Tra sostenibilità energetica ed identità formale

TRA SOSTENIBILITA’ ENERGETICA E IDENTITA’ FORMALE Progetto di sostituzione dei serramenti per la riqualificazione energetica di Palazzo Rio Nuovo (Venezia)

Edoardo Bottin | Paola Righetto

“TRA SOSTENIBILITA’ ENERGETICA E IDENTITA’ FORMALE” PROGETTO DI SOSTITUZIONE DEI SERRAMENTI PER LA RIQUALIFICAZIONE ENERGETICA DI PALAZZO RIO NUOVO (VENEZIA)

Arch. Edoardo Bottin, Arch. Paola Righetto in collaborazione con Arch. Ph.D. MariaAntonia Barucco Università IUAV di Venezia 07/2015

Introduzione

Davanti alla molteplicità di problematiche connesse alla valutazione reale e complessiva dei consumi energetici del settore delle costruzioni – da più parti individuato tra i più energivori delle attività umane – si affaccia un ulteriore elemento di riflessione, in parte sottovalutato, relativo al ruolo dell’embodied energy nei materiali costruttivi e al suo imprescindibile rapporto con la durabilità della fabbrica, portando ad una visione diversa del significato stesso di investimento energetico.

Valutare l’energia racchiusa in un prodotto, la cosiddetta embodied energy, significa misurare tutta l’energia necessaria per fabbricarlo, dall’estrazione della materia prima, al trasporto, la produzione, l’istallazione, l’impiego, lo smaltimento; rappresenta uno dei criteri di giudizio per classificare e certificare le tecnologie e i materiali da costruzione.

Si è arrivati all’abbattimento dei consumi durante la vita dell’edificio e alla costruzione di case ad “energia-zero”, per cui l’energia usata nella costruzione e nella dismissione finale assumono un nuovo significato.

Inoltre l’energia incorporata può essere recuperata a fine vita dell’edificio, in quanto i componenti dell’edificio stessi possono essere riutilizzati (senza richiedere quindi la produzione di un nuovo componente), oppure possono essere riciclati (senza richiedere l’energia relativa al processo di estrazione, trasporto e lavorazione per trasformare la materia prima in prodotto).

Nel caso dell’edilizia giapponese, costituita prevalentemente da case monofamiliari standardizzate e prefabbricate, prodotte da grandi compagnie che seguono l’intero processo di costruzione e manutenzione delle abitazioni, si sta cercando di prendere in considerazione l’intero ciclo di vita delle case. La casa monofamiliare giapponese, prodotta da Sekisui House, cerca di abbattere i consumi di energia durante la vita di utilizzo, avere una lunga durabilità nel tempo e di recuperare i materiali a fine processo, così da abbattere le emissioni di CO2. Questi intenti da parte delle grandi compagnie di costruzioni cercano di allungare la vita dell’edificio, poiché in Giappone la vita media di una casa monofamiliare non supera il ventennio e ciò porta diversi danni al livello dell’economia giapponese, come la rapida perdita di valore dei beni immobili.

Case con un lungo ciclo di vita possono aiutare a ridurre l’impatto sull’ambiente evitando che una grande quantità di rifiuti venga generata durante la demolizione, risparmiando energia e le risorse necessarie per la ricostruzione. Per quanto riguarda i rifiuti, inevitabile sottoprodotto della costruzione, si considera la responsabilità sociale per utilizzarli in modo efficace e riciclarli come nuove risorse.

L’esempio del progetto di sostituzione dei serramenti di palazzo Rio Nuovo a Venezia con il fine del miglioramento delle prestazioni energetiche dell’edificio, dove acciaio e vetro sono le componenti principali

dell’involucro edilizio, ci porta a considerare ad un possibile recupero di questi componenti. Oltre al miglioramento del confort termico all’interno dell’edificio e al risparmio energetico con l’abbattimento di almeno il 40% dei costi energetici, si sono valutati e confrontati i casi del recupero e quello della sostituzione.

Nel caso del recupero si valuta l’embodied energy recuperata dall’involucro edilizio composto principalmente da serramenti e l’energia riciclata delle varie componenti , che saranno poi parte dei nuovi serramenti con prestazioni più alte. I dati ottenuti aiuteranno a riflettere sul dato dell’energia recuperata, di conseguenza la diminuzione delle emissioni di CO2.

INDICE ENERGIA INCORPORATA • Embodied Energy

.2

• Valutazione del ciclo di vita

.9

• Inventory of carbon

.12

IL CONTESTO GIAPPONESE: SEKISUI HOUSE • Architettura domestica giapponese

.22

• Sekisui House

.32

PALAZZO RIO NUOVO • Il Palazzo Rio Nuovo

.58

• Adeguamento dell’edifico dal punto di vista energetico e funzionale

.70

• Il reastauro dei serramenti

.71

• Dati termofisici, energetici e di emissioni, di analisi e di progetto

.75

IPOTESI DI INTERVENTO

.82

Energia incorporata

Embodied Energy & Carbon

2

Nella valutazione della sostenibilità ambientale delle costruzioni i due elementi che incidono principalmente sul carico ambientale sono l’energia spesa per la gestione dell’edificio e i materiali edilizi impiegati per la costruzione dell’edificio. Entrambi questi elementi sono determinanti in relazione agli impatti sull’ambiente, in termini di consumo di risorse e inquinamento e di qualità e comfort dell’abitare. Entrambi questi elementi sono determinanti in relazione agli impatti sull’ambiente in termini di consumo di risorse e inquinamento e di qualità e comfort dell’abitare. Un progetto sostenibile è innanzitutto un progetto che utilizza in maniera adeguata i materiali e che ne valorizza le prestazioni in uso: corretto e ben eseguito. È possibile avvalersi di dati relativi all’embodied energy, alla CO2 incorporata e altri indicatori sintetici, che sicuramente non consentono di conoscere il quadro complessivo degli impatti ambientali e non prendono in considerazione tutte le fasi del ciclo di vita, ma permettono comunque di venire a conoscenza del livello di consumo energetico e di inquinamento prodotto da una certa soluzione progettuale rispetto ad un’altra. Diventerà sempre più importante poter operare un bilancio energetico globale che, oltre a conteggiare l’energia spesa in fase d’uso, quantifichi anche l’energia spesa per la produzione dei materiali e per la costruzione dell’edificio.

L’ORIGINE DEL CONCETTO DI EMBODIED ENERGY Davanti alla molteplicità di problematiche connesse alla valutazione reale e complessiva dei consumi energetici del settore delle costruzioni – da più parti individuato tra i più energivori delle attività umane – si affaccia un ulteriore elemento di riflessione, in parte sottovalutato, relativo al ruolo dell’embodied energy nei materiali costruttivi e al suo imprescindibile rapporto con la durabilità della fabbrica, portando ad una visione diversa del significato stesso di investimento energetico.

Valutare l’energia racchiusa in un prodotto, la cosiddetta embodied energy, significa misurare tutta l’energia necessaria per fabbricarlo, dall’estrazione della materia prima, al trasporto, la produzione, l’istallazione, l’impiego, lo smaltimento; rappresenta uno dei criteri di giudizio per classificare e certificare le tecnologie e i materiali da costruzione.

DALL’ESIGENZA DI SOSTENIBILITA’ ALLA VALUTAZIONE DELL’EMBODIED ENERGY È inevitabile che la maggior parte delle problematiche connesse a uno sviluppo sostenibile della società contemporanea finisca con l’assumere un peso determinante nel processo edilizio. Il settore delle costruzioni infatti risulta, in modo diretto o indiretto, quello che impegna la maggiore quantità di risorse e nel suo contempo, quello che produce la maggiore quantità di rifiuti, ponendo in primo piano la questione del consumo energetico e dell’inquinamento ambientale.

Entrambi questi aspetti incidono pesantemente sulle possibilità e sulle modalità di sviluppo di un Paese con ripercussioni sul piano economico, politico, sociale e culturale. Per molto tempo, cioè sino a quando

non ci si è resi conto che le risorse del pianeta non erano illimitate, una buona parte delle considerazioni relative alla possibilità di uno sviluppo sostenibile sono state ignorate. Il processo di cambiamento e sensibilizzazione ha avuto un vero e proprio inizio nel 1987, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con il Rapporto Brundtland o “Our common future”, che descrive lo sviluppo sostenibile come: “Lo sviluppo che soddisfa i bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità che le future generazioni riescano a soddisfare i propri bisogni”.

Quest’affermazione pone al centro della questione ambientale l’impatto che la società produce sull’ambiente e le conseguenze su medio-lungo periodo che ne derivano, inclusa la valutazione del danno provocato alle generazioni future dalla riduzione del patrimonio naturale necessario ad alimentarne il processo di crescita.

Nel 2005 vi è una concreta presa di posizione nei confronti della sostenibilità: viene ratificato il Protocollo di Kyoto, che definisce le soglie delle emissioni di CO2 che tutti i Paesi firmatari devono rispettare. Per raggiungere gli obiettivi prefissati le azioni devono essere finalizzate in particolare a: sostituire le fonti energetiche non rinnovabili con fonti energetiche rinnovabili, ridurre l’uso di combustibili fossili, aumentare l’efficienza energetica, ridurre i consumi energetici e la deforestazione. Gli studi hanno dimostrato come l’aumento della concentrazione in alta atmosfera di anidride carbonica sia dannosa per l’ecosistema mondiale. L’unità di misura di tali variazioni nella composizione dell’atmosfera è la massa di CO2 e le variazioni della sua concentrazione causano l’assottigliamento dello strato dell’ozono, e ne consegue l’effetto serra con il dovuto innalzamento delle temperature e il mutamento climatico.

PERCHE’ PARLARE DI EMBODIED ENERGY DELLE COSTRUZIONI È importante considerare anche le risorse naturali a disposizione, le emissioni in acqua, nel terreno, in atmosfera, e il modo in cui la costruzione incide sulla biodiversità dell’ambiente. La terna “risorseemissioni-biodiversità” porta a considerare i vincoli dell’ecologia come parte integrante del progetto. In un’ottica di sostenibilità globale è necessario considerare la sostenibilità dell’edilizia in termini di Extended Life Cycle Cost, considerando tutti i costi e le ricadute da sostenere dalle fasi di ideazione a quelle di demolizione e riciclo. La sostenibilità globale delle costruzioni richiede di affrontare, con azione sinergica di utenti, progettisti e costruttori, anche le problematiche relative ai consumi di acqua (limitazione dei bisogni/uso, utilizzo di fonti sostenibili, efficienza degli impianti), e alla scelta dei materiali e delle tecnologie (riduzione dei bisogni/applicazioni, utilizzo di materiali rinnovabili e sostenibili, cicli chiusi e riuso dei materiali) adottate nelle

3

fasi di costruzione, uso e dismissione. La sostenibilità di una costruzione si decide in sede progettuale, e questo costringe fin dalle fasi di ideazione e progettazione, al confronto con una specifica serie di esigenze e requisisti, ricalibrando e talora estendendo i requisiti della UNI 8290 secondo la lista che segue.

4

-

Cantiere (programmazione, tempi, montaggio e smontaggio versus costruzione e demolizione, trasporti, rifiuti, condizioni di lavoro, ricadute nell’ambiente);

-

Contestualità (localismo di materiali e sistemi costruttivi);

-

Risparmio energetico nel cantiere ( contenimento costi energetici delle fasi di costruzione, riuso, demolizione e riciclo);

-

Materiali sostenibili (eco-compatibilità, rinnovabilità, salubrità, certificazione, marcatura);

-

Durabilità (affidabilità, manutenibilità, ispezionabilità, riparabilità, sostituibilità);

-

Adattabilità (flessibilità);

-

Riuso/riciclo (costruzioni a secco, smontabilità, separabilità, recuperabilità, riciclabilità, biodegradabilità);

-

Economicità (minimizzare dell’Extended Life Cycle Cost);

La selezione di materiali e prodotti edilizi è dunque uno dei passaggi più delicati della progettazione ambientale di un edificio. Per elaborare valutazioni veloci e semplificate, di orientamento alla progettazione, è possibile avvalersi di dati relativi all’embodied energy, alla CO2 incorporata e altri indicatori sintetici le quali permettono comunque di venire a conoscenza del livello di consumo energetico e di inquinamento prodotto da una certa soluzione progettuale rispetto ad un’altra.

Si parla di embodied energy come dell’energia consumata in tutti i processi associati con la produzione di un edificio, delle fasi di acquisizione delle materie prime, alla produzione dei materiali, componenti e sistemi, al trasporto e alla messa in opera, alla dismissione e al recupero o riciclo.

Finora il valore dell’embodied energy dei materiali di un edificio non veniva considerato, perché era notevolmente inferiore rispetto all’energia consumata in fase d’uso dell’edifico; ma gli edifici tendono ad essere sempre più efficienti energeticamente e tale rapporto cambierà.

Diventerà sempre più importante poter operare un bilancio energetico globale che oltre a conteggiare l’energia spesa in fase d’uso, quantifichi anche l’energia spesa per la produzione dei materiali e per la costruzione dell’edificio.

EMBODIED ENERGY conosciuta come: energia incorporata, energia inglobata, energia inclusa, embodied energy L’energia incorporata di un materiale da costruzione può essere intesa come l’energia primaria totale consumata (carbonio liberato) durante il suo ciclo di vita. Ciò comporterebbe l’estrazione, la fabbricazione ed il trasporto. Idealmente i confini possono essere fissati dall’estrazione delle materie prime (inclusi i combustibili) fino alla conclusione della vita dei prodotti, conosciuta anche come “dalla culla al sito”, che comprende tutte le forme di energia consumata finché il prodotto non abbia raggiunto il punto di utilizzo (ovvero il cantiere).

L’embodied energy è la quantità di energia richiesta da tutte le attività collegate ad un processo produttivo, comprendendo le proporzioni di energia consumate in tutte le attività che lo precedono, come l’acquisizione delle risorse naturali, la fabbricazione dei macchinari e dell’attrezzatura e tutte le altre funzioni di supporto cioè l’energia diretta più l’energia indiretta.

L’energia incorporata o embodied energy è la quantità di energia utilizzata per trasformare le materie prime in prodotti edilizi. I prodotti con una maggiore energia incorporata generalmente sono caratterizzati anche da elevati impatti ambientali legati alle emissioni associate al consumo di energia (in particolare l’effetto serra).

5

All’energia incorporata viene spesso associato il termine energia grigia o grey energy, che rappresenta l’energia spesa per la fase di trasporto dei prodotti edilizi al cantiere. Quando l’edificio diventa più efficiente energeticamente, il rapporto tra energia incorporata e consumo globale (del ciclo di vita) aumenta. Data l’aspirazione di realizzare edifici a consumo di “energia-zero” o “autonomi”, l’energia usata nella costruzione e nella dismissione finale assumono un nuovo significato.

Solitamente l’energia incorporata è misurata come qualità di energia non rinnovabile per unità di materiale da costruzione, componente o sistema. In genere viene descritta in megaJoule (MJ) o gigaJoule (GJ) per unità di peso (Kg o tonnellate) o volume (m³), ed espressa in quantità equivalente. Alla misurazione dell’energia incorporata sono associate le implicazioni ambientali relative allo sfruttamento delle risorse, gas serra, degrado ambientale e riduzione della biodiversità. Empiricamente l’energia incorporata è un indicatore ragionevole dell’impatto ambientale dei materiali costruttivi, assemblati in sistemi. È importante considerare l’embodied energy dei materiali costruttivi in relazione alle prestazioni e alla durata, poiché queste possono avere effetti di compensazione sull’impatto ambientale iniziale dell’energia incorporata.

DISTRIBUZIONE DELL’ENERGIA INCORPORATA NEGLI EDIFICI Il consumo di energia incorporata iniziale dipende dalla natura dell’edificio, dai materiali usati e dall’origine di questi materiali. L’energia incorporata periodica è in relazione alla durata dei materiali costruttivi: più a lungo l’edificio dura, maggiore è il consumo di energia periodica.

Ricerche sostenute per valutare l’energia incorporata iniziale totale hanno ottenuto il seguente risultato: -

Involucro dell’edificio (26%)

-

Struttura (24%)

-

I servizi (24%)

Sono le tre componenti che contribuiscono quasi equamente e costituiscono circa i tre quarti dell’energia incorporata iniziale totale.

6

L’ENERGIA INCOROPORATA E’ MISURA UTILE ?

Un possibile passaggio di calcolo detto normalizzazione, prevede di dividere l’energia incorporata per la quantità di tempo in cui il prodotto verrà utilizzato, in base alla durata dell’edificio o in base alla durabilità del prodotto, in modo da avere a disposizione un valore più veritiero. In questo modo i prodotti durevoli hanno una minore energia incorporata per tempo in uso. Va tenuto presente che nel tempo, l’energia incorporata in un edificio aumenta, perché devono essere conteggiate tutte le operazioni di manutenzione e sostituzione che le diverse soluzioni tecnico-costruttive determinano. Le strategie di bilancio energetico devono dimostrarsi efficaci in un bilancio energetico dell’intero ciclo di vita.

Inoltre l’energia incorporata può essere recuperata a fine vita dell’edificio, in quanto i componenti dell’edificio stessi possono essere riutilizzati (senza richiedere quindi la produzione di un nuovo componente), oppure possono essere riciclati (senza richiedere l’energia relativa al processo di estrazione, trasporto e lavorazione per trasformare la materia prima in prodotto). Un caso peculiare è il riciclo dell’alluminio e dell’acciaio, poiché, l’energia necessaria per ottenere un nuovo componente utilizza l’energia già incorporata nel prodotto, dato che il materiale ha già subito i processi di trasformazione da materia prima a materiale utile alla realizzazione di un prodotto edilizio. Questi tipi di materiali riducono notevolmente il loro valore di energia incorporata quando sono riciclati: l’alluminio riciclato ha un’energia incorporata mediamente pari al 10% rispetto all’energia incorporata dell’alluminio primario; l’acciaio riciclato ha un’energia incorporata mediamente pari al 20% rispetto all’energia incorporata dell’acciaio primario.

Oltre all’indicatore dell’energia incorporata, si stanno affermando anche altri indicatori sintetici che permettono la verifica di ulteriori temi ambientali, come la CO2 incorporata e l’acqua incorporata (embodied carbon ed embodied water).

EMBODIED CARBON L’embodied carbon rappresenta tutte le emissioni di anidride carbonica emessa in tutte le fasi del processo di fabbricazione di un prodotti, dall’estrazione delle materie prime, al prodotto finito, fornito al consumatore. Comprende le emissioni di CO2 connesse con l’estrazione, la fabbricazione, il trasporto, l’istallazione, la manutenzione e lo smaltimento e/o il riciclo. Tuttavia la maggior parte dell’embodied carbon è dovuta all’uso dei combustibili fossili utilizzati per l’estrazione e la

fabbricazione dei prodotti. Infatti i materiali da costruzione derivano da processi produttivi che sfruttano principalmente il combustibile fossile come fonte di energia, inoltre, l’uso dei macchinari stessi e delle materie prime utilizzate nella produzione richiedono a loro volta un uso significativo di combustibile fossile. Applicando ai vari combustibili utilizzati nella produzione dei materiali da costruzione i tassi di emissioni di CO2, si può stabilire un valore di CO2 incorporata o embodied carbon in ogni materiale. Gli obiettivi del protocollo di Kyoto non saranno realizzabili senza una riduzione significativa della percentuale di emissioni di CO2.

La maggior parte dell’embodied carbon dei prodotti costruttivi è connessa all’uso diretto di energia nel processo produttivo, come l’utilizzo dei combustibili fossili per il funzionamento delle centrali elettriche, delle caldaie, dei forni e dei motori. Da tutti i processi di dismissione (riciclo, recupero di energia, smaltimento o materiale di riporto) derivano emissioni, principalmente dal trasporto e dal trattamento sul materiale; ma la preoccupazione principale è per i materiali che possono rilasciare anidride carbonica durante i processi, come la biomassa o la plastica.

LA CERTIFICAZIONE DELL’EMBODIED ENERGY: GLI STANDARD INTERNAZIONALI Le norme della serie ISO 14000 danno indicazione su una serie di strumenti che possono essere applicati a diversi livelli, che consentono di ottenere informazioni ambientali che hanno i requisiti per una corretta informazione ambientale. Gli standard della serie ISO 1400 forniscono indicazioni in merito alle strategie per la promozione dello sviluppo sostenibile e per la riduzione dell’impatto ambientale delle organizzazioni. Le norme della serie 14000 si riferiscono ad ulteriori strumenti in grado di ottimizzare il suo contenuto e funzionamento.

La valutazione del ciclo di vita (Life Cycle Assesment, LCA); un metodo per valutare il potenziale impatto ambientale di un prodotto, di un processo o di un’attività durante il suo ciclo di vita. Avviene tramite la quantificazione dell’utilizzo delle risorse e delle emissioni nell’ambiente connesse al sistema oggetto della valutazione.

Occorre sottolineare che in ambito edilizio la certificazione dei prodotti edilizi non è sufficiente a garantire l’eco-compatibilità del prodotto e dell’edificio nel suo complesso. Per valutare l’eco-compatibilità dei prodotti occorre contestualizzare l’utilizzo dei prodotti: non si può dire che un materiale è più ecologico di un altro senza un’opportuna contestualizzazione, è solo dall’analisi della sua applicazione e delle sue modalità d’uso che si possono determinare le caratteristiche ambientali del prodotto edilizio. In edilizia esiste più di un livello di valutazione della sostenibilità: alla scala del materiale, alla scala del componente e alla scala dell’edificio. Il ruolo della certificazione EPD di prodotto è dunque di supporto alla valutazione LCA dell’edificio, dal momento che questa passa anche attraverso l’analisi LCA dei materiali da costruzione.

Raccogliere le informazioni necessarie per compilare le banche dati è complesso e tale complessità è aumentata dal fatto che i dati variano da luogo a luogo. Con l’opportunità di veicolare i dati relativi all’embodied energy attraverso lo strumento delle certificazioni ambientali le informazioni possono implementare una banca dati sempre aggiornata sui prodotti edilizi. In questo modo, al diffondersi di questo tipo di certificazione, i dati sui prodotti edilizi divengono via via maggiormente aggiornati e attendibili, poiché il produttore è fonte primaria e la certificazione garantisce anche il controllo dei dati. Le domande da porsi

7

sono molteplici: innanzitutto occorre chiedersi quali siano i criteri per definire se un materiale è ecologico o meno; inoltre occorre chiedersi se sia sufficiente adottare materiali ecologici all’interno del progetto per poter definire l’intero edificio come ecologico.

COME CALCOLARE L’EMBODIED ENERGY La quantificazione dell’embodied energy di un materiale non è un’operazione semplice, si tratta di una questione molto complessa e ancora oggi non è stato definito un modello di calcolo standardizzato accettato a livello internazionale per quantificare questa parte di energia incorporata nei materiali da costruzione. Si devono considerare diversi fattori che implicano il consumo di energia, come la messa in opera, la gestione e manutenzione e infine la dismissione con eventuale riciclo e/o recupero e/o smaltimento. La comunità scientifica non è ancora arrivata a una procedura standardizzata e unanimemente accettata per la determinazione del contenuto energetico di un prodotto.

8

Valutazione del ciclo di vita

ANALISI DI PROCESSO – METODO LCA Il sistema è esteso ed inizia dalle materie prime della terra e rintraccia tutti i processi industriali e le operazioni del consumatore fino alla disposizione finale del prodotto e alla conclusione della sua vita utile. In altre parole, il sistema viene esaminato oltre l’intero ciclo di vita del prodotto.

La valutazione del ciclo di vita è una metodologia di studio sui diversi elementi del processo di produzione, fino ad una generalità completa del sistema in cui tutti i processi, dall’estrazione della materia prima a disposizione alla conclusione di vita, sono considerati per lo sviluppo del modello analogico. L’analisi comprende la quantità di materia usata e la quantità di rifiuti (solidi, liquidi e gassosi) prodotti nella varie fasi di vita. Gli obiettivi fondamentali di questo metodo sono la conservazione e minimizzazione degli effetti delle attività umane sull’ambiente.

INTRODUZIONE ALLA VALUTAZIONE DEL CICLO DI VITA La valutazione del ciclo di vita o Life Cycle Assessment – LCA (conosciuta anche come analisi del ciclo di vita, bilancio ambientale, e analisi dalla culla alla tomba), è un metodo oggettivo per valutare i carichi ambientali associati ad un prodotto, identificando e qualificando l’energia consumata, i materiali usati le emissioni nell’ambiente, ed è finalizzato a valutare e implementare le opportunità di miglioramento ambientale.

L’analisi LCA di un prodotto permette di analizzare le implicazioni ambientali durante l’intero ciclo di vita del prodotto, comprendendo quindi l’estrazione e la lavorazione delle materie prime, la fase di fabbricazione del prodotto, il trasporto e la distribuzione, l’utilizzo, la manutenzione, l’eventuale riutilizzo del prodotto o delle sue parti, la raccolta, lo stoccaggio, il riciclo e lo smaltimento finale dei relativi rifiuti. La procedura LCA si basa sulla compilazione, quantificazione e valutazione, con procedure definite, di tutti gli ingressi e le uscite di materiali ed energia e degli impatti ambientali associati, attribuibili ad un prodotto nell’arco del suo ciclo di vita. La somma di tutti questi fattori o fasi di ciclo di vita del prodotto. L’obiettivo dell’analisi LCA è di permettere il confronto dei danni ambientali e sociali riconducibili a prodotti e servizi, per poter scegliere quelli meno dannosi.

L’analisi del ciclo di vita LCA secondo la formula del Life Cycle Analysis è decritta principalmente nella norma UNI EN ISO 14040, che indica l’approccio LCA come lo studio del ciclo di vita di un prodotto o di un edificio, considerando le quantità di energia e i materiali che entrano nel processo di trasformazione, le modalità di tale trasformazione, le trasformazioni e le eventuali immissioni in aria o in acqua in forma di rifiuti: nel caso di un prodotto per l’edilizia si dovranno studiare i processi di trasformazione e trasporto dei materiali che lo compongono, dall’esecuzione delle materie prime, allo smaltimento dei prodotti a fine vita; nel caso dell’analisi del ciclo di vita di un edificio, vengono conteggiati anche i consumi energetici e le immissioni inquinanti generati durante il periodo di vita utile della costruzione. I dati possono provenire dal

9

10

contesto nel quale si lavora o da banche dati internazionali che riportano una quantificazione degli impatti per un determinato materiale utilizzato anche in base alla provenienza. L’interpretazione del ciclo di vita è una tecnica sistematica per identificare, quantificare, verificare e valutare le informazioni derivanti dal bilancio del ciclo di vita e/o della valutazione dell’impatto del ciclo di vita. Usualmente, il ciclo di vita si compone di 4 parti: -

energia utilizzata nella trasformazione delle materie prime,

-

processi e lavorazioni dei materiali,

-

uso del prodotto

-

smaltimento del prodotto

Se la parte più impattante tra le quattro fasi elencate può essere determinata, allora l’impatto sull’ambiente può essere ridotto efficientemente concentrandosi sui cambiamenti da introdurre in quella fase particolare. La comparazione della valutazione del ciclo di vita viene spesso usata per determinare il miglior processo o prodotto da utilizzare.

L’analisi di un processo di un prodotto costruttivo può essere considerato il metodo è più intuitivo per la quantificazione dell’embodied energy di un materiale o di un prodotto costruttivo. In questa metodologia l’embodied energy corrisponde all’energia direttamente impiegata

nel processo costruttivo, e all’energia necessaria alla produzione dei materiali che costituiscono l’input di questo processo. In altre parole, viene quantificata l’energia di primo ordine necessaria alla produzione dell’elemento stesso, più l’energia di secondo, terzo, ecc. ordine necessaria per la produzione. Il processo produttivo viene scomposto in ogni singola attività che è servita per la produzione del materiale o componente edilizio; e per ogni attività viene quantificato l’apporto energetico necessario perché questa abbia luogo. Un’analisi di processo sufficientemente approfondita esplora solitamente le varie fasi della produzione in modo da includerle attività necessarie fino ad un certo grado di dettaglio. La determinazione dell’embodied energy di un bene, tramite l’analisi del suo processo produttivo, risulta una procedura soggetta ad un elevato margine di imprecisione, poco affidabile per l’indagine di prodotti complessi.

DATI DISPONIBILI OGGI IN MERITO ALL’EMBODIED ENERGY Nelle banche dati si propone un confronto tra materiali per cogliere tali differenze anche attraverso le valutazioni e i dati che definiscono quali abbiano una quantità maggiore o minore di energia incorporata. Tabelle comparative riportano valori medi assoluti e spiegano quali sono i fattori che sono stati presi in considerazione nel compilarla.

Le unità di misura tipicamente usate sono il MJ/kg (megaJoule di energia necessaria a ottenere un chilogrammo di prodotto) e il tCO2 (tonnellate di anidride carbonica liberata nella produzione un chilogrammo per prodotto. La conversione da MJ a tCO2 non è automatica, poiché i differenti tipi di energia, ad esempio, se proviene da fonti rinnovabili o non rinnovabili, sono responsabili di quantità di emissioni di anidride carbonica differenti; per cui la quantità effettiva di anidride carbonica liberata durante la produzione di un materiale costruttivo dipende dal tipo di energia utilizzata nel processo produttivo.

Per quanto riguarda invece la stima dell’embodied energy (EE) nei materiali da costruzione ci sono alcune cose in più da considerare: -

unità funzionali: è inadeguato confrontare i materiali solo in base al loro peso, utilizzando solo il KG come unità di base.

Uno studio comparativo deve infatti fornire informazioni chiare tenendo conto che i dati forniti verranno utilizzati considerando la quantità di materiali richiesta per svolgere una funzione stabilita. Solo in questo modo i materiali possono essere confrontati in modo conforme alla visione d’insieme data

-

Tempo di vita: l’unità funzionale dovrebbe considerare la durata di vita del prodotto.

-

Spreco: la fabbricazone di 1 chilogrammo di prodotto richiede una quantità maggiore del materiale di questa. Che cosa accade ai materiali di scarto? Vengono riutilizzati, riciclati o smaltiti?

-

Manutenzione: anche le richieste di manutenzione andrebbero considerate. Quando avverranno le prime richieste di manutenzione e con che frequenza si ripeteranno? Il materiale si consuma?

-

Energia di trasformazione ulteriore: i componenti edili, le strutture, e i prodotti ad alta tecnologia e complessi richiedono lavorazioni che sono al di fuori dei limiti degli inventari oggi disponibili per parlare dell’energia incorporata nei materiali da costruzione.

11

Inventory of carbon

BANCA DATI DI PRODOTTO: Inventory of Carbon & Energy (ICE V2), Sustainable Energy Research Team (SERT) Department of Mechanical Engineering, University ok Bath, UK (2011).

12

Questa banca dati è un inventario dei coefficienti dell’energia incorporata e del carbonio incorporato nei materiali da costruzione, qui prendiamo in considerazione l’ultima versione elaborata nel 2011. È presente una vasta gamma di materiali da costruzione, oltre 3000 tipi diversi. Non è sempre possibile determinare dati completi sull’embodied energy e sull’embodied carbon dei materiali da costruzione, poiché spesso molte informazioni sono lacunose e le condizioni di confine di analisi sono incomplete. Le condizioni di confine sono specificate per ogni materiale all’interno dei profili di dettaglio. I coefficienti dell’embodied energy hanno un livello più alto di accuratezza rispetto ai coefficienti sull’embodied carbon dei materiali. Nessun risultato di questa banca dati deriva dalle valutazioni del ciclo di vita, ma è stato applicato un fattore di conversione comune dell’embodied energy all’embodied carbon. Il carbonio totale emesso da entrambe potrebbe variare ampliamente, dipendendo dalla miscela dei combustibili consumati dalla fabbrica.

Per ogni tipo di materiale, il database fornisce misure di embodied energy (MJ/kg) e di embodied carbon (kgCO2/kg), legate alla quantità di unità specifiche del materiale. I materiali solitamente vengono riconosciuti in base alla massa, in kg. I calcoli sono effettuati, in questi casi, moltiplicando i fattori appropriati su unità di massa o superficie unitaria del materiale. I coefficienti dell’embodied enrgy e dell’embodied carbon selezionati per la banca dati ICE sono rappresentativi dei materiali tipici impiegati nel mercato britannico. Nel caso dei metalli, i valori per il materiale vergine ed i materiali riciclati sono stati prima stimati e poi è stato applicato un tasso di riciclaggio e contenuto riciclato.

Il trasporto dalla fabbrica al cantiere sarebbe trascurabile per molti materiali e normalmente è così per i materiali con un elevata embodied energy e carbon. Ma nel caso dei materiali con bassi valori di E.E. ed E.C., come sabbia ed aggregati, il trasporto è una componente che può essere significativa.

METODOLOGIA PER IL RICICLO Facendo uso del metodo del contenuto riciclato (ICE) i metalli serviti nella costruzione sono suddivisi fra materiali riciclati e primari. Se del totale dei materiali utilizzati in una costruzione il 60% sono primari, il contenuto riciclato sarà il 40%. Nel caso dei metalli è possibile accreditare una riciclabilità dell’85%. Ciò implica che alla conclusione della vita della costruzione è previsto che l’85% dei metalli presenti nella costruzione sia riciclato in nuovi prodotti. È chiaro che l’applicazione di ogni metodologia darà risultati molto differenti; in particolar modo

per l’alluminio. Infatti, l’alluminio riciclato ha un risparmio del 85-90% nei suoi impatti incorporati rispetto all’alluminio primario. I vantaggi della metodologia del riciclo della metodologia del riciclo contenuto sono adatti ad essere rapportati con le stime degli impatti correnti della produzione delle imprese. I dati ICE sono strutturati per identificare la differenza fra i metalli riciclati e primari. L’utente è quindi libero di applicare tutta la metodologia di riciclaggio.

13

14

15

16

17

18

19

Il contesto giapponese: Sekisui House

Architettura domestica giapponese

22

Il problema della scarsa cultura tecnologica nell’ambito del costruire contemporaneo, è argomento non solo nell’ambito del costruire contemporaneo è argomento di discussione non solo nell’ambito del dibattito colto in Italia, ma anche oltreoceano, ed in particolare modo in Giappone. In Giappone non si può parlare di insufficiente conoscenza delle tecniche costruttive e delle possibilità offerte dai nuovi materiali da parte dei progettisti, dato che in generale la loro preparazione tecnica è molto alta, ma di scarsa conoscenza delle valenze culturali associate a determinare tecniche esecutive o materiali, causata soprattutto dall’assenza di un contesto socio-economico e culturale in cui inserirsi e di cui farsi interpreti. È un contesto fatto di richiami alla tradizione o di accettazione dogmatico delle nuove verità, tecnologiche ma anche e soprattutto culturali, importate dall’occidente. Lo studio di una cultura tanto diversa dalla nostra può, con il confronto, stimolarci a ragionare sia sul nostro modo occidentale di esperire lo spazio che sul modo di ordinarlo e catalogarlo.

Innanzi tutto le condizione geografiche del Giappone, un’isola “isolata”, influenzata da un clima e da condizioni naturali non particolarmente favorevoli all’insediamento umano (poche terre pianeggianti, caldo umido estivo e freddo secco invernale, piogge e vento in tutte le stagioni, terremoti e maremoti) hanno avuto grosse ripercussioni sullo sviluppo dell’architettura del luogo, in legno e carta, su travi e pilastri.

Allo stesso modo, anche un’indagine psico-sociologica sulle abitudini di vita della popolazione finalizzata a capirne le conseguenze nell’organizzazione abitativa della casa, è stata fondamentale per cominciare a penetrare il contesto del quale abbiamo studiato i caratteri di organizzazione spaziale. Si percepiscono chiaramente quali aspetti derivano da vecchie abitudini e tradizioni e quali invece, importanti nel dopoguerra dall’occidente, si sono sovrapposti più o meno violentemente su un modo di vivere, abitare, pensare, lavorare completamente differente. In questo caso si è tentato di mettere in evidenza i motivi e le valenze culturali di certe abitudini radicate profondamente nell’animo dei giapponesi: vita sul pavimento, stanze polifunzionali, l’importanza della natura nella vita di ogni giorno, sono alcuni degli aspetti che si rinnovano nelle case contemporanee. A questo proposito l’analisi si è indirizzata allo studio della villetta monofamiliare urbana perché è sicuramente la tipologia che ha più riferimenti con la tradizione delle case di legno e carta, ed è generalmente tuttora la tipologia più desiderata dal giapponese. Appena le condizioni economiche possono permetterlo, infatti, il giapponese si compra una casa monofamiliare prefabbricata: ne esistono ormai di tutti i tipi e di tutte le dimensioni, e le strategie di vendita sono talmente raffinate da competere con quelle destinate al mercato delle automobili. Inoltre si insiste talmente sulla possibilità di personalizzare la propria casa, mettendo a disposizione per ogni tipologia un gran numero di variazioni, che il futuro acquirente ha proprio l’impressione di essersi rivolto al suo architetto di fiducia per costruirsi una casa unica e personale. Una conseguenza di ciò, è che gli architetti lavorano molto poco, se non per niente, in ristruttu-

razioni di interni di case o di appartamenti, a causa anche dei sistemi costruttivi usati che rendono più conveniente costruire una casa ex-novo piuttosto che ristrutturarne una vecchia. Allo stesso modo la figura dell’architetto è una figura nata di recente, in quanto fino alla fine del XIX secolo esisteva solo la figura del carpentiere.

Mentre la società occidentale punta tutto sull’individualismo, la società giapponese è costruita su valori collettivi. Il Giappone ha infuso nella moderna società industriale il senso comunitario; il rispetto per valori come l’onore, il dovere, la disciplina, la gerarchia generazionale, è pressoché assoluto. L’industrializzazione è oggi rivolta alle produzioni di intelligenza elettronica, meno dispendenti dalle materie prime e basate invece su un altissimo grado di specializzazione tecnologica. La vita giapponese è stata profondamente cambiata dall’esperienza della guerra, dalla occupazione straniera e dallo scontro-incontro con gli americani. Questo però in modo superficiale senza effetto sulla salda persistenza della natura di fondo e sul nucleo delle relazioni personali e delle dinamiche di gruppo. Lo stesso modello caratteristico dell’organizzazione familiare si estende anche all’impresa economica, considerata in quanto gruppo sociale.

L’architettura giapponese nasce permeata dalla religione shintoista, che, essendo in larga misura animistica, ritiene che le forze soprannaturali risiedano nella natura e in modo particolare nelle montagne, negli alberi e negli animali. Da ciò deriva un atteggiamento di vera e propria venerazione per la natura, in armonia con l’uomo, a differenza dell’occidente dove l’uomo stesso si contrappone alla natura costruendosi un universo essenzialmente antropocentrico. La concreta esistenza dell’uomo, in sé, costituisce parte dell’organizzazione, come possiamo chiaramente vedere nello sviluppo delle aree residenziali suburbane di una grande città. Prima vengono costruite case private isolate, poi ne seguono altre framezzo alle prime e, con il tempo, dove sono cresciuti interi isolati i residenti avvertono la necessità di una rete stradale e, da ultimo, di vialetti che servono ogni abitazione. Eccezionalmente si possono incontrare aree residenziali bene pianificate, edificate da qualche grande azienda. In circostanze normali la forza della società indigena si manifesta nelle grandi innovazioni tecniche. La città può essere vista come un’entità organica sottoposta a cambiamento e sviluppo costanti, e come una perpetua formazione e riformazione di parti dotate di una misura di irregolarità e di casualità: le parti fanno l’intero di una struttura, ma questo intero è a sua volta una parte di un livello superiore di ordine. La città è teatro di un costante rinnovamento e cambiamento, permettendole di rigenerarsi quando è danneggiata.

Molti degli edifici in cemento armato a Tokyo, un tempo pensati per durare per sempre e che oggi sono stati smantellati, furono costruiti negli anni ’20, dopo essere durati quindi solo cinquanta o sessanta anni, sia dal punto di vista strutturale che funzionale. Oggi si richiedono rapidi cambiamenti nella società ed alcune modifiche della natura

23

dell’architettura per adeguarsi alle nuove funzioni delle città. Anche per questa ragione, di fronte ad edifici i quali richiedono manutenzione, i giapponesi tendono a decidere che è più saggio e prudente costruire un edificio nuovo e più efficiente.

24

interi quartieri di abitazioni di piccole o medie dimensioni convivono comunemente con i grattacieli (Tokyo, sett ‘94)

Il punto fondamentale che determina l’interno della residenza tradizionale giapponese è l’abitudine di sedersi e dormire direttamente sul pavimento. Gli effetti di questo stile di vita si riflettono necessariamente in molte caratteristiche dell’architettura, tra le quali la principale è forse la presenza di particolari stuoie, dette tatami, di dimensioni di circa un metro per due, le quali divennero l’unità base dello spazio nell’architettura giapponese; le dimensioni di ogni vano si ottengono così moltiplicando il modulo del tatami. Il giapponese per abitudine vive sul pavimento, non ponendosi quindi nessun problema nell’appoggiare ogni cosa per terra. Se la prima caratteristica degli interni tradizionali giapponesi è in stretta relazione con lo stile di vita caratterizzato dall’abitudine di sedersi sul pavimento, la seconda è la mancanza di stanze, intese come scomparti con funzioni precise. Per assicurare una buona ventilazione nel periodo estivo le pareti della casa giapponese, dal soffitto al pavimento, e da un pilastro di fondazione all’altro, devono essere il più possibile apribili. Per questo le costruzioni su pilastri e travi, uniche parti fisse, sono diventate la base, il fondamento architettonico dello stile giapponese, e delle loro abitudini di vita. Nell’architettura tradizionale giapponese lo spazio viene così diviso da porte scorrevoli, shoji o fusuma, dando la possibilità di creare stanza contigue. In un’abitazione giapponese tradizionale è piuttosto raro avere stanze nettamente separate. Infatti la privacy si ottiene non tanto fisicamente per mezzo di strutture architettoniche, ma attraverso il rispetto della distanza interpersonale. Basta pensare a questo proposito alla loro abitudine di inchinarsi reciprocamente per salutarsi, invece che stringersi la mano.

La vita nelle case tradizionali, composte di spazi comunitari o senza nette chiusure, è stata senz’altro in parte responsabile della singolare capacità dei giapponesi di vivere e lavorare in stretta collaborazione di gruppo, ricercando la propria individualità in un mondo interiore riservato e segreto, imperscrutabile soprattutto agli occhi di un occidentale, fatto di valori morali religiosi molto personali.

I giapponesi per sopravvivere ai freddi inverni, vivendo in case a struttura a travi e pilastri di legno, con pareti sottili che non trattenevano il caldo rendendo inconcepibile un sistema di riscaldamento centralizzato. Invece che tentare di scaldare lo spazio attorno ad essi, assorbivano direttamente il calore mantenendo il proprio corpo caldo quanto più era possibile con bagni e bevande calde.

In Giappone la cura per il giardino è una tradizione che si è mantenuta praticamente immutata fino ai nostri giorni ed è l’espressione viva e simbolica dell’amore di questo popolo per la natura. Il giardino privato sopravvive anche nell’abitazione contemporanea come spazio irrinunciabile per allargare, almeno metafisicamente, gli angusti limiti del vivere quotidiano. Oggi la superficie lasciata al giardino urbano si è andata progressivamente riducendo, sia a causa della richiesta di terreno su cui poter edificare, sia per la necessità di contenere gli oneri della sua manutenzione.

Il sogno di gran parte dei Giapponesi: una casa monofamiliare prefabbricata I giapponesi avevano sviluppato dei metodi sofisticati di standardizzazione e tecniche edilizie prefabbricate per i progetti di costruzioni religiose e governative già negli anni 700. Per tutto il seguente millennio i costruttori giapponesi utilizzarono questi principi per creare i templi monumentali, i castelli e i complessi residenziali che sono alla base della tradizione architettonica giapponese: questo ci fa comprendere quanto le case prefabbricate moderne siano vicine come spirito e tecniche costruttive alle tradizioni. Nel caso degli alloggi prefabbricati, la tecnologia moderna ha creato un tipo di costruzione straordinariamente simile per progetto, procedimenti di produzione e d’assemblaggio alla casa tradizionale. Fatto che spiega il grande successo degli edifici prefabbricati: per i giapponesi questi sistemi non sono tanto estranei al loro modo di pensare l’architettura quanto lo sono per gli occidentali.

In Giappone esistono parecchie esposizioni permanenti per mostrare le case proposte dai più grandi produttori di abitazioni giapponesi: nonostante le differenze di costruzione e materiali usati, come pure fantasiose varietà delle facciate esterne, le case prefabbricate proposte dai vari produttori hanno moltissimo in comune, in quanto si rivolgono alla soddisfazione di bisogni simili causati da uno stile di vita urbano relativamente uniforme. È quindi interessante esaminare le caratteristiche distributive di questi edifici, per porle in relazione alle prevalenti condizioni sociali giapponesi, e individuare quali siano gli aspetti tanto graditi ai giapponesi in queste abitazioni che noi architetti occidentali sosteniamo non essere architettura, ma semplicemente oggetti di consumo. La casa contemporanea prefabbricata prodotta nel Giappone contemporaneo è prevalentemente a due piani: il piano terreno in genere ha un soggiorno e una veranda alla quale si accede attraverso porte scorrevoli . Le case in esposizione sono arredate elegantemente con copie di mobili generalmente del più banale stile occidentale. I pavimenti sono per lo più in legno con tappeti e tappetini sparsi qua e là.

Le cucine sono compatte e attrezzate in modo efficiente, la stanza da bagno solitamente situata al primo piano. Una scala consente l’accesso alle stanze da letto in stile occidentale. La superficie totale raggiunge circa i 100 mq. La stanza in stile giapponese viene molto spesso ancora richiesta come importante focus per l’intrattenimento formale.

Per i giapponesi una casa prefabbricata in stile occidentale richiede, nonostante tutto, che si tolgano le scarpe prima di entrare, come era abitudine storicamente.

Interno di una casa prefabbricata in costruzione. E’ ben visibile la struttura in acciaio.

25

Le case prefabbricate vantano anche la possibilità di offrire migliori vantaggi in termini sia di convenienza che di sicurezza, rispetto alle case convenzionali. Innanzitutto il costo di produzione e assemblaggio, che è stato significativamente ridotto mediante la standardizzazione modulare, la produzione meccanizzata e gli elevati livelli di prefabbricazione, permette di spendere maggiormente per le finiture e gli arredi interni, migliorando alla fine il comfort globale e lo standard di vita di molti giapponesi. In aggiunta alla maggiore convenienza economica, la casa prefabbricata in generale è in grado di resistere meglio alle scosse di terremoto, alle elevate velocità dei venti associati ai tifoni e all’inesorabile invecchiamento di quanto non facciano le case in cemento o struttura in legno. La paura del terremoto è una delle più profondamente radicate per i giapponesi, l’abilità delle nuove case prefabbricate di far fronte sia alla reale minaccia che alla concomitante anticipata paura umana è fondamentale per il loro successo nel Giappone contemporaneo: la superiorità rispetto alle case convenzionali è una pretesa favorita nelle campagna pubblicitarie. Il fuoco, spesso associato al terremoto, è un’altra grande paura dei giapponesi e le case prefabbricate offrono anche in questo caso prestazioni superiori. I pannelli in ceramica leggera realizzati con un composto di silice e calcare addizionato di anidride carbonica possono resistere al fuoco due volte di più del cemento comune con un peso quattro volte inferiore. Le nuove ceramiche hanno anche qualità isolanti più efficaci, con una conduttività termica uguale ad un decimo di quella del cemento tradizionale. Anche il rumore è un fattore preso molto in considerazione nelle aree urbane densamente popolate del Giappone. Nelle case prefabbricate sono stati ora raggiunti migliori livelli di isolamento acustico per mezzo di sistemi sandwich a doppi muri con pannelli ricoperti di gesso all’interno e di legno irrigidito o di ceramica all’esterno. Anche la resistenza all’umidità è generalmente più elevata che nei tradizionali edifici in legno o cemento, e questo è un importante fattore se si tengono presenti le condizioni di forte umidità nel clima del Giappone.

26

Un esempio degli opuscoli che pubblicizzano case prefabbricate e vengono spediti settimanalmente alle famiglie di Tokyio.

Oltre ai vari fattori fin qui analizzati, che concorrono positivamente alla scelta di una casa prefabbricata rispetto ad un’altra, bisogna considerare anche alcuni aspetti legati all’offerta del popolo che fanno sì che esso si avvicini molto all’ideale della casa contemporanea sognata da molti giapponesi del giorno d’oggi. In primo luogo, l’aspetto occidentale quasi banale di queste case soddisfa un desiderio profondo della classe media giapponese di essere moderna. La maggior parte di essi è cresciuta in un mondo post-bellico occidentalizzato e molti hanno viaggiato oltreoceano spesso ottenendo una visione sommaria dell’architettura occidentale, alla quale i progettisti di queste case si ispirano. In secondo luogo, tutte le costruzioni di case prefabbricate mirano a mostrare caratteri di individualità piuttosto che di industrializzazione. La classe media urbana conservativa e omogenea, contrariamente a quanto siamo soliti pensare noi occidentali dei giapponesi, ha forte desiderio di manifestare ciò che si vede come individuale, attraverso lo stile delle proprie case.

Il costruttore industriale offre solitamente da 3 a 5 piante di base, ma è possibile una gamma quasi infinita di variazioni con l’uso di opzioni multiple e del computer. I clienti sono incoraggiati a personalizzare le loro case, disegnando da soli le piante fornite come parte integrante dei volantini pubblicitari, leggendo gli opuscoli di vendita sui quali progettare gli spazi interni, o guidando i tecnici di computer sul modo di adattare le piante di base alle loro richieste specifiche. A questo proposito viene richiesta la compilazione di un questionario sui desideri e le preferenze di ogni cliente. Diversi sono gli aspetti presi in considerazione dalle compagnie edilizie, per incontrare e soddisfare le diverse esigenze di personalizzazione. Inoltre l’elevato livello di prefabbricazione significa che il cliente può ordinare che siano completate rapidamente, sia da

parte di società consociate al reale costruttore sia da imprese locali in sub-appalto. Nel dopoguerra i cambiamenti dovuti all’imitazione dei modelli occidentali che si erano comincitai ad introdurre solo nelle abiatzioni costruite per le classi sociali alte, cominciarono a diffondersi presso tutti i ceti sociali.

Influenze occidentali nell’abitare giapponese.

Cambiamenti dell’abitare nel dopoguerra Nel dopoguerra i cambiamenti dovuti all’imitazione dei modelli occidentali che si erano cominciati ad introdurre solo nelle abitazioni costruite per le classi sociali alte, cominciarono a diffondersi presso tutti i ceti sociali. L’enorme fabbisogno abitativo a cui si doveva far fronte e quindi l’industrializzazione dei materiali per l’architettura, lo sviluppo della tecnologia per la casa, diedero modo di introdurre pian piano abitudini e modi di vivere sempre di più diversi da quelli tradizionali. Oggi nella comune dimora giapponese, appartamento, condominio o residenza indipendente, è rimasto molto poco che possa ricordare le antiche tradizioni architettoniche: è diventata semplicemente la norma che case strettamente aderenti allo stile tradizionale non vengano più costruite, specialmente in città. Nel 1920 fu stabilito il primo regolamento edilizio del Giappone, nelle città fu proibita l’architettura integralmente in legno a causa dell’elevata sensibilità al fuoco. Lo studio della concezione giapponese dello spazio deve partire dalla considerazione che i giapponesi percepiscono il mondo, fisicamente e psicologicamente, in modo molto diverso da noi occidentali. Essi registrano le percezioni spaziali attraverso un filtro costituitosi da una complessa storia di tradizioni culturali, religiose, linguistiche e estetiche. La fondamentale caratteristica nella percezione dello spazio per il giapponese è che egli esperisce l’ambiente che lo circonda attraverso tutti i sensi del corpo, al contrario di noi occidentali che privilegiamo in senso assoluto la vista. Nella costruzione dello spazio architettonico giapponese si è sempre posta l’attenzione alla fusione tra interno ed esterno, i cui limiti sono bene definiti. Mentre in occidente, dove la natura era percepita come qualcosa di ostile, venivano realizzate strutture in pietra che potessero durare quasi in eterno, nel tentativo umano di sconfiggere la mortalità, in Giappone al contrario, si viveva in coesistenza con la natura e lo strumento dell’architettura era il legno, che si arrende al tempo, in quanto per loro il tempo non era qualcosa da vincere combattendo, ma piuttosto da vivere accettandone le leggi.

Il paesaggio urbano non è appesantito dal passato e non presenta stratificazioni. Anche oggi gli edifici sono considerati più beni di consumo che risorse permanenti, e questo spiega anche il successo delle case prefabbricate: l’unica cosa permanente da possedere è il terreno e ciò ne spiega l’elevatissimo prezzo. La città giapponese è il luogo di una dinamica impazzita. Velocità, cambiamento ed energia sembrano esserne le regole, mentre a Tokyo la vita media di una casa è di tredici anni. La casa italiana è così una forma ricca di storia, ma a volte una forma soffocante, che sopravvive alla vita dell’uomo e sembra plasmarlo, mentre la casa giapponese cambia a vista, e si sposta, gli sottrae identità e sicurezza. Al contrario spesso nei due paesi gli edifici assumono materiali e forme del tutto inversi alla loro durata, l’intonaco in Italia per i secoli, la pietra e il metallo in Giappone per l’effimero.

Sono due polarità assiomatiche di insediamento. L’idea che ognuno dovesse avere la sua casa personale risale ad una tra le più antiche usanze giapponesi, a quella credenza shintoista che esige l’abbandono di una casa dopo la morte del suo proprietario. Questi antichi co-

27

stumi non potevano venire osservati se non ricorrendo ad una forma architettonica che è quella del sistema a costruzioni lignee, facile ad essere edificato e altrettanto facile ad essere demolito.

28

L’architettura tradizionale giapponese è stata interamente basata su un sistema di disegno modulare che, attraverso l’uso di proporzioni prestabilite, consentiva ai carpentieri di ottenerne l’equilibrio architettonico globale degli edifici da realizzare. Un altro modulo che contribuisce all’armonia interna sono i tatami, stuoie rettangolari di circa un metro per due, che ricoprivano i pavimenti delle antiche residenze. La modularità costruttiva ha quindi consentito di realizzare piante e strutture semplici e flessibili, al contempo articolate e variate: in particolare la flessibilità funzionale è derivata dalla netta distinzione di struttura primaria, che ne determinava la composizione globale, e secondaria, che ne delimitava la pianta e le partizioni interne. È pur vero che la struttura primaria non poteva in alcun modo essere rimossa limitando in qualche modo la libertà progettuale, ma bisogna sottolineare che la struttura secondaria, che comprendeva pannelli divisori, pavimenti, soffitti, nicchie decorative, aperture, poteva invece essere modificata in qualunque modo e momento per conformarsi ai diversi cambiamenti di vita, di gusti e di esigenze in modo flessibile.

La rivoluzione industriale in Giappone si fa risalire agli ultimi decenni del secolo scorso, con la presa di potere del governo Meji. Nel campo delle costruzioni i giapponesi cominciarono ad usare le pietre e i mattoni, al posto delle tecniche tradizionali che utilizzavano il legno.

Però il terremoto di Nabi nel 1891 aveva dimostrato che gli edifici in muratura erano poco resistenti, al contrario di quelli tradizionali in legno, che però erano facilmente infiammabili. Ad occuparsi per primo della sicurezza sismica degli edifici fu J. Conder, che irrigidì le pareti in laterizio con barre e cerchi di ferro. Dopo alcuni esperimenti, verso la metà degli anni novanta, i giapponesi decisero infine di realizzare edifici con ossatura in acciaio o un metodo misto con ossatura in acciaio e muri in laterizio. L’impiego del cemento armato in architettura venne sostenuto dalle società private con l’appoggio dei costruttori/ingegneri e non dei vecchi carpentieri, né gli architetti stilisti. Fu in questi anni che si precisò la distinzione tra architetto stilista e ingegnere, contribuendo alla nascita di un movimento e di un’architettura nazionalista.

Il terribile terremoto del 1923, uno dei più grandi disastri naturali della storia del Giappone; Tokyo e Yokohama vennero distrutte in un momento dalla violenta scossa e dagli incendi: il bilancio del cataclisma fu catastrofico. Per la prima volta si presentarono al Giappone enormi problemi legati al rifiuto delle strutture in muratura con la ricerca di materiali più elastici e non infiammabili, alla revisione delle tecniche tradizionali e alla necessità di costruire alloggi per milioni di persone.

In Giappone, alla fine della seconda guerra mondiale, erano state completamente distrutte 2 milioni e 700 mila abitazioni, mancavano 4 milioni e 200 mila alloggi e circa 14 milioni di persone avevano solo ricoveri di fortuna. Il compito più immediato fu quello di soddisfare questo fabbisogno di alloggi al più presto possibile, a basso costo, con sistemi produttivi economici e con tempi costruttivi ridotti.

Il primo momento dell’opera di ricostruzione avvenne sotto la spinta delle forze di occupazione nord-americane, che impostarono un programma edilizio provvisorio per la costruzione di interi quartieri di abitazione che sostituissero le case distrutte durante la guerra. La tecnica si aggiornò con l’analisi dei nuovi metodi e delle tecnologie avanzate degli americani stessi e dagli europei, e così pure l’industria si sostenne con gli interventi stranieri e con quelli nazionali. Mentre nei loro progetti gli architetti imboccarono l’unica via giusta sviluppando piccoli

alloggi come soluzione transitoria nel tentativo di impostare un’edilizia razionale con l’aiuto della prefabbricazione e della produzione industriale, in pratica questi sforzi non superarono mai lo stadio iniziale per la scarsità dei materiali e la mancanza di impianti adeguati. Le prime case del dopoguerra furono quindi realizzate come prima, con metodi artigianali, secondo i modelli tradizionali in legno, e molto spesso si trattò di semplici baracche in legno di minima superficie e non certo proposte come prodotti permanenti, ma come provvisori e di fortuna.

Negli anni ’50, la produzione delle materie prime per l’edilizia, cemento, acciaio e vetro, aumentò rapidamente e le misure di razionamento del governo divennero meno rigide. Venne così all’attività edilizia un forte impulso in tutto il paese, e per gli architetti compiti reali subentrarono alle ricerche teoriche. Quando sorsero le prime realizzazioni nel settore dell’edilizia residenziale, il più colpito e l’unico programmato, la mancata coscienza della necessità di una moderna pianificazione urbanistica nella quale far rientrare i programmi particolari e il peso della tradizione costruttiva e tipologica, era del tutto disadatta ad affrontare e risolvere il problema dell’alloggio di massa con strumenti moderni.

Così la strada della casa unifamiliare con giardino sembrò obbligata, ed in questo senso si diressero prevalentemente gli sforzi di molti architetti che continuarono l’opera già iniziata nell’anteguerra, progettando case di serie con elementi prefabbricati di ferro e di cemento.

Pietre e laterizi costituiscono elementi divisori strutturali di parete. Acciaio e cemento armato, sotto forma di pilastri e travi, formano strutture a telaio. La struttura a telaio conferisce alla distribuzione dei locali maggiore apertura e flessibilità e rende superflua la massiccia parete chiusa quale elemento strutturale. Per la continuità fra spazi interni ed esterni, per la trasformabilità dei locali con l’aiuto di pareti divisorie mobili, l’architettura tradizionale giapponese aveva già trovato molte soluzioni orientative: ad esempio la continuità tra giardino e lo spazio interno, la parete scorrevole per ampliare o ridurre i locali, la stuoia tatami. Occorre ora standardizzare ciò che il costruttore aveva fatto in passato, non solo a causa dell’industrializzazione, ma anche per la flessibilità dello spazio.

I primi anni ‘60 Nascita delle compagnie edilizie indipendenti Intorno agli anni ’60 e agli anni del boom economico, i Giapponesi avevano come obiettivo quello di possedere le loro stesse case e quello che fu conosciuto come boom “my home” indicava che l’ideale per la maggior parte dei giapponesi era una residenza singola per ogni famiglia, un’ideale senza speranza in disaccordo con la realtà congestionata delle città giapponesi. Il boom esigette troppo non solo dal tessuto urbano in Giappone, ma anche dalle risorse fisiche ed umane del settore delle costruzioni. Ci furono grandi carenze di materiali edilizi, in particolar modo di legname da costruzione e di mano d’opera specializzata e per gli alloggi pubblici di basso costo si svilupparono pannelli di cemento progettato. Allo stesso modo nel generale settore degli alloggi proliferarono case con strutture in acciaio di peso leggero rivestite con pannelli prefabbricati di legno compensato, plastica o vinile. Queste erano poco costose ma scadenti nella qualità strutturale e compositiva, da notare soltanto per la loro uniformità.

Per quanto riguarda la prefabbricazione, in Giappone erano stati realizzati soltanto sporadici interventi e mai dei modelli per un intervento programmato, tra di essi le case provvisorie fornite dallo Stato. Men-

29

tre per soddisfare l’immediata domanda di abitazioni individuali venne adottata una bassa qualità di case prefabbricate, si mirò a soluzioni a più lungo termine applicando di nuovo potere industriale del Giappone ai problemi degli alloggi. Fu in questo momento che vennero fondate e compagnie edilizie indipendenti, incluse quelle che oggi dominano il settore, Sekisui Prefab Homes e Misawa Homes. Sekisui produsse la sua prima casa prefabbricata ad un piano nel 1961, con una struttura in acciaio e muri a pannelli, non era molto diversa dalle altre case prefabbricate di quell’epoca, ad eccezione della solidità della sua struttura e del grado della standardizzazione dei componenti. La pianta di base con le stanze in stile giapponese raggruppate intorno ad un soggiorno in stile occidentale indicava un piccolo cambiamento rispetto alle prime residenze dell’era Taisho (1912-1926) che incorporavano spazi separati in stile giapponese ed occidentale. Intervennero anche le imprese private, realizzando costosissimi appartamenti condominiali che vennero denominati “mansion”, oppure “apartment, villa, cooperative house, residence, maison, house, pavillion”; ma l’intervento, oltre che poco significativo, fu piuttosto sporadico proprio per l’inacessibilità dei prezzi, tenuto presente che il livello medio del giapponese era rappresentato da bassi salari, scarsi redditi e minimo tenore di vita. La tipologia edilizia degli edifici era prettamente occidentale, con volumi isolati e a piena luce, ma si cercava di conservare una tradizionale continuità tra spazio esterno e spazio interno e di proporre contemporaneamente unità di abitazione osservanti la tipologia tradizionale, sostenendo che la casa privata giapponese basata sul tatami non fosse necessariamente in contraddizione con la vita moderna. Il risultato fu una giusta posizione di modernità e tradizione, ciascuna con una propria scala: la nuova dimensione comunitaria pur nel rispetto della propria vita privata.

30

Le nuove tendenze dopo gli anni ‘70 La superiorità delle nuove case prefabbricate, rispetto alle case convenzionali, nel far fronte alla ninaccia del terremoto, nella resistenza al fuoco e al rumore in opuscoli pubblicitari giapponesi.

Sekisui House

Kenzo Tange rilevava che “gli architetti non sono sicuri in quale direzione stiano dirigendo la loro energia e spesso la spendono per venire incontro alle esigenze di ogni singolo cliente; che le ditte produttrici di prefabbricazione non guadagnano perché ricevono dai clienti richieste di variante in funzione delle loro case di base; che tutte le case unifamiliari giapponesi sono costruite artigianalmente e sono solo di dieci tipi; che se la prefabbricazione farà case uguali, le persone non le vorrano”. (K.Tange, The Japan Architect, n. 117, 1966). Furono una serie di circostanze sociali, economiche e tecnologiche a stimolare l’emergenza delle case prefabbricate in Giappone dagli anni ’70. Un forte impeto verso la prefabbricazione edilizia venne dalle corporazioni generali di costruzione che formavano la spina dorsale dell’industria edilizia su larga scala in Giappone. Finché non fu permesso

di costruire edifici di elevata altezza nei primi anni ’70, questi imprenditori concentrarono la loro attenzione sul modo di adattare i sistemi degli edifici di media altezza escogitati negli Stati Uniti e in Europa, alle necessità ambientali e spaziali giapponesi.

Durante lo stesso periodo, vale a dire dagli ultimi anni ’60 fino agli anni ’70, fu il settore edilizio stesso che cominciò a fare dei tentativi verso l’industrializzazione delle case. Allo stesso tempo l’industria si stava espandendo in un modo senza precedenti, spingendo la nazione in posizioni vantaggiose a livello competitivo sul mercato mondiale in molti settori dell’industria e della tecnologia applicata. La persistente industrializzazione nel settore edilizio convenzionale attraverso un crescente uso di componenti industriali prodotte in serie e standardizzate fu una premessa essenziale per lo sviluppo della casa interamente prefabbricata. Nel settore delle case prefabbricate gli sforzi furono indirizzati a produrre alloggi efficienti dal punto di vista dei consumi energetici e a ridurre i costi attraverso la razionalizzazione delle tecniche di produzione e di assemblaggio. Ne seguì la produzione di unità modulari a sistema chiuso, meno costose e più efficienti da produrre delle tipologie di case convenzionali e a sistema aperto, perché il livello di prefabbricazione industriale arrivava fino all’ottanta o novanta percento. In questo momento emerse Sekisui Heim come maggiore forza nel campo delle case prefabbricate, costruendo unità dell’ampiezza di una stanza con struttura rigida in acciaio di peso leggero nella stanza occidentale e in quella giapponese, nel bagno e nella cucina.

La politica del governo di non stanziare fondi per l’edilizia pubblica ha educato i cittadini a desiderare una casa monofamiliare che viene progettata e realizzata da imprese private, scavalcando quindi la figura professionale dell’architetto. Mediante un’analisi superficiale della resistenza dopo gli anni ’70, bisogna mettere in evidenza che i filoni intravedibili nella cultura architettonica giapponese sembrano essere caratterizzati ancora dalla contrapposizione di tradizione e modernità.

Si possono individuare alcuni principali indirizzi architettonici. In un primo luogo una generazione di architetti rimasta legata alla tradizionalità, che chiusa nella propria sfera emotiva sopporta o rifiuta il moderno, questo indirizzo documentata una reazione che, attraverso un recupero della simbologia del passato, conduce spesso ad assumere posizioni di antitesi alla tecnologia americana riproponendo forme e materiali tradizionali. Una seconda tendenza è quella che, pur legata al passato perché educata nel passato, accetta le tecniche e le tecnologie moderne vivendo nel dualismo tra tradizione e innovazione. I risultati raggiunti sono spesso molto differenti in quanto, mentre talvolta la tradizione è vista come matrice e testimonianza storica di fronte alla quale l’architetto moderno è chiamato ad esprimere un giudizio critico giungendo a soluzioni coerenti perché derivate da una seria discussione su che cosa esprima meglio la tradizione giapponese nella modernità, talvolta la simbologia del passato è recuperata con ingenuità e superficialità.

31

Sekisui House

32

Fin dalla fondazione del Gruppo Sekisui House, al centro delle attività aziendali è stato posto l’impegno nel contribuire alla creazione di alloggi confortevoli e di comunità ecologiche; includono la promozione di misure di prevenzione delle catastrofi, garantendo uno stabile approvvigionamento energetico, la conservazione degli ecosistemi, la lotta contro il riscaldamento globale, la promozione di una società orientata al riciclo, offrendo soluzioni ai problemi del rapido invecchiamento della popolazione, favorendo la generazione futura di cittadini, e la rigenerazione delle comunità locali. Durante il 2013, Sekisui House ha costruito un totale di 49.752 case, arrivando ad un totale di 2.185.189 case costruite.

Sekisui House si occupa principalmente di diversi aspetti: -

Case unifamiliari: progetto, costruzione, gestione.

-

Case d’affitto: progetto, costruzione, gestione di affitto degli alloggi e strutture di assistenza medica e infermieristica.

-

Ristrutturazioni: ampliamento e rinnovamento, remodeling delle sezioni esterne della casa per incrementare l’isolamento termico e la sicurezza abitativa.

-

Gestione delle proprietà immobiliari: subaffitto, gestione, funzionamento e intermediazioni immobiliari.

-

Vendita di proprietà: vendita di case e aree resistenziali, progettazione e costruzione, contrattazione di case su terreni residenziali in vendita.

-

Sviluppo e vendita di edifici residenziali.

-

Riqualificazione urbana: sviluppo di edifici per uffici e strutture commerciali, gestione e funzionamento di immobili di possesso.

-

Attività all’estero: amministrazione di case unifamiliari personalizzate, vendita di case unifamiliari già costruite e di terreni residenziali, sviluppo e vendita di edifici residenziali e strutture commerciali nei mercati esteri.

Sekisui House si impegna nel portare più confort negli spazi abitativi, integrando attivamente le tecnologie più recenti. Nel mese di aprile 2013, ha lanciato il concetto di casa Green First ZERO, progettata per consentire di vivere con bassi consumi di energia e di produzione di CO2. In questo modo, persegue la proposta del governo giapponese di creare un mercato considerevole per gli edifici ad energia zero entro il 2020, promuovendo al contempo le vendite di Green First ZERO come nuova forza trainante per l’azienda; lavora inoltre per aumentare la vendite di case a tre o quattro piani ed edifici residenziali, soprattutto nelle aree urbane. Sekisui House Group è orientata verso il raggiungimento di una crescita sostenibile attraverso l’impegno di tutta la società.

Sekisui House attribuisce molta importanza ad una società basata sulla comunità, e ritiene che i cantieri debbano essere il più possibile aperti alla società, dando informazioni sugli alloggi e residenze. Queste attività sono intraprese presso i cantieri in tutto il Giappone, presso case modello e presso centri di apprendimento. Attraverso queste attività si cerca di dimostrare ai visitatori la qualità superiore delle case Sekisui costruite sotto il concetto di flessibilità di progettazione specifica per cliente. In questo modo assume la piena responsabilità per l’intero processo di costruzione dell’edificio dall’inizio alla fine riducendo al minimo gli impatti sul vicinato. Esiste una vasta gamma di modelli di case di tutto il Giappone le quali incarnano gli ideali di alloggi adatti alle singole caratteristiche del luogo e alle condizioni geografiche, mostrando gli stili di vita futuri.

In sostanza, le case sono costruite ad una ad una in modo specifico adattate alle condizioni locali, quali il clima, caratteristiche geografiche e le condizioni del sito, nonché alla struttura familiare del cliente, allo stile di vita, e alla fase di vita. Sekisui House considera l’intero processo di costruzione dell’edificio: dalla la progettazione, la produzione, la costruzione ed il supporto post-vendita. La ricerca persegue nel perfezionamento sia di strutture abitative che di standard di vita confortevoli, in modo da garantire una maggiore qualità in ogni fase del processo di costruzione. Sekisui House sviluppa personali metodi di costruzione, produzione e sistemi costruttivi, portandoli a un livello superiore di sofisticazione. Il fine è quello di aumentare il grado di libertà di progettazione per meglio soddisfare le diverse esigenze, garantendo la sicurezza delle strutture abitative, sfruttando il vantaggi di abitazioni industrializzate.

Sekisui house assicura abitazioni confortevoli a lungo termine con assistenza ai proprietari anche dopo il trasferimento nelle loro nuove case, per garantire che le case durino per generazioni e viene offerta anche un’assistenza post-vendita per i proprietari di abitazioni. È inoltre presente un sistema efficiente per affrontare la ristrutturazione, la ricostruzione, e la delocalizzazione secondo il bisogno dei proprietari.

Una volta che la costruzione è completa e la casa viene consegnata al proprietario, con una garanzia di 20 anni applicabile alle strutturale in telaio, insieme ad altre garanzie che si applicano a ciascuna componente dell’abitazione per un periodo di tempo specificato. Questo sistema aiuta mantenere il valore patrimoniale della casa, mantenendola interessante per potenziali acquirenti nel caso in cui il proprietario di casa decida di venderla in futuro. In caso di un terremoto o altra calamità naturale, Sekisui risponde alle emergenze per offrire sostegno ai proprietari di abitazione se necessario e intraprendere il restauro e attività di ricostruzione.

33

Il raggiungimento dell’abitare confotevole a lungo periodo e soluzioni di ristrutturazione su misura I progetti di ristrutturazione sono effettuate da Sekisui House Remodeling la quale segue le esigenze di ristrutturazione, offrendo diverse soluzioni, come ad esempio il progetto di ristrutturazione di interni ed esterni, l’aggiornamento di apparecchiature, l’ottimizzazione della disposizione delle stanze seguendo i cambiamenti delle strutture familiari e degli stili di vita, il miglioramento dell’efficienza dell’isolamento termico. Sulla base di una rapporto dettagliato della storia di una casa, si realizzano ristrutturazioni con gli elevati standard di Sekisui House. In uno scenario di crescente longevità per case moderne, si cerca di accelerare il passaggio della cessione al riciclo di case come beni sociali.

L’housing esercita un impatto importante sui numerosi aspetti della società giapponese e sull’economia, perciò deve aiutare a risolvere molti dei problemi che la società deve affrontare. Il ruolo principale delle abitazioni è quello di rifugio per le famiglie e per i loro beni.

Ma è anche luogo fondamentale per le famiglie per godere di pace e comfort, vivere in buona salute ed educare adeguatamente i propri figli. Le comunità di case diventano luoghi di scambio tra residenti, di conseguenza i quartieri diventano luoghi più sicuri con nuove culture.

Ancora molte persone vivono in alcuni alloggi temporanei dopo i recenti terremoti. Ciò ha evidenziato l’importanza delle abitazioni come centro della famiglia e come fattore chiave dello sviluppo delle relazioni all’interno delle comunità. Se si presta attenzione a quanto l’alloggio e lo stato di quartieri siano strettamente legati a problemi sociali negli anni recenti, le questioni ambientali ed energetiche, il degrado della comunità, la diminuzione di scambi intergenerazionali della popolazione e il declino del tasso di natalità, diventa evidente che gli alloggi possano contribuire al miglioramento della società.

34

La consapevolezza ambientale è in aumento a seguito dell’adozione del Protocollo di Kyoto nel 1997. Sekisui House ha preso il comando nel settore mettendo l’ambiente in cima alla lista delle priorità. Nel 2001, ha lanciato il concetto paesaggistico Gohon no Ki (“cinque alberi”) per preservare la biodiversità, e nel 2005 ha pubblicato la Dichiarazione di Sostenibilità, come propria visione di società sostenibile. Queste ed altre iniziative ambientali sono state premiate nel 2008 dal momento che il governo giapponese ha certificato Sekisui House come prima compagnia “eco”.

Il prima e il dopo di un’abitazione giapponese a seguido di un’opera di ristrutturazione Sekisui House

Uno dei problemi da risolvere nel settore immobiliare in Giappone è il fatto che le case perdano il loro valore in un breve periodo di tempo.

Dalla fine della seconda guerra mondiale, il Giappone ha investito nelle abitazioni ma si è perso molto di questo valore iniziale. Ciò significa che la ricchezza nazionale è scomparsa attraverso la demolizione e la costruzione. In Europa e Nord America, le case gradualmente aumentano di valore ogni anno che passa, ma in Giappone il valore di una casa è quasi pari a zero dopo circa 20 anni. Tra le ragioni da includere ci sono la mancanza di manutenzione per sostenere il valore di una casa, e l’assenza di documenti ufficiali di manutenzione degli alloggi, quali i dati della storia della manutenzione di una casa. Per proteggere le abitazioni, importante il capitale sociale del Giappone, si devono effettuare lavori di manutenzione delle case, avere chiari ed ufficiali registri, custodire e adottare altre misure per mantenere le case che si svalutano nel corso degli anni. Al fine di mettere in atto tali misure, Sekisui House e altri nove produttori di si assume come obiettivo la responsabilità di gestione, ristrutturazione e compravendita di case che ha costruito, creando così nuove opportunità di business. Le persone in questo modo saranno in grado di acquistare case esistenti che sono state correttamente mantenute e nel tempo non svalutate.

Rete di abitazioni ad energia zero Di tutta l’energia elettrica utilizzata in Giappone, il 30% viene consumata dal settore residenziale. Un certo numero di approcci sono necessari per ridurre il consumo per esempio, la costruzione di più alloggi ad energia zero, ottimizzando la domanda e l’offerta di energia elettrica con un focus particolare sulle case intelligenti e lo sviluppo di infrastrutture per una società ad idrogeno. Come produttore di abitazioni, Sekisui House vuole contribuire alla diffusione di una rete di case ad energia zero e raccogliere la sfida di promuovere nuovi stili di vita che utilizzino fonti di energie rinnovabili.

La biodiversità, con tutti i suoi benefici, fornisce una base per la vita delle persone e per le attività. Sekisui House si impegna nell’utilizzo delle risorse in modo che si conservi la capacità rigenerativa dell’ecosistema, tenendo conto anche delle misure volte a proteggere la diversità della natura ed i cicli di vita. Il punto di svota è il Gohon no ki, concetto di paesaggio, che coinvolge l’approvvigionamento di materiali da costruzione in legno in modo sostenibile, prestando un’attenta considerazione agli ecosistemi locali durante le attività di paesaggio.

Nel 2013, il numero totale di alberi piantati con questo concetto ha superato il traguardo di 10 milioni. Nel 2007, Sekisui House ha formulato le proprie Linee Guida per il legno. Queste linee guida chiariscono le politiche di approvvigionamento del legno, sulla base di metodi di gestione sostenibile delle foreste.

Fornire alloggi di alta qualità richiede non solo componenti edilizie, ma anche nella perizia dei lavoratori edili. Per quanto riguarda quest’ultimi,

35

recentemente c’è stata una tendenza inconveniente in Giappone che riguarda la carenza di lavoratori qualificati e la difficoltà di avere nuovi lavoratori affidabili e con una formazione. Sekisui House cerca fornire un abitare di alta qualità con la formazione di lavoratori specializzati e l’espansione della produzione di case in componenti costruttive. Dall’inizio del perseguimento rifiuti zero presso i cantieri Sekisui House, i lavoratori edili hanno attivamente cooperato nella cernita dei rifiuti.

36

La vita media delle case in Giappone si dice sia sui 30 anni, che è notevolmente più breve delle case in Europa e Nord America. In Giappone, il valore patrimoniale del case non è valutato equamente ed il valore di una casa si riduce praticamente a zero in circa 20 anni. L’approccio convenzionale in Giappone di demolire ripetutamente le case e di costruirne di nuove è un enorme spreco di risorse ed energia. In situazioni come questa, è difficile coltivare culture locali e creare paesaggi urbani attraenti che la gente possa apprezzare. Con il grande peso delle spese per la loro casa, i residenti hanno più difficoltà a condurre un ricco, appagante stile di vita. Sekisui House cerca di affrontare questo problema fornendo abitazioni resistenti, di alta qualità che si adattino in modo flessibile ai cambiamenti della struttura familiare e degli stili di vita. Inoltre cerca di migliorare il supporto post-vendita, nel tentativo di creare un prezioso capitale sociale a lungo termine.

Data la popolazione del Giappone, la diminuzione del tasso di natalità, il calo della forza lavoro, è imperativo che la nazione sfrutti le capacità di una vasta gamma di persone al fine di mantenere la sua vitalità.

Sekisui House vuole creare un’organizzazione in cui una vasta gamma di risorse umane possano esercitare creatività ed innovazione. Il settore immobiliare è intimamente connesso con la vita quotidiana.

Tenendo presente la portata dell’impatto che il settore immobiliare ha sulla società e sull’ambiente globale sia ora che in futuro, Sekisui House ha definito la sua visione di società sostenibile secondo quattro valori chiave: economia, ambiente, società ed i bisogni dei proprietari di abitazione. E’ stata formulata la visione del marchio SLOW & SMART il quale rappresenta il fornire il massimo in comfort abitativo “lento”, usando recenti tecnologie “intelligenti”, al fine di affrontare l’evoluzione dei bisogni sociali.

37

Oltre alle prime serie di case verdi lanciate nel 2009 combinando il risparmio energetico e la creazione di tecnologie energetiche, Sekisui House ha preso l’iniziativa di promuovere case ad energia zero dal 2013, al fine di fornire alta qualità, abitazioni eco-friendly come soluzione ai problemi energetici. Vanno affrontate due questioni: una è la lotta contro il riscaldamento globale, l’altro è il trovare soluzioni al problema energetico, sorto sulla scia del grande terremoto del Giappone orientale. Insieme all’impegno di prevenire il riscaldamento globale riducendo le emissioni di CO2, Sekisui cerca di fornire soluzioni al problema energetico del Giappone al fine di ridurre al minimo l’impatto sulle famiglie.

In Giappone, il consumo di energia nel settore residenziale è raddoppiato negli ultimi 40 anni. Inoltre, il motivo per cui ora la potenza termica per il 90% dipenderà dall’elettricità prodotta in Giappone ha portato ad un aumento delle emissioni di CO2. Mentre gli sforzi nel risparmio energetico sono stati fatti nel settore residenziale, che rappresenta circa un terzo del consumo nazionale di energia elettrica, da soli questi sforzi non sono sufficienti per risolvere il problema energetico. Una soluzione ideata è Green First Energy, strategia che dovrebbe contribuire a fornire abitazioni che possano dare simultaneamente costi di vita confortevoli e basso consumo energetico ai proprietari, contribuendo inoltre ad una riduzione delle emissioni di CO2.

38

Il piano d’azione lanciato nel 2005, mira ad una riduzione del 6% delle emissioni di CO2 ai livelli del 1990 (equivalente ad una riduzione del 20% delle emissioni di CO2 dal tasso di consumo di energia dell’edilizia popolare nel 2010). In questo caso è incorporato il concetto di generazione di energia alternativa attraverso case dotate di alimentazione a pannelli solari. Con il lancio dell’iniziativa Green First ZERO nel 2013, si è conseguiti ad una riduzione del 62% delle emissioni di CO2 (equivalente a 50.000 tonnellate di CO2) rispetto ai livelli del 1990. Per il 2014, l’obiettivo è di ridurre la CO2 del 65% con l’espansione mercato delle abitazioni a rete di energia zero.

I miglioramenti apportati nel modello Green First ZERO consistono nel: -

ALTO ISOLAMENTO: sistemi di isolamento termico avanzati, tra cui vetro multistrato con gas argon di serie nei serramenti.

-

SOLUZIONI DI RISPARMIO ENERGETICO GLOBALE: sistemi di aria condizionata ad alta efficienza, apparecchiature che utilizzino meno acqua calda, attrezzature di illuminazione a LED, e sistemi di gestione dell’energia in casa.

-

UTILIZZO EFFICACE DELL’ENERGIA NATURALE: Utilizzando diversi tipi di vetro, a seconda dell’esposizione della facciata della finestra, e adattando il progetto per il controllo della radiazione solare e l’ottimizzazione della ventilazione.

Le caratteristiche eco-friendly tendono ad aumentare i costi di costruzione, perciò Sekisui House cerca di trovare modi di ridurre l’onere finanziario per i proprietari d’abitazione. Si cerca la collaborazione dei produttori di dispositivi per il risparmio energetico e delle attrezzature per la produzione di energia per quanto riguarda la riduzione dei costi. Il vantaggio principale di una casa Green First Zero è che offre funzionalità a basso costo, grazie al risparmio energetico e ai dispositivi che creano energia. Per contribuire a ridurre gli oneri finanziari per i proprietari d’abitazione Sekisui House utilizza i propri oneri di protezione del progetto ambientale per coprire parte dei costi iniziali. Sekisui House mira ad avere tutte le nuove case costruite specificatamente ad energia zero entro il 2020. Ai futuri proprietari si richiede un investimento iniziale più elevato per la costruzione. Ciò offre tre chiari vantaggi: -

si fornisce una significativa riduzione dei costi di utilizzo;

-

consente la creazione di comodi spazi abitativi;

-

incarna le tendenze future in materia di alloggi.

Green First Zero mira all’autosufficienza energetica senza sacrificare il comfort dell’ambiente abitativo. È stato progettato per compensare l’energia utilizzabile, fino al punto da ottenere un consumo energetico pari a zero. Questo per ridurre il consumo di energia delle famiglie del 50% dei livelli convenzionali attraverso misure quali l’isolamento termico ed apparecchiature ad alta efficienza, con generatori in casa per creare il restante 50% di energia elettrica. Il risparmio energetico dovrebbe essere raggiunto mediante efficaci misure tecnologiche, piuttosto che fondarsi unicamente sull’impegno dei residenti nel ridurre il loro tasso di consumo di energia.

Il sistema di isolamento termico, il quale viene installato come attrezzatura di serie, supera il livello stipulato dal governo giapponese nelle linee guida di circa il 30%. Inoltre, si utilizzano finestre composite in alluminio e resina termoisolante, vetri termoisolanti multistrato con gas argon nelle aree esposte all’esterno. Questo fa parte dello “slow living” concetto di design, che mira a fornire ambienti di vita più confortevoli.

Per promuovere l’uso della produzione di energia fotovoltaica, Sekisui House lavora per migliorare le prestazioni e ridurre il costo dei pannelli solari. Ha inoltre sviluppato un nuovo ed economico metodo

39

di montaggio di pannelli solari ed organizza seminari e corsi di formazione per far comprendere ai clienti la generazione della potenza fotovoltaica. Come risultato, il numero di pannelli solari installati su ogni casa è aumenta dell’8% sulla media, contribuendo ad una riduzione delle emissioni di CO2, un abbassamento dei costi di utilizzo, ed un più alto tasso di uso di energia rinnovabile.

40

La biodiversità, la quale ci fornisce di materiali e di energia svolge un ruolo fondamentale nelle attività di business. Tuttavia, ci vogliono molti anni affinché i vantaggi dell’ambiente naturale diventino disponibili all’uomo, e molti anni per essere reintegrati dopo il loro l’uso. Essendo una società nel settore immobiliare, Sekisui House si basa molto sulle risorse biologiche. Per questo motivo, cerca di preservare la biodiversità come parte di un progetto a lungo termine. Il settore immobiliare consuma una grande quantità di legname per la costruzione dell’edilizia abitativa. Ma l’industria può influenzare l’ambiente naturale anche in modo positivo, attraverso la piantagione di alberi, il giardinaggio, e l’architettura del paesaggio in ogni comunità. Il verde di un curatissimo giardino non solo aggiunge valore ad una casa singola; serve inoltre come bene comune per la comunità. Con gli ecosistemi distrutti su scala globale, le risorse biologiche sono in declino. Anche se Sekisui House consuma oltre 300.000 m3 di legno per la costruzione di alloggi ogni anno, si presenta anche come uno dei più grandi “paesaggisti” del Giappone piantando un milione di alberi che forniscono verde per le case che vengono costruite. Sekisui House promuove un uso strategico delle risorse biologiche, con una particolare attenzione al processo di approvvigionamento.

Il concetto del progetto Gohon no ki del promuove il giardinaggio e la cura del paesaggio in modo che possa sostenere gli ecosistemi locali e favorire le specie viventi. Per questo motivo si cerca di piantare specie prevalentemente autoctone, al contrario di specie esotiche da giardino, con la collaborazione di arboricoltori locali e paesaggisti, poiché poche delle specie indigene erano disponibili sul mercato giapponese.

Sotto questi progetti, piccoli giardini nelle aree urbane possono giocare un ruolo importante nel mantenimento degli ecosistemi locali. In accordo con la visione del marchio SLOW & SMART, si cerca di comunicare ai clienti la comodità di vivere vicino al verde come beneficio e come valore aggiunto delle case. Sono state implementate le pratiche di approvvigionamento Fairwood per assicurare che il legname e i prodotti del legno utilizzati non siano provenienti da specie in pericolo o connessi a zone con ecosistemi sensibili e anch’essi sono considerati secondo la sostenibilità e la biodiversità locale.

Sotto il progetto Gohon no ki, nel 2013 sono stati piantati 1.06 milioni di alberi, arrivando ad un totale di più di 10 milioni. Con la promozione della piantagione di alberi e compiendo sforzi per aumentare la coperture di verde intorno ad edifici residenziali, aumentano le vendite annuali del business di paesaggio. Si cerca di non procurare i prodotti di legno da zone locali in cui gli ecosistemi sono seriamente danneggiati a causa di un disboscamento di grandi dimensioni delle foreste naturali. Inoltre si riducono al minimo le emissioni di CO2 nella produzione, trasformazione e trasporto di prodotti in legno e si utilizzano materiali da costruzione con legno riciclato. I prodotti in legno devono avere origine proveniente da aree con disboscamento controllato, in modo da non superare la velocità di rigenerazione delle foreste.

I due principali vantaggi di aggiungere vegetazione naturale alle case urbane sono in primo luogo, il piacere di avere verde nelle vicinanze e in secondo luogo, il valore che aggiunge alla propria casa. Il concetto

di “slow living”, attraverso il quale gli abitanti possono godere di un lento e rilassato stile di vita in armonia con la natura.

Sekisui House cerca di assicurare lo stesso livello di sicurezza, tranquillità e confort per ogni casa che costruita. Il campo in cui opera è quello delle strutture abitative residenziali industrializzate costruite in fabbrica, composte da componenti modulari particolarmente importanti per migliorare la qualità delle case Sekisui sia nel sito di produzione che in cantiere. Prima di essere consegnate al cantiere, le parti dell’involucro realizzate in fabbrica sono ripetutamente sottoposte ad una vasta gamma di controlli secondo rigorosi standard. L’adozione di metodi costruttivi in acciaio e muratura permettono di costruire case con un più alto livello di resistenza al terremoto e con prestazioni di controllo del terremoto, inoltre danno maggiore libertà nella progettazione, tra cui l’uso di grandi spazi, finestre e porte. Queste case dispongono inoltre di pareti esterne che richiedono manutenzione ogni 30 trent’anni, isolamento termico eccellente di finestre e porte e ridotto uso di sostanze chimiche negli ambienti abitativi. Nelle fabbriche Sekisui vengono prodotte le principali parti della struttura, quali pilastri, travi, pareti esterne. Inoltre in ognuna delle fabbriche si attuano completamente misure eco-compatibili, tra cui il 100% del riciclo dei rifiuti. È aumentato il tasso di pre-fabbricazione, la predisposizione ed il parziale assemblaggio di componenti per ridurre al minimo la necessità in loco della trasformazione della componente. Questo aiuta non solo a risparmiare energia, ma serve anche a minimizzare l’impatto ambientale dei quartieri, ad esempio, riducendo polveri nell’aria.

Estendere la durata della vita di una casa: remodeling e servizi post-vendita Case con un lungo ciclo di vita possono aiutare a ridurre l’impatto sull’ambiente evitando che una grande quantità di rifiuti venga generata durante la demolizione, risparmiando energia e le risorse necessarie per la ricostruzione. Per dare a disposizione un abitare confortevole Sekisui House fornisce un supporto completo che comprende servizi come il remodeling.

Case che durano per generazioni possono servire come beni sociali.

Rispetto alle case in Nord America e in Europa, le case giapponesi tendono ad essere demolite dopo un periodo relativamente breve di tempo. Tuttavia, estendendo il ciclo di vita di una casa, di conseguenza, migliora il suo valore patrimoniale. Affinché i residenti possano vivere nella stessa casa per un lungo periodo di tempo, la casa deve essere progettata in modo tale da essere flessibile e rispondere ai cambiamenti, allo stile di vita e alla struttura familiare. A tal fine, si rendono le case più resistenti al vento e alla neve, al degrado dovuto al tempo, e ai disastri naturali come i terremoti. Allo stesso tempo, queste case devono essere abbastanza flessibili per rispondere prontamente ai cambiamenti dello stile di vita dei residenti e alla struttura familiare.

Fattori che influenzano la durata di vita di una casa: -

Degrado fisico.

-

Cambiamento dello stile di vita degli abitanti e della struttura familiare.

-

Mancanza di manutenzione.

-

Mancanza di domanda di mercato per le case usate.

41

SOLUZIONI SEKISUI:

42

-

Aumentare la durabilità: introdurre sistemi di controllo sismico, finiture resistenti alle intemperie, finiture a prova di ruggine, e ventilazione passiva della parete.

-

Assecondare i cambiamenti dello stile di vita dei residenti.

-

Fornire servizi di ristrutturazione per estendere la durata di vita di una casa, fornendo servizi di remodeling in grado di ospitare cambiamenti con le esigenze dei residenti.

-

Aumentare i servizi di manutenzione.

-

Promuovere la vendita di case usate e svilupparne il mercato.

Per aumentare la durabilità delle abitazioni le case con struttura in acciaio impiegano componenti strutturali con finiture antiruggine e pareti che forniscono ventilazione passiva. Particolarmente importante è SHEQAS, un sistema innovativo di controllo sismico che è in grado di convertire le onde sismiche in energia termica. SHEQAS può assorbire le vibrazioni nella costruzione e ridurre la deformazione per circa il 50%.

Insieme ai piani di ristrutturazione regolari, Sekisui House raccomanda che i proprietari di abitazione che desiderano risparmiare energia debbano aggiornare le loro case esistenti con attrezzature e componenti, ad esempio con acqua calda sanitaria, serramenti con isolamento termico ed installare impianti fotovoltaici.

L’obiettivo principale è quello di trasformare la cultura giapponese dell’abitare, con case di lunga durata che diventino beni della comunità e con le ultime tecnologie per una vita confortevole. Quando le case sono costruite per durare più a lungo, diventano beni che possono essere trasmessi da una generazione all’altra. Questo approccio serve anche a ridurre l’onere finanziario dei prestiti per la casa sui residenti.

Sekisui House mantiene un database contenente informazioni dettagliate sulla parti dell’involucro utilizzate per ogni casa costruita. Questo permette di identificare facilmente il momento ottimale per la ristrutturazione e fare opportune proposte. Di conseguenza cresce il

prima

dopo

business delle ristrutturazioni. Case con certificazione a lungo termine e di qualità rappresentano il 92% delle case costruite nel 2013. Questa certificazione è emessa dal governo giapponese per case che incontrano i criteri previsti in materia di varie funzioni, tra cui la durevolezza della casa, la resistenza sismica, la facilità di manutenzione e di ristrutturazione, la progettazione senza barriere architettoniche, e le prestazioni di risparmio energetico.

Estendere la durata della vita delle case può ridurre la domanda di mercato per le nuove case. Sempre più persone diventano consapevoli del valore del bene delle abitazioni di qualità. A tal fine cerca di soddisfare le esigenze individuali degli acquirenti di case con stili di vita e strutture familiari diverse. Poiché si mantengono informazioni specifiche sul cliente nella banca dati, Sekisui House è in grado di proporre la ristrutturazione e i servizi di manutenzione ai proprietari di case in modo tempestivo. Rispetto alla concorrenza i proprietari di abitazione sono più propensi a fidarsi della ristrutturazione e dei servizi di manutenzione forniti dalla stessa azienda che ha costruito la loro casa. E facendo acquisti in stock delle più moderne attrezzature per le case, è in grado di integrare il piano di ristrutturazione senza imporre oneri eccessivi per i clienti.

Sekisui House è stata certificata come Eco-First company da parte del Ministero dell’Ambiente giapponese nel giugno 2008, e da allora sono stati costantemente promosse iniziative ambientali. L’obiettivo finale sta nella prevenzione del riscaldamento globale, la conservazione degli ecosistemi ed il riciclaggio delle risorse.

43

44

Raccolta di dati precisi sull’impatto ambientale e quantità di emissioni di CO2 In collaborazione con le aziende del gruppo e i partner commerciali, Sekisui House raccoglie dati precisi sull’impatto ambientale causato dalle attività aziendali in ogni fase del ciclo di vita dei prodotti per alloggi. I dati vengono raccolti dallo sviluppo, alla progettazione, l’approvvigionamento di materie prime, di produzione nella fabbrica, trasporti, costruzioni, occupazione, demolizione e smaltimento.

Quantità di emissioni CO2 -

emissioni di CO2 derivanti dall’uso di combustibili dal gruppo Sekisui House

-

emissioni di CO2 derivanti dall’uso di energia elettrica e calore acquistati dal gruppo Sekisui House

-

emissioni di CO2 derivanti dall’uso di energia per l’estrazione e la produzione di materie prime, trasporto di componenti costruttive, e lo smaltimento dei rifiuti da parte delle imprese o dei clienti non-Sekisui House e dall’uso di energia durante l’occupazione.

Per ridurre le emissioni, Sekisui House promuove la vendita dei modelli Green eco-friendly che contribuiscono a ridurre le emissioni di CO2 delle abitazioni. Vengono contate solo le emissioni attribuibili alle case unifamiliari come emissioni (cioè quelli dei materiali grezzi e delle fasi di occupazione). Inoltre le emissioni di CO2 da costruzione e demolizione comprendono le emissioni emesse da imprese edili partner, non membri del gruppo Sekisui House.

45

46

NOTE SUI DATI: SVILUPPO E PROGETTO ( inclusi i dati di vendite, suddivisioni amministrative e i modelli delle case): -

Materiali: carta acquistata per l’uso di apparecchiature.

-

Energia e CO2: la quantità di consumo energetico e di emissioni di CO2 di uffici e di modelli di case.

-

Rifiuti: il volume dei rifiuti prodotti dagli uffici e dai modelli di case.

MATERIE PRIME -

CO2: l’importo stimato delle emissioni di CO2 derivanti dalla produzione di materie prime utilizzate per la produzione di case unifamiliari.

PRODUZIONE IN FABBRICA -

Materiali: la quantità di materie prime utilizzate per la produzione di case unifamiliari.

-

Energia e CO2: la quantità di consumo di energia e delle emissioni di CO2 da parte delle cinque fabbriche Sekisui House.

-

Rifiuti: il volume dei rifiuti prodotti dalle cinque fabbriche Sekisui House.

TRASPORTO: -

Energia e CO2: la quantità di consumo energetico e le emissioni di CO2 degli specifici fornitori. Il calcolo è stato effettuato secondo le linee guida fornite dalla legge sull’uso Razionale dell’Energia e secondo le istru-

47

zioni emanate dal Ministero della Ambiente e il Ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria.

COSTRUZIONE. -

Energia e CO2: la stima del consumo di energia, di emissioni di CO2 e le emissioni derivanti dalla costruzione da parte delle imprese di costruzione, dai soci appaltatori Sekiwa costruzioni

-

Rifiuti: il volume dei rifiuti prodotti dalla costruzione di nuovi edifici, nel post-vendita, nella manutenzione, e ristrutturazione dei siti.

OCCUPAZIONE -

CO2: l’importo stimato delle emissioni di CO2 durante occupazione di case unifamiliari costruite nel 2013 dalle componenti edilizie spedite dalle fabbriche (la stima è calcolata assumendo un’occupazione di 30 anni).

DEMOLIZIONE -

Energia e CO2: la quantità stimata di consumi di energia e di emissioni di CO2 derivanti dall’uso di macchinari pesanti da parte di Sekiwa costruzioni ed i soci appaltatori di edifici con il fine di demolizione.

-

Rifiuti: il volume dei rifiuti prodotti dalla demolizione di Sekiwa costruzioni ed imprese edili.

SMALTIMENTO -

CO2: l’importo stimato delle emissioni di CO2 derivanti dallo smaltimento dei rifiuti prodotti dalla demolizione per le aziende Sekiwa costruzioni e per gli imprenditori edili.

48

Prevenire il riscaldamento globale riduzione delle emissioni delle case unifamiliari Mentre le emissioni di CO2 sono in calo nel settore industriale giapponese, sono aumentate di circa il 60% tra il 1990 ed il 2012 nel settore residenziale. C’è urgente necessità di ridurre le emissioni di CO2 nel settore dei consumatori, come le famiglie, producendo prodotti di elettronica, condizionatori ad aria, acqua per il riscaldamento, illuminazione con maggiore efficienza energetica.

Le case sostenibili Green First, sono dotate di un sistema di isolamento termico altamente efficiente che incontra gli standard di risparmio energetico giapponese, nonché i più recenti dispositivi nelle abitazioni come ad esempio l’impianto fotovoltaico, celle a combustibile, e caldaie acqua ad alta efficienza che vengono combinati in un modo più consono ai rispettivi stili di vita, strutture familiari, e condizioni relative al luogo in cui vivono i clienti. Nel 2013, è stato introdotto il modello di Green First ZERO, che utilizza isolamento che è di circa il 30% più efficiente di quanto richiesto al di sotto degli standard di risparmio energetico del 1999. Le case Green First ZERO consentono di vivere di energia neutrale, riducendo drasticamente l’energia consumata mediante l’uso delle più recenti tecnologie per l’efficienza energetica, creando energia attraverso l’uso di energia solare e celle a combustibile. Queste case emettono circa il 90% in meno di emissioni di CO2 rispetto ad una casa tradizionale. L’ obiettivo è quello di aumentare al 60% le case unifamiliari nel 2014, al fine di contribuire alla creazione di una società con basse emissioni di carbonio.

49

Attraverso l’iniziativa Green First ZERO per ridurre le emissioni annue di CO2 generate attraverso la vita quotidiana, nell’anno 2013 la riduzione delle emissioni è migliorata del 19% rispetto ai livelli del 2012 di 50.256 tonnellate, equivalenti alla CO2 assorbita da 3.582.000 alberi

50 Il riscaldamento globale è un problema serio si presenta l’esigenza di ridurre le emissioni di CO2 originate dalle case costruite. Insieme alla diffusione di case unifamiliari Green First ZERO, è anche fondamentale costruire case su cui possano essere installate impianti fotovoltaici di grande capacità, che contribuiscano alla drastica riduzione delle emissioni di CO2. Sekisui House ha rilasciato una casa su cui può essere installato un potente impianto fotovoltaico con una capacità di 10 kW-plus. Cerca inoltre di educare le persone su come utilizzare l’energia solare e ridurre le emissioni di CO2 con seminari per il pubblico.

Sekisui House, coopera per promuovere l’attività del sistema fotovoltaico, che lavora per contribuire a ridurre le emissioni di CO2. Insieme alle installazioni delle case unifamiliari di nuova costruzione e gli appartamenti d’affitto di basso profilo, ha equipaggiato case con sistemi fotovoltaici, installati sui tetti di edifici di grandi dimensioni come fabbriche e magazzini, nonché su terreni incolti. Dal 2013 Sekisui House ha aumentato la capacità di installazione del sistema fotovoltaico da 161,3 MW, fino all’ 87% in più rispetto all’anno precedente. Questa quantità di energia può soddisfare l’alimentazione di circa 45.000 case medie.

Sekusui House offre ai proprietari delle nostre case un servizio di rimodellamento per garantire che le loro case siano confortevoli, economiche e rispettoso dell’ambiente. I sistemi fotovoltaici, scaldacqua e ad alta efficienza, l’isolamento di porte e finestre e altre ristrutturazioni di funzionalità consentono la creazione di energia ed il risparmio energetico in casa. In particolare, si è verificato un aumento nell’efficienza energetica nella ristrutturazione delle attrezzature da bagno, che comporta l’installazione di un insieme di tre dispositivi per il risparmio energetico: una vasca da bagno con una maggiore isolamento termico, un rubinetto con un termostato, con soffione e con interruttore on/off.

Le 524 unità del Grande Maison Komae-situato in Komae City, Tokyo, è il primo condominio del Giappone ad avere un sistema di riscaldamento dell’acqua a gas solare termico e un sistema di cogenerazione del gas.

Questa doppio sistema di creazione dell’energia offre comfort, efficienza economica e rispetto dell’ambiente. L’edificio ha anche posto misure di preparazione alle catastrofi, ed è il primo condominio ad essere certificato come Tokyo LCP (Life Continuity Performance) Housing dal Governo di Tokyo

Il gruppo Sekisui cerca di risparmiare l’elettricità durante le stagioni di punta d’estate e d’inverno. Ciò avviene in tutti gli uffici aziendali e nelle case modello, con l’obiettivo di superare il tasso di risparmio di energia elettrica fissato dalle aziende elettriche. Come risultato, si è ottenuto un 24% di riduzione durante l’estate e una riduzione del 19% durante l’inverno, rispetto ai livelli del 2010. Nel tentativo di condividere la consapevolezza di risparmio dell’energia elettrica con i clienti, Sekisui House consiglia la coltivazione della pianta di vite come “tenda verde” per la creazione di ombra naturale per la casa.

Si dice che ci voglia almeno un decennio per far tornare un ecosistema al suo stato originale. Nel ripristinare gli ecosistemi, i risultati tangibili sono difficili da vedere e benefici economici non sono immediatamente visibili. Ecco perché c’è bisogno di un piano d’azione per la biodiversità che consenta un impegno continuo. Sekisui House crea giardini e ambienti comunitari che danno considerazione alla biodiversità. Oltre a creare una società sostenibile e piantare alberi c’è il bisogno di considerare la loro qualità, pianificare un progetto di biodiversità centrato sulle specie indigene, promuovere specialisti della biodiversità e mantenere un continuo approccio.

Sekisui House ritiene che una buona abitazione sia completa solo quando casa e giardino si fondono come un unico insieme. Questo spiega la formulazione di attrezzature esterne e per il giardino insieme al progetto di casa e l’implemento della creazione dei giardini di case unifamiliari e ambienti di comunità. Questo concetto prende forma negli alloggi di locazione, come Sha Maison Gardens, dove sia proprietario che locatario possono beneficiare della splendida vegetazione. Il concetto Gohon no ki è il principio alla base della progettazione esterna dei progetti di sviluppo dei condomini Sekisui House.

Sha Maison Gardens si basa su cinque nuovi indici ambientali: l’armonia con il paesaggio urbano, la conservazione e rigenerazione dell’ambiente naturale, il basso impatto ambientale, la progettazione che migliora il comfort ed il progetto che porta sicurezza e pace mentale.

Le proposte di progettazione per i lavori di costruzione esterni sono realizzati in combinazione con il disegno complessivo dell’edificio, in linea con il concetto Gohon no ki. Alloggi di locazione con vegetazione lussureggiante migliorano le condizioni di vita degli inquilini, mentre aumenta il valore patrimoniale degli alloggi. In questo modo, Sha Maison Gardens contribuisce al crescente numero di alberi piantati.

51

La domanda degli alloggi di tre o quattro piani è in crescita, poiché sempre più persone cercano di fare un uso efficace della propria terra o di adattarsi ai cambiamenti degli stili di vita. Molti locali abitativi urbani non hanno spazio per piantare alberi. Per risolvere questo problema, Sekisui House propone il verde verticale, quali le pareti, in modo che i residenti possano godere della vista e gli effetti rilassanti del verde nei piani superiori.

Una comunità sicura è ciò che tutti vogliono. Il Grande Terremoto del giappone orientale ha ricordato l’importanza dei legami comunitari e del supporto reciproco nei momenti di calamità o di sfortuna. Sekisui House ha sviluppato una comunità di progetti denominati città comune, in cui i residenti possono condividere valori comuni.

52

Sekisui Casa condivide la volontà dei cittadini di rendere la comunità a loro cara, in cui i membri possono condividere valori come l’abitare confortevole, la crescita sana della loro bambini e un attaccamento al luogo in cui vivono. I residenti che hanno vissuto il terremoto conoscono ciò che è necessario nei tempi di tali catastrofi. Ecco perché molti si riuniscono con entusiasmo per partecipare nel quartiere ad eventi comunitari.

Costruire in modo orientato al riciclo per costruire case con lunga durata di vita Il gruppo Sekisui gestisce rifiuti da costruzione dei siti ad un livello avanzato e sta migliorando la gestione nei rapporti con l’inadeguato smaltimento dei rifiuti. Sekisui si sforza sempre di ridurre al minimo la produzione di rifiuti. Per quanto riguarda i rifiuti, inevitabile sottoprodotto della costruzione, si considera la responsabilità sociale per utilizzarli in modo efficace e riciclarli come nuove risorse. Come tale, cerca di svolgere attività a rifiuti zero e sistemi per il riciclo delle risorse. Garantisce inoltre progetti che consumano una quantità minima di risorse limitate per prolungare la vita delle nostre case, rimodellando le case per affrontare i cambiamenti in stili di vita dei proprietari di abitazione, e con la ristrutturazione di case esistenti.

Il gruppo Sekisui House è leader nel settore nella gestione corretta dei rifiuti, sottoprodotto inevitabile della costruzione. Garantisce la conformità e riduce al minimo i rischi associati alle discariche illegali operando la gestione per lo smaltimento dei propri rifiuti del sistema. Ciò include la gestione dei rifiuti nel processo di demolizione, migliorando lo snellimento delle procedure necessarie per il rispetto delle leggi e dei regolamenti ambientali. Con gli obiettivi di tutto il gruppo Sekisui House, si è raggiunto il “rifiuti zero” in ogni fase del processo dell’abitazione; vale a dire, la produzione, la costruzione, il post-vendita manutenzione e la ristrutturazione. Si è anche intensificato le iniziative nella costruzione di un riciclo orientato al sistema industriale; per esempio, sviluppando prodotti realizzati con materiali riciclati e che introducono ad un sistema per misurare e controllare la quantità dei rifiuti. Considerando fattori come l’utilizzo ottimale dei materiali, si stanno facendo progressi costanti in modo economicamente fattibile. Per il futuro, si cerca di rafforzare gli sforzi condotti in collaborazione con i fornitori e per costruire una rete per l’utilizzo efficace delle risorse. Sekisui House definisce “rifiuti zero” l’eliminazione dei rifiuti inviati a smaltimento in discarica, nonché l’eliminazione con l’inceneritore dei rifiuti che non comporta il recupero di energia.

53

Sviluppare prodotti creati da materiali riciclati, ridurre i rifiuti.

Al fine di ridurre gli sprechi e di fare un uso efficace dei materiali riciclati, Sekisui House ha sviluppato questi prodotti rispettosi dell’ambiente: 1 Field chalk,(gesso) un composto di cartongesso con i parti di gusci d’uovo che sono stati lavati e asciugati; 2 Pavimentazione in grado di assorbire vibrazioni che utilizza parte di coppi polverizzate, come materiale di riempimento; 3 componenti edilizie di abitazione (listelli per il sostegno dei coppi di copertura) fatte di rifiuti di resina.

54

Sekisui House ha iniziato con l’integrazione nei nuovi appartamenti d’affitto con materiali da costruzione che sono stati trattati precedentemente presso i propri stabilimenti. Questo ha permesso tempi di costruzione più brevi e la riduzione dei rifiuti nei cantieri. Lavora inoltre per rendere ulteriori miglioramenti ai metodi di costruzione per ottenere una maggiore riduzione dei rifiuti. Per il futuro, Sekisui House prevede di applicare questi metodi di costruzione ad altri modelli abitativi al fine di ridurre il tempo di costruzione e rifiuti e risparmiare sul consumo di risorse.

Il governo giapponese copre un terzo dei costi sostenuti dalle imprese private quando si ristrutturano le case con alta efficienza energetica, senza barriere, o dispositivi antisismici. Così facendo, il governo giapponese spinge in avanti una politica per migliorare l’efficienza energetica e altri aspetti delle case esistenti. Per ricevere sovvenzioni, uno dei tre tipi di lavori di ristrutturazione per il risparmio energetico è obbligatoria.

55

Palazzo Rio Nuovo

Il palazzo Rio Nuovo

58

Tra la fine degli anni quaranta e gli anni sessanta del XX secolo Venezia vide sorgere un numero sorprendente di nuove architetture tale da mettere in dubbio l’idea della secolare resistenza della sua facies urbana al cambiamento. L’arco di tempo che portò alla realizzazione dei nuovi uffici veneziani della Società Adriatica di Elettricità (SADE), ovvero palazzo Rio Nuovo, si sviluppa dalla prima formulazione del 1952 al completamento del 1961. Ancor più significativa si rivela la coincidenza con un’altra opera realizzata dalla SADE, la diga del Vajont (19531962), espressione monumentale del medesimo slancio produttivo: il palazzo e la diga avrebbero dovuto testimoniare anche in funzione autocelebrativa mezzo secolo di attività della società. La parabola imprenditoriale della SADE fu segnata dal destino drammatico che colpì il bacino del grande Vajont, con la distruzione del paese di Longarone nel 1963. Le polemiche sulle responsabilità della società nella vicenda gettarono un’ombra di silenzio sulla nuova sede, a distanza di appena due anni dal suo completamento. Con la costituzione dell’Ente per la Nazionalizzazione dell’Energia Elettrica, il palazzo Rio Nuovo passò in proprietà dell’Enel e da allora riemerse nel tessuto veneziano come un nuovo simbolo della presenza della grande impresa statale in città.

Nella progettazione Angelo Scattolin fu determinante soprattutto nelle prime fasi della vicenda, facendosi attento interprete delle intenzioni della committenza di fronte agli organi dell’amministrazione comunale veneziana. Egli infatti oltre che architetto e docente dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia (Iuav) era attivo politicamente in una qualità di assessore all’urbanistica ed era già impegnato fina dai primi anni cinquanta nel ripensamento di tutta l’area compresa tra piazzale Roma e Santa Margherita, sulla quale sarebbe sorto il nuovo palazzo.

Fu decisivo il contributo dato dall’ufficio tecnico della SADE alla formulazione della distribuzione volumetrica e degli elaborati esecutivi, ma soprattutto la presenza, nelle fasi del progetto più significative, di Luigi Vietti e Cesare Pea, il coinvolgimento dei quali costituisce l’aspetto più interessante della vicenda dal punto di vista architettonico. Vietti e Pea erano architetti noti a livello nazionale, giunti al vertice della loro carriera a metà degli anni cinquanta, che lavoravano per una selezionata e facoltosa committenza di finanzieri ed industriali. All’origine della loro convocazione da parte della SADE vi erano stati il riconoscimento della raggiunta notorietà di entrambi a Venezia e l’intenzione di sfruttare il loro contributo per apportare miglioramenti al progetto di Scattolin.

Vietti e Pea fornirono un’efficace interpretazione della versione originaria di Scattolin, portando il palazzo alla sua attuale fisionomia: la verticalità del prospetto trasparente sul canale e la composta articolazione in fasce alternate di bifore e mattoni faccia vista dei corpi retrostanti. Dalla sua inaugurazione ad oggi, il palazzo Rio Novo è rimasto intatto esteriormente, mentre all’interno sono state effettuate variazioni negli spazi e aggiornamenti nelle finiture, sfruttando l’originaria flessibilità della struttura modulare. Gli interventi più recenti, in particolare, rispecchiano la mutata destinazione d’uso dell’immobile, oggi occupato nell’ala più prestigiosa, su Rio Nuovo, dalla Fondazione di Venezia

e degli uffici del Compartimento di Venezia dell’Enel nei volumi retrostanti. Il tentativo di inserire la SADE tra le maggiori aziende dell’Italia settentrionale, spiega l’austera originalità della conformazione dell’edificio, un unicum nel tessuto edilizio veneziano per dimensioni e articolazione dei fronti in vetro e cemento, pensato inizialmente con tutti i materiali costruttivi a vista.

La SADE nei primi anni cinquanta e l’area del Rio Novo.

Nei primi mesi del 1952 la direzione generale della SADE incaricò l’ufficio del patrimonio della società di svolgere delle ricerche, col fine di individuare aree edificabili da destinare a nuovi uffici a Venezia, in un momento di espansione sul piano produttivo. Si trattava di individuare un’area ben ubicata, ovvero opportunamente soleggiata e areata, con riva d’acqua e comodo accesso a terra. L’indagine sulle aree edificabili a Venezia ebbe come esito la redazione di uno studio sulla zona Rio Nuovo, situata sul confine settentrionale del sestiere di Dorsoduro con quello di Santa Croce, delimitata da una fondamenta a nord, da calle larga dei Ragusei a ovest e da proprietà private a est e a sud. Rio Nuovo era stato aperto in epoca fascista tra il rio Cà Foscari e piazzale Roma. Quell’area risultava al vertice degli interessi speculativi della potente società elettrica ed ei suoi progettisti. Erano emersi due criteri progettuali imprescindibili se la SADE voleva giungere a costruzione: la maggior considerazione del prospetto settentrionale affacciato sul rio rispetto agli altri fronti e il suo contenuto sviluppo verticale, che avrebbe dovuto essere inferiore ai corpi retrostanti. Si chiese consiglio al professor Scattolin, il quale, in qualità di assessore all’Urbanistica e di rappresentante del Comune in seno alla commissione paesaggistica, poté anche adoperarsi affinché quest’ultima si radunasse d’urgenza per esprimere il parere sulla domanda della SADE tendente a sfruttare a scopo edilizio tutta l’area in oggetto. Una prima soluzione prendeva un corpo di fabbrica uniforme con conformazione piuttosto anonima ispirata ad un linguaggio di stampo razionalista. Altre soluzioni erano movimentate, nel tentativo di riprodurre seppur assai semplificati alcuni caratteri dell’edilizia residenziale veneziana. Si confermarono edificabili i terreni sui quali la SADE aveva manifestato il proprio interesse e veniva espresso parere favorevole sulla soluzione delle masse. Scattolin dimostrò alla società elettrica che egli stesso fosse l’architetto adatto a condurre le fasi preliminari. Prima che la SADE si cercasse un altro professionista, Scattolin con quel responso favorevole e tempestivo aveva dimostrato il suo valido ascendente sulle forze politiche in gioco.

Angelo Scattolin e il progetto del marzo 1953 Il coinvolgimento dell’architetto Angelo Scattolin, nato a Venezia nel 1904, mette in scena un protagonista cruciale nell’architettura veneziana del secolo passato. Tra le più importanti architetture portate a termine da Scattolin negli anni tra le due guerre, oltre numerosi interventi di ristrutturazioni di palazzi in complessi alberghieri, erano il Convento delle Mantellate a Sant’Elena e la colonia marina agli Alberoni del Lido di Venezia. Anche nel dopoguerra la sua carriera aveva continuato seguendo gli incarichi che gli provenivano da ordini religiosi e dalle compagnie alberghiere. Nel 1952 esordì come progettista della SADE per la nuova sede di Rio Nuovo, coincideva con la conclusione di un altro cantiere quale l’ampliamento del palazzo del Cinema al Lido. Scattolin si adoperò affinché la SADE si procurasse tre terreni senza i quali egli riteneva il progetto difficilmente realizzabile. Presentò il primo progetto al Comune di Venezia nel 16 marzo 1953. L’iter dell’autorizzazione alla costruzione, tuttavia, venne complicato da un

59

60

errore, rettificato nel luglio successivo: il sindaco concedeva alla SIA di costruire sul filo del confine e non con una fascia di quattro metri di rispetto. Date le complicazioni innescate dalla Sovrintendenza, si trattava di una soluzione di emergenza che avrebbe temporaneamente risolto i problemi di spazio degli uffici della SADE, almeno fino a quando non si fosse sbloccata la costruzione del palazzo Rio Nuovo.

Nell’agosto 1954 un’apposita delegazione del Consiglio si recò per un sopralluogo su Rio Nuovo, al fine di stabilire le condizioni che avrebbero determinato il parere favorevole ai progetti di un’edificazione, limitando l’altezza degli edifici a filo con il canale e consentendo però maggiori altezze in seconda schiera. A questa risoluzione dovettero conformarsi tutte le nuove edificazioni sulle fondamenta di Rio Novo, alle quali veniva imposta una sezione digradante verso la riva. Così allora si intendeva limitare l’effetto di sproporzione dall’acqua al tessuto edilizio circostante che avrebbero sortito i volumi di una nuova costruzione, ai quali si concedeva l’altezza fino a 20 metri. Così si spiega la struttura gradonata degli edifici dotati di un fronte d’acqua che furono eretti nel secondo dopoguerra lungo le rive dei rii Nuovo, dei Tre Ponti, delle Balle e dei Briati. Alla fine dell’agosto del 1954 Scattolin presentò al Comune di Venezia per conto della SADE la domanda di approvazione del progetto dei nuovi uffici. Il fronte sul rio Novo veniva risolto con un lungo porticato pubblico, la cui accessibilità veniva concessa dalla SADE benché si trattasse di area di sua proprietà. A sua volta SADE chiedeva di essere autorizzata a disporre dirimpetto al porticato un approdo privato per i propri motoscafi. Il progetto era basato su una struttura in cemento armato rivestita in pietra d’Istria nei prospetti esterni, articolati con serramenti a telaio in bronzo che garantivano la massima luminosità agli uffici all’interno, suddivisi da pareti mobili.

L’approvazione del maggio 1955 Nel 1955 la SADE decise di affiancare ad Angelo Scattolin altri due progettisti di provata fama nazionale, attivi soprattutto in ambito milanese ma da qualche anno presenti anche sulla scena lagunare. Si trattava di Luigi Vietti e Cesare Pea, il primo dei quali, in particolare, vantava un rapporto collaudato con la committenza, essendosi già trovato a collaborare qualche anno prima con lo stesso Scattolin alla Fondazione Giorgio Cini. Non è facile stabilire con certezza la ragione per la quale Vietti e Pea furono incaricati insieme a firmare il progetto definitivo, intraprendendo un lungo iter di adattamenti e trasformazioni che si sarebbe concluso solo nel 1957 con la versione finale sottoposta al Comune, e nel 1961 con la chiusura del cantiere. La società si sentiva ormai sicura dell’imminente avvio delle pratiche relative all’approvazione: si trattava solo di stabilire delle convenzioni con i vicini confinanti, necessarie poiché i nuovi uffici avrebbero superato i venti metri d’altezza consentiti dal Regolamento di Igiene. Alcune critiche vennero mosse a Scattolin da oppositori diretti, intenzionati a colpirlo indipendentemente dalla qualità del progetto, ma è anche innegabile che da anni i suoi interventi a Venezia esibivano con disinvoltura nuove facciate “aggiornate” rispetto alle città dell’entroterra, anonime nella loro accentuata bidimensionalità e ciò nonostante dissonanti con il tessuto circostante. Finalmente nel maggio 1955 la Commissione edilizia approvò, in deroga al Regolamento, un volume alto 24 metri e lontano appena sei metri dal confine. Per la nuova sede della SADE era indispensabile disporre di un approdo privato, nonché di un ricovero per le imbarcazioni. Pur di ottenerlo, si era giunti a proporre un progetto che prevedesse al primo livello del corpo prospicente il rio Novo un lungo porticato aperto a uso pubblico. L’approdo doveva servire per l’imbarco e lo sbarco di persone, non per lo stanziamento di mezzi natanti.

Luigi Vietti in palazzo Rio Nuovo Nel 1955, all’epoca del suo coinvolgimento nel progetto per il palazzo Rio Nuovo, Luigi Vietti (Novara 1903 - Milano 1998) stava lavorando alla realizzazione del grattacielo Vespa a Milano, su commissione della Piaggio (1955-1959). Nel decennio successivo sarebbe giunto all’apice della carriera, elaborando in contemporanea ai nuovi uffici veneziani le sedi della Banca Popolare di Novara a Savona (1958), a Genova e a Sanremo (1959), oltre a numerose residenze private. A Genova aveva intrapreso l’attività professionale come architetto, dando prove significative della sua adesione ai principi dell’architettura razionale.

L’occasione che vide Vietti e Vittorio Cini affiancati in un progetto di grande scala fu l’esigenza di provvedere al nuovo assetto dell’Isola di San Giorgio Maggiore, finalizzato a ospitare un’istituzione composta di strutture educative, sportive e ricreative. Ciò lascia supporre che siano stati proprio il cantiere dell’isola e il fervore di Vittorio Cini all’origine dell’accostamento di Luigi Vietti e Scattolin. Nelle nuove costruzioni sorte sull’Isola di San Giorgio Maggiore è possibile riconoscere alcune soluzioni formali in seguito riprese nel palazzo Rio Nuovo. Nella parte del cinema-teatro Vietti aveva realizzato nella sala un controsoffitto in pannelli acustici con un disegno geometrico di diedri dove si può riconoscere una prima sperimentazione di quel solaio speciale a lacunari che avrebbe impiegato nell’atrio di palazzo Rio Nuovo. In contemporanea Vietti inaugurava il cantiere del Teatro Verde, un teatro all’aperto, ubicato nella parte meridionale dell’isola, con la cavea immersa nel verde e il palco scenograficamente proiettato in laguna. La stampa veneziana pubblicò il nome di Angelo Scattolin accanto a quello di Luigi Vietti. Tornando alla selezione dei progettisti destinati a realizzare gli uffici per la SADE, il ricorso a Vietti sembrerebbe assumere un connotato più preciso sulla base delle precedenti considerazioni. Potrebbe essere stato lo stesso Vittorio Cini a fare il nome dell’architetto per gli uffici della SADE, dimostrando ancora una volta la capacità di circondarsi di tecnici componenti e intraprendenti.

Cesare Pea progettista per la SADE Ai primi di marzo 1955 un terzo architetto di origini lombarde si inserì nel progetto di palazzo Rio Nuovo. Si tratta di Cesare Pea, mai citato, a differenza di Luigi Vietti, nelle rare e succinte rassegne che sino a oggi si sono occupate del palazzo della SADE, benché abbia svolto un ruolo determinante tanto nella fase di redazione del progetto definitivo quanto in quella del cantiere della nuova sede veneziana. A differenza di Vietti e di Scattolin, Pea era l’unico a non rivestire un ruolo in ambito accademico, ma vantava quasi un ventennio di esperienza professionale soprattutto per quanto concerna la realizzazione di edifici commerciali e istallazioni espositive. Originario della provincia di Brescia, era nato a Coccaglio il 12 giugno 1910, laureato al Politecnico di Milano. Si conquistò una visibilità sufficiente ad ottenere l’incarico di realizzare alcune sedi direzionali e produttive di medi e grandi protagonisti dell’imprenditoria milanese. All’epoca del coinvolgimento da parte della SADE nella costruzione di palazzo Rio Novo, Pea aveva 45 anni. Pea apparteneva a quella che oggi la storiografia ha relegato nella retroguardia della schiera di architetti attivi a Milano nel secondo dopoguerra, le cui prime file erano occupate dallo Studio BBPR. Alla metà degli anni cinquanta l’attività di Cesare Pea era ben nota nella cerchia dei grandi industriali ex allineati del Nord Italia e poteva vantare realizzazioni al di fuori dell’ambito milanese. Nel 1951 aveva dato prova di saper costruire anche a Venezia collaborando con Bianchetti alla ristrutturazione di palazzo Grassi.

61

Quando il nome di Pea giunse sul tavolo di Carlo Semenza, incaricato della parte organizzativa del progetto della nuova sede, egli optò per l’architetto bresciano.

Senz’altro vi fu la raccomandazione di Nino Biadene, braccio destro di Semenza personalmente responsabile della nuova sede di Rio Nuovo, e con questa siglava la gerarchia che da qual momento in avanti avrebbe regolato la gestione del progetto: Scattolin era necessario in quanto coinvolto personalmente nelle dinamiche burocratiche dell’approvazione; Vietti, inserito da Vittorio Cini, poteva assicurare la qualità del disegno ma non la sua presenza in cantiere; infine Pea, che era milanese e aveva una brillante carriera in corso, si dichiarava spontaneamente disponibile ad impegnarsi. Negli anni che seguirono, Pea in particolare avrebbe saputo conquistarsi la fiducia e la stima della SADE al punto di ricevere l’incarico dei lavori architettonici della diga del Vajont.

62

Il coinvolgimento ufficiale dei tre architetti avvenne nel settembre 1955, tre mesi dopo l’approvazione del progetto da parte della Giunta Comunale. Nel gennaio 1956 fu formalizzato in una lettera d’incarico che stabiliva la redazione del progetto esecutivo e dei particolari costruttivi e decorativi da parte della Commissione degli architetti (Scattolin Vietti Pea), in collaborazione con l’ingegnere Giuseppe Muzzi per la parte strettamente tecnologica degli impianti.

Le case popolari di calle larga dei Ragusei Il progetto della nuova sede approvato nel maggio 1955 era articolato secondo un impianto davvero insolito per un palazzo per uffici: i tre volumi disposti ad “H” non avevano precedenti nel novero degli edifici terziari e commerciali a Venezia. Lo spazio da lasciare a giardino verso calle larga dei Ragusei coincideva infatti con il volume di due case popolari costruite nel 1928. La scelta della conformazione ad “H”, dunque con i due corpi di fabbrica orientati rispetto al rio e un’ala intermedia ortogonale, avrebbe consentito alla SADE di cominciare a costruire quando ancora i condomini erano abitati. La sagoma di quelle due case popolari aveva determinato il verde del palazzo, un terreno che pochi mesi dopo sarebbe stato trasformato nel raffinato giardino alberato della società elettrica.

La costruzione 1957-1960.

Il progetto definitivo e prime fasi del cantiere Dei pochi disegni di studio conservatisi fino a oggi in grado di restituire l’evoluzione del progetto, esiste un’interessante serie di mano di Luigi Vietti tutta dedicata al volume della direzione. L’articolazione del prospetto non rispondeva più a criteri di simmetria o geometrici, bensì alla pura giustapposizione di cadenze seriali ad andamento verticale.

Per la prima volta il corpo lungo il rio acquistava un fronte omogeneo caratterizzato da uno sbalzo pronunciato posto tra il piano della fondamenta i livelli superiori. Non è difficile riconoscere in alcuni schizzi di Vietti dedicati a questa parte così importante del complesso un riferimento marcato all’esempio per l’eccellenza di tutta l’architettura civile veneziana a partire dal XIX secolo, ovvero la straordinaria facciata di Palazzo Ducale. Questa soluzione in facciata si traduce inoltre in un motivo eccezionale anche per il solaio a sbalzo sottostante, che risulta solcato da nervature arcuate che si diramano a partire dalle lunghe membrane per scaricarne il peso sui pilastri interni. Fu Vietti che ispirò la soluzione a ingresso disposto sul lato corto ad ovest, enfatizzato dalla scalinata ed il marcato aggetto verso il fronte Rio Nuovo e di enfa-

tizzarlo esponendo le nervature del solaio. Il progetto sul quale venne siglato l’accordo prendeva tre corpi accostati, A,B e C dove i due corpi retrostanti rispetto al volume sul rio crescevano entrambi di due piani.

Mentre gli impianti distributivi dei corpi B e C, distinti da un piano di altezza, erano sostanzialmente uguali prevedendo un corridoio centrale lungo l’asse di maggior sviluppo, che dava accesso agli uffici su entrambi i lati, il corpo A, destinato alla direzione, era speciale. Il suo ingombro, parallelo alla fondamenta, doveva essere costituito da prisma trasparente collegato alla testata nord del B tramite un volume di mediazione, più stretto e chiuso, contenente i servizi igienici e il sistema di collegamento verticale. I continui riconoscimenti che la SADE raccoglieva in territorio nazionale sembravano confermanti in quell’anno dall’inaugurazione dei lavori alla grande diga del Vajont, la cui costruzione sarebbe ultimata nel 1960 anno in cui venne autorizzata la costruzione del corpo A. Si procedette all’ideazione del “solaio speciale”, destinato alla copertura dell’atrio d’ingresso, con una soluzione che conferiva unità e monumentalità; un ambiente trasparente ai lati e sormontato da un pesante soffitto a lacunari, caricato su esili pilastri allungati. Si giunse ad una soletta nervata spessa 80 centimetri, poggiante su sostegni a clessidra in acciaio, a loro volta sovrapposti a dodici pilastri in cemento lavato. L’andamento delle nervature in calcestruzzo disegnava profondi lacunari secondo una complessa geometria a triangoli, losanghe e rombi: si trattò di una soluzione eccezionale e di grande effetto plastico, che richiese una particolare cura nella fase di messa in opera delle casseforme lacunari. Nei livelli successivi del secondo e terzo piano, invece, era stata adottata una “pianta tipo” più consueta, riformulando la soluzione adottata dal grattacielo Pirelli con sottili travetti trasversali a sezione trapezoidale in calcestruzzo armato che si allargano alle estremità. Il prospetto nord presenta piani alti scanditi verticalmente da esili pilastrini a passo costante (25 lungo la facciata sul Rio Nuovo, 8 sul fronte principale d’ingresso, 5 sul lato sud verso il giardino), alternati al vetro dei serramenti metallici coronati da una cornice di gronda tipo “Z” in pietra d’Istria, ispirata a un motivo lapideo dentellato che ricorre in innumerevoli palazzi veneziani a partire dal XIV secolo. Il lato est era destinato a una semplice tessitura di mattoni faccia vista, scandita orizzontalmente dai cordoli dei solai in calcestruzzo (oggi intonacata). La SADE fina dalle prime proposte si era opposta a che il progetto assunse un’eccessiva ricercatezza formale.

63

64

Alla fine del 1959 si procedette all’abbattimento dei fabbricati in calle larga dei Ragusei, la superficie trapezoidale così liberata doveva essere destinata al giardino del palazzo. Nel febbraio 1961, intanto, i lavori all’edificio erano terminati dopo nove anni di gestazione, appariva formalmente conclusa l’operazione su Rio Nuovo intrapresa dalla SADE, la costruzione del “palazzo SADE”, con un’ala alta fino a sei piani, una affacciata sull’acqua e una dotata di giardino alberato.

In forma di palazzo -

Funzioni, soluzioni formali e caratteri architettonici

Nell’ottobre 1960 risultavano insediate in palazzo Rio Nuovo cinque direzioni della SADE: l’azienda idroelettrica, l’azienda primario, l’ufficio studi, l’ufficio patrimoniale e il servizio costruzioni idrauliche. La distribuzione del personale, che assommava a 324 dipendenti, era risolta concentrando i dirigenti e i loro uffici nel corpo A, prospicente il rio, e gli impiegati, i laboratori e le officine nei corpi B e C. Il palazzo era un’architettura d’avanguardia al confronto con le costruzioni precedentemente erette sul suolo veneziano: le più avanzate tecniche costruttive avevano consentito per le fondazioni l’impiego di pali trivellati in cemento armato; si era inoltre scelto di inserire gli impianti elettrici a parete (così anche pluviali, compresi nello spessore murario). Dal punto di vista compositivo, tutta l’impostazione all’esterno rifletteva la gerarchia della distribuzione interna.

Il corpo principale del palazzo si distaccava dal resto del complesso, essendo trasparente, rialzato, poggiato su pilastri ottagonali e con i tre livelli superiori rivestiti da nervature verticali in calcestruzzo faccia a vista. Tutti gli ambienti di lavoro erano dotati di serramenti a bilico verticale in telaio metallico verniciato in colore nero, alti dal pavimento al controsoffitto e protetti all’interno per il primo terzo dell’apertura da un vetro anti vertigine. Solo sul retro, affacciata a sud, a ogni livello una finestra a losanga in pietra d’Istria illuminava i servizi dei dirigenti.

Il maggior contributo di Pea rispetto a Scattolin e Vietti nell’ideazione della facciata sulla fondamenta risulta evidente se si considerano i modelli che ispirano le scelte strettamente architettoniche. Il palazzo Rio Nuovo presenta infatti evidenti analogie con alcune realizzazioni coeve di edifici per uffici a Milano.

La struttura che consente a questa “gabbia” di nervature e corsi oriz-

zontali di caratterizzare il corpo A è risolta con una soluzione statica piuttosto ricercata, se non del tutto originale. Essa si regge su un “solaio nervato speciale” alla quota di 5,12 metri sulla fondamenta, poggiante su piccoli sostegni in acciaio a clessidra alla cui base ci sono dodici pilastri ottagonali in calcestruzzo direttamente collegati alle fondazioni. Il solaio speciale è a sbalzo rispetto ai pilastri sottostanti, cosicché all’esterno le travi incrociate della nervature risultano concluse in forma di mensola, con sezione assottigliata dal basso verso l’alto. Il solaio nervato speciale, costituito da profondi lacunari risultanti dall’incrocio di travi in calcestruzzo secondo un disegno geometrico, qualifica plasticamente l’ambiente dell’atrio di rappresentanza, lasciato con il cemento a vista. Esso si riflette, semplificato, nel trattamento del pavimento, in marmo rosso di Verona e losanghe in botticino. Se il solaio nervato può avvicinarsi ad esempi di strutture imponenti realizzate da Nervi in quegli stessi anni, il dettaglio costituito dai sostegni in acciaio in forma di clessidra, inseriti tra i pilastri e solaio speciale, costituisce la declinazione di un tema classico dell’architettura che, all’inizio degli anni cinquanta, era ritornato perentoriamente in voga nel dibattito architettonico italiano. Le clessidre in acciaio di palazzo Rio Nuovo forniscono infatti un’interpretazione affatto originale del problema tettonico relativo alla connessione tra un elemento di sostegno verticale e un piano orizzontale da questo sostenuto. Un precedente significativo si trova nel “Giardino delle sculture” ideato da Carlo Scarpa 1952, all’interno del padiglione Italia ai Giardini della Biennale Venezia. In palazzo Rio Nuovo l’intercapedine tra solaio e pilastri è trasparente, anche se lungo il perimetro esterno nella soluzione veneziana si trova inserito un serramento realizzato da lastre di vetro accostate ad angoli diedri con stucco e con fermi metallici all’interno.

In ogni caso è indubbio che nel progetto di Scattolin, Vietti e Pea i sostegni a clessidra del corpo A nell’atrio-salone dei nuovi uffici esprimevano un riferimento consapevole, un richiamo formale esplicito alla riflessioni sul tema della relazione tra sostegno verticale, elemento di raccordo o cerniera e solaio, formulate precedentemente da scarpa.

Ciò significava, in altre parole, allineare i futuri uffici veneziani della SADE con architetture recenti e ben note del panorama italiano e internazionale del secondo dopoguerra. Ancora un nome deve essere accostato al progetto veneziano in relazione a questa ricerca tettonica per un volume interamente trasparente, delimitato da vetrate e da piloni che sorreggono la soletta con giunti metallici snodati (cerniere d’acciaio). Proprio negli anni cinquanta Ludwig Mies van der Rohe stava lavorando a una serie di architetture a sviluppo orizzontatale, da

65

realizzare in acciaio e vetro, dove lastre rigide nervate poggiavano su sostegni perimetrali di sagoma cruciforme e leggermente rastremata, ai quali i carichi venivano trasferiti mediante una serie di cerniere.

L’entrata dei dipendenti avveniva da calle larga dei Ragusei e prevedeva un percorso lungo la celletta privata a sud, a termine del quale si trovava una rampa di scale esterna di sette gradini che conduceva alla bussola d’entrata, in cui erano inseriti gli ultimi tre gradini. L’ingresso da Rio Nuovo avveniva solo per i dirigenti ed eventualmente per gli impiegati ritardatari (l’ingresso di calle larga dei Ragusei veniva chiuso un quarto d’ora dopo l’inizio dell’orario di lavoro).

66

Per i prospetti B e C a sud, nord e ovest sono articolati da specchiature verticali di mattoni sabbiati, alternate e finestre binate (bifore) dai profili in pietra d’Istria. La scelta di scandire i prospetti tramite bifore con pilastrino intermedio consente di gestire lo spazio all’interno con estrema flessibilità. La soluzione ricercata degli spigoli dentellati a mattoni liberi che contraddistingue l’ingresso da calle larga dei Ragusei costituì dunque un’appendice formalista degli architetti alla soluzione plastica suggerita dalla commissione edilizia.

Il palazzo Rio Nuovo nel tessuto veneziano Sia che risultino collocati all’interno di un tessuto storico preesistente, sia che siano sorti come nuclei isolati nelle maglie più o meno fitte e recenti delle aree industriali o produttive ai margini delle città, gli immobili per uffici restituiscono un insieme pulsante di interpretazioni spesso contradditorie. A Venezia, gli immobili terziari sorti negli ultimi centocinquant’anni di storia hanno testimoniato l’avvicendarsi di manifestazioni contraddistinte dall’emulazione. Le sedi di istituti bancari, di agenzie commerciali o di compagnie marittime, dislocate tanto nel cuore quanto ai margini della città storica, hanno assunto mimeticamente i caratteri dell’edilizia residenziale più sontuosa dei secoli precedenti. Gli immobili ad uso commerciale e terziario tra il XIX e XX secolo richiamarono nella composizione dei prospetti e nelle proporzioni dei volumi l’articolazione del tipico palazzo veneziano di abitazione. Il palazzo Rio Nuovo proponeva un singolare impianto ad “H”, alquanto atipico rispetto al tessuto edilizio veneziano, risultante all’accorpamento di tre volumi distinti, in altezza e in elevazione, disposti in sequenza a partire dalla fondamenta sul canale per terminare con il confine più interno.

Il corpo più basso era il più caratterizzato formalmente e si affacciava sul Rio Nuovo, seguito da un corpo retrostante, alto cinque piani, e dall’ultimo volume alto sei piani. L’andamento a gradoni era stato imposto dalla volontà municipale, intenzionata a ridurre le volumetrie in corrispondenza del corso d’acqua; la sagoma ad “H” derivava dall’immobile residenziale popolare che fino alla fine del cantiere non si era riusciti a sgomberare: un ingombro attorno al quale si era disposto il nuovo edificio, semplicemente attorniandolo. Si era tentato fino all’ultimo di ottenere un approdo per motoscafi per la nuova sede direzionale, ma la fragilità della fondamenta e l’esigua sezione del rio Nuovo avevano concesso solo la messa in opera di una scaletta in pietra, a ridosso del ponte della Sbiacca. La sopraelevazione su pilastri del “solaio speciale” del corpo lungo la fondamenta, corrispondente all’atrio principale, non si riscontrava in nessun precedente veneziano, se non altro per il fatto che l’atrio era disposto parallelamente alla riva ed era di una trasparenza integrale, ottenuta alternando grandi serramenti in vetro con i pilotis in calcestruzzo. Anche la presenza dell’ingresso sul fianco laterale, appropriata data l’ampiezza ridotta della fondamenta, offriva un’occasione di distinzione: per questa ragione l’articolazione

a nervature parallele e verticali della facciata principale si estendeva anche su quella secondaria ortogonale, esaltando l’identità del corpo sul rio rispetto al resto dell’edificio. L’omogeneità del trattamento nei prospetti non era consueta nei palazzi veneziani, nei quali solitamente il partito del fronte acqueo si interrompe bruscamente appena dopo il risvolto dell’angolo, per esaltare la gerarchia che sottende alle diverse parti in elevazione. Il palazzo della SADE, invece, coglieva prontamente l’occasione offerta dalla sagoma del sito, denunciandosi anche da una prospettiva angolare come un volume magniloquente, e non solo come una facciata. La soluzione adottata nei prospetti dei corpi retrostanti, destinati agli uffici ordinari, costituiva un’ulteriore atipicità rispetto alla tradizionale pratica compositiva. Lunghe fasce di finestre binate sovrapposte si alternavano a strette campate piene del rivestimento in laterizi faccia a vista, stabilendo una corrispondenza verticale anziché orizzontale rispetto alla distribuzione interna: né linee marcapiano, né altri corsi orizzontali salvo l’ultimo dentellato profilo del cornicione in pietra, sola concessione alla sobrietà dei prospetti. In palazzo Rio Nuovo il giardino contribuisce come quinta scenica verde data dalle alte magnolie e dalle basse e compatte siepi perimetrali.

Oggi sappiamo che queste caratteristiche furono dettate non da una singola volontà formale, bensì da un concorso di fattori e di condizioni succedutisi nell’arco di circa un decennio.

La terna dei progettisti non si sarebbe mai più ricomposta e ciascun architetto riprese la pratica individuale, consolidata dal prestigio che nel complesso gli aveva procurato l’incarico veneziano. Per Scattolin si trattava di un’opportunità importantissima, che lo avrebbe portato a collaborare con Pier Luigi Nervi, affiancando il proprio nome a colui che ormai da dieci anni era considerato l’ambasciatore più autorevole dell’architettura italiana all’estero. Luigi Vietti, sempre più inserito in una cerchia di committenti italiani e stranieri con ampie disponibilità economiche, cominciava allora a specializzarsi nel disegno di complessi turistici e di ambiziose residenze in località selezionate. Proprio come nel progetto per gli uffici veneziani, dove la sua amano aveva opportunamente influito sulla soluzione delle facciate sul rio, così si impegnava nel calibrare operazioni immobiliari di grande scala. Cesare Pea continuava la sperimentazione nell’ambito della progettazione di elementi prefabbricati in calcestruzzo. Nel 1962 la SADE veniva riorganizzata in Azienda Produzione Energia e suddivisa in tre servizi: il servizio costruzioni idrauliche, il servizio idroelettrico e il servizio termoelettrico; la strategia della SADE aveva sospeso grandi investimenti nell’imminenza della costituzione dell’Enel. Nel 1963 nacque l’Ente Nazionale per L’Energia Elettrica (Enel) che si tradusse in un notevole aumento della produzione e della distribuzione: raddoppiava la capacità di produzione dell’energia e crescevano, di conseguenza, circa del 25% il personale dipendente e del 15% le utenze servite.

Nel palazzo Rio Nuovo furono inseriti, oltre al collegamento vero e proprio, la mensa generale dei dipendenti, gli impianti e altri spazi di servizio. Entro al metà degli anni settanta, dunque, con l’edificazione dei nuovi uffici Enel si compiva la realizzazione del più articolato complesso terziario ma costruito a Venezia , dotato di un tunnel ipogeo a due livelli che metteva in collegamento il palazzo Rio Nuovo con i nuovi volumi al Malcanton e il palazzo Marcorà. Una vera e propria megastruttura sorgeva in seno alla città storica, la cui costruzione era stata diluita nell’arco di un ventennio e che da allora avrebbe segnato, con una aggressività difficile da celare, la presenza dello Stato nel tessuto urbano residenziale. Tale regime funzionò a pieno ritmo sino alla fine degli anni novanta, quando la privatizzazione dell’ente portò alla frammentazione di Enel in una serie di società distinte e, in relazione al complesso direzionale veneziano, a un taglio radicale del personale

67

tecnico operativo e all’alienazione della proprietà dei due beni immobiliari. Con la drastica riduzione di Enel, la sorte di palazzo Rio Nuovo diveniva una volta di più emblema della situazione di Venezia. Nel 1951, quando la SADE aveva raggiunto un controllo superiore al 30% della potenza idraulica totale istallata in territorio italiano, la popolazione residente a Venezia aveva raggiunto i 215.496 abitanti. Nel 1963 quando si smembrava la SADE e il palazzo appena ultimato passava in proprietà Enel, la città aveva già perso 50.000 abitanti, e altrettanti si sarebbero trasferiti in terraferma, portando il numero da 112.000 residenti in centro storico nel 1970 agli attuali 60.680.

68

Il progetto per i nuovi uffici della SADE era stato approvato nel giugno 1955, con una tempestività quasi sospetta e si considera che ciò avveniva prima che nella maggior parte d’Italia e, in particolare a Venezia, fossero rese operative norme urbanistiche ed edilizie di controllo restrittive per gli interventi sui centri storici e di regolamentazione per lo sviluppo urbano. Il palazzo Rio Nuovo, dunque, crebbe nell’ombra del piano regolatore di Venezia, rispettando un insieme di norme di stesura prebellica, divenendo espressione anacronistica di quello slancio politico che durante il ventennio fascista aveva consentito la trasformazione e, nella maggior parte dei casi, lo snaturamento di diverse aree dei sestrieri veneziani. Ma proprio perché quell’ombra aveva cominciato a stagliarsi sulla città, il palazzo Rio Nuovo venne innalzato senza che fosse giunta l’approvazione complessiva del progetto da parte della Soprintendenza ai Monumenti Medioevali e Moderni di Venezia. Dal 1950, anno in cui venne manifestata la prima intenzione di costruire, al 1961, anno in cui gli uffici della SADE si trasferirono nel nuovo edificio, la città assistette all’avvicendarsi di numerose significative trasformazioni, allargate all’area della città storica e concentrate sulle teste di ponte tra piazzale Roma e San Giuliano. Una simile coerenza delle trasformazioni urbane dei primi anni cinquanta con quella prospettiva di sviluppo che all’inizio secolo era stata definita la “Grande Venezia”, e che riconosceva nel potenziamento dell’area industriale di Porto Marghera e nell’espansione di quella residenziale di Mestre il destino necessario della città lagunare, dipese dalla persistenza di alcuni protagonisti di quegli anni ai vertici degli organi decisionali. Una continuità garantita non solo dalla SADE in qualità di committente, ma anche della terna di professionisti che fu chiamata a gestire il progetto e il cantiere di palazzo Rio Nuovo.

La nuova sede di fondazione Venezia.

La fondazione di Venezia venne costruita il 23 giugno 1992 in seguito all’applicazione anche alla Cassa di Risparmio di Venezia della legge di trasformazione delle banche pubbliche; la banca veneziana trasformata da ente pubblico in società per azioni. Nel 2002 la necessità di spazi maggiori unità alla sostanziale indisponibilità del palazzo durante un approfondito restauro portarono ad individuare una nuova sede, sotto il sempre preciso vincolo a mantenere gli uffici della Fondazione nella parte storica e insulare della città di Venezia, nel frattempo abbandonata da molte altre attività economiche o istituzionali. Nel dicembre 2002 venne perfezionato il contratto di acquisto con la società immobiliare del gruppo Enel, nel frattempo divenuta intestataria del complesso immobiliare collocato sul rio Nuovo, per la cessione del palazzo affacciato su rio, che divenne dal gennaio 2003 la nuova sede della Fondazione. La nuova sede, per quanto rimodernata negli spazi interni in tempi relativamente recenti, richiedeva però ulteriori adattamenti: nei quarant’anni che avevano segnato la gestione Enel non vi erano stati fatti sostanziali cambiamenti, rendendo necessari pertanto degli interventi di carattere strutturale, impiantistico e tecnologico, e

l’ammodernamento degli spazi lavorativi. I protagonisti di questo progetto di riassetto sono stati gli architetti Michele De Lucchi e Angelo Michieli dello studio MDL di Milano, tra i più noti a livello internazionale. La realizzazione dei lavori, il cui obiettivo principale era quello di riconfigurare gli interni e di aggiornare gli impianti senza tradire o compromettere l’identità dell’involucro esterno, si è svolta sotto la direzione dell’architetto Alessandro Pedron dello studio PLT di Venezia.

La strategia del progetto ha inteso esaltare la semplicità e la sobrietà delle linee caratteristiche del palazzo, accentuando la luminosità naturale di ogni piano. Reinterpretando i luoghi di lavoro, si è trasformato l’edificio in uno spazio aperto, che fonde l’attività d’ufficio all’attività di divulgazione del patrimonio artistico e di promozione di eventi culturali.

La linearità delle facciate e la trasparenza dell’edificio hanno suggerito al progetto di rifacimento degli interni un intervento che valorizzasse la continuità tra esterno e interno. Il ricorso ad un unico materiale naturale, quale il legno di rovere, di volta in volta posizionato nei tre piani assumendo funzioni e caratteristiche diverse, ha conferito una tonalità calda e chiara agli ambienti. Il vetro trasparente o trattato è il materiale che riveste e che segna i luoghi per le attività d’ufficio e al tempo stesso di riunione. Il disegno essenziale degli elementi d’arredo e l’uso discreto della luce artificiale segnano l’atmosfera delicata e composta degli sazi interni, che accolgono ed spongono le opere d’arte della Fondazione. L’edificio è situato in una zona strategica del centro storico, vicino a piazzale Roma e alla stazione, e nella prospettiva che si sta configurando attualmente, in cui Venezia è fulcro di una più ampia area metropolitana, la posizione della Fondazione risulta ben inserita, quasi a rappresentare un anello di congiuntura e raccordo tra l’originario nucleo e l’allargata rete civica. Tale collocazione si inserisce nel recente e particolare processo di riconfigurazione, anche e soprattutto funzionale, del tessuto settentrionale della città, reso ancora più efficiente dal nuovo ponte della Costituzione.

69

Progetto di adeguamento dell’edifico dal punto di vista energetico e funzionale

70

ACCORGIMENTI TECNICO PROGETTUALI PER IL MIGLIORAMENTO DELLE PRESTAZIONI DELL’INVOLUCRO, TELAIO E SERRAMENTI. Dopo quasi mezzo secolo della sua realizzazione, l’involucro di Palazzo Rio Nuovo presenta il bisogno di manutenzione dovuta al normale degrado dei materiali costruttivi e all’adeguamento delle prestazioni dal punto di vista energetico. Palazzo Rio Nuovo fu costruito in anni in cui il dispendio di energia non portava a eccessivi costi, problema poco influente visto inoltre l’appartenenza alla SADE. L’ involucro esterno composto principalmente da serramenti e parti opache in pietra presentano trasmittanza molto alta, con conseguente dispendio di energia, presenza di ponti termici e poco confort all’interno degli ambienti lavorativi.

L’intervento che viene proposto, intende migliorare le prestazioni di isolamento termico dell’involucro edilizio. I serramenti esistenti in acciaio, del tipo Ferrofinestra, dotati di vetrocamera, non presentano guarnizioni nei giunti, pertanto la tenuta all’aria e all’acqua non è ottimale.

Inoltre i telai dei serramenti, interamente in metallo, costituiscono un considerevole ponte termico.

Non volendo alterare la configurazione dei prospetti esterni dell’edificio con l’aggiunta di un eventuale sistema a cappotto, per risolvere i considerevoli ponti termici rappresentati dalle lesene verticali in cemento armato, l’intervento edilizio dovrebbe prevede di rivestire la loro parte interna con pannelli isolanti. Risvoltando attorno agli angoli interni delle lesene, lo strato isolante dovrebbe ricoprire la struttura verticale del telaio fisso dei serramenti, favorendo un ulteriore livello di isolamento termico dell’interfaccia finestra-lesena.

Il restauro dei serramenti

I serramenti assumono un ruolo significativo nell’esprimere i caratteri qualitativi di un edificio. Concorrono alla definizione dell’aspetto esterno delle facciate e rappresentano anche un elemento, benché spesso rinnovato nel tempo, da considerare come prodotto di una peculiare capacità artigianale e costruttiva, e per questo portatore di significativi valori documentali. Si tratta di elementi molto delicati e fragili: sono ben note del resto le notevoli difficoltà di preservarli integri nel tempo e mantenere la funzione di protezione dagli agenti atmosferici, che ne determinano l’usura. Nell’affrontare oggi un intervento di restauro di un edificio, e in particolare dei serramenti, si pone il problema di dare risposte efficaci alle esigenze prestazionali e, al tempo stesso, di affrontare in modi adeguati i temi connessi alle esigenze di tutela.

Si assiste ad una progressiva perdita della capacità tecnico-esecutiva artigiana, tradizionalmente in grado di garantire, mediante manutenzione e cura, la possibilità per i serramenti di conservarsi nel tempo, per mezzo di aggiornamenti tecnici e funzionali. A fronte di processi di industrializzazione sempre più pressanti si sta riducendo progressivamente la capacità tecnica sia di effettuare la manutenzione e di restaurare i serramenti storici, che di eseguire serramenti ex-novo di tipo tradizionale aventi caratteristiche ritenute compatibili con la tutela.

Accanto al generale depauperamento di queste preziose competenze si osserva l’attivazione di un processo di sostanziale omologazione delle tecniche costruttive, secondo standard modulari del tutto indifferenti alla loro collocazione nella città di Venezia o in qualunque altro luogo. Non solo, il processo costruttivo, basato su pochi componenti assemblati, incide anche sulla varietà e singolarità dei fori finestra e che vengono ridotti e alterati nella loro configurazione. L’uso di montanti di forte spessore e il mascheramento dei dettagli architettonici

71

alterano le facciate degli edifici e la qualità paesaggistica dell’insieme.

A questo si aggiunge che spesso l’opinione pubblica, almeno in tema di serramenti, fatica a percepire il ruolo degli organi di tutela ai fini della conservazione, ma piuttosto evidenzia la prevalenza, su tutte le altre istanze, della pur legittima opportunità di dotarsi di prodotti che ottemperino ai requisisti prestazionali e di confort, ritenuti oggi irrinunciabili.

Sono da preferire, come alternativa ad azioni di conservazione e restauro oggettivamente non praticabili, istallazioni di nuovi serramenti di caratteristiche affini a quelle della tradizione. La descrizione di un repertorio di casi di restauro e miglioramento prestazionale consente un orientamento culturale e operativo di sicuro interesse, dimostrando inoltre che la via del restauro può essere praticata con profitto in molti più casi di quanto si possa pensare. Il riferimento ad aspetti relativi a certificazioni di qualità e normativa rimanda opportunamente alle tematiche della produzione e a quelle degli incentivi, che spesso favoriscono interventi di completa sostituzione in luogo di una manutenzione attenta e consapevole dei serramenti esistenti.

72

Di norma la sostituzione dei serramenti avviene non appena essi rilevano segnali di diminuzione di efficienza o qualora siano palesemente superati da prodotti presenti sul mercato caratterizzati da migliori prestazioni. Si potrà evidenziare che certamente i serramenti sono per loro natura da sostituire quando l’usura e il degrado vanificano le finalità di protezione ad essi connaturate. È innegabile del resto che i serramenti concorrono a determinare un caratteristico aspetto dei fronti esterni di un edificio che verrebbe significamene alterato, se non compromesso, in caso di una sostituzione. La presenza di incentivi economici, che nello specifico caso riguarda anche i serramenti, finisce paradossalmente per accelerare processi di trasformazione, incrementando significativamente interventi di sostituzione. Di fronte al rischio che si verifichi una contrapposizione insuperabile tra le istanze di conservazione e quelle riconducibili agli standard di comfort, queste ultime peraltro anche agli incentivi statali, si propongono alcune riflessioni generali e soluzioni operative. Anche gli incentivi relativi al raggiungimento di standard energetici più elevati non possono prescindere totalmente delle situazioni in cui è attuato un recupero anziché l’impiego di nuovi elementi. Occorre inoltre tener presente che nella valutazione di efficienza energetica a scala di organismo edilizio non si può prescindere da considerare il ruolo, oltre che dei serramenti, anche delle altre componenti dell’involucro edilizio, come la muratura o la copertura, che concorrono spesso in modo preponderante all’abbattimento delle prestazioni. Si osserva che a Venezia sono stati effettuati una serie di interventi su alcuni esempi architettonici di elevato interesse, come il caso degli edifici restaurati e ricondotti ad un uso di tipo museale – espositivo tra i più importanti delle città, le Nuove Gallerie dell’Accademia, il museo di Punta Dogana e la Torre di Porta Nuova presso l’Arsenale di Venezia. A questi si aggiungono anche altri casi, come quello del complesso del Molino Stucky, con destinazione d’uso di tipo ricettivo – alberghiero che è stato riqualificato dopo anni di abbandono. Nei casi citati sono stati istallati, al posto dei serramenti preesistenti, comunque in grave stato di conservazione se non mancanti, serramenti contemporanei per materiali (acciaio e corten) con forme di nuovo e calibrato disegno, tali da evocare la morfologia tradizionale, pur senza generare una grossolana copia. Complessivamente questi risultano inseriti con equilibrio nel contesto a scala urbana ed edilizia ed architettonica e, soprattutto, paiono ottemperare al requisito della riconoscibilità dell’aggiunta, ponendosi al riparo da eventuali interpretazioni ambigue, insite nell’applicazione pedissequa del concetto com’era dov’era.

Di fatto la sostituzione consente di raggiungere i parametri prestazionali ritenuti soddisfacenti e anche di accedere, con riferimento all’attuale normativa, a incentivi economici. Sia nei casi di recupero e restauro del serramento preesistente, sia nei casi di sostituzione, occorre però tener conto di una serie di modalità operative in grado di disciplinare gli interventi con la finalità di consentire di agire nel pieno rispetto dei caratteri costruttivi dell’edilizia storica. I serramenti concorrono, insieme alle altre componenti dei manufatti che rivestono una rilevanza paesaggistica (intonaci, murature, abbaini, altane, lucernari, coperture) a definire l’aspetto della città o del paesaggio urbano. Ne deriva che il controllo delle trasformazioni di questi elementi è di significativa importanza al fine di garantire la permanenza o la compatibilità nella modificazione del carattere delle città antiche, al riparo sia da modificazioni incompatibili perché dissonanti, sia, al contrario, da rispristini falsificanti e “imbalsamazioni”.

I serramenti sono fra le componenti edilizie maggiormente vulnerabili, in quanto sottoposte a continua usura dovuta alla movimentazione delle singole parti ed all’esposizione agli agenti atmosferici. Proprio i requisiti di leggerezza e trasparenza e la facile deperibilità di cerniere e sistemi di infissione, richiedono ripetute sostituzioni rendendone molto difficile la conservazione nel tempo e, di conseguenza, la possibilità di studiarne i caratteri costruttivi. I serramenti si contraddistinguono, rispetto ad altri, per la peculiarità del doppio ruolo che assumono all’interno della fabbrica rispetto alla funzionalità e in rapporto alle definizione del carattere dell’edificio di cui sono parte integrante. Il serramento rappresenta anche un elemento con un ruolo funzionale strategico che garantisce l’illuminazione naturale degli spazi interni, la ventilazione degli ambienti e, contemporaneamente, fornisce un’adeguata protezione dagli agenti atmosferici esterni. Costituiscono componenti costruttive che incidono in modo significativo sulla definizione formale e sulla leggibilità dei fronti edilizi e, come tali, rappresentano elementi di dialogo con il contesto urbano. Anche nella lettura dei fronti esterni degli edifici, il disegno del serramento, se pure trova ragioni legate alla funzionalità e alla tecnologia impiegata nella realizzazione delle diverse componenti costruttive, ne influenza la percezione estetica, richiedendo una certa attenzione nell’elaborazione e valutazione degli interventi di restauro o di manutenzione della fabbrica.

L’immagine documenta un intervento di sostituzione di serramenti realizzati con lo stesso disegno degli esistenti. Pur trattandosi di una buona riproduzione, il profilo dei nuovi serramenti, superiore a quello dei serramenti esistenti, e l’utilizzo di lastre vetrate omogenee in sostituzione delle lastre soffiate, differenziano le finestre di nuova produzione.

È opportuno ricordare il profilo dei telai, il disegno e la diversa partitura della finestra, la tipologia della vetrata impiegata. Si assiste ad un aggiornamento nel tempo dei sistemi costruttivi a partire da soluzioni consolidate che innovano e perfezionano alcune componenti costruttive del serramento senza tuttavia trasformarle in modo drastico; il principio dell’economia basato sul riutilizzo dei materiali già in opera per ragioni di economicità e di logica costruttiva, è stato garanzia di conservazione anche nei processi di trasformazione subiti dall’edilizia storica. I serramenti dovrebbero assumere la stessa dignità che, una cultura del restauro, attribuisce ad altre componenti costruttive come gli intonaci, le pavimentazioni, le coperture.

Si evidenziano gli aspetti legati alla sostenibilità ambientale: la consapevolezza di una disponibilità di risorse sempre più limitatate impone riflessioni in merito alla necessità di limitare e controllare i consumi, non solo sul fronte del risparmio energetico riconducibili al riscaldamento, ma anche rispetto a quelli legati alla nuova produzione di prodotti finiti e allo smaltimento dei serramenti esistenti oggetto di sostituzione.

73

Le ragioni che rendono preferibile e motivano la sostituzione dei serramenti sono diverse: - La tipologia di battuta, la mancanza di guarnizioni protettive lungo il profilo del telaio, la presenza di lastre di vetro singole, la deformazione del telaio; - La presenza di elementi soggetti all’azione degli agenti atmosferici; - Esigenze economiche legate al risparmio energetico: spesso si ritiene che i nuovi serramenti possano ridurre sensibilmente il costo del riscaldamento in quanto contribuiscono ad una riduzione delle perdite di calore; - L’applicazione rigorosa della normativa in materia di risparmio energetico sembra escludere il mantenimento dei serramenti esistenti per valori troppo elevati di trasmittanza.

74

- I benefici fiscali che consentono la detraibilità del 55% delle spese sostenute per i serramenti, obbliga a sostituire i serramenti storici perché non sufficienti rispetto ai parametri limite di dispersione termica previsti per legge.

La maggior parte delle dispersioni di una finestra sono dovute non tanto alla vetrata quanto piuttosto alle infiltrazioni d’aria e acqua causate dalla mancanza delle guarnizioni. I criteri di verifica devono fondarsi su un percorso di conoscenza della fabbrica capace di comprenderne ed interpretarne la storia costruttiva, consentendo di dimensionare gli interventi effettivamente necessari, attuando quei processi di miglioramento mirati al tempo stesso alla conservazione dei sistemi costruttivi ma anche della materia della fabbrica. È possibile intervenire con presidi puntuali, con piccoli ausili in grado di ripristinare le difese proprie dell’elemento costruttivo ma anche di migliorare e implementare le sue prestazioni, senza per questo alterarne la leggibilità o comprometterne l’autenticità. In quest’ottica in cui la sostituzione sistematica di tutti i serramenti deve rappresentare un caso assolutamente eccezionale, l’obiettivo, per consentire la conservazione, deve essere quello di migliorare le prestazioni del sistema di chiusura in modo da ottenere un miglioramento delle condizioni abitative. È necessario eseguire una verifica analitica dei valori di trasmittanza, non limitata al solo serramento ma estesa a tutto il sistema parete (muratura-serramento), misurata sia nello stato attuale con il serramento esistente, sia ipotizzando la sostituzione del serramento con uno di nuova produzione. Tale verifica deve essere finalizzata ad acquisire parametri numerici di riferimento per quantificare, e quindi valutare, in una seconda fase, il beneficio prodotto dagli interventi di miglioramento che si andranno a proporre. Gli interventi devono garantire un livello di efficienza molto più alto minimizzando l’impatto e le modifiche costruttive sul serramento e dunque garantendo una maggiore compatibilità. Occorre effettuare la verifica analitica dei valori di trasmittanza del serramento esistente tenendo conto degli interventi di miglioramento progettati per implementare le sue prestazioni termiche e acustiche. Inoltre, per una corretta e completa valutazione degli interventi, è necessario considerare, oltre agli aspetti energetici anche quelli di natura economica dei benefici monetizzabili diretti e indiretti derivanti dalla conservazione: gli sgravi fiscali, la possibilità di accedere a contributi statali, l’incremento di valore culturale, e quindi anche economico e commerciale, dell’immobile per il mantenimento dei caratteri propri della costruzione.

Dati termofisici, energetici e di emissioni, di analisi e di progetto

75

76

77

78

79

Ipotesi di intervento

82

83

84

85

86

87

88

89

90

91

92

93

94

95

96

L’intervento di efficientamento energetico del Palazzo Rio Nuovo prevede, oltre alla sostituzione dei serramenti esistenti, l’applicazione di un sistema di isolamento interno all’involucro totale, a livello di facciate in muratura, telaio in pietra e solaio di copertura.

I parametri terranno dunque in considerazione, nei tre scenari proposti, un’ipotesi senza intervento su serramenti e struttura e due interventi con anche l’isolamento termico delle superfici opache.

Nelle ipotesi progettuali si è cercato di coinvolgere strutture collocate sul territorio e strutturate compatibilmente per gestire le dimensioni dell’intervento studiato. In nero sono indicate le strutture coinvolte nel recupero e nella trasformazione delle materie prime recuperate. Indicata in marrone la sede del cantiere, a Venezia. In verde lo stabilimento di Treviso della Mogs, azienda incaricata ipoteticamente della produzione dei serramenti con recupero parziale degli scarti prodotti. In blu viene indicato lo stabilimento della Secco, azienda incaricata di fornire serramenti di nuova produzione.

97

98

A partire dal conferimento in discarica dei materiali recuperati, i due processi analizzati divergono da un lato nella produzione ex novo con utilizzo di materiale vergine, e dall’altro nella rifusione e riutilizzo di parte del materiale recuperato.

Il secondo scenario analizzato, nello specifico, prevede il trasferimento di vetro e gomma per il recupero parziale, e la consegna del metallo come contributo alla fusione dei serramenti riciclati, con fabbisogno di materia prima superiore al serramento originario.

Questa gap nel tipo di lavorazioni genera differenze importanti nei bilanci generali analizzati. In particolare l’intervento di recupero presenta fabbisogni superiori per quanto riguarda il contributo del trasporto della materia prima nelle diverse condizioni di semilavorazione, ma genera a bilancio, alla fine del suo specifico ciclo di vita, una quantità di emissioni ed energia incorporata inferiore al progetto di sostituzione con elementi nuovi.

Allo stesso tempo, il recupero del vetro originario coprirĂ circa il 70% del fabbisogno di trasformazione, la gomma 25%, ed il metallo il 35% del nuovo quantitativo di materiale richiesto.

99

Il calcolo dell’intero ciclo di vita delle tre soluzioni proposte - mantenimento serramento originario, sostituzione con elementi nuovi da materiale vergine, sostituzione con riciclo del materiale recuperato - porta a dei dati significativi se confrontati tra di loro.

Per poter esprimere con maggiore chiarezza l’ordine di dimensione in questione, è possibile convertire le emissioni e l’energia incorporata in due dati tangibili: la quantità di alberi necessari allo smaltimento delle emissioni provocate, e l’equivalente dell’energia richiesta confrontata con tonnellate equivalenti di petrolio, e numero di prodotti comuni industriali producibili con lo stesso fabbisogno energetico.

100

101

Per poter esprimere con maggiore chiarezza l’ordine di dimensione in questione, è possibile convertire le emissioni e l’energia incorporata in due dati contingenti: la quantità di alberi necessari allo smaltimento delle emissioni, e l’equivalente dell’energia richiesta confrontata con tonnellate equivalenti di petrolio, e numero di prodotti comuni industriali producibili con lo stesso fabbisogno energetico.

La comparazione delle soluzioni progettuali deve tenere conto del’aspetto generale conferito ai prospetti, ancor di più in virtù di un contesto urbano di pregio ed essendo l’edificio di interesse storico ed architettonico.

Un fattore da considerare è il mantenimento dell’equilibrio tra serramenti e telaio in pietra, e dunque la riduzione dell’ingombro degli stessi, conforme allo snello telaio in ferrofinestra originale, può ritenersi una nota di pregio.

102

Questo schema tenta di riprodurre una sintesi grafica dei progetti analizzati. Come già evidenziato, i giudizi espressi si riferiscono a dimensioni non confrontabili fra loro, e l’interpretazione diventa libera in virtù degli intenti generali del progetto.

Il mantenimento dei serramenti originari consente il rispetto di un sistema tecnologico di interesse storico, e chiaramente azzera i costi di intervento, mantenendo però la massa termica generale della parete poco efficace e dunque un fabbisogno energetico di gestione elevato.

La sostituzione con serramenti nuovi senza recupero di materiale comporta un telaio differente come spessore e visibilità rispetto all’originario, ma garantisce prestazioni termofisiche superiori alle due alternative, ed un costo di intervento inferiore, ma costituisce il progetto più energivoro ed emissivo delle soluzioni vagliate.

Il riutilizzo parziale del materiale recuperato per la produzione di un serramento sostitutivo garantirà, al termine del suo ciclo di vita, emissioni ed energia incorporata inferiore rispetto al mantenimento dello status quo - per via delle strutture poco isolate e alti costi di gestione - e alla sostituzione totale, oltre ad un profilo compatibile ed in armonia con quello originario, garantendo però prestazioni termiche inferiori rispetto all’ipotesi della sostituzione, ed un costo di intervento superiore.

La analisi svolta mette in luce l’importanza di aspetti fino ad oggi scarsamente considerati nel mondo delle costruzioni nazionale, anche in virtù dei dati statistici di recupero di materiale nell’edilizia in Italia rispetto all’Europa. E’ verosimile immaginare una crescente importanza e considerazione per gli aspetti energetici ed emissivi in un futuro prossimo, comportando questi costi elevati nella considerazione del ciclo di vita completo di un edificio.

103

BIBLIOGRAFIA: Abbruzzese Patrizia, Bradanini Roberta, Rizzi Giacomo, Architettura domestica giapponese : una tradizione che continua con rinnovate qualità dello spazio, Milano, Edizioni Spiegel, 1997 Hammond Geoffrey, Jones Craig [esperto LCA]. Embodied Carbon : The Inventory of Carbon and Energy (ICE); ed. Fiona Lowrie and Peter Tse Bracknell, BSRIA, 2011 I serramenti dell’edilizia storica di Venezia: conoscenza e intervento / a cura di Francesco Trovò; studio promosso da Confartigianato Venezia; scritti di Luca Ballarin. Padova, Saonara, Il Prato, 2013 Scimemi Maddalena, Architettura del Novecento a Venezia : il palazzo Rio Nuovo, Venezia, Fondazione di Venezia, Marsilio, 2009.

TESI DI LAUREA: Lupi elisa. L’Embodied Energy nei materiali da costruzione. Metodi di calcolo e banche dati a confronto. Relatrice arch Ph.D. Maria Antonia Barucco, correlatore arch. Ph.D Dario Trabucco.

Università Iuav di Venezia a.a. 2011-2012 SITOGRAFIA: - SEKISUI HOUSE http://www.sekisuihouse.co.jp/english/sr/2014.html