Tutto un altro mondo di Alessia Mosca (estratto)

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Per quanto abbia portato grandi progressi e nonostante abbia plasmato una realtà che, dati alla mano, è generalmente migliore del passato anche recente, la globalizzazione è oggi pesantemente sotto attacco. Questo perché gli effetti della sua evoluzione rapidissima non sono stati tutti positivi e si sono create diseguaglianze. È venuto, dunque, il momento di discutere di come l’apertura del commercio su scala mondiale influisca sulla vita di ciascuno, e di quali siano i pericoli concreti che può causare e quali, invece, le false accuse che le vengono mosse. Ma è anche venuto il momento di rendere conto di come la percezione che la riguarda, spesso negativa, nasconda in realtà molti dei vantaggi che ha introdotto. Alessia Mosca prende il concetto di globalizzazione e lo spezzetta, gettando nuova luce sulle tante ombre che lo attorniano, con onestà e senza sconti, nell’intento positivo di mostrare, in modo semplice, tutte le sfaccettature che lo rendono un argomento tanto complesso e così sfidante per i sistemi tradizionali di rappresentanza democratica. Lo fa concentrandosi in particolar modo sulla prospettiva europea, che in questi ultimi anni, grazie al suo ruolo nella Commissione Commercio internazionale del Parlamento Europeo, ha contribuito a delineare.

Questo libro ha il pregio di fare chiarezza: di raccontare con linguaggio piano e ragioni robuste a cosa ci riferiamo quando parliamo di multilateralismo economico. Soprattutto, dal volume bene si comprende quanto in discussione ci siano non i destini di questo o quel negoziato commerciale, non le convenienze di questo o quel portatore d’interesse, ma la tenuta di valori non negoziabili quali la libertà economica, l’apertura degli scambi, la sostenibilità del rapporto tra sistemi di sviluppo, Stati e popoli. dalla prefazione di Enrico Letta.

GLOBALIZZAZIONE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA: LA STRADA EUROPEA

Prefazione di Enrico Letta

La globalizzazione è diventata per molti un’opportunità, per altri un rischio. Come aggiustare la rotta? Il presente del fenomeno e una possibile direzione per il futuro: quella che sta provando a seguire l’Unione Europea.

€ 17,00

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Alessia Mosca Tutto un altro mondo

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12,8 mm

9 788892 214286

Alessia Mosca è deputata al Parlamento Europeo dal 2014. È coordinatrice del Gruppo S&D nella Commissione Commercio internazionale e vice presidente della Delegazione per le relazioni con la Penisola arabica. Si occupa principalmente di tematiche connesse alla globalizzazione e, in modo particolare, segue e ha seguito diversi accordi e negoziati commerciali condotti dall'Unione Europea. Dal 2018 è Visiting Professor presso l'Università Sciences-Po di Parigi, dove tiene un corso di EU Trade Policy. Prima di arrivare a Bruxelles, è stata deputata al Parlamento italiano, dal 2008 al 2013, dapprima membro della commissione Lavoro poi capogruppo nella commissione Politiche Europee. Ha dedicato molto del suo impegno alle tematiche di genere e ai temi del lavoro e delle opportunità per i giovani. Sua è la proposta che ha portato alla legge n. 120/2011, conosciuta come legge “Golfo-Mosca”, volta a introdurre quote di genere nei consigli di amministrazione delle società quotate e partecipate.

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Alessia Mosca

TUTTO UN ALTRO MONDO Globalizzazione e innovazione tecnologica: la strada europea

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Progetto grafico: Marco Pennisi & C. Srl Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo volume potrà essere pubblicata, riprodotta, archiviata su supporto elettronico, né trasmessa con alcuna forma o alcun mezzo meccanico o elettronico, né fotocopiata o registrata, o in altro modo divulgata, senza il permesso scritto della casa editrice. © EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2018 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) ISBN 978-88-922-1428-6

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PREFAZIONE

Apertura, libertà, democrazia. Può una questione come il commercio mondiale – apparentemente solo tecnica, a lungo derubricata come sottodisciplina dell’economia politica o del diritto internazionale – chiamare in causa direttamente questi tre capisaldi del modello occidentale di sviluppo e condizionarne perfino lo stato di salute? La risposta è sì. O meglio è quanto sta accadendo oggi in alcuni dei Paesi più avanzati del mondo, il cui discorso pubblico sempre più frequentemente è influenzato, talvolta in misura determinante, da questo tema. Si tratta di una centralità poco esplorata e ancor meno capita. Eppure, non è un fenomeno nuovo. Dalle prime, sottovalutate, campagne di opinione di inizio secolo contro la globalizzazione alle implicazioni della grande crisi economica sul rapporto tra scelte pubbliche e consenso, la regolazione degli scambi ha assunto una connotazione sempre più politica, fino a trasformarsi in vera e propria arma di propaganda nell’ambito dello scontro attuale tra élite e movimenti antisistema. Difficile sostenere che l’operaio del Midwest ame5

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ricano abbia espresso il proprio voto conoscendo, ad esempio, il dettaglio dell’accordo di libero scambio tra gli Stati Uniti e i Paesi del Pacifico (Ttp). Più probabile, e variamente documentato nelle analisi post elettorali, è che l’evocazione indistinta della minaccia asiatica, tra i cavalli di battaglia della campagna tutta in attacco di Donald Trump, abbia agito da potente collante per quel mix di paura e ripiegamento nella conservazione che è stato alla base della imprevista (e purtroppo dirompente) elezione alla Casa Bianca del magnate newyorkese. Chiavi di lettura simili, ferme restando le peculiarità di ciascuno dei due casi, possono applicarsi alla vicenda Brexit e in particolare alla dialettica, poi rivelatasi dirimente sull’esito del voto, tra aperura e chiusura, libertà degli scambi e difesa del modello britannico. Di certo c’è che i due eventi politici più clamorosi degli ultimi anni – probabilmente i “cigni neri” più fragorosi della storia recente nei propri contraccolpi geopolitici – si sono consumati (non solo ma anche) sul clivage tra globalizzazione e protezionismo. E ciò non in qualche periferico Paese in via di sviluppo o in Stati reduci dalla transizione da un regime all’altro, alle prese magari con un complesso adattamento ai canoni dell’economia di mercato, ma nei luoghi culla e simbolo del capitalismo e della democrazia occidentale; in società da secoli vaccinate, grazie alla libera stampa e a un sistema di pesi e contrappesi ampiamente sperimentato, agli effetti imponderabili della propaganda di marchio populista sul consenso politico. Comprendere le ragioni di quanto accaduto e trovare delle contromisure che non si traducano esse stesse in 6

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Prefazione

mere reazioni di chiusura, o in generici appelli a porsi come “alternativa al peggio”, compete anzitutto alle élite. Del resto, le responsabilità delle classi dirigenti sono sotto gli occhi di tutti. E ciò in termini tanto di sottovalutazione dei fenomeni di disinformazione e penetrazione delle istanze protezioniste, quanto soprattutto di miopia rispetto all’impatto del connubio tra globalizzazione e rivoluzione tecnologica sulle dinamiche sociali e politiche, specie per quanto riguarda la creazione di nuove disuguaglianze e il rafforzamento di vecchi privilegi. Questo libro ha il pregio di fare chiarezza: di raccontare con linguaggio piano e ragioni robuste a cosa ci riferiamo quando parliamo di multilateralismo economico. Soprattutto, dal volume bene si comprende quanto in discussione ci siano non i destini di questo o quel negoziato commerciale, non le convenienze di questo o quel portatore d’interesse, ma la tenuta di valori non negoziabili quali la libertà economica, l’apertura degli scambi, la sostenibilità del rapporto tra sistemi di sviluppo, Stati e popoli. Che la posta in palio abbia finito con l’assumere una portata assoluta, tanto da configurarsi come cesura epocale, lo testimonia il nesso sempre più marcato tra spinte protezionistiche e tentazioni di restringimento degli spazi di partecipazione democratica. In termini più semplici, la propensione alla “chiusura” è diventata il minimo comun denominatore di una contemporaneità all’insegna del caos. I nuovi muri – materiali e simbolici – ne sono la declinazione più preoccupante. Dinanzi a questa sfida, e a quelle che attendono il 7

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mondo in quella che il filosofo Wolfang Streeck, richiamandosi alla nota categoria gramsciana, ha opportunamente definito fase di “interregno” tra un sistema di sviluppo e l’altro, c’è un soggetto che più di ogni altro ha il dovere – per storia, vocazione, convenienza – di farsi promotore protagonista di apertura e multilateralismo. Questo soggetto è l’Unione Europea. L’autrice – che all’insegna dell’Europa si è formata e all’Europa ha sempre guardato nei suoi anni di servizio all’interno delle istituzioni nazionali e internazionali, fino a diventare in poco tempo un vero e proprio punto di riferimento in materia di trade all’interno del Parlamento Europeo, svolgendo contemporaneamente un ruolo chiave anche nella promozione degli interessi italiani in materia – dà alla missione carica ideale e al contempo solidi riferimenti pragmatici. Valori e vantaggi viaggiano di pari passo. Perché la libertà dei commerci e la costruzione di un equilibrio sostenibile tra soggetti economici è inscritto nei Trattati UE. E perché in un mondo sempre più interconnesso, e sempre più in trasformazione, chiudersi significa semplicemente condannarsi all’irrilevanza e alla marginalità. È proprio per scongiurare questo rischio che oggi più che mai l’Europa deve diventare “adulta”. Rilanciando il processo di integrazione comunitaria. Non con dichiarazioni di principio, ma mettendo finalmente mano ai suoi limiti strutturali sulla legittimazione democratica, la condivisione di una identità comune, la promozione del proprio ruolo nel mondo. La scelta è solo nostra: ripiegandoci su noi stessi, o anche solo 8

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Prefazione

rispondendo in modo blando alla minaccia rappresentata da vecchi protezionismi e nuovi sovranismi, saremo nient’altro che rule takers. Vale a dire coloro che le regole le applicano e basta. Al contrario, facendo dell’integrazione e dell’apertura l’orizzonte politico più ambizioso al quale puntare nel prossimo futuro, potremo ragionevolmente essere tra i rule makers, cioè tra quelli che le regole le scrivono. Una terza alternativa, in questa epoca complessa di grandi contrasti ma altrettanto rilevanti opportunità, al momento non è data. Enrico Letta

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INTRODUZIONE

La politica commerciale europea è uno degli strumenti più potenti delle istituzioni comunitarie. In primo luogo, perché è uno dei pochi ambiti in cui gli Stati europei sono veramente uniti, almeno dal punto di vista del processo decisionale. Come prescritto dal Trattato di Lisbona, infatti, la voce dell’Unione Europea in tema di commercio internazionale è unica. Questo significa che gli Stati membri non possono fare accordi separatamente e che l’UE siede con un rappresentante unico nei forum internazionali del commercio globale, a partire dall’Organizzazione Mondiale del Commercio. Questo potere, dato dalle competenze che sono riconosciute dai Trattati all’Unione Europea, rafforza ulteriormente la sua politica commerciale. Essa infatti rappresenta, oggi più che mai, uno strumento straordinario non solo di politica economica nelle sue varie accezioni – industriale e di sviluppo – ma anche nell’azione dell’UE in ambito geopolitico, nella promozione dei diritti umani e nella determinazione di standard sociali e ambientali a livello globale. Guardando alla sto11

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ria mondiale e a come la liberalizzazione del commercio abbia inciso nel determinare la continua evoluzione delle relazioni internazionali, la politica commerciale è fondamentalmente uno strumento di pace e di dialogo, che si configura come alternativa a una dinamica di contrapposizione solipsistica di Paesi uno contro l’altro armati. Anche solo considerando l’aspetto strettamente economico, l’Unione Europea come unione degli attuali 28 Paesi membri rappresenta ancora oggi una super potenza commerciale: secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, l’Unione Europea è oggi il primo attore globale per il commercio di servizi e al secondo posto per il commercio di beni1. Questo nonostante i cambiamenti intervenuti nella ridistribuzione del peso delle economie globali lungo l’arco degli ultimi due decenni, che hanno visto crescere sempre più l’importanza delle cosiddette “economie emergenti”. Pur in crescita, l’economia europea in termini assoluti, sta perdendo peso in termini percentuali e questo impone di riflettere su quello che sarà il ruolo dell’UE nel mondo di domani. Il dibattito pubblico negli ultimi anni ha visto le tematiche della globalizzazione e del commercio uscire dalla sfera di competenza dei soli addetti ai lavori, per diventare (non per la prima volta nella nostra storia recente, in verità) elemento fondante delle identità delle forze politiche che si contendono il governo praticamente in tutti i Paesi dell’area occidentale, e non solo. 1 Dati 2016 del World Trade Organization sull’Europa a 28 - http://stat. wto.org/CountryProfile/WSDBCountryPFView.aspx?Language=E&Country= E28%2cUS%2cCN

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Introduzione

All’interno del grande macro-tema del commercio internazionale, infatti, troviamo questioni chiave del nostro tempo, che hanno un impatto sullo stato di salute e sulla qualità delle nostre democrazie. Pensiamo solo a tutto ciò che ruota attorno al concetto di globalizzazione: le sue conseguenze, i benefici e gli svantaggi che ha provocato, la sua evoluzione, la possibilità di renderla strumento di sviluppo e di miglioramento delle condizioni di vita per un numero sempre maggiore di persone, la possibilità di guidarla attraverso regole condivise. Le decisioni che vengono prese nella politica commerciale hanno una rilevanza sostanziale sulla vita dei cittadini: sull’occupazione, sui consumi, sulla qualità dell’aria, sulle regole di sicurezza, solo per citare alcuni esempi. Per questo, si è fatta sempre più forte la richiesta di un organo democratico e rappresentativo delle istanze di tutti i cittadini. L’Unione Europea, anche in questo, rappresenta uno degli esempi più avanzati e solidi della strada che può essere intrapresa: il Parlamento Europeo, la sola assise sovranazionale democraticamente eletta in tutto il mondo, ha aumentato in modo esponenziale i propri poteri in materia di politica commerciale e ha ottenuto, a partire dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, margini di intervento in tutte le fasi del processo decisionale della politica commerciale. Conquiste che consideriamo ancora non ottimali, ma sicuramente di grande importanza. Grazie a questi strumenti, infatti, il Parlamento ha potuto spingere la Commissione Europea ad assumere decisioni che rispondessero alle 13

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esigenze e alle richieste dei cittadini, a partire da una maggiore trasparenza nella conduzione dei negoziati commerciali. Come per tutte le politiche e affinché il dibattito pubblico sia costruttivo e basato su posizioni informate, è importante avere istituzioni efficaci e trasparenti, certo, ma abbiamo anche bisogno di una cittadinanza attiva e responsabile, vera cifra di democrazie sane. È, quindi, necessario che vi sia una diffusa disponibilità di informazioni chiare e affidabili come anche il rafforzamento di una capacità di lettura critica delle stesse, considerando l’ampio numero di fonti – non sempre verificate o verificabili – e il costante, immenso, flusso di cui siamo destinatari. Questo libro nasce dalla volontà di contribuire alla diffusione di conoscenza su un ambito spesso considerato, a torto, troppo tecnico per essere oggetto di una divulgazione ampia. Il mio intento è di dimostrare che non è necessario conoscere tutti gli acronimi e le tecnicalità per farsi un’idea sulla politica commerciale ed essere a conoscenza della posta in gioco, dei meccanismi di funzionamento, dei processi decisionali, degli attori che ne determinano l’evoluzione. Ho cercato, quindi, di rispondere a questa esigenza, offrendo a un pubblico interessato, ma non necessariamente tecnico del settore, tutti gli strumenti utili per costruirsi un’opinione autonoma e solidamente fondata. Ovviamente il testo riflette una visione personale sul tema – come succede del resto per qualsiasi espressione umana –, costruita ed esposta, però, sulla base di fatti, studi e dati veri e verificabili: precisazione a cui tengo e che considero non superflua, in epoca di nega14

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Introduzione

zionismo e fake news. In questi ultimi anni di difficoltà economiche si sono moltiplicate le posizioni protezionistiche. Anni di studio e lavoro parlamentare su questi argomenti, mi hanno dimostrato che tali spinte siano una risposta pericolosa. Il protezionismo è, a mio avviso, una strada sbagliata che, purtroppo, ha la grande attrattiva di essere efficace elettoralmente, come dimostrano la Brexit e i risultati di Trump e dei movimenti indipendentisti e xenofobi di tutta Europa che hanno abbracciato varie declinazioni di ricette protezionistiche e di ripiegamento autarchico. La considero una strada sbagliata perché pensa di risolvere semplicisticamente un tema, quello degli impatti della globalizzazione sul lavoro e sulle diseguaglianze, che è, invece, molto complesso. Non c’è, infatti, una chiara e dimostrabile correlazione diretta tra il commercio internazionale e la rimodulazione della struttura economica e del lavoro. Molto del cambiamento può essere, per esempio, attribuito al parallelo processo di tecnologizzazione e digitalizzazione. Una risposta a questi cambiamenti fondata sul rafforzamento delle barriere commerciali è sbagliata non solo perché inefficace ma perché rischia di aumentare povertà e diseguaglianze, ad esempio mettendo i consumatori nelle condizioni di trovare un’inferiore scelta di prodotti sul mercato e, per di più, a un prezzo maggiore, a causa della mancanza di competizione. Non da ultimo, protezionismo e chiusura sono atteggiamenti pericolosi perché scatenano reazioni a catena in risposta ad atti economicamente ostili, creando un clima che rischia di scivolare rapidamente in un’escala15

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tion destinata ad andare ben oltre gli strumenti economici. La storia purtroppo ci ha insegnato che la strada della guerra commerciale può essere prodromica di ben altri e più sanguinosi conflitti. La strada del dialogo e della cooperazione internazionale percorsa in questi anni non è certo stata perfetta e necessita di miglioramenti significativi. Lavorare per migliorare, tuttavia, significa avere la capacità di costruire a partire da ciò che è stato realizzato e ha dimostrato di funzionare, non certo buttare tutto quello che abbiamo per ricominciare da zero. La politica commerciale ha contribuito in maniera significativa a far uscire dalla povertà milioni di persone. Oggi ci troviamo davanti a una nuova sfida: fare in modo che non si torni indietro e che le sirene di chi vuole ammaliarci con redivivi argomenti di isolazionismo, protezionismo, autarchia e superiorità di una popolazione rispetto a un’altra siano contrastate con la conoscenza della nostra storia passata e recente e con la consapevolezza della portata di ciò di cui stiamo discutendo. Questa è la nostra missione e spero, con questo libro, di poter dare un contributo in questa direzione.

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Questo libro ha il pregio di fare chiarezza: di raccontare con linguaggio piano e ragioni robuste a cosa ci riferiamo quando parliamo di multilateralismo economico. Soprattutto, dal volume bene si comprende quanto in discussione ci siano non i destini di questo o quel negoziato commerciale, non le convenienze di questo o quel portatore d’interesse, ma la tenuta di valori non negoziabili quali la libertà economica, l’apertura degli scambi, la sostenibilità del rapporto tra sistemi di sviluppo, Stati e popoli. dalla prefazione di Enrico Letta.

GLOBALIZZAZIONE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA: LA STRADA EUROPEA

Prefazione di Enrico Letta

La globalizzazione è diventata per molti un’opportunità, per altri un rischio. Come aggiustare la rotta? Il presente del fenomeno e una possibile direzione per il futuro: quella che sta provando a seguire l’Unione Europea.

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