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Come la macelleria sta cambiando la ristorazione in meglio
Sempre più autorevoli chef si stanno interessando alle carni e cimentando nell’arte della macelleria, e viceversa. In un articolo pubblicato sul magazine digitale Food & Wine, l’autore, Brad Japhe, spiega i motivi di questa contaminazione
di Elena Benedetti
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Può la macelleria, nel suo processo di evoluzione che l’ha interessata negli ultimi anni, aver esercitato in un qualche modo un effetto sulla ristorazione? Questo è il quesito che si è posto il giornalista BRAD JAPHE e a cui ha dato risposta in un articolo pubblicato recentemente sul magazine statunitense on-line FOOD & WINE. Ovvia la mia curiosità sull’argomento per comprendere in quali modalità e quali e quanti effetti, negli USA, il canale tradizionale della vendita al dettaglio di carne abbia avuto su ristoranti e chef. “Per gran parte del Novecento la macelleria è stata una sorta di totem dell’esperienza americana tipica della città di provincia” scrive Japhe. Quella, cioè, in cui la clientela conosce per nome il proprio macellaio di quartiere e al quale si rivolge anche per avere consigli sulla preparazione dei piatti e sulle cotture. Un legame personale, intimo e famigliare che la proliferazione dei supermercati ha poi cancellato. “All’inizio degli anni Duemila sembrava quasi che queste relazioni non fossero altro che favole romantiche rubate ai dipinti di Norman Rockwell” prosegue Japhe nell’articolo. “Ma un nuovo movimento nella ristorazione di oggi promette di rilanciare questo mestiere artigianale”. In che modo? La formula ibrida dei locali, la cui concezione si pone a metà tra il ristorante e la macelleria, negli USA si sta riappropriando della tradizione di un mestiere antico e la ripropone per rispondere al meglio alle esigenze di oggi. “In altre parole, il macellaio è tornato, più forte che mai”.
Secondo Brad Japhe negli ultimi dieci anni la lavorazione e proposta dell’animale intero, quella che negli Stati Uniti chiamano nose-totail, ovvero dal naso alla coda, ha focalizzato l’attenzione sull’origine della carne, sugli allevamenti, sulla sua preparazione in una visione che — citando il nostro D ARIO CECCHINI di Panzano in Chianti — rende rispetto al sacrifi cio dell’animale riducendo gli scarti e utilizzando tutte le sue parti. Fino a qualche tempo fa, il macellaio e lo chef erano due entità separate, che non entravano in contatto l’una con l’altra. Oggi invece è in atto un processo di contaminazione reciproca, dove il macellaio tradizionale scopre la somministrazione e, non raramente, riformula la propria identità professionale in un progetto di cucina mentre, parallelamente, gli chef scoprono l’arte della lavorazione delle carni.
Un esempio citato dall’articolo è quello di White Gold Butchers nell’Upper West Side di Manhattan, New York, dove la clientela poteva assistere alla lavorazione delle carni poi cucinate e servite durante il servizio. Qui le butchers J OCELYN GUEST ed ERIKA NAKAMURA, da sempre sostenitrici del concetto dell’animale intero, selezionavano e lavoravano le carni trasformandole in piatti destinati ad un consumatore più consapevole. «I clienti che osservano il disosso dell’animale intero sono più connessi al cibo che consumano», ha spesso dichiarato Nakamura. Identificando l’origine della materia prima nel piatto, si ha una maggior consapevolezza di quel consumo responsabile di carne di cui si sente spesso parlare, apprezzando il sacrificio dell’animale, fonte di nutrimento per il nostro corpo. Oggi l’esperienza di White Gold Butchers per Guest e Nakamura è stata sostituita da un nuovo progetto: la realizzazione di una linea di hot dog, bratwurst e kiełbasa affumicato (un salume tipico della cucina polacca), dal nome J&E SmallGoods (www.jesmallgoods.com; si veda un approfondimento a pagina 22), i cui prodotti sono realizzati con carni suine e bovine selezionate e senza l’uso di conservanti e additivi. Un altro esempio citato nell’articolo di FOOD & WINE si trova a Los Angeles, California.
“Potrebbe sembrare strano per una città che è solitamente associata a frullati di cavolo e diete detox a base di succhi di frutta, ma gli chef californiani si interrogano oramai da tempo sull’approvvigionamento delle materie prime di carne” scrive ancora Japhe. A The Eveleigh di West Hollywood (www.theeveleigh.com) lo chef J ARED LEVY disossa animali interi provenienti da allevamenti selezionati. L’intero processo, dal disosso al taglio e lavorazione, avviene nel laboratorio del ristorante, e in questo caso il passaggio dall’allevamento al piatto è diretto.
Il ristorante offre un’ampia carta di piatti di carne, anche cruda con tartare e carpacci, oltre naturalmente alle costate dalle lunghe frollature.
Levy è disposto a pagare un prezzo più alto per la carne che al contempo diventa una storia da raccontare ai clienti, in termini di origine, razza, allevamento. “Nelle cucine moderne i cuochi hanno perso il contatto con l’animale e non è raro incontrare personale che non è in grado di disossare nemmeno un pollo” dichiara Levy nell’articolo. “Nelle nostre sessioni di taglio e lavorazione invitiamo spesso i giovani cuochi che hanno così l’opportunità di apprendere le tecniche artigianali europee”. Non lontano dall’Eveleigh c’è Gwen, un locale ibrido, un po’ macelleria e un po’ ristorante, gestito dallo chef CURTIS STONE, che si ispira ad un modello simile a quello di Levy. «Lo spirito di Gwen è la macelleria di quartiere in stile europeo», dice Stone del suo locale che ha compiuto 2 anni di attività. «La macelleria riceve le carcasse degli animali interi, tutti di razze da carne certifi cate, e al suo interno lo staff procede con il disosso, taglio e lavorazione per ottenere le materie prime da destinare alla vendita al banco, alla cucina e al mercato agricolo della domenica».
Lo spirito di questo locale è doppio: alla sera ci sono eleganti menù degustazione e ricche selezioni di vini al ristorante mentre di giorno c’è la vendita della carne. «Sono orgoglioso dei miei macellai», afferma lo chef, sottolineando il costante lavoro nella ricerca di materie prime di qualità, tra carni di cervo, alce, cinghiale, oltre al bovino e al suino, a cui si aggiunge il racconto della fi liera al consumatore, educato in un consumo responsabile della carne per la propria salute e per l’ambiente. In tutti gli Stati Uniti stanno aprendo ristoranti-macellerie, come ad esempio Cochon a New Orleans o Publican Quality Meats a Chicago. “Lentamente, ma in modo concreto, i macellai stanno riconquistando il proprio ruolo nel cuore di una cucina più consapevole e responsabile e i buongustai ben informati possono ricominciare a chiamarli per nome” scrive Brad Japhe. “E se si vuole far prima basta anche chiamarli solo chef!”.
Elena Benedetti
Nota Fonte: Food & Wine, www.foodandwine.com