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PAHONTU: IL PRIMO ACETO EUGANEO
PAHONTU: IL PRIMO ACETO EUGANEO
di Gian Omar Bison
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La natura mistica e bucolica dei Colli Euganei da qualche mese è un po’ più acre. L’aceto Pahontu, risultato della prima acetaia euganea, è entrato in produzione poco tempo fa in quel di Baone (PD), dove le botti sono ospitate all’interno dell’Azienda Agricola Le Volpi (www.levolpi.it) Grazie all’impegno e alla dedizione dei coniugi Mauro Meneghetti, sommelier e restaurant manager della storica famiglia della ristorazione Alajmo, e Simona Pahontu, giornalista, addetta stampa e alle PR e organizzatrice di eventi, è nato e da qualche mese viene distribuito questo aceto di vino ottenuto da uve Moscato bianco e giallo tipiche della zona.
«Un aceto — sostengono — che nasce da materie prime di qualità, per riscoprire un ingrediente, non solo un condimento, in grado di impreziosire con note fresche e aromatiche i piatti della migliore ristorazione sia tradizionale che d’avanguardia. Usare aceto non vuole dire mangiare acido, perché l’aceto dona freschezza, toglie stucchevolezza, conferisce digeribilità ai piatti.
Un buon aceto non è solo per l’insalata, ma può andare sul bollito di carni miste, sulla pasta e fagioli, sul pesce, sui fi chi caramellati, sulle frittate, specie se di erbe, sulle uova, sul frico di formaggio, sulla crema di uova sode, capperi e maionese da abbinare agli asparagi, su crudi di pesce, sulle capesante grigliate, sul risotto mantecato, nella salsa tonnata, su gamberoni al vapore, sulla piovra, sull’anguilla in carpione o fritta, sul tonno ai ferri e perfi no sulla frittata di cipolla di Tropea».
Il metodo di produzione utilizzato è quello defi nito primitivo. «Ottenuto da una lentissima acetifi cazione statica superfi ciale, a differenza di altri possibili procedimenti prevede la sosta in barrique per almeno un anno, a temperatura ambiente compresa tra i 20 e i 30 °C (per non perdere con calore eccessivo le componenti volatili) e l’assenza di diluizione con acqua. Ma soprattutto utilizziamo vini biologici e biodinamici non addizionati di solfi ti che potrebbero inibire una corretta fermentazione».
La storia è nota: l’uva diventa vino e il vino diventa aceto. Ma non è così scontato e consequenziale.«Il risultato fi nale in bottiglia — puntualizzano — vanta un’acidità tra le più alte sul mercato (10 vol.). Non è stato semplice all’inizio incontrare la disponibilità dei produttori che non vedevano di buon occhio la trasformazione di vino buono in aceto, pur piacevole e di qualità. Già trovare i primi venti litri per partire con le sperimentazioni è stato laborioso. Col tempo, lo scorso anno siamo arrivati ad ottenere 800 litri e quest’anno abbiamo 1.200 litri di vino già in cantina. Ma avremmo offerte per altre migliaia di litri».
La degustazione in cantina offerta agli ospiti è didattica ed essenziale con un assaggio che verte su tre tipologie di aceto: il primo in fermentazione da poco; il seconda da mesi, ma con la fermentazione non ancora completata; il terzo che è già in bottiglia.
Raccontano colori, profumi e sensazioni organolettiche in evoluzione. Dal più chiaro al più ambrato, dal meno . acido al più acido, dal meno aromatico al più aromatico, intenso al naso e sapido e persistente in bocca. «La cosa che vogliamo sottolineare e che non si forma nelle botti la classica madre, agglomerato cellulosico di natura batterica che, depositandosi sul fondo, può dar vita a sentori sgradevoli. Al massimo assistiamo ad una leggera velatura batterica che consente comunque al prodotto di respirare».
Le prove continuano e al momento hanno visto aggiungere al vino Moscato un vino ottenuto da Glera e uno da Pinot nero vinifi cato in rosa sur lie. «E comunque — sottolineano — vinifi cando un vino buono si mantengono i profumi di partenza del vino. L’aceto lavora ed evolve d’estate e riposa d’inverno. Parliamo di barrique già utilizzate quanto basta per non rilasciare tannino e sentori burrosi e vanigliati, ma che garantiscono la necessaria micro-ossigenazione. Il grado alcolico viene svolto quasi completamente in grado acetico, che nel nostro caso raggiunge il 10% circa».
Con lo chef PAOLO GIRALDO del ristorante CorteVerdeChiara (www. corteverdechiara.it) di Correzzola (PD), hanno costruito un menu mirato alla riscoperta dell’acidità, per rendere centrale il ruolo dell’aceto nel piatto: smussare i toni stucchevoli, dare profondità ai piatti, sferzare il palato. Il risultato è stata una cena didattica che si è svolta nella splendida cornice de “La Mugletta” a Teolo (PD), moderno B&B, caldo e accogliente, situato quasi sulla cima del monte rosso.
Euganei e di spessore i vini in abbinamento: Brut Nature 2010 di Monte Fasolo, Moscato Secco A Cengia 2017 di Zanovello e Trachite Bianca 2019 dell’azienda Alla Costiera di FILIPPO GAMBA. Tutti hanno accompagnato adeguatamente la verve di Giraldo e della sua brigata di cucina che ha proposto piatti colorati, gustosi e consistenti e impreziositi da un aceto che cerca spazio nella ristorazione che conta.
Partiti con burro e “caviale” di aceto, carpaccio di anguria e polpette di lenticchie con maionese all’aceto e cipolla agrodolce, si è passati al gazpacho di datterino con ricotta di bufala e verdure marinate, millefoglie di pesca e pomodoro con “ricotta” di mandorla e sorbetto alla cipolla, tortelli ripieni di crema di fagioli affumicati con salsa di gran kinara e bieta, scorza nera con crema di patate all’aceto, sommaco e spinacino, per chiudere con sorbetto all’aceto con spuma di cioccolato bianco, biscotto alla camomilla e lampone.
>> Link: www.pahontuvinegar.com