani possono trarre benefici dalla pranoterapia.
Stop, Visto e altri ancora, sui quali sono stati riportati articoli con la citazione dei casi da lei trattati. Per la cronaca è una delle pochissime che gode di significativi attestati, documenti e riconoscimenti ufficiali. Un vero “personaggio” nel campo della pranoterapia. Signora Conci su quali malattie può agire la pranoterapia?: “Si possono curare, combattere o dare particolari benefici a malattie del sistema nervoso, del ritardo psicomotorio dei bambini, del sistema circolatorio, disturbi ormonali, malattie reumatiche e infiammatorie, malattie della pelle. La pranoterapia può essere considerata una terapia medica? La sua domanda mi permette di sottolineare che la pranoterapia non è una terapia medica o La Sig,ra Conci intervistata da Alberto Castagna a Canale 5 miracolistica, ma attraverso la bioenergia si può ridare benessere, la voglia di vivere, e aiutare a creare un equilibrio psicofisico del corpo umano. Inoltre, non avendo nessuna controindicazione, offre un’ottima possibilità di recupero fisiologico e psicologico. Recupero, è bene precisare, che è sempre da rapportarsi alla rea-
Le cronache locali VALSUGANA
Gli Schützen in Panarotta
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chützen e alpini insieme in ricordo degli Standschützen caduti nelle scorse settimane in occasione del 4° anniversario della posa della Croce sulla Panarotta che ne commemora la memoria. Standschützen tirolesi combattenti nella guerra dell’Italia all’AustriaUngheria, i primi ad essere delegati alla difesa del loro territorio, al momento dell’entrata in guerra dell’Italia. Alla chiamata risposero circa 23.500 uomini, dei quali 3.500 di lingua italiana. Persone provenienti da tutte le vallate tirolesi, di oltre cinquant’anni o giovani entro il ventesimo anno d’età. Tra di loro anche tanti valsuganotti che tennero alto il loro prestigio e morirono per l’ideale e per la difesa della Heimat. Caduti, stranamente “dimenticati” dalla storia. La croce si trova sulla cima della Panarotta, nel territorio del comune di Frassilongo/Garait. Alla cerimonia era presente anche una delegazione della Schützen Kompanie di Strigno e di Capraro. Al loro fianco anche gli alpini di Frassilongo ed il sindaco di Castel Ivano Alberto Vesco. Al termine della Messa e degli interventi delle autorità presenti l'Hauptmann della Schützen Kompanie di Strigno e di Capraro Mariano Dietre è stato insignito con la spilla della Croce Nera Austriaca.(M.D.)
PIEVE TESINO
Le spose in passerella
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’originale iniziativa è stata promossa dalla Pro Loco di Pieve e da Nicoletta Libardi. Dopo il successo dello scorso anno, le vie del centro storico del paese hanno ospitato una sfilata di moda di abiti da sposa. In passerella diversi capi, una cinquantina in tutto. Ai lati molti turisti, incuriositi ed attirati da un evento decisamente particolare ed originale. Accanto a quelli moderni, indossati anche dalle giovani spose della zona, hanno trovato posto molti abiti antichi messi a disposizione da diverse famiglie della conca. Una bella occasione per rivedere gli abiti nuziali di una volta che fanno parte degli usi e costumi della tradizione di questa terra. Il più antico abito da sposa in sfilata è stato quello messo a disposizione dalla famiglia Broccato: era stato indossato nel lontano 1910 (qualcosa come 109 anni fa) in occasione del matrimonio tra Serafina Marchetto e Ferdinando Marchetto. ( M.D.)
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In collaborazione con PEPE – BORGO VALSUGANA
L'alimentazione di cani e gatti
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uando si parla di alimentazione dei nostri piccoli amici, le opinioni sono diverse e non di rado contrastanti. Da una parte c’è chi afferma che qualsiasi cibo può andare bene, anche gli avanzi della nostra cucina; dall’altra i sostenitori dei cibi da negozio specializzato, realizzati nel rispetto della moderna industria che opera in veterinaria. Certo è che la gestione di un corretto approccio dietetico per i nostri animali domestici rappresenta un argomento non di facile interpretazione. Riferendosi alla alimentazione casalinga, ovvero ai cibi prettamente domestici, il tutto è affidato alla personale decisione e interpretazione dei padroni. Altro invece quando ci si affida ai negozi dove è possibile trovare un' infinità di proposte e cibi di ogni tipo e genere. Di una cosa però si è certi: ogni animale dovrebbe assumere una giusta quantità di cibo, secco o umido in rapporto non solo all’età, ma anche al suo peso e agli specifici fabbisogni nu-
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trizionali che solo il veterinario è in grado di stabilire. Norme queste da seguire, specialmente durante la crescita del cucciolo. Questi concetti e suggerimenti sono importantissimi soprattutto per i cani, non di rado soggetti all’obesità che può predisporre a patologia a volte gravissime che possono causare non solo il diabete, ma anche una degenerazione epato-renale o altre conseguenze gravi. E questo problema che prima riguardava i cani gradualmente sembra coinvolgere anche i gatti che quasi sempre conducono una vita sedentaria. Da qui la necessità di adeguare l’alimentazione felina specialmente per quanto riguarda gli apporti calorici che devono essere sempre sotto controllo. Altro ottimo consiglio quello di evitare la sovralimentazione del cane e del gatto. Buona regola è quella di effettuare, in particolare nei cani, almeno due pasti al giorno e mai concentrare la somministrazione
dell’alimento in un’ unica volta. Per l’alimentazione dei gatti, invece, è preferibile una linea dietetica secca,(crocchette o similari). Nulla però esclude di poterla incrementare o meglio supportare da umido di medesima qualità. Oggi, grazie ai nuovi ritrovati e agli specifici studi effettuati nel corso degli anni, è possibile trovare tutte le diete e i cibi in grado di garantire un corretto supporto nutrizionale perchè i vari prodotti, commercializzati ed acquistabili presso i negozi specializzati, sono stati opportunamente creati tenendo in dovuta considerazione i diversi fabbisogni metabolici degli animali. Ovviamente, in casi specifici o di particolari patologie o disfunzioni, è sempre bene farsi consigliare da chi è vero esperto nel campo della nutrizione animale.
Le cronache locali LEVICO TERME
Festa d’estate
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uasi cento iscritti al Gruppo Pensionati e Anziani di Levico Terme, hanno partecipato alla “Festa d’estate” che si è svolta presso Malga Sassi sull’altopiano delle Vezzene. Dopo le parole di benvenuto del presidente Marco Francescatti, hanno usato parole di lode per l’attività del Gruppo il vicesindaco di Levico Terme Patrick Arcais e il delegato alle associazioni e già sindaco reggente della città termale cav. Arturo Benedetti. Poi a tutti è stato servito un ottimo piatto casalingo preparato da bravi cuochi e cuoche, ed il pomeriggio è stato rallegrato dalle musiche di Marco. (M.P.)
Un istante della festa
NOVALEDO
In ricordo di Rita
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veva trascorso i suoi ultimi anni presso la Casa di Riposo di Borgo Valsugana. In silenzio, in piena sintonia con il suo carattere sempre sereno e dolce. Ma poi anche per lei è giunto il momento di dire addio a questa vita. E così la compaesana Rita Bastiani, all’età di 86 anni appena compiuti, ha terminato il suo cammino terreno lasciando però dietro di se un grande esempio di bontà e di generosità. Per tanti anni aveva lavorato come infermiera presso l’Ospedale San Lorenzo di Borgo Valsugana. Raggiunta la pensione e sentendosi ancora in buona salute, si era messa a disposizione della gente del paese affiancando l’allora medico dott. Silvio Segnana nell’ambulatorio di Novaledo. Rita inoltre, fino a quando le forze glielo avevano permesso, era sempre disponibile verso tutti. A qualsiasi ora della giornata lei correva per una puntura, una medicazione, un bendaggio od altri piccoli interventi. E senza mai nulla pretendere. Ma il tempo non si ferma e all’improvviso anche per lei è giunto il momento di udire quelle parole senza appello: “devi andare”. I suoi funerali si sono svolti, davanti a gran folla, presso la chiesa parrocchiale di Novaledo, suo paese natale. (M.P.)
Rita Bastiani
TESINO E CULTURA
Il nuovo presidente
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Graziella Menato è il nuovo presidente del Centro Tesino di Cultura. In occasione dell’assemblea dei soci, infatti, è stato rinnovato il consiglio direttivo e, successivamente, si è provveduto alla distribuzione delle cariche sociali. Due sono i vicepresidenti (Bruna Casata di Cinte e Romano Sordo di Pieve) mentre a Fabio Franceschini è stato assegnato il doppio incarico di segretario e tesoriere. Fanno parte del direttivo anche Maria Avanzo, Mariano Avanzo, Mirna Simoni Buffa, Marina Piasente e Maria Bortolon. Il Centro Tesino di Cultura opera da alcuni decenni nella conca per il recupero, la salvaguardia e la valorizzazione della cultura e delle tradizioni locali di cui fanno sicuramente parte i gruppi folkloristici ed il costume tesino in particolare, due tradizioni tipiche della zona. (M.D.)
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Le cronache locali LEVICO TERME
Una festa di vera amicizia
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ontinuano con sempre grande entusiasmo i rapporti di simpatia e di collaborazione fra Levico Terme e la gemellata cittadina germanica di Hausham. Un’amicizia iniziata ancora nel lontano 1959 e che quest’anno avrebbe quindi dovuto festeggiare il 60^ ma che invece si farà il prossimo anno a causa degli eventi politici che hanno interessato la città termale. Come ci ha testimoniato il presidente dell’Associazione “Amici di Hausham” Fabio Recchia, più di trenta raGli interventi delle autorità gazzi levicensi, oltre a una decina fra accompagnatori ed assistenti, lo scorso mese di luglio erano stati ospitati dall’amministrazione comunale di Hausham, presso le scuole di quella cittadina. A sua volta il comune di Levico Terme, con la collaborazione anche delle varie associazioni, aveva dato ospitalità ad un pari numero di ragazzi bavaresi ed accompagnatori presso l’albergo Quisisana che è il convitto delle Barelli. Durante il loro soggiorno i germanici sono stati portati a visitare i luoghi più caratteristici della Valsugana ed alcuni musei storici. Nella serata di venerdì 16 agosto le autorità levicensi si sono incontrate con quelle bavaresi per un momento di grande amicizia che si è concluso con una cena collettiva tra grandi caraffe di birra portate al seguito dai bavaresi. Nei loro interventi il neo eletto sindaco di Levico Terme Gianni Beretta e il cav. Arturo Benedetti, vicepresidente dell’associazione amici di Hausham e già sindaco reggente di Levico, hanno sottolineato l’importanza di questa amicizia che dura da così tanto tempo e che verrà lasciata in eredità anche alle future generazioni. Sulla stessa linea anche il sindaco di Hausham Zangenfeind Jens che era accompagnato da alcuni funzionari del suo ufficio. Il prossimo anno, ha continuato Recchia, per festeggiare il “60^ + 1”, noi andremo ad Hausham verso la fine di maggio e loro verranno a Levico presumibilmente a settembre. Uno scambio di doni e l’esecuzione di alcuni canti della nostra tradizione musicale intonati dai ragazzi ospiti, hanno concluso la felice serata. Nella giornata di domenica 18 agosto gli ospiti hanno fatto ritorno, a mezzo pullI ragazzi ospiti di Levico con i loro accompagnatori man, nella loro città di Hausham. (M.P.)
SELVA DI LEVICO
Inaugurata la nuova scuola
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avanti a diverse autorità e tanta popolazione, è stato inaugurato a Selva di Levico il grande edificio destinato un tempo a scuole per i ragazzi della frazione. Uno stabile da tanti anni ormai in totale stato di abbandono ma che fino agli inizi degli anni ’90 ospitava la scuola elementare, ma che dopo la sua chiusura avvenuta nel 1992, fu usato solamente come seggio elettorale nelle varie elezioni. In occasione dell’inaugurazione, l’assessore comunale al patrimonio Moreno Peruzzi ha ricordato come quell’edificio sarebbe stato costruito dai loro antenati alla fine del 1800 e per questo le gente del posto ha sempre avuto verso quello stabile una particolare affezione.” Ora questo immobile, come ha spiegato il sindaco Gianni Beretta, dopo le opportune opere di ripristino per le quali sono stati spesi 270 mila euro, viene ridato alla frazione perchè lo usi secondo le proprie necessità”. Sarà dato in consegna ad un comitato di gestione formato da appartenenti al Gruppo Castel Selva, dagli Alpini e dal Gruppo Missionario che deciderà il suo miglior utilizzo. Di certo servirà per incontri, riunioni, mostre e come sede delle varie associazioni ad iniziare dal locale Gruppo Alpini. Lo stesso capogruppo Michele Dalmaso si è compiaciuto per questa realizzazione affermando che d’ora in poi anche gli Alpini di Selva potranno contare su una sede per i propri incontri od altro. Dopo il taglio del nastro i numerosi cittadini hanno fatto visita ai locali, quelli stessi che molti avevano visto l’ultima volta quando sedevano sui banchi della scuola .(M.P.)
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Le cronache locali QUAERE DI LEVICO
La festa degli amici
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a attirato tanta gente da tutti i paesi dell’alta Valsugana, Levico e Caldonazzo in particolare, la “Festa degli amici di monte Cimone”, organizzata dall’omonima associazione presieduta da Giovanni Bosatra e svoltasi domenica 18 agosto, in un grande prato a Quaere di Levico sotto le fronde delle ombrose piante che lo circondano. La festa, interamente gestita da Mario Poffo, è iniziata con la celebrazione di una S. Messa da parte di don Danilo Bernardini a cui ha fatto seguito un pranzo a base di piatti tipici locali preparato da un gruppo di volontari. A rallegrare la festa è arrivata poi anche la banda di Caldonazzo diretta da Gianni Costa che ha eseguito alcuni pezzi musicali. (M.P.)
LEVICO TERME
Festa al centro don Ziglio
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lmeno trecento persone fra ospiti del Centro don Ziglio, loro famigliari, personale dell’Istituto, volontari e semplici cittadini, hanno preso parte alla festa presso il Centro don Ziglio di Levico Terme per due eventi speciali: l’inaugurazione e benedizione durante una celebrazione di don Franco Pedrini di un crocifisso posto nel grande giardino dell’Istituto e che, come ci ha testimoniato il direttore Fabrizio Uez, “faceva parte del vecchio arredo della prima chiesetta dell’allora Piccola Opera costruita nell’immediato dopo guerra, essendo stato fondato l’Istituto nel 1948 da don Giulio Ziglio. Un simbolo religioso, recuperato dalle soffitte dagli operatori del nostro laboratorio del legno che è stato restaurato e in parte ricostruito come un capitello e già benedetto in occasione della festa delle famiglie l’8 dicembre scorso”. Al termine del rito religioso nel corridoio d’ingresso del Centro è stato inaugurato anche un affresco di un ex residente della Piccola Opera, il pittore Andrea Fusaro, che ha voluto donare al Centro un suo quadro dal titolo: “Alberi con uccelli variopinti”. Accanto alla pittura una sua descrizione, quasi una dedica: “Qui raffiguro la forza La cerimonia con il crocifisso della Natura rappresentata dagli uccelli liberi che volano tra gli alberi. Col colore “rosso fuoco” della Terra desidero rappresentare la sofferenza vissuta da me e da altre persone. L’albero rappresenta l’Istituto, l’approdo, il punto di riferimento: è la Natura che ogni anno rinverdisce, migliora la personalità di noi utenti di ieri e di oggi. Gli uccelli variopinti siamo noi, i “ragazzi” che aiutati, sostenuti si sentono liberi e volano con le loro forze. Tra i rami spira un vento di burrasca. I rami offrono appoggio e trattengono la forza di quel vento. Dedico quest’opera alla memoria del mio Maestro Luciano Decarli che abbi alle scuole elementari di Selva nel 1976”. Dopo il saluto della presidente della CURAE Martina dell’Antonio, hanno usato parole di circostanza e di lode per questa giornata speciale l’ex presidente dell’Associazione Minori Paolo Cavagnoli, l’ex presidente Piera Janeselli, il consigliere provinciale Claudio Cia che ha portato pure il saluto del presidente della Provincia Maurizio Fugatti e del presidente della Regione Roberto Paccher. Quindi la scopertura del dipinto da parte della presiLa scopertura del dipinto dente Dell’Antonio e del pittore Andrea Fusaro. (M.P.)
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Che tempo che fa di Giampaolo Rizzonelli *
Le stagioni meteorologiche e le stagioni astronomiche l 1° settembre è iniziato l’autunno meteorologico mentre quello astronomico avrà inizio il 22 settembre. In questo numero parleremo
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dell’alternanza delle stagioni, rinfrescando quindi alcune informazioni ricevute probabilmente alle scuole elementari. Come dicevo in apertura, le stagioni
meteorologiche hanno date di inizio e fine diverse da quelle astronomiche, qui di seguito una tabella con le differenze per il nostro emisfero (boreale):
Le stagioni astronomiche non hanno sempre lo stesso numero di giorni poiché iniziano e finiscono in istanti astronomici ben precisi che variano di anno in anno. Ogni anno solstizi ed equinozi ritardano di circa 6 ore, ma ogni 4 anni tornano indietro di un giorno. Il perché è presto spiegato: ogni anno la Terra non ci impiega proprio un anno a ruotare intorno al Sole, ma circa 365 giorni e 6 ore. Quindi per tornare nello stesso punto dell’orbita (in questo caso quello del solstizio o dell’equinozio) ogni anno ci impiega circa 6 ore in più, che però vengono recuperate ogni
4 anni con un giorno bisestile. Dal punto di vista astronomico primavera e autunno hanno inizio il giorno dell’equinozio, ovvero quando il giorno e la notte hanno la stessa durata. Il solstizio d’estate è invece il giorno in cui si ha il maggior numero di ore di luce, poiché il Sole è più alto sull’orizzonte, mentre il solstizio d’inverno è il giorno con il minor numero di ore di luce.
impiegando circa 365 giorni, la Terra poi ruota intorno al proprio asse nord-sud in moto antiorario, tale asse tuttavia non è perpendicolare al piano della sua orbita intorno al Sole, pertanto a seconda del periodo dell’anno, alcune latitudini saranno inclinate verso il Sole e altre no. Quando l’asse terrestre è inclinato e lontano dal Sole, attorno al solstizio d’inverno, l’emisfero boreale riceve meno luce e si trova in inverno, viceversa per l’emisfero australe. Il tutto è riassunto nelle figure 1 e 2.
Fig. 1 - Le stagioni astronomiche
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PERCHE’ ESISTONO LE STAGIONI ASTRONOMICHE? Il nostro pianeta dista circa 150 milioni di km dal Sole e ruota intorno ad esso seguendo un’orbita ellittica,
LE STAGIONI “METEOROLOGICHE” Perché le stagioni dal punto di vista
Fig. 2 - I raggi del sole nell’estate boreale
Che tempo che fa
meteorologico iniziano in date diverse rispetto a quelle astronomiche? Questo è stato stabilito per convenzione ed ha anche un senso dovuto a due motivi: a) alla disposizione barica: ovvero alla disposizione delle alte e basse pressioni sulla Terra, che iniziano a mostrare le caratteristiche delle nuove stagioni con un anticipo di qualche settimana rispetto all’inizio astronomico; b) agli studi statistici, che comprendono sempre mesi interi, non avrebbe senso fare statistiche variabili che partono dal 21, 22 o 23 del mese. CURIOSITA’ RELATIVA AL “GIORNO PIU’ CORTO DELL’ANNO Riguardo al giorno più “corto” del-
l’anno è giusto precisare che non è corretto dire che è il 13 dicembre (Santa Lucia), questo deriva da un’antica tradizione risalente a quasi 500 anni fa, ad uno sfasamento del calendario avvenuto nel 1582 quando vennero eliminati i giorni dal 6 al 15 ottobre affinché venisse recuperato l’errore del precedente calendario, grazie all’intervento del calendario gregoriano Santa Lucia venne così festeggiata circa 9 giorni prima del solstizio, ovvero il 13 dicembre. Tuttavia c’è un piccolo fondo di verità nel detto del “13 dicembre, giorno più corto dell’anno”, in effetti proprio in prossimità del 13 dicembre il Sole tramonta circa 2-3 minuti prima rispetto ai successivi giorni del mese di dicembre, fenomeno che però
non avviene all’alba (essa infatti continua a ritardare di giorno in giorno). A partire dall’8 dicembre, ogni anno, il tramonto inizia pian piano a ritardare così come anche l’alba, non producendo un concreto allungamento delle ore di luce. In pratica non abbiamo perfetta simmetria tra l'ora in cui sorge il sole e l'ora in cui tramonta e quindi non coincidono il giorno di tramonto minimo con quella di alba massima. Dunque effettivamente il tramonto del 13 dicembre è prematuro di circa 3 minuti rispetto a quello del 21 dicembre.senza registrare precipitazioni.
* Elaborazioni e rilevazioni di Giampaolo Rizzonelli www.meteolevicoterme.it
CASTELLO TESINO
Luci e ombre del legno
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ino Damiani ha vinto il 18° simposio internazionale di scultura “Luci ed ombre del legno”. La sua opera, dal titolo “Unite da un’amicizia” è stata scelta dalla giuria, sulle 23 in concorso, con la seguente motivazione: in un’epoca come la nostra che sembra dominata dal trash e dal conflitto, eleganza, linearità, essenzialità, valori oggi sempre più rari, concorrono con una tecnica raffinata a creare un’opera d' arte che celebra la bellezza dell’amicizia e della solidarietà al femminile”.. A questa edizione erano presenti artisti provenienti da 10 nazioni, di cui 11 donne. Il secondo posto è stato assegnato dalla giuria tecnica all’opera “Riflesso nell’acqua” del torinese Ionel Alexandrescu, di origine rumena ma in Italia da oltre 20 anni. In terza posizione il vicentino di Asiago Gianangelo Longhini con la sua scultura “Aprirsi alla luce”. I tre premi sono stati offerti, rispettivamente, dal Centro di Documentazione sul lavoro nei boschi, dalla Galleria d’Arte Atrebates di Dozza e dalla Fondazione Dozza Città d’Arte. Al quarto classificato, la tedesca Simone Carole Levy di Hohr-Grezenhausen con l’opera “Il suo piccolo mondo”, è stato assegnato un premio offerto dall’osteria Dozza: la possibilità di realizzare, nella prossima primavera, una scultura nella borgata emiliana. Sono stati segnalati anche le due opere “Amor vincit omnia” di Anna Sosenkaya (San Pietroburgo) e “The melody of love” dell’artista di New York Ahoon Parastoo. Il premio della giuria popolare (hanno votato 201 persone) è stato assegnato a Stefania Nicolo con Bruno Nicolo che ha donato una scultura al comune di Castello Tesino. Nel corso dell’atto conclusivo del simposio, presentato da Eleonora Mezzanotte presso il cinema teatro, è stato sottoscritto anche un patto di amicizia tra i due comuni di Dozza e Castello Tesino: in calce al documento le firme dei due sindaci Ivan Boso e Luca Albertazzi.(M.D.)
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o d n a l l e r he
Gioc
COSA HANNO IN COMUNE?
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Maurizio a cura di
CRUCI... TRENTINO 3
2. DUNA, MAREA, BRAVO, REGATA.
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4. CAUZIONE, AQUILONE, SEQUOIA, UBRIACONE.
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3. PIANOFORTE, AUTOSTRADA, CAVALLO, COMETA.
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1. SPASSOSO, OSSESSO, ASSASSINO, ESPRESSIONISMO.
4
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Ogni gruppo di parole elencato di seguito, ha qualcosa che è comune a tutte e quattro. Cosa sarà?
Cristini
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5. CORDA, TRAGUARDO, VINO, CAPELLI. 50
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6. GIALLO, NERO, BIANCO, ROSSO.
A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il termine col quale venivano chiamati gli operai che costruirono la ferrovia della Valsugana a fine '800.
7. TACCHINO, KIWI, PINGUINO, STRUZZO.
ORIZZONTALI: 1. Un noto Eremo nei pressi di Rovereto - 11. Ovvero in latino - 12. La Spin ne è una varietà molto nota in Valsugana - 13. Sono diverse nella bici - 15. Articolo per bambine - 16. Lavora con l'incudine - 18. Articolo romanesco - 19. Sassari - 20. In una famosa locuzione latina, la tua equivale alla vita mea - 21. Quelle Todesche è il nome di una Cima del Lagorai - 23. Scrisse Fontamara (iniz.) - 24. La Luna la rende alta o bassa - 25. Marte per gli antichi greci - 26. Edificio - 27. Una pietra per stufe - 29. Radicale chimico molto tossico - 30. Rendono lento il beato - 32. Risuonano nel canile - 34. Il Creatore - 36. Io... a Calceranica - 37. Le estremità dell'ombrello 38. Crocchette di riso ripiene della cucina siciliana - 41. Il Comitato per le ricerche nucleari con sede a Ginevra - 43. Uno stato... solo per donne! - 45. La città famosa per i Sassi - 46. E' errante in un romanzo di Sue - 47. Prefisso che vale sei - 48. Cuocere a fuoco vivo - 50. Sessanta romani - 51. Si dice che non finiscano mai - 52. Il nome di Pacino.
8. ORGANO, AUTOMOBILE, TANDEM, AEROPLANO.
SOLUZIONI NR. DI GIUGNO 2019 CRUCI... TRENTINO AISEMPONERI
VERTICALI: 1. Un insaccato come la luganega - 2. Città del Piemonte e dell'Egitto - 3. Il nichel 4. Molti lo contattano per la stesura del Mod. 730 - 5. Il famoso Bin Laden - 6. In spiaggia si noleggia col lettino - 7. Vino tipico della Sicilia - 8. Termine usato per prodotti di origine naturale - 9. In un film degli anni '50 distruggeva a forchettate gli spaghetti che lo avevano sfidato (iniz.) - 10. Donne veramente grasse - 14. Tenera insalatina che cresce vicino ai ruscelli - 17. In polvere era unito al talco - 21. Tapparsi in casa - 22. Un comune fertilizzante - 24. Può creare incomprensioni - 28. Una misura di pressione (sigla) - 31. Città che può essere Inferiore o Umbra - 33. L'Enzo che fu un famoso presentatore - 35. Nome dell'Alighieri - 39. I collerici ne sono facili prede - 40. In Vallagarina è la culla del vino Marzemino - 42. Scampò all'incendio di Troia - 44. Il rumore di una porta chiusa dal vento - 45. Cantava coi Primitives negli anni '60 - 48. La città Leonessa d'Italia (sigla) - 49. Articolo spagnolo.
IL MAPPAMONDO LUSSEMBURGO 1. SCHIZZO DI FANGO LASCIATO SECCARE (5 L) 2. RICERCA SU DANTE ALIGHIERI (2 U) 3. IL TESTE DICE IL FALSO SE NEGA L'ACCADUTO (1 S) 4. DISCO CHE SI RIASCOLTA MOLTE VOLTE (1 S) 5. AFFRONTARE UN FACILE ESAME SCRITTO (3 E) 6. PERMESSI CONCESSI CONTROVOGLIA (1 M) 7. METTERSI BEN IN VISTA (1 B) 8. COLLETTA PER UN VECCHIO INDIGENTE (4 U) 9. UN FAMOSO GENERALE PRUSSIANO (1 R) 10. UN BEL GIOCO DURA POCO (4 G) 11. FAR DOMANDE SENZA OTTENERE RISPOSTE (1 O)
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Il numero di settembre di Valsugana News è stato chiuso in redazione il 30 agosto 2019
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